MEDITERRANEO L’ora dell’accoglienza

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Gentes Lms - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Roma - Dir. Resp. Massimo Nevola sj M M a a g g g g i i o o G G i i u u g g n n o o 2 2 0 0 1 1 1 1 N N º º 3 3 m m e e n n s s i i l l e e d d e e l l l l a a l l e e g g a a m m i i s s s s i i o o n n a a r r i i a a s s t t u u d d e e n n t t i i e e d d e e l l M M . . A A . . G G . . I I . . S S . . MEDITERRANEO MEDITERRANEO L’ora dell’accoglienza L’ora dell’accoglienza

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SOMMARIO

65 EDITORIALE– Abbassarsi all’incontro con Dio: i campi e l’impegno

sociopoliticodi Leonardo Becchetti

68 STUDIO• MEDITERRANEO, L’ORA DELL’ACCOGLIENZA

– Sbarchi: fare finta di niente o farsi prossimi?di Giacomo Costa S.I.

– Il viaggio di Houssemdi Maria Romana Caforio

– Mediterraneo, i diritti delle minoranzedi Janiki Cingoli

– L’Egitto dopo piazza Tahir. Il peso dei Fratelli Musulmanidi Maurizio Debanne

84 INVITO ALLA PAROLA– “In ricordo di padre Francesco Botta S.I.”

di Enrico Deidda S.I.

85 MISSIONE E SOCIETÀ– ReggioNonTace: un movimento di gente nato da una bomba

di Giovanni Ladiana S.I., Giovanni Licordari e FrancescaSottilotta

– Da Scampia a Modena. Perchè alla mafia non si è prede-stinatidi Andrea Zanni

– Kiva… là! Piccolo viaggio nel microcreditodi Luigi Salvio

94 VITA LEGA– Frammento rumeno

di Fiorella Orazzo

– Torino, una rete ignaziana per i progetti della Lms-Cvxdi Massimo Cantoni

mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S.

N. 3 Maggio-Giugno 2011

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Massimo Nevola S.I. (direttore),Michele Camaioni (redattore capo),Dario Amodeo, Leonardo Becchetti,

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Alessio Farina, Francesco Salustri,Luigi Salvio, Pasquale Salvio,

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Finito di stampare Giugno 2011

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L’ L’uomo cerca Dio volgendo lo sguardo in alto verso il cielo per soddisfare ilsuo desiderio di andare oltre i suoi limiti, ma Dio gli dice di rivolgere lo sguar-do verso il basso, verso i fratelli perché è lì che potrà trovarlo. Abbiamo scelto

come simbolo del nostro prossimo convegno di Pompei (28 ottobre – 1° novembre2011), cui dobbiamo cominciare a puntare sin da ora, un bellissimo dipinto della lavan-da dei piedi nel quale Gesù è di spalle e lava i piedi all’apostolo. Il suo volto non si vededirettamente ma è ben visibile indirettamente, riflesso nella bacinella dell’acqua. Abbas-sarsi all’incontro con Dio è il filo conduttore che unisce la vita della Cvx-Lms di quest’ul-timo anno e il programma di azione nel prossimo.Girando il paese in visita alle nostre comunità, sono consolato nel vedere i frutti dellaspiritualità ignaziana, che ha prodotto forme diverse ed originali di questo abbassarsi. APadova la nostra comunità ha avviato un confronto critico con la chiesa sui temi del-l’impegno sociale e politico che ha avuto vasta eco e raccolto consensi in tutta Italia. ACagliari una nostra guida, Matteo, di 28 ann,i è divenuto uno dei più giovani consigliericomunali della nuova giunta dopo una campagna elettorale fresca, condotta dal basso

grazie all’entusiasmo di un pugno di amici. Sempre aCagliari gran parte della comunità è impegnata datempo nella gestione della casa di esercizi spiritualidel Pozzo di Sichar. A L’Aquila Roberto e la comunitàhanno lavorato a un bellissimo progetto di scuola diformazione politica, che nel prossimo agosto offriràun percorso residenziale a una ventina di giovani ditutta Italia. La comunità di Reggio Calabria è impe-gnata ormai da tempo in Reggio non tace, in prima li-nea su un fronte difficilissimo come quello della bat-taglia per la legalità contro la ‘ndrangheta. In tutte lealtre città (Bergamo, Chieri, Biella, Genova, Lecce,Grottaglie, Trieste, Torino, Bologna, Milano) i mem-bri della Cvx sono impegnati da anni nell’animazionedi realtà sociali e spirituali importanti sul loro territo-rio. Prosegue il cammino e l’impegno dei gruppi-fa-miglia in tutta Italia con l’approfondimento e la testi-

EDITORIALE

Abbassarsi all’incontro con Dio:i campi e l’impegno sociopolitico

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monianza sul come incarnare nella vita di tutti i giorni, un modello di fedeltà nei legamie di apertura ai bisogni attraverso legami sempre più stretti con case famiglia e coope-rative sociali, che è oggi un grande segno di testimonianza in una società che si muovein tutt’altra direzione.Alla vigilia della nuova stagione dei campi estivi, siamo pronti per partire con un nuovociclo della nostra fabbrica di capitale sociale, riproponendo quell’esperienza valida e ap-prezzata in tutto il nostro mondo sociale ed ecclesiale, attraverso la quale i nostri giova-ni realizzano l’incontro tra la loro povertà di senso e la povertà di bisogno dei ragazziche incontriamo in Perù, Cuba, Romania e Kenya. Le tre onlus impegnate in Romania,Kenya e Perù stanno lavorando in modo sempre più integrato e solidale tra di loro peraumentare impatto e sinergie nella ricerca di fondi di sostegno alle nostre opere.Quali sono le direzioni future in cui possiamo incarnare i nostri principi fondamentalialla luce dello Spirito? Dobbiamo crescere ancora molto non nella capacità di fare e disviluppare piste originali, che non ci manca, quanto piuttosto nella sapienza di costrui-re la rete e di rinforzare una comunità nazionale che, attraverso l’unione e le sinergietra le diverse parti, consente di valorizzare molto meglio i nostri rispettivi talenti.Il mondo degli ignaziani resta molto disperso e frammentato e come tale non riesce asviluppare al meglio quelle potenzialità che ha, non valorizzando appieno i talenti rice-vuti. Come Lms abbiamo dato un segnale importante nel processo d’integrazione con laCvx, ma molto resta e deve ancora essere fatto. Una delle vocazioni di chi è nato e cre-sciuto alla scuola della spiritualità ignaziana è la ricerca del magis. È quest’ambizionebuona che ci rende sempre insoddisfatti di ogni nostro traguardo penultimo e ci spingead andare oltre.Il nostro cammino entra a pieno titolo all’interno di un percorso di cambiamento e diconversione del nostro paese. Al di là di destra e di sinistra, ogni volta che andiamo al-l’estero subiamo l’imbarazzo della stessa domanda. Come fate a sopportare un tale de-grado (morale ma non solo) della vostra classe politica, lo svilimento e indebolimentodelle istituzioni tra mille conflitti d’interesse? Le occasioni elettorali più recenti (ammi-nistrative, referendum) sembrano dare una risposta, avviando una nuova primavera peril paese. Ne abbiamo grandemente bisogno per superare una situazione bloccata, unaparalisi che sta avendo conseguenze molto gravi su molti piani (i giovani, l’operativitàdei servizi sociali, ecc.). Non c’è bisogno di inventare molto, perché all’estero sono giànati esempi coraggiosi che ci possono ispirare (dalla battaglia per la democrazia di Oba-ma al coraggioso e rischioso programma di chiusura del nucleare e investimento per ge-nerare una leadership nelle rinnovabili della Merkel).Continuiamo così ad abitare il cambiamento, rinforzando e portando ad unità il mondoignaziano e lavorando, con la nostra identità, dentro le reti più grandi di uomini di buo-na volontà su quei fronti decisivi sui quali si gioca il futuro del bene comune (Campa-gna 005 per la tassa sulle transazioni finanziarie, giustizia climatica, rinnovamento del-la classe politica, consumo e risparmio responsabile nelle sue varie forme del commer-cio equosolidale, della Banca Etica e della responsabilità sociale d’impresa, impegnocon i migranti e per l’integrazione dei rom). In un bellissimo intervento alla giornata cit-tadina della Cvx romana monsignor Feroce, successore di Di Liegro e nuovo direttoredella Caritas romana, ha interpretato il magis parlando di carità dell’intelligenza, impor-tante come è più della carità di servizio, e ci ha offerto una preziosa suggestione: il sa-

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maritano ha fatto bene, ma se fosse arrivato un’ora prima prevenendo la violenza avreb-be fatto ancora meglio. Dobbiamo assistere e curare, ma il magis ci chiede di indirizza-re i nostri sforzi anche verso l’obiettivo di interrompere la produzione seriale di margi-nalità che alcuni meccanismi del nostro sistema socioeconomico mettono perversamen-te in atto. Chi se non noi è chiamato, riprendendo il famoso motto della Lumen Gen-tium ad «ordinare le cose del mondo secondo Dio»?

Leonardo Becchetti

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ABBASSARSI ALL’INCONTRO CON DIOVerso il convegno nazionale Cvx-Lms di Pompei (28 ottobre – 1° novembre 2011)Carissimi,uno dei momenti più belli della vita Cvx-Lms, l’unico in cui è possibile vivere e gustare la bellezza del no-stro essere comunità nazionale all’interno dalla comunità mondiale, è il convegno. Partecipare al convegnonon è soltanto un dono che facciamo a noi stessi, ma anche un dono ai nostri amici della comunità nazio-nale, in quanto la presenza di ciascuno di noi rende più ricco il convegno per tutti!Il prossimo convegno nazionale si svolgerà a Pompei da venerdì 28 ottobre fino al pranzo del primonovembre 2011. Nelle linee guida che abbiamo costruito si è pensato come titolo ad Abbassarsi all’in-contro con Dio, avendo a mente che l’uomo nel suo desiderio di autotrascendenza cerca Dio guardandoverso l’alto, ma Dio lo rimanda verso i fratelli insegnandogli che è lì che l’uomo potrà trovarlo. Su questabase abbiamo individuato tre temi guida:

1) abbassarsi all’incontro con Dio nel politico e nel prepolitico;2) abbassarsi all’incontro con Dio con l’impegno missionario;3) abbassarsi all’incontro con Dio attraverso la via dell’arte e della bellezza.

Per ciascun tema abbiamo pensato ad una serie di relatori di valore. Sul primo punto avremo Tano Gras-so, fondatore dell’associazione Antiracket, mons. Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso giàimpegnato in prima linea in una terra difficile come la Locride, e Silvia Dolfini, che ha fondato assiemeal marito un’associazione, Casa Betania, che gestisce una rete di case-famiglia per giovani ragazze-ma-dri immigrate che rappresenta un modello di impresa sociale nel nostro paese.Sul secondo tema avremo la presenza straordinaria dal Kenya di p. Paulino Mondo, il parroco missio-nario che anima una delle comunità più numerose nello slum di Kariobangi a Nairobi, dove ha avviatoun’esperienza di microcredito di grande valore in loco e una scuola per i bambini dello slum, iniziative chesosteniamo attraverso i nostri campi missionari.Il terzo tema sarà sviluppato da p. Jean Paul Hernandez il quale, attraverso il metodo delle “Pietre vi-ve”, ci guiderà alla visita del Battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte e della chiesa delGesù Nuovo, illustrando come queste due opere artistiche possono essere vie per arrivare a Dio.L’ultimo giorno avremo una tavola rotonda con politici nazionali di diversi schieramenti per ragionaresul tema dell’impegno dei cattolici in un momento difficile come quello attuale, in cui in molte associazionisi riflette sul fatto che il prepolitico non basta e che sarebbe importante stimolare vocazioni all’impegno po-litico. Abbiamo pensato anche a una visita notturna guidata agli scavi di Pompei e, in un’altra serata, auno spettacolo musicale animato da un gruppo di giovani musicisti della comunità Emmanuel. La pri-ma serata sarà invece dedicata a un momento conviviale, nel corso del quale premieremo il migliore cor-tometraggio, la migliore fotografia e il migliore racconto breve sui temi del convegno.Tra il 28 ottobre e il 1° novembre trasferiamoci tutti a Pompei!

Il gruppo promotore e l’Esecutivo Nazionale Cvx

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L’ itinerario di ogni essere uma-no si compone di una moltitu-dine di episodi più o meno si-

gnificativi, in una routine in cui i nuovi siincastrano progressivamente nella seriedei vecchi, senza che necessariamente neabbiamo piena consapevolezza. Ma cisono eventi che squarciano questa routi-ne, aprendo all’improvviso il nostrosguardo sulla totalità della nostra esi-stenza e sul senso che intendiamo darle:la gioia di una fecondità inattesa e laprova del lutto, oppure l’angoscia per lostravolgimento provocato da un inciden-te e il sentimento di protezione suscitatodalla presenza benefica di una personavicina. Questi avvenimenti ci dischiudo-no una diversa comprensione della no-stra identità e ci sollecitano a compierescelte che saranno indicative della dire-zione che vogliamo imprimere alla no-stra esistenza.Qualcosa di analogo vale anche per le

collettività, per i Paesi e per i popoli: pe-riodicamente la storia produce eventiche chiamano in causa la loro identità

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STUDIO

MEDITERRANEOL’ORA DELL’ACCOGLIENZA

Siamo oggi interpellati dai continui sbarchi di immigrati, in particolare a Lampedusa.Le immagini dei barconi, lo strazio di fronte a donne e bambini che affogano, il carico disofferenze e di speranze che queste persone portano con sé, hanno aperto un varco nellecoscienze di molti italiani, andando ben oltre gli spettri troppo facilmente agitati daimedia e le esternazioni a dir poco sgangherate del mondo politico. Questi sbarchi cichiamano direttamente in causa

Sbarchi: fare finta di niente o farsi prossimi?

Sbarco di immigrati nordafricani a Casuzze,vicino Ragusa.

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profonda e sollecitano a decisioni sulladirezione in cui procedere. È stato cosìper il nostro Paese di fronte alle catastro-fi naturali – in particolare i terremoti e lealluvioni che più volte lo hanno colpito –,che hanno messo in moto risposte di ge-nerosa solidarietà. È stato così anche difronte a una emergenza di altra natura,quella del terrorismo, a cui l’Italia seppereagire serrandosi attorno al valore dellademocrazia.Allo stesso modo siamo oggi interpellatidai continui sbarchi di immigrati, in par-ticolare a Lampedusa. Le immagini deibarconi, lo strazio di fronte a donne ebambini che affogano, il carico di soffe-renze e di speranze che queste personeportano con sé, hanno aperto un varconelle coscienze di mol-ti italiani, andandoben oltre gli spettritroppo facilmente agi-tati dai media e leesternazioni a dir pocosgangherate del mon-do politico. Questisbarchi ci chiamanodirettamente in causa,come cittadini, comeitaliani che festeggianola loro identità nazio-nale e i valori di civiltà su cui essa è co-struita, che rischiano di andare perdutiin decisioni prese d’istinto, senza riflette-re adeguatamente sulla portata deglieventi.Senza negare la complessità della situa-zione, le contraddizioni dell’apparatonormativo esistente, i rischi di abusi, lefatiche della collaborazione internaziona-le, l’enfatizzazione eccessiva dei media, esenza dimenticare che parte della ric-chezza che oggi sentiamo «minacciata»dall’arrivo dei migranti è stata costruitaanche sullo sfruttamento delle risorse dei

loro Paesi, questi sbarchi riaprono pernoi oggi una dinamica antica, che richie-de in primo luogo di non chiudere gli oc-chi. Si tratta dell’esperienza radicalmenteumana di sentirsi chiamati in causa dallasofferenza altrui e contemporaneamentedi avvertire la mancanza di risposte ade-guate e la resistenza a lasciarci coinvolge-re. Questi sbarchi, seguito delle rivoluzio-ni e delle guerre in Africa settentrionale,pongono un interrogativo su che cosapossiamo, e quindi vogliamo e dobbia-mo, essere come Paese.

Una storia che ci aiutaChe l’atteggiamento di fronte alla soffe-renza altrui sia rivelatore della qualitàumana ed etica della persona è patrimo-

nio comune della cul-tura occidentale. Lo èper il filosofo illumini-sta Immanuel Kant,che di fronte al malepercepiva la bellezzadel destino umano nel-la necessità del rispet-to, così come per l’e-breo Emmanuel Lévi-nas, per il quale il vol-to dell’altro costituisceun appello originario

alla coscienza. Lo è certamente ancheper la tradizione cristiana, per quelle ra-dici da alcuni brandite molto più chepraticate. E questo non perché il cristia-nesimo sia portatore di istanze che ri-guardano i soli credenti, ma perché co-stituisce innanzitutto una via di accessoall’autenticità dell’umano, privilegiataper il credente, ma percorribile per ogniuomo.Per questo ci sembra di aiuto per riflette-re sulla situazione presente una famosis-sima pagina evangelica, quella del buonsamaritano (Luca 10, 25-37). La accoste-

“Come sottolinea il card. Martini:Prossimo non è colui che ha già con

me dei rapporti di sangue, dirazza, di affari, di affinità

psicologica. Prossimo divento iostesso nell’atto in cui, davanti a unuomo, anche davanti al forestiero eal nemico, decido di fare un passoche mi avvicina, mi approssima”

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remo provocati anche dalla lettura che ilcard. Martini ne diede 25 anni fa nellalettera pastorale Farsi prossimo (a cui siriferiscono i numeri citati nel testo; di-sponibile in www.chiesadimilano.it), chediede inizio a un significativo percorso diriflessione e di azione sulla carità nellaChiesa ambrosiana e non solo, e che, co-me ci mostrano i fatti di questi giorni,mantiene inalterata la vitalità del suomessaggio. La parabola è un racconto bi-blico e al tempo stesso molto laico: unascena di vita ordinaria, senza riferimentia Dio, al culto o alla preghiera, anzi, nonpriva di venature, per così dire, «anticle-ricali». Prima di esaminarla occorresgomberare il campo dai possibili equi-voci derivanti dall’utilizzo non semprecorretto che di questo testo è stato fatto.Innanzitutto è bene precisare che non sitratta di una esortazione al buonismo,come lascerebbe pensare l’accezione ne-gativa, o ingenua, che ha assunto il ter-mine «buon samaritano»: una personacapace di generosità eroica, ma al di fuo-ri di un giusto realismo. Ugualmente,nulla nella parabola giustifica l’idea chequello del samaritano sia un comporta-mento straordinario, come se la carità

fosse una esigenza riservata a pochi, chene hanno il tempo, le doti o l’inclinazio-ne, legittimando un atteggiamento trop-po condiscendente di scarico di respon-sabilità attraverso la delega. Infine, la pa-rabola non rappresenta un monito mora-lizzante che punta a generare un senso dicolpa, paralizzante e particolarmenteostico per la mentalità contemporanea.La storia è nota: un uomo in viaggio vie-ne assalito, derubato, picchiato e abban-donato morente sul ciglio della strada.Un sacerdote prima, e un levita poi, percaso passano di lì e, vedendo l’uomo sof-ferente, preferiscono girare alla larga,continuando a seguire i loro programmio i loro doveri sociali. Infine giunge unsamaritano, un eretico disprezzato eodiato più di un pagano, che si prendecura dell’uomo ferito e lo affida a un al-bergatore, facendosi carico anche del re-lativo costo. La parabola è narrata in ri-sposta a un dottore della legge che avevachiesto a Gesù: «Chi è il mio prossimo?»;l’arco aperto dalla domanda si chiudecon la sbalorditiva risposta di Gesù,espressa al dottore della legge e a tutti noiin forma di domanda: «Secondo te, chi siè fatto prossimo dell’uomo aggredito dai

briganti?». Come sottoli-nea il card. Martini,«Prossimo non è colui cheha già con me dei rappor-ti di sangue, di razza, diaffari, di affinità psicolo-gica. Prossimo divento iostesso nell’atto in cui, da-vanti a un uomo, anchedavanti al forestiero e alnemico, decido di fare unpasso che mi avvicina, mi“approssima”» (n. 39). Es-sere «prossimo» non èdunque una caratteristicache discrimina chi la pos-

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Manifestazione pacifica nelle campagne pugliesi da parte di alcu-ni immigrati tunisini giunti al centro di accoglienza di Manduria(foto Giovanni Caforio).

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siede da chi non la possie-de, giustificando la limita-zione dell’impegno. Esse-re «prossimo» è qualcosache si diventa, una dina-mica e, in fin dei conti,una scelta.

Una dinamica fondamentalePrima di affrettarsi a tira-re conseguenze immedia-te per l’oggi e sovrapporrenoi ai passanti e gli immi-grati moribondi in mezzoal mare all’uomo aggredi-to e ferito, cercando poi achi tocchi il ruolo del samaritano su cuigettare il dovere della carità, proviamoinnanzitutto a comprendere qual è la ra-dice della differenza tra il comportamen-to del samaritano e quello del sacerdotee del levita: quale meccanismo si è messoin moto nel suo animo, quale concretocammino egli ha percorso per farsi pros-simo di quel disgraziato?Con i termini di oggi, possiamo dire chela vista dell’uomo ferito rappresentavaun appello alla coscienza di chi, senzaprevederlo, si è trovato a passare suquel tratto di strada, un appello a mette-re in gioco tutta la sua persona: la razio-nalità e l’intelligenza, ma anche l’affetti-vità, la volontà, la memoria. Come ogniesperienza in cui entra in gioco la co-scienza, non mancano gli interrogativi:fin dove posso e debbo spingermi nel-l’assistere questa persona? Che cosa di-ce di me il modo in cui reagisco e agi-sco? Chi è questa persona a cui mi dedi-co? Qual è la sua più profonda dignità?Che cosa implica impegnarmi in un ge-sto di soccorso? Qual è il vero bene ingioco? La prossimità diretta a chi soffreinvita a porre le domande sul valore del-la persona umana.

In quella situazione il samaritano «sicommosse». O, in maniera più fedele al-l’originale greco del testo, «fu mosso nel-le viscere», nel più profondo di sé. Si fariferimento a una intensa esperienza in-teriore, che apre gli occhi sul valore dellecose e apre nuove possibilità di azione:in una parola, lo spinge a «farsi prossi-mo» in modo concreto (cfr n. 36). Staqui la vera grandezza del samaritano, piùche nelle cure mediche di fortuna o nelmetter mano al portafoglio: farsi prossi-mo è il gesto supremo, che dischiude lapromessa del sorprendente ritrovamentodell’umanità nostra e di colui che incon-triamo. Siamo di fronte a una compren-sione profonda della dinamica della ca-rità, ben diversa dalla sua declinazionepuramente assistenziale, che conduce avedere le persone in difficoltà come sac-chi di bisogni da colmare, che, nonostan-te tutti gli sforzi, non si riempiono mai.O, nella nostra situazione, al timore peril numero di migranti potenziali prontiad attraversare il Mediterraneo su unbarcone, che finisce per ostacolare il soc-corso a quelli arrivati oggi.Per quanto profondamente umano, ilcomportamento del samaritano non è un

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Uno dei tanti giovani rifugiati tunisini mostra il tesserino rilasciatodalle autorità italiane al momento del suo ingresso nel campo diManduria (foto Giovanni Caforio).

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automatismo, né il frutto di una miraco-losa quanto estrinseca ispirazione divina.L’una o l’altra alternativa escluderebberola responsabilità: se non scattano, nondipende da me. «Chi pensa così, si è giàfatta un’idea completa dell’azione umanae giudica l’intervento di Dio come un’ag-giunta o necessaria o inutile. La questio-ne invece è più complessa e affascinante.È il senso stesso dell’azione umana ad es-sere messo in questione» (n. 35). Questaesperienza è sì un dono che discende dal-la gratuita misericordia di Dio, ma siesprime in concreto suscitando e confi-gurando una libertà capace di dedicarsial bene dell’uomo.Questa libertà si ac-quisisce e va preserva-ta nel tempo attraver-so la formazione dellacoscienza, in partico-lare in una società incui a spingere verso lacarità non ci sono piùpressioni od obblighisociali né spinte ideo-logiche di alcun tipo.Oggi il richiamo dellacoscienza alla libertà èavvertito piuttosto come il residuo di unmoralismo da mettere a tacere, per cuisi preferisce distogliere lo sguardo dalproblema, girando alla larga come il sa-cerdote e il levita, o, meglio ancora, tro-vare il modo per trasferirlo rapidamentelontano dalla nostra vista: «Föra di ball»,come sintetizzerebbe qualche nostro mi-nistro.

Farsi prossimo oggiIn una società in cui il discorso pubblicopremia chi si gira dall’altra parte e tiradritto per la propria strada, è possibileattivare la dinamica profonda illuminatadalla parabola? «Quali forze vanno risve-

gliate, quali responsabilità vanno assun-te, quali itinerari vanno percorsi» (n.11)? Sarebbe semplicistico e inopportu-no concludere che l’unica soluzione pos-sibile è l’accoglienza indiscriminata ditutti. Se la decisione del samaritano nonè il frutto di un impulso spontaneisticomomentaneo, come la nostra cultura fa-cilmente tende a pensare, occorre trova-re il modo per ripercorrere i passi di quelcammino di formazione della coscienzache lo ha reso capace, di fronte all’impre-visto, di dare una risposta in sintonia conla propria umanità profonda. Quali per-corsi occorre attivare nella nostra vita

personale, nelle nostrecomunità cristiane, neinostri ambiti lavorati-vi, nelle famiglie, nellavita sociale locale o na-zionale?Suggeriamo due pistedi riflessione, senza di-menticare la continuacreatività che il «farsiprossimo» richiede peraffrontare situazionisempre nuove e impre-vedibili. Da una parte

ci possiamo lasciare ispirare da quelloche, nel campo della cooperazione inter-nazionale allo sviluppo, le scienze socialichiamano proprio «dilemma del samari-tano»1 e che riguarda i rischi di un aiutoincondizionato che non può che crearedipendenza, ma che non si vuole inter-rompere. È la modalità di ricevere l’aiutoa fare la differenza: il «samaritano» può

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“Sta qui la vera grandezzadel samaritano, più che nelle curemediche di fortuna o nel metter

mano al portafoglio: farsi prossimoè il gesto supremo, che dischiude

la promessa del sorprendenteritrovamento dell’umanità nostra

e di colui che incontriamo. Siamo difronte a una comprensione profonda

della dinamica della carità”

1 Cfr. C. GIBSON, The Samaritan’s Dilemma. ThePolitical Economy of Development Aid, Oxford-NewYork, Oxford University Press, 2005; T. VI-TALE, Società locali e governo dei beni comuni.Il Nobel per l’economia a Elinor Ostrom, in«Aggiornamenti Sociali», n. 2-2010, pp. 97-99.

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condizionare il proprio aiuto a una par-tecipazione significativa dei destinatari,ritenendoli soggetti attivi e considerandoanche la configurazione delle regole de-gli spazi di azione in cui sono coinvolti.Si tratta, in altri termini, di cambiare lastruttura della situazione.I destinatari degli aiuti devono esseretrattati come proprietari del progetto, inmodo che lo sentano come proprio, vimettano del loro, con responsabilitàchiare, ma anche con il diritto di parteci-pare alle decisioni. Attribuire ai destina-tari la comproprietà dei progetti li rio-rienta, ne modifica le modalità operativee di apprendimento organizzativo in sen-so collettivo. Il progetto diviene il beneche tutti gli attori coinvolti, compresi idestinatari, hanno in comune. Tornandoalla questione degli sbarchi, la valorizza-zione delle persone accolte e il sentimen-

to di un progetto e di un bene comunisono elementi imprescindibili qualsiasisia la soluzione intrapresa, a partire - bi-sogna avere il coraggio di dirlo – dallagestione dei centri di accoglienza.Una seconda pista di riflessione invita aconsiderare il ruolo che in questo percor-so rivestono l’allocazione delle risorse ela predisposizione di strutture adeguate.È verosimile che nel budget del samarita-no, certamente un uomo non ricco seviaggiava da solo, i due denari fosserodestinati ad altro, ma egli ha saputoadattarlo all’imprevisto. È frequente, difronte alle emergenze, sentire invocare ivincoli di bilancio come limite invalica-bile, come la ragione di una impossibilitàa intervenire. Certamente, e in particola-re in questo momento, le risorse non so-no infinite ed è giusto, in vista del benecomune, rispettare i vincoli di bilancio.

Ma questi non possonodiventare un idolo a cuisacrificare la nostra uma-nità profonda: piuttosto,essi possono essere unaoccasione per esercitarela creatività, scoprendocome ricombinare in mo-do diverso i pezzi delpuzzle, con il coraggio dicollegare i sacrifici non aun triste destino che si èabbattuto su di noi, maall’attuazione dei valori difondo che stanno alla ba-se di una vita civile. Postoevidentemente che questosia vero e che questi valo-ri siano condivisi, saràpossibile presentare i «ta-gli» per far posto all’im-previsto come una occa-sione di crescita comunein umanità. E questo sti-

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Un momento di riposo all'ombra di un ulivo per un gruppetto di im-migrati ospitato nel centro di Manduria (foto Giovanni Caforio).

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molerà un ulteriore affinamento della co-scienza collettiva. Il soccorso prestatodal samaritano sarebbe stato certamentepiù difficoltoso, e forse vano, se lungo lastrada non si fosse trovata la locanda.Una società matura, che abbia davveroesercitato la propria coscienza, sa di averbisogno di strutture, di istituzioni, diprogrammi capaci di svolgere sistemati-camente la funzione di accogliere i piùsfavoriti: nel momento del bisogno, tor-nano utili. Pur riconoscendo la legitti-mità delle domande sul loro corretto fun-zionamento e della preoccupazione dievitare sprechi, di fatto negli ultimi duedecenni le istituzioni di questo tipo, enon solo nel campo dell’immigrazione,sono state indebolite, smantellate, talvol-ta anche denigrate, relegate dall’ambitodei pubblici doveri a quello della filantro-pia privata, quando c’è. Tutto ciò ha di-minuito la nostra capacità di accoglienzae probabilmente anche la sensibilità del-la nostra coscienza a riconoscere quandodi accoglienza c’è bisogno.

Il valore di un intervento immediatoPer quanto una società disponga di effi-caci istituzioni di accoglienza, le situa-zioni di emergenza continueranno a pre-sentarsi in modo imprevedibile e a ri-chiedere un intervento immediato, chenon pretende di risolvere tutto, ma fa ciòche è possibile al momento. Può essereun gesto ambiguo. Può incoraggiare lapigrizia e la menzogna in chi lo riceve, efar nascere in chi lo compie l’idea di sen-tirsi a posto, senza andare alla radice deiproblemi. L’elemosina, intesa come il ge-sto immediato di fronte a una emergen-za imprevista, richiede grande realismo esoprattutto di non farla diventare il sur-rogato di altri interventi più completi edefficaci. Tuttavia contiene molti valori.Anzitutto è un gesto di aderenza alla

realtà: anche nella nostra civiltà, che hatecnologizzato persino l’intervento socia-le, ci sono situazioni di povertà difficil-mente individuabili e sanabili a livellostrutturale. Anzi, proprio alcuni mecca-nismi della nostra civiltà del benesseretendono a produrre disadattati, emargi-nati, asociali. Occorre certo intervenireperché i meccanismi siano corretti o al-meno si trovino rimedi ai loro guasti a li-vello sociale. Intanto però occorre farequalcosa. La carità o, altrimenti detto,una coscienza capace di comprenderecome rispettare e promuovere la dignitàpropria e altrui, suggerirà quello che divolta in volta si può fare (cfr n. 70). Que-sta prospettiva, tanto vitale quanto impe-gnativa, riafferma la necessità della for-mazione delle nostre coscienze, non sol-tanto per riceverne un richiamo – a voltesalutare – al dovere del rispetto altrui.Essa è più profondamente un delicatostrumento attraverso il quale ci abituia-mo a cogliere i nostri desideri piùprofondi e a orientarci nelle scelte diffici-li. Ci auguriamo che come Paese sappia-mo cogliere l’opportunità che gli sbarchici offrono per camminare in questa dire-zione. Mentre ci chiedono un aiuto im-mediato, di emergenza, e la predisposi-zione di piani per soluzioni più definiti-ve, che dovranno essere articolate e diffe-renziate, gli immigrati che sbarcano sul-le nostre coste offrono a noi, come italia-ni e come Italia, l’opportunità di decidereancora una volta che cosa vogliamo faredi noi stessi: vogliamo farci i fatti nostrio farci prossimi?

Giacomo Costa S.I.2

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2 Direttore della rivista «Aggiornamenti Sociali»(www.aggiornamentisociali.it), sul cui numerodi maggio 2011 è stato pubblicato il presentearticolo.

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LA STORIAIl viaggio di Houssem

L’incontro tra una famiglia pugliese dal cuore d’oro e un giovane profugo tunisinogiunto da Lampedusa alla tendopoli allestita nell’ex campo militare della Nato,sulla piana tra Manduria e Oria. Una storia straordinaria, che mostra il volto si-lenzioso e profondamente umano di un’accoglienza capace di farsi condivisionee amicizia

Sono gli ultimi giorni di marzo quando un decreto ministeriale dispone l’allestimento diuna tendopoli fra Manduria e Oria, al confine tra la provincia tarantina e brindisina. Ciaddentriamo nell’enorme distesa di terra, delimitata da una doppia rete metallica tra ilviavai di chi, per scelta o per dovere, si aggira fra le piccole tende azzurre, allestite fret-tolosamente dai vigili del fuoco.Davanti a noi, decine di sentieri spianati dai cingolati tra il fango e la sterpaglia, centi-naia di immigrati riversati dagli autobus a pochi metri dalle piantagioni di ulivi. Il vec-chio campo militare della Nato, solo qualche decennio fa rifugio per migliaia di alba-nesi, ospita ora 1.800 esuli provenienti da Lampedusa. Poca acqua, una situazioneigienica ai limiti della vivibilità: dopo una sola settimana di permanenza, uno su cin-que ha già scavalcato le recinzioni, per incamminarsi verso le stazioni ferroviarie piùvicine nell’ingenuo intento di raggiungere la Francia, o di riunirsi a parenti e conoscen-ti sparsi nel nord Italia.Fuori, gruppi di residenti in protesta minacciano di organizzarsi in ronde per recuperare ifuggitivi, altri escono dalle automobili con borsoni ricolmi di cibo e coperte sotto glisguardi vigili dei carabinieri a cavallo che sorvegliano la zona. Dentro, il clima è quellodi una grande attesa collettiva: c’è chi ammazza il tempo a suon di tamburelli e ritmi afri-cani, chi si distende su materassi improvvisati, chi cerca di sistemarsi alla meglio nelle di-more temporanee. Alcuni aspettano di ricevere viveri e vestiario distribuiti dai tanti visita-tori, molti in fila stringono fra le mani le tabelle con le quali presentarsi al momento delpranzo.Incrociamo Houssem per caso, tra i tanti volti stanchi ma fiduciosi. I suoi sogni sono quellidella moltitudine confinata nelle reti della nostra accoglienza. A un giornalista che glichiede cosa cerca, qui nel nostro Paese, sorridendo timidamente, risponde: «Liberté et tra-vail». Alla domanda del perché si sia deciso ad affrontare un lungo viaggio assieme adaltri centocinquanta giovani su una barca che avrebbe potuto ospitare non più di trentaanime, non ha esitazioni: «Je vien en Italie pour changér ma vie».Ci avviciniamo: rifiuta il denaro offertogli con un «no grasie», e tira fuori dalla tasca qual-che soldo. Ci spiega che sa che non è molto, ma è tutto ciò che gli è rimasto dei quattromi-la dinari, circa duemila euro, serviti per pagare una traversata durata sedici ore. Qui, aManduria, passa le sue giornate con Samir, arrivato per racimolare un piccolo gruzzolo:ha una moglie e un figlio e sogna una «bonne vie» nella sua terra. Accanto a loro c’è Ha-bib, che invece in Italia ci vuole rimanere, magari trovando un impiego come traduttore.L’incontro tra la mia famiglia e Houssem inizia così: con conversazioni nelle quali la ge-stualità e gli sguardi superano le difficoltà di quel pasticcio linguistico in cui inglese, fran-cese, italiano si mescolano in modi incomprensibili, e le confidenze si fanno sempre piùintime. Un legame che continua tutt’oggi, perché il 20 aprile, con un «Permesso?» pro-nunciato stentatamente, Houssem è entrato nella mia casa.

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Come i primi altri arrivati, ha potuto benefi-ciare del tanto atteso permesso di soggiornoche concede sei mesi di tempo per trovare edimostrare stabili domicilio e impiego. È li-bero di andare. Già, libero di andare, madove? È forse questa la vera sfida per si ri-trova con solo un dizionario arabo-italianofra le mani e la consapevolezza di giocarsiun’occasione irripetibile per rimescolare lecarte del proprio destino.La decisione di accoglierlo è scaturita daquesto: da un’istintiva voglia di parteciparealla costruzione del suo sogno, e dal deside-rio di restituire, per quanto le nostre forze difamiglia e di singoli possano permetterci, unbriciolo di dignità a chi ha investito tutte leproprie risorse e le proprie speranze per l’i-nizio di una nuova esistenza, senza certez-ze e senza mai dimenticare chi, in quellaterra, ancora ci vive.Nel piccolo paese nei pressi di Rimadah,nella Tunisia del sud, Houssem ha ancora igenitori, ed è per il futuro delle sue tre sorel-le che ha scelto di affrontare tutto ciò. «L’étude est trop cher», sostiene con gli occhi di chiha dovuto abbandonare la scuola, per lavorare instancabilmente fra i campi e negli hoteldelle zone turistiche così lontane dalla realtà che si è lasciato alle spalle.Ci racconta di un Paese lasciato in mano alle forze di polizia e ai saccheggi, esposto con-tinuamente alla minaccia delle rappresaglie libiche, con quasi tre milioni di giovani disoc-cupati, quei giovani che dovrebbero rappresentare la speranza di un vero cambiamento,di un desiderio assopitosi nelle vecchie generazioni sotto i colpi della miseria e della vio-lenza. Ci chiediamo se al posto suo, avremmo fatto lo stesso, e titubiamo. Ma il miraggiodi Houssem non è così diverso da quello che noi europei ancora riviviamo nei sorrisi deinostri emigranti impressi su foto ingiallite, in storie raccontate da voci emozionate che ri-cordano e conoscono profondamente il significato delle parole “partenza” e “ospitalità”.Sorridiamo amaramente pensando alla beffa che, in poco più di un secolo, ci ha vistipassare da popolo di viaggiatori a terra di accoglienti, eppure stentiamo ad accettare l’i-dea che una madre possa dire al proprio figlio: «Va’ e cerca fortuna». Forse, solo chi nonha niente da perdere è disposto a rischiare tutto. Mio padre continua a ripetere cheHoussem, in fondo, ha la stessa età di mio fratello. Mia madre tenta di farlo sentire a pro-prio agio, improvvisando cous cous immangiabili. Stiamo cercando di contattare tuttiquelli che in un piccolo paesino del sud possano in qualche modo offrirgli un’occupazio-ne, un contratto che gli permetta di realizzare ciò in cui spera.Non sarà un’impresa facile, ma cerchiamo di essere tutti fiduciosi, con la speranza che lìdove si esplicitano i limiti e le insufficienze delle nostre amministrazioni, si senta in qual-che modo anche l’esigenza di rafforzare quei legami, quei sentimenti che prendono laforma di doveri sociali. In molti hanno già entusiasticamente deciso di aiutaci in quest’im-presa. Il viaggio di Houssem è diventato anche il nostro, e un’esperienza che difficilmentedimenticheremo.

Maria Romana Caforio

Houssem, il giovane tunisino ospitato aGrottaglie dalla famiglia Caforio.

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L a questione delle minoranze et-niche e religiose nel Mediterra-neo è sempre più essenziale, nel-

la ricerca di una democrazia compiuta.A distanza di alcune settimane dal Con-vegno internazionale sulle Minoranzenel Mediterraneo, promosso dal Cipmoa Torino a inizio aprile, è lo stesso svi-luppo dei fatti a confermarlo. Quelloche è in corso, in molti di questi paesi,non è una semplicebattaglia per la demo-crazia, ma uno scon-tro duro tra maggio-ranze e minoranze alpotere. Minoranze chenelle diverse realtà siscambiano spesso iruoli. Così, la mino-ranza sunnita, in Bah-rein, domina su unaschiacciante maggio-ranza sciita (grazieanche all’appoggio mi-litare della sunnitaArabia Saudita), cosìcome in Siria è unaminoranza alawita(setta collaterale scii-ta) a dominare sulla maggioranza sunni-ta. Si tratta di una battaglia senza quar-tiere, dato che queste minoranze sannoche soccombere significherebbe rinun-ciare al potere e ai privilegi di cui hannofruito finora, ed essere trattate dai vinci-tori con la stessa moneta.

Anche su una scala più larga si puòparlare di maggioranze e minoranzespeculari: i cristiani, maggioranza inEuropa, sono minoranza nei paesi ara-bi, ove invece sono maggioranza i mu-sulmani, minoranza spesso contrasta-ta in Europa. Gli ebrei, larga maggio-ranza in Israele, sono minoranza inEuropa e nel mondo arabo. Il proble-ma è di non fare di questo “effetto

specchio” l’occasionedi una resa dei conti.Ma ciò richiederebbeun diverso approccioalla questione.Nei Paesi del SudMediterraneo le mi-noranze, spesso pre-esistenti alla forma-zione dei rispettiviStati, vengono conce-pite come una pre-senza da tollerare eda controllare, non-ché come un possibi-le fattore di indeboli-mento delle diverserealtà statuali. Più ingenerale, si riscontra

una difficoltà a riconoscere la stessaesistenza delle minoranze in quantotali. Si afferma che si tratta di cittadinicome tutti gli altri, che non necessita-no di alcun riconoscimento o tutelaparticolari. È evidente, in tale approc-cio, l’imprinting della rivoluzione fran-

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LA RIFLESSIONE

Mediterraneo, i diritti delle minoranze

“Il problema delle minoranze, tantoin Europa quanto in Medio Oriente,non può essere affrontato e risolto

caso per caso, ma necessita diriferimenti generali e di un approccio

complessivo e condiviso, l’unico ingrado di dare risposte non

frammentarie e basate solo surapporti di forza. Inoltre la

protezione delle minoranze richiede,per essere effettiva, che venga

assicurato un loro riconoscimentocollettivo, integrato da specifiche

misure positive volte a salvaguardarela loro identità e il loro sviluppo”

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cese (poi ancora rafforzato in periodonapoleonico), che postula l’eguaglian-za degli individui e delle religioni marespinge decisamente i diritti collettividelle minoranze, onde proteggere econsolidare il potere dello Stato cen-trale. Eppure, i problemi e le tensionici sono, in tutta l’area. Lo si è vistocon gli scontri di inizio anno ad Ales-sandria, tra copti e musulmani, che so-no stato in qualche modo l’innescodella successiva rivoluzione democra-tica; in Algeria e Tunisia, con i berberi(che tuttavia in Marocco hanno otte-nuto un importante riconoscimentonel discorso alla nazione pronunciatoil 9 marzo dal Re Mohammed VI); lo siregistra in Israele, dove la tensione tramaggioranza ebraica e minoranzaisraelo-palestinese si fa sempre piùforte; in Turchia, ove il quoziente mi-

nimo previsto dalla legge elettorale im-pedisce di fatto una rappresentanzadiretta delle zone curde, e parlare diquestione armena significa ancorarompere un tabù.Per contro l’esperienza europea, purnon priva di limiti e contraddizioni, hasviluppato un approccio complesso earticolato alla questione delle mino-ranze etniche e religiose, volto a rico-noscerle collettivamente, a garantirle ea tutelarle. Il diritto delle minoranze èstato chiaramente espresso, ad esem-piO, dal Libro Bianco sul dialogo in-terculturale, Living Together as Equalsin Dignity, lanciato dal Consiglio diEuropa il 7 maggio 2008, e da altre si-gnificative prese di posizione dellostesso Parlamento europeo.Persistono tuttavia complessi problemidi convivenza e integrazione. Non si

può ignorare ad esem-pio l’esito del referen-dum sui minareti dellemoschee, svoltosi nelnovembre 2009 in Sviz-zera, o le contraddizioniche troppo spesso esplo-dono quando si tratta dilocalizzare e autorizzarela costruzione di unamoschea: come se laquestione dei musulma-ni in Europa fosse soloun problema di immi-granti da tenere a bada,e non in molti casi dicittadini a pieno titolo,che chiedono di eserci-tare il loro diritto di li-bertà religiosa. Per nonparlare delle difficoltàche si incontrano nellagestione dei rom, chepure con l’ingresso della

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Giovane donna manifesta per i propri diritti in Bahrein.

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Romania nella Ue godono oramai del-la cittadinanza europea.Su tutte questi aspetti, si possono enu-cleare alcuni principi generali. Il pro-blema delle minoranze non può essereaffrontato e risolto caso per caso, manecessita di riferimenti generali e diun approccio complessivo e condiviso,l’unico in grado di dare risposte nonframmentarie e basate solo su rapportidi forza.In secondo luogo, si può affermare chenon è sufficiente enunciare l’egua-glianza dei diritti di tutti i cittadini inquanto individui: è evidente che i dirit-ti delle minoranze inquanto tali verrebbe-ro in tal caso ignora-ti, e gli stessi dirittiindividuali dei loromembri sarebbero arischio. La protezio-ne delle minoranzerichiede dunque, peressere effettiva, chevenga assicurato unloro riconoscimentocollettivo, comprensi-vo della loro identitàe della loro storia.Essa postula inoltre l’adozione di spe-cifiche misure positive volte a salva-guardare la loro identità e il loro svi-luppo.Al riguardo, l’esperienza italiana è cer-tamente tra le più significative e avan-zate. La condizione delle minoranzetedesca e ladina in Alto Adige, in parti-colare, vede tali minoranze non soloriconosciute e garantite attraverso laconcessione di una larga autonomia,ma tutelate con specifiche azioni posi-tive, nell’uso della lingua, nella gestio-ne della scuola, nella distribuzione deifinanziamenti e nella garanzia di pro-

porzionalità nel pubblico impiego enegli stessi organi rappresentativi. Es-sa rappresenta sicuramente una delleesperienze più avanzate in Europa,fondata sull’articolo 6 della Costituzio-ne Italiana, che sancisce che «la Re-pubblica tutela con apposite norme leminoranze linguistiche». Non si vuolecertamente proporre, con ciò, un mo-dello da applicare astrattamente, mauna esperienza importante e ricca dicontenuti. Non dimentichiamo che an-che in Alto Adige, negli anni ’60, esplo-devano le bombe irredentiste, mentreoggi italiani e tedeschi forse non si

amano, ma certa-mente convivono inpace, e pensano alpromettente sviluppocomune, nel comunee più ampio contestogarantito dalla stessaUnione Europea.Si può affermare, perconcludere, che lapersistenza dei con-flitti etnici e religiosicostituisce un limitegrave alla espansionedella “rivoluzione de-

mocratica postislamista” nei diversipaesi arabi. In tutta quest’area, la que-stione delle minoranze può dirsi in lar-ga parte un problema ignorato e co-munque irrisolto: ciò può rappresenta-re un limite e una barriera rispetto al-lo sviluppo della rivoluzione democra-tica araba, che non potrà dirsi com-piuta se non sarà in grado di misurarsicon tali questioni.

Janiki Cingoli1

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1 Direttore del Cipmo, Centro Italiano per laPace in Medio Oriente (www.cipmo.org).

“La persistenza dei conflitti etnicie religiosi costituisce un limite gravealla espansione della “rivoluzione

democratica postislamista” nei diversipaesi arabi. In tutta quest'area,

la questione delle minoranze puòdirsi in larga parte un problemaignorato e comunque irrisolto:ciò può rappresentare un limiteallo sviluppo della rivoluzione

democratica araba”

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I In Egitto è già tempo di bilanci. Lemanifestazioni di piazza Tahir sonoalle spalle, il presente è la costruzio-

ne di un nuovo ordine che passa per ilcoinvolgimento dei Fratelli musulmani,movimento nato nel 1928 dal predicatorereligioso Hasan al-Banna (1906-1949). «Illoro atteggiamento potrebbe costituireuna variabile importante per capire la di-rezione che potranno pendere gli eventi,soprattutto in un futuro non immediato»,sostiene Massimo Campanini, docente diStoria dei paesi islamici all’Università diNapoli l’Orientale, e curatore, con KarimMezran, di I fratelli musulmani nel mondocontemporaneo (Utet, 2010).In origine il Corano era il loro program-ma politico, la shari’a l’unica legge a cuisottomettersi, il califfato, abolito proprionel 1928 dalle legislazione occidentale, ilfondamento per la rifor-ma islamica mondiale. IFratelli musulmani hannointrattenuto rapporti alta-lenanti con i diversi regi-mi che si sono susseguitial Cairo. Nasser dichiaròillegale il movimento, conSadat godettero di unacerta libertà mentre conMubarak si passava da pe-riodi di tacita tolleranza,anche se mai di aperto ri-conoscimento, ad altri direpressione. In altre paro-le l’ex presidente egiziano

ha sempre cercato di marginalizzarli sulpiano politico, pur restando la maggioreformazione di opposizione in Egitto, mali ha però lasciati fare nel campo del so-ciale. Inoltre i Fratelli musulmani riusci-rono negli anni ad infiltrarsi nei sindacatiprofessionali, soprattutto quello dei medi-ci, degli ingegneri e degli avvocati (cfr.Africa Mediterranea. Storia e futuro, Don-zelli, 2011).Oggi i Fratelli Musulmani confidano nelpost-rivoluzione per assumere un pesopolitico riconosciuto all’interno del Paese.Seppur già presenti in Parlamento comedeputati indipendenti, la Fratellanza spe-ra ora di coronare il sogno di avere unproprio partito politico legittimo per cor-rere alle prossime elezioni politiche gene-rali. L’intenzione di formare un’organizza-zione politica, che molto probabilmente

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LO SCENARIO

L’Egitto dopo piazza Tahir. Il peso dei Fratelli Musulmani

L'estesa partecipazione popolare alla protesta contro il regime haavuto un ruolo determinante nella caduta di Mubarak.

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si chiamerà Partito di libertà e giustizia, èstato annunciato dagli stessi Fratelli Mu-sulmani appena dieci giorni dopo le di-missioni di Mubarak, depositate l’11 feb-braio scorso dopo 18 giorni di proteste dipiazza. Ma solo a maggio è stata presen-tata la documentazione necessaria per laformazione del partito, composto da8.821 membri, tra cui 978 donne e 93copti. La linea promossa, quindi, apparemoderata, tanto che Rafiq Habib, politicocopto, è stato nominato vice presidentedel partito.Per il momento sembra dunque che i Fra-telli musulmani vogliano partecipare allavita politica dell’Egittorispettando le regoledelle istituzioni, la-sciandosi dietro le spal-le l’idea di attenersi aldogma che li spinge aisolarsi nell’attesa mil-lenaristica del califfato.«Osama Bin Ladennon era mai stato men-zionato perché non eraun modello. Ma c’èsempre stata nella fra-tellanza musulmana una fazione che pun-tava agli stessi obiettivi di al-Qaida, congli stessi metodi» spiega Ugo Tramballi,inviato speciale del Sole24Ore. All’iniziodella protesta, il 25 gennaio, gli islamistiavevano annunciato che non sarebberoscesi in piazza. Ma lo fecero con tutte lesue forze, cambiando idea, il 2 febbraioper vincere «la battaglia del cammello»quando gruppi di sostenitori pro-Muba-rak erano andati, anche con cammelli ecavalli, nella gremita piazza Tahrir, percacciare i manifestanti, provocando mortie feriti sotto gli occhi dell’esercito. La bat-taglia è stata vinta e un risultato irreversi-bile è stato già ottenuto: è finita, e nontornerà più, l’epoca dei leader carismatici,

che siano Arafat, Nasser, Mubarak, Kho-meini o Bin Laden. «Il popolo non vuolenessun altro al loro posto, tanto è veroche non ci sono all’orizzonte figure im-portanti di leader rivoluzionari: ovunquesi chiede democrazia e buongoverno, nonun capo», è il ragionamento di OlivierRoy, specialista del mondo arabo e pro-fessore all’Istituto universitario europeodi Firenze. Oggi però le rivolte nel mondo arabo co-noscono una fase di difficoltà perché «inEgitto, così come in Tunisia, si sta co-struendo un partito dell’ordine, il prevedi-bile sussulto delle vecchie forze. E al Cai-

ro gli islamisti sonouna delle forze di que-sto partito dell’ordine.Non credono più nean-che loro all’ideologiaintegralista, ma fannoparte di una coalizionemorale che potremmoparagonare, fatte le de-bite proporzioni, alladestra cristiana ameri-cana» continua Roy.L’Occidente teme che

saranno gli islamisti ad occupare il palco-scenico dopo le rivolte nel mondo arabo.Ma la maggioranza degli analisti interna-zionali concorda che solo conferendo alleorganizzazioni e ai partiti islamici unachance di democratizzazione si può spe-rare che si democratizzino, solo accettan-done il ruolo e la presenza nel quadro deldibattito politico contemporaneo è augu-rabile e sperabile che trovino una lorocollocazione all’interno di quel quadro evi formulino le risposte ai propri interro-gativi nel rispetto degli stessi fondamentiideali della loro visione politica. «Ciò si-gnifica offrire una chance agli islamici“moderati” senza negare che nell’Islamcontemporaneo vi sono tendenze estremi-

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“Per il momento sembra chei Fratelli musulmani voglianopartecipare alla vita politica

dell’Egitto rispettando le regoledelle istituzioni, lasciandosi dietro

le spalle l’idea di attenersial dogma che li spinge a isolarsi

nell’attesa millenaristicadel califfato”

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ste», scrivono Campanini e Mezran. Ma se la sfida del futuro per l’ Egitto è lalibertà politica, quella religiosa non è unfattore meno rilevante. «La speranza èche la fine della dittatura aiuti alla lunga adiminuire il peso dell’appartenenza reli-giosa nello spazio pubblico e a iniziare unpercorso di riforme anche in questo ambi-to», osserva Roberto Tottoli sul Corrieredella Sera. «Del resto, i casi concreti su cuiintervenire non mancano: dall’obbligo diindicare la propria religione sui documen-ti personali alle rigidità che ne conseguo-no nei casi di conversione da una religio-ne all’altra, molti fattori concorrono a ri-durre drammaticamente le libertà perso-nali. Difficile reclamare il sacrosanto dirit-to a una democrazia moderna, però allostesso tempo relegare la convivenza reli-giosa in categorie medievali, forse ottimeed efficaci un tempo, ma ora non più. Lenuove forze politiche, Fratelli Musulmaniin testa, dovranno rendersene conto».E qui si apre un altro capitolo: i recentiassalti contro i cristiani. Per Roy «non di-pendono certo dai manifestanti di piazzaTahrir. Qui tornano in gioco i salafiti: non

sopportano l’idea che icristiani siano cittadinicome gli altri, e non unaminoranza protetta comeprevede l’islam». I FratelliMusulmani hanno presole distanze dalla violenzainter-religiosa, denuncian-do il presunto tentativo«di forze straniere», maanche «interne», per farfallire la rivoluzione. Asorvegliare ci sono per orai generali, che con l’anzia-no Mohammed Tantawioccupano la presidenza ehanno imposto un refe-rendum sulle modifiche

alla costituzione, approvato dalla maggio-ranza, che conferma l’impianto preceden-te, con un posto rilevante destinato allalegge islamica. Mentre la Tunisia è unostato laico dai tempi del fondatore dellaRepubblica Bourghiba, «l’Egitto si ispiraalla sharia nello statuto individuale dellapersona», osserva Alberto Negri del So-le24Ore. «La tolleranza nei confronti deicristiani, una minoranza del 10% su 80milioni, è di facciata più che di sostanza.E il riposizionamento in politica esteradel Cairo, con l’avvicinamento all’Iran eal resto del mondo musulmano, potrebbeapprofondire la distanza con i princìpi se-colaristi. I generali sanno, inoltre, che iFratelli Musulmani, legalizzati dopo de-cenni, verranno premiati dagli elettorima anche da un sistema che ha bisognodi loro per contenere le spinte salafite de-gli islamici ed esercitare un controllo po-litico sulla popolazione. Nessun partitolaico ha loro capacità di penetrazione so-ciale: quindi sono essenziali alla nuovademocrazia egiziana».

Maurizio Debanne

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I militanti dei Fratelli Musulmani hanno mantenuto un profilo bas-so nella prima fase delle proteste di piazza contro Mubarak, ma èchiaro che il futuro assetto istituzionale dell'Egitto dipenderà anchedalle scelte politiche dell'influente movimento islamico.

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Un Amore senza calcoliIn ricordo di padre Francesco Botta S.I.1

Roma, 11 maggio 2008Chiesa dell’Istituto M. Massimo

Siamo qui per pregare e ricordare un uomo come tanti, un uomo che, come tanti, ha ter-minato la sua vita terrena. Quest’uomo, però, Padre Francesco Botta, era anche una per-sona “speciale”.Il fatto che siamo qui così numerosi, venuti anche da città e luoghi molto lontani, e con ilcuore così profondamente ferito per il distacco da lui, è il segno che Padre Chicco haavuto davvero quel dono, proprio dello Spirito e della giornata di Pentecoste, di parlaretante lingue diverse per arrivare all’incontro profondo con ciascuno, ha parlato ai cuori, haparlato la lingua universale dell’amore.Tutti sentivamo di avere in lui un punto di riferimento: era per noi «una luce vicina», secondola definizione che Benedetto XVI ha utilizzato nell’Enciclica sulla Speranza. C’è chi tra noiavverte di aver smarrito un amico affettuoso, chi un fratello o un consigliere sapiente, chi unpadre, chi un consolatore; tutti certamente abbiamo sempre trovato in lui una fonte di spe-ranza e di coraggio. Aveva la capacità rara di donare insieme forza e tenerezza.Io credo che la morte dica la verità sull’uomo molto di più dei successi o delle sconfitte odelle attività che ne hanno contrassegnato gli anni. Dall’agosto scorso, da quando gli fudiagnosticato questo male, Chicco, intelligente e coraggioso com’era, aveva piena consa-pevolezza di ciò che lo aspettava: «Sei mesi, massimo un anno», mi aveva confidato. Madi pari passo con tale coscienza crescevano in lui la serenità e la forza che lo hanno ac-compagnato in modo straordinario fino alla fine. I suoi ultimi giorni sono stati illuminati emisteriosamente scanditi dalla liturgia, come se lo Spirito volesse far percorrere insieme,a Chicco e a noi, quella “via dolorosa”, ma alleviandola con una più profonda comprensio-ne di quanto stavamo vivendo con tanta faticosa sofferenza.Mi hanno davvero colpito tre coincidenze.Negli ultimi giorni della sua vita la liturgia ci ha presentato, nelle pagine degli Atti degliApostoli, l’addio di Paolo agli anziani di Efeso, che è considerato il suo testamento spiri-tuale (cap. 20). Spiccano in quelle parole la generosità assoluta dell’Apostolo, la sua di-sponibilità senza riserve con l’insistenza sull’espressione «non mi sono sottratto»: «Sape-te che non mi sono sottratto a ciò che poteva esservi utile… a credere nel Signore nostro,Gesù» (20, 20). «Non mi sono sottratto al compito di annunciarvi tutta la volontà di Dio»(20, 27). E ancora: «Notte e giorno non ho cessato di esortare» (20, 31). Una dedizioneprodiga, affettuosa, senza pause.Ancora un particolare significativo. Il Signore ha chiamato Chicco a sé l’8 maggio, giorno

1 Pubblichamo il testo dell’omelia pronunciata l’11 maggio 2008 nella chiesa dell’istituto MassimilianoMassimo di Roma dal padre Enrico Deidda S.I. in occasione delle esequie del padre Francesco Botta.Gesuita di straordinaria intelligenza e umanità, per anni guida della Cvx di Cagliari, missionario in Albanianei turbolenti anni ’90, come rettore dell’istituto Massimo padre Botta era diventato, negli ultimi anni dellasua vita terrena, un entusiasta e attivo sostenitore della Lega Missionaria Studenti e dei ragazzi ospitatinelle case-famiglia di Sighet, in Romania.

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dedicato alla Madonna del Rosario. Nel cielo, nell’orizzonte della sua vita il fuoco che ge-nerava energia era acceso dal Signore Gesù e dalla Madre Sua e nostra, costantementeal centro del suo cuore.La terza occorrenza: l’ultimo addio avviene nella festa di Pentecoste. E l’infusione delloSpirito di amore, di coraggio, di vita, che apre alla capacità di parlare le lingue, di raggiun-gere i cuori e di generarvi nuova speranza, credo che possa ridire con più profonda per-suasività che Padre Chicco ha vissuto la sua esistenza e ha vissuto la sua morte da uo-mo della Pentecoste.Uomo della Pentecoste, ma anche uomo di festa. Gli piaceva l’allegria, gli piaceva cantaree ricordava canzoni di ogni genere, era un maestro dell’umorismo… Soprattutto gli piace-va incontrare le persone: accoglienza e cordialità nascevano pronte e spontanee dal suocuore e dal suo sorriso; amava essere circondato dalla gente e, centro naturale di ognigruppo, si ritraeva volentieri per imporre all’attenzione gli altri.Lui, temperamento brillante ed estroverso, io riservato e un po’ timido: era sempre delica-tamente fermo nel mettermi in condizione di accettare interventi e compiti che mi mette-vano in vista (e che avrei volentieri evitato!). Spronava sempre perché si crescesse nelcoraggio di esporsi, nella fiducia in se stessi. A volte, stando con lui, si aveva l’impressio-ne di sentir riecheggiare le parole: «“Lazzaro, esci fuori!” Abbi fiducia nella vita e nei ta-lenti che Qualcun Altro ti ha donato, abbi il coraggio e la gioia di essere te stesso!».C’è una parola di Giovanni Paolo II che mi pare abbia avuto un riflesso luminoso nelleazioni di Padre Chicco: «La bellezza è invito a gustare la vita e a sognare il futuro». Pro-prio l’entusiasmo per la vita, per tutto ciò che è bello, i mille progetti, i sogni grandi, l’in-stancabile creatività sono stati una costante della sua esistenza! In fondo il suo desiderioe il suo impegno di ogni giorno lo aveva espresso quando, nel momento dell’ultimo addioa Rita, una giovane tornata troppo presto alla Casa del Padre, aveva affermato di lei che«aggiungeva vita alla vita degli altri». Senza rendersene conto, parlava di se stesso.Un uomo coraggioso che sapeva accettare le sfide. Generosità, esuberanza, cuore gran-de lo proiettavano spesso verso le frontiere e, quando si è in frontiera, non sempre è faci-le calcolare e misurare i rischi. Padre Chicco ne era consapevole, ma non si tirava mai in-dietro, anzi per temperamento era attratto dalle sfide, se, affrontandole, pensava di esse-re sostegno ai fratelli, dovunque essi si trovassero e chiunque essi fossero.Così, ad esempio, accettò di buon grado la destinazione in Albania, nel momento difficileche seguì la caduta del regime; e, quando, alla fine degli anni ’90, scoppiò nel paese lagrave crisi che lo portò sull’orlo della guerra civile, sebbene fosse trascorso un solo annodal suo richiamo a Roma come Superiore dei Gesuiti del Centro-Italia, chiese e ottennedi ritornarvi, adoperandosi per lenire sofferenze e scongiurare situazioni estreme di di-sperazione e di violenza.Soprattutto al centro del suo cuore e delle sue cure portava i bambini: dopo l’Albania, an-che in Romania. La condizione dei bimbi abbandonati che vivevano nelle fogne di Buca-rest gli era parsa una vergogna per l’umanità e se ne era fatto carico immediatamente.Solo quindici giorni fa, ormai esausto, ha voluto andare a vedere i «suoi» piccoli delle ca-se di Sighet. La sua debolezza era tale che, per permettergli di partire, i medici gli aveva-no fatto, il giorno precedente, una trasfusione di sangue e aveva dovuto raggiungere l’ae-reo su una sedia a rotelle. Un viaggio temerario, secondo molti che glielo avevano sconsi-gliato, ma era difficile fermare la volontà di Chicco: non si può amare calcolando tutto.Quando si ama si è sempre un po’ spreconi! Forse è proprio questo uno dei segni più lu-minosi e profondi che Chicco ci ha lasciato. Grazie, Chicco!

Enrico Deidda S.I.

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I l 3 gennaio 2010 alle ore 4.50 scop-piò una bomba all’ingresso dellaProcura generale di Reggio Calabria,

a 10 metri dalla chiesa degli Ottimati, ret-ta da noi gesuiti. Era domenica, e a mes-sa ci fu più gente del solito; vivemmo laliturgia penitenziale dinanzi al portonedella Procura, chiedendo perdono per ilsilenzio vissuto sino ad allora; alla fineiniziammo un passaparola per tentareuna risposta immediata. Alle 18 dinanzialla Procura si eraradunato un grup-po di circa 150 per-sone, che si passa-rono di mano inmano solo un fo-glio: «Basta silen-zio! Riscossa! Soli-darietà alla magi-stratura reggina».Per la prima voltaa Reggio i cittadinidissero alla ’ndran-gheta un chiaro«non ci sto». Dalla sera successiva ini-ziammo a incontrarci regolarmente, dan-do vita al movimento ReggioNonTace(www.reggionontace.it, su Facebook Mo-

vimento Reggio Non Tace), che a fine gen-naio 2010 ha dichiarato il proprio obiet-tivo di fondo: «La situazione della nostracittà è talmente drammatica che imponeil risveglio della coscienza di tutta la cit-tadinanza responsabile. Attraverso lanonviolenza e la forza persuasiva del dia-logo intendiamo creare spazi di solida-rietà e di resistenza, che non si limitinoad azioni di contrasto alla ’ndranghetama che abbiano come fine quello di ren-

dere possibile lagiustizia sociale,indispensabile pre-supposto per unaconvivenza civile epacificata».Abbiamo così for-mato gruppi di la-voro per studiaremomenti di con-fronto in ambitidecisivi per sve-gliare la coscienzacivile: scuola e uni-

versità, rapporto con magistratura e for-ze dell’ordine, con l’economia e la politi-ca. In particolare, abbiamo deciso di dar-ci un appuntamento, il giorno 3 di ogni

MISSIONE E SOCIETÀ

ReggioNonTace: un movimentodi gente nato da una bomba

L’esplosione di un ordigno il 3 gennaio 2010 all’ingresso della Procura di Reggio Calabria,a pochi passi dalla chiesa retta dai gesuiti, ha scosso le coscienze di un gruppo di fedeliche hanno deciso di spezzare la coltre omertosa del silenzio e della disinformazione, impe-gnandosi in un coraggioso progetto di contrasto alla criminalità organizzata basato suldialogo e sull’impegno civile

“Il 3 gennaio 2011 abbiamo tracciato gliobiettivi di quest’anno: in particolare,

spingere tutti coloro che fanno parte della«zona grigia» di professionisti, imprenditorie politici, a firmare patti etici, uno dei nodi

cruciali della lotta alla ’ndrangheta.Proveremo, inoltre, a favorire la nascita diuna rete di movimenti della società civile,

impegnati contro la ’ndrangheta, chescelgano di farlo, come noi, in assoluta

gratuità e senza etichette”

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mese, per mantener viva la memoria diquanto accaduto, organizzando incontried eventi, anche all’aperto, per offrire aun numero sempre maggiore di personel’opportunità di confrontarsi con noi.Bombe, attentati, minacce e omicidi cihanno spinti a ribattere colpo su colpo:ogni volta siamo scesi in strada, final-mente senza paura, come in occasionedel corteo di solidarietà al procuratorecapo di Reggio, Giuseppe Pignatone,uno dei pochi membridelle istituzioni realmen-te affidabile, dedito alsuo compito e al serviziodella crescita della co-scienza civile; eravamopiù di settecento personee da allora ci siamo impe-gnati a essere scorta civi-ca della Procura.Il 3 gennaio 2011 abbia-mo tracciato gli obiettividi quest’anno: in partico-lare, spingere tutti coloroche fanno parte della«zona grigia» di profes-

sionisti, imprenditori epolitici, a firmare pattietici, uno dei nodi cru-ciali della lotta alla’ndrangheta. Proveremo,inoltre, a favorire la na-scita di una rete di movi-menti della società civile,impegnati contro la’ndrangheta, che scelga-no di farlo, come noi, inassoluta gratuità e senzaetichette.Purtroppo l’informazio-ne dedica scarsa atten-zione a questi tentatividi risveglio della societàcivile, nonostante a Reg-

gio molti stiano riconoscendo nel no-stro movimento una novità che dà co-raggio, a tal punto che alcuni noti uo-mini della ’ndrangheta hanno detto:«Se la gente non ci ama più e comin-cia a ribellarsi, siamo finiti!». È lagrande novità che la nascita del movi-mento ReggioNonTace ha portato consé: la società civile ha iniziato a minac-ciare la ’ndrangheta.

Giovanni Ladiana S.I.

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I volontari di ReggioNonTace hanno promosso diverse manifestazionipubbliche in difesa della legalità e delle autorità civili impegnate nelcontrasto alla criminalità organizzata.

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Le testimonianze dalla Cvx di Reggio Calabria

ReggioNonTace: la possibilità di rispondereancora una volta alla chiamata del Signore?

Alle ore 9 del 3 gennaio 2010 ho sentito squillare il cellulare. Era Giovanni, il nostro assistente, chemi informava di quanto era accaduto la mattina presto. La sensazione immediata è stata di turba-mento. Perché questa bomba? Abbiamo fatto partire una catena di sms e telefonate per essere tuttipresenti alla messa delle 11. Vivere la liturgia penitenziale davanti al portone della Procura è stataun’esperienza che ancora oggi avverto come un passaggio significativo nella mia vita. Chiedereperdono per aver taciuto fino a quel momento è stato dentro di me come l’aver aperto una piccolaporta su un mondo del quale non mi ero occupata mai con attenzione e serietà: il mondo di chi sce-glie la via della prepotenza e dell’arroganza e di chi viene schiacciato dalla prepotenza e dall’arro-ganza e non ha voce né forza per combatterle. E così è iniziato un percorso di risveglio, prima di tut-to della mia coscienza civile. In modo chiaro ho percepito che il mio essere una persona che ha ri-sposto alla chiamata del Signore dentro la Cvx, non poteva non contemplare una nuova risposta al-la stessa chiamata. Se è vero che «come membri del popolo di Dio in cammino abbiamo ricevuto daCristo la missione di essere suoi testimoni davanti a tutti attraverso i nostri atteggiamenti, le nostreparole, le nostre azioni, identificandoci con la sua missione di portare la Buona Novella ai poveri, diannunziare la libertà ai prigionieri e nuova vista ai ciechi, di liberare gli oppressi e proclamare l’annodi grazia del Signore» (dal n.8 dei Principi Generali), allora non posso che abbracciare il camminoche il movimento ReggioNonTace ha iniziato a percorrere all’indomani della bomba. La decisione diaderire a Rnt a livello personale, e non come associazione, vuole sottolineare la necessità di assu-mersi le proprie responsabilità in prima persona senza correre il rischio di “coprirsi” con una sigla, ri-manendo in fondo anonimi. La strada è lunga e non priva di difficoltà, forse anche di rischi, ma c’èuna sana voglia di farla finita col silenzio che fino a pochi mesi fa ha caratterizzato Reggio Calabria.Stiamo lavorando insieme, persone provenienti da associazioni, gruppi, movimenti diversi, perdiffondere il più possibile tra la nostra gente la necessità di alzare la testa anche se la paura è gran-de. È necessario che il movimento sia sostenuto anche fuori da Reggio, così potremo ancor più di-ventare forza di contrasto alla ‘ndrangheta. (Francesca Sottilotta)

Quando ho ricevuto l’sms in cui veniva detto che dovevamo essere tutti alla celebrazione delle 11 nel-la nostra Chiesa degli Ottimati, a causa di una bomba che era scoppiata davanti al portone della Pro-cura, ho percepito, quasi subito, che era importante unirsi per rispondere a questo evento. Durantel’Eucarestia Giovanni, il nostro padre assistente, ha rimarcato l’urgenza del momento, sottolinenandoche non si poteva più fare finta di niente, non si poteva tacere... «Per amore di Sion non tacerò», diceil profeta Isaia; «per amore del mio popolo non tacerò» scriveva don Peppino Diana nel Natale del1991, tre anni prima di essere ucciso. E l’amore autentico non è fondato su una spinta volontaristica,ma è mosso innanzi tutto dalla gratitudine verso Colui che per primo, da sempre e per sempre, ciama. L’amore autentico si muove non per risolvere subito i problemi ma, chiedendo il dono della luce,riconosce la propria fragilità e confidando solo in Colui che dona la pace, può incamminarsi a conse-gnare, giorno dopo giorno, la propria vita. Quel 3 gennaio 2010 una bomba è risuonata innanzi tuttodentro le nostre coscienze di credenti e cittadini, svelando le nostre assenze, i nostri silenzi, le nostrepaure e ci ha ri-chiamati ad essere insieme uniti, fronteggiando colpo su colpo gli attacchi di chi nonpensa al bene comune e fa della prevaricazione e della violenza sull’altro il proprio stile di vita. Dal 3

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gennaio 2010 ci ritroviamo a condividere un percorso che suggerisce a tutte le persone di tenere de-sta la coscienza civile, stando al fianco della magistratura e delle forze dell’ordine come una specie discorta civica e promuovendo incontri pubblici per andare sempre più in profondo nelle varie questionilegate alla vita concreta di tutti, specialmente di coloro che subiscono danni a causa della ‘ndranghe-ta. Devo confessare che far parte di un movimento costituito da tante persone di estrazione diversanon è sempre facile; vi assicuro, però, che condividere questo cammino con persone non credenti oche appartengono ad aree ideologiche diverse aiuta a ridimensionare il proprio io, orientando così dipiù il proprio servizio al bene comune. Spero che l’esperienza di ReggioNonTace possa allargarsisempre più nella nostra città e nella nostra regione. Mi auguro che tanti fuori dalla Calabria ci sosten-gano, perché è vero che il sogno di Dio per la nostra terra è che «nessuno ti chiamerà più Abbando-nata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata mio compiacimento e la tua terra,Sposata», come dice il profeta Isaia. (Giuseppe Licordari)

IL MESSAGGIO DI REGGIONONTACE AL NEOSINDACO DEMETRIO ARENA3 giugno 2011

Signor sindaco,anzitutto sentiamo di doverti ringraziare per aver accettato quest'incontro: immaginiamo che questiprimi giorni del tuo mandato saranno zeppi d'impegni. Non riteniamo d'aver bisogno di presentarti ilnostro Movimento, poiché anche tu avrai avuto modo di conoscerci in questo nostro anno e mezzo divita. Soltanto vogliamo ribadire i punti del nostro manifesto che sono alla base del Patto tra i politici ela città alla luce del sole: «Non dobbiamo fermarci alla reazione occasionale: la situazione della no-stra città è talmente drammatica che impone il risveglio della coscienza di tutta la cittadinanza re-sponsabile. Attraverso la nonviolenza e la forza persuasiva del dialogo intendiamo creare spazidi solidarietà e di resistenza, che non si limitino ad azioni di contrasto alla ‘ndrangheta ma che ab-biano come fine quello di rendere possibile la giustizia sociale, indispensabile presupposto peruna convivenza civile e pacificata».Quando abbiamo lanciato l'iniziativa del Patto, il responsabile della lista che t'ha candidato ha ritenutodi dover rifiutare di sottoscriverlo, sostenendo che il vostro partito ne aveva già uno interno. […] Oggi,però, sei diventato sindaco di tutti i reggini e riteniamo che alle richieste che avevamo rivolto aicandidati tu possa e debba rispondere nella nuova veste che t'assegna il mandato che hai rice-vuto; lo riteniamo in quanto membri d'un Movimento che, grazie alla credibilità che ci viene ricono-sciuta per il nostro impegno e la nostra libertà da etichette, oggi conta oltre settecento iscritti (deiquali circa cinquecento reggini) e riesce a raggiungere direttamente oltre duemila persone. […]Come Movimento ReggioNonTace c'impegniamo a monitorare l'operato tuo e della giunta, come del-l'intero consiglio comunale; in particolare attraverso lo strumento di un governo ombra, del quale fa-ranno parte cittadini il cui nome non è necessario pubblicizzare, perché vi parteciperanno comemembri del Movimento e con l'aiuto di tutti coloro che vorranno aiutarci.Auspichiamo che tu accetti le nostre richieste e scelga di lasciarti aiutare dai cittadini che stanno di-mostrando d'avere a cuore la liberazione di Reggio dai tentacoli del cancro della ’ndrangheta: ritenia-mo, infatti, che questo potrà aiutare anche te a vivere con la libertà che nasce dalla trasparenza icompiti che t’attendono. Noi, da parte nostra, ci dichiariamo disponibili – se accetterai di sottoscri-vere questi impegni - a essere anche nei tuoi confronti scorta civica, come per tutta la parte sanadelle Istituzioni, che hanno il dovere di avere a cuore il bene della città.

Il Movimento ReggioNonTace

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I eri sera i ragazzi hanno dormito in cano-nica, per fare compagnia a Paolo. Nonche fosse preoccupato, ma le cose non

stanno andando benissimo. Per fortuna cihanno pensato i “pischelli”, si son messi lì ehanno fatto la solita cagnara del sabato sera,ma poi sono rimasti, col sacco a pelo, in salot-to. È stata una bella idea: Paolo è un orso, macredo che gli abbia fatto davvero piacere, allafine. Paolo è il parroco della chiesa della Bea-ta Vergine Addolorata di Modena, anche notacome BVA. La BVA è pure la mia parrocchia,da un paio d’anni. Abbiamo aperto un domi-torio nei locali sotto la chiesa, per l’emergen-za freddo, ora finita, c’è il centro d’ascolto, c’è– per ora vuoto – l’appartamento della canoni-ca, in cui l’anno scorso con Isa abbiamo ac-colto una famiglia moldava (si sono sposatiieri, fra l’altro).La BVA, domenica delle Palme, ha pure ospi-tato una mostra di foto, ne avevamo parlatomolto e alla fine si è fatta, foto sui pannelliestensibili, quelli da fiera, 50 per 200, credo.Su quei pannelli ci sono le foto di Davide Ce-rullo. Davide è un ragazzo di Scampia. Ha 34anni, due bellissimi bambini, una moglie e da

qualche giorno nessun lavoro. Davide ha purescritto un libro, Ali bruciate, in cui raccontafra le varie anche la sua storia, figlio nono diquattordici, figlio pastore di quattoridici, fi-glio pastore di un padre che un giorno se ne èandato, lasciandoli, i figli, tutti e quattordici,soli, più le pecore, con la mamma. A Scam-pia, tutti e quattordici e con la mamma quin-dici: le pecore non bastano, sei più che tenta-to di cambiare lavoro. Davide, dunque, hasmesso presto di fare il pastore e, al posto del-le pecore, si è messo a pascolare la droga. Haspacciato per anni, era bravo, poi Davide èbello come il sole, da bambino non potevipensar male, tanto belllo che era… Insommaarriva a 14 anni che guadagna un milione almese e a 14 anni un milione di vecchie lire,come dire, son soldi. Aveva i soldi, aveva le fi-danzate, era bello come il sole. Aveva anche laquinta elementare (solo quella però). Davide,dunque, ha spacciato, è stato sparato, è finitodentro, è tornato fuori per poi tornare dentro.In Gomorra, il film, quando i ragazzini pren-dono il mitra e sparano, in mutande, ecco,quella scena nel libro non c’è, se l’avete lettove ne siete accorti. Quella scena è un ricordo

Da Scampia a Modena.Perchè alla mafia non si è predestinati

La storia di un ragazzo che ha avuto il coraggio di cambiare vita e di una mo-stra fotografica presa di mira dai vandali, che ha spinto i giovani di una par-rocchia ad aprire gli occhi sulla penetrazione della criminalità organizzatanell’Italia del Nord e a pensare insieme come contrastarla

Davide è un tizzone scampato a un incendio. Succede a legni che sibattono contro il fuoco. Cresciuto nel quartiere della droga, dal fondodi prigione ha trovato il suo nome scritto nella Bibbia: Davide!Ha staccato di nascosto le pagine, le ha lette e da lì è cominciata unapersona nuova. La sua storia canta come la prima rondine, profumacome il pane. Ultima coincidenza col Davide di Bibbia: anche lui dabambino è stato pastore di pecore del padre.

Erri De Luca

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di Davide. Fatto sta che una volta era dentro,Davide, ha visto un Bibbia là in alto e, circo-spetto, con vergogna, l’ha presa e l’ha aperta.La Bibbia parlava di un pastore, si chiamavaDavide, era bello come il sole, Davide (il pa-store della Bibbia), e aveva tanti fratelli. Davi-de, quello che la Bibbia la teneva in mano e sileggeva dentro la Bibbia, ha strappato le duepagine, se l’è messe in tasca.Davide è stato in prigione per un po’, abba-stanza. Ha conosciuto persone, ha conosciutopreti, ha conosciuto anche se stesso. Ha con-servato le pagine della Bibbia, ne ha lette al-tre. Quando è uscito, è statomandato in comunità, ha con-servato una sola delle sue fidan-zatine (una che valeva la penaconservare, perchè lei ha conser-vato lui), è uscito del tutto, èuscito anche da Scampia e daNapoli ed è venuto a Modena. Ea Modena è rimasto. Davide vivequi, ora, ha 34 anni, due bellissi-mi bambini, una moglie e daqualche giorno nessun lavoro. Inquesti anni ha lavorato, ha fattoil camionista, ha letto altri libri,tanti altri. Ha imparato a foto-grafare. Ha scritto un libro, lui che ha la quin-ta elementare (solo quella però): il libro staandando bene, racconta fra le altre anche lasua storia, e soprattutto porta un messaggio,un messaggio semplice. Il libro dice che aScampia non c’è solo Gomorra, che a Napolinon c’è solo munnezza. Il libro ha la presun-zione di correggere un po’ il tiro (anche a Sa-viano, soprattutto al film), per affermare chebisogna puntare sui bambini, che bisogna eli-minare la predestinazione alla criminalità.Che bisogna vedere e supportare chi là dentroci si trova ma non è un criminale, chi nel si-lenzio del quotidiano sopravvive e cerca dinon appartenere al sistema. È un messaggiosemplice, un messaggio che anzi cerca di ri-concentrarsi sull’uomo. Dopo il libro, Davide

ha ricevuto molte lettere dal carcere: lo rin-graziano perchè il suo messaggio condanna,ma non uccide la speranza, perchè dà un’altrapossibilità a una terra e un’umanità martoria-ta, ma ancora viva. È un messaggio semplice.Davide, oltre a scrivere, ha fotografato, anchea Scampia, e ora ha una mostra, che è passa-ta anche a Barbiana, dove c’era Don Milani, ela mostra era anche alla BVA, la mia parroc-chia da due anni, a Modena. La mostra è sta-ta vandalizzata: mercoledì scorso e poi sabatosono entrati, e prima con un pennarello e poicon lo spray e il cutter (sabato, che era il saba-

to di Pasqua) hanno rovinatodelle foto. Proprio quelle fotoche la domenica prima (domeni-ca delle Palme) Davide avevacommentato a messa. Sabato se-ra, alla veglia di Pasqua, abbia-mo messo le foto sull’altare, e so-no ancora lì. Ci resteranno perun po’ credo. Davide, dopo, haricevuto pure delle minacce, ecosì anche Paolo, e hanno pureusato lo stesso spray per sfregia-re la macchina di una catechista(anche lei aveva parlato domeni-ca). Insomma, la BVA, a Mode-

na, è diventata una parrocchia antimafia, equesto a Modena, nel 2011. Se non facesserabbrividire, farebbe ridere (in effetti un po’ridiamo). Questa dunque è un po’ la storia, sene può leggere in giro (la cosa sta diventandoimportante, perchè a Modena la mafia c’è)1.Ovviamente non finisce qui. Non sappiamobene che fare, ma ci sono altre esperienze, c’èLibera, c’è Don Ciotti, abbiamo da imparare ela direzione è chiara: si va avanti e si va piùforte di prima. Poi i ragazzi hanno avuto unabella idea, io mi sa che vado a dormire in dor-mitorio. Andrea Zanni

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1 Vedi su questo tema http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/30/lemilia-dice-basta-ai-camorristi-al-confino-scende-in-piazza-un-intero-paese/108210/

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«Si può fare... ». Così cominciava unaemail che qualche mese fa avevo invia-to ad amici e parenti raccontandoquanto mi era successo, guardando unfilm insieme a Fiorella, e che desidera-vo mettere a disposizione dei miei caricome esperienza. Da quel racconto vo-glio ripartire per parlarvi del mio picco-lo viaggio nel microcredito: come è na-to, come si è sviluppato, come è andataa finire...e come continua! Ecco quantoscrivevo a novembre dello scorso anno:

Si può fare... Qualcosa si può e si devefare. Sono sempre stato accompagnatoda queste idee nel tentativo di muovermicon e per il mondo, di camminare insie-me all’umanità che mi circonda, a voltemassacrata, a volte distratta, a voltestrafottente, a volte attenta e partecipe.Spesso però disillusione, sconfitte, egoi-smi e lo stato di cose imperante rischia-no di far tirare i remi in barca. Tante vol-te mi sono domandato setutti i tentativi di parteci-pazione e impegno politi-co e sociale avessero unsenso o fosse veramentetutto inutile. Poi però ac-cade sempre qualcosa(mai per caso) che rinno-va forza e speranza, pic-coli segni, folate di ventoche rimettono la barca inmovimento.E allora può succedere,come è accaduto a me e aFiorella, che guardando

un film trovi una piccola risposta! L’al-tro ieri decidiamo di vedere un dvd e travarie opportunità la nostra scelta ricadesu 8-Eight, un film che, in otto episodigirati da altrettanti registi, prova a parla-re degli Obiettivi del Millennio delle Na-zioni Unite. Sinceramente il film non èniente di eccezionale come fattura, maalla fine riesce quantomeno a puntareun riflettore su un’azione (disattesa pur-troppo perché alcune delle nazioni – tracui l’Italia – non hanno tenuto fede agliimpegni presi) di cui poco si sa e si co-nosce. Nell’ultimo episodio, quello sullaPartnership Globale, vengono fatti di-versi riferimenti agli impegni assunti du-rante i vertici del G8, si parla di micro-credito attraverso la voce di MuhammadYunus (in questi mesi inquisito per poiessere scagionato dal governo indiano,ndr), di collaborazione, di promesse di-sattese (pensavo con rabbia al nostro go-verno che da due anni non versa un cen-

Kiva…là!Piccolo viaggio nel microcredito

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tesimo al Fondo Globale per la lotta adAids, Tubercolsi e Malaria). Ad un certopunto di questo spezzone appare sulloschermo un rettangolo con un indirizzointernet impresso... Ci facciamo caso,ma passa... Andiamo avanti. Il film fini-sce, lo commentiamo e pensiamo aquanto abbiamo visto...Ieri mi è tornata alla mente quell’imma-gine e ho provato a mettere a fuoco l’indi-rizzo, che non ricordavo bene. Sono an-dato un pochino a tentativi. Al primo misono ritrovato su un sito per la giustiziaeconomica in Kentucky... E non mi sem-brava essere ciò che cercavo. Ho conti-nuato a “googlare” inserendo delle parolechiave differenti, finchè alla fine sono ar-rivato alla soluzione: www.kiva.org. Conil mio inglese stentato ho cercato di capi-re per bene di cosa si trattasse e comefunzionasse, ed in pratica ho scopertoche è un sito che offre la possibilità di fi-nanziare progetti attraverso il microcredi-to! Persone che hanno bisogno di micro-prestiti per sviluppare il loro lavoro pre-sentano un progetto, certificato da part-ner che operano sul territorio, e questo

viene inserito in un panie-re di progetti microfinan-ziabile da parte degli uten-ti del sito. Una volta chiu-sa la raccolta fondi il pro-getto viene finanziato e lapersona che ha chiesto ilprestito può restituire ilsuo debito in un tempodeterminato.Non ci ho pensato su duevolte e ho deciso di dare25 dollari (la quota mini-ma) ad un carpentiere pe-ruviano che aveva biso-gno di un prestito per mi-gliorare la sua attività.Ho preso la mia carta

prepagata, mi sono registrato... E via!Non c’è scopo di lucro, non si guadagnaniente, ma una volta restituiti i soldi (lepercentuali di recupero crediti sono vici-ne al 100%), puoi decidere cosa farne.Donarli al sito, reinvestirli in altri pro-getti, credo anche averli indietro (maquesto non l’ho capito bene: devo studia-re meglio l’inglese). 25 dollari sono menodi 20 euro: quanto spendiamo media-mente una sera per uscire con i nostriamici, per comprare un paio di libri, perandare allo stadio a vedere una partita oa teatro a vedere uno spettacolo di mediaqualità.Quello che ho trovato interessante inquesto metodo è prima di tutto la parte-cipazione, diretta e condivisa, al bisognodell’altro senza intermediari (banche,fondazioni); poi che non si fa assisten-zialismo, ma si dona la possibilità a per-sone che ne hanno la volontà, di autode-terminarsi e crescere. È per questo che viscrivo, perché credo che ad un certo pun-to oltre alle parole servano i fatti... E lepersone che li attuino. Per anni abbiamoparlato di microcredito, di progettazione,

Foto di gruppo per la famiglia del carpentiere peruviano aiutato dai“micro-donatori” del progetto Kiva.

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di cooperazione! Bene, ora abbiamo lapossibilità di farlo, di esserci, di usciredal circolo vizioso della chiacchiera. Ilmio è un invito a partecipare. E parteci-pare numerosi. Potete scegliere il proget-to che vi sta più a cuore: il sito mette adisposizione una serie di filtri che dannola possibilità di scegliere tra le vari pro-poste di finanziamento. Potete sceglieredi finanziare ad esempio solo progetti alfemminile, o per settore (agricoltura, ar-tigianato, etc.), o vedere su una mappal’area geografica che più vi interessa.Tocca a ciascuno di noi fare qualcosa,non possiamo più aspettare!Quasi dimenticavo: ieri sera mi è arriva-ta una email da kiva.org: l’ho letta e hosorriso! Il progetto che ho scelto di fi-nanziare, grazie al supporto di altre 47persone sparse per il mondo, ha raggiun-to il 100% delle quote necessarie per es-sere finanziato e Felipe, il carpentiere pe-ruviano, potrà migliorare la sua attività.Non potete immaginare che gioia!

Maggio 2011: oggi rileggo quanto scrit-to qualche mese fa e, alla luce di comeè andata a finire, sono felice! A febbraioho ricevuto il primo avviso di rientrodel debito e così fino ad aprile (la resti-tuzione in questo caso era stata suddi-visa in tre mesi). Con una puntualitàsvizzera il carpentiere peruviano ha ri-pagato, a quanti avevano avuto fiduciain lui e nel suo progetto, tutta la som-ma che gli era servita per migliorare la

sua condizione di lavoro e dare un so-stegno concreto alla sua famiglia. E al-lora, con in cassa nuovamente i miei25euro, insieme con Fiorella, abbiamodeciso di riutilizzare questi soldi per fi-nanziare un altro progetto: questa voltala scelta è ricaduta sul Libano, e su unadonna che vende frutta e verdura e pro-va a dare un futuro degno a suo figlio.Insomma, il sistema funziona e donadelle risposte concrete!Sicuramente non è l’unica soluzione pos-sibile, sicuramente bisogna continuare alavorare affinché vengano estirpate allaradice le cause generatrici di disugua-glianza, ma proprio in questo senso ab-biamo tra le mani un altro strumento dilavoro. Un altro, sì! Perché poi a pensar-ci bene anche quando, come Lega Mis-sionaria Studenti, sosteniamo a distanzai nostri progetti, in Romania, in Perù, aCuba, in qualche modo investiamo sulmiglioramento delle condizioni di vitadei nostri operatori locali e soprattuttodei nostri bimbi, donando loro la possi-bilità di crescere in un contesto migliore,dando loro la possibilità di avere unaformazione che possa permetter loro ungiorno di essere donne e uomini liberi eautonomi. In questo caso non ci torne-ranno indietro euro o dollari, ma il mon-do, tutto, ne guadagnerà in termini diquel “capitale sociale” necessario per uncambiamento possibile, sempre più ne-cessario.

Luigi Salvio

PER APPROFONDIRE

Il sito di Kiva: http://www.kiva.orgUna scheda sul film: http://www.movieplayer.it/articoli/04952/utopie-per-un-millennio-miglioreIl sito della Campagna del Millennio: http://www.campagnadelmillennio.it

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N apoli, sabato 30 aprile 2011, sera.Stasera vado alla cena per la Ro-mania. Durante il percorso che mi

separa dal ristorante, ripenso alla miaesperienza a Sighet: ripercorro tutti mo-menti che mi ritornano alla mente: la par-tenza, il viaggio, l’arrivo… I sapori nuovi, icolori di una nazione mai vista prima e ilservizio... I volti conosciuti o solo visti…L’ospedale e tutte le donne lì rinchiuse nelreparto di psichiatria. La cena si fa per la raccolta fondi per i pro-getti che la Lega Missionaria Studenti seguein Romania nell’ambito del Progetto Qua-drifoglio. La preparazione di questa cena èstata per me un momento personale impor-tante. Ho rifatto il punto di tutto quello cheho vissuto al campo, di tutte le emozioni e iricordi che in questi otto mesi sono statisempre presenti nella mia mente, ma a cuiforse mai ho dato una collocazione e unachiave di lettura adeguati per inquadrarequel momento nel mio vissuto. Mi sono re-sa conto solo ora che nel libro della mia vi-ta, quel libro che ogni giorno ognuno scrivedentro di sé, non avevo mai messo giù perbene la “questione Romania”: è come seavessi lasciato una pagina abbozzata… Eallora ne ho approfittato, durante questigiorni di preparazione della cena, per rime-diare. A dire il vero non c’è stato molto dapreparare, grazie a don Gianluca e a chigentilmente ha messo a disposizione il pro-prio ristorante per ospitarci. Certo, ci siamodivisi i compiti per preparare i cartelloni

con le foto, il video da proiettare; ci sonostati i biglietti da vendere, ma io mi sonopreparata soprattutto il cuore e la mente.Penso e ripenso a Sighet: mi pongo ancorale stesse domande di agosto, con ancora piùenfasi: com’è possibile che tanta ingiustiziasociale e tanta noncuranza umana siano co-sì presenti in una nazione europea senzache il resto dell’Europa ne sappia niente?«Rispetto della dignità umana, della libertà,della democrazia, dell’uguaglianza, delloStato di diritto e del rispetto dei diritti uma-ni, compresi i diritti delle persone apparte-nenti a minoranze»: questi i principi fonda-tori dell’Unione Europea! Ma per chi? Ri-spettati da chi? Rifletto sulla storia rumena,sulla sua storia economica, sullo sfrutta-mento economico e umano che della Ro-mania si è fatto e si continua fare, anche daparte degli altri stati europei. L’Europa, co-sa vorrà mai dire davvero Europa! Poi ilpensiero torna ai volti di tutte le persone in-contrate a Sighet… Le emozioni si mescola-

VITA LEGA

Frammento RumenoLa comunità Lms-Cvx di Napoli si è ritrovata intorno a un tavolo per rilanciare l’impegnoin favore delle attività della Lega Missionaria Studenti a Sighet

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no e si accrescono: cambiamento radicale èl’unico concetto che mi torna costante allamente! Cambiamento di condotta persona-le, cambiamento sociale! Arriviamo al risto-rante. Lo guardo e sorrido: è un luogo percerimonie, quelle cerimonie per ricevimentidel Sud, per quei matrimoni a cui inviti tan-ti parenti e passi il giorno a camminare tra itavoli senza neanche assaggiare un bocconedi tutte le incredibili portate che ti arrivanoal tavolo. Ma la pomposità del luogo micommuove quasi: rappresenta bene il desi-derio così umano di piacere agli altri checosì spesso ci muove, e questo mi inteneri-sce e mi inquieta insieme. Mi guardo: non èche mi sia “addobbata” molto, forse non so-no troppo adatta al luogo, ma va bene co-sì… Ho addosso un bel po’ di ore di lavoro enon le avrei certo coperte con chili di truc-co o abiti estremamente alla moda: ho lafaccia che ho! Entro e all’ingresso della salaa noi riservata riconosco segni noti, familia-ri: i cartelloni preparati sono semplici mamolto significativi e, nonostante contrasti-no con il luogo, danno bene l’idea dellagioia del servizio che a Sighet abbiamo vis-suto. Vedo pian piano i visi noti degli altrivolontari. Sfoggiamo tutti grandi sorrisi eocchi luminosi. Stefania, la ragazza che hacondiviso con me la casa rumena che ci haospitate e con la quale mi sono intrattenutain lunghe chiacchierate notturne, ha prepa-rato per tutti delle piccole spilline con ungiglio bianco: lo attacco sul petto… Arriva-no le persone invitate, le guardo: gente va-ria che si è interessata al progetto, che è quistasera per dare una mano, mettere un se-mino per un luogo lontano sperando chenascano fiori bellissimi e forse, chissà, è quianche per capire un po’ di più di quello chesuccede laggiù. A un certo punto intravedotra gli altri padre Vitangelo Denora, il gi-gante buono: un volto che ricordo spessotra le mie memorie rumene, un uomo concui non ho parlato molto lì in Romania, ma

il cui sguardo sempre attento è stato spessopunto di riferimento silenzioso nell’avven-tura del campo. E con lui vedo Costi… Sor-risi e saluti calorosi…La sala si riempie e la serata ha inizio. Traun piatto e l’altro e quattro chiacchierescorre il video e cominciano ad essere rac-contate la nascita del servizio e dei progettiin Romania. Ogni tanto lo sguardo mi cadesul silenzioso Costi: piano piano nasce un’i-dea e sorridendo la comunico agli altri ra-gazzi. Se Costi è d’accordo, stasera faccia-mo alle persone qui presenti un grande do-no. Dopo un po’ di amichevoli “trattative”,Costi accetta: racconterà ai presenti la suaesperienza. Il bimbo che era incontrò Vitan-gelo in Romania tanti anni fa e la sua vita…fu una Vita! Arriva il momento in cui Costicon poche e semplici parole si racconta anoi tutti… È la gioia! L’emozione è tanta, ilregalo che Costi ci fa è grande, la serata fi-nisce con il cuore che palpita! L’ultimo miopensiero della serata torna ad alcuni voltidelle donne incontrate in Romania. Sempreloro, le donne del reparto di psichiatria del-l’ospedale di Sighet. Poi di colpo il ricordosi ferma su Timea. Molte delle donne rin-chiuse in quel reparto non sarebbero maitornate a casa, invece Timea, che era lì datanto tempo e non aveva molte speranze diuscire, uno degli ultimi giorni del mio servi-zio a Sighet disse che sarebbe andata via: lafamiglia aveva deciso di riprenderla a casa.L’ultimo giorno di servizio trovai in corsia ilsuo letto vuoto… E quel vuoto fu per meuna grande pienezza! Ora ripenso al sorrisodi Timea e a quel letto vuoto. Spero che tut-ti coloro che si trovino in situazioni di soffe-renza possano abbandonare il letto del do-lore e trovare mani pronte ad accoglierli,mani che lavorino per creare la bellezza, l’u-nica cosa che ci salverà! Grazie a Timea,grazie a Costi, grazie a tutti. Buonanotte!

Fiorella Orazzo

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I l 6 maggio scorso si è tenuta pres-so l’Istituto Sociale di Torino unacena in favore dei progetti che,

come Lega Missionaria Studenti, ci ve-dono maggiormente compromessi a li-vello economico: le case famiglia delProgetto Quadrifoglio in Romania e l’i-stituto Caef in Perù.Tuttavia lo scopo principale della sera-ta non è stato quello della raccoltafondi, ma quello della testimonianza.Sappiamo infatti che dovremmo aprirealmeno un ristorante e farlo andarebene, se volessimo trarre le risorse dicui abbiamo bisogno da eventi del ge-nere! Abbiamo perciò sentito la neces-sità innanzitutto di raccontare le no-stre esperienze, di spie-gare ciò in cui crediamoe anche di cercare unpo’ di chiarire il modocon cui la Lms opera: ilnostro stile, quello che ilVangelo ci insegna ognigiorno e che non abbia-mo mai finito di impa-rare. Con gratitudine ericonoscenza si deve an-che precisare che questoappuntamento di cenasolidale è stato forte-mente voluto dalle asso-ciazioni Educare Insie-

me ed Ex-Alunni del Sociale, che han-no poi spronato noi di Lms e Cvx aunirci per agire. Queste associazionisono, per così dire, nostre parentistrette nella realtà dell’istituto: la pri-ma è formata da alcuni genitori che,credendo fortemente nel programmaeducativo del Sociale, vogliono impe-gnarsi in prima persona per dare unamano nel metterlo in pratica, sia conun aiuto logistico concreto che con latestimonianza verso le altre famiglie;la seconda, forse più nota, è formatada quegli ex-alunni che desiderano te-nere vivo lo spirito d’appartenenza aquell’identità che l’incontro con laCompagnia di Gesù, nel contesto sco-

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Torino, una rete ignazianaper i progetti della Lms-Cvx

La cena di solidarietà organizzata presso l’istituto Sociale per promuovere i ge-mellaggi in Perù e Romania è diventata l’occasione per un proficuo incontrocon le altre realtà di volontariato legate alla realtà ignaziana torinese, come leassociazioni Ex-Alunni ed Educare Insieme

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lastico dell’istituto, ha dato loro di sco-prire per le loro vite.L’evento si è svolto in due fasi: un mo-mento di accoglienza degli ospiti e dipresentazioni e infine la cena vera epropria. Glia v v e n t o r isono statiaccolti conun piccoloa p e r i t i v on e l l ’ a u l amagna del-l’istituto da-gli stessibimbi dellaCasa 2 diS i g h e t ,sfruttandoun collega-mento mul-t i m e d i a l econ la Ro-mania! Do-po una in-troduzionedel progettoQ u a d r i f o -glio, è statopro ie t ta tol’ultimo vi-deo sullaR o m a n i aprodotto daLuigi Sal-vio, che rin-g r a z i a m oper aver re-so disponibile del materiale completoed aggiornato. A seguire una presenta-zione di fotografie sul Perù, poi la ce-na. A sorpresa, durante il pasto, abbia-mo approntato insieme a padre Vitan-gelo Denora un nuovo collegamentocon Sighet, che ci ha permesso di salu-

tare Georghe, uno dei ragazzi cresciutiin Casa 2, che ormai studente universi-tario, è diventato negli anni un grandeamico per tanti dei volontari che han-no partecipato ai campi della Lms a

Sighet.L’evento halasciato tuttisoddisfatti,anche se for-se l’obiettivodi farci co-noscere dap e r s o n enuove, an-che per atti-vare nuove“adozioni”, èstato rag-giunto soloin parte, es-sendo moltidei presentigià a cono-scenza deiprogetti del-la Lms. Que-sto aggancionon può ba-sarsi solosulla pubbli-cità: iniziati-ve del gene-re ce ne so-no tante,siamo vera-mente goccedi un mare.

È frutto invece del racconto della tuaesperienza e dei tuoi incontri con le per-sone che ti sono vicine nella vita, che tivedono convinto e felice di ciò per cui tiimpegni.

Massimo Cantoni

La locandina del concerto di beneficenza organizzato dallaLms di Torino per il 24 giugno 2011.

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