MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema...

24
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI 2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO 1 MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE DIDATTICO 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto ________________________________________________________ 2 1.2 _________________________________________________________________________________ 3 1.3 _________________________________________________________________________________ 4 1.4 Le capacità relazionali dell’assistente sociale___________________________________________ 6 1.5 Capacità relazionali e consapevolezza di sé ____________________________________________ 8 1.6 ________________________________________________________________________________ 10 1.7 La costruzione della relazione d'aiuto________________________________________________ 11 1.8 Componenti delle capacità relazionali _______________________________________________ 14 2.1 Società globale e capacità relazionali ________________________________________________ 16 2.2 ________________________________________________________________________________ 19 2.3 ________________________________________________________________________________ 21

Transcript of MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema...

Page 1: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

1

MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE DIDATTICO

1.1 Relazioni e relazione d’aiuto ________________________________________________________ 2

1.2 _________________________________________________________________________________ 3

1.3 _________________________________________________________________________________ 4

1.4 Le capacità relazionali dell’assistente sociale___________________________________________ 6

1.5 Capacità relazionali e consapevolezza di sé ____________________________________________ 8

1.6 ________________________________________________________________________________ 10

1.7 La costruzione della relazione d'aiuto________________________________________________ 11

1.8 Componenti delle capacità relazionali _______________________________________________ 14

2.1 Società globale e capacità relazionali ________________________________________________ 16

2.2 ________________________________________________________________________________ 19

2.3 ________________________________________________________________________________ 21

Page 2: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

2

1.1 Relazioni e relazione d’aiuto

Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità, fondamento dei servizi stessi ed esperienza di vita - la relazionalità - prima ancora che esperienza di lavoro sociale. Secondo Donati (1992), “la relazionalità del sociale ha un fondamento empirico esperienziale: così come, nel sistema di riferimento organico, l’uomo non può esistere senz’aria e senza cibo, nel sistema di riferimento sociale l’essere umano non può esistere senza relazioni con gli altri. Questa relazione è il costitutivo del suo essere persona, come lo sono l’aria e il cibo per il corpo. Sospendete la relazione - con - l’altro e avrete sospeso la relazione - con - il - sé”. Sul piano dell’esperienza individuale e collettiva, questa affermazione sembra ampiamente conosciuta, condivisa e praticata, con fini diversi: nelle carceri la punizione più dura è l’isolamento, non solo per ragioni di sicurezza, ma soprattutto per espliciti scopi di inasprimento della condanna. Ancora Donati: “non vediamo le relazioni sociali andare a spasso. Però sappiamo che esistono con una loro consistenza, non solo perché si concretizzano in forma, movimenti ed istituzioni sociali, ma perché di esse facciamo esperienza. Sono contingenti, ma questo non vuol dire che non abbiano una realtà”. Se hanno una realtà possono essere studiate in quanto tali. E possono essere usate, ad esempio, per spiegare la società, immaginandola come una rete, o meglio come una “rete di reti”, la cui trama è fatta di relazioni sociali. Ogni evento esistenziale e sociale accade in un contesto relazionale e da questa centralità non si può prescindere. Il concetto di relazione implica il concetto di rapporto, di interazione, di molteplici contatti; inoltre • la relazione è un legame che congiunge, • la relazione accade in un tempo; • ciò che accade in un tempo ha una durata (piccola o grande), occupa uno spazio ed ha una

storia ; • la relazione, che ha/contiene una storia, trasporta, in virtù di questa sua dimensione storica

e temporale, emozioni, desideri, aspettative, interpretazioni dei fatti, valori, significati, richieste, comportamenti ed è aperta contemporaneamente verso l’evoluzione o l’involuzione;

• non è mai neutra, quindi, è fortemente condizionata dalla soggettività individuale • la relazione come mezzo e possibilità, specifica dell'essere umano. Le relazioni professionali – l’utilizzo delle interazioni per gli specifici scopi del servizio sociale – sono strumenti professionali. Non sono relazioni spontanee, immediatamente disponibili, ma si attuano in un sistema di servizi e hanno la loro ragion d’essere nel mandato dei servizi e negli obiettivi dei servizi. Le relazioni professionali sono, a volte, asimmetriche, per vari motivi. Sono relazioni utili: la relazione fra tecnici di diverse professionalità e fra tecnici e non tecnici, orientata ad uno scopo comune, è un fattore di qualità dell’intervento sociale1; sono altamente finalizzate e devono essere oggetto di vigilanza specifica; è necessaria quindi un’opera di costruzione e di manutenzione delle relazioni professionali.

1 Una relazione positiva consente fiducia reciproca, disponibilità verso l’altro, confronto sereno sulla lettura del problema, collaborazione, esplicitazione delle aspettative nei confronti delle azioni dell’altro, comprensione – anche senza condivisione – del punto di vista dell’interlocutore, ecc.

Page 3: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

3

Si può dire che i comportamenti dell’operatore sociale possono favorire o incidere negativamente sulla costruzione/manutenzione di relazioni professionali.

1.2

La riunione è lo strumento della comunicazione umana che permette di interagire con più persone contemporaneamente (Dal Pra Ponticelli, 1987). L’utilizzo efficace delle riunioni è un mezzo per costruire delle relazioni professionali (è nella dimensione interattiva della riunione che si scambiano idee e opinioni e si concordano/non si concordano azioni comuni). Tutte le volte che delle persone si trovano per realizzare un obiettivo comune, si ha una riunione. Vi possono essere insiemi di persone che divengono un gruppo, quindi una riunione, in questo caso, è una tappa della vita del gruppo. Vi sono insiemi di persone che non si incontrano più dopo quella riunione. Il gruppo quindi esiste solo per lo spazio di quella riunione. La riunione di condominio potrebbe essere un esempio in questo senso: ci si trova una volta all’anno, i componenti variano, gli obiettivi non sono comuni (gli interessi privati) e sono comuni solo quelli per cui esiste una regola formale (il bilancio del condominio, il compenso dell’amministratore). Parliamo invece di gruppo quando vi è stabilità, continuità, obiettivi comuni – il comitato di quartiere, il consiglio parrocchiale, il gruppo che si costituisce per la realizzazione di un progetto, il gruppo classe. Vi è un rapporto tra riunione e gruppo che varia a seconda delle circostanze e degli obiettivi: 1. Vi può essere una riunione che dà vita ad un gruppo che si costituisce e dura nel tempo e

poco per volta definisce i propri obiettivi. In generale, i progetti di lavoro nel sociale iniziano in questo modo, sia che siano rivolti a casi singoli sia che si pongano in una dimensione territoriale. Nel lavoro di territorio il servizio sociale non lavora da solo.

Si possono convocare riunioni su qualunque argomento – la classe che si trova per parlare delle date degli esami, ma anche il gruppo della Pro Loco che decide l’organizzazione del carnevale. L’assistente sociale partecipa a molte riunioni, per poter lavorare. Lavora facendo molte riunioni. I tipi di riunioni a cui partecipa possono essere ricondotti a cinque tipologie: 1. riunioni sporadiche di un insieme di persone che devono decidere qualcosa in relazione ad

un problema contingente – un esempio può essere la riunione con i figli di un anziano che viene convocata per discutere quale sia il programma di assistenza migliore e la divisione dei compiti

2. riunioni continuative con un insieme di persone che costituiscono un gruppo formale – il gruppo di lavoro dell’assistente sociale (le riunioni di servizio degli operatori del servizio sociale), il gruppo assistenti sociali che si riunisce con il gruppo degli psicologi – è la situazione tipica del “tavoli” interistituzionali, sanità-scuola-assistenza, per esempio

3. riunioni continuative con un insieme di persone scelte dall’assistente sociale, le quali, poco per volta, imparano a configurarsi come gruppo – il gruppo delle famiglie affidatarie, il gruppo dei familiari dei portatori di handicap, il gruppo delle donne separate

4. riunioni sporadiche con un gruppo già costituito e funzionante con cui si prendono dei contatti – per valutare insieme un’ipotesi di collaborazione, per un progetto relativo a qualche tematica sociale – può essere l’inizio di un percorso di conoscenza, che potrà sfociare in un lavoro comune

5. riunioni continuative con un gruppo già costituito per aiutarlo a raggiungere i propri obiettivi. È il caso in cui l’assistente sociale si inserisce in un gruppo esistente nella comunità locale, non per orientarlo o dirigerlo, ma per portare il proprio contributo, il proprio punto di vista e la propria competenza. Ad esempio quando vi è un’associazione locale che ha bisogno di un supporto per mediare con i politici locali, o ha bisogno di conoscere le procedure per accedere a delle risorse (come si fa ad accedere ai fondi della legge 285/97?)

Page 4: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

4

Il ruolo dell’assistente sociale cambia a seconda che l’assistente sociale stia in un gruppo da lui istituito o si inserisca in un gruppo già esistente. L’assistente sociale può essere membro del gruppo, conduttore, esperto. Occorre sempre qualcuno “che curi il gruppo”, che convochi le riunioni, che trasmetta gli ordini del giorno e le decisioni assunte, che predisponga i luoghi e le date in cui incontrarsi, che medi i conflitti: può essere l’assistente sociale che si assume questi compiti, ma può essere anche il responsabile del servizio (nel caso delle riunioni di servizio) o il responsabile del progetto (nelle riunioni relative ad un progetto specifico, il progetto per interventi a bassa soglia per i senza fissa dimora), o un membro del gruppo a cui il gruppo riconosce autorevolezza e capacità in tal senso. L’assistente sociale deve comunque sempre avere presente i propri fini come professionista ed aiutare il gruppo ad evolvere, a crescere, ad essere autonomo. L’assistente sociale può anche partecipare anche a delle riunioni particolari, aventi lo scopo di sensibilizzare, di informare, di difendere dei diritti: qui parliamo dei dibattiti, delle tavole rotonde, delle assemblee. In queste circostanze l’assistente sociale può essere il relatore su un determinato argomento, o il moderatore della discussione, o entrambi. Deve curare di essere compreso il più possibile e quindi esporre con chiarezza l’argomento di cui tratta (il tipo di linguaggio di una relazione varia a seconda dell’uditorio – sarà più tecnico in una sede tecnica, fra operatori sociali, più discorsivo, per esempio, ad un corso di formazione per insegnanti. Partecipa anche ad altre riunioni, come lavoratore: le assemblee sindacali – spesso l’esercizio della professionalità passa anche attraverso il riconoscimento di diritti dei lavoratori (la copertura dell’organico, ad esempio: la mancanza di operatori si traduce in disservizi per i cittadini, così come la mancanza di risorse adeguate – un computer ogni dieci persone, locali sovraffollati). In diverse circostanze l’assistente sociale è l’unico esperto, in una riunione, del significato e delle conseguenze delle scelte di politica sociale: il taglio al bilancio dei consorzi per la gestione delle attività socioassistenziali ha delle conseguenze dirette sulla qualità dei servizi e quindi sulla qualità della vita dei cittadini; in queste riunioni l’assistente sociale non è solo l’esperto, ma anche il rappresentante, il testimone di chi non può richiedere direttamente l’applicazione dei diritti sociali (gli anziani ed il diritto alla domiciliarità, i bambini ed il diritto ad un’alternativa alla famiglia, se ciò è necessario). L’assistente sociale deve comunque agire sempre dei comportamenti di ascolto, di proposta costruttiva, di iniziativa, di disponibilità a mettersi in discussione (senza cedere sulla dimensione valoriale della produzione di servizi). Un tipo di gruppo che è diventato uno strumento operativo dell’assistente sociale è l’équipe, il gruppo composto da più figure professionali. L’équipe è un gruppo istituzionale volto al compito, multiprofessionale, con una pluralità di funzioni (analisi del caso singolo, progettazione di interventi volti al territorio, revisione di modalità organizzative – ad es. le procedure di segnalazione fra i vari servizi sociosanitari). È un gruppo di lavoro dove è particolarmente evidente la densità delle relazioni professionali e la loro incidenza sull’esito di un percorso di lavoro. Un esempio è la discussione dei casi. Le modalità di comunicazione tra operatori e le relazioni che intercorrono tra di loro condizionano la possibilità di analizzare in maniera tecnicamente corretta il caso: se chi racconta il caso è una persona di cui qualcuno non ha stima, è difficile che il soggetto presti attenzione o che concordi sulla lettura proposta del problema. Uno strumento utile per l’operatore sono le capacità negoziali: le capacità negoziali aiutano a costruire e a mantenere relazioni.

1.3

La relazione che si attua tra l'utente e l'operatore sociale viene chiamata relazione di aiuto. È una relazione faccia a faccia, non mediata, non virtuale.

Page 5: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

5

Non è una relazione naturale, immediatamente disponibile, come quelle familiari o di amicizia. Presuppone un sistema di servizi, all'interno del quale sta collocato l'operatore. Ed è una relazione diversa da quelle familiari o amicali perché il sistema di aiuto formale ha modi e fini diversi dal sistema di aiuto informale. La relazione di aiuto è uno strumento professionale. Atipico - in quanto trasversale e onnipresente (c’è relazione nei colloqui e nelle visite domiciliari, e la qualità della relazione sostanzia l’intero progetto di intervento), indicato comunque come ”strumento privilegiato di conoscenza e di azione che l’assistente sociale può usare nel suo lavoro” (Cellentani, 1995). La relazione di aiuto è lo strumento base per operare sul sistema utente; è una relazione empatica, promozionale, fondata sulla fiducia reciproca e tende a sostenere sia le forze positive del sistema utente, sia a placare le sue ansie, accettare le sue ambivalenze, a chiarire le sue incertezze, a porre dei controlli. Attraverso la relazione di aiuto l’assistente sociale, oprando sia sul piano cognitivo che emotivo del sistema utente, cerca di attivare un processo di apprendimento di modalità più funzionali per percepire ed affrontare la situazione problema e produrre così un cambiamento di atteggiamenti2, e di conseguenza, di comportamenti3. La relazione di aiuto che lega l’assistente sociale e la persona è anche un percorso di compito. Quando si parla di compito nella relazione di aiuto ci si riferisce: - al percorso che i due soggetti intraprendono - alla fase di realizzazione del progetto, che è connotata da una particolare densità operativa. Nel percorso di compito è la persona che deve muoversi quale protagonista, mentre l’assistente sociale ha una funzione abilitante; in questa chiave di lettura il compito costituisce uno strumento per affrontare gli ostacoli 4.. Una relazione di aiuto professionale si differenzia per - la centralità attribuita agli interessi, ai bisogni e alle aspirazioni della persona - gli obiettivi che assume sulla linea del cambiamento - l’essere fondata su obiettività e consapevolezza (si tiene conto dell’intenzionalità della

persona) - avere una natura promozionale - prevede una trattativa, un impegno reciproco tra i soggetti - si fonda sulla collaborazione della persona - è triadica: assistente sociale/persona/servizio-territorio5 - non è esclusiva - è dialogica e abilitante (l’assistente sociale riconosce e fa riconoscere competenze,

incoraggia ad esprimere forze latenti, informa su quanto esiste, insegna strategie). La relazione di aiuto si colloca in un pensiero progettuale consapevole 6.. L’intervento del servizio sociale tende anche a rendere più “nutritivo”, più adeguato l’ambiente dell’utente, facendo da tramite e organizzando attorno al sistema utente un set di aiuto composto sia da risorse istituzionali – e per questo deve necessariamente utilizzare l’attività amministrativa (relazioni, delibere, ecc.) – sia di risorse sociali ed ambientali, e per questo utilizza il lavoro di rete cercando di reperire, attivare, coordinare intorno al progetto di aiuto tutte le risorse comunitarie necessarie e possibili 7. Si colloca quindi in una rete di relazioni professionali, che hanno diverse finalità. Quando si parla di relazione d’aiuto “promozionale e dialogica” (Ferrario,1996) si sta dicendo che: l’intervento sociale dovrebbe favorire l’apprendimento attraverso l’implementazione delle esperienze della persona e la relazione con l’assistente sociale «se improntata sul rispetto dei

2 Vedi la nozione di atteggiamento in psicologia sociale “l’atteggiamento…è un costrutto della mente che induce delle predisposizioni nel modo di percepire e valutare la realtà sociale e che guida il comportamento individuale”, R. Trentin, gli atteggiamenti sociali, in Manuale di psicologia sociale (a cura di L. Arcuri), Milano, 1995, p. 230 3 M. Dal Pra Ponticelli, Riflessioni sulle basi teoriche del servizio sociale: l’approccio cognitivo umanistico o del problem solving, in La Rivista di Servizio Sociale, 3/95 4 F. Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, 1996, Carocci, Roma 5 La multidimensionalità dell’intervento sociale! 6 idem, , p. 103 7 M. Dal Pra Ponticelli, Riflessioni sulle basi teoriche…, cit.

Page 6: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

6

modi di conoscere e di orientarsi nella realtà, rappresenta una esperienza che apre la possibilità di cogliere nuovi modi di rapportarsi con gli altri più costruttivamente». Non è possibile non considerare la componente relazionale del lavoro sociale, perché occuparsi dello stare bene delle persone significa occuparsi di relazioni, in quanto non è possibile immaginare una condizione di benessere, per una persona, in cui non vi siano solidi e sani riferimenti a importanti relazioni sociali 8; per un servizio comprendere questo è un passaggio vitale - la relazionalità è essenziale per gli esseri umani ed è essenziale per i servizi perché tocca la loro stessa possibilità di entrare in rapporto con l'utente. Una relazione è significativa se è reciproca, cioè se gli interlocutori si riconoscono reciprocamente come soggetti distinti, con limiti e risorse proprie (personali, professionali, familiari, culturali, ecc.) (Ranci Ortigosa, 1990). Se l'operatore sociale non attiva un'attenzione di reciprocità - e quindi diventa un interlocutore reale, umano e presente - non riuscirà a capire il senso che per l'interlocutore assumono i diversi fatti della sua storia; soltanto comprendendo i "fattori di senso" e facendosene carico nella relazione può offrire risposte che siano significative per le persone ed aprire la possibilità di attivare un processo di cambiamento. La relazione mette in gioco tutti e due, utente ed operatore, con storie, culture, pregiudizi, motivazioni, attese: tutti e due sono corresponsabili della relazione. La relazione di aiuto è quindi un rapporto di scambio nel quale ciascuno utilizza le proprie risorse per il raggiungimento di un obiettivo di "qualità della vita" concordato e riconosciuto come desiderabile da entrambi i soggetti. L'organizzazione dei servizi non può non tenere conto della dimensione relazionale del lavoro sociale: si può considerare l'organizzazione come un complesso sistema di mezzi d'azione e di rapporti umani, dove non si possono attuare semplificazioni, ad esempio dimenticare gli spazi ed i tempi delle relazioni o ridurre i compiti d’istituto a erogazioni. Una prospettiva relazionale implica tempi diversi da una prospettiva centrata sulla prestazione e un cambiamento nei comportamenti organizzativi. I rapporti fra gli operatori, buoni o cattivi che siano, si riproducono nei rapporti con gli utenti; allo stesso modo un operatore stanco, frustrato, mutilato nella sua creatività trasferirà il suo stare male nella relazione con la persona.

1.4 Le capacità relazionali dell’assistente sociale

Quando si parla di buona capacità relazionale dell’operatore sociale dobbiamo pensare che questa consista in primo luogo nella capacità di contenimento delle proiezioni e della sofferenza dell’utente in modo tale da aiutarlo a pensare. È possibile aiutare l’utente a pensare solo se l’operatore è in grado, lui per primo, di riflettere, cioè di tollerare la sofferenza emotiva dell’utente e le richieste che questo gli fa, avendo la pazienza di cercare di capire prima di precipitarsi a fare delle cose. Da questo punto di vista possedere capacità relazionali vuol dire riuscire a pensare e aiutare a pensare, ovvero saper riflettere ed essere in contatto profondo con i sentimenti propri e dell’utente. Il termine empathy è stato coniato da Tichener nel 1908 come traduzione del termine tedesco Einfűhlung9, introdotto in psicologia da Lipps. Quanto Tichener tradusse il termine tedesco con empathy voleva sottintendere un’identificazione talmente profonda con un altro essere da provarne i sentimenti. Questo esclude la superficialità. La capacità empatica comprende la conoscenza dello stato interiore di un’altra persona (vivere temporaneamente la vita di un’altra persona) e il processo comunicativo (verbale e non verbale) finalizzato ad esprimere alla persona la comprensione in atto. «Nell’attività dell’assistente sociale è particolarmente importante un atteggiamento correttamente empatico, proprio al fine di favorire il compito che rientra nella specifica mission

8 si veda il concetto di nicchia ecologica 9 Immedesimazione

Page 7: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

7

di questa figura professionale, cioè salvaguardare la salute globale della persona e prendere in considerazione la domanda dell’utente nella sua globalità […] applicare ai servizi sociali la proposta [del modello di intervento empatico] evidenzia l’importanza di sgombrare il campo da premesse mentali che siano caratterizzate da una focalizzazione difensiva su se stessi invece che da un orientamento verso gli altri. L’incontro con il disagio, la sofferenza, la patologia può avere effetti evocanti delle difficoltà che ogni persona attraversa nel corso del proprio ciclo vitale oppure può far risuonare intensamente emozioni ed esperienze passate. Si possono cosi produrre effetti destabilizzanti nell’operatore […] Un operatore che non riesca ad utilizzare le capacità empatiche come uno strumento di lavoro, senza restarne invischiato, rischia di avviarsi ad una carriera di infelicità ed assumersi ruoli, come quello del salvatore, o del farsi carico di problemi altrui per espiare chissà quali colpe, che utilizzano meccanismi […] difensivi piuttosto che l’empatia […] Solo un modo di essere veramente empatico potrà favorire il riconoscimento nell’utente e nel suo contesto di vita, non solo delle carenze, per colmarle attraverso interventi assistenziali, ma anche delle risorse, per affiancarsi al soggetto senza sostituirlo ed aiutarlo a riappropriarsi delle proprie competenze»10. «Compito essenziale della relazione d’aiuto è quello di facilitare l’autoesplorazione dell’utente, attraverso la percezione accurata delle sue emozioni e del contesto nel quale si verificano. Chi chiede aiuto deve essere stimolato ad assumersi la responsabilità delle proprie esperienze e ad entrare in contatto con il proprio mondo. Nella relazione d'aiuto questo accade soprattutto con comunicazioni verbali, ma anche con espressioni non verbali. Sono richiesti quindi, all’operatore, oltre alla capacità empatica, altri comportamenti che si possono ritenere facilitanti nelle relazioni interpersonali […] l’operatore costruisce le basi della sua relazione con l’utente, oltre che attraverso l’empatia, per mezzo della cordialità e del rispetto. Attraverso l’utilizzo di queste competenze, in una prima fase dell’intervento, il facilitatore è visto degno di fiducia, investito di potere esperto, legittimo e referenziale. In questo modo egli costruisce il suo diritto ad agire, gettando le basi per poter attuare, in seguito, interventi per il cambiamento. Dopo questo primo investimento il consulente potrà intervenire utilizzando le altre dimensioni facilitanti: apertura di sé, concretezza, genuinità, franchezza, immediatezza»11. Tiberio e Fortuna analizzano le diverse dimensioni facilitanti che costruiscono la struttura della relazione12

Autoesplorazione Comprensione di sé Azione o direzione appropriata Dimensioni facilitanti in profondità

� �

Dimensione di iniziativa

1. empatia 2. cordialità 3. rispetto competenze prima fase dell’intervento

8. franchezza 9. immediatezza

Fasi successive 4. concretezza 5. genuinità apertura di sé

«Il processo dell’empatia è legato strettamente ai tempi della relazione d'aiuto. Infatti, da un lato è necessario che l’empatia, con i suoi diversi livelli di accuratezza e di focalizzazione sugli

10 Fortuna F., Tiberio A., cit., pp. 170-171 11 Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia, 1999, Angeli, Milano, pp. 46-47 12 idem, pp. 49

Page 8: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

8

elementi emotivi o cognitivi, sia adeguata alla fase della relazione d'aiuto […] dall’altro lato, l’empatia è necessaria nel riconoscere i bisogni del cliente e nell’individuare i tempi della relazione d'aiuto e del cambiamento. Ogni relazione d'aiuto, infatti, ha peculiarità proprie e i tempi variano di conseguenza. Sarà dunque compito dell’operatore valutare se sia il momento di affrontare aree che sono fonte di stress. […] il livello a cui è interessato il terapeuta centrato sul cliente è il “qui e ora”: il mondo esperienziale del cliente disponibile al momento presente»13. Da un’altra prospettiva, la relazione di aiuto può essere considerata una relazione identificatoria. In psicanalisi il termine identificazione indica il processo psicologico mediante il quale il soggetto si costituisce gradualmente come tale assimilando uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi. – l’identificazione è la forma primitiva e originaria di legame emotivo. In altre parole:«l’identificazione è la prima forma di conoscenza con cui ognuno di noi apprende se stesso e il mondo; è questa forma di conoscenza che sperimentiamo nella prima relazione in cui veniamo a trovarci: la relazione madre-bambino»14. Nella relazione madre-bambino i ruoli sono asimmetrici, perché il bambino è totalmente dipendente dalla madre; la madre, per soddisfare i bisogni del bambino, deve comprendere i segnali che il bimbo le trasmette. «E’ una relazione complessa, fatta di aggiustamenti e adattamenti reciproci; la madre cercherà di accogliere e comprendere i bisogni concreti del bambino attraverso i contenuti emotivi che accompagnano questi bisogni: il pianto, il sonno, la veglia […] la madre dovrà identificarsi per accogliere il dolore del bambino poi dovrà elaborare il significato possibile di quell’esperienza; solo a questo punto sarà in grado di offrire la risposta; ad esempio coccolarlo piuttosto che offrirgli la poppata […] analogamente l’operatore che voglia trattare l’utente come una persona da aiutare […] dovrà muoversi in questo modo cercando di percepire, sentire, pensare come l’altro, accantonando temporaneamente il proprio modo di sentire, percepire e pensare. Ciò significa essere capaci di identificarsi, tollerando l’ansia, la confusione e forse anche il dolore che questo può provocare, per poi distanziarsi e restituire all’altro ciò che si è colto in una riformulazione che contiene la comprensione, non solo grammaticale, ma anche emotiva di ciò che è stato comunicato» 15.. La specificità della relazione d'aiuto, per l’operatore, per i suoi schemi cognitivi ed emotivi, nella sua particolarità di processo identificatorio, può essere evidenziata facendo riferimento alle diverse forme dell’esperienza che gli esseri umani hanno a disposizione: ë esperienza diretta ë esperienza mediata (al cui interno si colloca l’esperienza mediatica) ë esperienza virtuale 16. L’esperienza diretta, che è il nostro primo ambito di esperienza, con il meccanismo dell’identificazione, ci consente di fare, anche se per poco tempo, l’esperienza diretta dell’Altro.

1.5 Capacità relazionali e consapevolezza di sé

Le capacità relazionali dipendono dunque non da un apprendimento esterno di tecniche, ma da uno sviluppo interiore (che deve essere prima di tutto emotivo) cioè, in definitiva, dalla salute mentale dell’operatore. La quale si manifesta non quando l’operatore è senza difetti (questa è una fantasia di onnipotenza) ma quando l’operatore è ben consapevole di avere dei limiti e del fatto che dentro di lui esistono delle parti incompiute e problematiche. In altri termini, per chi opera con persone in difficoltà la consapevolezza di sé (del proprio mondo interno e dei propri sentimenti) non è un optional ma un obbligo. Anzi è un vero e

13 Fortuna F., Tiberio A., cit., p. 70-72 14 O. Cellentani, Manuale di metodologia per il servizio sociale, 1995, Milano, Franco Angeli, p.121 e sgg 15 idem, p. 122 16 C. Giaccardi, M. Magatti, L’Io globale, 2003, Roma-Bari, Laterza

Page 9: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

9

proprio strumento di lavoro che dovrebbe garantire di non attribuire all’altro i propri pensieri e al tempo stesso di poter relativamente tollerare la sofferenza dell’utente senza farsi travolgere. Un’altra fondamentale capacità relazionale dell’operatore sociale è dunque quella di non sapersi onnipotente, di conoscere i propri limiti e difetti. Ciò comporta anche autointerrogarsi sul perché si sono compiute certe scelte e sul significato che hanno. Sottolineare l’importanza delle funzioni mentali dell’operatore sociale significa ribadire che queste funzioni sono fondamentali strumenti di lavoro per l’operatore. Non basta la competenza tecnica nei lavori assistenziali curativi, ma è necessaria una modalità di rapporto (una capacità relazionale appunto) in cui l’altro sia presente e “si senta” tenuto presente, ovvero preso in considerazione come persona, prima che come caso. Anche il senso di responsabilità è un fatto terapeutico e di profilassi: la responsabilità dell’operatore cura. Le capacità relazionali da sole non bastano e non esentano l’operatore dal dovere di acquisire una ben precisa competenza tecnico strumentale ed operativa (ad esempio sapere fare i colloqui, conoscere le procedure, avere una metodologia di riferimento). Ma nemmeno le competenze tecniche sono sufficienti in quanto ad esse si deve aggiungere una professionalità relazionale, tutta da costruire e da sviluppare, non esauribile con la frequenza a scuola o a qualche corso di formazione, ma da registrare e controllare continuamente, nel senso che la capacità di operare con gli altri e di porsi in modo adeguato rispetto all’utenza può crescere e migliorare col tempo se viene continuamente analizzata e sottoposta a riflessione. Riflessione e confronto continuo con i colleghi su quello che viene fatto e come viene fatto. Se ci si mette in una prospettiva di riflessione su di sé mentre si lavora (ovvero si assume la prospettiva del pensiero prima dell’azione) il lavoro emotivo dell’operatore risulta alleggerito, anziché appesantito, e soprattutto si ha la possibilità di apprendere dall’esperienza trasformando il suo impegno in un momento creativo. Come si declina nella pratica, la professionalità relazionale? Spiccano sui diversi aspetti, la capacità di osservare e ascoltare: capire ciò che l’altro vuole comunicare e ciò che chiede e cogliere al contempo la componente emotiva del suo messaggio. Ascoltare vuol dire prendere in considerazione l’interlocutore partendo dal presupposto che non si conosce ciò che sta per essere detto. Ascoltare implica mettersi in relazione con l’altro come fosse la prima volta e quindi con un atteggiamento di curiosità e sgombro da preconoscenze (per quanto è possibile - si giunge come soggetti culturalmente definiti all’incontro con un altro), senza inserire l’utente, prima ancora che abbia finito, in una tabella di casistiche predeterminate. Ascoltare dunque, come capacità relazionale principe o, meglio, come manifestazione principale della presenza di una mente emotivamente matura, che non è un’operazione passiva ma eminentemente interattiva. La capacità negativa (Bion, 1970) consiste nel saper tollerare la frustrazione di non capire, di non sapere, nell’accettare di mantenere il giudizio sospeso, del non andare alla ricerca di spiegazioni a tutti i costi, spiegazioni che poi si risolvono in razionalizzazioni utili solo a togliersi le ansie, ma non certo a comprendere le situazioni o le problematiche dell’utente. La capacità negativa è la capacità di saper aspettare. Freud raccomandava ai giovani psicoterapeuti di non farsi prendere dal furore terapeutico, dall’accanimento curativo perché è negativo; l’operatore che ha bisogno di ottenere risultati dimostra di avere soprattutto bisogno di rassicurare se stesso, di confermarsi buono e utile. Volere avere a tutti i costi dei risultati è spesso un problema più dell’operatore che dell’utente - ovvero non bisogna essere interventisti Le capacità relazionali possono essere sintetizzate in uno schema.

Componenti delle capacità relazionali:

Osservare Ascoltare Immedesimarsi Identificarsi Comunicare Pensare Negoziare

Page 10: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

10

Avere pazienza Collaborare Essere in contatto con i sentimenti della persona e con i propri sentimenti (consapevolezza di sé) Tollerare la frustrazione Contenere l’ansia Apprendere dall’esperienza Promuovere la soggettività Cambiare Assumersi le responsabilità nel lavoro e verso gli altri Saper attendere (capacità negativa) Per concludere, un commento di Demetrio sul tema «e proprio gli operatori in prima linea, nel momento della loro iniziazione (anche come tirocinanti) vengono gettati in situazioni relazionali così complicate e avvolgenti che ben difficilmente ritrovano sostegno in quello che hanno imparato: restano sconcertati dalla distanza fra le teorie, le tipologie, le indicazioni metodologiche […] e la difficoltà di ricondurre quel che vedono, quel che ascoltano, quel che li sovrasta entro questa o quella matrice concettuale. Si avvertono sempre dentro la relazione più di altri, travolti da essa nella sua (anche sgradevole) consistenza fisica, catturati dalla pena e dalla sofferenza, dall’assenza di una qualche speranza di guarigione se non almeno di riconquista di un barlume di normalità. E così, in questo sconcerto che si protrae, fanno ricorso a risorse non apprese nei luoghi della formazione: attingono a quel che credono di aver imparato in quanto donne e uomini, seppur giovani»17 Da questa esperienza Demetrio sottolinea il carattere virtuoso della relazione d'aiuto, facendo riferimento a quando, per comprendere il senso della relazione stessa, si attinge al sapere morale e non soltanto a quello scientifico.

1.6

Si parla di impegno e di responsabilità, quando si parla di relazione d'aiuto, si parla quindi di un incontro con l’altro molto intenso, forte. Si parla di coinvolgimento emotivo. Perché? Osservare ed ascoltare, come componenti della capacità relazionale, mettono in contatto e questo essere in contatto (l’abbiamo visto prima, l’empatia è immedesimazione) provoca un incontro fra emozioni, le emozioni dell’altro e le emozioni dell’operatore. Borgna evidenzia che «nel cuore di ogni emozione, anche delle emozioni più dolorose e apparentemente al di là di ogni orizzonte di senso, si nasconde almeno una scheggia di palpitante umanità e di inesauribile trascendenza che ci induce a riconsiderare anche la tristezza e l’angoscia in una loro alta e indelebile significazione umana psicologica e umana: sottraendole a qualsiasi immediata connotazione patologica. Questa è l’angoscia che potremmo definire esistenziale: l’angoscia legata alla condizione umana […]»18. Il che porta a riconoscere che l’ansia e l’angoscia sono componenti della condizione umana, non sono condizioni patologiche e che quindi non occorre averne paura, ma imparare a riconoscerle e trattarle – non sono qualcosa di cui avere paura, da cui cercare di fuggire, ma sono parti del nostro essere umani. Afferma quindi che «nel contesto delle relazioni umane (quelle quotidiane ma soprattutto quelle ad impronta sociale terapeutica) è necessario ri-conoscere la presenza delle emozioni fondamentali, come l’ansia e la tristezza, per interpretare i significati nascosti di comportamenti altrimenti oscuri o comunque incompresi o ambivalenti […] cogliere le connessioni possibili, o almeno intravederle, fra ansia e timidezza, fra ansia e solitudine, fra ansia e aggressività, fra ansia e fuga dalla realtà, non è cosa irraggiungibile da parte di chiunque abbia a educarsi a guardare senza timore negli abissi della propria interiorità e in

17 Demetrio D., La relazione è anche una virtù?, in Animazione Sociale, 11/2004 18 Borgna E., Quel che l’angoscia aiuta a comprendere, in Animazione Sociale, 6-7/2004

Page 11: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

11

quelli dell’interiorità altrui; e a decifrare non solo il linguaggio delle parole, talora insondabile, ma anche il linguaggio del corpo: il linguaggio degli occhi e degli sguardi, del sorriso e delle lacrime, dei gesti (delle mani) e infine dei volti»19. In altre parole riconoscere la normale condizione di ansia e conoscere se stessi è un mezzo per capire ciò che l’ansia – nostra, altrui – comunicano. L’ansia come fonte di conoscenza, quindi: un ampliamento dei nostri schemi cognitivi, una prospettiva di evolutiva. Ancora Borgna: «riscattarci e salvarci, dalla routine, dal burn out che […] rischiano di svuotare di senso ogni lavoro di impegno psicologico e sociale con le sue sacche di ripetitività è possibile solo quando si sia capaci di cogliere quello che, ogni volta, ci sia di nuovo e di originale nel modo di essere e di soffrire delle persone […] l’angoscia è un’emozione che, come la emozione sorella, la tristezza, trascina con sé metamorfosi del mondo e dell’io, lacerazioni e turbolenze; ma fa nascere in noi risorse interiori che senza di essa sarebbero imprigionate e ammutolite. La incapacità di provare sentimenti di ansia è segno […] di una malattia, forse, ancora più grave che non quella di essere assaliti e dominati dall’ansia. Questa può essere curata ed arginata; quella non ha farmaci che possano farla risorgere: farla sorgere. Troppa ansia e troppo poca ansia, testimoniano di una condizione umana ferita; ma l’ansia, l’angoscia […] può essere la premessa non solo ad un’apertura al mondo e agli altri ma anche la premessa ad esperienze creative che si manifestano in molte aree estetiche: dall’arte alla letteratura, dal cinema al teatro»20. Il che riconduce a delle considerazioni di Natoli (1986, 1994) sul dolore; il dolore si conosce per esperienza e l’esperienza del dolore produce una forma particolare di conoscenza: si tratta infatti di un’esperienza cruciale – experimentum crucis, sottopone a prova l’individuo che lo vive, sino a mettere in discussione il senso dell’esistenza. Quest’esperienza cruciale, secondo Natoli, ha due caratteristiche, è insieme patimento e rivelazione. Il dolore interrompe la continuità dell’esistenza, si vede il mondo come non lo si era mai visto prima; la persona è sottoposta ad una tensione, che se non produce distruzione, accresce enormemente la percezione. Attraverso il dolore si conosce non per astrazione ma per immedesimazione: c’è scarsa lucidità in un dolore intenso, ma c’è molta intensità emotiva. Il dolore quindi colloca in un’esperienza altra, dove chi soffre può fare cose e capire cose del mondo che coloro che hanno le cosiddette possibilità “normali” non possono né fare né capire. L’operatore sociale deve imparare a rapportarsi con chi soffre (stare accanto al sofferente, “interiorizzo la sua ferita e mi ammalo con lui”): - stando accanto al dolore degli altri. Il dolore isola, distingue, separa, perché è

un’esperienza cruciale. Chi soffre ha bisogno di parole, ma magari non le trova. Ma il dolore patito, da qualcuno, è un dolore possibile, per ciascuno di noi. Tenendo presente questa dimensione dell’individuale/universale, si possono trovare le parole, ed i gesti, ed i silenzi;

- comunicare il senso dell’esperienza altra, che ogni dolore porta con sé, che può essere l’apertura verso una crescita, proprio perché il dolore porta, con sé, la possibilità di una visione diversa del mondo;

- far comprendere alla persona che soffre che deve farsi responsabile della propria sofferenza; nessuno ti aiuta, se tu non ti aiuti � il soggetto deve essere abilitato a diventare pienamente titolare di se stesso, qualunque sia la condizione in cui egli si trovi. L’azione pedagogica deve far sì che la persona si assuma l’impegno della propria finitudine (che non è disgiungibile dalla condizione umana).

In che modo: attraverso la relazione personale: comunicare alla persona che soffre che lei è importante, per l’operatore sociale “tu sei importante per me, la tua vita, questa tua stessa esperienza di dolore sono per me fondamentali, mi costituiscono come essere umano”.

1.7 La costruzione della relazione d'aiuto

19 idem 20 Borgna E., I mille volti dell’ansia, in Animazione Sociale, 5/2004

Page 12: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

12

Incontrare l’altro presuppone sensibilità, conoscenza di se stessi, accettazione dei limiti della condizione umana, assunzione di responsabilità – presuppone anche la capacità di saper agire queste premesse, quindi il possesso di abilità tecniche. Saper fare i colloqui, ad esempio: il colloquio come mezzo per la costruzione della relazione d'aiuto. «La costruzione della relazione d'aiuto passa attraverso l’abilità dell’assistente sociale nel creare un ponte con chi sta vivendo un disagio che non è in grado di affrontare da solo e che necessita dell’intervento di sostegno da parte di una persona competente. A partire da questa definizione di relazione d'aiuto, riteniamo che il colloquio sia lo strumento base per costruire questo ponte metaforico con l’altro. Il colloquio è […] qualcosa di diverso dalla semplice conversazione o da un dialogo fra amici: deve essere un dialogo speciale dove si incontrano ruoli precisi e diversi, ma entrambi attivi, e dove si trovano regole definite dal contesto in cui avviene il colloquio stesso, regole che vanno esplicitate per essere condivise. Per realizzare un colloquio di questo tipo è necessario avere a) un obiettivo chiaro b) un metodo di lavoro, ossia un ordine operativo che guidi la riflessione durante il processo e

inibisca l’agire istintivo c) un modello teorico di riferimento, ovvero una premessa concettuale […] che orienti

l’assistente sociale a costruire […] una mappa dell’intervento»21. Un colloquio, prima di avere luogo, dev’essere preparato. L’assistente sociale deve aver ben chiaro l’obiettivo di quel colloquio e il suo ipotetico svolgimento. Il colloquio va «visto in un’ottica più complessa rispetto a una semplice comunicazione diadica, poiché il sistema di comunicazione è esteso e comprende la relazione dei partecipanti con altre persone significative anche se non presenti (Ricci, 1981). In questa prospettiva si spiega l’esigenza, anche nel colloquio diadico, di mantenere una visione sovraindividuale, per collocare l’individuo nella sua rete di relazioni. [il colloquio] richiede una definizione dei ruoli dei comunicanti in quanto: l’operatore agisce nei limiti del mandato dell’utenza e/o servizio di appartenenza; ha la responsabilità di condurre il colloquio, di far domande, di circoscrivere o approfondire le aree di indagine, di aiutare l’utenza a esprimere fatti e sentimenti, nonché di impegnarsi a realizzare gli obiettivi concordati; l’utenza ha una legittima aspettativa di aiuto, entro le regole di una relazione che richiede la sua partecipazione e collaborazione; ha diritto di essere ascoltata, capita, informata, orientata»22. Strategie per la conduzione (in una prospettiva sistemica): - il processo di influenzamento

«Nel colloquio, inteso come la realizzazione di un’interazione interpersonale che segue le leggi della comunicazione, è impossibile non influenzare e non essere influenzati […] l’operatore influenza quando pone le domande e il cliente, da parte sua, partendo dal proprio bisogno, dalle proprie premesse mentali e dal modo di rispondere alle domande, tenderà ad influenzare l’operatore nella direzione della propria “punteggiatura” sul problema. È con questa consapevolezza che l’assistente sociale dovrebbe utilizzare strategicamente la propria capacità di influenzamento, porre molta attenzione alle retroazioni, […] proporre al suo interlocutore di accogliere una “punteggiatura” differente, ma congruente, che interrompa il circolo vizioso del disagio [inoltre] per non scivolare nel gioco relazionale dell’utente, l’assistente sociale dovrebbe riconoscere i propri pregiudizi, non sempre consapevoli, ma che possono favorire sia la collusione23 che la conflittualità con l’utente»24. - Le connessioni

«Fare connessioni [vuol] dire cogliere la capacità della mente di essere flessibile, di essere attenta al contesto, di ristrutturarsi e di apprendere da ogni esperienza. Nella conduzione del colloquio di servizio sociale questa definizione trova un’applicazione pratica importante, in quanto sviluppa nell’operatore la consapevolezza che anche solo con dei dati semplici si possono recuperare molte più informazioni di quelle che apparentemente sembrano

21 Zini M.T., Miodini S., Il colloquio di aiuto, 1997, Carocci, Roma 22 Lerma M., Metodo e tecniche del processo di aiuto, 1992, Astrolabio, Roma 23 la collusione è un’adesione acritica, che non permette all’altro di crescere e di recuperare delle abilità. 24 Zini M.T., Miodini S., cit. p. 30

Page 13: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

13

disponibili.»25 Il racconto del proprio quotidiano dà per esempio informazioni sulla rete di relazioni di una persona. Sta all’abilità dell’operatore connettere le azioni, i personaggi ed i loro significati per la persona. - La formulazione delle ipotesi.

«L’ipotesi ha il valore di una traccia, di una griglia che fa emergere il quadro di riferimento relazionale dell’utente, connesso al problema portato, e permette di formulare domande coerenti che confermano o disconfermano quanto supposto e di ottenere risposte necessarie ad individuare risorse per la risoluzione dei problemi. Se l’obiettivo è risolvere il problema, l’operatore dovrebbe essere in grado di formulare un’ipotesi di funzionamento diversa da quella portata, ovvero un’ipotesi che contenga elementi nuovi di lettura del problema: molto spesso è proprio la mappa rigida dell’utente che non gli permette di trovare una via d’uscita»26. - Tecniche

Lerma (1992) distingue le tecniche di convocazione dalle tecniche di indagine. Definisce il problema della convocazione come il modo con cui l’assistente sociale sceglie di mettersi in contatto con l’utenza. Inoltre, facendo riferimento alla prospettiva sovraindividuale, sottolinea come sia opportuno, quando una persona chiede un intervento per cambiare il comportamento di un membro della propria famiglia, sia opportuno proporre una convocazione dei conviventi e non della sola persona segnalata come disfunzionante. Per quanto riguarda le tecniche di indagine evidenzia che «l’indagine circolare richiede lo spostamento dell’attenzione dal presunto portatore del problema al contesto relazionale di cui egli è parte e quindi dal punto di vista singolo al confronto tra vari punti di vista. L’indagine, in tal modo, non consiste solo nella rilevazione di dati in senso burocratico […] bensì nella costruzione di una mappa di rapporti del sistema utente finalizzata alla comprensione della situazione in cui si è determinato quel certo problema»27. Le domande utili28. - Domande iniziali: dare la parola a chi viene per la prima volta, perché esprima il suo punto

di vista, o lasciare la libertà a chi vuol parlare, o rivolgersi alla persona più debole o meno importante (per esempio un bambino). Le domande devono riguardare il motivo per cui ciascun convocato ha accettato di venire, se è interessato, se è venuto di malavoglia, ecc. Può essere importante non iniziare con le domande dirette sul problema, ma sul colloquio stesso, sulla presenza dei partecipanti in quel dato momento, ricostruire il percorso della partecipazione dei singoli affinché tutti si sentano considerati.

- Domande per definire il problema: vertono intorno alle opinioni sul problema così come è percepito nel presente, in collegamento col passato e con le sue possibili soluzioni, come si colloca il problema nella storia della famiglia, quando una certa situazione è diventata problema.

- Domande per valutare le possibili soluzioni al problema: servono per capire se le aspettative rispetto alla soluzione sono realistiche o meno ed il grado di intenzionalità rispetto al un percorso di soluzione problema – cosa ognuno è disposto a fare per risolvere il problema.

- Domande volte a stabilire le relazioni con altri sistemi. Servono per capire le relazioni fra il sistema e altri sistemi significativi. Rientrano in questo ambito i rapporti all’interno delle famiglie estese. Vanno inoltre considerati i rapporti con i servizi socio-sanitari ed assistenziali già intervenuti nella situazione.

- Domande volte a ricostruire la storia della famiglia: servono ad acquisire informazione sulle tappe più significative del ciclo vitale della famiglia.

- Domande per testare come si prendono le decisioni nel gruppo. Tendono a stabilire se nel nucleo c’è possibilità di accordo su cui fare leva, se il problema provochi dei conflitti su chi ha il diritto di decidere o dei comportamenti di delega o di ostruzionismo.

25 idem, p. 35 26 Zini M.T., Miodini S., cit., p. 36 27 Lerma M., cit., pp. 114-115 28 tratto da Lerma M., cit., pp.115-117

Page 14: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

14

Occorre inoltre osservare il comportamento analogico dei partecipanti al colloquio, se vi è coerenza o incoerenza tra le dichiarazioni verbali e il comportamento. L’assistente sociale dovrà far notare, con garbo, le eventuali incoerenze e proporre una loro possibile decifrazione. - Tattiche del colloquio. - Cautela nell’esprimere competenze: non essere troppo precipitosi nell’esprimere il proprio

orientamento e la propria definizione del problema, perché le persone non sono disposte a cambiare idea e comportamento immediatamente.

- Equilibrio nelle alleanze: non schierarsi con una parte del sistema utente, perché l’operatore deve adottare criteri di equità.

- Ponderazione nel riflettere: prendere il tempo necessario per pensare ed analizzare eventuali proposte da fare agli utenti.

- Adeguamento del linguaggio: fare in modo che il linguaggio dell’assistente sociale sia adeguato agli interlocutori. Assumersi la responsabilità del non avere capito in caso di risposte vaghe.

- Connotazione positiva «può riguardare la valorizzazione esplicita di un certo comportamento, osservato o descritto, a conferma dell’altrui sforzo per risolvere un problema; può anche costituire una modalità per ridefinire, paradossalmente, un comportamento indesiderato attribuendogli un significato positivo nelle intenzioni di chi lo attua […] [in questo caso] la connotazione positiva può essere una mossa pragmatica per ristrutturare una situazione-problema definendo un comportamento negativo come tentativo, anche se realizzato in modo controproducente, di corrispondere alle richieste di qualcuno, oppure come espressione di disagio, di protesta, di rabbia, ma non di cattiveria, oppure come richiesta di attenzione e non come manifestazione di ostilità»29.

- Tattiche per superare l’impasse comunicativo - Tenersi equidistanti - Mettere in grado ciascuno di esprimere le proprie opinioni senza prevaricare un altro - Rimarcare il contesto: interrompere l’interazione improduttiva utilizzando la propria facoltà

di porre le regole del colloquio e rimarcare quindi il contesto appellandosi allo scopo del colloquio stesso.

- Sospendere tatticamente il colloquio: se l’assistente sociale non riesce a imporre la propria autorevolezza, ciò significa che i partecipanti al colloquio stanno squalificando i suoi messaggi e il contesto. Può essere utile assumere comportamenti inconsueti (stare zitto, guardare per terra), comunicando analogicamente il proprio ritiro dal contenzioso in atto, oppure sospendere il colloquio per rinviarlo ad un momento migliore.

1.8 Componenti delle capacità relazionali

Le capacità relazionali sono un argomento complicato (non le vediamo, ma di esse facciamo esperienza, e questo le complica ancora di più). Riguardando lo schema di pag. 9 possiamo sintetizzare dicendo che sono capacità di scomposizione e ricomposizione. Scomporre per quanto riguarda le capacità a carattere analitico (osservare, ascoltare, etc). La dimensione educativa della relazione (apprendere dall’esperienza, promuovere la soggettività, cambiare) è comporre insieme il concetto di problema e del suo superamento, tenere unite la dimensione della difficoltà e della risorsa, la dimensione del futuro implicita in un percorso evolutivo umano. Ma questo passaggio – da una condizione presente ad una condizione futura, presuppone delle scelte: la scelta di stare in una relazione di aiuto, sia da parte del cittadino che da parte dell’operatore, ad esempio. La scelta dell’operatore di pensare la relazione come un percorso di crescita, di approfondimento è una decisone – è una decisione interpretare la relazione soltanto come un luogo di contenimento affettivo, tralasciando la dimensione educativa della relazione. Ne consegue che la relazione è un luogo di decisioni, di scelte.

29 Lerma M., cit., p. 122

Page 15: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

15

Questo spiega perché ho cercato di analizzare il processo decisionale come una componente della capacità relazionale (nello schema quindi si può aggiungere saper decidere). Inoltre, la condizione d’incertezza insita nel decidere30 (nelle premesse: decido ma non so se ho tutte le informazioni per questa decisione – e non so se questa scelta avrà esattamente l’effetto che desidero) e la possibilità di utilizzare, per decidere, un registro che va dalla più ponderata razionalità all’istinto meno pensato, mi sembra che si colleghino certi aspetti costitutivi dell’interazione umana: il mio gesto, le mie parole che effetto avranno? Mi comporto in un certo modo, di slancio, o dopo averci a lungo pensato? La comunicazione umana è per sua natura, ambigua. Allora propongo queste riflessioni, sul tema della decisione – il processo decisionale come un elemento costitutivo della relazione e, quindi, di conseguenza, la capacità di assumere delle decisioni, in modo critico e coerente con la situazione, come una componente della capacità relazionale. La decisione è un atto della vita quotidiana. Normalmente, si decide sulla base dell’esperienza. Per fare un regalo, userò la mia esperienza: la conoscenza della persona a cui fare il regalo, quindi utilizzerò come criteri di scelta i desideri di questa persona, la mia valutazione sull’opportunità di quel regalo ed altri criteri, come il mio senso estetico, la mia capacità di spesa. Ovvero metterò a disposizione della mia decisione rispetto al regalo tutte le informazioni che possiedo rispetto all’argomento specifico. Quando questa esperienza manca o è insufficiente, ricorrerò ad un esperto (anche il commesso del negozio che mi orienta tra i diversi telefonini). Alcuni aspetti del processo decisionale: - per decidere occorre trovarsi di fronte ad una serie di possibilità o opzioni - le alternative da considerare nella decisione possono essere esplicite o implicite - il processo di scelta può essere ponderato (c’è tempo, si possono considerare con più

accuratezza varie alternative) o automatico (c’è poco tempo, si consultano velocemente un numero ridotto di alternative)

- la scelta automatica si effettua o per economia e/o per necessità - la scelta automatica può essere l’esito di procedure ponderate basate su esperienze

pratiche o conoscenze teoriche, che fanno parte del patrimonio di chi deve prendere la decisione

- c’è differenza tra la scelta ottimale e la scelta soddisfacente: la scelta ottimale presuppone una elaborazione di informazioni più complessa di quanto il sistema cognitivo di un uomo normale possa reggere ed una certa quantità di tempo, che non sempre c’è

- ne consegue che normalmente si utilizzano strategie (o regole) per fare delle scelte soddisfacenti: regola congiuntiva, eliminazione per aspetti, procedura per esclusione, focalizzazione

- per prendere una decisione occorre assumere informazioni: non sempre è possibile assumere tutte le informazioni necessarie; il processo di decisione si articolerà sulla base di un numero limitato di informazioni

- un modo per ridurre l’incertezza su ciò che si deve valutare è la tendenza alla verifica (ricerco informazioni che confermino l’ipotesi di partenza)

- le euristiche sono procedure pragmatiche per formulare dei giudizi sociali che diventano informazioni per effettuare delle scelte

- vi sono l’euristica della rappresentatività, della disponibilità, dell’ancoraggio o dell’accomodamento

- una buona decisione è una decisione che produce gli esiti prefissati - vi possono essere importanti elementi d’incertezza: l’esito della decisione non dipende

esclusivamente dal fatto che la decisione sia stata presa correttamente. Può accadere che: - non tutte le informazioni siano disponibili

30 Decidere deriva da “decidere” che vuol dire “tagliare” – una separazione netta, mentre scegliere deriva da ex ligere, eleggere, nominare qualcuno ad una carica.

Page 16: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

16

- il tempo è troppo poco o troppo - l’ambiente su cui la decisione produce effetti è spesso mutevole. - tra la scelta e le conseguenze della scelta può non esserci un rapporto diretto: ovvero

l’esito reale può essere diverso dall’esito previsto: ciò non esime dalla responsabilità della scelta

- esiste la paura di decidere: non prendendo una decisione, si decide comunque: non decidere è una scelta

- non si sceglie perché si ritiene di non avere informazioni sufficienti. Si sospende la decisione in attesa di acquisire più informazioni

- non si sceglie perché si è in una situazione di conflitto; le alternative vengono percepite come troppo simili fra di loro. Una soluzione del conflitto è il cedere la scelta a qualcun altro

- il decisore esperto è colui che è esperto nel suo campo di lavoro. I decisori esperti possiedono particolari caratteristiche, comportamentali e cognitive

- sembrano essere meglio attrezzati cognitivamente dei decisori meno esperti, perché sono dotati di elevate capacità nel semplificare i problemi complessi

- nell’individuare e utilizzare le informazioni rilevanti per il problema che stanno affrontando - manifestano una maggiore creatività nella scoperta di nuove strategie decisionali - dimostrano di essere in grado di far fronte allo stress - di affrontare in maniera efficace un evento inatteso - di affrontare la situazione problematica in modo lucido - hanno un forte senso di responsabilità per le decisioni prese. - Il decisore esperto non dev’essere confuso con il decisionista (colui che prende le decisioni

rapidamente, senza tentennamenti): il decisionista non segue necessariamente una procedura corretta

- Le emozioni hanno importanza nel prendere le decisioni – forniscono informazioni soggettive che condizionano il processo decisionale

- le emozioni segnalano al decisore che la decisione che sta prendendo o la scelta appena effettuata possono procurargli piacere o dispiacere

- una fonte di stress nel prendere le decisioni è la pressione temporale, che crea ansia. Un buon percorso per decidere: - qual è l’aspetto cruciale della questione? - Come sono state effettuate decisioni simili a questa? - Questa decisione può essere presa completamente? è necessario prenderla ora? può essere

delegata a qualcuno o condivisa con qualcuno? - Quanto tempo richiedono decisioni come questa? Quanto tempo hanno richiesto decisioni

simili a questa? - Dove devo concentrare il mio tempo e le mie risorse? Quanto tempo richiederà ogni fase

del processo di decisione? - Come e quali feedback posso trarre da esperienze passate e da decisioni analoghe a

questa? Ho bisogno di acquisire altri punti di vista? - Quali sono le mie abilità, i miei limiti a trattare decisioni come questa?

2.1 Società globale e capacità relazionali

Qualche mese fa mi è capitato di partecipare come discussant alla presentazione di un testo sulla società globale, in una lezione del prof. Berzano. Il testo era L’io globale di Giaccardi e Magatti. Ho letto questa appassionata e puntuale analisi delle trasformazioni sociali ed individuali nell’epoca della globalizzazione e ho trovato molte correlazioni possibili tra questa analisi e l’intervento di servizio sociale. In altre parole: la trasformazione della società moderna in società globale è una trasformazione che incide sull’esperienza soggettiva e questo fatto non può essere ignorato dal servizio sociale.

Page 17: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

17

Ho ritrovato recentemente delle considerazioni simili alle mie in un articolo di una docente di servizio sociale dell’Università della Calabria, dal titolo “La relazione di aiuto nell’attuale società dell’incertezza: le emozioni in gioco, il gioco delle emozioni”. Loredana Nigri, che insegna alla Facoltà di Scienze Politiche dell’università della Calabria e lavora come assistente sociale coordinatore in un’ASL, in questo saggio analizza il lavoro degli assistenti sociali, nella società dell’incertezza (così Baumann, 1999): il servizio sociale non può prescindere dalla società e dalla storia. In particolare, Nigri evidenzia come elementi critici, fra gli altri «la caduta della centralità del lavoro nel processo di valorizzazione esistenziale e di costruzione dell’identità, la rottura dei meccanismi di ricompensa differiti31 e […]l’accentuazione delle componenti di estetizzazione della vita quotidiana, la crescita delle dinamiche sociali di differenziazione e dei bisogni individuali di personalizzazione»32. La concezione del lavoro è cambiata, secondo Gallino (2001) «la diffusione dei lavori flessibili introduce nel mercato del lavoro il principio del “numero chiuso”. Nella nuova economia il lavoro decente, con ciò intendendosi il lavoro stabile, ben retribuito, con buone prospettive di carriere e di gratificazione personale, non è destinato a scomparire. È piuttosto destinato a diventare il privilegio d’un numero limitato di eletti – intorno a un quinto di coloro che lavorano per ciascuna impresa. Attorno a loro ruoteranno […]circa quattro quinti di lavoratori temporanei, nomadi, precari, gitani, di passaggio, in affitto […]lo scenario sociale che per tal via si delinea è quello di un mercato del lavoro nazionale e internazionale dove i lavori decenti – espressione dell’Organizzazione internazionale del lavoro – saranno a numero chiuso, come gli accessi alle facoltà di Medicina o i concorsi per dirigenti statali. Si tratti di operai, di tecnici o di dirigenti d’azienda»33. Le trasformazioni sociali hanno conseguenze gravi sulla condizione umana «dalla marginalità indotta dalla mancanza ed incertezza del lavoro, allo sgretolamento dei nuclei familiari, all’aumento degli stati di malessere anestetizzati dalla chimica legalizzata o proibita, alla desertificazione dei sentimenti a favore della performatività, all’erosione degli scambi interpersonali sovrastati dai rumori delle cascate comunicative dei media»34. La complessità di questo scenario solleva molti interrogativi sugli orientamenti e le metodologie di servizio sociale. Due interrogativi, fra i tanti, possono essere evidenziati, sono i due volti di un medesimo problema: - il processo di aiuto ha un fine intrinseco di cambiamento (verso l’autonomia:

autorealizzazione e autodeterminazione) – ma come si colloca il processo di aiuto in una società dove i progetti esistenziali individuali dei più hanno poco spazio di realizzazione? A proposito del lavoro flessibile, Gallino osserva che i lavori flessibili si riconducono a tre tipi di precarietà:

♦ il primo è la limitata o nulla possibilità di fare previsioni e progetti sia di breve che di lunga durata rispetto al futuro

♦ il secondo è che la maggior parte dei lavori flessibili non consentono di accumulare significative esperienze professionali, che possano essere trasferite da un datore di lavoro all’altro (non consentono di costruirsi una carriera)

♦ il terzo è la destrutturazione di aspetti spaziali e relazionali del lavoro che sono alla base dell’identità e dell’integrazione sociale della persona (gli studi sulle reti personali considerano, tra gli attori della rete primaria, i colleghi di lavoro. Ma se i miei colleghi

31 Su questo, si veda anche Giaccardi, Magatti, 2003, laddove si dice che l’homo sociologicus, soggetto agli obblighi dei ruoli sociali che la società gli insegnava, lascia il posto all’uomo consumatore, che è concentrato sull’intensità emozionale dell’istante, sulla soddisfazione immediata, quindi, senza riguardo per ciò che viene prima e senza interesse per le conseguenze che la sua massima e immediata soddisfazione possono produrre sull’ambiente, le persone, la cultura. 32 Nigri L., La relazione di aiuto nell’attuale società dell’incertezza: le emozioni in gioco, il gioco delle emozioni, in Rassegna di Servizio Sociale, n. 1/2004, p. 17 33 Gallino L., Il costo umano della flessibilità, 2001, Laterza, Roma-Bari, p. 18 34 Nigri L., cit., p. 18

Page 18: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

18

cambiano ogni tre/sei mesi, quando non più spesso, come farò a stabilire dei legami con loro?)35

- la relazione di aiuto ha contenuti di contenimento e di promozionalità: come può realizzarsi in uno scenario che rende incerta la vita degli individui ed impedisce di fare dei progetti? E come può essere considerato attuale ed applicabile uno strumento che è antitetico all’infatuazione relazionale36 e che si realizza in un rapporto faccia faccia, mentre gli individui hanno, oggi, moltissime possibilità di coltivare relazioni mediate, distanti, virtuali?

Ovviamente non ci sono risposte univoche. Nigri propone una risposta tecnico politica, ovvero l’agire in modo finalizzato all’interno del sistema integrato di interventi e servizi sociali, per realizzare ciò che recita l’art. 1 della legge 328 (qualità della vita, pari opportunità, diritti di cittadinanza): si torna al ruolo politico dell’assistente sociale, come partecipazione alla definizione delle politiche sociali locali – politiche sociali tese a disegnare delle zone di equità e di diritto per i cittadini. Non soltanto attraverso la partecipazione alla costruzione dei piani di zona ma con la partecipazione a tutte le istanze democratiche di sviluppo sociale, in un determinato territorio. Non è che in questo ruolo le capacità relazionali dell’assistente sociale non c’entrino nulla, anzi. Le abilità relazionali, in questo percorso di partecipazione-documentazione-progettazione sono essenziali, perché questo percorso è un percorso collettivo, fra soggetti diversi, con visioni diverse, con interessi diversi, con culture diverse. Questa dimensione tecnico-politica rimanda ad una definizione dell’assistente sociale come operatore che promuove degli apprendimenti e dei processi collettivi di riconoscimento e di presa d’atto del livello ecologico del vivere, con dei momenti di informazione, elaborazione e confronto, che possono dar luogo ad opportune iniziative. «Dobbiamo abituarci a pensare che gli operatori sociali non possono intervenire soltanto su chi sta male, ma è importante che intervengano in un’area intermedia tra chi sta bene e chi sta male. […] gli operatori sociali lavorano per il contesto sociale e il contesto sociale è fatto di persone escluse, deprivate, emarginate, ma anche di persone che si credono normali, che costituiscono la cosiddetta normalità, i benpensanti, quelli che non hanno un disagio ben definito e visibile, un’etichetta pronta di emarginazione, ma che ugualmente ricoprono un ruolo strategico e problematico. È importante che gli operatori vedano il loro lavoro come in una posizione intermedia tra le fasce cosiddette deboli, emarginate, e la supposta normalità. Questa è la posizione più adatta per far fruttare le risorse ed esplorare che cosa in un dato contesto sociale provoca esclusione ed emarginazione. In un certo senso muoviamo qui da una constatazione ovvia, persino banale: le risorse economiche ci sono se ci sono risorse sociali. Noi non apparteniamo a una società in cui manchino le risorse: piuttosto devono essere reperite ed attivate, è come se fossero in certe casseforti, tenute ben strette in alcune centrali o sotto i materassi. Per fare questo c’è bisogno di vedere, connettere ed orientare meglio, non necessariamente di spendere di più per una cosa o per l’altra […] uno dei compiti che i servizi troppo spesso sottovalutano è proprio quello di una connessione che produca interesse, informazione, partecipazione, aiutando i cittadini a capire che cosa può voler dire avere dei servizi che si occupano dei minori a rischio, dei giovani, ecc. e che significato ha questo per la vita sociale, per il benessere collettivo, per la “salute” di una comunità. Il fatto è che, invece, nelle occasioni in cui gli operatori prendono posizione, si schierano, i loro messaggi gravitano in modo quasi esclusivo intorno alla difesa delle istanze degli utenti. Questa è senz’altro una funzione fondamentale, ma per esercitarla con consapevolezza ed efficacia è necessario mostrarsi aperti e vicini anche all’altra parte (gli “utenti indiretti”, i cittadini, i “normali”) perché altrimenti si rischia di essere emarginati con gli emarginati. È un fenomeno tutt’altro che raro»37. 35 Gallino L., cit., p. 41-42 36 Giaccardi e Magatti definiscono (riprendendo Lipovetsky) l’infatuazione relazionale come «il desiderio di trovarsi in compagnia di esseri che condividono le stesse preoccupazioni immediate e circoscritte». Un legame ludico e debole, in altri termini, poiché il senso di affinità è basato su interessi mutevoli o su aspetti singoli, si lascia sempre aperta la possibilità di potersi disconnettere dalle relazioni che si rivelano faticose, impegnative, vincolanti, una volta che l’intensità emozionale si è attenuata o esaurita (p. 191-192) 37 Intervista a F. Olivetti Manoukian di R. Camarlinghi, L’operatore sociale leggero, in Animazione Sociale, 3/2000

Page 19: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

19

2.2

L’assunzione di una posizione tecnico-politica da parte dell’assistente sociale ha forti connotazioni relazionali. Evidenzio una componente delle abilità relazionali: - la capacità negoziale. La negoziazione è una strategia che serve per uscire da una situazione di potenziale, o esplicito, conflitto laddove ci sono interessi divergenti o contrapposti. Una negoziazione non avrebbe luogo se non ci fosse qualcosa di interessante per ambedue le parti, presuppone sempre un interesse/un utile da parte dei soggetti che stanno negoziando. La capacità negoziale può essere considerata sia una capacità organizzativa – è la capacità di condurre una trattativa verso un risultato – sia una capacità relazionale, perché il modo con cui si conduce la trattativa, ovvero la capacità di comunicare e di stare in relazione con gli altri soggetti coinvolti nel processo di negoziazione, condiziona il raggiungimento del risultato. La negoziazione38 ha delle fasi ed implica che il negoziatore si predisponga mentalmente prima che la negoziazione vera e propria abbia inizio. Il negoziatore dovrà • autoeducarsi a una flessibilità nel cambiamento delle proprie reazioni emotive o dei propri

punti di vista • sviluppare un rapporto comunicativo corretto con gli altri • convincersi della non evitabilità dei conflitti ed essere disponibile ad affrontarli • imparare dai conflitti a cui assiste • imparare a non temere le proprie emozioni e a saperle esprimere correttamente • conoscere il proprio modo abituale di affrontare i conflitti • sviluppare l’abilità a parlare dei comportamenti senza giudicare le persone. Questo implica che l’assistente sociale-negoziatore si preparerà ad affrontare degli eventuali conflitti, a capire quali aspetti del conflitto sono superabili oppure no, a cercare di vedere le cose dal punto di vista dell’altro. Inoltre cercherà di creare quel che si chiama “un clima di negoziazione” ovvero si comporterà in modo da costruire una reciproca fiducia: non giudicando, non etichettando l’altro, dimostrando sincerità nella ricerca, usando espressioni di scusa o di complimento e cercando, in ultimo, tra tutte le soluzioni proposte cercare quella che sembra più promettente e in grado di soddisfare ambedue i contendenti completamente e di stabilire comportamenti concreti per realizzare la soluzione trovata. Le capacità negoziali hanno anche a che fare con la riforma dei welfare state nazionali iniziata tra la fine degli anni 80 – inizio anni 90, in cui si ipotizza una completa esternalizzazione dei servizi39. Nella realtà di fatto si è imposto un sistema misto dove il pubblico e il privato si intrecciano – welfare mix – dando vita ad un sistema di attivazione e di regolazione dei servizi sociali che viene definito “quasi mercato”. Tra i destinatari finali delle prestazioni – gli utenti – e gli erogatori (i singoli servizi ed i singoli professionisti) rimane sempre necessaria l’intermediazione dell’ente pubblico, sia come diretto o indiretto finanziatore delle prestazioni, attraverso la leva fiscale, sai come valutatore della qualità delle prestazioni e del rispetto degli standard minimi collettivi. Fra le competenze richieste si pone davanti a tutte quella della negoziazione, cioè l’arte di trattare e di mediare per arrivare ad accordi soddisfacenti per tutte le parti coinvolte nell’affare. Queste sono competenze tradizionali degli operatori sociali, a cui s’aggiunge un elemento nuovo: la questione del denaro. La negoziazione si attua al livello delle dirigenze, ma anche i singoli operatori responsabili delle cure ne sono coinvolti.

38 Alcune definizioni: “Processo di interazione in cui due o più parti cercano di accomodarsi su un risultato reciprocamente accettabile” ( Druckman, 1997) - “ Decisione congiunta tra due o più parti che non hanno gli stessi interessi” ( Bazerman e Lewicki, 1983) - “ Situazioni interattive tipicamente caratterizzate da un confronto faccia a faccia tra le parti” (Rumiati, 2001). 39 Fletcher Keith, La negoziazione nei servizi sociali e sanitari, Trento, Erikson, 2000 (ed. or. 1998)

Page 20: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

20

Si parla di case manager40, che nel sociale possono essere assistenti sociali: questi operatori possono venire incaricati della gestione di piccoli budget procapite per i loro utenti41. Un assistente sociale può avere una cifra x per un anziano e entro quella cifra può decidere se acquistare prestazioni di assistenza domiciliare da una cooperativa o pasti caldi da un’altra cooperativa o assumere una badante a pagamento o rimborsare le spese ad un vicino, ecc. Nel lavoro diretto con le persone, un luogo che mette in particolare evidenza le abilità dell’assistente sociale-negoziatore è la fase di definizione del contratto con la persona.

Un esempio: Cinzia, che ha otto anni, è figlia di una casalinga, e di un operaio. La famiglia ha sempre vissuto con la mamma di lei, sino a quando – da circa un anno – sono finalmente riusciti ad affittare un alloggio e sono andati a vivere per conto proprio. Cinzia ha una leggera insufficienza mentale. Fa terza elementare, va piuttosto male a scuola, ha dei problemi di apprendimento e di comportamento, è sovrappeso. Le maestre e la pediatra pensano che sia opportuno fare un intervento sostitutivo della mamma, magari con delle prescrizioni del Tribunale. Sia le maestre che la pediatra segnalano la bambina all’assistente sociale perché ritengono che i due genitori siano inadeguati: la madre è una persona molto semplice, non riesce a seguire scolasticamente la bambina, il padre ha delegato tutto alla moglie, perché lavora, la bambina è sovrappeso, non fa sport, non sa stare in gruppo con gli altri bambini, alla mamma è stato detto di farle fare nuoto e di seguire una dieta, ma la madre non ha mai seguito le indicazioni. Le maestre e la pediatra ritengono che delle prescrizioni del Tribunale Minori condizionerebbero positivamente il comportamento dei genitori verso Cinzia. L’assistente sociale ha bisogno di confrontare il punto di vista delle maestre e della pediatra con le informazioni che raccoglie direttamente, perché la valutazione finale della segnalazione alla magistratura sarà sua. Questa posizione – la necessità di effettuare una valutazione prima di formulare un’ipotesi sulla famiglia - incrina da subito la relazione tra l’assistente sociale e le maestre e il pediatra. Si arriva quasi ad un conflitto: per i segnalanti, la trascuratezza di Cinzia è evidente, per l’assistente sociale no. In questa situazione, il risultato accettabile non è trovare chi ha ragione e chi ha torto, ma è quello di mettere a confronto le diverse informazioni sulla situazione. Quindi acquisizione di altre informazioni, conoscenza della mamma e del papà e conoscenza approfondita di Cinzia. Effettivamente i genitori appaiono un po’ fragili, semplici ma forse si può immaginare un tentativo nella direzione di un’evoluzione di competenze genitoriali, prima della segnalazione di Cinzia (che è una bambina trascurata, ma non in modo grave). La decisione del sostegno educativo a Cinzia, un educatore passerà del tempo con lei e con la mamma. Il risultato: ulteriori informazioni – il servizio sociale ipotizza che la sig.ra sia in grado di seguire delle sequenze di attività per sua figlia, se indirizzata in modo concreto e non generico (ovvero se la si accompagna a iscrivere Cinzia a nuoto, le si spiegano gli orari, il corredino anziché darle una prescrizione generica). A questo punto, terminata la fase di conoscenza, il servizio sociale dovrà fare un contratto con i genitori di Cinzia, per verificare se l’ipotesi è sostenibile. Il servizio sociale decide di fare un pre-contratto che contiene tre aree di compiti - l’alimentazione - la relazione genitori-Cinzia - le regole educative. Queste tre macro aree hanno al loro interno dei compiti precisi, per quanto riguarda l’alimentazione un compito sarà la consulenza di un dietologo e l’impegno rispetto ai pasti, in termini di orari e di quantità (Cinzia apre il frigo, mangia ciò che trova, in qualsiasi orario e i genitori non riescono a fermarla); la relazione genitori-Cinzia contiene l’investimento da parte dei genitori su tempo ed attività da fare con la figlia (ai giardinetti con la mamma tutti i giorni, la domenica al cinema con il papà, ecc.); nella terza area si colloca la definizione di regole e il

40 Manager dell’assistenza individualizzata 41 Questo succede già in Gran Bretagna

Page 21: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

21

loro rispetto (fare i compiti prima di andare a giocare, rispettare l’orario per andare a dormire, ecc.). In questo pre-contratto ci saranno gli impegni dell’assistente sociale e dell’educatore: l’assistente sociale farà un colloquio ogni 15 giorni con la mamma e il papà, per vedere come funziona con Cinzia, parlerà con le maestre una volta al mese, terrà i contatti con gli altri servizi (la pediatra, il servizio di dietologia infantile); l’educatore trascorrerà un pomeriggio con Cinzia tutte le settimane e la aiuterà nei compiti e nelle attività con i coetanei. Questo però è un pre-contratto; deve essere negoziato, affinché i genitori dicano che cosa vogliono fare e che cosa si sentono di fare. Per cui, nel momento della sua definizione, il contratto sarà diverso da quello previsto – è l’esito di un confronto fra le parti.

2.3

Nella loro riflessione sul mutamento delle forme dell’esperienza individuale nella società globale, Giaccardi e Magatti, facendo riferimento a Giddens, dicono che l’esperienza moderna riduce al minimo le esigenze di reciproca conoscenza e di compresenza fisica. «I mondi altamente formalizzati e astratti dell’economia, del diritto, della burocrazia si fondano sulla condivisione di codici e di regole che riducono al minimo le tradizionali esigenze di personalizzazione dei rapporti sociali»42. Ma la capacità di fare a meno della compresenza fisica è legata alla capacità di astrazione. E coloro la cui capacità di astrazione è minima? Dal mio punto di vista questo è un nodo importante. Abbiamo possibilità di forme di esperienza diverse, abbiamo però il problema che queste forme devono essere ricomposte, devono trovare una qualche forma di coerenza cognitiva e vi sono soggetti che accedono solo parzialmente a queste diverse forme e non hanno strumenti di ricomposizione. Questo pone una questione di disomogeneità sociale non secondaria. Se a questo si aggiungono la ridotta protezione sociale, il nascere di nuove forme di conflittualità sociale, occorrono nuovi profili di mediazione sociale e culturale (e anche di giustizia sociale). Forse – sottolineo il forse – la mediazione sociale e culturale43 può aiutare la traduzione in forme visibili della necessità – e dell’urgenza - di una dimensione etica collettiva. Per questo sottolineerei l’aspetto della mediazione sociale e della mediazione culturale, non soltanto come procedura generale per la risoluzione dei conflitti, ma come buona prassi, ovvero come pratica di lavoro sociale per connettere, collegare, individuare coerenze, annodare nodi, ritessere trame, verso una dimensione ecologica del vivere, nella dimensione più ampia della proposta di comportamenti etici minimi, ovvero la cura di sé e la cura del proprio microcosmo relazionale. Ancora una volta, vengono chiamate in causa le abilità relazionali dell’assistente sociale ed in particolare la capacità negoziale. Si distingue tra mediazione rispetto ai macro conflitti e mediazione sui micro conflitti44. Come esempio del primo ambito, i conflitti legati a determinate scelte di pianificazione territoriale (nessuno vuole la discarica nel proprio quartiere) o quelli connessi ai vari programmi di progettazione partecipata (la riqualifica delle periferie) e, per il secondo ambito, tutte quelle situazioni di vita quotidiana che ingenerano conflitti, scontri di interessi opposti (la separazione). Ulteriori distinzioni si possono fare studiando le varie utilizzazioni della mediazione, familiare, penale, culturale, e può essere utile, in questa sede, richiamare la mediazione sociale

42 Giaccardi C., Magatti M., cit.., p. 96-97 43 La mediazione, in generale consiste nel processo che tende a far evolvere un conflitto, aprendo dei canali di comunicazione, bloccati, fra le parti. 44 Un metodo per la risoluzione dei cosiddetti microconflitti è quello messo a punto da Robinette. Orientato dalla premessa di intenzionalità dei soggetti confliggenti a sottoporsi a un percorso di mediazione e in cui il luogo della mediazione è un luogo neutro, che è altro, rispetto agli abituali scenari del conflitto fra i soggetti coinvolti. La filosofia di fondo è quella dell’“inventare la possibilità per un reciproco guadagno”, superando posizioni precostituite rigide e dogmatiche. È un forte richiamo all’assunzione di responsabilità, connessa peraltro ad un utile.

Page 22: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

22

propriamente detta: una tecnica di lavoro sociale che si utilizza sui problemi di conflitto che si verificano nell’ambito dell’ambiente di vita delle persone. Trova una sua applicazione nei rapporti tra cittadino ed istituzioni, nei conflitti nei rapporti di vicinato, nelle relazioni tra diverse generazioni all’interno di un quartiere ecc. Un altro campo è quello della mediazione culturale, intesa perlopiù come mediazione interetnica: la mediazione culturale interviene come processo teso ad individuare l’esistenza di sistemi culturali o subculturali separati, aumentando le capacità di adattamento degli immigrati nel nuovo ambiente. Si tratta di un intervento a forte orientamento pratico, tendenzialmente rivolto a singoli individui (micro-gruppi, nuclei familiari) volto al cambiamento ed anche con caratteristiche di prevenzione – prima che il conflitto interetnico si radicalizzi. Stanno sorgendo iniziative e centri di mediazione rivolti ai microconflitti. Un esempio di un percorso di mediazione sociale il cui esito sono dei risultati e degli insuccessi45. È il racconto di un intervento di mediazione sociale a Venezia. Gli antefatti: tra la fine dell’estate del 2003 e la primavera del 2004, nei dintorni del SERT si crea una situazione di alta tensione tra gli abitanti del quartiere e i tossicodipendenti; in particolare gli episodi scatenanti la tensione furono due: il costante degrado della zona causato dai tossicodipendenti, frequentanti il SERT e non, attorno al servizio: utilizzo degli angoli delle strade come gabinetti pubblici, consumo di sostanze in modo pubblico, litigi, schiamazzi, piccoli furti; l’altro episodio fu la morte di un abitante del quartiere, dopo un litigio con un tossicodipendente seguito dal SERT. A quel punto anche le istituzioni cominciarono a muovere i primi passi per affrontare la situazione – molti cittadini, sostenuti da alcuni giornalisti e alcuni politici, chiedevano il trasferimento del SERT. Sull’onda della difficoltà cominciarono i primi incontri per avviare un lavoro di rete istituzionale che coinvolgeva - il parroco (la parrocchia è a pochi passi dal luogo di ritrovo dei tossicodipendenti) - il SERT - l’unità di strada del servizio di riduzione del danno del Comune di Venezia - la polizia municipale - l’azienda municipalizzata per i rifiuti urbani. Tutti questi soggetti hanno lavorato per una definizione comune del problema e hanno individuato delle carenze strutturali della zona: - la mancanza di spazi di ritrovo, di ristoro per le persone tossicodipendenti - l’insufficiente manutenzione e pulizia dei luoghi utilizzati per il consumo di sostanze

stupefacenti - la mancanza di servizi igienici pubblici - la scarsa presenza di forze dell’ordine (con intenti dissuasivi). Definite le caratteristiche del problema, ci si è chiesti: è possibile mettere intorno ad un tavolo i lupi (i tossicodipendenti) e le pecore (i residenti del quartiere)? In un primo momento, l’unità di strada, insieme al parroco, ha fatto degli incontri nei locali della parrocchia con i tossicodipendenti. Il mediatore tra gli abitanti del quartiere ed i tossicodipendenti è stato, di fatto, il parroco. In concreto sono state ottenute, alcune tessere gratuite per usare i bagni pubblici (gestite dall’Unità di strada) e l’utilizzo da parte dell’utenza di un bagno del SERT, la manutenzione e la pulizia periodica del luogo di consumo delle sostanze e l’installazione di un contenitore per la raccolta di siringhe, un maggior coordinamento tra polizia e vigili urbani. Sono stati fatti undici incontri tra tossicodipendenti, operatori dell’unità di strada del SERT, il parroco a cui hanno partecipato, in qualche occasione, abitanti del quartiere. Risultati - il gruppo più numeroso di tossicodipendenti ha trovato forme di autoregolazione interna e

di convivenza fragile con la comunità

45 Izzi T., Trevisiol L., Il tavolo dei lupi e delle pecore. Un intervento di mediazione sociale a Venezia, in Animazione Sociale n. 5/2004

Page 23: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

23

- alcuni residenti hanno iniziato a interloquire direttamente con i tossicodipendenti sia nelle situazioni più critiche che in quelle più serene

- la presenza delle forze dell’ordine è stata rispettosa degli equilibri presenti nel quartiere - la stampa ha ridotto la sua pressione strumentale e il suo interesse nella zona. Per fare un intervento di comunità (la situazione critica poteva essere utilizzata come una premessa per un lavoro di comunità) ci sarebbero voluto un maggior impegno da parte dei soggetti più significativi del territorio, in primis il SERT.

Page 24: MATERIALE DIDATTICO AD USO ESCLUSIVAMENTE ... - … · 1.1 Relazioni e relazione d’aiuto Il tema della relazione è argomento centrale nei servizi sociali, indicatore di qualità,

CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE PREPARAZIONE AL TIROCINIO LE CAPACITA’ RELAZIONALI

2^ SEMESTRE A.A. 2004 – 2005 DOCENTE C. PREGNO

24

Bibliografia

Blandino G., Tolleranza e sofferenza nel lavoro dell'operatore sociale, Animazione Sociale, 1/1993 Blandino G., Le capacità relazionali dell’operatore sociale, Animazione Sociale, 10/93 Borgna E., Quel che l’angoscia aiuta a comprendere, in Animazione Sociale, 6-7/2004 Borgna E., I mille volti dell’ansia, in Animazione Sociale, 5/2004 Camarlinghi R., L’operatore sociale leggero, intervista a Olivetti Manoukian F. in Animazione Sociale, 3/2000 Carkhuff R., L’arte di aiutare: guida per insegnanti, genitori, volontari e operatori sociosanitari, 1994, Trento, Erickson, ed. or. 1973 Cellentani O., Manuale di metodologia per il servizio sociale, 1995, Angeli, Milano Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, 1987, Astrolabio, Roma Dal Pra Ponticelli M., Riflessioni sulle basi teoriche del servizio sociale: l’approccio cognitivo umanistico o del problem solving, in La Rivista di Servizio Sociale, 3/95 Demetrio D., La relazione è anche una virtù?, in Animazione Sociale, 11/2004 Donati P., Teoria relazionale della società, 1992, Franco Angeli, Milano Ferrario F., Gottardi G., La relazione di aiuto, un possibile percorso di apprendimento, La Rivista di servizio sociale, 2/1985 Ferrario F., Le dimensioni dell’intervento sociale, 1996, Carocci, Roma Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia, 1999, Angeli, Milano Gallino L., Il costo umano della flessibilità, 2001, Laterza, Roma-Bari Giaccardi C., Magatti M., L’Io globale, 2003, Laterza, Roma-Bari Izzi T., Trevisiol L., Il tavolo dei lupi e delle pecore. Un intervento di mediazione sociale a Venezia, in Animazione Sociale n. 5/2004 Lerma M., Metodo e tecniche del processo di aiuto, 1992, Astrolabio, Roma Natoli S., L’esperienza del dolore, 1986, Feltrinelli, Milano Natoli S., Appropriarsi del dolore, Animazione Sociale, 12/1994 Nigri L., La relazione di aiuto nell’attuale società dell’incertezza: le emozioni in gioco, il gioco delle emozioni, in Rassegna di Servizio Sociale, n. 1/2004 Ranci Ortigosa E., La relazione, fattore di qualità dei servizi socio sanitari, Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 8/9-1990 Zini M.T., Miodini S., Il colloquio di aiuto, 2001, Carocci, Roma