Materiale seminario Legalità vs. sicurezza

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Sergio Dagradi, Materiale seminario Legalità vs. sicurezza

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Sergio A. DagradiLEGALITÀ O SICUREZZA? FOUCAULT, GOMORRA E I ROM.(First draft, parte prima. A solo uso didattico per i frequentanti il seminario omonimo afferente il corso di Filosofia del diritto (M-Z), a.a. 2008-2009. Si prega di non divulgare)

Rischi di non accorgerti più di niente. E allora devi dare fondo a tutte le tue risorse.

Roberto Saviano, Gomorra

Però i principi e le città dovrebbero proibire o autorizzare con molta moderazione i mendicanti itineranti, i fratelli di san Giacomo

e i mendicanti stranieri, affinché col pretesto di mendicare non fosse concesso ai furfanti di andare in giro e commettere

le loro furfanterie, oggi molto numerose.Lutero, Delle buone opere

La paura è una mareache ritorna a chi la crea.

Slogan di un manifesto per l’8 marzo 2009

SOMMARIO – 0. All’origine dell’analisi. – 1. Il concetto di legalità e il concetto di sicurezza. – 1.1. Il concetto di legalità secondo la filosofia e la teoria generale del diritto. – 1.2. Il concetto di sicurezza nell’analisi di Michel Foucault. - 2. L’isteria securitaria attuale. - 3. L’emergenza sicurezza in Italia.

0. All’origine dell’analisi.

L’analisi che segue ha un momento di origine, un luogo e un tempo di sedimentazione, nonché degli agenti che ne sono stati involontariamente causa, entrambi di nome Roberto.

Nella primavera 2008 stavo ultimando la lettura di Gomorra di Roberto Saviano, lettura avvenuta quasi in contemporanea all’uscita e alla visione del film tratto dal libro omonimo 1. Tanto il libro quanto il film destarono in me una profonda inquietudine. Una inquietudine dettata da un’amara sensazione di quasi impotenza rispetto al sistema camorristico descritto da Saviano, che sembra ammantare di sé gran parte del territorio italiano (non 1 Roberto SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra , Mondadori, Milano 2006. Il film omonimo, tratto appunto dal libro, è Gomorra di Matteo Garrone (Italia 2008). Considero, in tal senso, la lettura del libro e la visione del film come prerequisiti del percorso che intendo sviluppare. Mentre il presente saggio era già in fase di avanzata stesura è stato inoltre portato sulle scene dalla compagnia del Teatro Stabile di Napoli la riduzione teatrale del libro, dal titolo omonimo, curata dallo stesso Saviano e da Mario Gelardi e per la regia di quest’ultimo.

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solo campano, dunque), della sua economia, della sua amministrazione e gestione politica, e con tale virulenza da espandersi, con vaste propaggini, verso il resto del mondo. Una inquietudine che trova riscontro nelle parole dello stesso Saviano, scritte di ritorno da un viaggio ad Aberdeen, in Scozia:

La claustrofobia forse non era dovuta al posto striminzito e all’aereo minuscolo, né al buio fuori dal finestrino: ma alla sensazione di sentirmi stritolato in una realtà di cose che somigliava a un pollaio di bestie affamate e ammassate, pronte a mangiare per essere mangiate. Come se tutto fosse un unico territorio con un’unica dimensione e un’unica sintassi ovunque comprensibile. Una sensazione di non scampo, una costrizione a essere parte della grande battaglia o a non essere 2.

Una sensazione di annichilmento e di impotenza, in particolare rispetto alla situazione civile italiana, acuita dall’iniziativa coeva di un altro Roberto, il ministro degli interni, on. Maroni: la proposta della cosiddetta schedatura dei bambini di etnia Rom (così almeno definita dalla vulgata degli organi di informazione di massa), destinata a confluire in quel provvedimento governativo divenuto noto come Decreto sicurezza e approvato dall’esecutivo in data 23 maggio 20083.

Tale proposta costituiva l’ultimo passaggio di un processo più vasto e che ha attraversato l’opinione pubblica italiana, impossessandosene: quello di una crescente sensazione di insicurezza dovuta all’aumento delle attività criminali perpetrate, in

2 Roberto SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra , op. cit., pp. 308-309.3 Art. 6, comma 3 del Decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza. Il comma, in verità, afferma soltanto che «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica». L’operazione di schedatura è quindi desunta dalle competenze che al sindaco vengono affidate da tale comma. Il decreto è consultabile alla pagina della Camera dei Deputati: http://www.camera.it/parlam/leggi/decreti/08092d.htm. Il decreto è stato convertito in legge con la Legge di conversione n. 125, il 24 luglio 2008, il testo della quale è consultabile presso il sito web della stessa Camera dei Deputati all’indirizzo http://www.camera.it/parlam/leggi/08125l.htm. Nella conversione è stato introdotto al suddetto art. 6 il comma 5 bis che recita: «Il Sindaco segnala alle competenti autorità, giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato». L’attenzione rispetto al problema dell’accertamento dell’identità è accentuato nella conversione in legge del decreto, con l’introduzione di alcune sostanziali variazioni rispetto al testo originale. In particolare l’art. 1, che introduce modifiche al Codice Penale, al comma 1, lettera b-ter), stabilisce che «l'articolo 495 e' sostituito dal seguente: «Art. 495 (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l' identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona e' punito con la reclusione da uno a sei anni. La reclusione non e' inferiore a due anni: 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali e' resa all'autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome»»; mentre sempre al comma 1, ma alla lettera b-quater), si stabilisce che «dopo l'articolo 495-bis, e' inserito il seguente: «Art. 495-ter (Fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali). - Chiunque, al fine di impedire la propria o altrui identificazione, altera parti del proprio o dell'altrui corpo utili per consentire l'accertamento di identità o di altre qualità personali, e' punito con la reclusione da uno a sei anni. Il fatto e' aggravato se commesso nell'esercizio di una professione sanitaria» ». Infine la lettera b-quinquies), stabilisce che: « l'articolo 496 e' sostituito dal seguente: «Art. 496 (False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, e' punito con la reclusione da uno a cinque anni» ».

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particolare, da cittadini non italiani. Detto di nuovo e altrimenti: quella proposta – ma forse anche lo spirito dell’intero pacchetto – ha costituito l’ultimo passaggio di un percorso di crescita esponenziale, in particolare nell’ultimo decennio, di una ossessione securitaria che ha attraversato la nostra penisola, che si è impossessata di ampi strati della popolazione e che ha progressivamente assunto come proprio oggetto di insistenza l’altro da sé, via via diversamente connotato. La riprova è la sorprendentemente limitata discussione che la proposta del ministro degli interni ha suscitato nella pubblica opinione italiana, inferiore – paradossalmente – a quella testimoniata dalle prese di posizioni di altri organismi internazionali e di settori della opinione pubblica europea4.

L’obiettivo del presente percorso è, allora, un obiettivo filosofico. Se, come sosteneva Michel Foucault (1926-1984), l’esercizio costitutivamente critico del pensiero filosofico si esprime in una incessante problematizzazione della realtà5, di fronte a questa sorte di indifferenza rispetto alle condizioni civili del paese, dinnanzi all’accettazione come mero dato di fatto dell’esistente – e in particolare di questo esistente – la filosofia non può che porsi come obiettivo quello di scombinare il presente, di investirlo nel suo modo d’essere per chiederne conto. Compito della filosofia è anzitutto insinuare il dubbio rispetto a una realtà percepita come necessaria, riaprendo degli spazi di libertà, oltre che di pensiero.

Per ottenere – o provare ad ottenere – questo obiettivo individuerò anzitutto le nozioni di legalità e di sicurezza. In particolare mi soffermerò su quest’ultima per analizzare, attraverso i contributi forniti in materia da Foucault (ma non solo), l’origine della ossessione securitaria che caratterizza la società contemporanea. Mi muoverò poi verso la presentazione di alcuni dati relativi a fenomeni raggruppabili sotto la voce sicurezza (intesa in un’accezione più ampia rispetto a quella comunemente intesa). Tali dati mi serviranno per contestualizzare quelli relativi ai reati commessi soprattutto da cittadini non italiani o da appartenenti all’etnia rom, concetti non sovrapponibili data l’esistenza di cittadini italiani appartenenti a quest’ultima etnia. Introdurrò poi dei dati illuminanti sulla situazione della criminalità organizzata in Italia al fine di comparare l’impatto sociale effettivo di questi rispetto ai reati comuni e, viceversa, la percezione sociale che se ne ha. Mi interrogherò, allora, sui processi di costruzione del discorso securitario nella nostra società e sul ruolo che i media hanno nel alimentare un certo immaginario attorno al problema sicurezza. Concluderò il percorso interrogandomi – sulla scorta dei dati presentati e delle analisi suscitate da questi – se in Italia il vero problema non debba considerarsi quello della legalità, piuttosto che quello della sicurezza.

1. Il concetto di legalità e quello di sicurezza.

4 Dinnanzi a questo silenzio assordante occorre allora riconoscere che ha giocato in me anche la memoria - evidentemente storica - di quanto accaduto in Italia nel 1938 alla promulgazione delle leggi razziali, nonché nella rimozione post-bellica delle stesse e delle conseguenze prodotte nella società italiana dalla loro applicazione, alle quali – nella quasi totalità dei casi – non è mai stato posto adeguato rimedio.5 Si cfr., ad esempio, Michel FOUCAULT, Polemics, Politics and Problematizations, in Paul RABINOW (ed.), The Foucault Reader, Pantheon Books, New York 1984, pp. 381-390; tr. it. di Sabina Loriga, Polemica, politica, problematizzazioni, in Michel FOUCAULT, Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 3. 1978-1985 Estetica dell’esistenza, etica, politica, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 240-247

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Per condurre efficacemente la mia argomentazione ritengo indispensabile partire da un preventivo chiarimento dei termini in questione, cercando di definire in particolare il concetto di legalità e quello di sicurezza.

1.1. Il concetto di legalità secondo la filosofia e la teoria generale del diritto.

Il concetto di legalità al quale farò riferimento è il moderno concetto di legalità in senso stretto. Il quadro entro il quale questo concetto è definibile è quello dello Stato costituzionale moderno, caratterizzato da alcuni elementi tipici, anche se non necessariamente presenti contemporaneamente (e forse paradossalmente) in tutti gli Stati costituzionali6: a) anzitutto, la presenza di una costituzione scritta e soprattutto rigida, ossia implicante procedure di modifica più gravose rispetto a quelle delle leggi ordinarie e, dunque, non modificabili dal legislatore appunto ordinario; b) in secondo luogo, la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, con la chiara definizione degli ambiti di azione amministrativa del potere da parte di ciascun organo che assolve tali funzioni, separazione tradizionalmente attribuita alla proposta elaborata da Montesquieu (1689-1755) nell’XI libro del suo De l’esprit des lois (1748)7; c) infine, il riconoscimento di confini precisi e certi alla sfera di libertà del cittadino rispetto al potere medesimo nelle sue varie forme amministrative (legislativo, esecutivo e giudiziario), sulla scorta di quel diritto di resistenza enunciato per primo da John Locke (1632-1704) nel secondo dei suoi Two Treatises of Government (1690)8.

Questi tre caratteri dello Stato costituzionale moderno possono essere riassumibili in due concezioni politico-giuridiche, che individuano il rapporto tra potere statale e cittadino da due distinti ma solidali punti di vista: il garantismo e, appunto, il concetto di legalità. Essi individuano, inoltre, uno Stato come Stato di diritto; ossia, vi è Stato di diritto in presenza di garantismo e legalità9.

La prima concezione politico-giuridica (garantismo) individua l’esercizio del potere statale dal punto di vista del cittadino e della tutela dei propri diritti individuali di libertà. 6 Il mio obiettivo, come detto, è quello di individuare le caratteristiche essenziali del concetto di legalità ai fini di un’analisi comparativa con il concetto di sicurezza: pertanto, e nei limiti del consentito, non entrerò in una serie di controversie che animano il dibattito attuale attorno a questo e ad altri concetti ad esso connesso, come quelli di Stato di diritto o di Stato costituzionale.7 Charles-Louis de Secondat barone di La Brède e di MONTESQUIEU, De l’esprit des lois ou Du rapport que les lois dovient avoir avec la constitution de claque gouvernement, les moeurs, le climat, la religion, le commerce etc., (1748), tr. it. di Sergio Cotta, Lo spirito delle leggi, UTET, Torino 19732, (aggiornata, 1a ed. 1965).8 John LOCKE, Two Treatises of Government (1690), tr. it. di Brunella Casalini, Due trattati sul governo, Bollettino di Filosofia Politica, Pisa 2006 (in rete presso l’ «Archivio Giuliano Marini», URL: http://archiviomarini.sp.unipi.it/58).9 Sulla tensione tra strategie di governo e diritti del soggetto interessanti considerazioni, in una prospettiva storica, in Pietro COSTA, Diritti individuali e governo dei soggetti: un quadro tipologico , «Giornale di storia costituzionale», n. 7, I semestre 2004, pp. 9-32. Sulla difficoltà a pervenire ad una univoca definizione del concetto di Stato di diritto rimando a Francesco BIONDO, Stato di diritto o stato di giustizia? Osservazioni critiche su un’alternativa troppo rigida, «Diritto & questioni pubbliche», n. 4, 2004, pp. 7-31, in particolare pp. 8-13.

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Detto altrimenti: il garantismo sottolinea, nel rapporto del cittadino con lo Stato, i limiti che quest’ultimo ha nell’esercitare i poteri che gli sono costituzionalmente assegnati, rispetto ad una sfera di diritti di cui l’individuo è – sempre costituzionalmente – titolare10.

Il secondo concetto (legalità), di contro, sottolinea nel medesimo rapporto, le modalità di esercizio del potere statale nei confronti del cittadino in conformità ai limiti che gli sono prescritti dall’ordinamento11. La legalità attiene, infatti, all’effettività del potere statale, intendendo con questo temine la sua capacità ad imporsi in modo durevole su una determinata comunità e su uno spazio territoriale chiaramente definito: esprime quella modalità di effettività del potere fondata e conforme alla legge come sua unica fonte, in base alla quale tutti gli organi del potere statale sono disciplinati da essa ad amministrano il potere attraverso atti che e nella forma (legalità-indirizzo) e nel contenuto (legalità-garanzia) derivano positivamente da essa. Il principio di legalità, possiamo anche esprimerci così, è quel principio in base al quale ogni atto del potere statale deve essere disciplinato, tanto nella sua forma (legalità formale), quanto nei suoi contenuti (legalità materiale), da una norma positiva dell’ordinamento vigente nello stesso Stato. Si parla in tal senso di rule of law, di dominio del diritto o di diritto delle leggi e non degli uomini12.

Nell’ambito del diritto penale moderno, ad esempio, il principio di legalità al quale stiamo facendo riferimento si esprime solitamente nella formula nullum crimen, nulla poena sine lege, ossia nel principio in base al quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore antecedentemente al fatto del quale è imputato (principio di legalità penale).

Perché il potere possa essere esercitato attraverso le leggi, ossia viga il governo delle leggi e non degli uomini, queste ultime debbono inoltre essere generali ed astratte e non ad personam. Scrive, in tal senso, Anna Pintore: «La generalità della legge non è solo una garanzia dell’impersonalità del potere, ma è una precondizione della stessa separazione dei poteri: il legislatore che operasse tramite provvedimenti individuali si sostituirebbe infatti all’amministrazione e ai giudici. L’astrattezza, a sua volta, è garanzia di stabilità temporale dell’ordine giuridico e della certezza del diritto e si collega alla non retroattività. Lo strumento legislativo serve così a garantire i valori della impersonalità del potere, della certezza del diritto e dell’uguaglianza dei cittadini, nell’ambito delle categorie determinate dalle leggi13». Il potere legislativo che crea leggi su misura è pertanto un potere che cade fuori dello Stato di diritto e diviene, di conseguenza, tirannico. E’ implicito, infatti, che laddove viene meno il principio di legalità (e/o quello di garanzia dei diritti individuali dei 10 In tal senso, e sulla scorta dell’analisi di Michel Rosenfeld, potremmo forse indicare questo aspetto del concetto di Stato di diritto con il concetto francese di Ètat Lègal, ovvero di un «[…] stato costituzionale come custode legale dei diritti fondamentali […]». (Michel ROSENFELD, The rule of law and the legitimacy of the costitutional democracy, tr. it. di Giorgio Pino, Lo stato di diritto e la legittimità della democrazia costituzionale, «Diritto & questioni pubbliche», n. 4, 2004, p. 135).11 Sempre nella scia dell’analisi di Rosenfeld, potremmo viceversa indicare questo aspetto del concetto di Stato di diritto con il concetto tedesco di Rechtstaat, ovvero dell’esercizio di un «[…] potere statale attraverso il diritto […]» (Michel ROSENFELD, The rule of law and the legitimacy of the costitutional democracy, op. cit., p. 127).12 Ammonisce comunque Rosenfeld: «[…] anche il governo attraverso il diritto può essere un “governo degli uomini”, se il diritto può essere cambiato unilateralmente e arbitrariamente, se è diffusamente ignorato, o se il governante e i suoi sodali restano ampiamente al di sopra del diritto» (Michel ROSENFELD, The rule of law and the legitimacy of the costitutional democracy, op. cit., p. 122).13 Mario JORI – Anna PINTORE, Manuale di Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 19952, p. 100.

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cittadini), ossia laddove esso non è più rispettato, ma anzi viene costantemente violato, cessa lo Stato di diritto. E dunque, sulla scorta di quanto detto in precedenza, non vi è più nemmeno legalità 14.

1.2. Il concetto di sicurezza nell’analisi di Michel Foucault.

Il concetto di sicurezza cercherò di individuarlo anzitutto attraverso l’analisi del potere, e in particolare delle forme del potere della nostra contemporaneità (vale a dire a partire dal XVIII secolo), compiuta da Michel Foucault.

Tale analisi ha contribuito, in particolare, a sovvertire una concettualizzazione del potere che si rivelerebbe inefficace per poter cogliere i dispositivi di funzionamento dello stesso nella nostra società. Secondo Foucault, infatti, il potere non sarebbe da intendere come una forza negativa, repressiva, bensì nella sua portata produttiva e positiva. Analizziamo meglio il passaggio. Quando si parla di potere normalmente si intende quest’ultimo come coercizione, impedimento, come esercizio di sottomissione e di controllo attraverso una forza eterogenea ai soggetti che la subiscono, una forza che li domina dall’alto, dall’esterno, secondo una disposizione gerarchica dei soggetti stessi. Se questo modello ha avuto storicamente un qualche ruolo nello sviluppo dell’analisi sociale e politica esula dagli obiettivi del presente saggio: certamente esso appare totalmente inadeguato per poter cogliere quella radicale trasformazione nell’arte liberale di governo degli uomini che si è concretizzata tra il XVI e il XVIII secolo e che è stato individuato da Foucault - durante l’oramai celebre lezione del 1° febbraio 1978 al Collège de France, nell’ambito del corso 1977-1978 su Sicurezza, territorio, popolazione - con il termine governamentalità15.

Il problema del potere – in questa nuova concezione dell’arte del governare - è un problema che si pone innanzitutto in relazione al processo di progressivo disfacimento delle strutture feudali e al contemporaneo delinearsi dei «grandi Stati territoriali,

14 «Sovranità della legge, sistema dei rimedi giurisdizionali, divisione dei poteri, certezza del diritto, principio della irretroattività delle leggi caratterizzano lo «Stato di diritto»» (Pietro TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, Milano 200717 (1a ed. 1973), p. 27). Un primo orientamento e approfondimento critico attorno ai temi trattati in questo paragrafo in: Pietro COSTA, Lo Stato di diritto: un’introduzione storica , in Pietro COSTA - Danilo ZOLO (a cura di), Lo Stato di diritto, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 89-170; Mario JORI – Anna PINTORE, Manuale di Teoria generale del diritto, op. cit., pp. 93-104; Michel ROSENFELD, The rule of law and the legitimacy of the costitutional democracy, tr. it. di Giorgio Pino, Lo stato di diritto e la legittimità della democrazia costituzionale, «Diritto & questioni pubbliche», n. 4, 2004, pp. 117-152; Pietro TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, op. cit., pp. 26-30; Danilo ZOLO, Teoria e critica dello Stato di diritto, in Pietro COSTA - Danilo ZOLO (a cura di), Lo Stato di diritto, op. cit., pp. 17-88. Una stimolante critica alla tradizionale distinzione liberale tra Stato di diritto e tutela dei diritti sociali in Enrico DICIOTTI, Stato di diritto e diritti sociali, «Diritto & questioni pubbliche», n. 4, 2004, pp. 49-79.15 Si cfr. Michel FOUCAULT, La gouvernamentalité, testo stabilito, trascritto e tradotto in italiano da Pasquale Pasquino, La governamentalità, «Aut-aut», fasc. 167-168 (1978), pp. 12-29. Sulla nozione di governamentalità e un suo primo inquadramento nell’evoluzione del percorso teorico di Michel Foucault: Michel SENELLART, Michel Foucault: ‘governamentalité’ et Raion d’État, in Situations de la démocratie, «La Pensée Politique», Seuil-Gallimard, Paris 1993, pp. 276-298; tr. it. di Giulio Gentile, Michel Foucault: governamentalità e ragion di stato, in «Archivio della Ragion di Stato on line», URL: http://www.filosofia.unina.it/ars/senellart.html

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amministrativi e coloniali16». Nel cercare di definire la razionalità specifica che compete a questa nuova arte di governare gli Stati moderni, questa razionalità si dovrà misurare anzitutto con altre forme di governo che caratterizzano altri ambiti specifici di intervento disciplinare, ossia il governo di sé e il governo della famiglia. Chi è chiamato a governare uno Stato deve anzitutto mostrare la capacità di saper ben condurre se stesso e la propria famiglia, delineando un rapporto costitutivo della nuova arte di governo con l’esemplarità offerta da queste forme di governo e riprendendo, evidentemente, modelli offerti anche dalla precettistica greca17. Ma in senso inverso – ed è questo l’aspetto propriamente caratteristico di questa nuova arte di governo – il buon governo degli Stati deve tradursi anche in un buon governo della famiglia e dei suoi beni e in un retto comportamento degli individui: «Questa linea discendente che riconduce fin nel comportamento dell’individuo, o nella gestione della famiglia il buon governo degli Stati, è appunto quello che a quel tempo comincia ad essere chiamato la polizia18».

Il modello di questa nuova arte di governo è dato propriamente dall’economia, intesa in senso classico, ovvero come oikonomía, capacità di gestire in modo corretto gli individui, i beni e le ricchezze nell’ambito della famiglia, dell’oikos: la nuova arte di governo si istituisce attorno all’utilizzo estensivo del modello oikonomico, come modello di amministrazione degli individui, dei beni e delle ricchezze in vista della prosperità dei membri di una comunità e lo innesta nell’ambito della gestione dello Stato. L’esercizio politico diviene esercizio economico:

Governare uno Stato significherà pertanto mettere in opera l’economia, un’economia, al livello dell’intero Stato, e cioè esercitare nei confronti degli abitanti, delle ricchezze e del comportamento di tutti e di ciascuno, una forma di sorveglianza, di controllo altrettanto attenta di quella del padre di famiglia sulla casa e i suoi beni19.

Il buon governo è essenzialmente un governo economico. In tal senso l’esercizio del governo non avviene più sul territorio, ma più propriamente sulle cose e, soprattutto, sulle persone: gli individui nelle loro relazioni e nei legami che intessono con le risorse, i mezzi di sussistenza, le ricchezze. «L’essenziale è pertanto questo complesso di cose e uomini; non essendo nient’altro che una loro variabile la proprietà ed il territorio20».

Inoltre occorre governare le cose e gli uomini in vista di precise e immanenti finalità, affinché le prime siano disposte in modo conveniente per ciascuna di esse e quindi in modo giovevole ai secondi. Significa, in modo più puntuale, individuare specifiche finalità, proprie di ciascun ambito nel quale le attività della comunità si dispiegano, e ordinare le cose in funzione di queste finalità: il buon governo è questa capacità analitica e sintetica al

16 Michel FOUCAULT, La gouvernamentalité, op. cit., p. 13.17 Per la precettistica greca in materia mi permetto di rinviare a: Sergio DAGRADI, Sessualità e matrimonio in alcuni scritti di Senofonte, «Nuova Rivista Storica», a. 86 (2000), fasc. 1, pp. 97-106; ID., Ideale filosofico del bíos, regime di vita e tematizzazione della sessualità nel pensiero dei pitagorici , «Atene e Roma», n. s., a. 45 (2000), fasc. 3-4, pp. 140-149 (ora in ID., Il Vuoto e la Carne: il pensiero filosofico e la problematizzazione della sessualità, Bonomi Editore, Pavia 2002, rispettivamente pp. 29-37 e 19-28); nonché ai capp. IV e V di quest’ultimo volume (pp. 39-54).18 Michel FOUCAULT, La gouvernamentalité, op. cit., p. 17.19 Ivi, p. 17.20 Ivi, p. 19. Traduzione parzialmente modificata.

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tempo stesso di individuare le finalità specifiche per ciascun ambito dell’azione umana e di organizzare le relazioni tra cose e persone in vista del conseguimento di queste medesime finalità.

Il potere sarà allora da intendersi – nell’ambito di questa nuova arte di governo - come l’effetto complessivo che risulta dal dispiegarsi delle reti di strategie, di rapporti di forza complessi e agenti nei determinati campi in cui si articola la società e nelle quali si dispiega appunto questo nuovo governo degli uomini e delle cose:

[…] l’età moderna […] ha inventato […] tecniche di potere costituite in modo tale che il potere non agisce per prelevamento, ma per produzione e massimizzazione della produzione. E’ un potere che non agisce per esclusione, ma piuttosto per inclusione serrata e analitica degli elementi; che non agisce attraverso la separazione di grosse masse confuse, ma con la distribuzione secondo individualità differenziali; che non è legato all’ignoranza, ma è connesso, al contrario, a tutta una serie di meccanismi che assicurano la formazione, l’investimento, il cumulo, la crescita del sapere. […]. L’età moderna ha dunque elaborato ciò che potremmo chiamare un’ “arte di governo” […]21.

Il potere, detto altrimenti, assume una connotazione positiva e produttiva nel senso che esso è la risultante di una serie variegata di azioni volte a promuovere una certa disposizione di uomini e cose in vista di fini determinati, azioni che – per usare una metafora cinetica – incontrano resistenze e attriti da parte di questi stessi oggetti e questi stessi soggetti. «Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione22». Il potere, in estrema sintesi, è relazione, ma relazione non esclusivamente gerarchizzata, bensì biunivoca tra soggetti e forze disperse. Il potere è continuamente in gioco: è relazione. Il potere è una strategia comprendente anche il contropotere, la resistenza al potere che sempre ogni potere manifesta23.

I caratteri portanti questa nuova concezione del potere possono quindi essere individuati: a) nel fatto che il potere viene esercitato nello spazio da molti punti diversi; b) che le relazioni di potere sono immanenti – e non esteriori – rispetto a rapporti specifici come quelli economici, o di conoscenza ecc.; c) che tali relazioni si stagliano sul proprio campo d’azione con ruoli produttivi e costrittivi, come leggi e politiche che delimitano il vivente e lo producono, definendosi in tal senso – ma su questo ritornerò – come relazioni di un potere sul vivente, di un biopotere; d) ogni resistenza al potere nasce nello stesso spazio di applicazione di questo, presentandosi non in una posizione di esteriorità rispetto al potere, ma dentro al potere stesso, alle sue relazioni: il potere come effetto complessivo contempla anche le resistenze ad esso, deve contemplarle per potere noi comprenderlo concettualmente in modo adeguato. e) Questo potere è inoltre sempre relazionato a forme di sapere che lo accompagnano, lo veicolano, lo sostengono (o vi si oppongono)24.

21 Michel FOUCAULT, Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975, edition établie sous la direction de Valerio Marchetti et Antonella Salomoni, Seuil – Gallimard, Paris 1999, tr. it. di Valerio Marchetti – Antonella Salomoni, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano 20065, p. 51.22 Michel FOUCAULT, La volonté de savoir. Histoire de la sexualité I, Gallimard, Paris 1976; tr. it. di Pasquale Pasquino – Giovanna Procacci, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 1977, p. 82.23 Si cfr. Michel Foucault, La volonté de savoir. Histoire de la sexualité I, op. cit., p. 85.24 «L’ipotesi di lavoro è la seguente: i rapporti di potere (con le lotte che li attraversano o le istituzioni che li sorreggono) non si limitano ad assumere nei confronti del sapere un ruolo di facilitazione o di ostacolo; non si accontentano di favorirlo o di stimolarlo, di falsarlo o di limitarlo; potere e sapere non sono legati l’uno

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E’ opportuno soffermarsi, come preannunciato, sul concetto di biopotere, perché la definizione del concetto moderno e contemporaneo di sicurezza è ad esso strettamente relazionato. Il biopotere, la biopolitica è, infatti, la forma storica delle relazioni di potere della società contemporanea. A partire dal XVIII secolo la tecnologia politica che accompagna il processo di governo della società (governamentalità) si preoccupa della natalità, della crescita e della salute della popolazione: la nuova razionalità politica assume la gestione della vita, del bios, come problema centrale nell’intrecciarsi delle relazioni di potere della società contemporanea. La regolazione della popolazione ed il suo disciplinamento iniziano ad essere pensate – nella società capitalista industriale – a partire da interventi di controllo sulla vita, sui processi biologici che attraversano il corpo sociale. Nascita, mortalità, durata della vita, livelli di salute sono gli oggetti primi di insistenza degli interventi biopolitici al fine di costituire il corpo sano della società, ossia corpi controllati e docili per l’apparato produttivo. Convergono nella biopolitica una serie di discipline sorte proprio nel XVIII secolo e che tematizzano aspetti peculiari del corpo sociale, quali l’interesse statistico per lo studio (e quindi la regolamentazione) della popolazione (a partire da Malthus) o l’interesse per il corpo e in particolare per il corpo dell’operaio massa e la sua utilizzabilità25. Si tratta di individuare delle strategie mediante le quali dispiegare un disciplinamento crescente dei corpi – e quindi dei soggetti – a partire dalla loro applicazione entro localizzazioni specifiche: la scuola, la caserma, la fabbrica. Vi è una sorta di mobilitazione totale delle masse a partire dalla diffusione massiccia dei metodi militari nell’organizzazione industriale, tramite – in primo luogo - la scuola e la scolarizzazione. La ripartizione e la distribuzione perfettamente razionale della popolazione è problema politico, diviene problema politico (e bio-politico). Ecco allora, come afferma Ferdinando Sabatino, che «[…] l’intero processo liberale si è costituito come una multiforme prigione adibita al controllo capillare dell’individuo 26». Si innesta una particolare dinamica anche rispetto ai bisogni individuali: questi sono concepiti da un lato come strumento di controllo reattivo sull’individuo, ossia non più come fini a se stessi ma come strumenti dell’esercizio del potere di governo; dall’altro è la stessa società a definire

all’altro dal solo gioco degli interessi e delle ideologie; il problema non è quindi soltanto quello di determinare come il potere subordini il sapere e lo volga ai propri scopi o come si sovrapponga a esso imponendogli contenuti e limitazioni ideologiche. Nessun sapere si forma senza un sistema di comunicazione, di registrazione, di accumulazione, di spostamento che è in se stesso una forma di potere ed è legato, nella sua esistenza e nel suo funzionamento, alle altre forme di potere. Nessun potere, per converso, si esercita senza l’estrazione, l’appropriazione, la distribuzione o la conservazione di un sapere». (Michel FOUCAULT, Résumés des cours 1970-1982, Juillard, Paris 1989; tr. it. di Alessandro Pandolfi - Alessandro Serra, I corsi al Collège de France. I Résumés, Feltrinelli, Milano 1999, p. 19). ll discorso mass-mediatico sulla sicurezza – al quale dedicherò un paragrafo successivo - dovrà pertanto essere inteso in questa prospettiva d’analisi, ossia come connesso, generato e al contempo come a sua volta attivo sostenitore di determinati dispositivi di potere e non come qualcosa di estrinseco ad essi.25 «[…] ad aver costituito i primi oggetti di sapere e i primi obiettivi di controllo della biopolitica, sono stati quei processi, quell’insieme di processi – come la proporzione delle nascite e dei decessi, il tasso di riproduzione, la fecondità di una popolazione e così via – che, nella seconda metà del XVIII secolo, erano, come noto, in connessione con tutto un insieme di problemi economici e politici (…).» (Michel FOUCAULT, “Il faut défendre la société”. Cours au Collège de France. 1975-1976 , edition établie sour la direction de Mauro Bertani et Alessandro Fontana, Seuil – Gallimard, Paris 1997, tr. it. di Mauro Bertani - Alessandro Fontana, “Bisogna difendere la società”, Feltrinelli, Milano 1998, p. 209).26 Ferdinando SABATINO, Biopolitica del mondo contemporaneo. Pratiche economiche trasformazioni culturali diritti costitutivi, Cuem, Milano 2005, p. 81. Per una più generale ricostruzione dell’intreccio tra sicurezza e biopotere nella società contemporanea – partendo dall’analisi di Michel Foucault – si cfr. le pp. 61-91.

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i limiti invalicabili di soddisfacimento di questi stessi bisogni individuali, nati per altro nel suo alveo. E’ qui che si innesta il discorso sulla sicurezza e la difesa della società, della popolazione.

Due modelli sono già stati evocati a riguardo: quello militare e quello della prigione: il corpo sociale deve essere mobilitato secondo il modello del corpo militare dell’esercito, ma al contempo vigilato e sorvegliato secondo il modello della prigione e in particolare secondo quel modello di istituzione disciplinare teorizzata da Jeremy Bentham (1748-1832), noto come panopticon, e analizzata da Foucault in Surveiller et punir27. L’architettura del panopticon è precisa e funzionale: attorno ad una torre centrale di controllo sono disposti circolarmente le celle individuali nei quali sono collocati i sorvegliati, separati l’un l’altro da solide pareti. Le celle hanno viceversa sia il muro rivolto all’interno che quello rivolto all’esterno con ampie finestre, tali da permettere alla luce di attraversare la cella stessa e illuminarla in ogni suo angolo: nulla deve essere invisibile all’occhio del guardiano, posizionato in cima alla torre centrale e dietro a speciali feritoie che gli permettono di vedere senza essere visto. L’economicità di questo metodo di sorveglianza risiede nel fatto che la vigilanza è potenzialmente garantita su tutto l’arco di una giornata: il sorvegliato non può mai sapere esattamente quando sarà sotto lo sguardo del guardiano ed è quindi costretto, o per meglio dire indotto, ad adottare costantemente il comportamento a lui prescritto. Il modello non è esclusivamente applicabile ad una prigione, poiché le singole celle possono fungere all’occorrenza da laboratori o da aule e, dunque, assicurare la sorveglianza del lavoro o quello dell’apprendimento.

Foucault analizza questo progetto di Bentham, come detto, interpretandolo come metafora del modello securitario che si andava affermando nella società contemporanea a partire dall’Ottocento. Un modello che si alimenta di due ulteriori dispositivi: anzitutto, il potere disciplinare sorveglia l’applicazione e la riproduzione nel corpo sociale delle proprie norme a partire dalla possibilità che le scienze dell’uomo forniscono di una certa idea di normalità del soggetto umano; in secondo luogo questa sorveglianza si accompagna al dispiegarsi di una rete di registrazioni e classificazioni che attraversano gli individui definendoli – nel contesto socio-politico – come soggetti..

L’idea di normalità emerge, in primo luogo, nello stesso periodo. E’ esemplarmente attorno alla sessualità che – secondo Foucault – si struttura un tipo di sapere scientifico (medico, per la precisione, e in particolare psichiatrico28), allo stesso tempo biologico ma anche normativo, di applicazione etica sull’uomo. Le scienze dell’uomo tendono a costruire un discorso conoscitivo attorno all’essere umano che individua una sorta di umanità media come oggetto di costruzione del discorso scientifico stesso. Individuato il soggetto umano nella sua normalità questo modello diventa normativo e disciplinare rispetto a tutti gli esseri umani: tale normalità diviene parametro di valutazione di ogni

27 Michel FOUCAULT, Surveiller et punir, Gallimard, Paris 1975; tr. it. di Alcesti Tarchetti, Sorvegliare e punire. Einaudi, Torino 197628 Come lo stesso Foucault mostra chiaramente nel suo corso sull’emergenza del concetto sociale di anormalità: si cfr., in tal senso, il già citato Michel FOUCAULT, Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975. Precedenti esempi dell’interesse di Foucault attorno al tema normalità-devianza sono i suoi scritti Histoire de la folie à l’ âge classique, Paris, Gallimard 1963; tr. it. di Franco Ferrucci, Milano, Rizzoli 19908 (1a ed. 1976), e Naissance de la clinique, Paris, PUF 1963; tr. it. di Alessandro Fontana, Torino, Einaudi 1969.

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condotta e giustificazione per un intervento correttivo rispetto a quelle che se ne discostano. Il biologico si lega al politico anche in questo senso ed ogni intervento di governo del corpo sociale diviene – anche in questa accezione – intervento biopolitico. Attraverso il dispiegarsi delle procedure della scientia sexualis assistiamo al definirsi del dispositivo di sessualità come il modello di ogni dispositivo di potere, quale istanza di governo e di controllo totale degli uomini, intendendo con il termine potere, come visto in precedenza, la situazione strategica complessa posta in essere dai rapporti di forza in una situazione data29.

In seconda istanza occorre notare che è la relazione che viene a definirsi tra la permanenza della scrittura e la visibilità del corpo, investito dalle pratiche del potere disciplinare, che fa emergere l’individualità e, in particolare, l’individualità moderna. A partire dal XVIII secolo è come se l’individuo fosse investito ad opera della scrittura. Detto altrimenti, emerge come dispositivo precipuo della nuova arte di governo una potente relazione tra il definirsi dell’individualità e la scrittura, la sua documentalità: è il campo documentario istituito dall’esame costante che accompagna il dispiegarsi dei poteri disciplinari che pone i corpi e i soggetti all’interno di una rete di annotazioni, registri, documenti che li fissano30. E’ la rete di scritturazioni che accompagna il potere disciplinare a correlare gli elementi e a costruire l’individualità come oggetto descrivibile, analizzabile: «[…] l’esame è al centro di procedure che costituiscono l’individuo come effetto e oggetto di potere, come effetto e oggetto di sapere31». Questo esame costituisce un tratto peculiare del dispiegamento del potere disciplinare:

[…] Il potere disciplinare ha come proprietà senza dubbio fondamentale quella di fabbricare corpi assoggettati e di applicare per l’appunto la funzione soggetto al corpo. […] il potere disciplinare è individualizzante perché modula la funzione-soggetto alla singolarità somatica tramite la mediazione di un sistema di sorveglianza-scrittura, o ancora, per mezzo di un panottismo pangrafico che proietta dietro l’individualità somatica, come suo prolungamento o come suo cominciamento, un nucleo costituito da una serie di virtualità, una psiche, e che, inoltre, stabilisce la norma come principio di ripartizione, e la normalizzazione come prescrizione universale per tutti gli individui così costituiti 32.

Riassumendo. Il potere è da intendersi come una risultante di una rete di relazioni produttive, positive, che investono i soggetti sociali. Questa rete si istituisce attorno al perseguimento di obiettivi vari e diffusi di governo, al conseguimento di fini determinati e ritenuti giovevoli per la popolazione (in termini di soddisfacimento dei bisogni), attraverso dispositivi tendenti alla razionale ripartizione e gestione della popolazione stessa e dei beni presenti nel territorio. Questa azione di governo della popolazione mira non solo alla sorveglianza della stessa ma al suo disciplinamento e – come ultimo obiettivo – al suo autodisciplinamento: i fini da perseguire e i comportamenti conseguenti da adottare sono ritenuti positivi dalla popolazione stessa e assunti come tali33. L’autodisciplinamento è 29 I costanti interventi dello Stato vaticano in materia sessuale (aborto, omosessualità, divorzio, contraccezione) potremmo allora dire che rientrano perfettamente in questo campo di esercizio del potere.30 Si cfr. Michel FOUCAULT, Surveiller et punir, op. cit., pp. 206-212.31 Ivi, p. 210.32 Ivi, p. 64.33 Foucault, a proposito di questo processo di assoggettamento disciplinare parlerà di una vera e propria tecnologia politica del corpo: «Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse

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funzionale al perseguire in modo ottimale il soddisfacimento di quei bisogni che la relazione stessa di potere istituisce come tali. In questo processo il sapere connesso in modo biunivoco all’azione di disciplinamento (è prodotto da questa e ne sostiene allo stesso tempo la riproduzione) svolge un ruolo essenziale. Il concetto di normalità appare come concetto cardine, in tal senso, per l’individuazione delle criticità meritorie di intervento diretto da parte delle forze di governo. Al contempo all’interno di questa rete relazionale tali criticità possono essere intese anche come momenti di resistenza e contrasto di un certo esercizio dell’arte di governo, essendo il contropotere immanente alle relazioni di potere e sodale a questo34.

Un ruolo essenziale svolge allora, in questo quadro il concetto di sicurezza. L’obiettivo della nuova arte di governo – fin dal suo sorgere e prima ancora della emergenza dell’istanza più marcatamente biopolitica – era il benessere degli individui35. Se, come sintetizzato dallo stesso Foucault nel résumé del corso del Collége de France del 1977-1978, intitolato Sécurité, territoire, population, la governamentalità era da intendersi come «[…] la maniera con cui la direzione di un insieme di individui è stata integrata, in modo sempre più marcato, nell’esercizio del potere sovrano36», la polizia, nell’accezione dell’epoca e con un senso assai pregante, si presentava come «[…] l’insieme dei mezzi necessari per far crescere, dall’interno, le forze dello stato37». La polizia come tecnologia dell’uso delle forze statuali si presentava quale dispositivo primo per lo sviluppo di quello che i tedeschi hanno indicato come stato di Wohlfart, come condizione di ricchezza, tranquillità e benessere. L’ideale che permea la società moderna e quella contemporanea è, allora, quello del perseguimento di una condizione di questo tipo per l’intera comunità e per ogni suo singolo: omnes et singulatim. In altri termini. Proprio per esaltare le potenzialità della popolazione, in ciascuno dei suoi membri, uno degli uffici a cui l’amministrazione dello Stato moderno sarà chiamato a dare seguito riguarderà – o così viene teorizzato dai teorici di quella che, con termine tedesco, si chiamerà Polizeiwissenschaft – l’educazione e la professionalizzazione della stessa popolazione al

e reciproche, alla sua utilizzazione economica. E’ in gran parte come forza di produzione che il corpo viene investito da rapporti di potere e di dominio, ma in cambio, il suo costituirsi come forza di lavoro è possibile solo se esso viene preso in un sistema di assoggettamento (in cui il bisogno è anche uno strumento politico accuratamente preordinato, calcolato e utilizzato): il corpo diviene forza utile solo quando è produttivo e corpo assoggettato. […]. Ciò vuol dire che può esserci è un «sapere» del corpo che non è esattamente la scienza del suo funzionamento e una signoria sulle sue forze che è più forte della capacità di vincerle: questo sapere e questa signoria costituiscono quello che potremmo chiamare la tecnologia politica del corpo» (ivi, p. 29).34 «[…] governing people is not a way to force people to do what the governor wants, it is always a versatile equilibrium, with complementarity and conflicts between techniques which assure coercion and processes through which the self [of individual] is constructed or modified by himself» (Michel FOUCAULT, About the Beginning of the Hermeneutics of the Self. Two Lectures at Dartmouth , transcript by Mark Blasius and Thomas Keenan, «Political Theory», a. 21 (1993), fasc. 2, p. 204).35 Ribadisco – poiché è un aspetto che ritengo essenziale – come questo benessere, da intendersi come il campo diffuso dei bisogni che un determinato esercizio di governo della popolazione garantisce, è al tempo stesso definito e istituito dallo stesso esercizio di governo. L’orizzonte dei bisogni ritenuti rilevanti per la popolazione emerge in funzione del dispiegarsi dell’esercizio di governo e delle finalità che tale esercizio seleziona come efficaci per la gestione delle cose e delle persone. Non è, dunque, da intendersi come nozione assoluta, ma sempre relativa a un determinato esercizio di governo, circoscritto nel tempo e nello spazio e sempre, quindi, anche come campo di conflittualità, di lotta politica.36 Michel FOUCAULT, Résumés des cours 1970-1982, op. cit., pp. 76-77.37 Ivi, p. 78.

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fine di impiegare ognuno (appunto, omnes et singulatim) in una attività profittevole per il benessere statale e sociale38, accanto al disporre ogni cosa per il conseguimento dei fini individuati in ogni settore dell’attività umana.

Il metodo dello stato di polizia – da intendersi anzitutto in questa particolare accezione - è l’ordinanza, il divieto, la consegna, ovvero il regolamento. Il regolamento appare come la forma giuridica (ma non giudiziaria) attraverso cui si attua la governamentalità del biopolitico: la definizione delle norma come l’orizzonte teorico della società di normalizzazione39.

Il tema della sicurezza si declina, dunque, a partire dal problema del rafforzamento dello Stato partendo dal rafforzamento dei suoi membri. Il tema della sicurezza investe i soggetti coinvolti nel momento in cui la governamentalità rende per loro desiderabile il disciplinamento al quale li sottopone, in quanto foriero di una condizione di esistenza accettabile, all’insegna anzitutto della efficienza nell’accesso al soddisfacimento ai bisogni che la società disciplinare riesce a garantire appunto a ciascun suo membro. In funzione proprio dei benefici che ricevono dagli effetti del dispiegarsi di questo potere, ciascuno si lascia inscrivere in esso: diviene conveniente. Vi è, in tal senso e come precedentemente analizzato, un’efficacia produttiva in questo nuovo modello di potere, sempre più da intendersi come biopotere, come potere di garantire alla popolazione salute, longevità, soddisfacimento dei bisogni, insomma la vita e una certa qualità e quantità del modo di vivere.

La sicurezza – in questa prospettiva di analisi – appare allora come uno dei dispositivi costitutivi dell’arte liberale del governo40. La nostra è una società intrinsecamente securitaria: la difesa della società contro ogni possibile minaccia è in realtà l’altro versante dell’edificazione della società disciplinare e nella quale una certa idea di normalità, come visto, svolge un ruolo normativo esiziale, sia per quanto riguarda la definizione dei modelli disciplinari da assumere (a partire dall’orizzonte dei bisogni), sia per quanto concerne la giustificazione delle pratiche di intervento nei confronti di chi si discosta da tale normalità. L’ordine che si istituisce appare sempre più rassicurante, percepito quasi come ordine naturale e non istituito, ontologicamente inscritto nel disporsi delle cose e dei soggetti; le norme che lo disciplinano sono percepite come analogamente naturali e non patuite, non

38 In tal senso Foucault arriverà a parlare di «potere individualizzante». Si cfr. in particolare Michel FOUCAULT, Omnes et singualtim. Toward a Criticism of Political Reason, in Sterling M. MC MURRIN (ed.), The tunnel Lectures on Human Values, University of Utah Press, Salt Lake City 1981; tr. it.di Ottavio Marzocca: Omnes et singualtim. Verso una critica della ragione politica, in Michel FOUCAULT, Biopolitica e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica 1975-1984, Medusa, Milano 2001, pp. 110-112.39 Una discussione dell’analisi foucaultiana del potere in relazione alla questione della normatività in Kory P. SCHAFF, Agency and Institutional Rationality: Foucault’s Normativity, «Philosophy & Social Criticism», a. 30 (2004), fasc. 1, pp. 51-71. Un’osservazione assai preziosa sul legame originario tra nuova arte di governo e il concetto di Stato di diritto analizzato in precedenza è appuntata da Foucault nel résumé del corso Naissamce de la biopolitique: «Il liberalismo ha cercato questa regolazione nella legge non perché il formalismo gli fosse particolarmente congeniale, bensì in quanto la legge definisce forme di intervento generale che escludono misure particolari, individuali, eccezionali, e la partecipazione dei governati all’elaborazione della legge in un sistema parlamentare costituisce il sistema più efficace di economia governamentale. Lo stato di diritto, il Rechtsstaat, la Rule of Law e l’organizzazione di un sistema parlamentare “realmente rappresentativo” sono stati dunque tutt’uno con il liberalismo all’inizio del secolo XIX» (Michel FOUCAULT, Résumés des cours 1970-1982, op. cit., pp. 85-86).40 E’ esemplare, del resto, che la giustificazione che Locke portò all’origine dello Stato fosse quella di garantire la punizione dei devianti.

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emanate, non positive. Il diverso appare allora, in questo contesto, istitutivo della nostra normalità: in negativo l’a-normalità, ovvero ciò che sfugge alla norma, serve a rafforzare il disciplinamento, in modo particolare attraverso l’utilizzo sapiente della sua paura. La paura – anzitutto come paura del diverso, che in quanto tale è emblema di un disordine che potenzialmente può irrompere nel nostro universo disciplinato - sembra divenire deterrente ad ogni scostamento dalla norma, ad ogni mutamento, poiché percepito come attacco alle garanzie che il potere disciplinare riesce a garantire al suo interno, come messa in questione del benessere miserabile, per usare un espressione nietzscheiana41, che il potere disciplinare prospetta.

2. L’isteria securitaria attuale.

Rispetto all’analisi del potere che ho tratteggiato nel paragrafo precedente, la società attuale – e in particolare quella italiana – sembra essere posseduta da una vera e propria isteria securitaria. Più precisamente, e prendendo momentaneamente a prestito la terminologia della psicoanalisi, dovremmo parlare di una isteria d’angoscia, essendo una fobia fissata su di un oggetto più o meno stabile: la fobia del diverso, variamente individuato a seconda dei tempi, dei luoghi e delle circostanze.

Che la paura sia uno dei meccanismi istitutivi del potere – come l’abbiamo precedentemente inteso – è efficacemente illustrato anche da Roberto Escobar nel suo Metamorfosi della paura, il quale ci offre, tuttavia, alcuni ulteriori elementi per intendere (o provare a farlo), in termini più specifici, l’emergenza dell’isteria securitaria attuale.

Il punto di partenza dell’analisi di Escobar è l’idea diffusa che «L’Europa s’avverte come una Città assediata, violentata da una migrazione epocale, da un’invasione barbarica. Ce ne viene così un innalzamento del pregiudizio, una riemersione inquietante dei meccanismi più arcaici, tra quelli che fondono e nutrono il sentimento d’identità dei gruppi e dei singoli in essi42».

Il meccanismo in gioco è molto subdolo. Come detto l’ordine disciplinare garantisce, anzitutto, proprio l’ordine: consente ai soggetti che vivono in una comunità di muoversi in essa secondo un certo grado di prevedibilità nel decorrere degli eventi e delle situazioni. Il potere disciplinare dispiega un ordine nel quale i membri di una comunità sono plasmati e nel quale si ritrovano con facilità, si orientano.

41 Friedrich NIETZSCHE, Also sprach Zarathustra, (1883-1885); tr. it. di Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra, in ID., Opere, vol. VI, tomo I, Adelphi, Milano 1968, p. 41. Sull’espulsione dell’insicurezza come prodotto di ogni ordine sociale ha insistito in particolare Roberto Escobar nel suo Metamorfosi della paura, Il Mulino, Bologna 1997. In particolare le istituzioni che emergono in ogni ordine sociale sembrano svolgere una peculiare funzione rassicurante: «esse producono securizzazione definendo il giusto e l’ingiusto. L’amico e il nemico […]. Creando una benefica assenza di domande, una securizzante sospensione del senso – le istituzioni sono risposte precodificate a domande poste una volta per tutte, rese implicite e non più formulate dagli individui -, consentono agli uomini di sfuggire ai rischi dello stupore e di godere i vantaggi della certezza dell’ovvio» (Roberto ESCOBAR, Metamorfosi della paura, op. cit., p. 88).42 Ivi, p. 5.

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Il rapporto fra la protezione che l’istituzione garantisce ai singoli oltre l’angoscia dell’adesso, e l’obbedienza che questi le prestano – in tale rapporto sta la percezione della sicurezza -, è avvertito dai singoli come valore d’ordine. […]. Il valore d’ordine si alimenta del soddisfacimento che l’istituzione assicura, della prevedibilità dei comportamenti altrui che da essa deriva, e di quella delle sanzioni eventuali e degli eventuali riconoscimenti 43.

Su questa scorta, come visto già nell’analisi di Foucault, l’altro si presenta come elemento perturbante con il quale è gioco forza confrontarsi, fronteggiarlo. Ora, per un verso questo altro è percepibile anche come positivo, poiché è suo tramite che la società, ed in particolare la società disciplinare, rafforza l’elemento identitario del gruppo. E’ inoltre inevitabile, per ogni dinamica sociale, l’entrare in rapporto con questo altro e progressivamente riconfigurare il proprio ordine includendo anche questa alterità (e proprio per non minare l’ordine stesso): vi è continuità nel mutamento, potremmo dire. In tal senso l’altro è visto come portatore di un altro ordine – il suo – con il quale entrare in relazione44.

Tuttavia la nostra epoca sembra aver smarrito totalmente la capacità a leggere l’altro anche come portatore di positività, sia nell’immediato (specchio per la definizione della mia identità), sia in senso diacronico (apertura ad un nuovo ordine). L’altro non è più portatore di nuove istanze, ma solo di pericolo per l’ordine costituito. Ci si sospinge così in una dimensione irreale: l’uscita dalla temporalità, dal fluire incessante e inevitabile degli eventi che porta con sé l’altrettanto inevitabile necessità di ridefinire costantemente il proprio assetto sociale (ma anche individuale), e l’ergersi – viceversa - a difesa della fissità, l’arroccarsi in un immobilismo difensivo dell’ordine dato e immutabile, di una propria primigenia e arcaica identità, sia collettiva che personale, scolpita nella pietra (ossia, fuor di metafora, di un elemento storicamente mai esistito). «Il limite del Noi continua ad arretrare, esclusioni ed espulsioni si sommano a esclusioni ed espulsioni, ma il sospetto non si placa, anzi cresce incessantemente alimentandosi di se stesso45». L’altro è allora visto come portatore di disordine, come «[…] un pericolo non definibile completamente e dal quale neppure ci si può aspettare d’essere completamente definiti46».

Questo si accompagna, come una sorta di aggravante della situazione, alla penetrazione dei nuovi barbari all’interno degli stessi confini dell’impero del primo mondo, portandoci in casa il terzo e quarto mondo e mostrando le conseguenze del miserabile benessere instaurato dal primo e nel primo. Conseguenze che generano – o possono generare - un senso di colpa, che viene puntualmente scaricato sullo straniero, come causa stessa del negativo, del disordine, nonché – ovviamente – della sua miseria (e determinando così la rimozione di ogni interrogazione seria su di essa e sul nostro modello di sviluppo). Lo straniero viene così posto, come lucidamente colto nell’analisi di

43 Ivi, p. 137.44 «[…] noi corriamo il rischio di scoprire che l’Altro è solo un altro, che è reale come noi, vivo come noi, e che addirittura comincia accanto a noi. Da questa scoperta, ancora, può venirci il sospetto che l’alterità non sia una qualità, assoluta e mostruosa, ma una relazione, e che non si dia un altro senza, appunto, un altro altro: perciò, se l’altro è altro, è perché anche noi lo siamo» ( ivi, p. 157)45 Ivi, p. 156.46 Ivi, p. p. 27.

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Escobar, addirittura al di fuori della categoria dell’umano47. In assonanza, evidentemente, con il discorso normativo della normalità svolto da Foucault, anche Escobar riconosce come: «Una società e uno stato che si rifacciano alla normatività del Mensch, del Genere-Uomo, non possono che essere persecutori nei confronti del non-uomo, del singolo la cui accidentalità non corrisponde alla definizione48». Lo straniero viene così sospinto nel non-luogo dell’estraneità all’universo della legge e dei diritti.

Il problema che pongo è, allora, se tale isteria – che ho qui solo brevemente tratteggiato – abbia un qualche fondamento, ossia se possa essere o meno empiricamente falsificata. I dati che presenterò e analizzerò nelle pagine immediatamente seguenti vogliono. per l’appunto, sottoporre al vaglio del falsificazionismo tale isteria, cercando di capire se i dati empirici posso o meno suffragarla. In caso d una sua falsificazione empirica occorrerà, allora, procedere nella formulazione di altre possibili spiegazioni del fenomeno.

[…]

47 Si cfr. ivi, pp. 37-38. Sulla logica di superiorità che caratterizza le politiche occidentali nei confronti dei migranti si è soffermato anche Iain CHAMBERS, I recinti dell’identità. Le radici meticce dell’Europa , «Il manifesto», 13 novembre 2008, pp. 13-14.48 Roberto ESCOBAR, Metamorfosi della paura, op. cit., p. 38.

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