Mauro Corona - "Torneranno le quattro stagioni"

UFF. TECNICODIR. EDITORIALE EDITOR GRAFICO REDAZIONEART DIRECTOR

«Il tordo infilava il becco tra le stecche del-la gabbietta come per annusare l’aria di fuori. Voleva uscire. Chi è fatto per l’aria aperta non si rassegna a stare chiuso.»

Mauro Corona racconta la natura per parlare del mondo di oggi e di noi, pieni di difficoltà e impuntature, pieni di ri-sorse, ma anche di problemi che spes-so ci siamo creati da soli.Come ha scritto Claudio Magris: “I suoi racconti hanno l’autorità della fa-vola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l’evidenza del quotidiano”.Sono storie che parlano a grandi e bam-bini, storie di bullismo e prepotenza, di rapporto con la manualità e la creativi-tà, ma anche storie d’amore e d’amici-zia, storie di uomini e animali, sempre narrate con la voce senza tempo delle sue montagne.

Mauro CoronaNato nel 1950 a Erto (Pordenone), ha seguito fin da bambino il nonno pa-terno in giro per i boschi e il padre alla scoperta delle montagne della sua valle. Dal nonno ha ereditato la passione per il legno, diventando uno dei più noti scultori lignei europei, e dal padre quel-la per l’alpinismo e le scalate, aprendo oltre trecento nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre-Piave. Fra i suoi libri ricordiamo: Il volo della martora, Aspro e dolce, Cani, camosci, cuculi (e un corvo), Storia di Neve, Il canto delle manére, Storie del bosco antico.

€ 16,00 IN COPERTINA: ILLUSTRAZIONE DI MATTEO CORONAFOTO: NICOLA ALLEGRI – EDITORIALE GLI OLMI

ART DIRECTOR: FERNANDO AMBROSIGRAPHIC DESIGNER: STEFANO MORO

2 MM DI ABBONDANZA PER LA PIEGA 2 MM DI ABBONDANZA PER LA PIEGA

PANTONE 2965 C

Torneranno le quattro stagioni

Mauro CoronaTorneranno

le quattro stagioni

Mauro C

orona

’ CANTO DELLE MANÉRE

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Mauro Corona

Tornerannole quattro stagioni

Illustrazioni di Matteo Corona

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www.ragazzi.mondadori.it

© 2010 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, per il testo e le illustrazioniPrima edizione giugno 2010Stampato presso Mondadori Printing S.p.A.Stabilimento N.S.M., Cles (TN)Printed in ItalyISBN 978-88-04-60059-6


Erto, 19 marzo 2010

Inizio alcune fiabe per bambini, gli unici lettori che non mi spaventano!


Inverno


MaternItà


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C’era una volta un bambino molto sensibile nato in un paesino di montagna da una famiglia povera. E non solo povera, quello sarebbe stato il male mino-re. Era una famiglia disgraziata dove la parola amo-re non aveva mai messo piede.

Il padre si ubriacava e picchiava moglie e figli. Il bambino aveva due fratelli minori. Tutti prende-vano botte. Il padre, uomo burbero e insensibile, e quando beveva violento e senza cuore, portava il fi-glio maggiore al lavoro nel bosco. Toccava a lui, era il primogenito. Quel bambino conobbe la fatica as-sai presto. Ma con la fatica, ebbe la fortuna di cono-scere gli alberi, come usarli, quando tagliarli, come curarli, che lune attendere per lavorarli. Conobbe e imparò ad annusare gli odori dei boschi resinosi, dei boschi cedui, di faggi e carpini, delle piogge autun-nali che facevano fumare il suolo come un vecchio


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TORNERANNO LE QUATTRO STAGIONI

con la pipa. Scoprì le curve sinuose dei frassini, le venature armoniche degli abeti, le vene e le gobbe nodose dei carpini, la loro testardaggine. Imparò ad affilare la scure e tagliare piante. Aiutava il padre. Aveva dieci anni e le mani spellate.

Il bambino nei boschi stava bene. Protetto da quel-le ombre alte, storte, a volte inquietanti, si sentiva al sicuro. A casa invece non si sentiva al sicuro. Quel-lo che sentiva a casa erano urla del padre che infieri-va sulla moglie. Il bambino aveva paura. Neanche al bosco erano sempre rose e fiori. Se sbagliava una mossa, non eseguiva un ordine, lo ritardava, dimen-ticava un attrezzo, erano botte e calci nel sedere. Il padre lo picchiava. Il bambino si chiedeva perché.

Intanto guardava le piante oscillare sotto la spinta del vento, ascoltava il canto degli uccelli, lo scroscio delle acque. Tutto questo lo aiutava a reggere, a non sentire. Il burbero genitore aveva accanto a sé un fi-glio inerme e sensibile e non se ne accorgeva. Non se n’era mai accorto. Lo prendeva a calci e cinghiate.

Una sera tornarono dal bosco, lui e il padre. A casa, l’uno non trovò la mamma, l’altro non trovò la mo-glie. Stanca di prendere botte se n’era andata. Da qualche parte, forse all’estero, chissà.

Il bambino invidiava quelle famiglie unite, dove i figli sono amati e cresciuti bene e dove regnano se-renità e pace. E i genitori restano uniti e si vogliono bene. Adesso doveva cavarsela da solo: quella che lo


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MATERNITà

difendeva era sparita. Per non soccombere al marito era stata costretta a fuggire lasciando lui e i fratel-li in balia dell’uomo. Il bambino patì l’assenza della mamma più degli altri fratelli. Intanto cresceva con i nonni paterni e una vecchia zia sordomuta che not-te e giorno vedeva i santi.

Il nonno gli insegnò tante cose, tra cui l’intaglio di sculture in legno. Il bambino imparava presto e bene, ma l’assenza della mamma lo intristiva. La pensava tutti i giorni, anche se un po’ alla volta il ricordo di lei sbiadiva lontano.

A tredici anni era già uomo. Lavorava nelle mal-ghe come garzone, scolpiva statuine e ogni tanto pensava alla mamma che mancava da sette anni. Il pensiero di lei, seppur lontano, non lo abbandona-va. L’aveva pensata spesso in quei sette anni. E an-cora la pensava. Nel suo ricordo cominciò a scolpi-re quello che non aveva mai avuto: la mamma con in braccio il bambino.

Le prime maternità risultarono piuttosto grezze e ingenue ma, proprio per questo, piene di una dolcez-za mai vista. Da quel momento il ragazzo non scol-pì altro che mamme col bambino. Le intagliava in qualsiasi legno, ma preferiva il pino cembro. Quel legno odora di resina e bosco. È caldo e si lascia la-vorare senza fare il broncio.

Andò avanti così per molto tempo, diventando sempre più bravo.


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Intorno ai vent’anni era diventato così bravo che nessuno poteva competere con lui nelle maternità. Erano le più belle di tutte. Nemmeno i famosi scul-tori in legno della Val Gardena riuscivano a farle così dolci. E nemmeno a imitarle vagamente. Quel-le del giovane scultore, oltre a forme nuove e sem-pre diverse, avevano un qualcosa di magico, come un alito divino che le animava. Erano scolpite con la sgorbia del dolore e dell’assenza, non potevano es-sere che uniche.

Intanto lo scultore andava avanti nel lavoro crean-do mamme col bambino sempre più magiche, sem-pre più belle, sempre più nuove.

La voce di quelle opere cominciò a circolare.Venne al paese un mercante d’arte che propose

al giovane delle mostre nelle città. Così lo sculto-re di maternità cominciò a essere conosciuto in Ita-lia e all’estero. L’esposizione pubblica delle sue ope-re spiazzava i visitatori, che rimanevano sbalorditi. I più danarosi acquistarono qualche pezzo. Il mer-cante li vendeva a cifre alte. Lo scultore, senza quasi rendersi conto, in pochi anni si trovò con un muc-chio di soldi in banca. Ma non si montò la testa. Se-guitò a scolpire le sue mamme col bambino. Non per una questione di soldi, bensì per quel lontano ricor-do della madre, sempre presente nei suoi pensieri.

Verso i trent’anni era ricco. Si fece costruire una casa in cima a un colle circondato dal bosco. Una


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casa grande, bella e soleggiata, con annesso lo stu-dio di scultura.

Un giorno conobbe una bella ragazza venuta las-sù col padre, a villeggiare. Dopo un breve fidanza-mento la sposò. Voleva subito dei bambini per dare loro quell’affetto paterno che non aveva avuto. Per l’amore materno ci avrebbe pensato la ragazza. Lui non l’avrebbe di certo picchiata come aveva fatto suo padre facendola fuggire.

Poco tempo dopo la donna aspettava un bambino. A quella notizia il marito non stava più nella pelle. Con rinnovato entusiasmo si mise a scolpire mater-nità ancora più belle. Alcune tenevano le mani sul pancione dove apparivano le forme del bambino ran-nicchiato dentro. Erano proprio belle.

Ma la gioia di essere padre non entrò nella casa del-lo scultore. Ci furono complicazioni: la moglie per-se il bambino rischiando di morire pure lei. I medici dissero che non avrebbe mai più potuto avere bam-bini. L’uomo si disperò. Desiderava un figlio per dar-gli tutto l’affetto possibile.

Una nebbia triste entrò nella sua anima spegnen-dola. L’uomo cercò conforto nel lavoro, ma qualco-sa dentro di lui si era rotto. Si buttò a capofitto sui tronchi da scolpire. Lavorava giorno e notte, creando maternità a getto continuo. Ma non erano più quel-le di un tempo. Erano brutte, spente, fredde. Figure banali, senza forza, dozzinali, prive di qualsiasi gra-


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MATERNITà

zia. Il geniale scultore di mamme col bambino non esisteva più, era scomparso. Era scomparso il suo bambino, la sua donna non era più la stessa, il suo cuore confuso non riusciva più a sentire le materni-tà come un tempo.

Passò un anno. Per non morire di crepacuore, ma-rito e moglie adottarono un orfanello di pochi mesi, un bel bambino fresco e roseo come una mela. In pochi giorni vi si affezionarono come fosse nato da loro. Il marito guardava la moglie con quel frugolo in braccio e una grande dolcezza veniva a visitarlo.

Una mattina andò allo studio e si mise a scolpire maternità come le sentiva una volta. Scolpì con cuore rinato, cuore nuovo. La donna col bambino risultò una delle più belle e più riuscite che avesse mai fat-to. Lo scultore era tornato quello di un tempo.


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«Il tordo infilava il becco tra le stecche del-la gabbietta come per annusare l’aria di fuori. Voleva uscire. Chi è fatto per l’aria aperta non si rassegna a stare chiuso.»

Mauro Corona racconta la natura per parlare del mondo di oggi e di noi, pieni di difficoltà e impuntature, pieni di ri-sorse, ma anche di problemi che spes-so ci siamo creati da soli.Come ha scritto Claudio Magris: “I suoi racconti hanno l’autorità della fa-vola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l’evidenza del quotidiano”.Sono storie che parlano a grandi e bam-bini, storie di bullismo e prepotenza, di rapporto con la manualità e la creativi-tà, ma anche storie d’amore e d’amici-zia, storie di uomini e animali, sempre narrate con la voce senza tempo delle sue montagne.

Mauro CoronaNato nel 1950 a Erto (Pordenone), ha seguito fin da bambino il nonno pa-terno in giro per i boschi e il padre alla scoperta delle montagne della sua valle. Dal nonno ha ereditato la passione per il legno, diventando uno dei più noti scultori lignei europei, e dal padre quel-la per l’alpinismo e le scalate, aprendo oltre trecento nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre-Piave. Fra i suoi libri ricordiamo: Il volo della martora, Aspro e dolce, Cani, camosci, cuculi (e un corvo), Storia di Neve, Il canto delle manére, Storie del bosco antico.

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Torneranno le quattro stagioni

Mauro CoronaTorneranno

le quattro stagioni

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’ CANTO DELLE MANÉRE

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