MemOria - Gennaio 2014

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ANNO IX numero 1 Gennaio 2014 distribuzione gratuita PROSPETTIVE Perchè non entrare anche noi in questo fiume di gioia? VOCE DEL VESCOVO Il Signore dice bene di te! CULTURALE I marmi antichi della cattedrale romanica di Oria mensile di informazione della Diocesi di Oria MemOria SPECIALE CONVEGNO CARITAS SPECIALE

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MemOria - Mensile di informazione della Diocesi di Oria - Gennaio 2014

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ANNO IXnumero 1

Gennaio 2014

distribuzione gratuita

PROSPETTIVEPerchè non entrare anche noi in questo fi ume di gioia?

VOCE DEL VESCOVO Il Signore dice bene di te!

CULTURALEI marmi antichi della cattedrale romanica di Oria

mensile di informazione della Diocesi di Oria

MemOria

SPECIALE CONVEGNO CARITASSPECIALE

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MemOria

Sommario

MemOria

MemoriaMensile di informazione della Diocesi di Oria - Periodico di informazione ReligiosaDirettore editoriale:✠ Vincenzo PisanelloDirettore Responsabile:Franco Dinoi

Redazione:Gianni CaliandroFranco CanditaAlessandro MayerFrancesco SternativoPierdamiano Mazza

Progetto graficoimpaginazione: ProgettipercomunicareEDIZIONI E COMUNICAZIONE

www.progettipercomunicare.it

In copertina:Il Cristo giallo, Paul Gauguin, 1889.

Stampa:ITALGRAFICA Edizioni s.r.l.Oria (Br)

Curia Diocesana: Piazza Cattedrale, 9 - 72024 OriaTel 0831.845093www.diocesidioria.it e-mail: [email protected] al Tribunale di Brindisi n° 16 del 7.12.2006

ANNO VIII numero 9 Dicembre 2013

mensile di informazione della Diocesi di Oria

3VOCE del VESCOVOIl Signore dice bene di te!

22IN... VERSI... Giancarlo Pontiggia

PROSPETTIVE4Perchè non entrare anche noi in

questo fi ume di gioia?7Cristo non può essere diviso!8Per amore del mio popolo

MemOria

SPECIALE12Convegno Caritas “Ascoltare, Osservare,

Discernere”

16CULTURALEI marmi antichi della cattedraleromanica di Oria

Agenda pastorale del Vescovo, gennaio 2014PRO-MEMORIA

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facebook.com/memoria.diocesidioria

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MemOria

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✠ Vincenzo Pisanello

Il Signore dice bene di te!

“Ti benedica il Signore” (Nm 6, 24). La litur-gia eucaristica del primo giorno dell’an-no si apre con questa parola dolcissima e

luminosa, che ci rivela la consegna che Dio ci fa: la Sua benedizione e la promessa di vita! E Dio ci chiede di essere accoglienti e fi duciosi verso questa bella notizia off erta a ciascuno. E da credenti, così desideriamo ini-ziare questo 2014, con totale fi ducia nella promessa, che è certezza a motivo del suo Autore, che Dio dirà-bene di noi per tutto l’anno! E questo avverrà non perché noi avremo fatto qualcosa di grande per Lui, ma semplice-mente perché Egli ci ama di amore eterno (cfr. Ger 31, 3), e non verrà meno alla Sua promessa.

E da battezzati, immersi nel Suo amore eterno, come possiamo rispondere a tanta attenzione e a così grande privilegio? Vivendo il nostro discepolato missionario (cfr. Mt 28, 19).

Andiamo per ordine. Innanzitutto è necessario prende-re consapevolezza che Dio, in Gesù di Nazareth, ci ama e ci chiama ad un incontro personale con il Suo Figlio, l’Amato (Mt 17, 5). Nessun cristiano può prescindere da questo incontro! O si realizza questo incontro o non ab-biamo le motivazioni teologiche e relazionali per vivere da discepoli, da cristiani. Da questo incontro, poi, sca-turisce il nostro discepolato cristiano e la nostra missio-narietà, indipendentemente dalla nostra funzione nella Chiesa e dal grado di istruzione della nostra fede.

Accadrà anche per noi ciò che è accaduto ai primi chia-mati da Gesù, i quali, dopo aver incrociato lo sguardo del Maestro, con grande gioia hanno cominciato a pro-

clamare: “Abbiamo incontrato il Messia” (Gv 1, 41). O come accadde alla donna di Samaria, che dopo l’incon-tro con Gesù al pozzo di Giacobbe, tornò nella sua città con grande entusiasmo ad annunciare questo incontro (cfr. Gv 4, 39-41). O anche come accadde a san Paolo che, dopo aver incontrato Gesù Cristo, direi in modo drammatico, “subito annunciava che Gesù è il Figlio di Dio” (Atti 9, 20).

Ci conforta e ci esorta Papa Francesco: “Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà spe-ranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La no-stra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere. La testimonianza di fede che ogni cristiano è chiamato ad off rire, implica aff ermare come san Paolo: «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla ... corro verso la mèta» (Fil 3,12-13)” (EG n. 121).

Ecco, Dio dirà-bene, benedirà la nostra vita in questo 2014 per inviarci a comunicare l’incontro che abbiamo avuto, o che avremo, con la Parola fatta carne (cfr. Gv 1, 14). E’ il mio augurio per ciascuno di Voi.

VOCE del VESCOVO

anno IX n. 1 Gennaio 2014

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“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Inizia così l’Esortazione Apostolica «Evan-

gelii Gaudium», un documento indirizzato ai fedeli cristiani, “per invitarli – aff erma Papa Francesco – a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.

Con lo stile assolutamente semplice e familiare a cui il Papa ci ha già abituati in questi primi mesi del suo ponti-fi cato, egli inizia – da subito – a sottolineare alcune dina-miche presenti nel mondo attuale, “la sua molteplice ed opprimente off erta di consumo”, la “tristezza individuali-sta che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricer-ca malata di piaceri superfi ciali, dalla coscienza isolata”, l’indiff erenza verso gli altri e soprattutto verso i poveri, la vita interiore curvata verso i propri interessi e la voce di Dio che sembra non avere più diritto di cittadinanza nel cuore dell’uomo, dove non “palpita l’entusiasmo di fare il bene”.

“Anche i credenti – dice il Papa – corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. […] Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rin-novare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi in-contrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta”. “Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, in-vita con insistenza alla gioia”, mentre il cristiano talvolta appare immusonito, con uno stile – lo dice chiaramente Papa Francesco – “di Quaresima senza Pasqua”; e ancora: “Perché non entrare anche noi in questo fi ume di gioia?”.

Ai nn. 76-109 il papa descrive gli ostacoli alla gioia di annunciare il vangelo, e ne individua quattro: l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale, la

guerra tra di noi.

Francesco non ha paura di chiamare le cose con il loro nome, con la libertà interiore che lo contraddistingue, e individua così il primo ostacolo per noi cristiani ad en-trare nell’ “entusiasmo del bene” in quella sorta di accidia spirituale e pastorale che può prendere tutti, preti, laici, operatori pastorali e guide di comunità.

In alcuni passaggi fondamentali egli individua le cause di questa accidia, ed è su questo aspetto che ci fermiamo in questo breve articolo che non può ripercorrere tutta la ricchezza dell’Esortazione, ma vuole essere solo un invito alla sua lettura, facendone intravedere la ricchezza e la suggestiva perspicacia.

Scrive il Papa: “Alcuni vi cadono perché portano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare. Altri, perché non accet-tano la diffi cile evoluzione dei processi e vogliono che tutto cada dal cielo. Altri, perché si attaccano ad alcuni progetti o a sogni di successo coltivati dalla loro vanità. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la “tabella di marcia” che la marcia stessa. Altri cadono nell’accidia perché non sanno aspettare, vogliono dominare il ritmo della vita. L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli ope-ratori pastorali non tollerino facilmente il senso di qual-che contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce” (n. 83).

Ognuno di noi potrebbe usare questo testo per fermarsi a rileggere come vive il suo servizio pastorale, e l’inte-ra sua vita cristiana. Basterebbe questo! Basterebbe dire, ognuno a se stesso, quanti e quanto di questi atteggia-menti stanno dentro di noi, dentro il nostro modo di vi-

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Gianni Caliandro*

PROSPETTIVE DI

Perchè non entrare anche noi in questo fiume di gioia?

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vere ogni giorno, e questa Esortazione avrebbe già sortito un grande eff etto restituendoci un o’ di consapevolezza.

La nostra tradizione cristiana ha lungamente medita-to sull’accidia, a partire dai padri del deserto, solitari ed umanissimi esperti del cuore umano in tutte le sue di-mensioni.

Alla lettera a-kedìa vuol dire senza interesse, senza solleci-tudine, senza concentrazione e attenzione. È un male interiore profondo, oscuro, una noia in-vincibile - almeno così ci sem-bra in alcuni momenti - che ci spegne la vita dentro. Forse il termine a noi familiare che più si avvicina a quello che gli an-tichi intendevano descrivere è depressione. I padri la chiama-vano mancanza di tono dell’a-nima. Così la defi nisce Evagrio Pontico, in un testo forse lungo ma che merita di essere ascol-tato perché descrive bene che cosa accade nell’animo: “Il de-mone dell’accidia, chiamato an-che meridiano, di tutti i demoni è il più opprimente... Dapprima fa in modo che il sole appaia lento nel movimento o immo-bile, mostrando il giorno di cinquanta ore. Poi lo costrin-ge a guardare continuamente verso le fi nestre, a balzar fuori dalla cella, a osservare il sole per vedere quanto dista dall’o-ra nona, a guardarsi attorno, di qua e di là, se per caso qualcu-no dei fratelli...Gli insinua inol-tre un odio per il luogo in cui si trova, per il suo stesso stato di vita... e l’idea che presso i fra-telli è sparita la carità e che non v’è chi lo consoli. E se in quei

giorni c’è qualcuno che ha rattristato il monaco, anche di questo il demonio si serve per accrescere l’avversione. Lo conduce poi anche a desiderare altri luoghi, nei quali troverà facilmente il necessario ed eserciterà un mestiere meno faticoso e più vantaggioso; aggiunge che piacere al Signore non è una questione di luogo: dappertutto infatti – è detto – la divinità può essere adorata. A queste cose

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unisce il ricordo dei familiari e della vita di prima; gli descrive quanto sia lungo il tempo della vita, mettendogli davanti agli occhi le fatiche dell’ascesi; e, come si usa dire, mette in moto la macchina da guerra perché il monaco, lasciata la cella, abbandoni lo stadio; anzi, uno stato di pace e una gioia indicibile subentrano nell’anima dopo la lotta” (Trattato pratico, n. 12).

Desideriamo andarcene via, ci sembra che sia tutto sba-gliato, che gli altri non ci capiscano e non ci amino, il tempo non passa mai, abbiamo la sensazione di non concludere nulla, e che forse abbiamo sbagliato tutto sin dall’inizio. Parole scritte quasi duemila anni fa, eppure straordinariamente attuali nel descrivere il malessere che ci prende in questa nostra epoca post-moderna, anche nella Chiesa, anche a chi scrive, ed è prete.

I rimedi che gli antichi padri proponevano erano sempli-ci, e profondi: primaditutto un dialogo interiore da non far terminare, da vivere tenacemente, senza arrendersi, perché è come se l’anima fosse divisa a metà, una parte che vuole continuare a camminare, e una parte che vuole fermarsi, più pesante: “quando cadiamo in mano all’ac-cidia, allora, fra le lacrime, dividiamo la nostra anima in due parti, l’una che consola e l’altra che è consolata, se-minando in noi stessi buone speranze e pronunciando le parole suadenti del santo David: Perché ti rattristi, anima mia e perché mi turbi? Spera in Dio, perché lo confesserò, lui salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 41,6)” (Trattato pratico, n. 27).

Evagrio dice che questo dialogo con noi stessi avviene nelle lacrime. Piangiamo del fatto che stiamo diventando superfi ciali, in una sorta di insensibilità spirituale nel-la quale va bene tutto e il contrario di tutto, in un certo senso grossolani. Va bene che perdono chi mi ha fatto del male, e va bene anche che non lo faccio, tanto a che serve? Va bene che prego ogni giorno, ma va bene anche che pian piano non lo faccio mai, tanto ci sono mille cose più urgenti da fare. Va bene che leggo il vangelo e me ne nutro, ma va bene anche che non lo faccio tanto non inte-ressa a nessuno, le cose che mi sono richieste nella pasto-rale sono altre. Va bene tutto. Che cosa fanno le lacrime? Le lacrime sciolgono la durezza del cuore, tornano a farci

riconoscere che siamo dei peccatori, e abbiamo bisogno che Dio ci salvi, ci perdoni, ci rialzi.

Queste lacrime sono accompagnate dalle parole del sal-mo, che invita l’orante ad allearsi con la parte della pro-pria anima buona, che spera ancora, che è capace di dire a Dio: sei tu la salvezza de mio volto, la mia speranza! Quando si sta in questa situazione, bisogna cercare di non arrendersi, di ripetere senza stancarsi le parole del salmo. Confessando Dio come salvezza del nostro volto.

Le lacrime sono come la nostra resa a Dio, mediante il pianto è come se imparassimo chi è Dio, ma non per la via della speculazione, del ragionamento, dell’ascolto di parole, quanto piuttosto un modo più profondo, quasi passionale. E’ una confessione, fatta senza parole, di chi è Dio e di chi siamo noi. È una Pasqua, perché in quei mo-menti benedetti, in cui il cuore si spezza, è come se noi cadessimo, scendessimo nella notte oscura dell’anima, e lì fi nalmente capissimo che dobbiamo tralasciare noi stes-si per rinascere. Ammettere la nostra sfi ducia, la nostra disperazione, piangendo, sentendo che abbiamo toccato il fondo, signifi ca scoprire fi nalmente, nella nostra stessa carne, la condiscendenza di un Dio che ha voluto assume-re la vulnerabilità della carne umana. Noi non cerchiamo mai, veramente, la guarigione divina, se non quando non sappiamo più che fare, e piangiamo. E così, piangendo, mentre tocchiamo la fragilità del nostro cuore, come un vetro frantumato, accediamo ad una visione più chiara di noi, del mondo, di Dio. Dio entra attraverso la feri-ta che le lacrime hanno aperto. La spiritualità dei padri del deserto indica la via dell’imperfezione come unica via per la perfezione. La perfezione è di Dio, non nostra. E piangere signifi ca aprirsi alla perfezione di Dio mentre sperimentiamo la nostra povertà. Le lacrime ci aprono a una nuova vita, ci addolciscono l’anima, ci schiariscono la mente. Davvero ci fanno rinascere. Sono il segno di un vero e proprio ritorno a casa. Non è che per riusci-re a gioire dell’annuncio del vangelo dobbiamo tornare a piangere di noi stessi? Così, forse, e ce lo auguriamo tutti reciprocamente, riusciremo ad entrare anche noi in quel fi ume di gioia che Papa Francesco ci ha indicato.

*Vicario generale

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È questa la forte aff ermazione dell’apostolo Paolo che le comunità cristiane canadesi pongono alla nostra rifl essione per la Settimana di preghiera per

l’unità dei cristiani di quest‘anno. “È un ammonimento che riceviamo, comprendendolo innanzitutto nel conte-sto in cui l‘apostolo lo pronuncia. Il brano della Prima lettera ai Corinzi, infatti, richiama l‘attenzione sul modo in cui possiamo valorizzare e rice-vere i doni degli altri anche ora, nel nostro stato di divi-sione. Paolo viveva in un mondo cosmopolita contraddistinto dalla pluralità di fedi, religioni e fi losofi e. Cosa pensereb-be della fatica dei cristiani di oggi ad aff rontare le società multiculturali che caratterizzano la nostra epoca? Paolo stesso era un prodotto, se così si può dire, dell’incontro tra due culture, quella ebraica e quella ellenistica. Pur es-sendo ebreo e cittadino romano, non scrive né in ebraico né in latino, ma in greco. Egli confessa di essersi adattato “a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni” (1Cor 9,22). L’impero romano, in fondo, era ecumenico, accoglien-te e tollerante, purché non si mettesse in discussione il primato di Roma e il culto dell’imperatore. Credo che ai cristiani di oggi che fanno fatica ad aff rontare le società multiculturali, Paolo direbbe: la multiculturalità è posi-tiva e quindi va aff rontata con fi ducia e libertà interiore, alla condizione che si abbia chiaro il centro di tutto, che è

Cristo Gesù, e ci si tenga saldamente ancorati a lui.Pensiamo per esempio all‘arrivo di migranti da ogni par-te del mondo e, soprattutto, da quel sud del mondo nel quale oggi vive la maggioranza dei cristiani. Pensiamo alle chiese di migranti che si formano sul nostro terri-torio. Pensiamo alla presenza di altre religioni giunte ad allargare i nostri confi ni culturali e perfi no spiritua-li. Pensiamo all‘esigenza di libertà e di dialogo che una società multiculturale sempre più richiede. Sia anche questo l‘orizzonte ecumenico della nostra ricerca di uni-tà, raff orzata dalla nostra continua e fervida preghiera di fraternità.Il Cardinale Kasper, intervenendo con una Lezione Ma-gistrale al Master in “Chiesa, Ecumenismo e Religioni”, ha aff ermato che «in un’epoca in cui “il termine globaliz-zazione caratterizza la nostra condizione”, l’ecumenismo diventa anche “una risposta ai segni dei tempi». Si può constatare che grazie alle nuove possibilità off erte dalle comunicazioni i popoli sono ormai più vicini, “volenti o nolenti sulla stessa barca”. È per questo motivo che l’ecu-menismo è uno dei nodi centrali della nostra identità cri-stiana. I cristiani separati, ha constatato il Cardinal Ka-sper, “normalmente non si considerano più stranieri gli uni nei confronti degli altri, in competizione”, ma “fratelli e sorelle”: dunque “hanno colmato la precedente man-canza di comprensione” e “hanno fatto l’esperienza che ciò che li unisce è molto più grande di ciò che li divide”.Il dialogo ecumenico oggi è come un volo d’aereo: con questa immagine il cardinale Kurt Koch ci ricorda l’im-portanza di affi darsi alla preghiera, non solo nei momen-ti ecumenicamente più forti dell’anno, poiché proprio con la preghiera si possono aprire delle strade che aiuta-no a comprendere la rotta del volo d’aereo anche quando, come capita proprio durante un viaggio in aereo, guar-dando fuori dal fi nestrino sembra di essere fermi men-tre stiamo invece viaggiando verso la piena unità visibile della Chiesa.

*già Direttore dell’Uffi cio diocesano per l’ecumenismo

Giacomo Lombardi*

Cristo non può essere diviso!

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“No ai sacerdoti untuosi e a i ‘preti-farfal-la’ che vivono nella vanità”. «I sacerdo-ti che si allontanano da Gesù perdono

l’unzione, invece di essere unti fi niscono per essere

untuosi. Quanto male fanno alla Chiesa i preti un-tuosi!», ha osservato papa Francesco recentemente. È da un pezzo che egli stimola preti e religiosi con linguaggio semplice ed effi cace. E nel parlare della Chiesa, povera tra i poveri, rievoca quel che Gesù lesse nella sinagoga “Lo spirito del Signore Dio è su di me; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a pro-clamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Isaia 61,1). Bergoglio più volte ha denun-ciato il carrierismo degli ecclesiastici, l’ambizione, la pomposità e lo spreco di danaro, il lusso. Di recente sull’autenticità ha osservato: «Gesù bastonava gli ipocriti, quelli che hanno una doppia faccia. Questa è la responsabilità dei formatori: dare esempio di coerenza ai più giovani”. Con lo stesso spirito e sullo stesso tema ha parlato ai Superiori Ge-nerali degli Istituti religiosi (udienza del 29/11/’13, si veda A. Spadaro su Civiltà Cattolica), decidendo «di non tenere alcun discorso, e di non ascoltare relazioni già preparate: un colloquio franco e libero, fatto di domande e risposte». Metodologia rara nel mondo clericale. Le risposte del papa spaziano sulla formazione dei religiosi e preti; contengono, però, osservazioni preziose anche per la formazione umana e cristiana dei credenti. Ancora il tema della formazione!?

Con candore non ingenuo, il papa racconta nella sud-detta udienza un aneddoto della sua vita. Quand’era

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Franco Candita

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Per amore del mio popoloDeficit di vocazioni o di formazione

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giovane fu ‘consigliato’: «“Se vuoi andare avanti, pen-sa chiaramente e parla oscuramente”. Era un chiaro invito all’ipocrisia. Bisogna evitarla a ogni costo». Il motto di questi ‘consiglieri’ è: Evita di esporti e farai carriera! Invece, formazione qualifi cata (in famiglia, in seminario o noviziato religioso) è quella che in-segna a gestire i confl itti, a individuare, rimuoverne le cause; allora si può parlare di buona formazione. L’educatore che ha saputo compiere bene quest’opera è degno di tal nome, altrimenti no. Diversamente, i giovani religiosi «per evitare i problemi stringono i denti, cercano di non commettere errori evidenti, di stare alle regole facendo molti sorrisi, in attesa che un giorno gli si dica: Bene, hai fi nito la formazione! Questa è ipocrisia frutto di clericalismo, che è uno dei mali più terribili»; «bisogna sconfi ggere questa tendenza al clericalismo nelle case di formazione e nei seminari!». Se la memoria non m’inganna, nes-sun papa ha preso così di petto questi due limiti del-la formazione ecclesiastica: il clericalismo e l’ipo-crisia. Da docente di psicologia negli studentati, da buon gesuita e da esperto pastore ne avrà visto tante! Se nelle istituzioni laiche è insita al sistema la lottiz-zazione del potere, degli interessi, la competizione, la concorrenza, nelle istituzioni ecclesiali è insito il pericolo dell’ipocrisia se s’insinua il “sistema cleri-cale”, dove: a) non esiste rappresentazione dal basso, ma solo per nomina, b) non esiste incarico per con-corso e titoli, ma per cooptazione; 3) la competenza del nominando può cedere il passo alla compiacenza dell’autorità. E che si fa, a volte, per compiacere l’au-torità? Per evitare questi pericoli bisogna richiamarsi a quanto Bergoglio ha ripetuto più volte alla GMG: «La fede é rivoluzionaria, il cristianesimo é rivolu-zionario», far proprio l’invito ai giovani: «Fate chias-so, fate casino, smuovete la Chiesa», accogliere quel “Svegliate il mondo!”, rivedere l’esercizio dell’autori-

tà, insistere sulla formazione umana e cristiana dei preti e dei fedeli basata sui seguenti princìpi condi-visi.

1) Valore “non negoziabile” (termine raro sulla bocca di papa Francesco) della formazione «è la pro-fezia del Regno. Essere profeti e non giocare ad es-serlo»; l’aff ermazione dei valori non negoziabili non deve prevalere sull› evangelizzazione, e ciò non per mutamento del piano dottrinale, ma per un orienta-mento sul piano pastorale: «le situazioni che vivia-mo oggi pongono sfi de nuove, a volte persino diffi cili da comprendere». Quanta umiltà nell’ accostarsi ai problemi delle persone, senza saccenteria o spiritua-lismi evanescenti! Educare i fi gli delle famiglie di separati o di omosessuali, ad esempio, è una sfi da; «la percentuale di ragazzi che hanno i genitori sepa-rati è elevatissima. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia? Attenti a non sommini-strare ad essi un vaccino contro la fede», avendo la presunzione che siano sempre un vaccino per la fede le nostre parole, i nostri giudizi, le nostre categorie mentali.

2) Centrale è l’aff ermazione pedagogica: «La forma-zione deve essere orientata non solo alla crescita per-sonale, ma alla sua prospettiva fi nale: il popolo di Dio». «Il formatore deve pensare che la persona in formazione sarà chiamata a curare il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare nel popolo di Dio, dentro di esso. Pensiamo a quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto: non sono fatti per il popolo. In-somma: non dobbiamo formare amministratori, ge-stori, ma padri, fratelli compagni di cammino». La duplice dimensione personale e sociale del-la formazione dei seminaristi e novizi, ma anche di ogni buon cristiano, è un’esigenza fondamentale:

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i papà, le mamme, i catechisti, i docenti che esclu-dono o lasciano inespressa nella formazione dei ra-gazzi la dimensione “sociale” e “comunitaria” fanno un buco nell’acqua. L’educatore è fi glio del popolo, ma non sempre “sente” in sintonia con il popolo. Purtroppo tra i battezzati ci sono tanti socialmente diseducati, pretenziosi bulli della ricchezza, del di-sprezzo delle leggi, dell’ inosservanza delle leggi! Le cronache di questi primi giorni del 2014 ci sommer-gono riferendo i danni che amministratori politici, burocrati, banchieri, gestori della grande fi nanza procurano al popolo, perché hanno competenze, ma sono estranei alla gente, al disopra il popolo. Dal post terremoto in Abruzzo ai rifi uti nel Lazio, allo sperpero dei soldi pubblici, acquistando Diabolik in Sicilia, «la corruzione deborda in ogni parte del Pa-ese, in ogni settore in cui la politica s’intreccia con gli aff ari. I partiti si danno da fare per svuotare le carceri e rendere la custodia cautelare più diffi cile, non per alzare barriere alla illegalità». Dal padrinato religioso a quello aff aristico (e dicono pure di agire per il bene del Paese); roba da psicoa-nalisi: Competenti e dis/sociali, casta e non lievito, lupi travestiti da agnelli!

Crescere “dentro il popolo” per un laico o prete o religioso vuol dire «crescere per testimonianza, non per proselitismo, legata ad atteggiamenti che non sono gli abituali: generosità, distacco, sacrifi cio, il dimenticarsi di sé per occuparsi degli altri». Nell’u-dienza agli studenti dei gesuiti (7/6/’13), il papa si rivolse agli educatori: «voglio incoraggiarvi a cerca-re nuove forme di educazione non convenzionali. È importante non essere tranquilli con le cose conven-zionali». «Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza, no: è impedire che le personalità cresca-no». Parole critiche di alcuni metodi educativi: come c’è un pensiero di/vergente che è creativo e non ripe-titivo (spesso represso non incentivato), così ci sono

atteggiamenti e degli intendimenti di/vergenti, non abituali, che l’educatore censura. Si mortifi ca chi è ‘sanamente reattivo’ e si predilige chi è ‘docilmente esecutivo’. Inoltre, bisogna vincere la prigrizia mentale che impedisce di «vedere la realtà da più punti di vista diff erenti e capire e abituarsi a pensare». «Se questo non avviene, si corre il rischio di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e ciò non è sano». Infi ne: «Il fantasma da combattere è l’immagine del-la vita (ecclesiastica) come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno diffi cile e complesso».

3) «La formazione è “formarsi ad essere fratelli”». La fraternità (con la sua storia civile e religiosa) o è ampia (ed è una cosa grande) o è angusta quanto la gabbia di uno zoo (ed è un disastro). Il disastro di certe comunità. Nella visione di Bergoglio chi «vive la fraternità accarezza i confl itti». Meraviglioso l’ossimoro “carezza/confl itto». La consapevolezza e condivisione della paternità divina, l›idea e la pro-spettiva del sostegno e aiuto reciproco, il «dove non ci arrivi tu, vengo a darti una mano» non per so-stituirmi a te, ma per farti essere presente, stimato sono carezze, che possono lenire il confl itto - cioè l’in-dividualismo, il pessimismo sul valore dell’altro, il timore che l’altro mi voglia fare le scarpe o farmi fare brutta fi gura, o togliermi ciò che ho (uffi cio, parroc-chia, fedeli, introiti).«La fraternità ha una forza di convocazione enor-me - rammenta il papa. Si pensi alla fraternità di

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Taizé, dove convivono monaci cattolici, calvinisti, luterani.. eppure tutti vivono veramente una vita di fraternità. Sono un polo apostolico impressionante per i giovani». Il rifi uto della diversità, l’omologazio-ne autoritaria sono «malattie distruttive della frater-nità». Se manca la fraternità i confl itti defl agreranno e s›invocherà l›intervento del diritto, del giudice, an-che tra prete prete, tra prete e vescovo, tra Istituto e Congregazione. «I confl itti comunitari sono ine-vitabili: in un certo senso devono esistere, se la co-munità vive davvero rapporti sinceri e leali. Questa è vita. Se in una comunità non si soff rono confl itti, vuol dire che manca qualcosa. In tutte le famiglie e in tutti i gruppi umani c’è confl itto. Il confl itto va assunto: non ignorato. Se coperto, crea pressione e poi esplode. Una vita senza confl itti non è vita»; e la condotta di chi ‘copre’, ‘ignora’ il confl itto (in fami-glia, nelle associazioni, nelle comunità monastiche e religiose) è antieducativa. Ovunque. Ne conosciamo di casi.

«La formazione non è facile da realizzare, osserva il papa, la cultura odierna è molto più ricca e confl ittua-le di quella vissuta da noi, anni fa. Oggi l’incultura-

zione richiede un atteggiamento di-verso. Ad esempio, non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto». «La formazione è opera artigiana-le, non poliziesca. Dobbiamo for-mare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio». Linguaggio schietto, chiaro. Qual è il terribile gioco formativo poli-ziesco? Se il formatore scruta: con chi parla quel novizio o seminari-sta, quali idee e convincimenti ha; se misurerà la sincerità dalle con-

fi denze che riceve dall’educando e riterrà il parlar chiaro sfacciataggine; è allora che il giovane s’infi la nel tunnel del parlare oscuro, ambiguo o da lecca-piedi. I gialli della formazione ecclesiastica solo alla fi ne mostrano il colpevole, quando è troppo tardi, e si scorgono i “mostri” (come li chima il papa, e non credo che si riferisca solo ai pedofi li, ma anche ai santarellini invasivi e “ipocriti carrieristi”).

Altre indicazioni preziose dà il papa: a) “il confl itto va accompagnato”, b) “la tenerezza (“una tenerezza eucaristica”) aiuta a superare i confl itti”, c) le fragilità vanno aiutate anche con l’aiuto della psicologia; d) «L’unità è superiore al confl itto; e) «mai dobbiamo agire come gestori, davanti al confl itto, di un fratel-lo. Dobbiamo coinvolgere il cuore»; f) la realizzazio-ne personale non è mai un’impresa individuale, ma collettiva, comunitaria. Il confl itto può evolvere in processo di maturazione». È sperabile che si formi il collettivo dei preti, dei religiosi, dei seminaristi e dei novizi in cui maturare anche attraverso i confl itti, stemperare gli attriti, allenarsi alla fraternità e al re-ciproco aiuto?

MemOria anno IX n. 1 Gennaio 2014

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SPECIALE CONVEGNO CARITAS

Diversi mesi di preparazione e un successo di partecipazio-ne che ha scavalcato ogni aspettativa: il convegno “Ascolta-re, Osservare, Discernere” organizzato dalla Caritas dio-cesana di Oria e tenutosi il 12 dicembre 2013 è stato un ottimo momento di informazione ma anche di formazione.

Memoria ha intervistato il direttore di Caritas diocesana di Oria, don Alessandro Mayer.

Quali motivi hanno spinto la Caritas diocesana di Oria a realzzare il Convegno?

Il convegno è stato una tappa all’interno di un progetto di risistemazione e di animazione della Caritas diocesana già partito circa un anno addietro e dal titolo “St’Oria nuova - parte prima”.

In cosa consiste il progetto?Quando si è costituita la nuova équipe di Caritas dioce-sana si è capito che occorreva innanzi tutto formare gli operatori e poi operare una lettura del territorio diocesa-no in relazione alle povertà più emergenti e alle risorse di cui dispone la comunità cristiana e poi tutto il territorio. Questo è necessario per capire quali siano le priorità sul-le quali Caritas deve progettare e stimolare. Per cui – in accordo con Caritas Italiana che ha suggerito i contenuti e le tappe della formazione – ci si è impegnati a formare i volontari e poi a costituire i primi due strumenti essen-ziali: il Centro di ascolto e l’Osservatorio delle povertà e

risorse.

Il convegno è stata l’occasione per lanciare pubblicamen-te questi due strumenti.

L’iniziativa ha visto una massiccia partecipazione di volontari, operatori del sociale e persone interessate a vario titolo, oltre ad una eccezionale attenzione da parte della stampa. Le attese dunque sono tante. Come si concretizzerà praticamente quanto presentato nel convegno?La prima e immediata concretizzazione si è già avuta con l’apertura del Centro di ascolto diocesano, che già ha funzionato in maniera sperimentale per nove mesi: l’inaugurazione perciò ha dato un carattere di uffi cialità a qualcosa che già era partito. Poi, grazie ai dati rilevati dall’Osservatorio si comincerà a progettare delle inizia-tive concrete e a progettare con i vari partner della rete: parrocchie, associazioni cristiane, associazioni di volon-tariato…

Cosa si intende in concreto per Centro di ascolto e per Osservatorio delle povertà e risorse?Il Centro di ascolto è un luogo, uno spazio, dove chi è in stato di necessità può venire per incontrare dei volontari qualifi cati, ricevendo innanzi tutto il servizio dell’ascolto, cui segue l’orientamento per la risoluzione dei problemi, il reinserimento dopo forti disagi o - in casi di estrema gravità – l’adozione di misure di soccorso immediato.

L’Osservatorio è invece uno strumento che viene off erto dalla Caritas diocesana alla Diocesi intera, utile alla let-tura del territorio. Serve a leggere le povertà presenti e le risorse di cui il ter-ritorio dispone. Que-sto perché, prima di potersi muovere, pri-ma di progettare un intervento caritativo o pastorale in gene-re, occorre conoscere quali sono i problemi e le potenzialità, altri-menti si rischia di fare un buco nell’acqua.

Pierdamiano Mazza

Caritas: ascoltare, osservare, Caritas: ascoltare, osservare, discernerediscernere

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SPECIALE CONVEGNO CARITAS

Il lavoro prodotto dall’Osservatorio, cominciato nel gen-naio 2013 e ancora in corso di svolgimento, è stato inse-rito nel cartografi co pubblicato proprio nel convegno e disponibile ora sul sito web www.caritasoria.it. In esso si possono trovare dati demografi ci, indicatori economici di povertà e di risorse, dati sul reddito, tassi di occupa-zione, disoccupazione, criminalità…

Questi dati poi sa-ranno sempre più confrontati con i dati presi dal cen-simento delle par-rocchie, quasi con-cluso anch’esso.

La Caritas dioce-sana pare dunque aver recepito le linee guida nazio-

nali; le Caritas parrocchiali, nuclei base, stanno rece-pendo ugualmente le direttive diocesane?La necessità non è tanto recepire le direttive, bensì aiutar-si a servire il territorio; infatti in Caritas non esiste una “Caritas ideale”, poiché ogni territorio ha le sue esigenze, diff erenti da città a città, né delle “direttive”; semmai degli esempi che possono fare da stimolo. Il vero e unico scopo di tutto il progetto è sempre la promozione e il sostegno delle Caritas parrocchiali, perché soltanto la comunità cristiana nel territorio è capace di occuparsi dei propri bisognosi. In questo senso tutto il progetto portato avanti dalla Caritas diocesana non è un sostituirsi alle parroc-chie, ma promuovere le Caritas parrocchiali, fornendo loro strumenti, formazione e occasioni di crescita. Per questo abbiamo messo in campo anche lo strumento che chiamiamo “Laboratorio promozione caritas parrocchiali”, con laboratori formativi per i volontari e con il sostegno economico e tecnico ai centri di ascolto parrocchiali. Si sono aperti infatti nuovi centri di ascolto nelle parrocchie e se ne stanno aprendo altri in questi giorni. L’obiettivo è che tutti i comuni ne abbiano almeno uno. Il Centro di ascolto diocesano per il momento supplisce le carenze comunali e fa da stimolo.

Da chi è composta l’équipe diocesana di Caritas?

È composta dal direttore, dal vicedirettore don Vincenzo Martina, che è poi il coordinatore del Centro di ascol-to, da una operatrice con funzione di segretaria e da vari volontari. Alcuni si occupano in maniera specifi ca del Centro di ascolto e sono formati per questo. Altri invece curano l’Osservatorio. Di volta in volta ci sono anche dei consulenti con professionalità specifi che che prestano la loro competenza al momento del bisogno.

Al Convegno erano presenti anche degli stand. Di cosa si trattava?Abbiamo voluto dare evidenza a tre dei vari progetti rea-lizzati in questi anni da Caritas diocesana di Oria. Il pri-mo è il Centro “Il sorriso” di Villa Castelli, un centro diurno per diversamente abili, pensato e realizzato dalla parrocchia S. Vincenzo dÈPaoli e fi nanziato con i fondi dell’8xmille attraverso Caritas. Il secondo era uno stand di “Libera associazione nomi e numeri contro le mafi e” di Ceglie Messapica. Il presidio a Ceglie è nato dai volontari della Caritas parrocchiale, che proprio in queste settima-ne hanno presentato – sempre attraverso Caritas dioce-sana – un progetto di inserimento lavorativo e sociale per le persone con problemi mentali. Infi ne una mostra fotografi ca sulle attività di animazione della Caritas dio-cesana in Albania.

È stata l’occasione per mostrare delle opere-segno che si possono realizzare quando si conoscono bene le esigenze e le potenzialità di un territorio.

Cosa diciamo a chi volesse diventare volontario Cari-tas?Basta venirci a trovare presso il nostro uffi cio oppure visitare il sito di Caritas diocesana o – meglio ancora – prendere contatto con una delle Caritas parrocchiali del proprio comune di residenza e mettersi a disposizione!

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SPECIALE CONVEGNO CARITAS

Nel Centro di ascolto - importante strumento della Cari-tas - si parte proprio dall’accoglienza della persona per poi giungere ad altre funzioni specifi che:

- presa in carico delle storie di soff erenza e defi ni-zione di un progetto di «liberazione»;

- orientamento delle persone verso una rilettura delle reali esigenze e una ricerca delle soluzioni più indicate e dei servizi più adeguati presenti sul territorio;

- accompagnamento di chi sperimenta la mancan-za di punti di riferimento e di interlocutori che restituiscano la speranza di un cambiamento;

- risposta per i bisogni più urgenti, sempre attra-verso il coinvolgimento delle comunità parroc-chiali e del territorio.

Il centro di ascolto diocesano non è sostitutivo di quello parrocchiale e non assume alcun ruolo di delega da parte delle parrocchie.

Esso si pone quale obiettivo principale quello di svolgere - al fi anco del servizio ai poveri- un servizio di anima-zione della comunità cristiana attraverso le principali funzioni di:

-  sussidiarietà (servizio nei confronti di chi vive in condizione di povertà e che ancora non ha trovato accoglienza e ascolto);

- stimolo (servizio di ascolto in continuo dialogo con le comunità parrocchiali e il territorio).

Al suo interno garantiscono la loro presenza oltre al di-rettore e vicedirettore, che ne è il coordinatore, anche un gruppo di volontari (quattro con carattere di continuità e altri consulenti esterni chiamati al bisogno). I membri dell’equipe alternano le loro presenze negli orari di aper-tura dello sportello con un sistema di turni. E’ inoltre operante una commissione per il prestito della speranza e per l’antiusura in relazione alle problematiche attinenti tale area.

QUALCHE DATO SULL’ATTIVITÀ DEL 2013:

Presso il Centro di Ascolto Diocesano si sono incontrati ottanta “utenti” (tra singoli e/o nuclei familiari). Di essi

31 erano donne e 49 uomini. Va però specifi cato che il numero è riferito alle persone arrivate al Centro e quindi non corrisponde al dato numerico degli ascolti eff ettiva-mente realizzati che sono stati molti di più.

Questa la tipologia delle problematiche emerse:

- Problemi economici 52% (indebitamento/nessun reddito/reddito insuffi ciente);

- Problemi di lavoro e/o occupazione 20% (disoc-cupazione/cig/mobilità/licenziamento);

- Problemi di salute 11% (tumori/disagio mentale/depressione);

- Problematiche abitative 7% (sfratto/richiesta di accoglienza provvisoria);

- Problemi familiari 4% (divorzio/separazione/ge-nitore solo);

- Problemi giudiziari 4%;

- Altro 2% (handicap/dipendenze).

Gli ascolti eff ettuati in questi primi mesi di apertura han-no riguardato persone/nuclei familiari con situazioni particolarmente complesse, poiché il bisogno spesso era già stato «fi ltrato» ad un primo livello (parrocchiale/ter-ritoriale). Inoltre è capitato più volte che il problema eco-nomico presentato si è rivelato - da un ascolto più attento - solo come l’espressione di un disagio più profondo.

Disagio che rimanda ad una povertà di tipo relaziona-le o ad una condizione di solitudine e di emarginazione sociale e/o familiare. È per tale ragione che la prossimità agli ultimi esprime la sua «signifi catività» proprio nell’a-scolto e nella relazione con l’altro; al fi ne di ridare la spe-ranza attraverso atteggiamenti di accoglienza, di vicinan-za, di carità fraterna.

Mario Zizzo e Maria Rosaria Gallo

Caritas Diocesana di Oria - Centro di Ascoltovia Castello, davanti alla Chiesa di San BenedettoLunedi: 9.30-12.30Mercoledi: 9.30-12.30 / 16.30-19.00

Il Centro di ascolto diocesano

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L’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse nasce con l’intento di osservare sistematicamente le povertà ed i servizi presenti sul territorio della diocesi di Oria.

Per avviarlo è stata innanzi tutto attuata una rilevazione dei dati esistenti e disponibili.

Di pari passo è partito un censimento a tappeto di tutte le parrocchie della Diocesi. Per poter avviare il censi-mento abbiamo elaborato degli strumenti tecnici quali: scheda di censimento, piattaforma informatica, sito web, cartografi co online.

Per quanto concerne la scheda di censimento da sotto-porre ai parroci ed ai loro collaboratori sono state for-mulate all’interno del questionario sette sezioni che cor-rispondono a diverse categorie di dati (anagrafi ca, servizi esistenti, percezioni e richieste povertà, frequenza biso-gni ed interventi, esigenze gruppo caritas, altri servizi non parrocchiali, valutazione intervista).

Il questionario è stato somministrato inizialmente ai par-roci e poi, lì dove presenti, ai CDA parrocchiali. Si è de-ciso di organizzare le missioni/somministrazioni in cop-pia, in quanto la fi nalità del progetto non è solo quella di reperire i dati, ma anche quella di creare rapporti e rete con le parrocchie e gli altri enti ecclesiastici.

Successivamente i dati raccolti sono stati inseriti in una piattaforma on-line presente sul nostro sito web.

Sito web Caritas Diocesana di Oria

Obiettivo principale sarà, quindi permettere agli Uffi ci diocesani e a tutti i cittadini di usufruire facilmente di informazioni su iniziative, programmi e servizi a dispo-sizione della comunità.

Tra le sezioni del portale, la Mappa delle Risorse e delle Povertà e quindi il Cartografi co può ritenersi il valore aggiunto dell’intera piattaforma. È uno strumento nuovo e permette di illustrare i risultati delle attività di censi-mento con molta facilità.

Cartografi co

Risultati emersi

La prima fase di ricerca, nei primi 10 mesi (gennaio-ot-tobre 2013), ha riguardato l’83,57% del territorio dioce-sano.

Le povertà maggiormente emerse sono quelle di tipo economico e quelle legate alla disoccupazione, abbastan-za in linea con i dati relativi alle medie regionali.

Riguardo ai servizi attivi off erti dalle parrocchie nella nostra diocesi, sono emersi: 27 centri di erogazione beni primari; 16 centri di ascolto e/o segretariati sociali; 5 mense; 3 iniziative di sostegno socio educativo scolasti-co; 1 trasporto per anziani e disabili; 1 centro di socializ-zazione per minori a rischio; 1 servizio residenziale per immigrati; 1 centro diurno per disabili; 1 servizio non residenziali per anziani/disabili; 1 servizio assistenza alle famiglie dei detenuti; 1 servizio di orientamento ricerca lavoro; 1 altro servizio residenziale per minori; 1 struttu-ra di accoglienza.

Remigio Ottembrino e Fabrizia Patisso

SPECIALE CONVEGNO CARITAS

L’Osservatorio delle povertà e delle risorse

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Il cortile del Palazzo Vescovile di Oria conserva una serie di frammenti scultorei erratici databili tra l’XI e il XII secolo e che la tradizione vuole

provengano dall’antica cattedrale romanica, distrut-ta in seguito al terremoto del 1743. Di quell’edifi cio è possibile elaborare una proiezione fi gurata grazie a due stampe seicentesche di Oria [Centonze (1642) e Pacichelli (1682)] da cui è facile individuare la sem-plice sagoma basilicale (Figg. 1,2).Lo storico locale Mario Matarrelli Pagano descrive quello che dovette essere l’impianto progettuale del-la cattedrale all’inizio del ‘600:

[…] è la Chiesa Cattedrale, della quale è bene metter la forma; Ha la porta di marmo fi nissimo con un’arco trave tutto di un pezzo di più di dieci in dodici palmi lungo, e tre in quattro largo: Aff ringiata, e sfogliata à lavoro la cozza di fore pur di marmo con quattro co-lonne di Porfi do fi nissimo di fora, e due appoggiate su dui leoni di marmo, e vi sale nel pavimento con cinque gradi di marmo. La nave della detta Chiesa trà le Ale stà posto su 14 colonne di marmo, sette per banda e su di dette colonne con basi e capitelli aff ringiati, e sfogliati pur di marmo, sopra archi stà tutta la machina con un specchio verso occidente grande bel lavorato, et altre fi nestre verso Oriente tutte di marmo. Tre fonti di marmo fi no. Colonne di Altare di marmo, et alla porta di tramontana pur al-tro lavoro colonne, e leoni di marmo. Sopra la porta principale era un cristallo fi nissimo […]1

La Cattedrale, dunque, si presentava con una faccia-ta adorna di rosone rifi nito da un cristallo, un pro-tiro con quattro colonne di porfi do (di cui non vi è più traccia), due delle quali poggianti su due leoni stilofori, e una grande navata centrale divisa in tre parti da due fi le di sette colonne (derivanti da spolio) fregiate di basamento e di capitelli marmorei2.Tra le colonne di marmi antichi reimpiegati nella Cattedrale romanica di Oria riconosciamo oggi un fusto di colonna in Marmo Pentelico (Fig. 3) ed uno in Greco Scritto (Fig. 4). Tutti i capitelli insieme ai

CULTURALE

I marmi antichi della cattedrale romanica di Oria

Maurizio Delli Santi*

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1 MATARRELLI PAGANO M., Raccolta di notizie patrie dell’antica città di Oria nella Messapia, (a cura di EUGENIO TRAVAGLINI), Oria, Società di Storia Patria per la Puglia, Sez. di Oria, 1976, p. 72. 2 G. D’AMICO, La città di Oria nella Longobardia Inferiore, Oria, Italgrafi ca Edizioni, 1990, p. 114.

*Maurizio Delli Santi, architetto del restauro, è Tecnologo a tempo indeterminato presso l’Istituto per i Beni Archeolo-gici e Monumentali del CNR (Consiglio Nazionale delle Ri-cerche) e professore a contratto di “Trattamento informati-co e catalogazione dei beni artistici” presso il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università degli Studi della Basilicata.

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leoni stilofori (Fig. 5) sono invece costituiti in Mar-mo di Proconneso; le due colonne adagiate accanto al portone della residenza vescovile insieme ad altri rocchi di colonna sparsi nel cortile sono invece in Granito Corso.

Tipi, cave e quantità di marmi antichi reimpiegati nella Cattedrale romanica di OriaMarmo di Proconneso (Marmor Proconnesium)Quello di Proconneso è un marmo bianco, bianco latte a piccoli cristalli, quasi completamente privo di impurità. Del Proconneso conosciamo altre due ti-pologie rilevanti: una tendente al ceruleo, a cristalli medio grandi, utilizzata nella scultura; la seconda, a cristalli grandi, bianca con striature blu è più usual-mente fruita in architettura3.In età classica questo marmo, chiamato comune-mente Proconnesium dal luogo di provenienza, ve-niva anche indicato Cyzicum, dalla città di Cyzico di fronte al Proconneso che, almeno in epoca imperia-le, era il centro di raccolta del materiale e di ammi-

nistrazione delle cave.Il marmo veniva estratto in varie zone dell’isola di Marmara (Turchia), ricca – per ragioni geologiche – di questo materiale lapideo. Il Proconnesio è uno dei marmi bianchi più famosi dell’antichità: oltre che per la naturale bellezza della pietra, ciò fu dovuto anche alla facilità di trasporto, data la posizione strategica dell’isola al centro del-le più importanti rotte commerciali. Pur risultando fragile all’azione degli agenti atmosferici, fu molto utilizzato anche in ragione della sua economicità e le cave, nonché i reperti archeologici, testimoniano prelievi continui e di gran quantità.Se sin dall’età arcaica il suo uso ha conosciuto un in-cremento continuo, raggiunse la massima diff usione con la costruzione della nuova Bisanzio di Costanti-no il Grande.La diff usione del Proconnesio è ampia: essa abbraccia l’Asia Minore, la Siria e la Bitinia, la Tracia, la Mesia, la Dalmazia, le coste adriatiche dell’Italia e, ovvia-mente, Roma. Esso era impiegato per vari elementi architettonici quali colonne, trabeazioni, capitelli e decorativi come lastre di rivestimento e crustae.Nel II e III secolo d.C., inoltre, fu utilizzato anche per sarcofagi, soprattutto nel tipo “a ghirlande” e in quello a “vasca” .Di questo marmo troviamo un grosso reimpiego nella Cattedrale di Trani, nelle cripte delle chiese di SanNicola di Bari, di Otranto e di Santa Maria di Si-ponto.

Greco ScrittoSi tratta di un marmo bianco che presenta cristalli larghi, avenature sottili, con striature o brevi seg-menti, a tonalità cangianti dal blu turchino al grigio nero. Sono presenti sovente delle macchie, anche

CULTURALE

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3 BORGHINI G. (a cura di), Marmi antichi, Roma, De Luca, 1997, p. 252.

Fig. 2 - Pacichelli. Regno di Napoli,Panorama di Oria da Mezzogiorno (1682).

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semplici picchiettature, sempre dello stesso colore bluastro4. La disposizione irregolare delle vene e del-le macchie sul fondo bianco può ricordare le onde marine e suggerisce in certi casi l’idea di segni al-fabetici: proprio quest’ultima osservazione ha origi-nato, nel passato, il nome moderno di Greco scritto.Le cave maggiori risiedono nell’attuale Algeria, a 12 km dalla città di Annata, antica Hippo Regius, sul promontorio di Cap de Garde.L’utilizzazione del marmo per uso locale come ma-teriale edile e decorativo è risalente, per le testimo-nianze archeologiche, alla metà del I secolo a.C., mentre il suo utilizzo a Roma è ascrivibile alla tarda età Flavia.Lo sfruttamento delle cave è proseguito fi no al me-dioevo, così come accertato da alcune iscrizioni in arabo presso le cave stesse.Il Greco scritto non viene qualifi cato quale marmo pregiato; in architettura lo troviamo impiegato oltre che per capitelli, colonne, lesene, anche nelle mura-ture e per la decorazione parietale e dei pavimenti.

Granito Corso (dell’Elba, Giglio e Sardegna)Il granito sardo si presenta alla vista con una grana media e medio-grossa, con un colore d’insieme ro-sato e macchie più larghe di un rosa deciso. I Graniti dell’Elba e del Giglio estratti più comu-nemente hanno tramatura medio-fi ne e un aspetto d’insieme grigio, con alcune notevoli diff erenze. Il primo, infatti, è più fi ne e omogeneo e di un grigio chiaro, con rare piccole inclusioni bianche. Il Grani-to del Giglio, invece, ha una grana leggermente più grossa ed un colore tendente al grigio, con vaste in-clusioni grigie, talvolta chiarissime, talaltra scure. Tra le caratteristiche tecniche va ricordato che l’uti-lizzo è limitato esclusivamente alle colonne, per le

peculiari proprietà di resistenza alla trazione e alle sollecitazioni da spinte.Le antiche cave sardesono situate a 100 km circa da Santa Teresa di Gallura, nella zona di Capo Testa (Cala Spinosa, Punta Acuta, Santa Reparata)5.Il Granito dell’Elba era estratto dai romani alle pen-dici del Monte Capanne mentre il Granito del Giglio era prelevato nella costa orientale a Punta Arenella e a Cala delle Cannelle.Di queste pietre insulari la variante più utilizzata, per quantità, sembra essere il Granito elbano, uno deipiù usati dall’età romana e fi no al medioevo: tale arco temporale di utilizzo concerne, però, anche il marmo della Sardegna e del Giglio.Troviamo varie colonne di questo Granito nella na-vata della Cattedrale di Taranto, un fusto di colonna è presente nella cripta della Cattedrale di Otranto.

4 Ivi, p. 237. 5 Ivi, p. 221.

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CULTURALE

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6 Ivi, p. 251.

Altre colonne di questo marmo sono presenti nella chiesa superiore della Cattedrale di Trani e nel co-lonnato della Cattedrale di Barletta.

Marmo PentelicoSi tratta di un marmo a grana fi nissima, ha un tessu-to a scaglie di un bianco candido, che spesso sfuma al giallo chiarissimo e a venature di un verde bril-lante6.Le cave dell’antichità erano situate prevalentemente sul versante sud-occidentale del Monte Pentelico, in Grecia. Il marmo era estratto dai Greci a partire dal V secolo a.C. e la sua utilizzazione proseguì per tutta l’epoca romana, fi no al IV secolo d.C.Le cave del Pentelico non appartenevano al patrimo-nio imperiale e dalle iscrizioni si ritiene che siano

appartenute a Erode Attico ( II sec. d. C.).I Greci lo impiegarono per opere architettoniche e di scultura, tutti i monumenti più importanti di Ate-ne sono stati realizzati con questo marmo. A Roma, questo marmo è impiegato soprattutto per la statua-ria, mentre i monumenti conoscono l’utilizzo del Pentelico nell’Arco di Tito.In Puglia si notano alcune colonne in Marmo Pente-lico nella chiesa superiore della Cattedrale di Trani oltre che nella cripta intitolata a San Nicola Pelle-grino.

BIBLIOGRAFIA

MATARRELLI PAGANO M., Raccolta di notizie pa-trie dell’antica città di Oria nella Messapia, (a cura di EUGENIO TRAVAGLINI), Oria, Società di Storia Patria per la Puglia, Sez. di Oria, 1976.

D’AMICO G., La città di Oria nella Longobardia In-feriore, Oria, Italgrafi ca Edizioni, 1990.

BORGHINI G. (a cura di), Marmi antichi, Roma, De Luca, 1997.

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CULTURALE

Fig. 5 - Oria. Palazzo Vescovile, cortile:leone stiloforo in Marmo di Proconneso.

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Il vescovo Vincenzo e l’Uffi cio diocesano per la Pastorale della famiglia invitano tutte le giovani coppie alla

FESTA DEI FIDANZATI 2014che si terrà il 13 febbraio 2014 alle ore 19.30 presso il

Santuario di San Cosimo alla Macchia in Oria.

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PRO

Agenda pastorale del Vescovo, gennaio 2014

ANNIVERSARI di ORDINAZIONE

3 gennaioDon Lorenzo Melle - V

4 gennaioDon Antonio Carrozzo - XVII

5 gennaioMons. Alfonso Bentivoglio XLDon Umberto Pezzarossa XXVDon Antonio Longo XVI

10 gennaioDon Dario De Stefano XVI

16 gennaioDon Rocco Erculeo XV

COMPLEANNI

12 gennaioMons. Angelo Principalli

16 gennaioDon Domenico Panna

23 gennaioDon Domenico Spina

mercoledì 1 gennaio 2014

Basilica Cattedrale, OriaPontifi cale Santa Madre di Dioore 11:00

Chiesa parrocchiale del Carmine, Francavilla FontanaSanta Messaore 18:30

venerdì 10 gennaio 2014

Santuario di San Cosimo alla Macchia, OriaScuola di preghieraore 19:00

lunedì 20 gennaio 2014

Convento di San Francesco, SavaSanta Messa con la Polizia Municipaleore 10:00

venerdì 24 gennaio 2014

Basilica Collegiata del Rosario,Francavilla FontanaFesta della Madonna della Fontanaore 18:30

venerdì 31 gennaio 2014

Chiesa parrocchiale di San Giovanni Bosco,ManduriaSanta Messa in onore diSan Giovanni Boscoore 18:00

MemOria anno IX n. 1 Gennaio 2014

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a cura di Francesco Sternativo

IN...VERSI

Giancarlo Pontiggia

Origini

Canto ciò che fu primae ciò che venne. Tuttoera sospeso in unaquiete lunga, nel fortevuoto. Il cieloimmane, fi ottante chiglia, eramuto. Non c’eranouomini, né bestie, né pietre;né fronde, né erbe, né ali sulleardue terrazzedel cielo. Soloil sole c’era,e non aveva nome. La terranon c’era; solo c’erail mare, e la sua verdepietra. Non c’era

nulla di radunato, nullache risuonasse in cielo. Nientesi muoveva, né qua né là; nientenuotava nel mare di pietra. Soloquiete, e un celibeocchio di pietra. Niente, vi dico,esisteva. Solo, c’era, il fragoredel mare, là, in quel buioantico, come un’anticapietra.

da “Bosco del tempo” (Guanda 2005)

Scorreva la vita come un miele

Scorreva la vita come un miele

troppo dolce, troppo forte. Salivano ai grandi cieli, vasti come il tempo, sacricome un’icona, grididi una vita frastornante, sospesa. Abbacinàtigli occhi stupivano. Il cuore no. A un giornopiù scuro, segreto, pensavo, alla gemmachiusa in un suo torpido sonno, al fruttoche marcisce, stordito, tra le fronde.

da Bosco del tempo (Guanda 2005)

MemOria anno IX n. 1 Gennaio 2014

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IN...VERSI

E nascemmo

E nascemmoalla vita che già c’era. Le cosec’erano, le tante, le inauditecose, di cui c’invaghimmopoco a poco, E noi guardavamo l’aria che luceva e piove e nevie soli che stagnavano, tiepidi,nelle mattine troppo quiete.E guardammo, un giorno, i nomile parole prime, scure,che dicono sì e no, che oscillanotra le cose.

E vedi E vedi che durare possono le cose che non hanno vita, e tu muori, e questi versi, che altri un giornoleggeranno, durano più di te,e tu non duri,

e li hai fattie in queste stanzedove tante ore haidormito, altrici dormiranno: e così pocoè la vita, che un verso, un muro, un lettosono più lunghi di te, erano prima, e sono dopodi te.

Auguria

Nomi e natiio pongo i vostri confi ni qui,lungo il corso dell’intero anno,fi n dove con suoni vi avrò chiamati;ogni cosa che intendoaver detto, ogni nome e ogni nato,per voi sarà qui ogni confi ne, a sini-straogni cosa che intendoaver detto, ogni nome e ogni nato,per voi sarà qui ogni confi ne, a de-stra,tra questi segni, in questa direzione,secondo misura di occhi, cuore e

mentecomunque, entro questi limiti,nel modo che solo va inteso,entro i confi ni del canto.

da “Con parole remote” (Guanda 1998)

Mi rapivano le vie polverose, i muri

Mi rapivano le vie polverose, i muridi campagna intonacatialla buona, sui qualiil sole muovendosi posauna spiga di luce calda,ombrosa. Toccandolacon la mano mi parevadi accedere a un’altra vita:non la mia, forse (pensavo),ma un’altra, più strana,più romita.

(da: Giancarlo Pontiggia, Bosco del tempo, 2005)

Giancarlo Pontiggia è nato a Seregno, in provincia di Milano, nel 1952. Ha studiato Lettere all’Università degli Studi di Milano, lau-reandosi sulla poesia di Attilio Bertolucci. Redattore di “Niebo” (1977-1981), rivista di poesia e di poetica diretta da Milo De Angelis, ha curato insieme ad Enzo Di Mauro La parola innamorata. Poeti nuovi (Feltrinelli, 1978). Dal francese ha tradotto, fra l’altro, La nouvelle Justine di Sade, le Bagatelle per un massacro di Céline, le tre versioni del Fauno di Mallarmé, La bambina dell’oceano di Su-pervielle, Charmes e Il mio Faust di Paul Valéry. Verso la fi ne degli anni Ottanta ha concentrato il suo interesse sul mondo classico, traducendo le Olimpiche di Pindaro, La congiura di Catilina di Sallustio (Mondadori 1992, con introduzione e commento) e Rutilio Namaziano. Successivamente ha pubblicato, in collaborazione con Maria Cristina Grandi, una Letteratura latina. Storia e Testi in 3 volumi (Principato, 1996-1998). Poesie, saggi e studi di teoria poetica sono sparsi su numerose riviste, in antologie e volumi collettivi. Nel 1998 è apparsa, presso Guanda, la raccolta poetica Con parole remote (Premio Internazionale Eugenio Montale 1998) e nel 2005 Bosco del tempo. Testi di poetica si possono leggere, per limitarsi alle edizioni in volume, in Colloqui sulla poesia (Nuova Eri, 1991), Passi passaggi. Partecipazione e solitudine nell’arte (Sestante, 1993), La parola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana (Marsilio, 1995), Contro il Romanticismo / Esercizi di resistenza e di passione (Medusa, 2002), Selve letterarie (Moretti&Vitali, 2006). Insieme a Paolo Lagazzi è l’autore del manifesto per una nuova critica I volti di Hermes che è stato pubblicato sul n.209 dell’ottobre 2006 della rivista Poesia dell’editore Crocetti. Sempre con Lagazzi ha curato il Meridiano Mondadori dedicato a Maria Luisa Spaziani ed è il responsabile della Sezione Letteratura Italiana della rivista Ali (Edizioni del Bradipo), diretta da Gian Ruggero Manzoni, e della rivi-sta Poesia e Spiritualità, diretta da Donatella Bisutti. È redattore della rivista “Poesia” e critico letterario per il quotidiano nazionale “Avvenire”. Insegna letteratura italiana e latina in un liceo di Milano.

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