Medicina Romana

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La medicina romana Il pater familias Nell'antica Roma la medicina si fondava su un preciso sistema di organizzazione sociale e culturale, in cui il pater familias esercitava un potere assoluto nella gestione dei suoi beni come dei suoi parenti e di tutti coloro che abitavano e lavoravano nella sua casa e nei suoi possedimenti. In questo contesto, la pratica medica rientrava nei compiti e nelle funzioni del pater, come insieme di nozioni pratiche e teoriche trasmesse nel tempo da padre a figlio. La conoscenza delle patologie era scarsa, e le terapie erano semplici e rudimentali attraverso rimedi molto empirici e naturali, basate prevalentemente su un sistema di alimentazione incentrato sul cavolo e sul vino, in cui potevano disciogliersi erbe ritenute medicamentose a si usavano dei rituali magici. Il pater familias era colui che guidava nelle preghiere ed invocazioni agli dei, ai patrii lari ed ai penati. La prevenzione, intesa come giusta alimentazione e sane regole di vita, costituiva l'elemento principale della medicina domestica del pater familias, che doveva provvedere alla scelta del cibo più indicato per ogni individuo della casa, al vestiario più opportuno in base al clima ed alle funzioni di ognuno, ad indicare la giusta attività fisica e ginnica. Da un punto di vista politico-sociale, molta importanza si prestava alle condizioni climatico-ambientali dei territori abitati e delle ripercussioni che queste potevano avere sulla salubrità del luogo, incentivando la progettazione e costruzione di sistemi d'irrigazione e bonifica del territorio tanto urbano che extra-urbano che garantissero un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini romani e degli abitanti dell'agro romano. Significativa è a tal proposito l'opera di M.T. Vairone (I sec. a.C.), che nel "Rerum Rusticarum" aveva affermato l'importanza di un'operazione di prosciugamento dell'agro romano per eliminare le acque marce e malsane delle paludi abitate da quegli "ammalia quaedam minuta" che infestavano la zona provocando la malattia che dilagava tra i rustici. Il "De re rustica" di Columella (I sec. d.C.) riprendeva questa cura all'igiene rurale ed urbana, proponendo un progetto 1

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La medicina romanaIl pater familias

Nell'antica Roma la medicina si fondava su un preciso sistema di organizzazione sociale e culturale, in cui il pater familias esercitava un potere assoluto nella gestione dei suoi beni come dei suoi parenti e di tutti coloro che abitavano e lavoravano nella sua casa e nei suoi possedimenti. In questo contesto, la pratica medica rientrava nei compiti e nelle funzioni del pater, come insieme di nozioni pratiche e teoriche trasmesse nel tempo da padre a figlio. La conoscenza delle patologie era scarsa, e le terapie erano semplici e rudimentali attraverso rimedi molto empirici e naturali, basate prevalentemente su un sistema di alimentazione incentrato sul cavolo e sul vino, in cui potevano disciogliersi erbe ritenute medicamentose a si usavano dei rituali magici. Il pater familias era colui che guidava nelle preghiere ed invocazioni agli dei, ai patrii lari ed ai penati. La prevenzione, intesa come giusta alimentazione e sane regole di vita, costituiva l'elemento principale della medicina domestica del pater familias, che doveva provvedere alla scelta del cibo più indicato per ogni individuo della casa, al vestiario più opportuno in base al clima ed alle funzioni di ognuno, ad indicare la giusta attività fisica e ginnica.

Da un punto di vista politico-sociale, molta importanza si prestava alle condizioni climatico-ambientali dei territori abitati e delle ripercussioni che queste potevano avere sulla salubrità del luogo, incentivando la progettazione e costruzione di sistemi d'irrigazione e bonifica del territorio tanto urbano che extra-urbano che garantissero un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini romani e degli abitanti dell'agro romano.

Significativa è a tal proposito l'opera di M.T. Vairone (I sec. a.C.), che nel "Rerum Rusticarum" aveva affermato l'importanza di un'operazione di prosciugamento dell'agro romano per eliminare le acque marce e malsane delle paludi abitate da quegli "ammalia quaedam minuta" che infestavano la zona provocando la malattia che dilagava tra i rustici. Il "De re rustica" di Columella (I sec. d.C.) riprendeva questa cura all'igiene rurale ed urbana, proponendo un progetto sistematico di opere architettoniche d'irrigazione delle campagne e delle città, di acquedotti e sistemi di fognature tesi a garantire la salubrità dei luoghi, e prevenire, quindi, l'insorgenza di epidemie.La medicina, le acque termali e la chirurgia ebbero grande importanza presso gli Etruschi. Una vera e propria formazione all’arte della medicina non esisteva in Roma. L’esercizio della professione era remunerativo e molti, del tutto inesperti, come ciabattini e tessitori, diventavano da un giorno all’altro medici o meglio lo diventavano facendo esperienza sulla pelle dei loro pazienti.

L’ambulatorio medico

Nel 1989, a Rimini, durante i lavori di risistemazione di piazza Ferrari, vide casualmente la luce uno dei ritrovamenti archeologici più interessanti per la storia della medicina, il complesso della domus “del Chirurgo”. Distrutto nel corso di eventi bellici nella seconda meta del III secolo d.C., il sito ha conservato in loco una grande quantità di materiali, tra i quali spicca una ricchissima dotazione di strumenti chirurgici in metallo e di altri oggetti terapeutici in pietra e ceramica. Lo strumentario fu rinvenuto in due vani presumibilmente adibiti all’esercizio della professione medica.

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Dopo la distruzione nulla fu asportato dalla domus (dove e stato rinvenuto, tra le altre cose, anche un gruzzolo di monete; anche il set di strumenti aveva di per se grande valore); si ha dunque la discreta certezza di avere a che fare con un armamentario medico completo, conservato nel proprio contesto d’uso ed accuratamente scavato, a differenza di quanto si riscontra nel caso delle più importanti testimonianze materiali sulla medicina antica, quelle provenienti da Pompei o dalle numerose sepolture documentate in gran parte del mondo greco-romano, probabilmente solo una selezione degli strumenti appartenuti al defunto.

La medicina arrivò a Roma con la conquista della Grecia. Essa si sviluppò grazie all’apporto di conoscenze provenienti dalla Grecia. Siccome la Grecia, dopo la conquista romana era poverissima per le numerosissime guerre che l’avevano dilaniata, ci furono numerosi medici che si vendettero come schiavi per poter andare a Roma ad esercitare la propria arte. Molti di questi divennero famosi e si comprarono la libertà diventando dei liberti.Nonostante la fiducia dei tradizionalisti i medici greci o forestieri si affermarono in Roma in modo tale che prima Cesare e poi Augusto concessero loro il diritto di cittadinanza vietando che potessero essere rimandati nei luoghi d’origine.Il primo medico non fu latino, ma giunse nell’Urbe dalla Grecia, il suo nome era Arcagato. Nato nel Peloponneso nel 219 a.C. ricevette la cittadinanza romana e gli venne affidata una ‘’taberna’’, dove poter curare i pubblici malati. Insomma Arcagato fu il primo medico della mutua meritandosi la qualifica di Vulnerarius (chirurgo).Quindi le Medicatrinae dette anche Tabernae Medicorum, (in diretta derivazione degli iatrei greci), ebbero inizio a Roma con la venuta di Arcagato Peloponnesiaco, verso il 290 a. C. Erano case di salute private annesse alla casa del medico dove si esercitava un'arte esercitata a scopo di lucro da medici e medicastri che nulla avevano a che vedere con la casta dei medici sacerdoti degli Asclepiei. Tuttavia esistevano anche laboratori chirurgici degni di attenzione e di rispetto.Le Medicatrinae disponevano di qualche locale dove si ricoveravano quei malati che richiedevano una più stretta osservazione, mentre il «Laboratorio» fungeva da stanza di consultazione ambulatoriale.

Arcagato, fu così apprezzato per la sua arte che il senato oltre ad accordargli la cittadinanza romana gli permise di aprire una sua bottega dove esercitare la professione. È verosimile che, in realtà, i primi medici greci di stampo ippocratico fossero già arrivati nel territorio romano nei secoli precedenti, come schiavi e prigionieri di guerra, e che proprio tra questi avessero esercitato la loro medicina sino ad arrivare ad ottenere un riconoscimento ufficiale della loro arte nell'ambito della società. Forti furono le opposizioni e le resistenze che i più tradizionalisti attuarono nei confronti dei nuovi medici, che usavano una medicina aggressiva ed invasiva contravvenendo al principio fondamentale del "primum non nocere" della tradizione medica romana. Se Catone il Censore (234-149 a.C.) denuncia la "barbarie" con cui i greci esercitano la medicina e ne disprezza i metodi cruenti e l'avarizia nel farsi pagare per le prestazioni che offrono, va però sempre più aumentando in età repubblicana il numero delle botteghe di medici greci, e sempre più diffusione hanno i testi del Corpus Hippocraticum tra quei cittadini romani che intendono apprendere la nuova arte.La particolarità più immediata ed evidente della medicina romana rispetto a quella greca sta nella distinzione tra le diverse specialità mediche che venne a delinearsi dapprima nella separazione tra medicus e chirurgus, poi nella suddivisone delle

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competenze in base alle conoscenze di singole patologie o singoli organi. Vennero così a profilarsi figure diverse di medici in base alle loro rispettive specializzazioni, che esercitavano nelle loro botteghe -tabernae medicae - dove visitavano i loro pazienti praticavano piccoli interventi chirurgici e/o trattamenti per frattura, lussazioni e ferite, e preparavano composizioni medicamentose spostandosi solo nei casi di malattie che impedivano il trasposto del malato. Altri luoghi di cura tipici della medicina romana erano le terme, abbondanti nel territorio peninsulare per la presenza di acque solfuree e sfruttate per i loro benefici già dagli etruschi e dai po-poli italici. Con Temisene di Laodicea e Sorano di Efeso si ebbe, in età augustea, la diffusione del sistema medico-filosofico di Asclepiade di Bitinia (II sec. a.C.), basato sulla filosofia epicurea di una concezione atomistica del cosmo, della natura e dell'uomo. Considerato il fondatore della Scuola Metodica, Asclepiade considerava il corpo umano costituito da atomi, la cui connessione era resa possibile grazie ad infiniti poroi attraverso cui potevano passare e muoversi i diversi atomi; la malattia era quindi effetto di un mancato o eccessivo passaggio degli atomi in questi meati, dovuto alla conformazione non naturale di questi ultimi. Individuò pertanto tre tipi di cause di malattia legati alla condizione dei poroi: lo status laxus, che provoca un eccesso di permeabilità agli atomi; lo status strìctus, che, viceversa, ne impedisce il passaggio; lo status mixtus, in cui sono presenti entrambe le condizioni. Per ristabilire il giusto equilibrio dei poroi con gli atomi era pertanto necessario un sistema terapeutico che agisse con un'operazione di raffreddamento nel caso di status laxus dei poroi, perché si restringessero; di riscaldamento per lo status strictus, perché i poroi si rilassassero; e di caldo e freddo alternativamente per curare lo status mixtus. Aveva a tal fine indicato una terapia delle acque, che Temisone di Laodicea sistematizzò in un sistema terapeutico che dette scientificità all'antica usanza della terapia delle acque: nelle terme di età imperiale si trovavano così il frigidarium, per restringere i meati, il calidarium, per dilatarli, ed il tepidarium, per equilibrare entrambe le condizioni.Accanto ai locali termali sorgevano in genere ambienti allestiti per l'attività ginnica, elemento fondamentale della medicina romana, sia come misura preventiva, sia come terapia, in base alla concezione secondo la quale all'immagine di un corpo atletico ed energico corrispondesse un benessere anche emotivo, psicologico e di salute. È proprio su questo principio che nel I secolo il medico di corte Antonio Musa, per volontà di Augusto organizzò la costruzione dei valitudinaria militari, campi medici di ricovero ed assistenza per i legionari stanziati negli accampamenti ai confini dell'impero. All'interno dei forti militari costruiti nei vari territori, e soprattutto lungo le frontiere, per meglio controllare e respingere eventuali aggressioni, vennero così edificate apposite strutture per accogliere i feriti di guerra, o i militari malati, con le attrezzature necessarie per praticare operazioni di pronto intervento e con un organico medico diversificato, che includeva medici generici, specialisti di varie patologie, medici specializzati nella cura di ferite e traumi da armi ed un personale di assistenza ai ricoverati. L'architettura dei valetudinaria era generalmente quella di un peristilio rettangolare, con un ampio atrio di accoglienza, un cortile centrale e stanze di degenza, locali e latrine sotto i porticati. Un altro spazio del campo militare era poi destinato all'attività ginnica dei soldati, sia per la terapia riabilitazione motoria dei pazienti sia per l'allenamento dei legionari.

Valitudinaria e Terme

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Altri luoghi di cura tipici della medicina romana erano le terme, abbondanti nel territorio peninsulare per la presenza di acque solfuree e sfruttate per i loro benefici già dagli etruschi e dai popoli italici. Con Temisene di Laodicea e Sorano di Efeso si ebbe, in età augustea, la diffusione del sistema medico-filosofico di Asclepiade di Bitinia (II sec. a.C.), basato sulla filosofia epicurea di una concezione atomistica del cosmo, della natura e dell'uomo. Considerato il fondatore della Scuola Metodica, Asclepiade considerava il corpo umano costituito da atomi, la cui connessione era resa possibile grazie ad infiniti poroi attraverso cui potevano passare e muoversi i diversi atomi; la malattia era quindi effetto di un mancato o eccessivo passaggio degli atomi in questi meati, dovuto alla conformazione non naturale di questi ultimi. Individuò pertanto tre tipi di cause di malattia legati alla condizione dei poroi: lo status laxus, che provoca un eccesso di permeabilità agli atomi; lo status strìctus, che, viceversa, ne impedisce il passaggio; lo status mixtus, in cui sono presenti entrambe le condizioni. Per ristabilire il giusto equilibrio dei poroi con gli atomi era pertanto necessario un sistema terapeutico che agisse con un'operazione di raffreddamento nel caso di status laxus dei poroi, perché si restringessero; di riscaldamento per lo status strictus, perché i poroi si rilassassero; e di caldo e freddo alternativamente per curare lo status mixtus. Aveva a tal fine indicato una terapia delle acque, che Temisone di Laodicea sistematizzò in un sistema terapeutico che dette scientificità all'antica usanza della terapia delle acque: nelle terme di età imperiale si trovavano così il frigidarium, per restringere i meati, il calidarium, per dilatarli, ed il tepidarium, per equilibrare entrambe le condizioni.Accanto ai locali termali sorgevano in genere ambienti allestiti per l'attività ginnica, elemento fondamentale della medicina romana, sia come misura preventiva, sia come terapia, in base alla concezione secondo la quale all'immagine di un corpo atletico ed energico corrispondesse un benessere anche emotivo e psicologico, e, quindi, di salute in toto.

I valetudinaria erano utilizzati dall’esercito romano e sono strutture generalmente piuttosto grandi, riconoscibili dalla caratteristica pianta con spazi comuni e stanze più piccole per i pazienti attorno ad un cortile centrale, mentre il sito della domus è di dimensioni assai limitate e privo di locali pensati per la degenza.I valetudinari, erano un’ istituzione prettamente romana, caratterizzata da grandi costruzioni destinate ad accogliere i «familiares» ammalati. Sorsero perciò nelle grandi aziende campestri dove lavoravano veri stuoli di servi, impiegati e familiari.Descritti per la prima volta da Columella (I sec. a.C.).II personale era costituito da medici, da infermieri («servus a valetudinario») e da personale femminile adibito a servizio ostetrico.Oltre ai valetudinari civili, privati, coesistevano quelli annessi alle palestre che accoglievano atleti feriti e malati, e i valetudinari militari («valetudinarium in castris»).Sul dell'immagine di un corpo atletico ed energico corrispondesse un benessere anche emotivo e psicologico, nel I secolo il medico di corte Antonio Musa, per volontà dello stesso Augusto, organizzò la costruzione dei valitudinaria militari, campi medici di ricovero ed assistenza per i legionari stanziati negli accampamenti ai confini dell'impero. All'interno dei forti militari costruiti nei vari territori, e soprattutto lungo le frontiere, per meglio controllare e respingere eventuali aggressioni, vennero così edificate apposite strutture per accogliere i feriti di guerra, o i militari malati, con le attrezzature necessarie per praticare operazioni di pronto intervento e con un organico medico diversificato, che includeva medici generici,

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specialisti di varie patologie, medici specializzati nella cura di ferite e traumi da armi ed un personale di assistenza ai ricoverati. L'architettura dei valitudinaria era generalmente quella di un peristilio rettangolare, con un ampio atrio di accoglienza, un cortile centrale e stanze di degenza, locali e latrine sotto i porticati. Un altro spazio del campo militare era poi destinato all'attività ginnica dei soldati, sia per la terapia riabilitazione motoria dei pazienti sia per l'allenamento dei legionari.

I valetudinari militari sono vastissimi edifici con cortile centrale, con stanze di degenza in genere di tre letti ampie, ben arieggiate e soleggiate, fornite di ampi servizi con ambienti per dimora dei medici e degli infermieri.L'assistenza medica ai feriti ed ammalati bellici, affidata nei primi tempi a medici pubblici che seguivano gli eserciti, oppure ai servi medici che seguivano il loro padrone, venne affidata a veri e propri medici militari inquadrati nelle file della legione. Tra il personale subalterno vi erano capsarii (infermieri guardarobieri) frictores (massaggiatori), unguentari, curatores operis (addetti al servizio farmaceutico), optiones valetudinarii (addetti al vitto e all'amministrazione).Sappiamo molto poco riguardo alla medicina militare nell'età repubblicana. Gli autori che ne testimoniano prima di Augusto come Tito Livio, raccontano che i feriti nelle battaglie venivano portati nei villaggi nei pressi della zone di conflitto per essere curati. In seguito alla riforma dell'esercito di Augusto vennero introdotti i medici militari che avevano ricevuto, al contrario di quelli civili, una specifica formazione. Questi vengono arruolati come gli altri soldati e rimangono in servizio per circa 16 anni presso i valetudinaria, qualcosa di molto simile ai moderni ospedali. Negli accampamenti era quasi sempre presente una grande infermeria i cui resti sono stati trovati in diverse città-accampamento con a capo il "medicus castrensis", esentato da ogni altro servizio, assistito da capsarii (infermieri guardarobieri), frictores (massaggiatori), unguentari, curatores operis (addetti al servizio farmaceutico), optiones valetudinarii (addetti al vitto e all'amministrazione) . La cavalleria possedeva propri medici (medici alarum) così come nella marina vi erano i medici triremis. Vi era anche una gradazione dei medici militari in medicus legionaris di grado superiore al medicus coorti, ed infine il medicus ordinarii che aveva il grado corrispondente a quello di centurione, ma senza un comando effettivo su i soldati.

Divaricatori per ispezioni anali e vaginali. In basso i "pestelli dell'oculista"

Come i greci, i romani utilizzarono vari rituali religiosi per la guarigione, perché credevano all'origine soprannaturale di molte malattie ma, a differenza della società greca che riteneva che la salute fosse un fatto privato e personale, il governo romano tutelò e incoraggiò il miglioramento della sanità pubblica. Inoltre, accanto a una medicina privata, Roma aveva istituito una comunità di servizi igienici e sanitari con lo scopo di prevenire le malattie

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attraverso il miglioramento delle condizioni di salute con la costruzione di acquedotti per portare acqua in città, di bagni pubblici e di reti delle acque reflue.

Roma diviene maestra di igiene sociale nel mondo: gli acquedotti, le terme, l'ordinamento dei parchi, la sorveglianza igienica sugli alimenti, le cloache e le leggi sanitarie a difesa della salute pubblica sono, conosciute e rinomate in tutto l'impero; nel III secolo d.C. tutto l'insegnamento è riordinato, la medicina greca è applicata, codificata perfettamente con l’evoluzione nelle regole igieniche.

AGGIUNTA

Nell'epoca greca romana ci fu un grandissimo sviluppo dell'igiene. I bisogni fisiologici non venivano più espletati nell'ambiente esterno o in luoghi aperti comuni (vicoli e spiazzi), ma in apposite costruzioni, le latrine pubbliche, dotate di sistema idrico e di sistema fognario. A Roma vi era un efficiente sistema fognario oltre ad un efficientissimo sistema idrico. In ogni casa, non solo in quelle dei ricchi, ma anche nelle insulae, che erano le case popolari dell'epoca, vi era una fontana, l'acqua corrente, portata in ogni casa dagli acquedotti. Questi acquedotti, costituiti da tubi di piombo, materiale molto malleabile, furono imputati del crollo dell'Impero Romano, a causa della malattia causata dai sali di piombo, il saturnismo.

In realtà pare che non fosse tanto l'acqua inquinata a determinare tale malattia, ma il vino. L'acqua , infatti, non depurata proveniente da zone montane, era ricca di sali di calcio, i quali, col tempo, depositandosi sulle pareti delle tubature, costituivano un rivestimento capace di trattenere i sali di piombo, che non venivano più a riversarsi nell'acqua corrente. Il vino risultava invece, alla fine , ricco di sali di piombo, che sono solubili, in quanto questi venivano utilizzati, alla stregua del bisolfito usato oggi, per controllare la fermentazione del vino.

Grande importanza ebbe l'erboristica, benché, anch'essa, utilizzata in maniera molto empirica.

La medicina arrivò a Roma con la conquista della Grecia. A Roma fare il medico era considerata cosa disdicevole, che poteva fare solo uno straniero. Siccome la Grecia, dopo la conquista romana, era poverissima per le numerosissime guerre che l'avevano dilaniata, ci furono numerosi medici che si vendettero come schiavi per poter andare a Roma ad esercitare la propria arte. Molti di questi divennero famosi e si comprarono la libertà, diventando dei liberti. La setta che ebbe maggior fortuna fu la setta Metodica, con Asclepìade e il suo allievo Temisòne, che influenzò moltissimo la cultura medica romana. Ci furono inoltre a Roma importantissimi trattatisti, tra cui il fondatore della botanica farmaceutica, Dioscuride Pedànio (I sec. d.C.), che pubblicò un libro, intitolato De materia medica, che rimase come base della farmacologia fino al primo Ottocento; Sorano di Efeso (I / II sec.), medico ellenista, che pubblicò un trattato di ginecologia e soprattutto Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-37 d.C.) con il suo trattato De Medicina. Questi fece una sorta di enciclopedia medica in cui trattò argomenti di chirurgia, di medicina dal punto di vista di un erudito, piuttosto che da quello di un conoscitore dell'argomento, facendo un grande elenco di pratiche comuni a Roma. Da qui possiamo però farci un'idea dello sviluppo raggiunto dalla chirurgia in quell'epoca, soprattutto in alcuni campi, quali l'odontoiatria.

L'elemento più caratteristico però dell'ambiente sanitario romano era il concetto di igiene. I romani si lavavano moltissimo, ne è un esempio l'uso e il numero delle terme allora esistenti. Il medico più importante dell'epoca romana, che lasciò una traccia importantissima nella

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cultura occidentale, fu Galéno (129 d.C.-200 d.C.), il pergameno. Questi era figlio dell'architetto dei re, proveniva dunque da una famiglia facoltosa, che dopo il tirocinio ad Alessandria passò a Roma, dove fece il medico dei gladiatori, acquisendo quindi una certa infarinatura anatomica, anche se, seguendo i concetti greci, si dedicò soprattutto alla dissezione degli animali. Tra questi i più studiati erano il maiale ("l'animale più simile all'uomo", a detta di Galeno) e la scimmia. Galeno intuì l'importanza fondamentale degli organi e di molti anche il loro effettivo ruolo; ad esempio capì che le vesciche urinarie non producevano urina, ma che questa proveniva dagli ureteri (lo dimostrò legando gli ureteri), descrisse per la prima volta il nervo ricorrente. Ebbe molta importanza come medico pratico: basandosi sulle piante medicinali introdusse farmaci di grandissima importanza; introdusse, ad esempio, l'uso della corteccia di salice e del laudano (tintura di oppio) come anestetico.

Però insieme a questi reclamizzò dei farmaci completamente inutili, tra cui la triaca o teriaca, cioè un brodo costituito da sterco di capra, pezzi di mummia, teste di vipera; l'unica proprietà buona di questo intruglio era il fatto che veniva fatto bollire a lungo per cui il materiale contenuto all'interno era sterile. Nonostante le sue numerose intuizioni, poiché la teoria più accettata all'epoca era quella ippocratica, egli, pur con qualche introduzione di elementi estranei, sposò la teoria degli umori. Anzi, esasperò l'aspetto terapeutico della materia peccans. Tra la materia peccans vi era il pus, che venne chiamato da Galeno "bonum et laudabile", perchè espressione di ciò che doveva essere eliminato. Purtroppo, però, soprattutto dagli epigoni di Galeno tale teoria venne sfruttata in senso stretto: dicevano infatti che le ferite non dovevano guarire per prima intenzione, ma doveva formarsi prima pus: era quindi necessario bruciare la ferita in maniera tale da provocare la sua formazione, perchè solo così le ferite guarivano meglio. Tale concetto restò valido sino alla fine del 1500.

Galeno portò, inoltre, all'esasperazione anche altre metodiche terapeutiche, quali il salasso. Nel suo concetto introdusse anche il concetto metodista dei pori: ciò, però, fu travisato ed interpretato come un invito, fatto da Galeno, a non lavarsi.

Galeno elaborò un teoria fisiologica per capire come funzionava il nostro corpo e come si muoveva il sangue. Sulla base di molte affermazioni di Aristotele (fu il primo a considerare la digestione come una sorta di cottura, parlava di una concotio degli alimenti che avveniva nello stomaco) affermò che gli alimenti, che contenevano le sostanze nutritizie, dopo la concotio, attraverso le vene meserraiche (allora non si conoscevano i vasi chiliferi), venivano portati al fegato. Questo era l'organo principale della circolazione. Per Aristotele era il cuore l'organo più importante, per Galeno il fegato. Nello stomaco tale materiale diventava sangue e si arricchiva di uno spirito chiamato spirito naturale. Gran parte di questo sangue, dal fegato andava in periferia, attraverso le vene, dove veniva consumato come nutrimento. Una parte, invece, attraverso la vena cava, passava al cuore, sede in cui arde la fiamma vitale, nel quale si arricchiva dello spirito vitale; in particolare il sangue giungeva al cuore destro e da qui, attraverso dei pori, giungeva al cuore sinistro. Da qui, attraverso le arterie, considerate dei vasi, il sangue giungeva soprattutto al cervello. Prima di giungere però al cervello, il sangue passava attraverso un sistema mirabile situato nel collo. Nell'encefalo il sangue si arricchiva di un ulteriore spirito, lo spirito animale, quindi, attraverso i nervi, considerati il terzo sistema di vasi, giungeva in periferia dove poteva dare la vita. Questa teoria non presuppone una circolazione del sangue, bensì solo un movimento: a suo giudizio si muoveva secondo il moto delle maree. Questa, naturalmente, era una teoria facilmente confutabile. In realtà, secondo tale concezione, il sangue sarebbe dovuto essere una quantità enorme: infatti, se man mano che il sangue giungeva in periferia si consumava, è logico che se ne sarebbe dovuto ingerire una quantità notevole in continuazione. Per confutarla sarebbe bastato prendere un

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animale e sgozzarlo, come fece 1500 anni dopo Harvey. Secondo la teoria galenica, inoltre, a livello del cervello il sangue veniva filtrato e si veniva così a creare uno spurgo, rappresentante ciò che di impuro il sangue conteneva, e che, attraverso la lamina cribrosa colava giù dando origine alle lacrime. Una teoria affascinante che, tuttavia, non era fondata su basi sperimentali e che portò poi alla cristallizzazione di tutto il sapere medico-scientifico, in quanto questa teoria si sposava bene con la dottrina cristiana. Questa teoria divenne perciò quasi un dogma. Nel 1500, al tempo del grande medico Vesalio, era ancora valida. Tra le trattazioni rese così inattaccabili, oltre a quella sul sangue, già vista, vi è quella anatomica. Una anatomia, tuttavia, fondata sullo studio di animali che quindi non aveva nessuna funzionalità pratica, reale.

A riprova dell'intoccabilità di Galeno è dimostrativo il fatto che, nonostante tutte le prove rappresentate dai numerosi scheletri presenti sotto gli occhi di tutti, si continuasse ad affermare che gli omeri fossero curvi, e che quelli dritti non erano altro che ingannevoli scherzi della natura.

Dopo Galeno ci furono una moltitudine di medici che operarono nell'Impero d'Occidente, ma soprattutto in quello d'Oriente, con conseguente passaggio del sapere dall'Occidente all'Oriente.

Sulla scia della grande importanza data all'igiene, in epoca romana sorsero i primi veri e propri ospedali, costruiti secondo precise norme igieniche quali smaltimento dei rifiuti, sistema idrico, libera circolazione dell'aria, come dimostrano le numerose finestre di cui erano dotati, che possiamo anche oggi vedere e di cui Vitruvio racconta.

La classe medica ha una posizione importante nella società e nello Stato, la medicina legale è importantissima nel complesso delle leggi e lo Stato affida al medico la cura e la responsabilità della salute del cittadino.

Quello che noi oggi chiamiamo lo studio del medico nell’antica Roma non si distingueva dalle altre botteghe presenti nel foro che gli archeologi sono in grado di identificare solo per i reperti di strumenti medici ivi ritrovati. L’arredamento era semplice: cassapanche e cassette per gli strumenti medici, le medicine, teli e bende, anfore con acqua, olio e vino, due sedie e sgabelli e spesso anche un lettino. Nella completa mancanza di ospedali civili, vicino all’ambulatorio vi era una specie di lazzaretto per la degenza e l’osservazione dei pazienti operati.Le operazioni chirurgiche avvenivano di solito con il malato più o meno narcotizzato e che doveva essere tenuto fermo dagli assistenti dei chirurgi romani che non esitavano a’’tagliare e bruciare’’ come riferisce Seneca.Il salasso era considerato una sorta di panacea per molte malattie e pur essendovi una farmacopea abbastanza sviluppata nella Roma antica non esisteva la professione del farmacista: il medico preferiva confezionarsi da solo i farmaci da adoperare badando bene a dar loro un profumo o un colore piacevole.All’inizio erano locali adibiti alla vendita di erbe officinali, ma dal secondo secolo a.C si cominciò a parlare di apotheca, la farmacia vera e propria, dove si trasformavano erbe e minerali in preparati.Il medico nell’antica Roma era di solito un professionista “generico” che non aveva

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una precisa specializzazione, con l’eccezione di alcune grandi città dove esercitavano rari medici specialisti che divengono più numerosi a partire dal I secolo d.C. in tre settori della medicina: la chirurgia (chirurgus), l’oculistica (ocularius) e l’otorinolaringoiatria (auricularius). Alcuni come un tale Decimio Eros Merula di Assisi aveva una doppia specializzazione in chirurgia e oculistica e per questo motivo, come attesta un’iscrizione sul suo sepolcro, accumulò tanto denaro da lasciare il comune erede di una grossa donazione.I medici più noti ed apprezzati raggiungevano dei redditi annui molto elevati sino a parecchie migliaia di sesterzi giungendo ad accumulare patrimoni milionari ottenuti anche con il “regalo d’onore”, da cui il termine “onorario”, con cui i malati più ricchi risanati usavano premiare il medico competente con del denaro in sovrappiù di quello richiesto.Alcuni invece, per avidità si comportavano in modo difforme dall’etica della professione prolungando costose cure per una malattia già sanata oppure pretendendo somme ingenti per una medicina di poco prezzo o addirittura portando a morte un paziente che avesse incluso il proprio medico nel suo testamento. Uno specialista molto attivo nell’antichità era l’oculista, il che fa supporre una diffusione delle malattie collegate agli occhi come attestano i frequenti, circa 300, ritrovamenti archeologici nelle regioni occidentali dell’Impero, del cosiddetto “pestello dell’oculista”, consistente in una piccola piastra di pietra, di circa 5 centimetri di lato, su cui era iscritto il nome del medico e il principio attivo della medicina con le relative indicazioni. Il pestello veniva adoperato come un mortaio per realizzare unguenti particolari che venivano essiccati ed usati come colliri (panini) come “la pomata di Onesto Lautino contro vecchie cicatrici” .La letteratura medica dell’epoca è ricca di trattati dedicati alla ginecologia ma non vi sono prove, ad eccezione di una fonte che attestino la professione di ginecologi come medici specializzati. Nei parti aveva maggiore importanza la funzione dell’ostetrica mentre il medico svolgeva una azione di sostegno nei casi difficili. É probabile che i pochi medici donna di cui abbiamo testimonianze fossero specializzate proprio in ginecologia dove ci si avvaleva di strumenti abbastanza evoluti come lo speculum vaginale. Poiché, come per il medico generico, anche per lo specialista non esisteva alcuna formazione o autorizzazione pubblica, non mancavano ciarlatani che con poco spesa si inventavano strane specializzazioni come quella per rimuovere i marchi a fuoco di ex schiavi, per la bruciatura di ciglia o per le fratture o come quei specialisti delle malattie della pelle che affluirono numerosi dall’Egitto, per arricchirsi con le loro prestazioni ai romani colpiti da una epidemia di lebbra. L’odontoiatria non costituiva una specializzazione particolare molto diffusa ma era in genere esercitata dai chirurghi che la praticavano, in assenza di anestetici efficaci, in modo molto doloroso per i malcapitati. Inoltre le conoscenze del tempo permettevano di applicare protesi dentali e di sostituire denti cariati con altri di avorio o metalli.La medicina si collegò all’arte divinatoria,infatti anche a Roma molti dei vennero venerati come salutari, ad esempio Apollo e Marte.

Ai romani è stata attribuita l'istituzione degli ospedali pubblici rintracciandone il primo nell'isola Tiberina dove fu eretto nel 293 a.C. un tempio dedicato ad Esculapio. Tavolette ex voto sono state ritrovate nel letto del Tevere che testimoniano come vi si recassero in pellegrinaggio coloro che avevano chiesto l'intercessione del dio per ottenerne la guarigione. In realtà non si trattava di un vero e proprio ospedale dove fossero fornite cure continue agli ammalati ma di una sorta di lazzaretto dove venivano lasciati gli schiavi ammalati che i padroni non intendevano curare. Non vi sono prove che vi fosse una qualche organizzazione per la cura dei malati che molto probabilmente venivano colà portati e abbandonati alla loro

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sorte. Si sa che l'imperatore Claudio intervenne per metter fine a questa consuetudine disponendo che se lo schiavo abbandonato fosse guarito poteva considerarsi libero.

Lazzaretti simili vi erano anche nei latifondi dove venivano allestiti ricoveri (valetudinarium) per curare quei braccianti che accusassero una qualche malattia qualora se ne accertasse la veridicità. L'amministratore del fondo s'incaricava di fare «aerare ogni tanto i valetudinaria, anche se momentaneamente vuoti, e di tenerli sempre puliti, cosicché in ogni caso di bisogno gli ammalati li trovino sempre in ordine». Si trattava di una sorta di infermeria con stanze per i malati allettati che di solito si trovava oltre che nei poderi anche nelle case di ricchi proprietari.

Con la caduta dell'impero romano decade anche la medicina romana: il Medioevo si delinea con le sue grandi epidemie e pestilenze e milioni di vittime. Con il sorgere del Cristianesimo, il culto di Esculapio-salvatore, è sostituito dal Cristo, medico dell'anima e del corpo: il Vangelo si rivolge agli ammalati e si parla di guarigione come di divino intervento. La medicina religioso-cristiana combatte le formule magiche e promuove le preghiere, l'imposizione delle mani e le unzioni con olio santo e studi e ricerche scientifiche vengono considerati inutili. L'influsso delle correnti mistiche orientali incontra questa medicina religiosa e si fonde in una medicina popolare che ricorre al culto di santi guaritori che con il tempo e l'influsso bizantino, si trasformerà in medicina conventuale che, specie con l'uso delle erbe medicinali e la riscoperta degli antichi testi medici, segnerà l'inizio di una nuova scienza medica.Le malattie si curavano con erbe, vino e oli, per il mal di stomaco usavano salvia bollita in acqua, per la tosse uova e miele, per i morsi di serpenti escrementi di animale bolliti in vino, le malattie cardiache erano curate con l’aglio, gli occhi con viole e zafferano. I dentisti non usavano anestesia e i denti mancanti venivano sostituiti da quelli finti uniti da oro. Le operazioni frequenti erano cucitore e steccature per fratture, se veniva la cancrena si amputava l’arto. Le operazioni erano senza anestesia e molti morivano durante l’intervento. Alle terme i virus e batteri si trasmettevano rapidamente tipo peste e vaiolo e portavano alla morte, non si curavano. Allora i romani pregavano al tempio di Esculapio il cui simbolo è un bastone con intorno un serpente e oggi è il simbolo della medicina.

II culto di Esculapio fu introdotto in Roma nell'anno 292 a.C. durante la terribile pestilenza che devastò la città in quegli anni. e su consiglio dell'oracolo di Apollo, vennero mandati emissari ad Epidauro per chiedere l'aiuto di Asclepio nel suo tempio. Il dio apparve in sogno ai romani e disse loro che sarebbe venuto a Roma sotto forma di un serpente.Consultati i «Libri sibillini» un’ambasceria fu inviata nel 292 ad Epidauro, dove si trovava il santuario principale del dio; la leggenda narra che qui un grosso serpente sacro al dio (Signum Aesculapi) uscito dal tempio andò ad annidarsi nella nave romana. Al ritorno quando la nave che risaliva il Tevere, giunse all'Isola Tiberina, il serpente sgusciò fuori e andò a rifugiarsi nell'isola, quasi ad indicare il luogo dove il dio desiderava che sorgesse il santuario.Fu eretto il primo tempio di Esculapio a Roma sull'area dell'attuale chiesa di San Bartolomeo sul modello del tempio di Epidauro.. Il culto di Esculapio continuerà ad esser praticato nell'impero romano anche dopo la diffusione e l'affermazione della medicina ippocratica, sino a quando, nel IV secolo d.C., l'imperatore Costantino (280ca-337 d.C.) farà chiudere tutti i templi pagani. La struttura architettonica era costituita da una piccola cella in fondo alla quale stava la statua del dio Esculapio arricchita da ampi portici laterali dove si intrattenevano gli ammalati in attesa della guarigione e di un'ara per le offerte antistante la scalinata che conduceva alla cella.

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Come gli Asclepliei greci, il santuario divenne ben presto centro di richiamo per i malati e il tempio diventò quasi un ospedale. Il rito caratteristico che vi si praticava era quello dell' «INCUBAZIONE» ossia di aspettare il segno rivelatore del dio dormendo sdraiati sotto i portici.

I sacerdoti erano in possesso di ricette empiriche a base di cenere, miele, vino e sangue di gallo bianco, l'animale sacro al dio.I beneficiati dal dio attestavano la loro gratitudine con iscrizioni gratulatorie o con «ex voto» di terracotta, pietra, marmo, argento, raffiguranti le membra guarite o qualche animale sacrificale come dimostrano il gran numero di reperti archeologici di questo tipo rinvenuti nell'isola.Accanto al tempio dove si esercitava questa medicina velata di sacralità e teurgismo sembra esistessero case (Aedes Aesculapii) adatte al ricovero degli ammalati dove venivano realizzate forme di assistenza che possiamo definire di medicina pratica.

Con Ippocrate (VI-V sec. a.C.) la medicina templare venne a convivere e quindi ad affiancarsi alla nuova medicina razionale, basata su un concetto di malattia come evento naturale, su cui il medico può intervenire. Influenzato dal pensiero scientifico dei filosofi della natura, Ippocrate affermò una visione del corpo umano come contenitore concavo di quattro umori (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) che, nel loro incontrarsi, vanno a formare le singole parti anatomiche ed espletare le funzione fisiologiche. La malattia era la manifestazione di una discrasia umorale, legata a fattori esterni, quali le condizioni climatico-ambientali, l'ingestione di cibi non sani o non consoni al malato in questione, uno stile di vita non appropriato, che andavano ad incidere sull'equilibrio interno degli umori determinando un eccesso dell'uno sugli altri e degenerando in malattia che coinvolgeva l'organismo intero. Ippocrate apparteneva alla casta degli asclepiadi, e la nuova medicina per quanto in antitesi a quella templare, rimarrà appannaggio di una cerchia ristretta di adepti, cui viene trasmesso il sapere necessario per espletare le loro funzioni e che fanno e seguono il Giuramento d'Ippocrate. La trasmissione delle regole e delle conoscenze non è più orale; i medici ippocratici scrivevano e raccoglievano testi in cui confluirono tutte le loro esperienze, perché queste potessero essere di fondamento e supporto ai loro seguaci futuri. Il medico ippocratico è un medico itinerante non esercitava più nei templi, o in altro luogo fisso, ma si spostava, viaggiando per conoscere ed apprendere, e per mettere la sua arte al servizio di chi ne necessitava. Il pensiero medico ippocratico ebbe presto larga diffusione e riscontro, trovando una sua collocazione precisa nell'ambito della società civile e nell'organizzazione delle poleis greche. I medici iniziarono cosi ad avere botteghe proprie - iatreia - in cui esercitare la loro arte, e venne elaborato un sistema di tassazione delle famiglie più ricche perché anche gli appartenenti ai ceti meno abbienti potessero usufruire del servizio medico. Il rapporto medico - paziente inizia così ad avere una codificazione di "luogo", che resterà immutata nei secoli: l'esercizio medico acquista degli spazi propri, in cui i malati possono andare per ricevere le cure a loro necessarie.Da un punto di vista politico-sociale, molta importanza si prestava alle condizioni climatico ambientali dei territori abitati e delle ripercussioni che queste potevano avere sulla salubrità del luogo, incentivando la progettazione e costruzione di sistemi d'irrigazione e bonifica del territorio tanto urbano che extra-urbano che garantissero un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini romani e degli abitanti dell'agro romano. Significativa è a tal proposito l'opera di M.T. Vairone (I sec. a.C.), che nel "Rerum Rusticarum" aveva affermato l'importanza di un'operazione di prosciugamento dell'agro romano per eliminare le acque marce e malsane delle paludi abitate da quegli "ammalia quaedam minuta" che infestavano la zona provocando la malattia che dilagava tra i rustici. Il "De re rustica" di Columella (I sec. d.C.) riprendeva questa cura all'igiene rurale ed urbana, proponendo un progetto sistematico

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di opere architettoniche d'irrigazione delle campagne e delle città, di acquedotti e sistemi di fognature tesi a garantire la salubrità dei luoghi, e prevenire l'insorgenza di epidemie.

Gli Asclepieia

Nei templi di Esculapio si lodano, oltre al dio, i suoi figli Pedalino, esperto nell'uso delle erbe, e Macaone, chirurgo, guaritori - iatròi - che con il sapiente uso di erbe ed impasti riuscivano a curare i malati; la figlia Panacea, simbolo della salute riconquistata e, quindi, della medicina riparatrice; ed Igea, figlia legittima di Apollo e sorella di Asclepio, che alla medicina terapeutica di quest'ultimo affianca invece quella preventiva, basata su un sano regime di vita.Il culto di Esculapio continuerà ad esser praticato nell'impero romano anche dopo la diffusione e l'affermazione della medicina ippocratica, sino a quando, nel IV secolo d.C., l'imperatore Costantino (280ca-337 d.C.) farà chiudere tutti i templi pagani.

Gli Asclepieia, i templi del dio della medicina, di cui celebri sono quelli di Epidauro e Pergamo, sorgevano fuori dalle città, in genere in prossimità di un bosco, e di una fonte d'acqua, torrenti o ruscelli la cui acqua veniva poi incanalata verso il tempio, sino a risorgere al centro dell'edificio a costituire la fontana sacra, con una piscina annessa. Coloro che si accingevano ad onorare e pregare il dio dovevano sottoporsi al bagno purificatore, necessario per una pulizia corporale che simboleggia una purificazione dell'animo come preparazione al contatto con sacerdoti e con Asclepio. Il retore greco Elio Aristide (189 d.C.), nei racconti dei suoi numerosi soggiorni nell'Asclepieion di Pergamo, narra di un fiume che si doveva attraversare per arrivare al tempio, cosicché un primo bagno era già una tappa obbligatoria del percorso. Una strada fatta di pietre, detta "via sacra" portava al luogo consacrato, delimitato da un recinto - temenos - e con un porticato - propylon - atto ad accogliere e riparare dalle intemperie o dal sole i pellegrini. Coloro che vi arrivavano erano accolti da un apposito personale, che li conduceva dapprima presso gli scribi, che registravano i dati personali e le offerte di ognuno; i pellegrini più ricchi dovevano inoltre pagare la iatra, ossia la debita tassa. Poi i portieri, che detenevano le chiavi, aprivano loro la porta. Dopo i dovuti lavaggi e un digiuno, si poteva accedere al tempio, originariamente consistente in un semplice spazio recintato' contenente una piscina, un boschetto ed un altare; nel tempo gli Asclepieia più importanti divennero architettonicamente più complessi, inglobando edifici diversi. Mentre l'altare per le preghiere e i sacrifici e il fuoco sacro rimasero situati all'aria aperta, il luogo di culto vero e proprio, al cui interno era collocata la statua di Asclepio, era generalmente costruito a forma di Pantheon. Da questo locale sacro si accedeva poi ad un altro ambiente funzionante come poliambulatorio, in cui gli iatroi esercitavano la loro arte pratica di pronto intervento in caso di ferite, traumi per esiti di percosse o cadute e piccole lesioni. Vi era una marcata gerarchia tra i sacerdoti dei templi di Asclepio, ed ognuno esercitava una precisa funzione. Vi erano così i sacerdoti pirofori, addetti a custodire e mantenere il fuoco sacro e a far luce all'interno degli ambienti; gli iatroi, curatori pratici, salariati grazie alle tasse, che accoglievano coloro che necessitavano di un pronto intervento; i sacerdoti di assistenza e partecipazione ai riti e ai sacrifìci; gli asclepiadi addetti alla funzione di controllo ed assistenza nell’abaton, in grado di spiegare ed interpretare i sogni dei pazienti. Il sommo sacerdote era detto lerofante, intermediario tra l'umano e il divino.Accanto al tempio sorgeva l’Odeion, il teatro in cui si praticavano sacrifici, preghiere e riti collettivi per potenziare l'intervento medico-terapeutico della divinità. Dopo aver pregato e reso sacrifici al dio, si poteva accedere alla sala più importante dell'intero edificio: l'abaton, luogo di cura per eccellenza poiché predisposto al ricovero di coloro cui i

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sacerdoti avevano concesso la possibilità di sottoporsi all'incubatio, ossia al sonno riparatore, all'incontro con il dio. Non tutti i malati che giungevano al tempio erano ammessi all'abaton. Solo coloro che gli asclepiadi avevano giudicato predisposti alla guarigione, dopo rituali di purificazione corporale e spirituale che potevano durare giorni, ricevevano il beneficio dell'incubatio. Probabilmente assopiti con pozioni a base di sostanze sedative o narcotiche, i malati cadevano in un sonno profondo al passaggio del sacerdote con in mano il serpentedi Asclepio, e sognando entravano in contatto con il dio, che poteva presentarsi lorosotto varie forme. Al termine del sonno sacro, i malati si risvegliavano rigenerati e guariti e raccontavano i loro sogni ai sacerdoti, che li interpretavano per decodificarei consigli e le prescrizioni che il dio aveva voluto dar loro nella notte. Sulla base del racconto dei sogni, i sacerdoti erano in grado di stabilire di volta in volta se il paziente potesse lasciare l’abaton o dovesse sottoporsi ad un'altra incubatio, e potevano indicare le azioni da espletare ed il regime di vita che il paziente avrebbe dovuto tenere all'uscita dal tempio. Secondo tale rito era quindi lo stesso Asclepio a suggerire la "terapia" da seguire per rimediare alle malattie dei ricoverati nel tempio, cosa, questa, che rende la pratica medica un evento miracoloso, assolutamente legato ad una concezione teurgica della malattia, cui solo gli dei, per tramite dei sacerdoti, possono rimediare. Il sogno è quindi il momento fondamentale della medicina templare, momento di terapia e prognosi al tempo stesso. Riconoscenti al dio, i salvati facevano offerte nel tempio e lasciavano testimonianza della loro gratitudineper l'avvenuta guarigione con steli e lastre di pietra -iamata - in cui incidevano il loro nome, descrivevano il male da cui erano stati afflitti, riportando dettagliatamente le indicazioni terapeutiche ricevute in sogno dal dio.Usavano anche lasciare nel tempio statuette o sculture di singole parti anatomiche in terracotta - pinakes - rappresentanti la parte colpita da malattia e risanata dal dio. Spesso le tavolette votive venivano lasciate nel tholos, nella fonte sacra in cui si raccoglievano i serpenti di Asclepio, ed è proprio dal rinvenimento di questa sorta di "ex voto" che è talvolta stato possibile identificare le rovine di un tempio con un Asclepieo.I templi di Asclepio costituiscono, quindi, il primo luogo "pubblico" di cura della medicina occidentale.

Dai resti del tempio di Pergamo emerge che la primitiva struttura era più piccola e semplice, fatto, questo, che testimonia della grande diffusione ed importanza che il culto di Asclepio ebbe, al punto da rendere necessario, in età ellenistica, l'ampliamento dell'intero complesso, con la creazione di nuovi edifici, per meglio rispondere alle esigenze sociali di accoglienza dei numerosissimi pellegriniche vi affluivano.

La nascita dei gemelli

Tre coppie di gemelli ebbero rilevanza medica nel mondo antico.La prima è quella dei gemelli di Roma allattati dalla lupa. Il nonno di Romolo e Remo, Numitore e suo fratello Amulio ricevettero il trono di Alba Longa dopo la morte del padre. Numitore ricevette il potere sovrano per diritto di nascita, mentre Amulio ricevette il tesoro reale. Poichè aveva un potere inferiore a suo fratello, Amulio spodestò dal trono Numitore come regnante legittimo. Per paura che la figlia di Numitore, Rea Silvia, potesse avere un bambino che un giorno avrebbe potuto spodestarlo dal trono, Amulio la obbligò a diventare una Vergine Vestale. Un giorno Marte, il dio della guerra, la vide e si innamorò di lei. Tempo dopo ella diede alla luce due gemelli, Romolo e Remo. Amulio si arrabbiò e ordinò che Rea Silvia fosse gettata nel Tevere con i suoi gemelli. Il servitore a cui fu ordinato di uccidere i

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due gemelli non lo fece; mise i due gemelli in una cesta che collocò sulle rive del fiume Tevere e se ne andò. Romolo e Remo furono salvati dalla divinità del fiume, il Dio Tiberino. Egli quindi portò i due gemelli sul colle Palatino, dove furono nutriti da una lupa.La nutrizione diretta di neonati da parte di animali è ben documentata nel corso della storia, come nel racconto di Romolo e Remo. Nella mitologia greca Zeus si dice fu allattato dalla capra Amaltea.

Il Parto

Nell’antica Roma il travaglio ed il parto avvenivano nella casa della gestante. Le donne erano considerate più adatte all’assistenza al parto, mentre i medici maschi erano eventualmente disponibili per il trattamento dei travagli complicati e per le malattie della donna. La nascita era comunque associata ad un elevato rischio, sia per il feto sia per la madre, con un'importante mortalità per la madre ed il bambino.Quando i medici ippocratici arrivarono a Roma dal I secolo d.C., le nuove conoscenze scientifiche furono ben accette e adattate alla cultura locale. Sorano era considerato la massima autorità in fatto di nascita e ginecologia. Egli era nato ad Efeso sulla costa Egea dell’Anatolia, era stato formato nella famosa scuola di medicina di Alessandria, e aveva praticato a Roma durante il regno di Traiano (98-117 d.C.) e Adriano (117-138 d.C.). E’ il più noto seguace della Scuola Metodista dei Medici, che si basava sulla dottrina di Ippocrate. Più di 20 opere gli sono state attribuite. Il suo lavoro più importante fu “Ginecologia”, conosciuto come il libro più completo di ginecologia, ostetricia e neonatologia dei tempi antichi. Fu tradotto in latino, arabo, tedesco e inglese, e sopravvisse come trattato fino al XVI secolo in Europa.

Il parto cesareo

Contrariamente alla mitologia popolare, il parto cesareo veniva praticato raramente.L’origine del termine è riconducibile a Giulio Cesare, che si pensava fosse nato con questamodalità nel 104 a.C. Peraltro questa non era un opinione comune, perché sua madre Aurelia era ancora viva quando Cesare invase la Britannia, e le conoscenze dell'anatomia e fisiologia umana erano così sommarie a quel tempo da considerare impensabile che una persona potesse riprendersi da un intervento di tale entità.L’origine del nome è oscura, ma potrebbe derivare da una legge romana chiamata LexRegia del 715 a.C.: se una donna in gravidanza avanzata moriva, il parto sarebbe dovutoavvenire poco dopo la sua morte, e il corpo non doveva essere sepolto prima dell’estrazionedel bambino. La Chiesa Cristiana favorì questo tipo di intervento, in virtù della salvezza dell’anima e delle vite. Se il bambino sopravviveva, quest'intervento avrebbe portato un bambino vivo che poteva essere battezzato. In latino “caesum” sta a significare ferita ed il termine “caesones” si riferisce ad un bambino nato da un’operazione eseguita post-mortem. Questo non si sarebbe dovuto eseguire su una donna viva prima del decimo mese di gravidanza, perché la madre avrebbe potuto non sopravvivere all’intervento e di conseguenza veniva raramente eseguito. La nascita da cesareo era ritenuto un evento soprannaturale, e venivano chiamati in causa gli dei per eseguire l’intervento. In accordo con il mito, Esculapio e Bacco erano nati da un parto cesareo eseguito dagli dei.Esculapio era il figlio di Apollo e della sua amante mortale Coronide. Apollo ucciseCoronide in un impeto di gelosia dopo che lei gli era stata infedele. Quando il suo corpofu posto su una pira funebre, egli scoprì che Coronide era gravida. Egli fece nascere il lorobambino, Esculapio, dal suo ventre con parto cesareo e lo diede a Chirone, ilcentauro.

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La donna medico

La scienza medica fu forse l’unica professione aperta anche alle donne, che mai, è opportuno ricordare, raggiunsero uno statuto professionale lontanamente paragonabile a quello rivestito nella società romana, almeno fino al XIX secolo. A Roma le donne medico, pur occupandosi prevalentemente di gravidanze, parti e malattie ginecologiche, andarono ben oltre il campo dell’ostetricia e studiarono rimedi anche per altre malattie. Negli ospedali erano condotte come schiave, donne medico provenienti dalla Grecia, anch’esse depositarie del sapere scientifico greco nella stessa maniera in cui lo erano i loro colleghi uomini. Aristocratiche romane furono attive nei luoghi di cura ed esercitarono privatamente la professione con discreto successo. Plinio il Vecchio ricorda Salpe di Lemno, esperta in oftalmologia, e Olimpia di Tebe, nota ginecologa, invece con Galeno collaborava Antiochis, che si specializzò nelle artriti e nelle malattie della milza. Scribonio Largo, medico alla corte di Claudio, compilò un elenco dei rimedi medici di cui era venuto a conoscenza sia a Roma che durante i suoi viaggi al seguito dell’imperatore. Tra questi cita le prescrizioni di donne illustri quali Messalina, la terza moglie di Claudio, o Livia moglie di Augusto, o Ottavia la sorella, o Giulia la figlia. Giovanni Ruellio, che nel 1529 pubblicò il “De compositione medicamentorum” di Scribonio, sosteneva come queste esponenti della famiglia imperiale fossero ai loro tempi famose nella pratica medica tanto quanto lo stesso Galeno.Tra le donne che scrissero di ginecologia, ma anche di dermatologia e cosmesi, considerate branche della stessa disciplina, la più importante fu sicuramente Cleopatra, vissuta a Roma nel II sec. d.C. Il suo trattato, il “De Geneticis”, fu ampiamente utilizzato almeno fino al VI sec. d.C., quando si confuse con l’opera di un certo Muscius.

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GLI STRUMENTI

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Fig. I: bisturini in ferro e manico in bronzo, II litotamo di Magete, III scalpello in ferro e manico in bronzo, III altro, IV uncino in ferro e bronzo, V strumento da cauterio.

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Fig. I tav. VI: lancetta con lama in argento e manico in bronzo, II-III cucchiaio in bronzo concavo e convesso, IV-V ventosa conoidale e sferoidale, V per salasso cavalli, vette di bronzo per sollevare ossa del cranio nel caso di depressione

Fig. I-IV: pinzette anatomiche; V pinzette tenaglia, VI pinzette per dipelare (pelare), VII ametto, VIII ametto spatolato, IX ago, X tridente per cauterio, XI spatoletta

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Fig. I-II-III: speculumFig. IV: speculum anale

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Fig. I: catetere a doppia curva, II spatomele, III ciatisco (per estrarre), IV dipireno,V specillo con estremo globetto, VI specillo con estremo acuto e a paletta, VII forchetta per recidere il fremolo della lingua, VIII astruccio chirurgico.

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Fig. I e II: forcipe con estremità della branche a semicucchiai dentellati convesso e concavo. Fig. III-IV-V: cannelli chirurgici per tirare fuori l’acqua dall’addome.

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Fig. I: Forcipe a branche curve, II sezione di una branca per mostrare la parte interna dentellata

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INTERVENTI CHIRURGICIGli strumenti erano in bronzo, il bisturi (scalpellum), le tenaglie, pinze eccetera. Conoscevano la trapanazione del cranio ma in anatomia erano molto più avanzati gli egizi che praticavano l’imbalsamazione ed erano molto ricercati tra i romani.Emorroidi e varici erano cauterizzate, per ridurre le fratture si eseguivano manovre di forze poi si steccava e fasciava. Si operava per migliorare: nasi, palpebre, labbra anche labbro leporino e orecchi. Si operavano tumori al seno e fistole anali e addominali. Per il parto la partoriente stava su una sedia o sulle ginocchia di una donna, il parto cesareo avveniva su cadavere il neonato si chiamava Cesare, c’era anche la pratica dell’aborto con sforzi fisici continui, bagni caldi, e salassi, per prevenire le gravidanze si chiudeva l’utero con sostanze grasse e lana.

Le erbe e la farmacia.Esistono tre forme di farmacia, medica, casalinga e ciarlatanesca. In casa era uno schiavo che si occupava della farmacia, i medici davano la composizione stabilendo le proporzioni e le modalità con sostanze semplici di origine animale, minerale o vegetale.I ciarlatani erano ambulanti di strada.

Esempi di preparati: zafferano era antinfiammatorio, diuretico, afrodisiaco.Prezzemolo: per la rabbia e flatulenza.Euforbia era caustica.Succo di bile di vipera o lince per colliri.Tutte le terapie mediche e chirurgiche venivano integrate da una dieta.Il brodo di aragosta era utile per la febbre.Il fegato di volpe per la bronchite.Zampone di maiale per la polmonite.Muso di porco per disturbi intestinali.Cozze e ostriche per la stipsi.Carne di gru per la diarrea, eccetera.

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