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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica Numero 21 - maggio 2015

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in materia di

immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

Numero 21 - maggio 2015

 

FIAIP News24, numero 21 – maggio 2015 2

    

n. 21 – chiuso in redazione il 4 maggio 2015

Sommario

Pagina

NEWS Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 4 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 16 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 24

APPROFONDIMENTI Condominio e lavori L'APERTURA DI UN NUOVO ACCESSO NELL'ANDRONE DEL PALAZZO In una recente fattispecie sottoposta all’esame della Corte di Cassazione, si è affermato che l’apertura nell’androne comune di una nuova entrata per un locale terraneo di proprietà di un condomino non impedisce agli altri partecipanti di fruire del suddetto androne per raggiungere i propri appartamenti... Alberto Celeste, Consulente Immobiliare, Edizione del 30 aprile 2015, n. 974 pag. 706 28 Bonus fiscali BONUS FISCALE PER ABITAZIONI DA LOCARE L’art. 21 del D.L. “Sblocca Italia” 133/2014 ha istituito, con efficacia fin dal 1° gennaio dello scorso anno, una nuova potente deduzione dall’IRPEF per incentivare l’acquisto di abitazioni, nuove o ristrutturate, o la loro costruzione su aree già possedute, a condizione che le stesse vengano concesse in locazione alle condizioni stabilite dalla legge. Stefano Baruzzi, Consulente Immobiliare, Edizione del 30 aprile 2015, n. 974 pag. 724 34 Plusvalenze e immobili PLUSVALENZA DERIVANTE DALLA VENDITA DI UN IMMOBILE In presenza di contabilità formalmente regolare, la plusvalenza che deriva dalla vendita di un immobile si calcola sulla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto… Federico Gavioli, La Settimana Fiscale, Edizione del 29 aprile 2015, n. 17 pag. 42-45 38 L’ESPERTO RISPONDE Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 43

 

 

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Mercato immobiliare e delle costruzioni

Canoni di locazione - Indice Istat di marzo 2015 L'Istat comunica gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativi al mese di marzo 2015, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 81, L. 27.7.1978, n. 392, e dell'art. 54, L. 27.12.1997, n. 449. La variazione percentuale dell'indice rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente (marzo 2014 – marzo 2015) è pari a – 0,2% che, ridotto al 75% ai fini dell'adeguamento annuale dei canoni di locazione di immobili (ad uso abitativo e non abitativo), corrisponde a – 0,15%. Si ricorda che, ai sensi dell'art. 41, D.L. 207/2008, conv. con modif. dalla L.14/2009, anche con riferimento ai contratti in corso all'1.3.2009, l'adeguamento annuale dei canoni di locazione dei fabbricati non abitativi si applica solo ai contratti aventi durata non superiore a 6 o a 9 anni (art. 27, L. 392/1978). (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 4 maggio 2015)

Diminuisce il «prezzo» dei mutui: spread giù di un terzo in un anno Grazie al Qe di Maro Draghi, non solo le banche hanno allargato le maglie del credito per l’acquisto della casa, ma sono anche scesi molto i “prezzi” dei mutui. Secondo l’ultima Bussola elaborata da Crif e MutuiSupermarket relativa al primo trimestre dell’anno, gli spread applicati dalle banche sui mutui a tasso variabile sono scesi del 28%, mentre sul fisso il calo si attesta al 22 per cento. Secondo la rilevazione, i migliori spread per variabile e fisso sottoscritti a gennaio 2014 (importo 140mila euro e durata 20 anni) si attestavano rispettivamente al 2,6 e 2,4%. A inizio aprile, gli stessi spread risultano all'1,8% e 1,9% e «appaiono praticamente certi nuovi ulteriori tagli ai prezzi dei mutui nell'immediato futuro». Per una corretta lettura del dato occorre anche considerare che gli spread oggi non scontano l'inflazione, che seppur minima, andava considerata nella valutazione del prezzo reale fino all'anno scorso. Ma, da un lato, nel medio-lungo periodo l'inflazione - si spera per il benessere di tutta l'economia - dovrebbe tornare moderatamente a crescere. Dall'altro, comunque, la discesa degli spread non era un dato così scontato: va ricordato, infatti, che nonostante i tassi di riferimento siano da lungo tempo ai minimi, durante il periodo della crisi dei debiti sovrani il differenziale applicato dalle banche tra Irs, Euribor e il tasso finito (lo spread, appunto) è restato alto. E i mutui venivano concessi con il contagocce. I prezzi delle case, intanto – sempre secondo la Bussola, che fa riferimento alle stime delle perizie effettuate per la concessione dei finanziamenti – diminuiscono di un altro 2% su base annua rispetto al primo trimestre 2014, avvicinando il mercato a un nuovo equilibrio che ancora deve essere raggiunto dopo il lungo periodo di crisi. «La parola d'ordine – nota però la Bussola – risulta ancora “cautela”: se a inizio 2010 l'importo

 

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medio richiesto era di poco superiore ai 140mila euro, nel primo trimestre 2015, questo è infatti risultato pari a 124.291 euro, in ulteriore contrazione dello 0,5% rispetto all'importo del quarto trimestre 2014. Come dire: ritorna l'interesse sul mercato, con la domanda di nuovi mutui che segna un +38% nel primo trimestre 2015, ma i consumatori rimangono ancora prudenti». Da non dimenticare, infine, la componente di surroga e sostituzione, che spiega «circa il 30% delle richieste di mutuo raccolte sul canale online. Nella realtà, però, a livello di intero 2014 solo il 10,9% delle istruttorie formalmente presentate agli istituti si riferisce alla rottamazione di vecchi mutui». Con il tasso fisso che viene scelto nel 58% dei casi. (Emiliano Sgambato, Il Sole 24ORE – Casa24, 29 aprile 2015)

L’Istat conferma il ritorno al segno positivo del mercato immobiliare nel 2014 Dopo i dati degli operatori e quelli ufficiali dell’Agenzia delle Entrate (+3,6% nel 2014 su base annua negli scambi residenziali) arriva la conferma dell’Istat: dopo sette anni di crisi, gli scambi tornano a risalire, confermando i dati dei singoli trimestri. Ma si resta lontano dai livelli pre-crisi. «I trasferimenti a titolo oneroso di unità immobiliari – comunica l’Istat – che ammontano complessivamente a 594.431, registrano una crescita dell'1,6% sul 2013». Un dato leggermente inferiore all’1,8% registrato dalle Entrate il 5 marzo scorso. «Gli aumenti riguardano tutte le ripartizioni geografiche tranne le Isole, dove invece si rileva un calo dell'1%. Le convenzioni di compravendita di unità immobiliari ad uso abitazione ed accessori (pari a 553.324) registrano un incremento dell'1,6% in un anno, più contenuto rispetto a quello registrato per le convenzioni di compravendita delle unità immobiliari ad uso economico (+3,2%)». A trainare sono le grandi città, dove la crescita registrata in base alla base dati degli archivi distrettuali notarili presa in considerazione dall’Istat: considerando tutti i comparti, la crescita è del 2,9%, a fronte del +0,6% dei piccoli centri. Il risultato del IV trimestre (168.456 convenzioni, +4,9% sullo stesso trimestre del 2013) ha contribuito all'andamento positivo dell'anno, così come quelli del primo (+1,3%) e del terzo (+3,7%) mentre nel secondo trimestre si era registrato un calo del 3,1%. «Tra ottobre e dicembre il 92,5% dei trasferimenti – continua l’Istat – di proprietà ha riguardato immobili ad uso abitazione ed accessori (155.909), il 6,8% unità immobiliari ad uso economico (11.411) e lo 0,7% (1.136) unità immobiliari ad uso speciale e multiproprietà (esclusi i posti barca). La ripresa ha riguardato tutte le tipologie d'uso, in misura maggiore le unità immobiliari ad uso economico (+9,2%, a fronte del +4,8% per le unità ad uso abitazione ed accessori)». Conferme positive anche sul fronte mutui: «i finanziamenti ed altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare stipulati con banche o soggetti diversi dalle banche il 2014 è un anno di crescita: +9,2% sul 2013, per un numero complessivo di convenzioni pari a 278.447 a livello nazionale. Gli aumenti più decisi, al di sopra della media nazionale, si osservano al Sud (+13,6%), al Centro (+12,8%) e nelle Isole (+11,2%)». (E. Sg., Il Sole 24ORE – Casa24, 28 aprile 2015)

Fabbricati residenziali: a gennaio costo di costruzione invariato Nel mese di gennaio 2015 l'indice del costo di costruzione di un fabbricato residenziale rimane invariato rispetto al mese precedente e aumenta dello 0,5% nei confronti di gennaio 2014.

 

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A partire dai dati riferiti a gennaio 2015 gli indici dei costi di costruzione di un fabbricato residenziale e di tronchi stradali sono calcolati utilizzando il mese di dicembre 2014 come base di calcolo e l'anno 2010 come base di riferimento. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 20 aprile 2015)

Casa: -2,9% prezzi attesi nel 2015, ripresa solo dal 2017 La flessione dei prezzi del mercato immobiliare non si arresterà nemmeno nel 2015, anche se il settore inizia a dare segni di stabilizzazione. È quanto emerge dall’Osservatorio Nomisma sul mercato immobiliare. I prezzi delle case sono attesi in ulteriore contrazione del 2,9% quest’anno con un –3,4% a Roma, –3% a Bologna, –2,9% a Palermo, –2,6% a Torino e –1,6% a Milano. Cali simili si osserveranno anche nel settore degli uffici (-3,1% medio nelle grandi città) e dei negozi (–2,6%). Nel 2016 è attesa una variazione quasi nulla per residenziale (+0,9%), uffici (+0,2%) e negozi (+0,4%) mentre dal 2017 la ripresa dei valori sarà più sostenuta e compresa fra il 2,5 e il 3%. Sul fronte delle transazioni, Nomisma prevede un aumento di 50 mila unità abitative a quota 468 mila, mentre nel biennio successivo il mercato tornerà a superare quota 500 mila anche se sono ancora lontani i numeri pre-crisi con oltre 800 mila unità immobiliari passate di mano. Per sostenere il mercato sarà importante anche l’accesso al credito. Nel 2014 le transazioni sostenute da mutuo sono cresciute del 12,7% e anche per il 2015 Nomisma stima una crescita dei mutui dell’ordine del 30% per un totale di 32 miliardi di erogato, compresa la componente di surroga e sostituzione. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 13 aprile 2015)

Immobili

In arrivo il nuovo certificato energetico Il certificato di prestazione energetica, necessario per chi deve presentare all’Enea la documentazione per chiedere le detrazioni fiscali del 65%, sta per cambiare. Per effetto di due provvedimenti, che sono prossimi ad entrare in vigore: il nuovo decreto che detta i requisiti minimi degli edifici (fissa cioè le metodologie di calcolo della prestazione energetica) e le linee guida per la redazione dell’Ape (attestato di prestazione energetica), che ad oggi viene ancora compilato come fosse un vecchio attestato di certificazione energetica, pur avendo cambiato nome da mesi. Il provvedimento, dopo le ultime limature, attende la firma del Ministro. Per i requisiti minimi, la novità più rilevante è la modalità di verifica delle prescrizioni di legge, che utilizza l’edificio di riferimento. Ogni fabbricato verrà confrontato, per stabilirne i requisiti, con un immobile con più impianti identico in termini di geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei componenti) orientamento, ubicazione, destinazione d’uso e situazione al contorno e avente caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati. Nell’atto, sono inoltre contenuti elementi che riguardano gli impianti tecnologici di riscaldamento e condizionamento al servizio di questi edifici, visto che il provvedimento sostituirà completamente il Dpr 59/2009. Sul fronte dell’Ape - il cui decreto è ancora all’esame della conferenza Stato Regioni - sarà invece abbandonata la strada del “federalismo energetico” per arrivare a compilare di un modello di targa unica a livello nazionale. Le Regioni avranno due anni per adeguarsi, ma già si stanno attrezzando: il sistema delle classi - dopo anni di differenze regionali - tornerà unico.

 

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Nelle future targhe, la prestazione energetica sarà espressa in termini di energia primaria non rinnovabile e la classe energetica sarà determinata non più secondo il parametro dell’Epi limite, bensì in funzione del rapporto fra la prestazione energetica dell’edificio e quella dell’edificio di riferimento prevista per gli anni 2019-2021. Le classi saranno dieci: dalla migliore (A4) alla peggiore (G). L’Ape esaminerà la prestazione energetica dell’edificio per la climatizzazione estiva, oltre che per quella invernale. Per gli immobili terziari sarà preso in considerazione anche il fabbisogno di energia per l’illuminazione e quello per il funzionamento di scale mobili ed ascensori (non appena sarà approvata la parte sesta delle norme Uni 11300). L’attestato, oltre alla prestazione energetica globale, riporterà informazioni specifiche sulle prestazioni energetiche parziali, comprese quelle dell’involucro edilizio. Per facilitare la lettura agli utenti saranno utilizzati gli emoticon. Infine, sarà indicata nell’attestato anche la classe energetica più elevata raggiungibile se si realizzano una serie di misure correttive e migliorative indicate nell’Ape stesso e sarà istituita una banca dati nazionale degli attestati, per la raccolta aggregata di dati relativi agli Ape rilasciati, agli impianti termici e ai relativi controlli e ispezioni effettuati. (Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 4 maggio 2015)

Bonus lavori, la mappa degli incroci Per sfruttare l’opportunità, garantendosi il massimo del vantaggio possibile, c’è tempo poco più di sei mesi. Fino al 31 dicembre 2015, l’aliquota ammessa per “scaricare” in dieci anni il costo degli interventi di ristrutturazione edilizia e di risparmio energetico è fissata, rispettivamente, al 50% e al 65% della spesa. Poi - salvo nuove dilazioni, concesse da Governo e Parlamento - si tornerà a un bonus unico al 36 per cento. Utilizzare gli sconti fiscali conviene: moltissimi gli italiani che ne hanno già approfittato. Tuttavia, non è sempre facile orientarsi e capire quali siano gli interventi che possono godere del sostegno economico e quale la detrazione corretta da richiedere. Anche perché uno stesso intervento può in teoria beneficiare di diversi incentivi, ma in realtà il cumulo tra due benefici non e mai ammesso. Le ristrutturazioni edilizie È possibile portare in detrazione il 50% della spesa sostenuta (massimo 96mila euro), nel caso di lavori che comportino un’innovazione e rientrino nella categoria edilizia della manutenzione straordinaria. Di conseguenza, l’importo massimo detraibile è di 48mila euro, pari a 4.800 euro l’anno. Solo per fare qualche esempio di lavori ammessi, parliamo del rifacimento di una facciata, dell’installazione o la sostituzione dell’ascensore, della riparazione o la nuova costruzione di un box auto pertinenziale, della tinteggiatura esterna di un palazzo, con modifica di intonaco o colore, ma anche della sostituzione di infissi con modelli diversi. Ci sono, tuttavia, una serie di interventi che – pur richiedendo un impegno anche economico rilevante – sono esclusi se eseguiti in una singola unità residenziale. È il caso del rifacimento di un bagno o di una cucina: la semplice ripavimentazione, la sostituzione dei sanitari sono classificati come interventi di manutenzione ordinaria e non bastano a garantire la detrazione. Che invece scatta se all’interno dell'unità viene creato o spostato un tramezzo o si sostituisce l’intero impianto idraulico. Ma il principio generale è che i lavori di categoria “superiore” assorbono quelli di categoria inferiore: quindi se si sostituiscono pavimenti e sanitari del bagno (ordinaria) e, insieme, si sposta una parete e la porta cambiano il perimetro della stanza, tutto diventa manutenzione straordinaria e quindi si può detrarre l’intera spesa. Il bonus al 65 per cento La detrazione del 65% per il risparmio energetico si può utilizzare (con soglie diverse a seconda della tipologia di opere) per ciò che comporta un miglioramento delle prestazioni energetiche dell’immobile. Si va dalla sostituzione dei vecchi infissi all’installazione di pannelli

 

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solari termici, dal cambio di caldaia fino alla predisposizione di un cappotto termico e, da quest’anno, anche all’acquisto e alla posa di un sistema di schermatura solare, come una tapparella o una tenda da sole (si veda Il Sole 24 Ore dello scorso 20 aprile). Non tutto, però, beneficia dello sconto massimo. Ad esempio, la sostituzione della caldaia con un impianto a condensazione non è ammessa, se non è prevista la contestuale installazione delle valvole termostatiche negli appartamenti. Chi cambia solo l’impianto deve allora optare per la detrazione Irpef del 50 per cento. Così anche non sono ammessi al 65% gli impianti a tecnologia mista o quelli che non rispondono a determinati requisiti prefissati dalla norma. La procedura per ottenere il riconoscimento dell’ecobonus (detrazione Irpef per persone fisiche e Ires per persone giuridiche), inoltre, prevede un passaggio in più rispetto al 50%: entro 90 giorni dalla fine dei lavori occorre trasmettere all’Enea, in via telematica, copia dell’attestato di certificazione o qualificazione energetica e la scheda informativa degli interventi realizzati (si veda l’articolo in basso). Per questo, spesso c’è chi – a parità di lavoro, e anche se potrebbe ottenere il 65% - sceglie la via del 50 per cento. Ad esempio, per la sostituzione degli infissi: se non si raggiungono le perfomance di isolamento maggiori o se si preferisce evitare la procedura per il 65% - peraltro eseguibile anche con un semplice fai-da-te online sul sito dell’Enea - si può ottenere lo sconto minore. Il conto termico Infine, i privati che devono sostituire un vecchio impianto con uno nuovo alimentato a fonte rinnovabile possono ricorrere al conto termico. Il meccanismo funziona con l’erogazione di un contributo diretto da parte del Gse, calcolato sulla spesa sostenuta: in genere per questi interventi è possibile recuperare circa il 40% dei costi, con rate costanti spalmate da due a cinque anni. Tuttavia, forse perché poco conosciuta rispetto al meccanismo ormai collaudato della detrazione, questa possibilità è stata fino ad oggi poco utilizzata, tanto che ne è prevista una revisione. (Silvio Rezzonico, Maria Chiara Voci, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 4 maggio 2015)

Chiarimenti sulla detraibilità IRPEF delle spese per gli immobili L'Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 17/E del 24/4/2015, ha chiarito alcuni aspetti circa la detraibilità delle spese sull'IRPEF su questioni poste dal Coordinamento Nazionale dei CAF e da altri soggetti. Ordinante del bonifico diverso dal beneficiario in caso di ristrutturazione edilizia Un contribuente ha richiesto se è possibile fruire dell'agevolazione nel caso in cui l'ordinante del bonifico sia un soggetto diverso dal beneficiario della detrazione qualora il codice fiscale di quest'ultimo risulti correttamente indicato nella disposizione di pagamento. Nel rispetto dei presupposti previsti dalle disposizioni di legge e del requisito richiesto dalla norma circa la titolarità del sostenimento della spesa, sarà titolare della detrazione, sostiene l'Agenzia, il soggetto che ha effettivamente sostenuto la spesa. Limite di spesa e autonomia degli interventi edilizi Alla richiesta di un contribuente circa l'utilizzabilità di una nuova detrazione per interventi edilizi (50% sull'IRPEF per un plafond massimo di 96.000 euro da utilizzare entro il 31 dicembre 2015) iniziati nel 2014 e da terminare nel 2015, dopo aver già usufruito della stessa per un intervento autonomo dal 2008 al 2013, l'Agenzia ha risposto positivamente, purché gli interventi siano autonomi e non consistano in una mera prosecuzione dei vecchi lavori, dato che l'art.16-bis del TUIR non prevede il trascorrere di un periodo minimo di tempo per usufruire nuovamente della detrazione. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 29 aprile 2015)

 

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Con il prestito ipotecario un percorso reversibile

I proprietari di casa che hanno compiuto 60 anni e sono a corto di liquidità possono chiedere un finanziamento a una banca o a un altro intermediario finanziario autorizzato ipotecando i loro immobili, ma continuando ad abitarli. Lo strumento che rende cash la casa è il prestito vitalizio ipotecario, regolamentato con la legge n.44/2015 in vigore dal prossimo 6 maggio. Un’alternativa alla vendita della nuda proprietà (si veda altro articolo in pagina). Il prestito vitalizio è una forma di finanziamento già sperimentati in altri paesi (con il nome di mortgage reverse, lifetime mortgage) e già presente anche nel nostro ordinamento. Fu introdotto dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, con la legge finanziaria per il 2006 (legge 248/2005, articolo 11-quaterdecies comma 12). Da alllora non ha avuto molta fortuna, ma ora il Parlamento ci riprova, con una normativa più dettagliata e di maggior favore. Diversamente da ciò che succede quando la banca concede un mutuo per acquistare una casa, con il prestito vitalizio l’istituto di credito mette un’ipoteca sulla casa per dare al beneficiario un finanziamento, che questi può usare come vuole. Il prestito non viene ammortizzato (come succede, invece, con il mutuo), ma il danaro che la banca ha sborsato lo rivuole indietro, naturalmente. Senza fretta, però. Il conto viene saldato, in un’unica soluzione, normalmente alla morte di chi ha ricevuto il prestito e la casa viene venduta dalla banca (o dagli eredi). A meno che il proprietario non cerchi di vendere, in tutto o in parte, l’immobile oppure su di esso conceda un usufrutto, un diritto di abitazione o di godimento oppure faccia qualsiasi altra cosa che possa ridurne parecchio il valore. In questo caso chi ha ricevuto il prestito deve saldare il suo debito entro 12 mesi dalla richiesta. Se non è in grado di farlo, la banca mette in vendita la casa a prezzo di mercato, stabilito da un perito di sua fiducia. La vendita scatta, appunto, anche alla morte del beneficiario. Se entro 12 mesi non si trova un compratore, l’immobile viene rimesso in vendita per un altro anno ad un prezzo ridotto del 15% e si va avanti così fino a che non si riesce a piazzarlo. Gli eredi Chi succede deve sperare che la casa sia venduta al primo tentativo: quanto più il prezzo è superiore al debito, tanto maggiore è la somma che gli eredi possono incassare. Non devono però preoccuparsi se il prezzo non copre totalmente il debito, perché la legge ha introdotto a loro favore una clausola di salvaguardia: la banca deve accontentarsi della somma che si ricava dalla vendita dell’immobile. Possono stare tranquilli anche i compratori degli immobili: nei loro confronti non hanno effetto le domande giudiziali di contestazioni del contratto di acquisto o di qualche sua condizione trascritte dopo la registrazione del rogito nei registri immobiliari. Vantaggi e svantaggi Con il contratto di concessione del prestito vitalizio, banca e beneficiario possono stabilire che gli interessi e le altre spese periodiche di gestione del finanziamento siano pagate al momento in cui maturano. È una decisione, questa, che va valutata bene, perché presenta vantaggi e rischi. Se si manca all’appuntamento del pagamento periodico per più di sette volte, la banca può chiedere la risoluzione del contratto di finanziamento e la immediata restituzione di tutto quanto le è dovuto. Chi avesse la certezza di non diventare moroso in questi pagamenti dovrebbe approfittare di questa opportunità offerta dalla legge. Bisogna ricordare, infatti, che per chi sceglie di (o, più realisticamente, è costretto a) pagare anche gli interessi e le spese alla fine, cioè quando viene estinto l’intero debito, il conto può diventare molto salato, anche nel caso la somma inizialmente ricevuta dalla banca sia relativamente modesta, ma viene restituita dopo molti anni. Le spese e gli interessi non pagati alla scadenza, sono, infatti, capitalizzati su base annua. In pratica sul prestito ipotecario le banche possono fare ciò che è ad esse vietato per gli altri tipi di finanziamento: praticare l’anatocismo, cioè far pagare gli interessi sugli interessi.

 

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Un decreto dello Sviluppo economico (da emanare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge) regolamenterà gli aspetti pubblicistici della concessione del prestito vitalizio. (Raffaele Lungarella, Il Sole 24ORE – Norme e tributi, 27 aprile 2015)

Cassazione: negata l'agevolazione "prima casa" in presenza di atti di rivendita e riacquisto di immobili

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 10 aprile 2015 n.7338, ha respinto il ricorso di una donna che si era vista recapitare un avviso di liquidazione e di irrogazione sanzioni per il mancato corretto versamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, a causa di atti di rivendita e riacquisto consecutivi di immobili che, sosteneva la ricorrente, avrebbero avuto come destinazione d'uso quello di abitazione principale. I ricorsi precedenti della stessa erano già, inoltre, stati respinti prima dalla CTP di Treviso e poi dalla CTR del Veneto. In particolare, la ricorrente aveva alienato la sua abitazione principale, acquistata in data 4 agosto 2004, il 30 ottobre 2006 a fronte del successivo acquisto di un nuovo immobile in data 12 ottobre 2007 e della rivendita di quest'ultimo in data 28 dicembre 2007 con riacquisto, nella stessa data, di un nuovo immobile nel quale attualmente risiede.

La Suprema Corte ha motivato il rigetto sostenendo che per non incorrere nella decadenza dal beneficio prima casa, in quanto le alienazioni sono avvenute in periodi inferiori ai cinque anni normalmente previsti, non è sufficiente, come aveva fatto la ricorrente, la dichiarazione d'intento di adibire gli immobili, di volta in volta venduti e acquistati, a prima casa, ma è necessaria l'effettiva realizzazione dell'intento abitativo mediante il concreto trasferimento della residenza presso l'immobile acquistato dopo la rivendita del precedente; e questo, infine, dev'essere provato dal contribuente in caso di procedimenti ed eventuali successivi processi a suo carico. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 20 aprile 2015)

Condominio

Cortile condominiale. Ora i bambini possono fermarsi a giocare negli spazi comuni

Il gioco nelle aree comuni. Prima di affrontare se e come i bambini possano giocare nelle aree comuni è opportuno individuare quale sono le aree adibite a tali attività. La questione è molto delicata, perché se da un lato c'è il diritto dei bambini a giocare, dall'altro l'esigenza di non vedere la proprietà, privata o condominiale danneggiata. Spetta ad ogni condominio l'individuazione, al suo interno, di aree da adibire al gioco dei bambini, fatta eccezione per quelle che un'apposita delibera condominiale dovesse individuare come interdette a tale scopo, a motivo di fondati rischi per l'incolumità o per la sicurezza dei minori.

Il Regolamento di Milano. Per favorire il più possibile lo sviluppo di aree giochi all'interno dei condomini di Milano, il nuovo regolamento promuove l'inserimento del verde anche mediante l'abbattimento di muri di confine di cortili adiacenti. Tale scelta è dettata anche dalla volontà di rendere il cortile uno strumento di conciliazione. Infatti, si può scegliere di portare i figli a giocare in cortile piuttosto che in ludoteca, accordandosi con altri genitori per un controllo incrociato. Il cortile diventerebbe, inoltre, uno spazio di socializzazione non solo per i bambini, ma anche per gli anziani che sarebbero più stimolati dalla presenza dei bambini a vivere maggiormente il cortile. Il rimpossessarsi degli "spazi proibiti" da parte dei bambini vede, però, anche qualche opposizione. Gli stessi anziani, peraltro numericamente superiori, che si

 

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immaginano così aperti alla socializzazione, sono i primi a dimostrare scetticismo. E molti genitori già chiedono cosa rispondere ad amministratori e condomini che continuano a opporre un divieto. Tuttavia, lo scorso autunno, la Giunta di Milano, apportando una modifica proprio a quel regolamento, ha introdotto l'articolo 83 bis, nel quale si legge che "Il Comune riconosce il diritto dei bambini al gioco e alle attività ricreative proprie della loro età". Chiara Bisconti, assessore al Benessere, Verde e Arredo urbano nonché promotrice dell'iniziativa, precisa che "non abbiamo solo abolito un divieto, ma ribadito un diritto". Il Comune di Milano ha stabilito, infatti, con l'art. 112, che nei cortili, nei giardini e nelle aree scoperte delle abitazioni private "deve essere consentito il gioco dei bambini, fatte salve le fasce orarie di tutela della quiete e del riposo stabilite dai regolamenti condominiali".

Un esempio contagioso. Sull'esempio del Comune di Milano, anche il Comune di Rimini ha modificato, lo scorso 17 aprile, il Regolamento di Polizia urbana, introducendo un articolo che garantisce ai bambini il diritto di utilizzare gli spazi comuni condominiali per giocare. In particolare, viene stabilito che "nei cortili, nei giardini e nelle aree scoperte delle abitazioni private deve essere consentito il gioco dei bambini, fatte salve le fasce orarie di tutela della quiete e del riposo stabilite dai regolamenti condominiali che, in tempo diurno, non possono avere durata superiore a ore quattro". Il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, scrivendo una lettera diretta a tutti gli amministratori condominiali auspica che "i cortili e gli altri spazi possano essere messi a disposizione dei bambini ma anche anziani, liberandoli nel limite del possibile dalle auto e dotandoli di giochi e spazi verdi". E continua: "Ho avuto modo purtroppo di rilevare che spesso, per decisioni prese anche in epoca lontana, i regolamenti dei condomini limitano o addirittura proibiscono il gioco dei bambini, negandogli in questo modo un diritto inalienabile. Il gioco infatti rappresenta uno strumento fondamentale per crescere ed è compito di chi amministra porre sempre maggiore attenzione affinché i bisogni e le aspettative dei nostri bambini vengano soddisfatti".

Regole che rispettino tutti. L'assemblea condominiale deve cercare di conciliare le possibili modalità di godimento della zona comune di un condominio. Per esempio, per evitare che il gioco dei bambini non disturbi il riposo delle persone le cui camere da letto affacciano sul cortile, l'assemblea può deliberare o inserire nel regolamento le fasce orarie più adatte in cui poter usufruire di quell'area. In mancanza di indicazione da parte dell'assemblea o dello statuto, è l'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, primo comma, n. 2, c.c., a dover "disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini". A tal riguardo la giurisprudenza ha chiarito che l'uso degli spazi condominiali in questione si configura come uso legittimo dei medesimi risolvendosi in una forma di utilizzazione diversa da quella normale ma non illegittima, essendo compatibile con la destinazione del bene. (Cass. n. 4479/81) e “l'utilizzazione per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile non contrasta con la destinazione a giardino prevista, ma ne costituisce unicamente un migliore e più intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e, comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio". (Trib. Milano, 03.10.1991). In ogni caso, vale la regola generale secondo cui “chi rompe paga”: i bambini sono liberi di giocare, ma nel caso in cui provochino danni saranno tenuti al risarcimento, o meglio saranno tenuti i genitori, che hanno l'obbligo di vigilanza sui minori nonché quello di farli crescere educati e responsabili, a pagare. (Ivan Meo, Il Sole 24ORE – Tecnici24, 29 aprile 2015)

L'amministratore può nominare un avvocato difensore anche senza l'autorizzazione dell'assemblea

L’amministratore di condominio ha il potere di conferire mandato difensivo ad un avvocato, nell’ambito del giudizio di impugnazione della delibera assembleare, senza alcuna autorizzazione dell’assemblea e senza alcuna ratifica successiva.

 

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È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8309 del 23 aprile 2015, secondo la quale l’amministratore del condominio può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dello stesso, nell’esercizio delle sue funzioni. La sentenza in commento, invero, si sofferma anche su altre questioni di particolare rilievo: la cessazione della materia del contendere in corso di causa, conseguente all’esecuzione dei lavori disposti con la deliberazione impugnata, nonché il tema della compensazione delle spese processuali. Il caso. Con citazione, l’attore A chiamava in causa il Condominio B impugnando la deliberazione assembleare nella parte in cui approvata l’esecuzione dei lavori di manutenzione del tetto di copertura sud, lamentando che detta deliberazione fosse stata assunta con il voto favorevole determinante di condomini non interessanti alla spesa da sostenere, in quanto ubicati in un’area diversa da quella interessata dai lavori. Il Condominio, per il tramite dell’amministratore, si costituiva difendendo la legittimità della deliberazione impugnata, ammettendo l’assenza di una tabella millesimale idonea a verificare quali fossero gli appartamenti realmente interessati dai lavori ed affermando, tuttavia, che la mancata approvazione della tabella millesimale appositamente predisposta da un consulente tecnico aveva portato all’applicazione delle vecchie tabelle, anche se inadatte allo scopo. Il Tribunale dichiarava nulla la delibera, condannando alle spese il Condominio. In secondo grado, invece, veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere poiché, nelle more del giudizio, i lavori in questione erano stati comunque eseguiti in esecuzione dell’ordinanza emessa in via cautelare dal Tribunale, in quanto divenuti ormai improcrastinabili e necessari. Le spese processuali venivano compensate tra tutte le parti in causa. A questo punto, un altro condomino, terzo intervenuto nel giudizio, proponeva ricorso in Cassazione articolato in tre motivi, che proviamo a riassumere nei seguenti tre quesiti: 1. Può un provvedimento cautelare, quale l’ordine di esecuzione dei lavori approvati con la delibera impugnata, determinare, a seguito dell’esecuzione dei lavori stessi, la cessazione della materia del contendere nel giudizio di annullamento della delibera stessa, impugnata per diversi vizi formali? 2. È corretto compensare le spese di causa invece di applicare il principio di soccombenza virtuale, che s’impone anche nei casi di cessazione della materia del contendere? 3. Può l’amministratore di condominio nominare un avvocato difensore senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea? Ecco in sintesi le risposte fornite dai giudici di legittimità. La nomina dell’avvocato rientra tra le attribuzioni dell’amministratore. Gli Ermellini, secondo l’ordine logico, rispondo subito al terzo quesito, confermano il potere dell’amministratore di conferire mandato difensivo ad un avvocato senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea e senza la necessità che questa ratifichi successivamente l’operato dell’amministratore. La Corte enuncia il principio di diritto sopra riportato, allineandosi ai propri precedenti in materia (Cass. civ. n. 1451/2014): la nomina del difensore rientra tra le attribuzioni proprie dell’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni, in particolare nell’ambito del potere di legittimazione processuale passiva (art. 1130 e 1131 c.c.). L’esecuzione dei lavori fa venir meno l’interesse alla prosecuzione del giudizio. In ordine al primo quesito, i supremi giudici, tenuto presente che la cessazione della materia del contendere costituisce nel rito ordinario un’ipotesi di estinzione processuale, rilevano che nel caso di specie si ravvisa correttamente la cessazione, in quanto è sopravvenuta la carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, non tanto nella decisione del Tribunale – in via cautelare – di eseguire i lavori, quanto piuttosto nell’esecuzione stessa, che ha compiutamente realizzato l’oggetto contestato in sede processuale.

 

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Il giudice non è obbligato ad applicare il criterio della soccombenza virtuale. La Corte conferma quindi la decisione del giudice di merito di compensare le spese tra le parti. In termini generali, quando un giudizio termina senza una decisione nel merito, il giudice, attraverso appunto il criterio della soccombenza virtuale, può “pronosticare”, in base agli attività processuale espletata, come sarebbe stato l’esito della controversia e, quindi, individuare la parte “virtualmente” soccombente da condannare alle spese. Ma tale criterio non è obbligatorio, e nel caso di specie bene ha fatto il giudice di merito a non applicarlo, tenuto conto della complessità della materia e dell’assenza di tabelle millesimali, che rendevano estremamente difficile per il giudice addossare dette spese all’una o all’altra parte. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 28 aprile 2015)

Risarcimento dei danni da gestione condominiale: le sentenze della cassazione In una recente decisione (sent. n. 1674 del 29 gennaio 2015), la Suprema Corte osserva che, pur avendo le Sezioni Unite nel 2008 qualificato in termini di parziarietà le obbligazioni gravanti sui condomini, detto orientamento deve reputarsi riferibile alle sole obbligazioni contrattuali e non a quelle risarcitorie da fatto illecito, per le quali la solidarietà è espressamente prevista dall’art.2055 cod. civ. La recente pronuncia non si pone in conflitto con quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sent. n. 9148/2008, dato che, nella fattispecie, si verteva in ambito di responsabilità di natura contrattuale. Il principio espresso dalla decisione, pur riguardando una vicenda sorta prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio, non sembra possa essere messo in discussione dalle nuove disposizioni contenute nella legge 220/2012, anche perché premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari relative alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia inducono ad affermare la tesi dell’applicabilità dell’art. 2055 cod. civ. anche in ambito condominiale. La vicenda. La controversia iniziava quando un condomino, proprietario di un locale posto al piano scantinato e adibito a esercizio commerciale, richiedeva al condominio il risarcimento dei danni arrecati alla sua proprietà per effetto di infiltrazioni d’acqua e ristagni di umidità, nonché l’eliminazione delle relative cause. Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, aveva riconosciuto la responsabilità degli altri partecipanti al condominio, ognuno solamente per la propria quota e comunque solo per il 50% del danno. Secondo la Corte d’Appello, invece, i danni lamentati, piuttosto che a un difetto di manutenzione delle parti comuni, erano riconducibili a vizio strutturale dell’immobile, tesi che sembrava confermata dal fatto che, anche dopo l’esecuzione dei lavori disposti dal giudice, permaneva l’afflusso e il ristagno d’umidità. Anche per il giudice di secondo grado però, le obbligazioni dei condomini derivanti da fatto illecito erano parziarie e non solidali, sulla considerazione che, nella disciplina positiva del condominio, vi è un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote che esprimono la proprietà, per cui, secondo il combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 cod. civ., all’adempimento delle obbligazioni i condomini sono tenuti sempre in proporzione alle rispettive quote. Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il condomino danneggiato, che contestava tra l’altro la mancata condanna dei convenuti in solido fra loro (in applicazione dell’art. 1294 cod. civ., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente, norma che, in materia condominiale, non risulta derogata da specifiche disposizioni).

 

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La Cassazione, con la (sent. n. 1674 del 29 gennaio 2015), ribaltando il verdetto di secondo grado, ha stabilito che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 cod. civ. e ha quindi individuato nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 14 aprile 2015)

Non si può riservare l'uso delle scale ai soli proprietari dell'attico Affinché il regolamento predisposto dall’originario proprietario dell’edificio sia idoneo a superare la presunzione di comproprietà sulle parti dell’edificio elencate nell’art. 1117 c.c.,è necessario che lo stesso sia già stato predisposto prima della vendita dei singoli appartamenti e trascritto negli atti di compravendita e nel registro delle assemblee, così da assolvere la funzione di pubblicità-notizia ed essere opponibile nei confronti di tutti i condomini. È quanto emerge dalla sentenza n. 5657 del 20 marzo 2015 della Corte di Cassazione, , che ha dichiarato nulla la delibera con cui l’assemblea aveva approvato a maggioranza (anziché all’unanimità) alcune clausole del regolamento che limitava l’uso delle scale e dell’ascensore ai soli condomini del piano attico. Il fatto – Il regolamento in questione, redatto dall’originario unico proprietario dell’edificio, attribuiva l’uso esclusivo dell’ultimo tratto della scala condominiale a favore dei proprietari del piano attivo, riconoscendoli il diritto di apporre una chiusura di sicurezza e limitare l’accesso all’ascensore all’ultimo piano. Secondo i ricorrenti, però, sia il regolamento che la delibera che lo approva sono nulli, da un lato, perché l’assemblea può porre limitazioni ai diritti comuni solo con l’unanimità dei consensi, dall’altro, perché il regolamento non era stato trascritto nei singoli atti di vendita, né c’era stata un’adeguata pubblicità tale da renderlo opponibile ai tutti i condomini. Il titolo idoneo a superare la presunzione di comproprietà. Gli Ermellini, nel confermare la decisione del giudice di merito, ricordano che La presunzione di comproprietà sulle parti essenziali all’esistenza dell’edificio, elencate nell’art. 1117 c.c., n. 1, come nella specie le scale, può essere superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costruito il condominio ovvero da tutti i condomini successivamente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condominio, mentre la stessa presunzione non può essere superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all’uso esclusivo del singolo condomino. Il regolamento predisposto dall’originario costruttore/proprietario. L’obbligo assunto nei contratti di vendita delle singole unità immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di predisporre, come non vale a conferire a quest’ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, così non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto. Obbligo di trascrizione nel registro delle assemblee. Ciò premesso, nel caso di specie il regolamento era stato unicamente depositato presso lo studio notarile, peraltro diverso da che aveva rogato le singole compravendita. Lo stesso regolamento non era stato nemmeno trascritto nell’apposito registro di cui all’art. 1129, ultimo comma (ora registro dei verbali delle assemblee previsto dal nuovo art. 1130, n. 7, c.c.), in modo da assolvere la funzione di pubblicità notizia per essere opponibile nei confronti di tutti i condomini. L’assemblea non può limitare a maggioranza i diritti sulle parti comuni. Infatti, secondo la Cassazione, non rientra nei poteri dell’assemblea, deliberando a maggioranza, stabilire l’ambito delle rispettive proprietà, determinando i beni di proprietà esclusiva rispetto a

 

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quelli di proprietà comune, potendo tale previsione essere inserita soltanto in un (valido) regolamento contrattuale, approvato all’unanimità. Efficacia delle clausole contrattuali. Nell’ambito dei regolamenti condominiali vanno distinte le clausole con contenuto tipicamente regolamentare dalle clausole contrattuali, le quali devono essere approvate all’unanimità. Quest’ultime vengono di solito introdotte nel regolamento al fine di introdurre (come nel caso in esame) limitazioni ai diritti sulle parti comuni a vantaggio di alcuni condomini. Per essere idonee e produrre tali effetti, tal clausole: - se predisposte dall’originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto ovvero con atti separati; - se deliberate dall’assemblea condominiale, debbono essere approvate all’unanimità, non potendo formare oggetto di decisione assembleare a maggioranza le deliberazioni lesive dei diritti di proprietà comune. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 8 aprile 2015)

 

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Legge e prassi

(02 maggio 2015, n. 100)

Ambiente MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE DECRETO 30 marzo 2015 Linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle regioni e province autonome, previsto dall'articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116. (G.U. 11 aprile 2015, n. 84) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, DELIBERA 10 novembre 2014 Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Progetto per la salvaguardia della laguna e della città di Venezia: Sistema Mo.S.E. (CUP D51B02000050001) 11° assegnazione, 1° e 2° atto aggiuntivo al 43° atto attuativo alla Convenzione generale 4 ottobre 1991, rep. n. 7191 tra Magistrato alle acque di Venezia e Consorzio Venezia nuova, aggiornamento della tabella di cui all'allegato 3 della delibera 21 dicembre 2012, n. 137. (Delibera n. 42/2014). (G.U. 17 aprile 2015, n. 89) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 28 gennaio 2015 Regione Siciliana - Riprogrammazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2007-2013 per concorso agli obiettivi di finanza pubblica e per la bonifica ambientale nella valle del Belice. (Delibera n. 6/2015). (G.U. 18 aprile 2015, n. 90) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 16 aprile 2015 Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate al superamento della situazione di criticità derivante dagli eventi atmosferici e dalle violente mareggiate verificatisi nei giorni dal 9 al 18 marzo 2010 nel territorio della regione Emilia-Romagna ed agli eventi alluvionali verificatisi nei giorni 15 e 16 giugno 2010 nel territorio della provincia di Parma. (Ordinanza n. 233). (G.U. 27 aprile 2015, n 96)

Appalti DECRETO LEGISLATIVO 31 marzo 2015, n. 42 Attuazione della direttiva 2008/8/CE, che modifica la direttiva 2006/112/CE, per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi. (G.U. 18 aprile 2015, n. 90) AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE

 

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PROVVEDIMENTO 8 aprile 2015 Regolamento sulla disciplina della partecipazione ai procedimenti di regolazione dell'Autorità nazionale anticorruzione. (G.U. 21 aprile 2015, n. 92) AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE DETERMINA 8 aprile 2015 Effetti della domanda di concordato preventivo ex art. 161, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e ss.mm.ii. (c.d. concordato "in bianco") sulla disciplina degli appalti pubblici. (Determina n. 5). (G.U. 28 aprile 2015, n 97)

Economia e Fisco MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Commissione onnicomprensiva da riconoscere alle banche per gli oneri connessi con le operazioni di credito agevolato per il settore fondiario-edilizio, per l'anno 2015. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Maggiorazione forfettaria da riconoscere alle banche per gli oneri connessi con le operazioni di credito agevolato per il settore turistico-alberghiero, per l'anno 2015. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Maggiorazione forfettaria da riconoscere alle banche per gli oneri connessi con le operazioni di credito agevolato alle imprese artigiane, per l'anno 2015. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Commissione onnicomprensiva da riconoscere alle banche per gli oneri relativi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont, per l'anno 2015. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Determinazione della commissione onnicomprensiva da riconoscersi, per l'anno 2015, alle banche per gli oneri connessi alle operazioni agevolate di credito agrario di esercizio. (G.U. 7 aprile 2015, n. 80) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 marzo 2015 Determinazione della commissione onnicomprensiva da riconoscersi, per l'anno 2015, alle banche per gli oneri connessi alle operazioni agevolate di credito agrario di miglioramento. (G.U. 7 aprile 2015, n. 80) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, DECRETO 3 aprile 2015

 

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Individuazione e modalità di invio al Ministero dell'economia e delle finanze dei dati rilevanti ai fini dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche. (G.U. 15 aprile 2015, n. 87) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 13 marzo 2015 Riparto degli spazi finanziari tra gli enti territoriali per sostenere pagamenti di debiti in conto capitale, in attuazione del comma 6 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 133 del 2014 e del comma 466, punto 1), dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014. (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 2 aprile 2015 Criteri e modalità di ripiano dell'eventuale maggiore disavanzo di amministrazione derivante dal riaccertamento straordinario dei residui e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118 del 2011. (G.U. 17 aprile 2015, n. 89) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 28 gennaio 2015 Programmazione dei fondi strutturali di investimento europei 2014-2020. Accordo di partenariato - strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese: indirizzi operativi. (Delibera n. 9/2015). (15A02919) (G.U. 20 aprile 2015, n. 91) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 23 dicembre 2014 Modifica del decreto 17 febbraio 2009 in materia di aiuti di Stato per il settore agricolo. Adeguamento del Regime di aiuti N379/2008 «Contratti di filiera e di distretto». (G.U. 21 aprile 2015, n. 92) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 10 marzo 2015 Modalità di chiusura degli interventi di agevolazione alle imprese cofinanziati dai Fondi strutturali dell'Unione europea, nel periodo di programmazione 2007-2013. (15A02956) (G.U. 23 aprile 2015, n 94) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 28 gennaio 2015 Accordo di partenariato per la programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020 - Presa d'atto. (Delibera n. 8/2015). (G.U. 23 aprile 2015, n 94) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE COMUNICATO Conto riassuntivo del Tesoro al 31 gennaio 2015 - Situazione del bilancio dello Stato. (G.U. 27 aprile 2015, n 96, S.O. n. 6) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 6 marzo 2015 Approvazione della Convenzione MIT-ANCI disciplinante i criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse del programma «Nuovi progetti di interventi». (G.U. 28 aprile 2015, n 97) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - DIPARTIMENTO PER L'INFORMAZIONE E L'EDITORIA DECRETO 20 aprile 2015

 

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Emanazione dell'avviso pubblico per l'assegnazione del contributo alle imprese editoriali, per l'anno 2014, previsto dall'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 30 settembre 2014, a valere sul Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria. (G.U. 28 aprile 2015, n 97) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Proroga dei termini per la procedura di assegnazione delle frequenze per il servizio radiofonico digitale nelle regioni Valle d'Aosta e Umbria e nelle provincie di Torino e Cuneo. (15A03063) (G.U. 28 aprile 2015, n 97) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, DECRETO 20 aprile 2015 Riscossione e ripartizione dell'IVA versata dai soggetti passivi aderenti ai regimi speciali Mini One Stop Shop-MOSS. (15A03182) (G.U. 30 aprile 2015, n 99) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DECRETO 19 marzo 2015 Modifiche e integrazioni ai decreti 15 ottobre 2014 relativi agli interventi del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettroniche e nell'ambito di specifiche tematiche rilevanti per l'«industria sostenibile». (G.U. 30 aprile 2015, n 99)

Immobili

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 26 febbraio 2015 Trasferimento di immobili alla CONI Servizi S.p.A. (G.U. 3 aprile 2015, n. 78) LEGGE 2 aprile 2015, n. 44 Modifica all'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario. (G.U. 21 aprile 2015, n. 92) ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA COMUNICATO Indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, senza tabacchi, relativi al mese di marzo 2015, che si pubblicano ai sensi dell'articolo 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), ed ai sensi dell'articolo 54 della legge del 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica). (G.U. 23 aprile 2015, n 94) MINISTERO DELLA DIFESA DECRETO 4 febbraio 2015 Individuazione di unità immobiliari qualificate di particolare pregio. (G.U. 24 aprile 2015, n 95) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO

 

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Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile, sito in Palmanova. (G.U. 24 aprile 2015, n 95) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Espunzione di taluni alloggi demaniali dall'elenco allegato al decreto n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010, di individuazione degli alloggi da alienare. (G.U. 24 aprile 2015, n 95) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'ex sbarramento difensivo denominato «Stavoli Soraclap», in Trasaghis. (G.U. 24 aprile 2015, n 95) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'ex sbarramento difensivo denominato «Bocchetta Sant'Antonio», in Faedis. (G.U. 24 aprile 2015, n 95) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato del poligono di tiro di «Punta della Contessa», in Brindisi. (G.U. 24 aprile 2015, n 95)

Pubblica Amministrazione DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 20 dicembre 2014 Definizione dei criteri di utilizzo e modalità di gestione delle risorse del fondo destinato al miglioramento dell'allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 30, comma 2.3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (G.U. 3 aprile 2015, n. 78) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 gennaio 2015 Approvazione dello schema di «allegato conoscitivo» al disegno di legge di bilancio relativo alle gestioni fuori bilancio, in attuazione dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 54. (G.U. 3 aprile 2015, n. 78) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 4 febbraio 2015 Individuazione dei soggetti destinatari delle disposizioni recate dall'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 4 febbraio 2015 Individuazione dei soggetti destinatari delle disposizioni recate dall'articolo 1, comma 353, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. (G.U. 4 aprile 2015, n. 79) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 marzo 2015 Criteri per la designazione dei rappresentanti delle Associazioni familiari a carattere nazionale, nominati componenti della Commissione per le adozioni internazionali.

 

FIAIP News24, numero 21 – maggio 2015 21

(G.U. 7 aprile 2015, n. 80) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Avviso pubblico per la presentazione di progetti da finanziare a valere sul Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2020 Assistenza Emergenziale 2014 «Miglioramento della capacità del territorio italiano di accogliere minori stranieri non accompagnati». (G.U. 7 aprile 2015, n. 80) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 28 gennaio 2015 Fondo sanitario nazionale 2012. Ripartizione tra le Regioni delle risorse destinate al finanziamento di interventi per la prevenzione e la lotta all'AIDS (legge 5 giugno 1990, n. 135). (Delibera n. 12/2015). (G.U. 13 aprile 2015, n. 85) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 28 gennaio 2015 Fondo sanitario nazionale 2011. Ripartizione tra le regioni delle risorse destinate al finanziamento di interventi per la prevenzione e la lotta all'AIDS (legge 5 giugno 1990, n. 135). (Delibera n. 11/2015). (G.U. 13 aprile 2015, n. 85) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - DIPARTIMENTO PER LE POLITICHE DELLA FAMIGLIA COMUNICATO Avviso concernente la II fase della diffusione su base nazionale dello standard Family Audit (G.U. 15 aprile 2015, n. 87) CORTE DEI CONTI DELIBERA 9 marzo 2015 Linee guida e relativi questionari per gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali per l'attuazione dell'articolo 1, commi 166 e seguenti della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Rendiconto della gestione 2014. (Delibera n. 13/SEZAUT/2015/INPR). (G.U. 15 aprile 2015, n. 87, S.O. n. 18) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 18 febbraio 2015, n. 41 Regolamento concernente l'individuazione delle finalità, degli obiettivi, dell'organizzazione, nonché delle modalità concorsuali per l'accesso al corso superiore di polizia tributaria. (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 8 aprile 2015 Approvazione dei modelli di certificazione del rendiconto al bilancio 2014 delle amministrazioni provinciali, dei comuni, delle comunità montane e delle unioni di comuni. (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) AUTORITA' PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI DELIBERA 15 aprile 2015 Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per l'elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, nonché dei consigli circoscrizionali, fissate per il giorno 31 maggio 2015. (Delibera n. 165/15/CONS). (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) AUTORITA' PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI DELIBERA 15 aprile 2015

 

FIAIP News24, numero 21 – maggio 2015 22

Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le elezioni del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale delle regioni Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Campania e Puglia, indette per il giorno 31 maggio 2015. (Delibera n. 166/15/CONS). (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI PROVVEDIMENTO 14 aprile 2015 Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le elezioni del Presidente della Giunta regionale e per il rinnovo del Consiglio regionale delle regioni Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto, indette per il giorno 31 maggio 2015. (Documento n. 6). (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI PROVVEDIMENTO 14 aprile 2015 Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per l'elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, fissate nel mese di maggio 2015. (Documento n. 7). (G.U. 16 aprile 2015, n. 88) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 17 marzo 2015 Riparto dell'anticipazione del 60 per cento del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato, agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario - anno 2015. (G.U. 17 aprile 2015, n. 89) ENTE NAZIONALE PER L'AVIAZIONE CIVILE COMUNICATO Adozione del Regolamento «Regole dell'Aria Italia» Edizione 2 (G.U. 17 aprile 2015, n. 89) ENTE NAZIONALE PER L'AVIAZIONE CIVILE COMUNICATO Adozione del Regolamento «Requisiti specifici per i fornitori di servizi per l'addestramento e la verifica della competenza del personale tecnico ATSEP». (G.U. 17 aprile 2015, n. 89) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI DECRETO 14 gennaio 2015 Riduzione dei premi e contributi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali. (G.U. 18 aprile 2015, n. 90) LEGGE 17 aprile 2015, n. 43 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione. (G.U. 20 aprile 2015, n. 91) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 12 marzo 2015, n. 46

 

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Regolamento recante regime giuridico di alcuni veicoli utilizzati dalle autoscuole per le esercitazioni e gli esami per il conseguimento delle patenti di guida. (G.U. 22 aprile 2015, n 93) LEGGE 16 aprile 2015, n. 47 Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità. (G.U. 23 aprile 2015, n 94) AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO DELIBERA 1 aprile 2015 Approvazione del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni e clausole vessatorie. (Delibera n. 25411). (G.U. 23 aprile 2015, n 94) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 22 aprile 2015 Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate a favorire la prosecuzione delle attività connesse all'eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale, previste dall'articolo 1, comma 12, e successivi dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3933 del 13 aprile 2011 e successive modificazioni. (Ordinanza n. 240). (G.U. 30 aprile 2015, n 99)

 

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Giurisprudenza

Condominio

Corte di cassazione - Sezione VI civile - Ordinanza 4 maggio 2015 n. 8857

Legittima l'installazione del condizionatore sul muro perimetrale dell'edificio L'installazione del condizionatore d'aria sul muro perimetrale dell'edificio è legittima in quanto non lede l'«uso paritetico» della cosa comune da parte degli altri condomini. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, ordinanza 8857/2015, chiarendo che è errato l'assunto per cui «l'uso più intenso della cosa comune non possa estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima». La vicenda - Un avvocato proprietario di diversi appartamenti in un palazzo di Milano aveva impugnato la decisione dell'assemblea che autorizzava due condomini a mantenere una macchina moto-condensante sulla parete dell'edificio. Secondo il ricorrente in tal modo si consentiva all'appropriazione di una parte della «cosa comune» sicché un simile utilizzo poteva essere autorizzato soltanto con delibera votata all'unanimità degli aventi diritto, e non dei presenti come avvenuto. La motivazione - Sia in primo grado che in appello però l'impugnativa fu rigettata in quanto il giudice di merito ritenne che «la porzione di muro perimetrale occupata non sarebbe stata alterata» dal condizionatore, considerata anche la sua «amovibilità» in caso di necessità. Né poteva essere invocata la norma del regolamento condominiale che vietava in modo assoluto di occupare gli spazi condominiali, in quanto sia il tubo di scolo che la vaschetta di raccolta, oltre alla fioriera che la nascondeva, non costituivano un ingombro al passaggio né tantomeno violavano il decoro architettonico, anche alla luce della loro collocazione nel seminterrato antistante le cantine. Argomenti confermati dalla Cassazione secondo cui correttamente la Corte di merito ha messo in rilievo l'esiguità della porzione del bene comune occupata derivandone una «mancanza di lesività» per gli altri condomini. Infatti, chiarisce la sentenza (rifacendosi ad un precedente, n. 4617/2007), «l'uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell'utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare». (Francesco Machina Grifeo, Il Sole24ORE – Guida al Diritto on line, 4 maggio 2015)

Corte di cassazione - Sentenza 29 aprile 2015 n. 8724

Passaggio dal riscaldamento autonomo alle termoregolazione. La Cassazione detta le prime regole sulle spese. E’ necessario verificare prima se l’installazione dei contatori di calore da parte del condominio

 

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poteva avvenire senza alcun aggravio di spesa perché, non può essere il condominio che delibera l’installazione dei sistemi di termo regolamentazione, a farsi carico dei maggiori costi che possono derivare dalla preesistenza dell’impianto indipendente del singolo condomino.

Secondo i giudici di legittimità, (sentenza n. 8724, depositata il 29 aprile 2015) il condominio che delibera l’installazione dei contabilizzatori non può farsi carico anche dei maggiori costi che possono derivare dalla preesistenza di impianti di riscaldamento indipendenti. A tali spese è chiamato a partecipare il singolo condomino che ha realizzato l’impianto autonomo.

Tuttavia, precisa la Corte, occorre sempre prima verificare se l’installazione dei contatori di calore possa avvenire con modalità tali da evitare aggravi di spesa per i condomini “termoautonomi”.

La sentenza in commento interviene su un argomento di stretta attualità. Il D.lgs. n. 102/2014, infatti, entrato in vigore il 19 luglio 2014, prevede l’obbligo per tutti gli edifici di dotarsi di sistemi di termoregolazione per la contabilizzazione individuale dei consumi energetici e la suddivisione delle spese in base ai consumi effettivi, al fine di favorire il contenimento dei consumi energetici ed il risparmio energetico. Al nuovo “obbligo di contabilizzazione”, introdotto in attuazione della Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, occorrerà adeguarsi entro il 31 dicembre 2016, pena l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie euro da parte delle Regioni.

La decisione della suprema Corte, dunque, pur riferendosi alla normativa previgente, esprime un principio generale applicabile anche nel passaggio obbligatorio alla termoregolazione.

Il fatto – La fattispecie al vaglio degli Ermellini origina dalla decisione dell’assemblea di condominio di installare un “sistema di ripartizione del consumo di del riscaldamento mediante contatori elettronici e valvole termostatiche”. Alcuni condomini, tuttavia, pur non staccandosi dal riscaldamento centralizzato, si erano già dotati di un impianto autonomo da utilizzare per le proprie esigenze personali. Con il passaggio alla termoregolazione, tuttavia, si verificano sovrapposizioni nella contabilizzazione dei consumi, con conseguente rischio di aumento dei costi di riscaldamento per i condomini dotati di riscaldamento autonomo. I due condomini impugnano dunque la delibera assembleare contestandone non tanto la legittimità, quanto piuttosto il fatto che l’assemblea non abbia ricercato soluzione alternative idonee ad evitare disfunzioni e aggravi di spesa.

Dopo l’accoglimento della domanda in sede d’appello, la vicenda finiva dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, pur confermando la decisione di merito, accoglie alcuni motivi del ricorso, rinviano la causa ai giudici d’appello per verificare se era possibile fin dall’inizio passare alla termoregolazione senza aggravio di spesa.

La decisione. Per la suprema Corte, in particolare, è pienamente legittima la delibera con la quale l’assemblea, nell’interesse comune, approva l’utilizzo del sistema di termoregolazione dei consumi di riscaldamento secondo le vigenti (all’epoca) disposizioni della Legge n. 10 del 1991.

Di conseguenza – prosegue la Corte – non può essere il Condominio a dovere sopportare i maggiori costi che eventualmente si rendessero necessari a causa dell’avvenuta realizzazione da parte degli attori dell’impianto di riscaldamento autonomo, collegato a quello comune, del quale i medesimi beneficiano e che hanno realizzato evidentemente per soddisfare esigenze personali.

Tuttavia, risulta altresì accertato il rischio di sovrapposizione di consumi denunciato dagli attori, a fronte del quale la sentenza di merito, pur avendo fatto riferimento all’esistenza di dispositivi tecnicamente più adeguati e di accorgimenti tecnici per impedire tali disfunzioni, non ha accertato in concreto se gli inconvenienti denunciati si sarebbero potuti evitare previa adozione di soluzioni tecniche ugualmente idonee a realizzare le finalità perseguite dal Condominio, senza alcun aggravio di spese per gli attori.

 

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In altri termini: è giusto che nel passaggio alla termoregolazione il singolo condomino sostenga i maggiori costi dovuti alla presenza dell’impianto autonomo di sua proprietà. Ma prima va verificata la possibilità di installazione a costi inferiori o, addirittura, senza aggravio di spese. La parola torna al giudice del rinvio. (Il Sole24ORE – Tecnici24, 29 aprile 2015)

Immobili

Tribunale di L'Aquila - Sentenza 15 gennaio 2015 n. 43

Compravendita, l'inadempimento autorizza la mutatio libelli in giudizio È ammissibile la richiesta di risoluzione del contratto preliminare di compravendita anche se fatta nel corso del giudizio intentato per ottenere il trasferimento dell'immobile. Lo ha stabilito il Tribunale di L'Aquila, sentenza 15 gennaio 2015 n. 43, chiarendo che in questa ipotesi non opera il divieto della cosiddetta mutatio libelli durante il processo.

Il caso - La vicenda parte dalla mancata consegna di un appartamento realizzato nell'ambito di un piano di edilizia agevolata a seguito del terremoto dell'Aquila. Inizialmente la coppia destinataria dell'immobile aveva proposto l'esecuzione in forma specifica del contratto, ex articolo 2932 del codice civile, chiedendo dunque il trasferimento della proprietà oltre al risarcimento del danno. In una successiva udienza però gli attori avevano mutato la domanda optando per la risoluzione del preliminare per inadempimento della società convenuta (ex articolo 1453), e chiedendo anche la condanna al doppio della caparra versata.

La motivazione - Secondo il tribunale che per prima cosa si è posto il problema della ammissibilità delle nuove domande, la questione «deve essere risolta in senso affermativo» sia con riferimento alla domanda di risoluzione sia con riferimento alla domanda di pagamento del doppio della caparra. Spiega infatti la sentenza, rifacendosi ad un «costante orientamento» della Cassazione, che il secondo comma dell'articolo 1453 cod. civ. «deroga alle norme processuali che vietano la "mutatio libelli" nel corso del processo, nel senso di consentire la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, talché risulta ammissibile la richiesta di risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare proposta nel corso di un giudizio inizialmente intentato per ottenere il trasferimento dell'immobile ex art. 2932 c.c.». Riguardo poi alla caparra, rifacendosi alle Sezioni Unite (Sent. 8510/2014), la sentenza ricorda che «la parte che, ai sensi dell'art. 1453, secondo comma, cod. civ. chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l'adempimento, può domandare, contestualmente all'esercizio dello "ius variandi", oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale».

Ciò detto, però, il giudice chiarisce anche che la caparra confirmatoria, di cui all'art. 1385 c.c., assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento «qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso, con la conseguenza che soltanto in questo caso è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o a esigere il doppio di quella versata». Qualora, invece, la parte abbia preferito agire per la risoluzione o l'esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell'an e nel quantum. Nel caso specifico, dunque, agli attori è stata riconosciuta unicamente la restituzione della caparra versata, oltre agli interessi legali. (Francesco Machina Grifeo, Il Sole24ORE – Guida al Diritto on line, 4 maggio 2015)

 

FIAIP News24, numero 21 – maggio 2015 27

Tribunale di Taranto - Sezione 2 - Sentenza 27 gennaio 2015 n. n. 298

Se l'immobile è abusivo il contratto di locazione è nullo Se l'immobile è abusivo il contratto di locazione è nullo per illiceità della causa. Lo ha stabilito il Tribunale di Taranto, sentenza 27 gennaio 2015 n. 298, respingendo la domanda del proprietario di una villetta che a seguito della risoluzione della compravendita per mancato pagamento del prezzo aveva chiesto, fra l'altro, che l'acquirente lo risarcisse del reddito perso durante il periodo di detenzione del bene da parte da parte sua. Tuttavia, nell'ambito della Ctu disposta dal tribunale per stabilire il quantum dovuto, era venuto fuori che il comune di Taranto, a suo tempo, aveva rigettato la domanda di sanatoria presentata dall'attore, sicché l'intero immobile era da considerarsi abusivo in quanto privo di concessione edilizia e della licenza di abitabilità.

La motivazione - A questo punto, chiarisce il tribunale, «il contratto di locazione con la connessa obbligazione di pagamento del canone ai sensi degli artt. 1571 e 1575 c.c. integra una utilizzazione del corpo del reato, identificato nell'immobile abusivo, al fine di trarne profitto, identificabile ex articolo 240 del codice penale nel canone di locazione retraibile che non è in concreto confiscabile, unitamente all'immobile realizzato abusivamente, soltanto per la prevalenza delle attribuzioni devolute all'autorità amministrativa che determinano l'acquisizione dei predetti beni al patrimonio del Comune, mentre l'applicazione degli istituti generali di diritto penale e processuale penale produrrebbe l'acquisizione al patrimonio dello Stato, ovverosia di un diverso soggetto giuridico».

Ne consegue, prosegue la sentenza, che il contratto di locazione «ha causa illecita e, di conseguenza, è nullo ex art. 1418 codice civile, in quanto diretto ad assicurare il profitto del reato mediante l'utilizzazione della cosa madre, costituente il corpo del reato, per la produzione di frutti civili». In tal modo, continua il giudice, «si consolida ed aggrava l'offesa all'interesse protetto dalla norma penale incriminatrice, pur se in un momento successivo al completamento dell'antigiuridicità della condotta penalmente rilevante, conclusasi con la realizzazione dell'immobile abusivo».

E l'illiceità della causa discende dalla configurazione normativa del negozio delineata dall'articolo1571 del codice secondo cui «la locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo». Infatti, in simili ipotesi, le utilità che il conduttore potrà acquisire mediante il suo diritto personale di godimento «deriveranno da una cosa costituente corpo del reato, mentre il corrispettivo di tale godimento, di per sé illecito, sarà costituito dai canoni di locazione riconducibili nel novero del "profitto del reato" soggetto a confisca facoltativa». (Francesco Machina Grifeo, Il Sole24ORE – Guida al Diritto on line, 27 aprile 2015)

 

FIAIP News24, numero 21 – maggio 2015 28

Condominio e lavori

L'apertura di un nuovo accesso nell'androne del palazzo Alberto Celeste, Consulente Immobiliare, Edizione del 30 aprile 2015, n. 974 pag. 706 In una recente fattispecie sottoposta all’esame della Corte di Cassazione, si è affermato che l’apertura nell’androne comune di una nuova entrata per un locale terraneo di proprietà di un condomino non impedisce agli altri partecipanti di fruire del suddetto androne per raggiungere i propri appartamenti, né tantomeno tale ingresso è idoneo ad alterare irreversibilmente la destinazione dell’androne, al contrario, valorizzandone e potenziandone la funzione, ossia quella di facilitazione del transito dei condomini, e dei terzi, da e verso le singole unità abitative della scala di appartenenza. La controversia, decisa di recente da Cass., ord. n. 24295 del 14 novembre 2014, prendeva le mosse da un’azione proposta da una condomina, proprietaria di due locali terranei presso un fabbricato, entrambi con ingresso dal viale condominiale, la quale, negata dall’assemblea l’autorizzazione dalla stessa richiesta per l’apertura di un ulteriore accesso per uno dei suddetti immobili nell’androne, aveva impugnato la relativa delibera assembleare, chiedendo: a. di accertare il proprio diritto alla realizzazione della menzionata nuova entrata; b. l’annullamento della delibera de qua; c. la condanna del condominio convenuto al risarcimento dei danni sofferti. Il Tribunale aveva accolto le sole prime due domande attoree, rigettando la terza per difetto di prova in ordine all’esistenza dei danni asseritamente patiti; avverso tale decisione, il condominio aveva interposto impugnazione per la totale riforma della sentenza impugnata, ma la Corte d’Appello aveva rigettato integralmente il suddetto gravame, per l’effetto confermando la sentenza di primo grado. Per la Cassazione di tale ultimo provvedimento, alcuni condomini, tutti in qualità di partecipanti al suddetto condominio, avevano proposto ricorso per Cassazione, evidenziando - per quel che rileva in questa sede - la falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché il vizio di omessa/contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Ad avviso dei ricorrenti, il giudice a quo avrebbe violato la suddetta norma codicistica, in quanto, ritenendo l’apertura del nuovo accesso al locale terraneo dell’attrice idonea a garantire anche agli altri condomini l’uso dell’androne, avrebbe in realtà costituito una “servitù di ingresso” sul menzionato androne in favore della stessa. In proposito, il Supremo Collegio ha osservato, però, che i ricorrenti non potessero validamente invocare la giurisprudenza relativa alla costituzione di servitù di passaggio su beni condominiali, in ragione della diversità tra la fattispecie concretamente verificatasi e quella prevista dall’orientamento in esame, poiché l’indirizzo de quo si riferisce all’ipotesi della

 

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costituzione di servitù di passaggio su beni condominiali per consentire un collegamento diretto tra distinti immobili di proprietà del medesimo privato (vedi, ex multis , Cass., sent. n. 3035 del 6 febbraio 2009; sent. n. 9036 del 19 aprile 2006; sent. n. 360 del 13 gennaio 1995). Al contrario, nel caso di specie, la condomina si era limitata a chiedere l’apertura di un nuovo ingresso per il proprio immobile presso l’androne condominiale, così da realizzare unicamente un “utilizzo più intenso” di tale bene comune, senza, quindi, escludere gli altri condomini dall’uso del bene in questione. Del resto, ciò appariva pienamente in linea con il consolidato orientamento dei giudici di legittimità, secondo i quali ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi. In particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. L’uso deve ritenersi in ogni caso consentito se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune (Cass., sent. n. 4617 del 27 febbraio 2007; sent. n. 8808 del 30 maggio 2003; sent. n. 10453 del 1° agosto 2001 e sent. n. 1499 del 12 febbraio 1998). Nel caso di specie, sembrava logico ritenere che l’apertura nell’androne comune di una nuova entrata per il locale terraneo della condomina non impedisse agli altri condomini di fruire dell’androne per raggiungere i propri appartamenti, né, tantomeno, si poteva ragionevolmente affermare che l’ingresso in esame fosse idoneo ad alterare irreversibilmente la destinazione dell’androne; al contrario, l’apertura del nuovo accesso all’immobile dell’intimata aveva valorizzato e potenziato la funzione dell’androne medesimo, ossia quella di facilitazione del transito dei condomini, e dei terzi, da e verso le singole unità abitative della scala di appartenenza. La possibile servitù sull’immobile condominiale La doglianza dei condomini ricorrenti risultava teoricamente fondata, ma non riguardava la fattispecie concreta sottoposta alla valutazione degli Ermellini. Va premesso che l’uso della cosa comune incontra, come limite “interno” posto dalla legge, quello di non alterare la destinazione del bene e di non impedirne la possibilità di pari uso da parte degli altri condomini e, come limite “esterno”, quello - prima facie intuitivo - relativo all’àmbito stesso delle parti di proprietà condominiale, al di fuori del quale non può parlarsi di uso o di miglior uso della cosa comune, poiché il rispetto della proprietà esclusiva dei singoli condomini esige che gli altri non possano invadere la sfera altrui né gravarla di pesi o limitazioni, ove non abbiano riguardo a un particolare diritto (si pensi alle tubazioni installate da un condomino su un muro comune che invadono una cantina di proprietà esclusiva; per altre ipotesi concrete, vedi Cass., sent. n. 2722 del 18 marzo 1987, in materia di sottotetto; sent. n. 4498 del 10 luglio 1986, su una cava di ghiaia; sent. n. 4451 del 27 luglio 1984, circa la copertura con veranda di un giardino; Cass., sent. n. 4195 del 18 luglio 1984, in ordine all’apposizione di cartelloni pubblicitari sulla facciata). Ma il limite della condominialità può essere inteso sotto un altro angolo di visuale. Infatti, è inconcepibile che l’uso della cosa comune sia a beneficio di proprietà che non facciano parte dell’edificio condominiale, e ciò anche se sia un condomino a servirsi della cosa comune, non a vantaggio della sua proprietà individuale sita nell’edificio stesso, bensì a vantaggio di altra sua proprietà, sita in immobile separato, risolvendosi tale fatto nell’impossibilità di una servitù sull’immobile condominiale che, invece, per la sua costituzione, richiederebbe il consenso di tutti i condomini ex art. 1108, comma 3, cod. civ. (vedi, oltre la giurisprudenza

 

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citata nella motivazione dell’ordinanza in commento, Cass., sent. n. 15024 del 14 giugno 2013; sent. n. 944 del 16 gennaio 2013; sent. n. 1708 del 18 febbraio 1998; sent. n. 2953 del 26 marzo 1994; sent. n. 2773 del 7 marzo 1992; sent. n. 5780 del 25 ottobre 1988 e sent. n. 1624 del 13 marzo 1982). La fattispecie più frequente analizzata dal Supremo Collegio è stata quella dell’apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino, che si è ritenuta consentita, quale uso più intenso del bene comune, con eccezione del caso in cui tale varco metta in comunicazione l’appartamento del condomino con altra unità immobiliare attigua, pur di proprietà del medesimo, ricompresa, però, in un diverso edificio condominiale, poiché in questo caso il collegamento tra unità abitative determina la creazione di una servitù di passaggio a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato. Si è aggiunto, altresì, che tale utilizzazione, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune, ne altera la destinazione, incidendo peraltro sulla sua funzione di recinzione, giacché in tal modo viene imposto un “peso” sul muro perimetrale, normalmente destinato al servizio esclusivo dell’edificio stesso, che dà luogo appunto a una servitù, per la cui costituzione è necessario, vertendosi in tema di diritti reali immobiliari a pena di nullità, il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio. D’altronde, senza tale consenso, il singolo non può appoggiare al muro condominiale una costruzione realizzata su suolo contiguo di sua proprietà esclusiva, non essendo applicabile la disciplina dell’art. 884 cod. civ., che disciplina la costruzione in appoggio al muro comune. Pertanto, il singolo può servirsi, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., di quelle parti comuni dell’edificio di cui all’art. 1117 cod. civ. in quanto condomino e, quindi, come proprietario dell’appartamento cui tali parti comuni servono; in parole povere, ogni condomino ha la comunione di determinate cose comuni, non già come soggetto che può servirsene anche a beneficio di altre cose proprie, ma quale proprietario di un appartamento sito in quell’edificio in condominio. In quest’ordine di concetti, atteso che l’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, non può correttamente parlarsi di uso della cosa comune laddove, per esempio, venga apposta un’insegna sul muro condominiale di un edificio che pubblicizza una pensione appartenente a un condomino dello stesso edificio, ma che esercita tale attività alberghiera altrove. I “paletti” imposti dal codice civile L’art. 1102 cod. civ. - contemplato in materia di comunione, ma senz’altro applicabile al condominio in forza dell’immutato rinvio disposto dall’art. 1139 cod. civ. - si occupa dell’uso delle cose comuni, statuendo, al comma 1, prima parte, che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto». Quindi, la libertà del condomino di usare la cosa comune soggiace a due ordini di limitazioni - oltre le quali si sconfina nell’abuso - che dipendono, in buona sostanza, dalla situazione di coesistenza in cui si trovano le varie frazioni di proprietà: si tratta di limitazioni che, convenzionalmente, possiamo definire di ordine oggettivo (o qualitativo), ossia attinenti alla res, volendo evitare che la funzione della cosa comune sia distolta da quella sua propria (ciò a tutela sia della collettività dei condomini sia del singolo, che dal mutamento di destinazione potrebbe subire un disagio o una minorazione dell’uso stesso), nonché di ordine soggettivo (o quantitativo), nel senso che viene posto l’accento sul potere degli altri comproprietari di usare ugualmente la cosa in conformità del diritto di comproprietà del quale anche essi risultano titolari (ciò nella prospettiva di un giusto equilibrio tra il diritto di ciascun partecipante di

 

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servirsi liberamente della cosa in ragione delle nuove esigenze di vita e il correlativo diritto degli altri condomini). La fattispecie in esame, avendo a oggetto l’androne condominiale, coinvolge soprattutto il primo ordine delle suddette limitazioni, ossia l’alterazione della destinazione, in quanto difficilmente tale bene comune ex art. 1117, n. 1), cod. civ., registra problemi di “pari uso” da parte degli altri condomini. Il limite oggettivo Per quanto riguarda la prima condizione, il codice civile del 1865 parlava di “destinazione fissata dall’uso”, il che lasciava irrisolti i problemi se si dovesse avere riguardo all’uso cui la cosa era astrattamente destinata o all’uso reale e, poi, se si dovesse fare riferimento all’uso originario, o a quello successivo, espressamente o tacitamente, modificato. Per sindacare l’uso fattone dal singolo partecipante, la predetta destinazione va vista non astrattamente - il che, peraltro, porterebbe a non agevoli e sempre controverse individuazioni - ma in base all’uso concreto, avendo riguardo, innanzitutto, alla specifica funzione che la cosa comune ha avuto sin dall’inizio; invero, al momento della costituzione del condominio, i partecipanti acquisiscono il diritto di esercitare un certo tipo di godimento conforme alla natura e alla funzione delle cose, dei servizi e degli impianti; a causa del mutamento di destinazione si modifica l’utilità che ciascun condomino ha diritto di ricavare e il valore oggettivamente apprezzabile del bene subisce una trasformazione, conseguendone che il singolo non può alterare di sua iniziativa la destinazione del bene comune, perché la modifica impedirebbe agli altri partecipanti di continuare a godere del bene stesso secondo il loro diritto (si pensi a un cortile destinato a far giocare i bambini, che il singolo non può trasformare in deposito di materiali vari). Occorre, altresì, aver riguardo alla diversa destinazione che i condomini hanno effettivamente dato o impresso alla cosa comune in un secondo tempo, perché non più consona alla realtà del momento - oppure addirittura imposta dalla legge, come è il caso delle antenne satellitari collocate nelle terrazze condominiali - rispettivamente, con una delibera assembleare o con la pratica costante, senza contrasti e osservata di fatto (si pensi all’uso dei locali della portineria una volta soppresso il relativo servizio); in altri termini, una destinazione risultante da una volontà espressa o tacita dei condomini, purché, in quest’ultimo caso, univoca (per esempio, desumibile da opere visibili), non essendo all’evidenza sufficiente una semplice tolleranza. Dunque, un concetto di destinazione visto nella sua visione dinamica, inquadrato nella potenzialità del bene comune - non immobilizzato, ma - idoneo ad apportare un qualche vantaggio alla collettività condominiale; del resto, come recita l’art. 1102, comma 1, seconda parte, cod. civ., il singolo può anche affrontare, a proprie spese, «le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune». Non è, tuttavia, indispensabile che la cosa comune sia attualmente in funzione, in relazione alla sua destinazione, se permanga la possibilità di ripristinarne l’originaria funzionalità, perché il mutamento di destinazione lederebbe la facoltà, spettante agli altri condomini, di ritrarre dalla cosa l’utilità pratica per la quale è stata creata e che la stessa, se debitamente restaurata, sarebbe in grado di fornire; al contempo, però, non appare corretto vincolare la destinazione del bene all’uso attuato in passato, ancorando la stessa a una situazione magari negletta, come nel caso dei locali sotterranei adibiti a rifugio antiaereo (Cass., sent. n. 7711 del 29 marzo 2007, sulla collocazione nel cortile delle bombole di gas collegate alle rispettive cucine una volta deciso l’allacciamento alla fornitura del metano). In quest’ordine di principi, al fine di stabilire quale sia la destinazione della cosa comune nel condominio, deve farsi riferimento o a quella intrinseca (oggettiva) al particolare tipo di bene - si pensi al cortile, al lastrico solare, al muro, alle scale, all’androne - oppure, quando l’utilizzazione possa essere molteplice, a quella (soggettiva) espressamente riconosciuta dai condomini (mediante il regolamento o una delibera assembleare) o tacitamente impressa, tenendo conto anche tutti quegli elementi - per esempio, signorilità dell’edificio, uso abitativo dei singoli appartamenti facenti parte dello stabile, ecc. - da cui possa desumersi che sia stata

 

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data una piuttosto che un’altra tra le possibili destinazioni della cosa comune (per alcune fattispecie molto frequenti nella pratica, vedi Cass., sent. n. 14107 del 3 agosto 2012, sulla trasformazione del tetto comune dell’edificio in terrazza di proprio uso esclusivo; sent. n. 1062 del 18 gennaio 2011; sent. n. 7143 del 17 marzo 2008, in ordine alla tettoia a copertura di alcuni posti auto e sent. n. 17099 del 27 luglio 2006, circa l’apertura di abbaini dotati di balconi e finestre). L’utilizzazione della cosa comune può, inoltre, avvenire non solo secondo la destinazione usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dai condomini, purché tale specifica utilizzazione rientri tra le destinazioni normali della cosa e non alteri l’utilizzazione praticata da altri - ossia il rapporto di equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti (attualmente e anche potenzialmente) di tutti i comproprietari - né escluda per questi ultimi la possibilità di ampliare eventualmente il loro uso in modo e misure analoghe (Cass., sent. n. 7704 del 2 agosto 1990; sent. n. 3376 del 6 maggio 1988 e sent. n. 5954 del 10 novembre 1981). Si parla, in questi casi, di una destinazione “principale”, cui si affianca una “secondaria”, così, per quanto concerne il muro di facciata, lo stesso serve a sostenere l’edificio, ma può essere utilizzato anche per sostenere le tubature, i fili, le insegne, le targhe, e quant’altro; nella stessa lunghezza d’onda, il condomino può utilizzare il pianerottolo delle scale apponendo, diversamente dagli altri abitanti dello stabile, davanti alla porta di ingresso della sua unità immobiliare, zerbini, tappeti, scarpiere, piante o altri oggetti ornamentali, con il limite però della destinazione ordinaria di questo vano, non potendo costringere gli altri condomini a disagevoli movimenti nella salita, o in caso di traslochi, o addirittura impedendo l’evacuazione in situazioni di urgenza. Corre, però, l’obbligo di precisare che, qualora un appartamento in un fabbricato condominiale venga destinato a un uso diverso da quello consentito dalla licenza edilizia, deve negarsi che il condominio possa allegare tale violazione a sostegno di una pretesa di ripristino dell’originaria destinazione, o di risarcimento del danno; in altri termini, come l’iniziativa di un condomino non potrebbe ritenersi lecita solo perché autorizzata dalla Pubblica amministrazione, così la violazione di norme amministrative non legittima simili pretese fondate sull’abuso della cosa comune, trattandosi, all’evidenza, di misure che operano su diversi livelli giuridici in ordine ai quali è preclusa ogni commistione (vedi, soprattutto, Cass., sent. n. 3625 del 7 agosto 1989, relativamente a un centro medico-diagnostico anziché abitazione). A ogni buon conto, con riferimento al concetto di “destinazione”, la giurisprudenza di legittimità tende a richiamare sempre più spesso le espressioni contenute nell’art. 1120, comma 4, cod. civ., disciplinante le innovazioni - e ciò in via analogica, essendo entrambi i casi informati alla medesima ratio legis - e, quindi, a far operare limiti derivanti più da vicino dal rapporto (non di comunione, ma) di condominio, nel senso di considerare illegittimi quegli usi della cosa comune, da parte del singolo condomino, che «possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino» (vedi, tra le altre, Cass., sent. n. 14607 del 22 agosto 2012, circa la realizzazione di alcuni fori di porta o di finestra posti sulle facciate dell’edificio, i quali avevano alterato la simmetria dei fori preesistenti, producendo un risultato esteticamente sgradevole; sent. n. 12343 del 22 agosto 2003, sull’installazione di un voluminoso condizionatore sul muro perimetrale; sent. n. 3084 del 29 marzo 1994, segnatamente in materia di decoro architettonico). L’alterazione della destinazione Chiarito il concetto di “destinazione”, qualche parola va spesa - per completezza - in ordine al concetto di “alterazione”. Al riguardo, si può convenire che si ha alterazione allorquando le modificazioni apportate alla cosa comune rendano impossibile, o comunque pregiudichino apprezzabilmente, la sua funzione originaria, e non qualora l’utilità tratta dal condomino si aggiunga a quella originaria, senza interessare l’efficienza in pregiudizio del condominio o di altro condomino, ossia qualora

 

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il godimento del singolo, pur potenziato o reso più comodo, lasci immutata la consistenza e la destinazione originaria (in proposito, si veda anche l’espressione “inservibilità al godimento anche di un solo condomino” contenuta nell’art. 1120, comma 4, cod. civ.). Non sembra, invece, modificare la destinazione quell’uso diverso che, non producendo alterazioni permanenti, consenta il mantenimento dell’uso normale (per lo più discontinuo) da parte degli altri condomini (si pensi all’utilizzazione del giardino comune anche per far giocare i bambini a pallone). È stato, infine, esplicitato - vedi, altresì, Cass., sent. n. 7752 del 15 luglio 1995 e sent. n. 10013 del 25 settembre 1991 - che l’alterazione della cosa comune, che ne rende illecito l’uso da parte del singolo condomino, sussiste non solo quando viene mutata la sua funzione, ma anche quando si produca uno “scadimento a una condizione deteriore”.

 

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Bonus fiscali

Bonus fiscale per abitazioni da locare Stefano Baruzzi, Consulente Immobiliare, Edizione del 30 aprile 2015, n. 974 pag. 724 L’art. 21 del D.L. “Sblocca Italia” 133/2014 ha istituito, con efficacia fin dal 1° gennaio dello scorso anno, una nuova potente deduzione dall’IRPEF per incentivare l’acquisto di abitazioni, nuove o ristrutturate, o la loro costruzione su aree già possedute, a condizione che le stesse vengano concesse in locazione alle condizioni stabilite dalla legge. Nonostante l’importanza della misura, non sono stati ancora emanati il previsto decreto ministeriale di attuazione, né la circolare agenziale, necessari per fare chiarezza sui molti punti dubbi. Il nuovo incentivo L’art. 21 del D.L. “Sblocca Italia” (133 del 12 settembre 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 164 dell’11 novembre 2014) incentiva, per il quadriennio 1° gennaio 2014-31 dicembre 2017, l’investimento privato in abitazioni da locare, di nuova costruzione o ristrutturazione. (1) La misura fiscale in questione persegue importanti obiettivi: - da un lato, il rilancio del settore delle costruzioni immobiliari che, negli anni successivi al 2008, ha patito una crisi senza precedenti, non ancora esauritasi, per effetto della quale numerose imprese si sono ritrovate con ingenti quantitativi di immobili invenduti e nella conseguente situazione di grave ristrettezza finanziaria, non di rado sfociata in fallimenti; - dall’altro, la volontà di rilanciare il mercato delle locazioni abitative per fare fronte, con una maggiore offerta di immobili disponibili per l’affitto a canoni contenuti, all’emergenza che caratterizza parte delle città e, in ogni caso, di favorire la mobilità lavorativa sul territorio nazionale. Come rilevabile, tali finalità sono particolarmente rilevanti dal punto di vista economico e sociale e rispondono altresì a importanti ragioni di interesse nazionale, in chiave di rilancio degli investimenti, della produzione e dell’occupazione e, in ultima analisi, anche dei saldi finanziari dello Stato (in relazione all’attesa di maggiori entrate e di minori spese per le misure di assistenza sociale necessarie in tempi di crisi), sulla delicata strada che dovrebbe portare alla progressiva normalizzazione della nostra economia. Nonostante tali indiscutibili considerazioni, a distanza di molti mesi dall’emanazione del D.L. “Sblocca Italia”, non è stato ancora emanato il decreto interministeriale - infrastrutture e trasporti ed economia e finanze - espressamente previsto dal comma 6, né la circolare illustrativa dell’Agenzia delle entrate. La sollecita emanazione di detti provvedimenti, benché non strettamente indispensabile per potere fruire dell’incentivo, comunque operante, è assai opportuna, al fine di favorire il compiuto decollo della misura in discorso, stante l’esistenza di numerose situazioni dubbie suscettibili di frenare gli investimenti proprio nell’attesa che i competenti Ministeri e l’Agenzia delle entrate forniscano le opportune indicazioni.

 

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Le istruzioni alla dichiarazione dei redditi 2015 Allo stato attuale, sono state emanate soltanto le istruzioni alla dichiarazione dei redditi 2015 (anno di imposta 2014) modd. 730 e UNICO, che tuttavia forniscono un contributo interpretativo assai modesto rispetto a quanto desumibile dalla semplice lettura dell’art. 21. In effetti, le istruzioni a UNICO 2015 forniscono un chiarimento apprezzabile su un punto assai importante - e poco chiaro - della normativa, in quanto lasciano intendere, in senso favorevole ai contribuenti, che gli interessi passivi afferenti l’eventuale mutuo contratto per l’acquisto non devono essere ricompresi nel plafond di € 300.000. Dunque, quest’ultimo importo rappresenta la soglia massima del solo investimento immobiliare e gli eventuali interessi dovuti per il mutuo possono aggiungersi a esso, tra l’altro - e questo è insolito? senza che alcuna norma indichi per essi un limite di importo deducibile. Precisamente: le istruzioni al rigo RP 32 (pag. 62) di UNICO Persone Fisiche 2015 (fascicolo 1) precisano che il totale dell’importo deducibile da indicare nella colonna 4 è pari al 20% dell’ammontare risultante dalla somma degli importi indicati nelle colonne 2 e 3, rispettivamente dedicate alla “spesa di acquisto/costruzione” (“Indicare, entro il limite di € 300.000, la spesa sostenuta per l’acquisto o la costruzione dell’immobile dato in locazione”) e agli “interessi passivi dipendenti dai mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare oggetto dell’agevolazione”. (2) Quest’ultima locuzione, che peraltro replica l’ultima parte del comma 1 dell’art. 21, fa formalmente riferimento al solo “acquisto” (disciplinato dal comma 1 dell’art. 21), tuttavia non sembra che esistano valide ragioni per porre in dubbio il diritto alla deduzione anche per la quota di interessi pagati per i mutui accesi nel caso (disciplinato dal comma 2) della costruzione, tramite conferimento di un contratto di appalto a un’impresa di costruzioni, di unità residenziali su aree «già possedute dal contribuente stesso prima dell’inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori». Quanto precede poiché, all’inizio del comma 2, la norma precisa che «la deduzione di cui al comma 1 spetta nella medesima misura e nel medesimo limite massimo complessivo» anche per l’ipotesi della costruzione con appalto su aree già possedute o sulle quali siano già riconosciuti diritti edificatori. Imprese “di costruzione” e imprese “costruttrici” Un punto sul quale invece le istruzioni a UNICO 2015 e al mod. 730/2015 recano indicazioni fuorvianti è laddove esse segnalano che l’incentivo per l’acquisto di abitazioni di unità di nuova costruzione o frutto di interventi di restauro/risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia riguarda le unità residenziali cedute da imprese di costruzione e da cooperative edilizie. Infatti, posto che la norma non fornisce alcuna precisazione di carattere soggettivo, è da ritenere che, a tale fine, operi l’ampia e consolidata nozione fiscale di “impresa costruttrice”, messa a fuoco da molteplici documenti di prassi ministeriale e agenziale, cosicché l’incentivo possa spettare per gli acquisti fatti presso qualunque controparte venditrice intestataria del titolo edilizio, anche se non avente per oggetto principale dell’attività le costruzioni immobiliari: a nostro avviso, rientrano in tale novero non solo le imprese individuali o societarie, ma anche enti commerciali e fondi comuni di investimento immobiliare. Se oggetto di acquisto sono abitazioni di nuova costruzione, è tuttavia necessario che esse fossero invendute alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. “Sblocca Italia” (12 novembre 2014), così come preteso da una modifica, fortemente limitativa, introdotta in fase di conversione in legge, che l’Associazione nazionale dei costruttori edili (ANCE) sta cercando di fare eliminare, al fine di ampliare temporalmente l’ambito di applicazione dell’incentivo, come del resto originariamente previsto dal testo del D.L. 133/2014.

 

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Alcuni punti dubbi La normativa incentivante è piuttosto articolata e presenta svariati punti dubbi, alcuni dei quali posti in evidenza dall’interessante nota di lettura diramata dall’ANCE nel novembre 2014, all’indomani della conversione in legge dello “Sblocca Italia”. Tra le questioni meritevoli di sempre più urgenti chiarimenti evidenziamo le seguenti. Costruzioni in economia Come già segnalato, è previsto il riconoscimento dell’incentivo anche per la realizzazione di unità residenziali, su iniziativa di persone fisiche, su aree edificabili già possedute (o sulle quali siano già riconosciuti diritti edificatori) attraverso il conferimento di appalti a imprese del settore edile. Il riferimento ai contratti di appalto e la precisazione che le «spese di costruzione sono attestate dall’impresa che esegue i lavori» sembrerebbe rappresentare un preciso vincolo rispetto alla possibilità che il bonus possa essere riconosciuto anche nel caso in cui il contribuente realizzi l’abitazione “in economia”, come invece consentito per gli interventi di recupero soggetti alla detrazione IRPEF del “36/50%”. Diritto di superficie su aree Il generico riferimento al pre “possesso” delle aree edificabili sembrerebbe consentire di ricomprendere nell’incentivo anche la costruzione su aree di proprietà di terzi, sulle quali l’investitore persona fisica goda di un diritto di superficie. Prezzo comprensivo di IVA La locuzione “prezzo di acquisto dell’immobile risultante dall’atto di compravendita”, sul quale deve essere calcolata la nuova deduzione IRPEF, essendo analoga a quella utilizzata per la fattispecie oggetto del comma 3 dell’art. 16- bis del TUIR in tema di detrazione IRPEF del “36/50%” per il recupero edilizio, sembra consentire di ricomprendere nel bonus anche l’imposta sul valore aggiunto, oltre al prezzo di compravendita vero e proprio. (3) Pertinenze di abitazioni oggetto di acquisto con uno stesso atto Nulla dice la legge circa la possibilità di includere nell’incentivo anche il prezzo delle pertinenze, entro il limite complessivo di € 200.000, come ammesso dalla circ. n. 24/E/2004 (risposta 1.3) con riferimento alla detrazione IRPEF per il recupero edilizio, a condizione che le pertinenze vengano acquistate contestualmente all’unità abitativa e siano qualificate in atto quali pertinenze dell’abitazione. La stessa soluzione sembrerebbe pratica bile anche per il nuovo bonus. Termine semestrale per locare In caso di acquisto, il termine semestrale entro cui procedere alla locazione decorre dalla data dell’atto di compravendita; in caso di costruzione su area propria invece, la normativa non indica alcuna decorrenza, che l’emanando decreto attuativo dovrebbe precisare, per esempio con riferimento alla data di rilascio del certificato di agibilità o di formazione del relativo silenzio-assenso (artt. 24 e 25 del D.P.R. 380/2001). Interessi passivi sui mutui A differenza di quanto previsto per i mutui finalizzati all’acquisto o alla costruzione/recupero pesante dell’abitazione principale (art. 15, comma 1, lett. b ), e 1- ter , del TUIR), il legislatore ha menzionato i soli interessi passivi, non anche gli oneri accessori e le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, e non ha posto come condizione l’iscrizione di ipoteca, né ha fornito indicazioni sui rapporti - e connessi limiti - temporali che devono intercorrere fra la stipula del mutuo, l’acquisto o la costruzione dell’abitazione. Anche in questo caso, l’emanando decreto attuativo dovrebbe fornire le opportune precisazioni, onde evitare successive contestazioni a investimento già effettuato.

 

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Trasferimento dell’abitazione agevolata durante l’ottennio della locazione La locazione deve avere durata di ben 8 anni. In ragione di ciò, il decreto attuativo dovrebbe contenere disposizioni atte a regolare le conseguenze del trasferimento dell’unità immobiliare agevolata, per successione o per atto derivativo, nonché la spettanza delle quote di deduzione non ancora fruite. Diritti reali e comproprietà È da ritenere che, a differenza della detrazione del “36/50%”, la nuova deduzione non possa essere riconosciuta al nudo proprietario, né a titolari di altri diritti reali (uso e abitazione), ma al solo usufruttuario, in quanto strettamente vincolata alla locazione (artt. 981 e 984 cod. civ.). Conclusioni In considerazione delle elevate aspettative generate dall’incentivo qui in esame, appare indispensabile che l’Amministrazione provveda rapidamente a emanare i provvedimenti di propria spettanza, possibilmente con un approccio elastico, così come ha fatto in passato per la detrazione per il recupero edilizio. Inoltre, su alcuni punti, pare opportuno un intervento di razionalizzazione da parte del legislatore. I benefici che l’intera economia può ritrarre e gli stessi interessi erariali a una celere ripresa, con conseguente crescita e produzione di nuovo gettito, rendono palese l’interesse dello Stato e dei suoi organi ad assecondare, senza ulteriori ritardi, la volontà espressa dal legislatore nello “Sblocca Italia”. ----- (1) Per l’illustrazione della normativa in questione ci permettiamo di fare rinvio al nostro articolo Acquisto di abitazioni da locare: la nuova deduzione IRPEF, pubblicato sul n. 965 del 15 dicembre 2014 di questa rivista, pagg. 2092 e segg. (2) Meno chiara sul punto risulta la formulazione del mod. 730/2015, in quanto, nel rigo E32, manca il campo 4 (“Totale importo deducibile”) e le istruzioni non palesano che quota di investimento e quota interessi possono sommarsi. (3) Sulla rilevanza dell’IVA, ai fini della detrazione, richiamiamo le circ. n. 57/1998 e n. 24/E/2004 (risposta 1.6).

 

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Plusvalenze e

immobili

Plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile Federico Gavioli, La Settimana Fiscale, Edizione del 29 aprile 2015, n. 17 pag. 42-45 In presenza di contabilità formalmente regolare, la plusvalenza che deriva dalla vendita di un immobile si calcola sulla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto; le valutazioni immobiliari effettuate dall'Ute non possono rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti, quali, tra le altre, l'assoluta sproporzione tra corrispettivo dichiarato e valore dell'immobile, possono costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare. Sono le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione, con l’interessante sentenza 12.11.2014, n. 24054, che ha affrontato una questione che vede contrapposti una S.r.l. e l’Agenzia delle Entrate per un contenzioso che durava dal 1997. Fattispecie La Commissione tributaria regionale con sentenza del 2007 avente ad oggetto un avviso di accertamento, ai fini Irpeg e Ilor, dell'anno di imposta 1997, emesso ai danni di una S.r.l., accoglieva l'appello dell'Agenzia delle Entrate e rigettava l'impugnazione proposta dalla contribuente; in sostanza veniva riformulata la sentenza di primo grado di parziale accoglimento del ricorso, avverso l'atto impositivo. I giudici di secondo grado, preso atto che l’Amministrazione finanziaria aveva prestato acquiescenza alla pronuncia sfavorevole in punto di deducibilità di spese di manutenzione ordinaria, dichiarava la fondatezza di tutti gli ulteriori recuperi effettuati dall'Amministrazione finanziaria con l'atto impositivo. In particolare, la Commissione tributaria regionale: - in ordine alla rilevata differenza tra le rimanenze iniziali e quelle finali, rilevava che , mentre la società aveva sostenuto che il dichiarato «decremento delle rimanenze finali dei terreni» era stato trasferito ad «opere in corso di lavorazione» a causa dell'avvenuta cantierizzazione di un progetto costruttivo su un terreno , di fatto, su tale terreno, erano stati sostenuti costi solo per sondaggi geognostici, non seguiti da acquisti di materiali e/o spese per prestazioni inerenti i terreni, per i quali, peraltro, non risultava presentato alcun progetto di esecuzione; - riteneva condivisibile il disconoscimento della sopravvenienza passiva (spese a titolo di risarcimento danni) in quanto non rientrante nella previsione normativa di cui all'art. 66, co. 2, D.P.R. 22.12.1986, n. 917 ; - in ordine ai ricavi non contabilizzati rilevava l'errore in cui era incorso il Giudice di prime cure per avere basato il giudizio di congruità del prezzo delle vecchie lire 2.229.000 al mq. ad un immobile al rustico mentre, di fatto, era risultato che i cespiti erano stati venduti allo stato «finito», completi di certificati di abitabilità, ed il cui valore, alla data del trasferimento, si aggirava intorno ai tremilioni/quattromilioni delle vecchie lire al metro quadrato; Avverso la sentenza sfavorevole la S.r.l., in persona del legale rappresentante, ha proposto ricorso per Cassazione.

 

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Ricorso Diverse e articolate sono le motivazioni del ricorso in Cassazione della S.r.l.; in particolare, per la parte che interessa il presente commento, si focalizza l’attenzione sul presupposto che la S.r.l. deduce, comunque, l'errore di diritto commesso dalla C.t.r. nell'avere ritenuto legittimo l'atto accertativo basato esclusivamente tra la discordanza tra valori dichiarati e valori di mercato della cessione di un immobile, laddove ai fini dei tributi in discussione (Irpeg ed Ilor) non assume rilievo il valore venale del bene ma unicamente il prezzo di vendita pattuito. Analisi della Cassazione Con riferimento alla censura della S.r.l. in merito all’accertamento sul valore dell’immobile, la Corte di Cassazione ritiene il ricorso fondato. Occorre, infatti, rilevare che la Cassazione con importanti precedenti orientamenti in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ha già chiarito, con riguardo ai redditi d'impresa, che per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile, ai sensi dell’art. 54, D.P.R. 917/1986 , in base all'inequivoco significato del termine «corrispettivo», occorre avere riguardo alla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non al valore di mercato del bene, come per l'imposta di registro, essendo i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito diversi a seconda dell'imposta da applicare. Ne consegue, in presenza di contabilità formalmente regolare, che per procedere all’accertamento previsto dall’art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 29.9.1973, n. 600 , consentito se le scritture risultino affette da incompletezze, inesattezze ed infedeltà tali da giustificare il motivato uso del potere in parola, le valutazioni effettuate dall'U.t.e. non possono rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa, e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti, quali, tra le altre, l'assoluta sproporzione tra corrispettivo dichiarato e valore dell'immobile, costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare. Comportamento antieconomico che giustifica l’accertamento Occorre preliminarmente ricordare che la giurisprudenza, di recente, ha legittimità l’accertamento nei confronti di contribuenti anche in presenza di contabilità regolare. Il comportamento antieconomico di una S.r.l. giustifica l’applicabilità degli standard previsti dall’accertamento induttivo, anche in presenza di contabilità regolare; la Corte di Cassazione, con la sentenza 30.6.2014, n. 12167, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva rideterminato il reddito di una S.r.l., sulla base dell’utilizzo di standard previsti dal fisco, sul presupposto che dalla dichiarazione dei redditi vi era una sproporzione tra i costi indicati e l’utile dichiarato. La controversia trae origine da un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha proceduto alla rideterminazione, tramite l’emissione di un avviso di accertamento, dei ricavi dichiarati di una S.r.l. La rideterminazione si basava sull’utilizzo dell’accertamento induttivo con il quale i funzionari dell’Agenzia delle Entrate evidenziavano l’anomalia della situazione reddituale della società la quale, per cinque annualità consecutive dal 1994 al 1998, aveva realizzato un risultato di esercizio negativo e, in alcuni casi, un utile di modesta entità, pur continuando a movimentare una notevole entità di risorse economiche, finanziarie ed umane, avvalendosi di molteplici lavoratori dipendenti e di collaboratori autonomi. La Ctr, tuttavia, accoglieva il ricorso della Srl; in particolare i giudici del merito di secondo grado ritenevano illegittimo l’accertamento attuato, pur in presenza di contabilità regolarmente tenuta, con automatica applicazione dei parametri senza il supporto di altri elementi oggettivamente valutabili ai fini della determinazione della capacità contributiva. Avverso la sentenza sfavorevole, l’Agenzia delle Entrate, è ricorsa in Cassazione. Va ricordato che, con l’accertamento analitico-induttivo, l’Amministrazione finanziaria può rettificare il reddito dichiarato dai contribuenti, avvalendosi anche solo parzialmente delle

 

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scritture contabili, ma essenzialmente sulla base di presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti. La differenza tra un metodo e l’altro risiede sostanzialmente nella diversa forza delle presunzioni richieste per il loro utilizzo: l’accertamento analitico-induttivo, infatti, può essere esperito soltanto attraverso l’impiego di presunzioni cd. «qualificate», ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; l’accertamento induttivo tout court, invece, può essere fondato anche su presunzioni sprovviste dei predetti requisiti, ovvero su quelle che vengono generalmente indicate come presunzioni «semplicissime» o «ipersemplici», proprio per connotare la loro minore qualificazione (la gravità ridotta, l’inferiore precisione e la non stretta concordanza). Così, l’adozione dell’accertamento induttivo richiede innegabilmente una presunzione molto più «leggera» di quella necessaria per l’accertamento analitico-induttivo. Ed è probabilmente questo il motivo per cui il Legislatore ne ha relegato l’utilizzo soltanto ai casi di omessa contabilità o di scritture contabili formalmente inattendibili, ovvero di altre gravissime inadempienze del contribuente. I giudici di legittimità osservano, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell'art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto in contrasto con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. Nel caso in esame, rilevano i giudici di legittimità, la società ha mantenuto elevati costi per personale dipendente ed autonomo, e l'accertamento compiuto dall'Agenzia delle Entrate appare legittimo laddove, al contrario, le circostanze dedotte dalla contribuente appaiono inidonee al fine di escludere l'applicabilità alla fattispecie dei superiori principi, i quali sono stati completamente disattesi dalla Commissione tributaria regionale. Valori Omi Il Decreto Visco-Bersani (D.L. 4.7.2006, n. 223 conv., con modif., dalla L. 4.8.2006, n. 248) aveva introdotto una presunzione legale relativa a favore degli uffici dell’Amministrazione finanziaria che, nell’espletamento dell’attività di controllo sia ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa , ex art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, sia in tema d’imposta sul valore aggiunto, ex art. 54, co. 3, D.P.R. 26.10.1972, n. 633, in materia di compravendite immobiliari, potevano provare l’esistenza di attività non dichiarate, semplicemente sulla base dello scostamento tra il corrispettivo dichiarato per la cessione dell’immobile e il suo valore normale. Tale valore normale per la cui determinazione era poi seguito il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, del 27 luglio 2007 (cd. «Provvedimento Omi»), che stabiliva l’applicazione di una formula matematica per la determinazione del valore normale dei fabbricati che, muovendo dalle quotazioni dei valori immobiliari fornite dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) curato dall’Agenzia del territorio, applica ad esse coefficienti correttivi in funzione della tipologia edilizia e categoria catastale, nonché dello stato di conservazione, taglio di superficie e livello di piano dell’immobile. Dalla seconda metà del 2007, sino al luglio 2009, pertanto, la maggior parte degli accertamenti immobiliari compiuti dagli uffici sono stati fondati sulla base del solo scostamento tra il corrispettivo dichiarato per la cessione dell’immobile ed il suo valore Omi, posto che tale circostanza costituiva presunzione legale relativa di maggior reddito non dichiarato e maggiore Iva dovuta, gravando sul contribuente sottoposto a verifica l’onere di provare l’insussistenza della pretesa erariale. Va evidenziato che l’art. 24, L. 7.7.2009, n. 88, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge Comunitaria 2008», ha modificato gli artt. 39, co. 1, lett.d), D.P.R. 29.9.1973, n. 600 e 54, co. 3, D.P.R. 26.10.1972, n. 633, facendo venir meno la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare la rettifica delle dichiarazioni sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato per la cessione di beni immobili e il relativo valore normale.

 

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Norma abrogata: chiarimento delle Entrate L’Agenzia delle Entrate, con la C.M. 14.4.2010, n. 18/E ha chiarito che l’abrogazione delle norme attribuenti agli uffici il potere di rettificare la dichiarazione Iva e il reddito d’impresa del contribuente che avesse dichiarato, nella cessione di beni immobili, un corrispettivo inferiore al valore normale degli stessi, produce effetti, con riguardo alle situazioni non ancora definite, anche per il periodo precedente alla loro introduzione (D.L. 4.7.2006, n. 223). L’intervento dell’Amministrazione fa così chiarezza sugli «effetti temporali» della modifica normativa, operata dalla legge comunitaria 2008. L’Amministrazione ha, come anticipato, chiarito che l’abrogazione della presunzione legale relativa, a suo tempo introdotta dal D.L. 223/2006, produce effetti anche con riferimento al periodo pregresso: «Tanto si desume dalla circolare n. 11 del 16 febbraio 2007, paragrafo 12.4, con la quale è stato affermato che la norma introdotta dal decreto-legge n. 223 del 2006 (e – a maggior ragione – la successiva norma abrogativa) ha natura procedimentale e che, pertanto, ha efficacia anche per le rettifiche relative ai periodi d’imposta ancora accertabili». Lo scostamento fra valore normale dell’immobile e corrispettivo dichiarato della cessione ritorna, quindi, ad avere la valenza di elemento presuntivo semplice senza limiti temporali, con gli uffici che sono, di conseguenza, chiamati a esaminare le controversie pendenti, abbandonando quelle derivanti da accertamenti, alla luce del modificato quadro normativo, non adeguatamente provati. Accertamenti, cioè, non basati, su ulteriori elementi idonei a supportare la pretesa di recupero (come, ad esempio, il mutuo richiesto dall’acquirente per un importo che eccede quello della compravendita, prezzi emergenti dalla ricostruzione dei ricavi operata in seguito a indagini finanziarie, oppure da precedenti atti di compravendita aventi a oggetto lo stesso immobile), che si affiancano alla sola e semplice differenza fra il valore normale e il corrispettivo. Altro orientamento La Corte di Cassazione con l’ordinanza 13 gennaio 2014, n. 457 ha stabilito che è legittimo l’accertamento induttivo nei confronti di una società di costruzione edilizia che ha ceduto dei beni immobili ad un prezzo inferiore a quello desumibile dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi), atteso che i bollettini di quotazioni di mercato costituiscono una presunzione idonea ai fini della rettifica dei ricavi. La questione su cui ha posto l’attenzione la Suprema Corte è quella ormai nota degli accertamenti immobiliari fondati sullo scostamento tra i prezzi di vendita dichiarati ed i valori Omi. Si tratta generalmente di società immobiliari che, a seguito di attività di controllo, risultano aver ceduto immobili ad un prezzo inferiore a quello risultante dai dati dell’Osservatorio immobiliare. Di solito, come verificatosi, peraltro, anche nel caso di specie, tali divergenze, di per sé sintomatiche di sottofatturazione, sono ulteriormente corroborate da altre anomalie riscontrate dagli Uffici, quali quelle emergenti nel caso oggetto del contenzioso, ovvero prezzi di vendita spesso o sempre inferiori ai mutui contratti dagli acquirenti degli immobili, ed una percentuale complessiva di ricarico sui costi aziendali assai esigua, tale da far ritenere antieconomica l’attività stessa. Nel caso di specie, oltre a tutti questi elementi, erano altresì stati confrontati i prezzi di unità immobiliari della stessa zona che erano risultati sistematicamente superiori a quelli di vendita della società accertata. Va osservato che nonostante l’intervento dell’Agenzia delle Entrate con la C.M. 14.4.2010, n. 18/E analizzata nel paragrafo precedente, la giurisprudenza di legittimità ha sempre guardato con favore alle rettifiche basate anche soltanto sulla base di divergenze dei prezzi di vendita rispetto ai prezzi medi di mercato ricavati da bollettini o tariffari. In particolare, per quanto attiene al settore immobiliare; i giudici di legittimità hanno ripetutamente stabilito che l’art. 62-sexies, D.L. 30.8.1993, n. 331 consente l’espletamento di accertamenti cd. analitico-induttivi, ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54, co. 2, ultimo periodo, D.P.R. 633/1972, basati sulla presenza di «gravi incongruenze» tra i ricavi dichiarati e

 

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quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche strutturali dell’attività svolta, nonché dagli studi di settore, anche qualora la contabilità risulti formalmente regolare. Considerazioni conclusive Diversamente dalla sentenza analizzata nel paragrafo precedente, la sentenza oggetto del presente commento, si pone in netto contrasto giungendo alla conclusione secondo cui l’Amministrazione finanziaria non può espletare l’accertamento immobiliare basandosi soltanto sulle valutazioni effettuate dall’Ute (ma la questione non cambia con riguardo ai dati Omi), quando si pongono in contrasto con le risultanze di una contabilità formalmente corretta, atteso che tali valutazioni non riescono ad assurgere alla stregua di presunzioni gravi, precise e concordanti, ovvero presunzioni qualificate idonee a sorreggere la pretesa erariale avanzata secondo i crismi dell’art. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973. I giudici di legittimità, in conclusione, osservano che la sentenza impugnata, che ha ritenuto legittimo il recupero effettuato con l'avviso di accertamento, fonda la decisione unicamente sulla differenza tra il prezzo dichiarato ed il valore di mercato dei beni, come attribuito dall'osservatorio Ute; ne consegue la cassazione di tale capo di sentenza ed il rinvio al Giudice di merito affinché proceda a nuovo accertamento alla luce delle novità introdotte dal Legislatore.

 

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Casi pratici

Immobili e fisco

LA PROPRIETARIA DI CASA CHE «DIPENDE» DAL PADRE

D. Mia figlia, di 35 anni, è a mio carico. Ha deciso di acquistare un piccolo appartamento il cui prezzo sarà in parte coperto in contanti con il mio contributo e in parte con mutuo ipotecario (l'immobile sarà intestato solo a lei come prima casa, mentre il mutuo sarà cointestato con il suo convivente che è già proprietario di altro immobile). Ovviamente anche per il pagamento delle rate del mutuo ci sarà bisogno di un mio intervento, almeno fino a quando non saranno in grado di provvedervi da soli. Potrò continuare a considerare a mio carico mia figlia, anche se proprietaria di immobile, almeno fino a quando non avrà superato la soglia minima di reddito? Inoltre, potrei dedurre dal mio 730 gli oneri relativi all'acquisto dell'immobile e quelli notarili? ----- R. La proprietà di un immobile, produttiva di reddito fondiario (in questo caso, di reddito dei fabbricati), non esclude a priori che la figlia possa essere “fiscalmente a carico” del genitore. Affinchè possa essere considerata tale sarà infatti sufficiente che la figlia abbia posseduto nell’anno d’imposta un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. La risposta alla seconda domanda è negativa, in quanto possono di regola beneficiare della detrazione degli interessi passivi e relativi oneri accessori (tra cui l’onorario del notaio per la sola stipula del contratto di mutuo, non per la compravendita) derivanti da mutuo ipotecario per l’acquisto abitazione principale (articolo 15, comma 1, lettera b, Dpr 917/86) gli acquirenti degli immobili che siano anche intestatari del contratto di mutuo, così come della detrazione per gli oneri d’intermediazione immobiliare (articolo 15, comma 1, lettera b-bis, Dpr 917/86). (Giuseppe Merlino, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 13 aprile 2015).

DATI CATASTALI DA ADEGUARE PRIMA DI VENDERE L'ALLOGGIO

D. Nel 2009 ho acquistato un appartamento degli anni 50, ristrutturato nel 1990. La planimetria allegata all'atto presentava una difformità rispetto allo stato attuale: l'altezza dei soffitti era stata ridotta da 3,10 a 2,50 metri in sede di ristrutturazione, senza depositare in Catasto la nuova planimetria. Ora intendo vendere l'appartamento, precisando ai potenziali acquirenti, anche in sede di preliminare, l'altezza attuale dei soffitti. Quale formula giuridica posso inserire nel preliminare, ed eventualmente nel rogito, per cautelarmi ed evitare eventuali azioni legali da parte dell'acquirente, pur reso consapevole di tale difformità fin dall'inizio della trattativa? Esiste una formula diversa per vendere questo immobile, che risulta accatastato come appartamento, in categoria A/3? ----- R. Con il Dl 78 del 2010, poi convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si è introdotta una importante ipotesi di nullità in ordine agli atti di trasferimento delle proprietà immobiliari. All'articolo 29 della legge 52 del 1985 (riguardante il sistema informatico dei registri immobiliari) è stato aggiunto il comma 1-bis, a norma del quale «gli atti pubblici e le scritture

 

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private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, a esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in Catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula degli atti citati, il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari». In base a tale previsione, quindi, dev'essere assicurata la corrispondenza tra lo stato di fatto degli immobili e le risultanze catastali presenti nei registri immobiliari, diversamente l’atto tra le parti è nullo. Al lettore, pertanto, si consiglia, prima di procedere alla vendita dell’immobile, di provvedere, magari tramite un tecnico appositamente incaricato, ad aggiornare i riferimenti catastali, rendendoli corrispondenti allo stato di fatto. Sebbene il preliminare possa contenere il solo impegno del venditore a provvedere a tale onere, il relativo aggiornamento dovrà essere comunque completato in tempo per il rogito notarile. (Maurizio Di Rocco, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 13 aprile 2015).

ESENZIONE ICI ESCLUSA PER IL NON RESIDENTE

D. Madre e figlio sono comproprietari al 50% di un immobile nel Comune di Catania. Hanno ricevuto un accertamento Ici (2009-2010). La madre, per gli anni in esame, era proprietaria di altri immobili, quindi trattasi di seconda casa. Per il figlio, invece, l'immobile era effettivamente abitazione principale. Il pieno utilizzo dell'immobile da parte di un proprietario al 50% che fruisce dell'agevolazione (non sono state fatte comunicazioni in tal senso all'agenzia delle Entrate per la verità), può esentare anche l'altro 50% dal pagamento? ----- R. L'esenzione Ici per l'abitazione principale competeva solo al proprietario che utilizzava l'immobile come sua dimora abituale e non si estendeva all'eventuale comproprietario per il quale non sussistevano i requisiti di legge. (Luigi Lo Vecchio, Il Sole 24ORE –Esperto Risponde, 27 aprile 2015).

EDIFICI IN COSTRUZIONE: CASSAZIONE E COMUNI DIVISI

D. Ho una casa in costruzione su un terreno ex agricolo, con permesso di costruire per la demolizione di un vecchio immobile nel quale ancora risiedo. Quindi, attualmente, ci sono due immobili: il vecchio e quello in costruzione. Quale Imu devo pagare per quello in costruzione? ----- R. Con riferimento alla tassazione Imu degli immobili in corso di costruzione, è intervenuta la sentenza della Corte di cassazione n. 17035/2013 dell’8 maggio 2013 che ha stabilito il principio secondo cui non sono tenuti a pagare l’Imu gli immobili in corso di costruzione e, più in generale, tutti quelli privi di rendita: in questi casi, il tributo non è dovuto né sul fabbricato né sull’area edificabile utilizzata a fini edificatori. Secondo la Cassazione, vi sono dei casi in cui manca l’oggetto dell’imposizione perché un bene non può essere considerato area fabbricabile né fabbricato se non ultimato, effettivamente utilizzato o se privo di rendita. In questo stato, si trovano i fabbricati che in catasto risultano iscritti nelle categorie fittizie – F1, F2, F3, F4, F5. In base alla normativa Ici del decreto legislativo 504/92, che si applica anche all’Imu, non si può tassare l’area edificabile in presenza di un fabbricato regolarmente iscritto al catasto, anche se privo di rendita, per ragioni contingenti inagibile. Allo stesso modo non può essere assoggettato a imposizione un fabbricato in corso di costruzione. Per la Cassazione, una volta

 

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che l’area edificabile sia utilizzata, il valore della base imponibile ai fini dell’imposta si trasferisce alla costruzione realizzata: le aree edificabili sono dunque soggette all’imposta municipale fino a quando venga realizzata una prima costruzione. A partire da questo momento è la costruzione oggetto d’imposta mentre l’area fabbricabile diventa una pertinenza esente. A conferma di detto principio è poi intervenuta la successiva risoluzione n. 8/DF/2012 del 22 luglio 2013. Con riferimento del quesito del lettore, se l’immobile in corso di costruzione è stato correttamente accatastato nella categoria F3 – unità in corso di costruzione -, l’Imu non è dovuta. Per completezza di esposizione, va però ricordato che tale pronunciamento ha fatto emergere difficoltà interpretative negli enti locali sulle regole da applicare nel caso di fabbricati privi di rendita catastale. Infatti, la regola applicata dai Comuni fin dal momento in cui è stata istituita l’Ici, quindi da circa 20 anni, in base all’articolo 5 del decreto legislativo 504/1992, è sempre stata la seguente: se un fabbricato non è ultimato, effettivamente utilizzato o è senza rendita dovrebbe scontare sempre l’imposta l’area sottostante utilizzata fini edificatori. (Alberto Bonino e Gianni Marchetti, Il Sole 24ORE – L’Esperto Risponde, 27 aprile 2015).