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MATERIALE DIDATTICO CORSO “IL REFERENTE INTERCULTURALE NEI SERVIZI E NELLE ORGANIZZAZIONI” A cura di Giuseppina Camilli

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MATERIALE DIDATTICO CORSO “IL REFERENTE INTERCULTURALE NEI

SERVIZI E NELLE ORGANIZZAZIONI”

A cura di Giuseppina Camilli

SUL CONFINE e la CURA

Creare confini significa istituire identità, la definizione dell’identità implica la segnatura di confini. Spostare il confine, superare il confine, allontanarsi dal confine genera, tra gli altri sentimenti buoni, anche l’angoscia, la paura di perdersi e di infrangere le regole del diritto costituito. Istituire identità, è compito educativo che attiene al codice paterno ed a quello materno, insegnare che il confine va segnato e difeso, meglio curato ed accarezzato è competenza materna/femminile come l’insegnare che un confine è dinamico, permeabile che lo si può attraversare senza perdersi, che con l’altro, lo straniero ci si può unire senza confondersi e poi distinguere senza separarsi Il limes era originariamente il muro, il sasso, il limite tra due campi e successivamente assunse il duplice significato di frontiera e di strada/via. Il limes separa e congiunge, è linea di divisione e di condivisione, può diventare limen soglia, passaggio. La parola greca nomos, diritto, deriva dal verbo nemein che significa dividere, designa la prima misurazione e suddivisione del pascolo. E l’atto di misura che ordina e distribuisce la terra, il nomos può essere definito muro/recinto limes. Il diritto, la legge, si basa quindi su delimitazioni dello spazio. Nelle linee di suddivisione della terra, campi, prati recinzioni, pietre di confine risiedono gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Fin dall’antichità le zone di confine per la loro insita ambivalenza erano considerate zone marginali e cariche di incognite, (nella mitologia erano abitate da Artemide, divinità femminile). Cura Chi presta le proprie cure, chi cura frequenta il limite, il confine tra salute/malattia, autonomia/dipendenza, vita/morte, ne fa esperienza attraverso il confronto con alcuni aspetti della dimensione umana: la fragilità, la patologia, la dipendenza. Chi cura. cresce in tolleranza.

I FENOMENI MIGRATORI COME EVENTI RELAZIONALI E FAMILIARI

I movimenti dei migranti seguono dei tracciati reticolari: i network creati da coloro che li hanno preceduti. Questi reticoli generano un patrimonio in termini di capitale sociale al quale potranno attingere i futuri migranti con l’effetto di ridimensionare i tempi, i costi ed i rischi della migrazione, e quindi di renderla più probabile. Al tempo stesso, i significativi retroeffetti prodotti dalle migrazioni nei paesi di origine renderanno più probabili altre migrazioni. Nel caso dei migranti, i network, le reti, si fondano sulla parentela, l’amicizia, la comune origine, la condivisione della cultura. Il concetto di network etnico può contribuire a spiegare il perché le migrazioni internazionali si producano, nonostante politiche di chiusura e si mantengano nel tempo nonostante possano diminuire le opportunità offerte dal paese di destinazione. Lungo i network transnazionali si diffondono informazioni,conoscenze e strategie a disposizione di ogni nuovo potenziale migrante; si stabiliscono inoltre collegamenti, corrispondenze e scambi tra le popolazioni dei paesi di origine e quelle dei paesi di destinazione. Per questi motivi la migrazione è stata definita un fenomeno “network mediated” ovvero fortemente strutturato dai legami parentali e di amicizia “non sono gli individui ad emigrare, ma i network” Numerosi sono i motivi che rendono necessario mettere al centro della scena migratoria il soggetto familiare. Il primo riguarda le mete e gli scopi delle migrazioni. Gran parte dei movimenti migratori si sviluppa per ragioni che riguardano la famiglia come ad esempio i ricongiungimenti. Inoltre la decisione di migrare, l’intero processo con i suoi sviluppi e problematicità non può essere compreso senza tenere conto delle strategie familiari e di come i singoli soggetti vi si rapportino. E’ la famiglia che designa spesso quale componente possa o debba essere candidato alla partenza, che individua le opportunità, la sistemazione in un certo paese, che finanzia il progetto fornendo anche risorse materiali ed informative. E’ la famiglia che stabilisce una serie di obblighi reciproci tra i migranti ed i membri che restano nel paese di origine ed opera successivamente la scelta del ritorno o della stabilizzazione. Vi è una sorta di investitura da parte della famiglia, un “mandato” un compito che viene assegnato in modo esplicito od implicito a coloro che migrano. Tale investitura implica sia un versante fiduciario, di spinta realizzativa, sia un versante di obbligazione/restituzione (anche economica) che lega il migrante al suo contesto di origine. Questo legame è costituito da una sostanza etico-affettiva che nella società occidentale risulta qualificata più in senso affettivo-emozionale e molto meno per l’aspetto che rimanda al legame come vincolo, obbligo, debito. Un altro motivo che spinge a mettere al centro dell’attenzione la famiglia come soggetto reale della migrazione è che una tale chiave di lettura può consentire di articolare i problemi, le soluzioni e le conseguenze dell’immigrazione in una prospettiva temporale allargata, non appiattita sul presente. Da un punto di vista evolutivo la transizione migratoria si dispiega in fasi che precedono e che seguono l’evento migratorio, in una dinamica che mette in risalto le conseguenze nel breve e nel lungo periodo, una dinamica intergenerazionale. Ogni vera crisi migratoria quando si verifica riguarda sempre temi e dinamiche familiari e può avvenire in periodi che

sfuggono allo sguardo di chi segue il periodo immediatamente successivo all’arrivo in un paese straniero. Sono crisi in cui si evidenzia la difficoltà che la famiglia manifesta nel riuscire a creare adeguate forme di mediazione culturale tra il proprio sistema di significati interiorizzati e quelli della società di accoglienza. Tutto questo vuol dire che la partita decisiva per una possibile integrazione/inclusione delle persone straniere si gioca sia sul versante dell’incontro e della reciproca capacità di costruire rapporti, relazioni con la comunità di accoglienza, sia lungo il filo che si dipana tra le diverse generazioni, in cui acquistano particolare rilevanza i temi della giustizia tra le generazioni (il sacrificio dei genitori,la memoria e la lealtà dei figli) del riconoscimento/riconoscenza/ per l’ eredità (stirpe materna e paterna) della fiducia/speranza, nelle possibilità di raggiungere obiettivi migliorativi rispetto alla situazione di partenza. La sfida a cui la famiglia migrante è chiamata a rispondere è molto più impegnativa e ricca di un generico e funzionale processo di adattamento alla nuova realtà. Si tratta di un mai concluso compito di cura e di mediazione al proprio interno e verso il nuovo habitat. E’ un compito rispetto al quale è soprattutto la coppia coniugale ad essere chiamata a rispondere. La famiglia infatti si trasmette e si rinnova attraverso la coppia coniugale-genitoriale che ha la funzione di mediatore culturale ed intergenerazionale. La sfida per le famiglie migranti sta nel riuscire a ritrovarsi, vale a dire trovare nel corso del tempo la sintonia e l’affidabilità del legame con l’altro anche nel nuovo contesto di vita. La questione del riconoscimento e del ritrovamento tocca non di meno la società ospite che è interrogata dalle nuove presenze che vivono nei luoghi di lavoro, nella scuola, se non addirittura all’interno dello stesso rapporto di coppia, come è il caso delle unioni miste. La necessità,quindi, di riconsiderare i fenomeni migratori come eventi familiari apre alla possibilità di comprendere meglio la complessità del fenomeno e pone al contempo una serie di quesiti d’ordine etico e culturale che non possono essere trascurati: - la condizione delle famiglie left behind, - delle famiglie transnazionali, - la genitorialità a distanza, - e appartenenze multiple che mettono in crisi il concetto di cittadinanza coincidente con l’idea di stato/nazione, - le seconde generazioni il cui destino si dibatte tra inclusione e svantaggio reattivo, - il paese ospite e la questione della posterità,della discendenza dei migranti questione che va ben oltre le risposte impellenti, ma “sbrigative”riguardanti la casa, il lavoro ecc.

- La famiglia migrante riporta così al cuore del famigliare a ciò che lega tra di loro le differenze ed i destini cruciali dell’esperienza umana. La riuscita della transizione migratoria, al di là dei processi di adattamento nel breve periodo, consiste nel far dialogare le differenze avendone cura nel corso del tempo e delle generazioni.

Quando tale cura della differenza riesce ad esprimersi positivamente si manifesta la qualità migliore della famiglia, la capacità di trascendere se stessa dando senso creativo, generativo all’incontro tra i generi, le generazioni e le culture.

Quali famiglie Per capire le dinamiche complesse e ricorrenti che attraversano le famiglie migranti,

è opportuno richiamare i percorsi principali dai quali hanno origine le tipologie familiari conosciute anche in Italia.

Secondo la maggior parte degli studiosi i percorsi più significativi sono i seguenti: Percorso tradizionale al maschile

Riguarda in particolare gli immigrati provenienti dal Nord Africa o dal Senegal, generalmente islamici. Il primo a partire è il capofamiglia che nel paese di arrivo, dopo aver trovato un lavoro ed un alloggio, prepara il ricongiungimento di moglie e figli. Questo tipo di ricongiungimento, che si realizza anche dopo qualche anno di separazione, può comportare un periodo di riadattamento reciproco tra coniugi, e tra genitori e figli, durante il quale l’immagine idealizzata del padre può vacillare di fronte alla constatazione delle effettive condizioni di vita in cui saranno inseriti; la madre invece rischia di cadere nell’isolamento, sradicata da una realtà di legami intensi con altre donne di famiglia. Percorso di ricongiungimento al femminile

Riguarda molte donne che in Italia lavorano come colf o assistenti familiari le cosiddette «badanti », provengono dalle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, dalla Romania, dal Sud America, dalle Filippine, dall’Eritrea, da Capo Verde. Generalmente preparano il ricongiungimento con maggiore cura delle relazioni sociali ed ambientali, per essere in grado di orientare figli o marito nel sistema in cui verranno a trovarsi; può accadere che la figura maschile, per disoccupazione iniziale e non conoscenza della lingua, risenta dell’indebolimento del ruolo tradizionale di capofamiglia essendo la donna, emigrata per prima, quella con reale autonomia anche di tipo economico. Percorso neo costitutivo

È quello che vede unioni tra giovani immigrati formate nel paese di emigrazione, o di giovani maschi che tornano nel paese di origine solo per il tempo necessario per sposare una persona gradita anche alla famiglia, e che immediatamente dopo le cerimonie previste rientrano ed insieme affrontando nascite ad altri eventi potendo contare solo sul contatto a distanza con i genitori. In questi casi e negli altri la comunicazione attraverso il telefono è fondamentale, sempre di più si afferma anche quella via e-mail. Percorso simultaneo

È definito dall’arrivo contemporaneo o poco distanziato di una coppia e della loro figliolanza. Non è quasi mai una libera scelta, ma si deve per lo più a condizioni di guerra o di fame, che spingono verso partenze forzose. Ha lo svantaggio che neppure uno dei componenti è in grado di fare da apripista per gli altri, districandosi nella complessa realtà

di arrivo; per cui si può verificare che padre e madre decidano, alla prova dei fatti di far rientrare i figli, per proseguire in modo meno gravoso la ricerca di stabilità nel lavoro e nell’alloggio.

Percorso monoparentale

Riguarda sia uomini che donne, che nel paese di accoglienza costituiscono nuclei familiari con un solo genitore, perché già separati o vedovi prima della partenza, o perché donne nubili, o appartenenti a famiglie disperse, o infine perché il percorso migratorio si è indirizzato verso regioni dove prevale un fabbisogno di manodopera connotato al maschile o al femminile. La presenza di un solo genitore espone i figli minori a rischi di incuria, alta dispersione scolastica, disagio, ma anche vero e proprio abbandono. Molti di questi minori soli rappresentano utenza dei servizi sociali (comunità, pronto intervento) del paese ospite

Percorso biculturale (famiglie miste)

Queste famiglie nascono da unioni tra persone di nazionalità diverse, tra immigrati di differente tradizione, lingua e religione, e tra immigrati ed autoctoni. Le maggiori difficoltà che nascono all’interno di queste famiglie riguardano le decisioni da assumere circa l’educazione dei figli. È questo il fronte sul quale possono evidenziarsi, dopo un primo periodo di armonia, le differenze di mentalità, e manifestarsi conflitti fra madre e padre, figlie femmine e figli maschi. Questo percorso sottolinea, altresì, anche la possibilità di una via meticcia alla convivenza. Percorso transnazionale (famiglie diasporiche)

È caratterizzato da famiglie complesse, che si distribuiscono in uno spazio migratorio molto vasto sviluppando notevoli capacità di fare rete e mantenere colleganze tra componenti di una parentela, dispersa in più paesi e continenti. «…secondo alcuni, la dispersione sarebbe una scelta volontaria, secondo altri la necessità che nasce da una catastrofe (esodo degli Ebrei dall’Europa post bellica, delle popolazioni del Corno d’Africa, della Somalia del Sud Est della Cina). In questo secondo caso sarebbe strettamente legata al percorso diasporico l’idea di un ritorno ad un territorio d’origine (una patria sacra). Alcuni pensano invece alla propria diaspora come ad una situazione definitiva e ciò che costituisce il fenomeno diasporico sarebbe allora la de-territorializzazione di un popolo e delle sue famiglie, la loro multipolarità. La diaspora diventa allora un altro modo di esistere come popolo, un altro modo di viversi come famiglia in un reticolo transnazionale che permetterebbe molteplici modi di identificazione collettiva. Lo stesso concetto di famiglia si allontana in questo caso dall’idea di gruppo domestico identificato dalla convivenza sotto lo stesso tetto e sempre più si articola in una organizzazione reticolare, decentralizzata, policentrica, dai confini incerti. La fluidità di queste famiglie reticolari, transnazionali contrasta con la rigidità dei confini degli Stati/ nazioni

È utile ricordare che caratteristiche diasporiche sono presenti in tutti i percorsi migratori descritti, anche in quelli che ad uno sguardo superficiale, dato in ambito locale, sembrano ricondurre al più semplice modello di famiglia nucleare.

Insediamento e stabilizzazione possibile I percorsi migratori possono condurre a processi di insediamento vero e proprio, a

spostamenti permanenti, a forme di doppio orientamento. Per il nostro argomento è utile approfondire il tema dell’insediamento vero e proprio,

analizzandone alcune caratteristiche e modulazioni possibili. Nell’insediamento, infatti, è possibile distinguere la possibilità di assimilazione, ovvero

che le persone scelgano di stabilirsi definitivamente nel luogo di arrivo per diventare cittadini uguali a quelli autoctoni, assumendone lingua e norme ed attenuando progressivamente i legami con il paese di nascita.

La forma dell’integrazione, invece, prevede la volontà di stabilirsi mantenendo evidente la propria identità. In questo caso si persegue l’assimilazione solo nella sfera pubblica: lavoro, scuola, consumi e, nel contempo, si mantengono usi, credenze e abitudini della propria tradizione nella cerchia privata, affettiva, di parentela e vicinato. I soggetti che scelgono questa posizione mantengono una disponibilità di identificazione verso la società di accoglienza, ma anche vincoli robusti con la propria tradizione. Questa modalità si definisce multiculturalismo debole, può evolvere con la seconda e terza generazione, perché i cambiamenti nella situazione politica interna o internazionale possono accentuare la disposizione assimilazionista o portare verso forme di separatismo.

L’insediamento si può declinare anche nelle forma di separatismo: volontà di risiedere su quel suolo, ma nettamente separati, richiedendo che lo Stato ricevente adotti disposizioni differenziate a seconda delle etnie, in campo sanitario, scolastico e religioso. Questo multiculturalismo forte è contrassegnato dalla coltivazione di legami significativi a tutti i livelli tra comunità emigrate ed aree di provenienza, che nel tempo può anche accentuarsi.

Per completezza occorre menzionare anche qualche altra forma di percorso migratorio:

a) «migrazioni circolari, non definitive, ma a lungo termine che si succedono nelle

generazioni» rappresentate da lavoratrici/lavoratori frontalieri, da lavoratori ospiti, lavoratori stagionali assorbiti dalla raccolta del pomodoro o del riso, da donne addette a lavori di cura che con amiche o parenti si danno il cambio una con l’altra, negli anni, per mantenere l’impegno lavorativo ed il reddito conseguente;

b) persone con doppia cittadinanza, che hanno acquisito il diritto di permanere in due o più paesi e che scelgono appartenenze multiple;

c) irregolari, persone non catalogabili nelle possibilità già descritte; soli o aggregati in nuclei familiari, pur in molti casi lavorando (come emerge in Italia in occasione di sanatorie o regolarizzazioni), non si trovano nella condizione di esprimere alcuna scelta, preferenza, orientamento e subiscono sia le difficoltà del sistema di origine che li ha spinti a partire, sia le contraddizioni del paese di immigrazione che non li tutela abbastanza, pur sopportandoli come invisibili.

Le famiglie straniere: luoghi di mediazione culturale

In genere si distingue la condizione dei minori nati in Italia da quella di chi vi è giunto successivamente per ricongiungimento familiare o per altre ragioni. Nel primo caso si tratta della cosiddetta seconda generazione; dal punto di vista pedagogico e delle dinamiche tra generazioni, le differenze tra le due condizioni non sono però rilevanti. Anche il bambino nato in Italia, infatti vive, nelle proiezioni fantastiche dei genitori la situazione di separazione dalle origini e di non compiuta appartenenza al paese di accoglienza. La sua realizzazione come persona può essere altrettanto difficile di quella di un fratello maggiore arrivato già grande. Affinché possa comunque avvenire con meno traumi e ambivalenze possibili, è necessario che si determinino alcune condizioni.

Innanzitutto è necessario che i genitori stranieri siano convinti che l’appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, sia più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo modello culturale; inoltre occorre che provino ad accettare completamente il loro figlio anche se crescendo si rivela in parte diverso da come i genitori se lo erano rappresentato. La famiglia immigrata può funzionare, allora, come un luogo arricchente, creativo, di mediazione tra universi differenti, dove i figli ed i genitori si concedono una doppia autorizzazione. I genitori autorizzano ed incoraggiano l’appartenenza del figlio alla nuova realtà, alla sua lingua, ai valori e comportamenti; il figlio, da parte sua autorizza i genitori ad appartenere alla cultura d’origine, riconosce i loro progetti, valorizza i loro saperi. Allora le storie delle due generazioni si articolano e si sviluppano secondo una continuità che accetta la presenza non solo di elementi di somiglianza, ma anche di differenza, e la famiglia diventa un luogo di mediazione interculturale

Ma le famiglie immigrate spesso non riescono a convogliare positivamente le loro caratteristiche e potenzialità a causa degli innumerevoli problemi anche di ordine materiale che devono affrontare ogni giorno. Tendono piuttosto a chiudersi per ripararsi dall’ambiente esterno e, da ponte che potrebbero essere, si ritraggono, trasformandosi in luogo chiuso, bisognoso di veri e propri interventi di mediazione formalizzata.

E se la figura paterna, quasi sempre, tende a rappresentare il rapporto diretto con la tradizione di origine, la madre assume un ruolo essenziale, dinamico, tra mantenimento e mutamento. Sta a lei tessere e ricucire legami tra il mondo del figlio, proiettato nel futuro, e quello del padre, radicato nel passato. È lei che familiarizza per le proprie necessità e per quelle dei figli con i confini valicabili, le soglie, del nuovo paesaggio (ospedale, consultori, asilo, scuola, biblioteca) e fa ogni giorno da anello di congiunzione. Quando questa funzione non riesce ad essere esercitata dalla figura materna per isolamento o ignoranza della lingua, si aprono divari profondi e dolorosi tra le generazioni. L’assenza della famiglia allargata, delle figure femminili adulte ed esperte, viene spesso vissuta dalle giovani madri immigrate come vuoto lacerante e la stessa autonomia può assumere, lungo alcune tappe del percorso di insediamento, l’aspetto di una solitudine inaccettabile.

Le unioni miste: i confini variabili dell’odierna geografia sentimentale e culturale Il fenomeno migratorio può essere considerato promotore, anticipatore di un processo di mescolanza, di metissage, di mixité fra culture che caratterizzerà la vita e le scelte di molti individui e famiglie nei prossimi anni. Il termine mixité, come metissage, indicano il processo di ibridazione culturale in atto nella società globale. Il processo di metissage o mixitè è caratterizzato da cambiamenti e trasformazioni derivanti da contatti e scambi che sono sempre più una caratteristica di fondo dei processi sociali in corso, primo tra tutti, ma certamente non unico, quello migratorio. Tutta la modernità è infatti ibrida anche perché si presenta come il risultato della mescolanza di almeno tre mondi culturali diversi e tra loro connessi: nella modernità ciò che è passato coabita con ciò che è contemporaneo, il locale con il globale, il sapere di elite con la cultura di massa. Contaminazioni, mescolanze, ibridazioni appaiono le regole del farsi delle culture, oggi più di ieri. L’identità degli individui appare anch’essa come un processo aperto all’incontro, in continua ridefinizione, sempre meno vincolata e determinata dalla comunità, dal territorio e dalla lingua in cui si è nati. Stiamo assistendo al passaggio dal paradigma culturale dell’identità al paradigma della differenza. Stanno nascendo identità aperte, multiple, meticce che accolgono le ragioni, le forme,i caratteri, i comportamenti dell’altro, ponendosi in dialogo. L’appartenenza si può ripensare in modo più personale, originale ed insieme globale: il metissage diventa quindi una possibilità molto concreta di creare relazioni dialogiche, non sbrigativi sincretismi. E’ noto d’altra parte che culture meticce abitano parti del mondo producendovi convivenza pacifica e garantendo buon carburante a società vivaci. Afferma Angelo Scola “…senza cedere a facili irenismi o ad ingenui ottimismi circa un processo che ci chiama a ripensare i nostri strumenti culturali e anche giuridici, possiamo tuttavia essere certi che questa, nei fatti, è la strada che si disegna oggi davanti a noi (la strada del meticciato di civiltà e di culture).Una strada forse impensata, certo impervia, ma che già siamo avviati a percorrere. A nulla vale dunque attardarsi sulle illusorie trincee di una identità, intesa come chiusura, dimenticando che il pericolo per l’Occidente risiede piuttosto nel diventare sempre di più, come diceva genialmente il poeta Eliot, degli “uomini impagliati”

“Il profilo professionale del mediatore culturale”

ISFOL www.isfol.it

MEDIATORE/MEDIATRICE INTERCULTURALE

IL PROFILO PROFESSIONALE Saltatori di muri

“….la convivenza offre e richiede molte possibilità di conoscenza reciproca. Affinché possa svolgersi con pari dignità e senza emarginazione, occorre sviluppare il massimo possibile livello di conoscenza reciproca. ‘Più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo’…” “…in ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di familiarità. Estrema importanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione….”

Dal Decalogo della convivenza di Alex Langer, novembre 1994

PREMESSA

Dall’analisi degli elementi rilevati dalla ricerca emerge l’urgenza di interventi istituzionali di fondo, quali condizione essenziale per un utilizzo appropriato di nuove figure professionali nell’area della mediazione interculturale, ovvero: - la formazione dei formatori delle diverse istituzioni formative (Università, formazione

professionale) all’approccio interculturale e alla mediazione interculturale; - la formazione interculturale continua degli operatori presenti nei diversi ambiti della

realtà sociale; - la supervisione formativa delle équipes di lavoro e la messa in atto di dispositivi

d’intervento.

L’intervento di mediazione interculturale, nei servizi pubblici, coinvolge l’interazione di più operatori e l’organizzazione stessa del servizio, e necessita, quindi, di un dispositivo d’intervento specifico che definisca funzioni e regole deontologiche dell’interazione.

Nei trascorsi 15 anni, il mediatore/trice interculturale di origine immigrata è stata spesso usata impropriamente in quelle situazioni in cui non si è investito, adeguatamente, sulla creazione del dispositivo d’intervento e sulla formazione degli altri operatori ( come, ad esempio, nella scuola).

Nel corso della ricerca, si è evidenziata la necessità di distinguere la figura del mediatore/trice interculturale, di origine immigrata, da altre potenziali figure professionali nel campo della mediazione interculturale. Pertanto, la proposta di profilo professionale, che viene di seguito presentata, mette a fuoco la specifica figura del mediatore/ trice immigrata. La definizione di altri profili professionali nell’area della mediazione interculturale, comporterebbe un ulteriore lavoro di indagine, e soprattutto, l’organizzazione, da parte delle sedi istituzionali appropriate, di un tavolo di studio che coinvolga l’ istituzione universitaria. Dal momento che anche il linguaggio è concettualizzazione e rappresentazione dell’oggetto, sarebbe opportuno che, nella definizione del profilo professionale del mediatore/trice interculturale immigrata, la denominazione contenesse il riferimento preciso alla competenza nella lingua e cultura madre. Nell’analisi e definizione del profilo del mediatore interculturale, l’indagine, dopo aver consultato e analizzato una notevole letteratura e documentazione e aver prodotto un confronto qualitativo in focus group e interviste, ha individuato, in alcune fonti nazionali e regionali, un grado di completezza di analisi non riscontrabile in altri soggetti, e pertanto vi fa prioritario riferimento. Tali fonti sono: Isfol, Italia Lavoro, Cnel, alcune delle regioni e province autonome che ne hanno definito la qualifica. 1. DEFINIZIONE DEL PROFILO Il mediatore interculturale è un professionista che opera in contesti ad alta densità d’immigrazione. I compiti principali del mediatore sono: - Facilitare una comunicazione in profondità tra nativi, operatori, agenzie, istituzioni e

migranti. Il mediatore non sostituisce funzioni, ma riconduce la comunicazione ai soggetti principali, facilitandone le relazioni e il dialogo.

- Offrire consulenza agli immigrati, e alle loro le famiglie, e associazioni per aiutarli a muoversi autonomamente nella nuova realtà sociale.

Le conoscenze di base, indispensabili all’esercizio della professione: - Padronanza della lingua madre e dei codici culturali sottesi del gruppo immigrato di

riferimento. - Ottima conoscenza della lingua italiana. - Competenze relazionali, comunicative, di decentramento emozionale e culturale. - Buona conoscenza dell’organizzazione sociale e istituzionale italiana. - Accanto a queste, il mediatore interculturale, deve possedere conoscenze

specialistiche sui settori in cui opera o andrà a operare, secondo la complessità dei

campi d’intervento in cui si misura, “specializzandosi in quel settore e aggiornandosi continuamente”1.

Il mediatore interculturale è solitamente un immigrato o comunque una persona che, per esperienze pluriennali di vita, conosce i codici linguistici e culturali della popolazione migrante di riferimento. Si individuano tre livelli di competenze per questa figura: competenze di base, di specializzazione e di aggiornamento: il primo comprende conoscenze e abilità adatte a qualsiasi contesto; il secondo prevede competenze negli specifici ambiti d’intervento; il terzo comprende competenze ulteriori rispetto a quelle acquisite nei singoli contesti operativi. “La formazione indispensabile resta comunque quella sul campo. L’aver condiviso determinate situazioni di disagio e di emergenza, avere una cultura affine è essenziale per creare un rapporto di fiducia che spesso è determinato dall’appartenenza allo stesso gruppo culturale” 2. 2. PERCORSO FORMATIVO Si è rilevato che un percorso di formazione professionale, post diploma, di 600 ore complessive, basato su un approccio pedagogico induttivo e un tirocinio pratico di 200 ore, può permettere l’acquisizione del profilo di base della professione e l’accesso alla qualifica. E’ un percorso che richiede successivamente formazioni specifiche sui contesti in cui andrà a operare

3. TENDENZE OCCUPAZIONALI

L’utilizzo del mediatore nelle istituzioni pubbliche è ancora episodico, emergenziale, non inquadrato in un dispositivo organizzativo. La disomogeneità di profili e percorsi formativi degli enti preposti alla formazione non ha favorito una definizione istituzionale e nazionale della figura professionale. La professione è tuttora caratterizzata da alta precarietà e prevalente tendenza alla femminilizzazione. Va però rilevato che il fenomeno migratorio in Italia, in accelerato aumento, ha ormai assunto caratteristiche strutturali, e le dinamiche sociali fanno emergere il bisogno di sostenere i processi d’inserimento dei migranti con figure di prossimità.

4. AMBITI D’INTERVENTO

Il mediatore interculturale, organizzato in associazioni o cooperative, opera in contesti ad alta densità d’immigrazione e interviene nei differenti ambiti della realtà sociale: - Nelle istituzioni pubbliche:

o educative di ogni ordine e grado, o sanitarie (ospedali, consultori, ambulatori, pronto soccorso), o sociali (uffici per l’immigrazione e sportelli per il pubblico, servizi sociali,

centri e comunità di accoglienza, servizi culturali, del lavoro e della formazione professionale),

o giudiziarie (carcere, tribunali), o amministrative (Comuni, Province), o della pubblica sicurezza ( questure, prefetture, CTP).

- Nelle agenzie, associazioni e cooperative che operano nel sociale nei contesti migratori.

- Negli ambiti produttivi (imprese) e commerciali (banche), nelle organizzazioni sindacali di categoria, dove sono presenti immigrati.

- Presso le famiglie e la popolazione immigrata.

5. MACRO PROCESSI/COMPETENZE

A. Facilitare la comunicazione in profondità tra immigrati e istituzioni/agenzie dello stato sociale. Una competenza che, non sostituisce funzioni altrui e che può esplicarsi nelle diverse tappe dei processi produttivi presenti nei diversi ambiti (accoglienza, sportelli, colloqui, riunioni, terapie ecc.). Comprende come sottoprocessi:

a. Tradurre e decodificare i rispettivi codici culturali b. Decodificare i malintesi e le incomprensioni culturali c. Identificare vincoli e opportunità delle istituzioni italiane

B. Aumentare il grado di autonomia nel confronto con le istituzioni italiane e con la realtà sociale. Comprende come sottoprocessi:

a. Accogliere, orientare e accompagnare gli immigrati e le loro famiglie C. Valorizzare le differenze culturali. Comprende come sottoprocesso:

a. Promuovere azioni per facilitare la conoscenza reciproca.

Competenze trasversali

- Espletare attività di intermediazione: essere in grado di decentrarsi emotivamente e culturalmente (ruolo di terzo), di ascolto empatico, e di gestione dello stress.

- Decodifica linguistica culturale: tradurre e decodificare i rispettivi codici culturali, decodificare le incomprensioni culturali.

6. GRADO DI AUTONOMIA NELL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE Per ciò che concerne il grado di autonomia richiesto per l’esercizio professionale delle competenze si precisa che il mediatore svolge la maggior parte delle attività in collaborazione con altre figure professionali.

7. I REQUISITI DI ACCESSO ALLA PROFESSIONE

Il mediatore interculturale è solitamente un immigrato o comunque una persona che, per esperienze pluriennali di vita, conosce i codici linguistici e culturali della popolazione migrante di riferimento. “Per poter ricoprire adeguatamente il ruolo, è necessaria un’esperienza di vita vissuta a cavallo fra due culture, come ad esempio una migrazione, un matrimonio misto o una permanenza pluriennale in un Paese da cui provengono i flussi migratori” 3. Possiede:

- Ottima conoscenza di una lingua maternale del paese d’origine. - La conoscenza della lingua italiana: livello minimo di competenza “ALTE livello 2”. - Buona conoscenza di una lingua veicolare del paese d’origine. - Alto livello di consapevolezza personale, stabilità emotiva. - Adeguata esperienza di vita in Italia. - Diploma di scuola superiore, buona cultura di base. - Ottima capacità di relazionarsi con gli altri, buone doti comunicative. 8. AREE DI COMPETENZE SPECIALISTICHE E/O SPECIALIZZAZIONI INDIVIDUATE Perché il mediatore sia in grado di lavorare nei principali settori della vita sociale si sono rilevate le seguenti competenze e/o specializzazioni da acquisire in funzione degli orientamenti del mediatore e delle esigenze del territorio:

A. Socioeducativoculturali. Ambiti di approfondimento:

- Scuole di ogni ordine e grado - Servizi sociali - Comunità di accoglienza - Centri d’incontro e interculturali;

B. Sanitarie. Ambiti di approfondimento:

- Ospedali - Consultori - Ambulatori - Etnopsichiatria - Tossicodipendenze

C. Sicurezza. Ambiti di approfondimento:

- Questura - Prefettura - Tribunale - Carcere - CTP

D. Strada. Ambiti di approfondimento:

- Metodologia del lavoro di strada - Stage coordinato e supervisionato sulla strada - Mediazione e negoziazione dei conflitti sociali

E. Mediazione dei conflitti sociali e interculturali. Ambiti di approfondimento:

- Metodologie pratiche di gestione dei conflitti/sistematizzazione teorica - Le radici del conflitto interculturale nei processi di acculturazione:

o Le aree sensibili dell’identità culturale per la prima e la seconda generazione, agenti di conflitto sociale e interindividuale.

o Le diversità dei codici culturali interiorizzati nel rapporto con le principali istituzioni del sociale: famiglia, stato, scuola.

o I codici di funzionamento delle istituzioni in Italia: l’organizzazione dello stato sociale occidentale.

Dai Focus group e dalle interviste emerge la necessità di acquisire una nuova area di competenze/specializzazioni, di cui si delinea le macro tematiche: F. Processi di acculturazione delle famiglie immigrate e il confronto con la società di accoglienza. Ambiti di approfondimento:

a. Modelli culturali e codici di comportamento delle famiglie immigrate:

o Le difficoltà nella dinamica interculturale della famiglia immigrata: ruoli rapporti, conflitti intergenerazionali e di coppia.

o La seconda generazione, l’identità dei giovani in contesto multiculturale e i processi di acculturazione.

b. Il confronto con i modelli, i codici di comportamento delle famiglie italiane:

o Diritti e responsabilità nel confronto con la società di accoglienza: il rapporto con le istituzioni.

o Il confronto con i modelli di allevamento e cura dei figli.

c. Il conflitto con il modello di funzionamento dello stato sociale italiano. G. Perfezionamento linguistico L2. Ambiti di approfondimento: Completamento del percorso formativo finalizzato al raggiungimento del livello di competenza

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