Età Romana

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L' AcquedottoromanoAlberto Bacchetta

Imponenti e ben noti sono i resti dell' acque-dotto romano - il meglio conservato fra tuttiquelli esistenti nel territorio dell' attuale Pie-monte - che ancora si ergono appena fuoridell'abitato moderno, presso il corso del tor-rente Bormida e la cui costruzione può esserefatta risalire, con ogni probabilità, alla primaetà imperiale, forse addirittura all'epoca augu-stea.

Si conservano attualmente due ampi tratti separati della struttura origi-naria in elevato, composti rispettivamente di sette e otto piloni in mu-ratura, a base quadrangolare (misurante tra i 180 e i 300 cm di lato, inproporzione allo sviluppo verticale dei piloni stessi) con una serie di ri-

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seghe regolari, per un'altezza di circa m15 e reggenti arcate a sesto ribassato(ne rimangono quattro) di m 3,35 di rag-gio, su cui scorreva il condotto idricovero e proprio.

Il percorso dell'acquedotto - solo di re-cente indagato e definito nella sua inte-rezza - si sviluppa per una lunghezzacomplessiva di circa 12 km, a partire dalbacino di raccolta delle acque situato inlocalità Lagoscuro (ora in comune diCartosio), attraverso la Valle Erro (se-guendo la destra orografica dell' omoni-mo torrente), la regione Marchiolli -dove probabilmente attingeva da altresorgenti della zona di Rocca Sorda edove si è esplorato, in località La Mad-dalena, un lungo tratto di conduttura -fino alla sponda sinistra del Bormida,con un salto di quota complessivo di cir-ca m 50.

Gran parte del tracciato è sotterraneoed è costituito da un condotto a sezione

dello speco rettangolare - che in alcuni dei tratti indagati risulta intona-cato o rivestito di cocciopesto (altezza cm 120; larghezza cm 40 circa) -che presenta piedritti in opera cementizia (ciottoli fluviali o piccoliblocchi di arenaria legati con malta tenace) reggenti una volta a botte apieno sesto o, in alternativa, una copertura in lastre di arenaria sovrap-poste orizzontalmente o disposte a doppio spiovente.

Nella parte terminale, invece - a partire dalla Regione Marchiolli,all'altezza dell'attuale strada statale del Sassello, dove esisteva, forse,anche un bacino di decantazione delle acque (piscina limaria), al fine diprivarle di quelle impurità che necessariamente dovevano portare consé al termine del lungo tratto in pendenza - proprio per la necessità diattraversare l'alveo del torrente Bormida, venne realizzata la costruzio-ne in elevato, i cui resti ancora oggi si conservano, raccordata diretta-mente con la parte sotterranea del condotto. La struttura originaria inelevato doveva essere costituita complessivamente - calcolando lo spa-zio da superare e l'ampiezza degli interassi - da almeno una quarantinadi piloni, attraverso i quali l'acquedotto faceva il suo ingresso monu-mentale nell'abitato. Mancano, tuttavia, dati archeologici sicuri proprioriguardo al percorso dell'acquedotto nel suo tratto urbano, anche se èstato osservato che l'ideale proseguimento del tracciato conosciutocondurrebbe direttamente all'altura del Castello.

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I corredi funebritra l'eta' augustea e la meta'del I secolo d.C.Alberto Bacchetta

La composizione dei corredi funerari delle necropolidell'antica Aquae Statiellae ascrivibili alla prima metàdel I secolo d.C. appare abbastanza varia e differenzia-ta. Questa situazione, d'altro canto, risulta del tuttonormale e comprensibile, in un contesto cittadino arti-colato e "stratificato", come doveva essere quello del-la città romana nei primi anni dell'Impero,in cui la ricchezza degli apprestamentifunebri rispecchiava in maniera chia-ra e immediata la gerarchia socia-le, in senso sia economico chepolitico, dei defunti.

Il "corredo-base" che ri-scontriamo nella stra-grande maggioranzadelle sepolture di questoperiodo, infatti, - pur con i gravi problemi di conservazione che interes-sano non poche di esse - si compone, di solito, di un numero variabile divasi in ceramica a pareti sottili (costante e degna di nota è, in questosenso, la presenza di coppe, coppette, ollette appartenenti a questaclasse ceramica in pressochè tutte le sepolture in buono stato), accantoa vasi realizzati in ceramica comune depurata o, più di rado, grezza,perlopiù destinati al contenimento di liquidi (in particolare olpi, di variotipo e presenti in numero variabile, talora fino a quattro in una stessatomba, e balsamari) o anche aventi la medesima funzione di quelli a pa-reti sottili (in particolare ollette ovoidi) e, con una ricorrenza minore,forme aperte in terra sigillata (patere e piatti soprattutto, coppe e cop-pette).

A questo "corredo-base" ceramico, abbastanza standardizzato, si ac-compagna costantemente un numero variabile di balsamari vitrei, chepresentano con grande frequenza marcate alterazioni nella loro formaed integrità - conseguenza del tipico uso di collocarli, ripieni di profumi,sulla pira funebre al momento dell'incinerazione del cadavere, al fine dimitigare le cattive esalazioni da essa provenienti.

Meno ricorrente è, invece, la presenza di monete (sempre di poco valo-re, peraltro, trattandosi in genere di semplici assi bronzei) cui vienetradizionalmente - e forse in maniera non sempre corretta - attribuitauna funzione magico-rituale in qualità di "oboli di Caronte" (necessari

�Rython configurato a testad’antilope in ceramica in-vetriata dalla necropoli dipiazza San Guido. Primametà del I sec. d.C. (Tori-no, Museo di Antichità).

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cioè al pagamento del pedaggio dovuto al famoso traghettatore di ani-me dell'Aldilà) e di altri oggetti metallici, in ferro - quali lame di coltelloo chiodi (elementi apotropaici, questi ultimi, o anche, più semplice-mente, componenti di oggetti in materiali deperibili, come, ad esem-pio, la lettiga funebre) - o in bronzo (piccoli monili, spille, fibbie, spec-chi). Non particolarmente frequenti sono anche le lucerne (sempre inargilla e del tipo a volute con disco in rilievo).

Rarissima è, poi, la presenza di ceramica a vernice nera - caratteristica,questa, così evidente e marcata che non può non suscitare attenzione:troviamo, infatti, solo una patera nella tomba 27, cui si aggiungono i po-chi frammenti di un'altra della tomba 42, della necropoli di Via De Ga-speri. Tale rarità, tuttavia, è forse spiegabile semplicemente con il fat-to che questa classe ceramica risulta diffusa in epoca repubblicana efino ai primi anni dell'età imperiale - un periodo, quindi, precedente aquello cui si data la gran parte delle sepolture rinvenute.

Ancor più di rado incontriamo nei corredi del periodo in esame gli ossilavorati (monili o elementi d'uso: da ricordare sono, però, gli splendidielementi di letto funebre della tomba 12 di Piazza San Guido) e del tuttoeccezionale appare, poi, la presenza di oggetti di particolare pregioquali l'anello in ambra intagliata proveniente dalla tomba 13 della stes-sa necropoli o quello in ferro con gemma incisa in corniola della tomba27 di Via De Gasperi.

�Frammenti di letto funebrein osso lavorato. Fine I sec.d.C. (Torino, Museo di Anti-chità).

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I corredi funebritra l' eta' flaviae la meta'del II secolo d.C.Alberto Bacchetta

I corredi funerari delle sepolture dell'anticaAquae Statiellae ascrivibili dalla secondametà del I secolo d.C. in poi presentano al-cune significative differenze rispetto a quel-li del periodo precedente.

Si può notare infatti una maggiore ricchezza, sia da un punto di vistaquantitativo che sotto l'aspetto qualitativo, dei materiali che li com-pongono, ricchezza che riguarda i vari corredi nel loro complesso, mache risulta particolarmente evidente in alcune singole sepolture di ca-rattere eccezionale. Una simile situazione potrebbe forse essere messain relazione con un ipotetico incremento del benessere e del potereeconomico e politico delle classi dirigenti cittadine dell'età flavia, con-dizione che troverebbe un suo naturale ed immediato indicatore appun-to negli apprestamenti funerari.

�La bottiglia in vetro conbollo documentata al mo-mento del ritrovamento.

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Il "corredo-base" delle sepolture rimane sostanzialmente invariato ri-spetto alla prima metà del secolo, comprendendo ancora vasi in cerami-ca a pareti sottili (soprattutto coppe e coppette, in minor numero bic-chieri), recipienti analoghi in ceramica comune depurata e, meno fre-quenti, forme vascolari in terra sigillata (coppe, patere). Accanto aquesti elementi costitutivi troviamo con maggiore frequenza che in pas-sato altri oggetti di accompagnamento, non di rado rilevanti per pregiomateriale e qualità di esecuzione.

Particolarmente degna di nota è la presenza di un numero considerevoledi vasi di vario genere in vetro: coppe, olle, olpi, bottiglie, piatti, oltreal notevole unicum rappresentato dal rython (coppa per bere a forma dicorno) della tomba 2 di Via Alessandria. Tale varietà di forme vascolariappare in significativo contrasto con la situazione notata nei corredidell'epoca precedente dove, al contrario, il repertorio vitreo era rap-presentato, in maniera pressochè esclusiva, soltanto da balsamari dipiccole dimensioni e modesta qualità. Esemplare, sotto questo punto divista, appare il corredo della tomba 1 di Via Alessandria, dove compaio-no ben 10 vasi in vetro di varia foggia.

In generale, tuttavia, si può notare una maggiore presenza di tutta unaserie di materiali di maggiore ricercatezza, la cui attestazione risulta-va, in epoca anteriore, solo sporadica e saltuaria. Possiamo citare, inquesto senso, gli ossi lavorati (da segnalare la presenza di numerosi fusi,spilloni e aghi crinali, evidentemente caratteristici delle sepolture fem-minili), le non rare lucerne - sempre del tipo a volute con disco dotato diuna decorazione a rilievo - gli oggetti metallici, tanto in ferro (anelli,lame e chiodi) che in bronzo (monete, monili vari - in particolare ancoraanelli - chiavi, specchi, questi ultimi attributi tipici di defunti di sessofemminile). E, proprio tra gli oggetti in bronzo, spiccano decisamente iquattro straordinari strigili - ancora conservanti parte dell'originario ri-vestimento argenteo - decorati ad incisione con figure di guerrieri (ogladiatori) in armi, provenienti dalla tomba 1 di Via Alessandria, ovvvia-mente riferibili ad un defunto di sesso maschile e ad un uso forse perti-nente all'ambito termale. Questi reperti, eccezionali anche se non uniciin area piemontese, valgono, da soli, ad attestare il grado di ricchezza edi ricercatezza raggiunta, in questo periodo, dalle élites municipali del-la città e costituiscono una testimonianza assai significativa dal punto divista storico della ricezione locale di modelli culturali "alti" importatidall'esterno.

�Tombe ritrovate in via Ales-sandria nel 1973.

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Le anfore diAquae Statiellaee gli impiantidi drenaggioAlberto Bacchetta

Gli scavi archeologici condotti nella città hanno portato alla luce unaconsiderevole quantità di anfore, sia intere che frammentarie, presentiin contesti differenti e spesso reimpiegate nella realizzazione di im-pianti di drenaggio delle acque di falda. Le tipologie di questi contenito-ri da trasporto attestate con maggiore frequenza ad Acqui sono sostan-zialmente le stesse che troviamo diffuse su più ampia scala nell'ambitodell'Italia settentrionale: ricordiamo, in particolare, i tipi definiti (sullabase dei nomi degli studiosi autori della loro classificazione) come Dres-sel 6 A, Dressel 2/4, Dressel 7/11, Dressel 20 e Lamboglia 2, che ci atte-stano in modo significativo l'importazione nella città romana, tra la tar-da età repubblicana e i primi secoli dell'Impero, di prodotti quali vino,olio e salsa di pesce, fornendoci così importanti informazioni anche ri-guardo i commerci e l'economia dell'epoca.

In molti casi queste anfore, una volta esaurita la loro funzione specificadi contenimento e trasporto di derrate alimentari, potevano venire riu-tilizzate nella realizzazione di quei caratteristici apprestamenti di tipoidraulico - particolarmente interessanti dal punto di vista archeologico -che sono i sistemi di drenaggio delle acque, messi in opera, appunto, at-

�Anfore scoperte in viaGramsci nel 1967.

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traverso la disposizione ordinata nel terreno di anfore intere o in fram-menti di grandi dimensioni. Strutture di questo genere sono state rinve-nute, ad Acqui Terme, in due importanti scavi urbani effettuati in ViaGramsci nel 1967 (e da qui proviene, appunto, la consistente serie di an-fore esposte nel Museo) e in Via Piave tra il 1999 e il 2000. Questo tipo direalizzazioni si trova diffuso su vasta scala in numerosi contesti urbanidell'Italia settentrionale, in particolare, come è ovvio, in aree interes-sate da marcati fenomeni di impaludamento o dalla presenza di faldesuperficiali e sorgenti.

Tali apprestamenti prevedevano la collocazione nel suolo di un certonumero di questi manufatti (preferiti per le loro dimensioni, il basso co-sto e la facile reperibilità) con modalità differenti, a seconda del pro-blema specifico da risolvere. Possiamo distinguere, in sostanza, almenotre differenti tipologie di drenaggi, in base appunto alla disposizionedegli elementi:

- in orizzontale e in leggera pendenza, con il puntale spezzato diun'anfora infilato nel collo della successiva, allo scopo di ottene-re un drenaggio per captazione, quando cioè si intendeva creareun vero e proprio collettore per lo scorrimento delle acque

- in verticale, sia diritti che, soprattutto, rovesciati, al fine di evi-tare la risalita delle acque di falda, problema quest'ultimo che,in un contesto idrogeologico come quello acquese, doveva essereassai sentito. Particolarmente efficace risultava la collocazionedei contenitori interi capovolti, cioè con l'imboccatura verso ilbasso, in un letto di sabbia: in tal modo si otteneva il risultato di"intercettare" la risalita capillare delle acque di falda, eliminareil ristagno idrico e creare delle vere e proprie "camere d'aria" chegarantivano un efficace consolidamento del terreno. Di questotipo era, appunto, il drenaggio realizzato in Via Gramsci

- in "striscie" allineate, in corrispondenza delle fondazioni di strut-ture edilizie, allo scopo specifico di produrre un alleggerimentodel terreno, specialmente nei casi in cui quest'ultimo si presentascarsamente compatto, in modo da compensare il carico tra-smesso dalla costruzione soprastante

�Anfore scoperte in via Piavenel 2000.

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L'edificio di viaAurelianoGaleazzo - CorsoCavourAlberto Bacchetta

Nel corso di ripetuti interventi di scavo perlavori edilizi, succedutisi negli anni tra il1983 e il 1995, nella zona occidentale dellacittà compresa tra Via Aureliano Galeazzo eCorso Cavour, sono state riportate alla luceconsistenti strutture murarie databili adepoca romana imperiale - solo in parte ma-nomesse da interventi successivi di spolia-zione - riferibili con ogni probabilità ad un edificio pubblico di rilevanteimportanza. L'originaria interpretazione di questo impianto come hor-

reum (cioè magazzino pubblico destinato allo stoccaggio e alla conser-vazione di derrate alimentari) non pare compatibile nè con le dimensio-ni e la struttura architettonica del complesso nè con il ricco apparatodecorativo di cui doveva essere dotato - e i cui resti sono stati rinvenutinegli strati di crollo delle strutture - nel quale si rileva, peraltro, il largoimpiego di marmi pregiati (bianchi e policromi, molti dei quali importatida cave africane e greche) per cornici, lastre di rivestimento parietale epavimentale, lesene e capitelli.

Dal punto di vista strutturale, la parte diedificio messa in luce negli scavi presentaun ampia porzione rettilinea di portico (lun-ghezza m 20; larghezza m 8,50 circa), divisoin due corsie da una fila centrale di pilastridi cui si conservano i plinti di fondazione(circa m 1,30 di lato), affiancato, verso est,da un'ampia area acciottolata (circa m 19 x18), il cui piano di calpestio è posto a circacm 60/70 più in alto rispetto alla risega difondazione dei muri del porticato.

In questo settore si trovano due piccoli vanirettangolari affiancati di identiche dimen-sioni (m 7 x 9 circa), non comunicanti fraloro e verosimilmente (il precario stato diconservazione delle strutture murarie inquesta parte non consente l'assoluta certez-za) aperti verso l'area acciottolata; non ap-

�Via A. Galeazzo. Vespaio inciottoli.

�Scavo tra via Cavour e viaA. Galeazzo. PlanimetriaGenerale (dis. S. Lo Cascio,T. Gennaro).

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pare, invece, nella parte in luce, alcun accesso diretto tra quest'ultimae l'ambulacro.

Risulta, al momento, difficile fornire un'interpretazione coerente eplausibile di questo articolato complesso - che presenta, tra l'altro, nonpochi problemi anche a livello strutturale e costruttivo, a cominciaredal notevole dislivello esistente tra il piano del portico e l'acciottolato edalle stesse caratteristiche e finalità di quest'ultimo, costituito da piùlivelli sovrapposti di ciottoli di medio-piccole dimensioni fittamente di-sposti su piani serrati e ben ordinati - ma pare indubbio un suo ruolopubblico di assoluto rilievo nel contesto della città antica, anche in con-siderazione del fatto che la posizione leggermente marginale rispetto alcentro dell'abitato doveva trovare un forte controbilanciamento nellasua stretta connessione con il Decumano Massimo, principale arteriastradale della città romana, sul quale doveva, con ogni probabilità, af-facciarsi.

Dal punto di vista cronologico, i caratteri stilistici dell'apparato decora-tivo insieme alle indicazioni fornite dagli scarsi reperti ceramici rinve-nuti, permettono di inquadrare la costruzione approssimativamentenella prima metà del I secolo d.C., mentre l'abbandono potrebbe esseredatato ad un momento abbastanza precoce - forse già nella secondametà/fine del II secolo d.C. - a causa, con ogni probabilità, delle fre-quenti e disastrose esondazioni del vicino Rio Medrio, ampiamente atte-state a livello archeologico.

�Veduta dello scavo in via A.Galeazzo.

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Il marmo del sedile circolare:contesto provenienzae lavorazioniMaurizio Gomez Serito

Il sedile circolare marmoreo rinvenuto nel secolo scorso in Piazza dellaBollente ed esposto nella sala centrale del museo, è realizzato in sediciblocchi di marmo Proconnesio bianco venato di grigio delle dimensionidi circa 80x37x30 cm. Questo materiale, proveniente dall'isola di Mar-mara nell'odierna Turchia, fu tra i marmi più diffusi in anticoparticolarmente a Roma tra II e III secolo d.C. e nel bacinoorientale del Mediterraneo fino alla tarda antichità. Esistequindi una vasta bibliografia specialistica sviluppata partico-larmente a riguardo dei noti sarcofagi che venivano esportatisemilavorati lungo le coste e, risalendo i fiumi maggiori, an-che nei territori interni come nel nord Italia fino al Piemonte.Qui sono stati infatti riconosciuti in studi recenti un numeroimportante di manufatti proconnesiaci; si tratta di alcune de-cine di elementi anche di grandi dimensioni tra cui alcuni sar-cofagi.Su questa base diventa possibile proporre alcune considera-zioni in proposito al manufatto di Acqui che, pur situabile inun contesto storico ormai ben definito presenta alcune parti-colarità. Si tratta di un'insieme impegnativo per quantitàche, pari a circa un metro cubo e mezzo, rappresenta un vo-lume paragonabile a quello di un grande sarcofago del peso dicirca quattro tonnellate. L'osservazione non è fine a se stessain quanto, nonostante la buona organizzazione dei trasportiin età imperiale, la movimentazione di carichi di questo tipocomportava sempre un certo margine di rischio per la naviga-zione; non a caso la ricostruzione delle principali rotte di tra-sporto dei marmi nell'antichità è stata possibile grazie allostudio dei molti relitti di navi lapidarie e dei loro carichi insi-diosi.L'opera acquese è caratterizzata dalla presenza di letteregreche incise su tutti i blocchi col probabile significato di si-gle d'ordine per il corretto posizionamento nel montaggio.Tali segni sono ancora in corso di studio infatti riportanoall'articolato dibattito sulle officine che lavoravano i marmiorientali e il Proconnesio in particolare. Se infatti nel caso deisarcofagi semilavorati si palesa l'intervento di scalpellini incava o nei suoi pressi, per opere non "di serie", come ad esem-pio lo stesso completamento a destinazione dei semilavoratiè stata ipotizzata l'operatività di maestranze itineranti e diofficine distaccate. Le loro sedi per il nord Italia sarebberostate riconosciute a Aquileia e, in età Bizantina, a Ravenna.Se per il sedile di Acqui non si può parlare di opera "di serie",la tipologia rappresentata, comunque elementare, è quelladi un paramento architettonico in conci sagomati a misurache con ogni probabilità ha richiesto l'intervento sul posto diuna maestranza abile nel montare e rifinire un apparato giàlavorato in altro luogo come paiono testimoniare proprio lelettere incise.I segni di lavorazione ancora ben leggibili sulla superficie deiblocchi riportano ad almeno cinque diversi strumenti utiliz-zati e la loro analisi porta a ipotizzare l'operatività di più diuna persona.Tracce della prima fase di riquadramento e taglio a misuradei blocchi si riconoscono su alcune delle facce minori in cor-rispondenza dei giunti tra i diversi elementi, dove si eviden-ziano superfici lisce dall'aspetto caratteristico del taglio conla sega, (superfici a pianosega). Altri segni di lavorazionevanno dalla sbozzatura direttamente con martello o piccone,alla sgrossatura alla punta (o subbia), alla spianatura e finitu-ra con gradina o, più raramente, con scalpello.

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Le attività produttiveAntonella Bonini

Gli scavi condotti in via Cassino, nella periferia nord della città moder-na, hanno portato in luce una porzione di un edificio destinato alla pro-duzione di vasellame ceramico. Questo era ubicato lungo l'antica via perHasta (Asti), ai margini del perimetro urbano antico, e costituiscel'unica testimonianza ancora visibile degli impianti produttivi di AquaeStatiellae. Infatti, di altre due fornaci per ceramica si hanno solo notiziedi eruditi del '700: una era posta vicino all'Ospedale vecchio, quindi vici-no all'edificio citato, mentre la seconda si trovava probabilmentenell'area di Via Piave nella periferia sud della città romana.Gli impianti produttivi erano collocati ai margini del tessuto urbano an-tico, in aree dove era più facile reperire spazi per le strutture e le at-trezzature necessarie al funzionamento della fornace, evitare l' inqui-namento provocato dai fumi dei forni e favorire lo smaltimento degliscarti e dei residui delle cotture. Inoltre la vicinanza di corsi d'acqua edi vie di comunicazione, il rio Medrio e la strada per Asti nei pressi di viaCassino e dell'Ospedale vecchio; la Bormida e il tracciato urbanodell'Aemilia Scauri per via Piave, dovevano favorire l' approvvigiona-mento idrico fondamentale per la lavorazione dell'argilla e lo smista-mento delle merci.L'edificio rinvenuto in Via Cassino è composto da sei ambienti, distribui-ti attorno ad un cortile centrale, che si affacciano con un porticato sulmarciapiede della strada romana; ad essi si accede tramite un'ampia so-glia in marmo. L’area archeologica è ora in corso di risistemazione. Imuri, di cui si conservano solo le fondazioni, sono costruiti in ciottoli difiume legati con malta; l'uso del mattone si riscontra solamente nei tra-mezzi del vano più settentrionale che appartengono ad una fase più re-cente. L'edificio dovette subire infatti diversi rifacimenti e la frequen-tazione dell'area giunge fino ad epoca medioevale quando la costruzio-ne di un pozzo distrugge parzialmente i muri dell'ambiente nord.

Nel cortile centrale (A) è presente un altro pozzo con la vera in pietra,ad ovest si trova un piccolo ambiente quadrato con resti di un forno (B),

a nord di quest'ultimo, in un'area presu-mibilmente coperta (C) venne rinvenutauna grande fossa colmata con materialeceramico.La ripetitività delle forme del vasella-me, la presenza di numerosi frammenticon evidenti deformazioni, di scarti dicottura, di piccoli grumi di argilla sago-mati a piramide, che fungevano da di-stanziatori tra i vasi posti sul piano dicottura, hanno consentito di ipotizzarela presenza di un impianto per la produ-zione di ceramica di cui restano pochestrutture, prevalentemente quelle perti-nenti alla lavorazione dell' argilla.Infatti la presenza di pozzi, vasche e ca-nalette per lo scolo dell'acqua negli am-bienti (F-G), e il rinvenimento di due an-fore interrate nel vano (D), ben si colle-gano a tale fase del ciclo produttivo nel-la quale erano necessari contenitori peril materiale primo e abbondante acquaper il lavaggio e la decantazionedell'argilla.Il materiale ceramico rinvenuto ha con-sentito di stabilire che si trattava di unafornace per vasellame d'uso comune: te-gami, pentole, olle destinati alla cotturae alla conservazione dei cibi, brocche,bicchieri e coppe destinate alla mensa.Il materiale consente di datare l'attivitàdella fornace tra I e II secolo d.C.

�Planimetria dello scavo invia Cassino.

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Il Teatro e le regoledi VitruvioEmanuela Zanda

La presenza di un importante edificio pubblicodi età romana sulle pendici occidentali del colledel castello, forse del teatro, era stata già ipo-tizzata sulla base di alcuni tagli regolari a semi-cerchio sui quali si erano impostati gli edificisuccessivi, ben percepibili dalla cartografia sto-rica e dalle mappe catastali. Un primo indizioconcreto era stato recuperato nel corso di inda-gini di emergenza eseguite recentemente neilocali cantinati dell'ex Palazzo Scati, situato in Via dei Dottori 5: erastato infatti individuato e rilevato un doppio muro, molto consistente,esteso per almeno 20 m. ed orientato come la maggior parte degli edifi-ci romani della città. La struttura serviva evidentemente a contenereil salto di quota ed eventuali fenomeni di dilavamento, come era dimo-strato dalla interessante sequenza stratigrafica accumulata contro illato occidentale mentre soltanto il lato opposto era lavorato a facciavi-sta.

I ritrovamenti effettuati a seguito della demolizione di alcuni fabbricatifatiscenti immediatamente a valle dell'ex Palazzo Scati -che ingloba lamedievale Torre dei Blesi- hanno confermato la presenza dell'edificioper spettacoli che sfruttava parzialmente il pen-dio naturale, come, ad esempio, il teatro diEporedia (Ivrea). Sono stati per ora rilevati alcu-ni gradini tagliati nella roccia e, verso la salita,tre muri paralleli ad andamento curvilineo, co-struiti a vista in pietra squadrata. All'ultimastruttura rilevata si legano doppi muri muri tra-sversali: quindi il tratto indagato con lo scavo ar-cheologico ha riguardato il punto in cui termina-va il settore scavato nella roccia ed iniziavaquello su arcate.

Un altro elemento utile alla ricostruzione dellacavea è stato il ritrovamento di una delle scaleutilizzate dagli spettatori per accedere ai variordini di posti. Il confronto tra l'orientamentodella scala e quello delle strutture di conteni-mento individuate permette di ipotizzare che lacostruzione del teatro abbia seguito le regole vi-truviane.

Come noto, secondo Vitruvio, che a sua volta fuinfluenzato dalla scuola pitagorica, l' architettu-

�Il teatro romano secondoVitruvio.

�Localizzazione dell’area discavo.

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ra è un'arte "mimetica", che ha il fine di riprodurre i ritmi ed i rapportiche caratterizzano l'armonia della realtà naturale. L'edificio teatrale sidimensiona quindi iscrivendo idealmente nel semicerchio dell'orchestraquattro triangoli equilateri, i cui vertici corrispondono ai dodici segnidello zodiaco, dimostrativi dell'accordo musicale degli astri, ma anche,nella pratica, all'andamento delle sette scalinate necessarie per acce-dere in summa cavea. In questo caso la scala principale si trova al centrodella cavea, perpendicolare rispetto alla linea della scena. Gli altri cin-que vertici "regoleranno la composizione della scena, e quella al centrodeve avere in corrispondenza di sé la porta regia, mentre quelli che sitroveranno a destra e a sinistra indicheranno la disposizione delle porteospitali, i due alle estremità guarderanno i passaggi delle quinte" (Vitru-vio, De Archtectura, V, 6).

Nel caso del teatro di Acqui notiamo che le due porte alle estremitàmettono in comunicazione con uno dei cardini di maggiore importanza,che si dirigeva, verso sud, all'anfiteatro; le porte "ospitali" invece sonoorientate, certamente non a caso, in direzione delle strutture termalicollegate alla fonte bollente; la porta "regia" infine doveva mettere incomunicazione il teatro con il foro tramite il passaggio monumentale dicui erano stati rinvenuti i resti in Via Bove, in uno scavo ottocentesco.

�L’impianto urbano di AqueStatielle messo a confrontocon il tracciato del teatro.

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La ricercaarcheobotanicae le terre di rogoSila Motella De Carlo

Da alcuni decenni a questa parte il lavoro dell'archeologo sul terreno discavo prevede anche il recupero di materiali organici come resti vege-tali e ossa, utili per ricostruire aspetti dell'ambiente naturale e delle at-tività economiche e sociali delle comunità umane che precedetteroquelle attuali.

Lo studio sistematico delle "terre di rogo", cioè dei resti di combustionedelle pire funerarie, rinvenuti sul luogo dove avveniva la cremazione opiù frequentemente nelle tombe, ha rivelato buone possibilità di infor-mazione sul paleoambiente e sugli aspetti rituali .

L' archeobotanica in particolare, coè lo studio di legni, carboni di legno,frutti e semi, offre l'opportunità di ricostruire aspetti della vegetazio-ne, altrimenti ignoti, del passato: è infatti possibile, attraverso questotipo di ricerca, conoscere quale tipo di foresta fosse presente sul terri-torio , quali tipi di legno venissero impiegati nei focolari domestici perriscaldare o illuminare gli ambienti, per cuocere vivande o per costruiremanufatti, quali combustibili venissero utilizati per alimentare i fuochidelle pire funerarie durante i riti della cremazione, quali piante fosseroraccolte o eventualmente coltivate a scopo alimentare o utilizzatecome offerta votiva durante un cerimoniale funebre. �Tomba 5, Acqui Terme.

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Lo scavo archeologico della tomba 5 di via Piave, la cui struttura è stataricostruita in museo, ha messo in luce una consistente presenza di resticarboniosi che occupavano tutto lo spazio interno della tomba e di cuierano presenti tracce anche nell'urna cineraraia ; la tomba 5 si è rivela-ta un contesto sepolcrale particolare e finora inedito sotto il profilo ar-cheobotanico. L'analisi di quasi 200 frustoli di legno bruciato - le cui di-mensioni variano tra 2 mm e 30 mm circa - ha permesso di identificareun numero piuttosto elevato (9) di tipi di legno nella terra del rogo , nu-mero che fa pensare a una pira "piuttosto ricca". Vi sono legni dal pote-re calorifico elevato come il faggio ( Fagus sylvatica L.) e la quercia(Quercus sez. Robur, farnia/rovere) , altri tipi di legno, anche in ramipiccolissimi, come l'acero (Acer sp.) e alcune leguminose (Leguminosae), porzioni di legno di alberi da frutta come peri e meli selvatici (Pomoi-deae) , ciliegi selvatici e prugnoli (genere Prunus).

Si tratta prevalentemente di entità sistematiche, come la farnia/rove-re, tipiche del bosco di pianura , il querceto misto di caducifoglie, insie-me ad altre come Pomoideae e Prunus che indicano zone di radura inconnessione con disboscamenti operati dall'uomo. Altri alberi come ilfaggio (Fagus sylvatica L.) e il pino (Pinus sp.) non sono congruenti conla vegetazione potenziale della pianura e ,con tutta probabilità , sonostati utilizzati grazie a qualità peculiari del loro legno. Infatti, riguardoalla distribuzione nell'ambiente naturale attuale, il faggio, ad esempio,comincia a essere presente alle soglie del piano montano, dopo i quer-ceti e i castagneti, ad un'altitudine variabile tra 800 e 1.000 m.

Riguardo alla quercia (farnia/rovere) essa è quasi sempre l'elementodominante nei contesti sepolcrali finora studiati tra Emilia, Friuli, Lom-bardia, Piemonte, Veneto e Slovenia in un arco cronologico compresotra l'età del Bronzo finale (XI-X sec. a. C. ) e il periodo romano (fino al Vsec. d. C.) e ad Acqui Terme non solo è il “taxon” maggiormente rap-presentato, ma essa è presente anche sotto forma di un frammento diramo con scanalatura centrale, traccia di lavorazione intenzionale, pro-babilmente riconducibile a una porzione del letto funebre.

Pochi ma significativi sono gli elementi relativi alle offerte di frutti perl'aldilà, rimaste intrappolate nella terra delrogo e conservatesi proprio perché venute acontatto con il fuoco della pira: si tratta di unnòcciolo (seme) di ciliegia selvatica (Prunus

avium L.) e di parte di un frutto di corniolo(Cornus mas L.); questi frutti, che maturanodurante l'estate, sono ritenuti utili a scopoalimentare e terapeutico fin dall'antichità.

�Tomba 5, Fagus sylvatica L.(faggio); frammento di le-gno carbonizzato prove-niente dal rogo. La sezionetrasversale in fotografiamostra la tipica porositàdiffusa del legno di questaspecie; i pori, normalmentea contorno circolare, appa-iono in questo caso forte-mente deformati.Il rettangolo grigio in bassoa sinistra misura 347 �

(Foto S.E.M., Laboratorio diArcheobiologia - Musei Civi-ci di Como, A. Maspero)

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Analisi antropologicasui resti ossei crematidalla tomba 5di via PiaveCristina Ravedoni

Lo studio dei resti schele-trici umani, siano essiinumazioni o cremazioni,è reso possibile innanzitutto dall'utilizzo dei me-todi antropologici classi-ci, ma nel caso in cui ci sitrovi di fronte a repertiossei frammentari, com-misti o in cattivo stato diconservazione è spessoindispensabile approfon-dire le indagini con me-todiche nuove che coa-diuvino quelle più tradi-zionali. Nel caso dellecremazioni ci si pone difronte alla necessità diottenere il maggior nu-mero possibile di infor-mazioni, anche da mate-riale largamente incom-pleto; è necessario, in-fatti, poter distinguerecon certezza i frammentidi materiale umano daquelli di natura non uma-na, tentare di determi-nare il sesso e l’età deisoggetti adulti, valutarelo stadio di sviluppo scheletrico degli individui immaturi, rilevare even-tuali patologie, traumi o carenze nutrizionali, esattamente come avvie-ne per le inumazioni, con in più la difficoltà della frammentarietà ed in-completezza del materiale. Quando si lavora con reperti ossei da incine-razioni, risulta fondamentale il calcolo del numero minimo di individuipresenti che si effettua procedendo all'identificazione dei singoli ele-menti ossei, alla collocazione degli stessi nei rispettivi distretti schele-trici di appartenenza e alla conseguente individuazione delle regioni delcorpo maggiormente rappresentate. L'osservazione dei frammenti, tal-volta veramente minuti, permette inoltre di valutarne la colorazione,

�L'insieme di queste immagi-ni vuole mostrare in modoschematico la condizionenormalmente riscontrabilenello studio di materialeosseo combusto. Il disegnodello scheletro adulto è pu-ramente indicativo delle re-gioni scheletrichemaggiormente rappresenta-te, mentre il retino grigiosuggerisce la frammentarie-tà degli elementi ossei re-cuperati.

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elemento assai importante nella valutazione della "efficacia della com-bustione".

I resti ossei umani provenienti dalla Tomba 5 appartengono ad un sog-getto adulto, di possibile sesso femminile e di età indeterminabile a ca-usa della scarsità di elementi diagnostici valutabili.

Il sesso è stato dedotto da evidenze morfologiche (in particolare delcranio) e suffragato da dati di carattere metrico. Al soggetto è stata at-tribuita un'età adulta in quanto dedotta dai caratteri morfologici di ossae regioni articolari che non presentano alcun segno di "giovinezza". Sonoaltresì assenti indicatori di degenerazione ossea e articolare importan-ti, spesso correlabili ad un'età avanzata. Non sono stati recuperati ele-menti riconducibili ad altri soggetti scheletricamente immaturi. Alcuniframmenti ossei appaiono di collocazione dubbia, verosimilmente sonodi natura non umana.

Tutti i distretti scheletrici sono rappresentati e, nonostante le ossa nonrappresentino uno scheletro completo (si tratta di circa 900 gr. di mate-riale), si può immaginare che le modalità di recupero dopo la cremazio-ne abbiano portato a selezionare frammenti da tutte le regioni delloscheletro. Sono, infatti, stati recuperati reperti riconducibili al cranio,frammenti di radici dentali, elementi degli arti (soprattutto frammentidi diafisi di ossa lunghe), porzioni del bacino e corpi vertebrali di verte-bre dei tratti cervicale, basso toracico e lombare.

La colorazione sui toni del grigio e la deformazione dei singoli elementiossei (di medio grado) suggeriscono un'avvenuta combustione delle ossadi media importanza che probabilmente non ha raggiunto elevatissimetemperature, ma che ha in ogni caso efficacemente governato la crema-zione.�Tomba scoperta in via Piave

nel 2000, in corso di scavo.

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Il messaggio epigraficoGiovanni Mennella

Nelle sale del museo sono espostidiversi monumenti di Aquae Sta-tiellae che sono corredati daun'epigrafe. La parola "epigrafia"è di origine greca, e significa "scri-vere sopra": l'epigrafia è dunquela scienza che studia documentiiscritti su materiale durevole (lapietra, ma pure metalli, laterizi,ceramica, vetro, legno, osso, avo-rio e anche le monete, se e quan-do recano una scritta).

Tutte le civiltà antiche consegna-rono al materiale resistente i loromessaggi e i loro documenti, perun motivo facilmente intuibile: adifferenza dell'antichità, infatti,oggi è ovvio raggiungere il pubbli-co tramite i mass-media della car-ta stampata e del supporto ma-gnetico, elettronico e telematico;invece si ricorre di radoall'incisione sulla pietra, e di soli-to lo si fa per motivi precisi e cir-costanziati: essenzialmente, or-mai, sui monumenti pubblici ascopo celebrativo, con una laconi-cità circoscritta al solo nome dichi si vuole onorare, oppure permemoria familiare sulle lapidi deicimiteri. Nel mondo antico, vice-versa, l'affidare un messaggio allapietra o ad altro materiale dure-vole costituiva l'unico modo perfarlo conoscere al maggior nume-ro di persone: tuttavial'impossibilità di riprodurlo in unnumero di copie indefinito o co-munque proporzionale ai destina-tari attraverso una circolazionesincronica tipica delle moderne

�Erma dedicata a VibiusAsiaticus e Viria SulpiciaProveniente da Acqui Ter-me, Collezione De Conti(Casale Monferrato, MuseoCivico)

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tecniche informative (lo stes-so documento dappertutto enel medesimo momento), nerestringeva ovviamente la dif-fusione in senso diacronico edentro un'area geograficamen-te limitata. Per tale motivoogni iscrizione è un "unico" nelsuo genere, e nel suo genere èirripetibile.

Rispetto agli altri popoli anti-chi, tuttavia, presso i Romanil'epigrafia svolse un ruolo fon-damentale e più completo,perché oltre a curarne mag-giormente l'aspetto estetico eformale, essi ne estesero ladestinazione a tutte le mani-festazioni della loro civiltà;per questa ragione il supportoepigrafico apporta oggi uncontributo essenziale alla co-noscenza delle forme scritto-rie antiche, ma anchedell'archeologia e della topo-grafia, della numismatica,della linguistica e della lette-ratura, della storiografia, del-le antichità e del diritto; so-prattutto, però, la testimo-nianza dell'epigrafia permet-te di illuminare i complessi econtradditori aspetti dellestratificazioni sociali dell'"es-sere romano", e ci consenteuna visione minuziosa della

vita quotidiana quale difficilmente sarebbe possibile ricostruire per glialtri popoli antichi e perfino per civiltà più moderne e assai prossime anoi.

Anche per le vicende romane di Acqui Terme, perciò, le iscrizioni costi-tuiscono una fonte diretta di primaria e preziosissima importanza perquanto riguarda le forme della vita cittadina dal I al IV secolo d.C.: ba-sti pensare che, tra l'altro, esse forniscono quasi tutte le notizie sullastruttura amministrativa della comunità aquense e la totalità delle in-formazioni sulla sua organizzazione religiosa e cultuale. Né, infine, vadimenticato che grazie allo sviluppo delle ricerche archeologiche, puread Acqui, come altrove, la consistenza del patrimonio epigrafico è incontinuo e costante aumento. Pertanto, è lecito affermare che suAquae Statiellae le iscrizioni offrono un quadro dinamico e in progressi-va evoluzione, e correlate alle altre testimonianze concorrono nel deli-neare una visione sempre più aggiornata di questo centro ligure nel con-testo della vivace vitalità dei municipi nell'Italia romana.

�Ara di Petronia Grata conraffigurazioni relative almito di Eracle ed Enea infuga da Troia.Prima metà del II secolod.C. (Torino, Museo di Anti-chità).

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Museoe scuola epigrafi romanedi AquaeStatiellae

Un progetto didatticodi epigrafia latinaElena Giuliano

I reperti appartenenti alla sezione epigraficadel Museo Civico Archeologico sono stati og-getto di studio in un'attività sperimentale eprogettuale sviluppata per due anni scolastici(1998/99 e 1999/2000) da classi del triennioad indirizzo scientifico (con supporto specia-listico del prof.Giovanni Mennella, docente diEpigrafia latina presso l'Università di Genova,curatore del nuovo allestimento del lapida-rio).Il progetto aveva tra le finalità preminenti lasollecitazione a conoscere la storia del terri-torio e della città in età romana, oltre alla va-lorizzazione dell'epigrafia, disciplina solita-mente trascurata, come tramite per la cono-scenza dell'antico, indicando il museo comeluogo preferenziale per una vivace e stimolan-te didattica della storia e del latino. Le testi-monianze epigrafiche, infatti, consentono unapproccio abbastanza immediato e sono docu-menti non letterari, certo, ma fondamentaliper lo studio della lingua e della civiltà, acco-stabili attraverso un metodo induttivo-euristi-co che può essere imperniato sulla centralità del testo.La lettura, la decodifica e l'interpretazione delle parole iscritte sul sup-porto epigrafico possono essere intese come esercizio di analisi testua-le improntata a correttezza filologica, competenza linguistica e stilisti-ca, contestualizzazione storica, attenzione all'intertestualità; tuttavia,dato che le parole sono strettamente pertinenti ad un manufatto la cui"fisicità" s'impone, emergono riferimenti e connessioni che vanno al di làdella dimensione testuale.Le caratteristiche della lingua epigrafica - formularità, abbreviazioni,sigle - la rendono assimilabile ad un sottocodice tanto ben regolamenta-to e riconoscibile dal civis romano, quanto fonte di curiosità "enigmisti-ca" per il discente di oggi.Possono essere indagati: la tipologia del manufatto e la sua esposizionenell'ambiente originario, le modalità del ritrovamento, fuori o dentro ilsito d'origine, la datazione e il rapporto con la situazione storica locale,le inferenze di ordine socio-antropologico; la presenza del testo epigra-fico nelle principali sillogi scientifiche, come il Corpus InscriptionumLatinarum; da ultimo, la tradizione manoscritta e a stampa delle epi-grafi nella storiografia antiquaria (soprattutto locale) e la loro discus-sione scientifica negli studi specialistici odierni.

Il nostro progetto si è articolato nelle seguenti, principali fasi operati-ve:

- Visite guidate con registrazioni video e documentazione foto-grafica dei reperti presenti sul territorio.

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- Lezioni di propedeutica all'epigrafia latina, con guida all'utilizzodi testi manualistici e di repertori di abbreviazioni.

- Ricerca bibliografica e laboratorio a gruppi.

- Redazione di schede epigrafiche semplificate.

- Comunicazione dei risultati da parte degli studenti nell'ambito diun Seminario di Epigrafia latina presso la Facoltà di Letteredell'Università di Genova.

- Pubblicazione conclusiva curata dall'insegnante, finanziata inte-ramente dal Comune di Acqui Terme, Assessorato alla Cultura,nel volumetto "Le epigrafi di Aquae Statiellae nel Museo Civico diAcqui Terme".

Veniamo ad esemplificare spunti di interesse didattico rintrac-ciabili nella documentazione epigrafica disponibile in loco.

Le tre epigrafi collocate nella sala dedicata alle necropoli appar-tengono alla classe delle iscrizioni funerarie, vasta categoria cheinclude epitafi veri e propri, come quelli esposti, ma anche iscri-zioni accessorie, come i cippi delimitanti aree sepolcrali.

Quanto ai supporti, si tratta di tre stele, in altre parole, di segna-coli sepolcrali a sviluppo verticale, di spessore ridotto e dal pro-spetto rettangolare, talora centinato (a testa rotonda) o cuspida-to (a testa triangolare) e chiuso da membrature (cornici, paraste,acroteri, timpani).

In ambito didattico, esaminando testimonianze epigrafiche diquesta classe, può essere utilmente condotta una riflessione sulsistema onomastico romano (degli uomini e delle donne di nasci-ta libera, degli schiavi, dei liberti) a partire dall'onomastica deidefunti e dei dedicanti, discutendo la struttura arcaica, o "classi-ca", o tarda, evidenziabile nella composizione di essa, che puòvalere anche come elemento datante del reperto. Nei reperti ac-quesi compaiono esempi di onomastica bimembre (prenome enome gentilizio oltre al patronimico, come in CIL V, 7520, e 7526)e trimembre (prenome, nome gentilizio e cognome oltre al patro-nimico in CIL V, 7524); inoltre, è documentato un nome indigeno,probabilmente celtico, romanizzato (nel patronimico Comavi,

equivalente a "figlia di Comavus" in CIL V, 7526).Le iscrizioni funerarie si prestano poi alla ricostruzione di "alberi genea-logici familiari" e di brevi prosopografie dei personaggi, oltre cheall'analisi sociologica dei modelli di familia (con rilevazione di aspettigiuridici, relativi al ruolo del pater familias, della donna, dei figli; inparticolare, nell'epigrafe dedicata al figlio Lucio Attio e al marito LucioMettio Varieno da Rubria Seconda, si desume, considerando il nomengentilizio diverso nel figlio e nel marito, il fatto che la donna si sposòdue volte).Del tutto pertinente è poi lo spunto a studiare il diritto funerario con leimplicazioni concernenti la concezione della morte e dell'aldilà.Interessante, e di forte valenza interdisciplinare, risulta infine l'esamedell'apparato iconografico negli elementi decorativi e di genere che ri-corrono frequentemente nelle loro componenti simbolico-semantiche,spesso esoteriche o magico-rituali. Alcuni motivi risultano consueti nelnostro areale archeologico, come le rosette o i delfini, allusiviall'immortalità; altri sono, forse casualmente, meno diffusi nell'attualecomprensorio piemontese e più rappresentati altrove: ad esempio le fi-gure di oggetti collegati ai riti sacrificali in onore di divinità infere,come lo speculum/specchio, la patera/tazza per libagioni, l' urce-us/vaso monoansato, le ghirlande e i bucrani.E' interessante anche la ritrattistica dei defunti, documento del preva-lente realismo dell'arte romana, anche nelle espressioni "periferiche",nonché di "mode" nell'acconciatura e nell'abbigliamento (riconducibiliall'età di Claudio quelle della grande stele a tre nicchie, CIL, V, 7520).

�Stele di Lucius Mettius Mar-ci filius.Metà del I sec. d.C. (AcquiTerme, Museo Civico)

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Lo studiodei materiali lapidei storici:il caso della ricercaarcheologicain PiemonteMaurizio Gomez Serito

Quello dell'uso delle pietre nella storia e del riconoscimento della loroprovenienza è uno studio strettamente legato al territorio che, proprioper questo, può trovare specifici motivi di interesse in particolari conte-sti geografici. Sono prevalentemente due gli aspetti vincolanti in questosenso, entrambi imprescindibili quando si studino materiali lapidei sto-rici, non solo archeologici. Il primo è relativo alla disponibilità locale dipietre: non in tutti i luoghi infatti esistono affioramenti di materiali la-pidei. Il secondo riguarda invece la disponibilità di vie di comunicazionetra la regione studiata e l'esterno che siano in particolare adatte al tra-sporto pesante.

Nel primo caso il Piemonte si trova in una condizione privilegiata perchéil suo territorio offre una gamma particolarmente varia di buoni mate-riali lapidei utili nelle costruzioni e nelle decorazioni. Lo stesso territo-rio però, in gran parte montuoso o collinoso, non offre altrettanta di-sponibilità di vie di trasporto, anzi se le migliori sono quelle d'acqual'unico collegamento naturale della regione con l'esterno è il Po.

In base a questa premessa quindi, chi studia le pietre usate nel territo-rio piemontese dovrebbe riscontrare una forte presenza di materiali lo-cali rispetto ad altri importati: in alcuni contesti effettivamente preval-

�Principali cave e marmidell’Impero Romano.

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gono i litotipi locali, ma in altri, come anche ad Acqui nell'età classica itermini possono variare (con una relativa abbondanza di materiali im-portati). Un terzo elemento discriminante infatti riguarda la variazionenel tempo delle condizioni economiche, politiche e sociali nei cui diver-si contesti si situano i materiali studiati, sono queste infatti il vero mo-tore delle scelte e degli scambi materiali e culturali di una comunità. Aseconda delle condizioni socio economiche del momento sono quindistate disponibili e utilizzate differenti varietà di pietre. L'unica costan-te è che in Piemonte i materiali importati provengono nella grande mag-gioranza da est per via d'acqua, anche nei territori più meridionali, diconfine con la l'attuale Liguria, come è nel caso di Acqui. In senso lato ilPiemonte appartiene quindi al bacino orientale del Mediterrraneo inquanto estrema propaggine idrografica dell'Adriatico e i materiali lapi-dei qui importati, provengono in massima parte direttamente dalla Gre-cia e dall'Asia Minore.

Gli studi petrografici si orientano quindi sui due filoni paralleli: quellodei materiali locali, per i quali oltre a una relativamente limitata biblio-grafia specialistica, ci si avvale di campioni di confronto raccolti permezzo di indagini sistematiche sul territorio (ricerca di antiche cave), edi quelli di importazione tra i quali quelli di provenienza orientale,come accennato, risultano relativamente abbondanti in età classica etardo antica, sono i più studiati a livello internazionale.

Tra i materiali da costruzione si rinvengono generalmente pietre localidi non particolare pregio,

mentre tra quelle da deco-razione prevalgono i

marmi piemontesi edalla Grecia o Asia Mi-nore; per la particolareposizione geografica

descritta, risultano rariin Piemonte reperti in mar-

mo Lunense (Apuane). Tor-nando invece ai materiali locali

di età romana, sono stati ricono-sciuti in Piemonte praticamentetutte le varietà di marmo biancodi una certa qualità che, in al-

cuni casi possono confondersicon varietà simili di impor-

tazione.

Se per i materiali dicaratteristicoaspetto decorativo(come sono i marmicolorati) spesso puòessere sufficienteun'accurata analisimacroscopica diconfronto, per il ri-conoscimento certodei marmi bianchi èutile invece ricorre-re a metodi analiti-ci di laboratorioperò più difficil-mente impiegabiliperché invasivi o di-struttivi.

arenarie

gneiss

marmi

sieniti

Val d’OssolaCandoglia

Valle del Cervo

Novara

Vercelli

Torino

Asti Alessandria

Acqui Rigoroso

Cortemilia

Visoforte

Frabosa

Cuneo

Venasca

Vaie

Chianocco

�Cave di pietra da costruzio-ne e da decorazione nelPiemonte Romano.

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