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MATERA I Storia della città. II I Sassi. III La Casa Grotta. 1) Castello Tramontano. 2) Chiesa del Purgatorio. 3) Chiesa di Santa Chiara. 4) Museo archeologico Domenico Ridola. 5) Palazzo Lanfranchi – Pinacoteca. 6) Chiesa del Carmine. Piazzetta Giovanni Pascoli. 7) Chiesa di Santa Maria de Armenis. 8) Chiesa di Santa Lucia le Malve. 9) Convicinio di Sant'Antonio. 10) Chiesa di Santa Barbara. 11) Madonna dell'Abbondanza. 12) Cappuccino Vecchio. 13) Chiese di Santa Maria d'Idris e di San Giovanni in Monterrone. 14) Chiesa di San Pietro Caveoso. 15) Chiesa di San Pietro in Monterrone. 16) Chiesa di Santa Lucia e Agata alla Civita. 17) Chiesa della Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci. 18) Chiesa di Sant'Agostino e cripta di San Guglielmo. 19) Chiesa di San Pietro Barisano. 20) Chiesa di San Giovanni Battista. 21) Chiesa di San Rocco. 22) Piazza Vittorio Veneto. Ipogei di piazza Vittorio Veneto. 23) Chiesa di San Domenico. 24) Chiesa del Mater Domini. 25) Convento dell'Annunziata. 26) Chiesa di San Francesco da Paola. 27) Chiesa di San Biagio. 28) Chiesa di Santa Lucia. 29) Chiesa di San Francesco d'Assisi e cripta dei Ss. Pietro e Paolo. 30) Palazzo del Sedile. 31) Cattedrale.

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MATERA

I Storia della città.

II I Sassi.

III La Casa Grotta.

1) Castello Tramontano.

2) Chiesa del Purgatorio.

3) Chiesa di Santa Chiara.

4) Museo archeologico Domenico Ridola.

5) Palazzo Lanfranchi – Pinacoteca.

6) Chiesa del Carmine. Piazzetta Giovanni Pascoli.

7) Chiesa di Santa Maria de Armenis.

8) Chiesa di Santa Lucia le Malve.

9) Convicinio di Sant'Antonio.

10) Chiesa di Santa Barbara.

11) Madonna dell'Abbondanza. 12) Cappuccino Vecchio.

13) Chiese di Santa Maria d'Idris e di San Giovanni in Monterrone.

14) Chiesa di San Pietro Caveoso.

15) Chiesa di San Pietro in Monterrone.

16) Chiesa di Santa Lucia e Agata alla Civita.

17) Chiesa della Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci.

18) Chiesa di Sant'Agostino e cripta di San Guglielmo.

19) Chiesa di San Pietro Barisano.

20) Chiesa di San Giovanni Battista.

21) Chiesa di San Rocco.

22) Piazza Vittorio Veneto. Ipogei di piazza Vittorio Veneto.

23) Chiesa di San Domenico.

24) Chiesa del Mater Domini.

25) Convento dell'Annunziata.

26) Chiesa di San Francesco da Paola.

27) Chiesa di San Biagio.

28) Chiesa di Santa Lucia.

29) Chiesa di San Francesco d'Assisi e cripta dei Ss. Pietro e Paolo.

30) Palazzo del Sedile.

31) Cattedrale.

Matera.

Cenni storici. Matera, conosciuta come antichissima “città trogloditica” non è esistita da sempre con le sue caratteristiche che oggi conosciamo, ma il suo particolare fenomeno urbanistico è unicamente l'effetto terminale di un processo insediativo evolutosi nel corso dei secoli attraverso il concorso di concomitanti fattori geografici, geologici, economici e politici: una particolare urbanizzazione generata dalla grande povertà di mezzi, ma sorretta da una tenace volontà insediativa. Il centro storico prende il nome di Sassi. Sassi, secondo un documento del 1204 indicano i “rioni pietrosi”. Due vallate poste ai piedi del colle della Civita destinate ad ospitare un intreccio di grotte, case, vicoli, vicinati che coprono circa trenta ettari di territorio, che diverranno la più importante testimonianza della civiltà contadina. Il colle della Civita, primario insediamento della futura città, si andava lentamente trasformando in un centro abitato sia pur disarticolato, di natura agro-pastorale. Un villaggio che rimaneva tale nel corso dei millenni. Solo nell'Alto Medioevo, Matera, punto nevralgico, crocevia tra l'Oriente Bizantino e l'Occidente, veniva fortificata ad opera dei Longobardi, che la elevarono a Castaldato. Un castello, una cinta muraria, una presenza di strutture politico-amministrative e religiose fornivano al vecchio villaggio la connotazione di città. Nell'anno mille, con l'arrivo dei Normanni, Matera si presentava con l'aspetto urbanistico abitativo sviluppato come centro fortificato nella parte alta del colle con una serie di casali rurali che punteggiavano le scoscese pareti rocciose attraverso una serie di gradoni, scendenti verso il fondo delle due grandi cavee. Due anfiteatri naturali che nel corso dei secoli si trasformavano nei due rioni cittadini: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Tra l'XI ed il XIV secolo, Matera, infeudata prima dagli Svevi e successivamente dagli Angioini, non subiva mutamenti sostanziali, ma riempiva i “vuoti” presenti nel suo contesto urbanistico. Solo alla fine del XIV secolo, soprattutto per merito dell'organizzazione ecclesiastica, venivano realizzati monasteri degni, per dimensione e funzione, della migliore storia dell'architettura romanico-pugliese. Tra il XV ed il XVI secolo, con l'appartenenza di Matera al patrimonio regio, il centro cittadino si trasferiva dalla cima del colle della Civita (piazza della Cattedrale), ai suoi piedi (piazza del Sedile), consentendo un migliore collegamento tra le tre aree della città: Civita, Sasso Barisano e Sasso Caveoso, oltre ad aprire nuove direttrici urbanistiche che si sarebbero sviluppate nei secoli successivi. Tra il XVII ed il XVIII secolo Matera diveniva sede della Regia Udienza e capoluogo della Basilicata. Ma è nel XVIII secolo che avveniva una vera e propria svolta nel sistema urbanistico attraverso la nascita di un nuovo rione: il Rione del Piano. Una rottura del vecchio circuito cittadino che consentirà lo sviluppo della città verso le colline che come una corona chiudevano il vecchio centro storico. Il XIX ed i primi del XX secolo, particolarmente dopo il 1860, segnavano un periodo di stasi per lo sviluppo della città e si dovrà attendere l'elevazione di Matera a capoluogo di provincia per riprendere un cammino urbanistico in direzione delle colline. Uno sviluppo veloce, ma culturalmente corretto, negli anni '50, quelli dello sfollamento dei Sassi, vergogna nazionale, che aveva tra l'altro il grande merito di impedire guasti e manomissioni nei rioni storici recuperati, poi, grazie alla legge n. 771/86.

I Sassi di Matera. Sasso Caveoso e Sasso Barisano. L'origine dei Sassi di Matera va ricercata nella capacità dell'uomo di adattarsi ad un territorio apparentemente ostile, piegando alle proprie esigenze le limitate risorse che esso offriva. Il toponimo fa senz'altro riferimento alla natura pietrosa dei due rioni. La parola “Sasso” nel significato di “rione pietroso” fa la sua comparsa in un documento anonimo del 1204. la Storia dei Sassi di Matera ha inizio tra XI e XII secolo quando, per preminenti ragioni di sicurezza (legate al susseguirsi di invasioni di popoli stranieri) vennero a costituirsi, nelle due vallette ai piedi della Civita -primo nucleo urbano della città di Matera- alcuni casali rurali sparsi. Il Sasso Caveoso deriverebbe il suo nome dal latino “cavea” nel significato di “cavità, grotta”, perché apparentemente più scavato rispetto all'altro dove le case “edificate” sono più numerose, andando ad occultare le grotte sottostanti; oppure nel significato più specifico di “cavea” per la sua particolare conformazione, come un teatro greco. Altra ipotesi è che il nome deriverebbe dall'orientamento del Rione, rivolto verso sud, in direzione di Montescaglioso (dal latino Mons Caveosus). Il nome del Sasso Barisano potrebbe a sua volta dipendere dall'orientamento del rione in direzione nord-ovest, verso la città di Bari. Oppure potrebbe essere legato alla presenza in epoca romana di un casale abitato dalla famiglia gentilizia Varisisius, da cui Varisianus e, in seguito, Barisano.

La Casa Grotta. La visita di una Casa Grotta (ad esempio quella di Vico Solitario sita nei pressi di piazza S. Pietro Caveoso) offre l'opportunità per potersi, almeno in parte, rendere conto di quella che era la vita nelle case scavate del Sasso Caveoso prima del loro abbandono, avvenuto in seguito alla legge di risanamento dei Sassi del 1952. Una grande cavità rocciosa fa da cornice all'arco d'ingresso della Casa Grotta, unico elemento costruito che si addossa alla grotta nella quale è stata ricavata l'abitazione; le ultime modifiche del prospetto risalgono al 1700. Nell'unico ambiente, in parte scavato e in parte costruito, sono proprio gli arredi a creare una divisione virtuale degli spazi: il focolare con la cucina economica; al centro della casa un tavolo di piccole dimensioni con l'unico grande piatto dal quale tutti mangiavano; il letto composto da due cavalletti in ferro sui quali poggiavano delle assi di legno e il giaciglio costituito da un materasso ripieno di foglie di granturco (molto alto sia per allontanare il giaciglio dall'umido del pavimento, sia per utilizzare lo spazio sottostante dove si conservavano varie cose e si ospitava di solito la chioccia con i pulcini). Scrive Carlo Levi: “La stanza è quasi interamente riempita dall'enorme letto, assai più grande di un comune letto matrimoniale: nel letto deve dormire tutta la famiglia, il padre, la madre, e tutti i figliuoli. I bimbi più piccini, finché prendono il latte, cioè fino ai tre o quattro anni, sono invece tenuti in piccole culle o cestelli di vimini, appesi al soffitto con delle corde, e penzolanti poco più in alto del letto. (...). Sotto il letto stanno gli animali: lo spazio è così diviso in tre strati: per terra le bestie, sul letto gli uomini, e nell'aria i lattanti”. Di fronte al letto, tra le pareti di roccia, era la stalla con la mangiatoia che ospitava il mulo; oltre un piccolo tramezzo l'altra stalla dove sono ben visibili la mangiatoia, la cava tufacea dalla quale si ricavavano i blocchi di tufo ed una cavità circolare usata come letamaio o come deposito per la paglia. Di particolare interesse è il sistema di raccolta delle acque piovane; ben visibili sono la canalizzazione e la cisterna nella quale era convogliata l'acqua piovana dall'esterno all'interno dell'abitazione. All'interno di questi ambienti unici, a volte di soli 30-40 metri quadri, vivevano famiglie numerose insieme agli animali (da soma e da cortile), questo principalmente perché da un certo periodo in poi nei Sassi vi è stato un sovraffollamento tale da spingere la popolazione ad adattarsi ad ogni spazio presente e ad accogliere gli animali in casa come fossero della famiglia. Ciò ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita già difficili di questa gente, aumentando il rischio di malattie, vista la mancanza in casa, oltre a tutto, di rete fognaria e idrica.

La situazione era poi aggravata dal tasso di umidità con il quale questa gente conviveva quotidianamente, dovuto alla porosità della roccia, alla presenza di una cisterna in casa e alla pochissima areazione, poiché spesso vi era solo una piccola finestra. Riportiamo di seguito il brano del romanzo di Carlo Levi con la descrizione dei Sassi fatta da sua sorella; “Arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall'altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. (...) La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'inferno di Dante. (...). In quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando, e vedevo l'interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall'alto, attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Di bambini ce n'era un'infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio mestiere [era un medico], a vedere ogni giorno decine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno spettacolo come quello di ieri non l'avevo mai neppure immaginato. (...). Eravamo intanto arrivati al fondo della buca, a Santa Maria de Idris, che è una bella chiesetta barocca, e alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. Di lì, sembra quasi una città vera. Le facciate di tutte le grotte, che sembrano case, bianche e allineate, pareva mi guardassero, coi buchi delle porte, come neri occhi. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante”.

Castello Tramontano. “Città bella, estesa e molto popolata”, riferisce di Matera il geografo musulmano Edrisi nel Libro del re Ruggero, alla metà del XII secolo. Gran parte della popolazione viveva nella roccia, sotto terra. Ma se la vita quotidiana strisciava fra gli insediamenti rupestri del Sasso Caveoso e del Sasso Barisano, svettavano invece gli edifici del potere ecclesiastico e politico. Dal 1270 la cattedrale domina su un piazzale che si allarga al culmine di via Duomo. E sulla collina del Lapillo, subito dietro via Lucana, in mezzo a via Castello e a via Lanera, sorge ancora il castello Tramontano. Il maniero prende il nome da Gian Carlo Tramontano, già Maestro della Regia Zecca aragonese, nato a S. Anastasia ed esponente di quella “borghesia loricata” che fra XV e XVI secolo si stava amalgamando nel Mezzogiorno con la vecchia classe feudo-militare. Su concessione di re Ferdinando II, il 1 ottobre del 1497 l'ex funzionario regio era diventato conte di Matera. E per sostituire le precedenti fortificazioni demaniali aveva concepito un nuovo castello che ottemperasse alle funzioni residenziali e politiche: bisognava infatti marcare visivamente il cambio di regime, per una città che, da essere demanio, si era ritrovata contea, inoltre situandolo su un'altura dalla quale era possibile vigilare su tutta la città. Le suggestioni promananti dalla splendente corte di Napoli indussero il committente a programmare le cose in grande stile: la sontuosa reggia del Maschio Angioino, rifatta fra il 1443 e il 1458 per ordine di Alfonso d'Aragona e sotto la direzione di Guillén Sagrera, aveva innestato l'elegante gotico della Catalogna sulle originarie fattezze di impronta angioina. Fu dunque con l'occhio rivolto alla capitale che venne progettato il castello di Matera; rincorrendo i fasti regali e la grandeur partenopea si rialzò una buona porzione del fortilizio lucano, sfruttando uomini e donne con la misera paga di sei soldi al giorno. I lavori costarono circa 25.000 ducati, per lo più gravanti sulle spalle della cittadinanza. Era troppo: l'esasperazione cagionata dagli odiosi tributi portò a ordire una congiura. Il 30 dicembre del 1515, all'uscita dalla chiesa Matrice, Gian Carlo Tramontano venne inseguito, accerchiato e ucciso dai materani che più non sopportavano le sue angherie, nella strada accanto alla Cattedrale che da quel momento prese il nome di via del Riscatto. Il castello non fu mai completato, rimasto a metà quasi a memoria di un'ambizione irrealizzata e della violenta sommossa popolare. Rimangono tutt'ora le vie sotterranee che collegavano il castello al resto della città, creando intorno a quel periodo un denso alone di mistero. La struttura del castello. Il castello di Matera è composto da un paio di torri laterali di forma circolare, dotate di scarpatura e inframezzate da un più imponente torrione cilindrico che si eleva sui setti murari di collegamento. Benché incompiuto, l'edificio appartiene a una tipologia caratteristica dell'architettura castellana tardo-medievale. Alla fine del XV secolo, la preponderanza delle bombarde e in genere delle armi da fuoco aveva apportato dei sostanziali mutamenti agli impianti castellari. Per resistere ai proiettili dei cannoni avversari, come anche per assorbire il rinculo dei pezzi difensivi e favorirne gli spostamenti, non servivano più le torri mastodontiche e quadrate, o le mura alte e le merlature spiccate, che anzi offrivano un bersaglio più agevole alle cannonate. Era piuttosto necessario ridurre lo specchio murario, ispessire le fabbriche, conferire un'altezza uniforme alle diverse parti della fortificazione e accentuarne la scarpatura, apprestando dei rinforzi cilindrici casamattati, più bassi e grossi del solito. (...) Sul prototipo della Rocca Pia di Tivoli, databile al 1461, nasceva un'architettura di transito verso il successivo fronte bastionato. Proprio ai modelli costruttivi che nella seconda metà del Quattrocento avevano avuto in Francesco di Giorgio Martini uno dei massimi architetti si ispirava il castello Tramontano, ideato nel miraggio di Cstelnuovo. Ma i sogni del conte Gian Carlo vennero spezzati e spazzati via dalla rivolta dei materani. (Tratto da: www.mondimedievali.net).

Chiesa del Purgatorio. Lungo via Ridola, direttrice principale della dorsale settecentesca della città, si trova la chiesa del Purgatorio. Costruita fra il 1725 ed il 1747 con i contributi della Confraternita del Purgatorio e dei cittadini. Il disegno è dell'ing. Giuseppe Fatone di Andria. La facciata, convessa, è opera di Vitoantonio Buonvino e Bartolomeo Martemucci. Tutte le decorazioni presenti, di stampo barocco, si incentrano sul tema della morte e della redenzione delle anime. Nella parte superiore compaiono angeli, cesti di frutta e penitenti avvolti dalle fiamme. Al centro campeggia la Madonna col Bambino. Ma la parte più interessante è la parte inferiore. Al centro vi è un bellissimo portale in legno diviso in 36 riquadri. In quelli superiori riporta i teschi di regnanti e prelati morti, e nella parte bassa i teschi di comuni cittadini. In due nicchie laterali sono presenti le statue di San Michele Arcangelo (a sinistra) e l'Angelo custode (a destra). L'interno è a croce greca sormontata da una cupola ottagonale in legno poggiata su un tamburo circolare con capitelli corinzi. Le pareti sono stuccate e ritmate da fregi e da tre altari con dipinti del Settecento. Sull'altare maggiore tela di Vit'Antonio Conversi che raffigura S. Gaetano che intercede presso la Madonna per la liberazione delle anime purganti. Sull'altare di sinistra, San Nicola da Tolentino e le anime purganti. Chiesa di Santa Chiara. Costruita in stile barocco fra il 1668 e il 1702 da mons. Del Ryos insieme ai locali attigui destinati dapprima ad ospedale e dal 1714 a convento delle clarisse. Dal 1911 i locali dell'ex monastero sono in gran parte adibiti come sede espositiva del Museo Archeologico “Domenico Ridola”. La facciata, divisibile in due parti, presenta la superiore quasi tutta occupata da un lunettone sormontato dall'immagine del Padreterno; la inferiore, molto articolata, ha ai due lati due statue simboliche in nicchie ben decorate (forse San Francesco e Santa Chiara), al centro un austero portale chiuso da due battenti in legno finemente scolpito. Motivo decorativo dominante è la presenza di molte testine di animali a volte rassomiglianti a scimmie, a volte a pipistrelli. L'interno si presenta ad unica navata terminante con un arco a sesto acuto. Vi sono cinque altari barocchi in legno finemente intagliato e base in pietra: quattro laterali appartenenti alla metà del 1600 e quello centrale settecentesco. Sul primo altare a sinistra: tela raffigurante San Michele Arcangelo e la Flagellazione di Cristo; sul secondo: l'Immacolata Concezione con Gesù che infigge una lunga croce nel serpente e Incoronazione di spine; Immacolata Concezione con Angeli con fiori, simbolo del martirio; altare centrale: ai lati S. Agnese, sorella di S. Chiara e S. Rosa, Madonna nell'atto di donare a S. Francesco il cartiglio attestante l'indulgenza; sul primo altare a destra: Madonna del Carmine, due Angeli e, sotto, anime purganti; sotto, a destra, committente con lo stemma della famiglia; segue sullo stesso lato un pulpito con il parapetto decorato con immagini delle Sante Clarisse; sopra S. Tommaso d'Aquino; sul secondo altare: Presentazione di Gesù al Tempio; S. Giuseppe con una candela; sopra, incontro di Gesù con la Madonna; sull'ultimo, S. Gioacchino, S. Anna, la Madonna ed il Padreterno; sopra, l'Orazione nell'orto.

Museo Nazionale Domenico Ridola. Importante per ricostruire le origini della città di Matera e dei suoi dintorni è una visita al Museo Nazionale “Domenico Ridola”, istituito nel 1911 e dedicato ad uno degli uomini più insigni della città. Il medico e senatore Domenico Ridola, appassionato di archeologia, avviò alla fine dell'800 varie campagne di scavo che lo portarono a scoprire alcuni degli insediamenti del Paleolitico e del Neolitico più importanti della zona e a costituire un'interessantissima raccolta di reperti archeologici, arricchita e aggiornata dal lavoro dei tecnici del Museo. Di notevole interesse sono anche le collezioni che riguardano gli insediamenti della Magna Grecia che vide il suo fiorire sulle coste ioniche. Palazzo Lanfranchi. Palazzo Lanfranchi prospetta su piazza Pascoli ed è la massima espressione dell'architettura del Seicento a Matera. Fu eretto tra il 1668 e il 1672 dal frate cappuccino Francesco da Copertino, come seminario diocesano, per volere dell'arcivescovo di Matera Vincenzo Lanfranchi. Con la costruzione si adempiva uno dei dettami del Concilio di Trento, che prevedeva in ogni diocesi la presenza di un luogo per la formazione del clero. Eretto su un preesistente convento dei Carmelitani, il cui ordine fu soppresso nel 1652, l'edificio fu sede del seminario cittadino fino al 1864. Passato al Demanio dal governo piemontese, l'edificio divenne sede del Liceo Classico e del Convitto Nazionale. Qui -tra il 1882 ed il 1884- insegnò il poeta Giovanni Pascoli. Oggi il Palazzo ospita il Museo Nazionale d'Arte Medievale e Moderna della Basilicata, la Fondazione Carlo Levi e la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Basilicata. La facciata, in pietra locale, pur ideata in pieno dilagare del barocco, di cui Matera non fu certo esente, mostra eleganza e severità di forme; si sviluppa su due ordini: la sua asimmetria può essere giustificata in quanto il progettista dovette fondere in un unico prospetto l'ingresso principale del Seminario con la preesistente chiesa della Madonna del Carmine. Questo si rileva osservando principalmente il pianoterra, che è diviso in parti uguali: a sinistra la chiesa, a destra l'istituto. L'ordine superiore invece è scandito da nove arcate delle quali una sola è libera. Il frontale è arricchito da cinque statue collocate in nicchie: San Nicola, la Madonna, San Filippo Neri, San Giacinto e San Carlo Borromeo. La scalinata dà accesso ad un lungo corridoio che conduce ad un bellissimo chiostro seicentesco, arricchito da una meridiana della seconda metà del Seicento e dai busti dei benefattori che hanno contribuito alla costruzione del grandioso edificio. Chiesa della Madonna del Carmine. A sinistra di Palazzo Lanfranchi è incorporata la chiesa della Madonna del Carmine, costruita fra il 1608 e il 1610 per il preesistente convento carmelitano. È a una navata, terminante con l'altare maggiore in marmo policromo proveniente dal monastero di S. Angelo di Montescaglioso, sovrastato da una tela di scuola napoletana, raffigurante la Vergine che consegna lo scapolare a S. Nicola da Tolentino. Piazzetta Giovanni Pascoli. Sulla sinistra della chiesa del Carmine è la piazzetta dedicata a Giovanni Pascoli. Dalla balconata di questa piazzetta si può godere una visione panoramica del Sasso Caveoso con la sua caratteristica composizione. Si può avere un'idea dei vari insediamenti e della continuità di vita della città: nel piano più lontano si scorgono grotte preistoriche scavate nel masso della Murgia; a sinistra la Cattedrale e i resti di Castelvecchio; di fronte, in un piano ravvicinato, il caratteristico masso calcareo di Monterrone o della Madonna de Idris che si estolle fra il Sasso Caveoso e il torrente Gravina. Fra questi punti predominanti, per tutta la cavea sottostante, si sviluppa un fitto tessuto abitativo che rappresenta quell'unicum di architettura spontanea creatosi in tanti secoli. “Sono case che si succedono dall'alto verso il basso senza alcuna disposizione preordinata e viuzze che s'intersecano, si biforcano, convergono in forte pendenza; case differenti di forma e di grandezza,

alcune delle quali presentano la facciata, altre il fianco, altre solo il tetto; un confondersi di porte, di finestre, di comignoli, di piccole torri con belvedere, di balconi, di archi, di parapetti, di logge, di cui invano cercheresti una simmetria, un allineamento, un ordine qualsiasi” (Colamonico). Il centro storico può essere ammirato nella sua componente urbanistica sia rupestre che palazziata anche dal pianoro superiore del Monterrone per la Civita e per il Sasso Caveoso; mentre per la Civita ed il Sasso Barisano, dalla piazzetta di Sant'Agostino e dalla piazza della Cattedrale. Chiesa di Santa Maria de Armenis. La chiesa di Santa Maria de Armenis è ciò che resta di un altro insediamento benedettino a Matera. Alcuni cronisti locali riportano la notizia della presenza di monaci benedettini sin dal 1093. Altri autori, invece, ritengono che i benedettini si siano insediati in una chiesa preesistente, scavati da popoli armeni che erano presenti nella regione sin dal VI secolo d.C., così come ricordato dall'intitolazione. A parte notizie d'archivio riguardanti controversie tra abati e cittadini, altre notizie sulla chiesa, prima della soppressione operata da mons. Del Ryos nel 1684, quando tutte le proprietà passano al Seminario Vescovile, sono riportate nella “Sacra Visita” di mons. Saraceno del 1543 che definisce la chiesa di S. Maria de Armenis “ben accomodata...”. La chiesa diviene sede della Confraternita di S. Francesco da Paola, allorché alcune famiglie nobili materane realizzano all'interno della chiesa degli altari per la devozione del Santo. La Confraternita abbandona la chiesa nel 1774, spostandosi nel nuovo edificio appositamente costruito al Piano, nei pressi di piazza Vittorio Veneto. La chiesa viene trasformata in civile abitazione comportando una serie di manomissioni all'impianto monastico. La chiesa è a navata unica costruita, coperta da volta a botte, con un grande arco ribassato che divide l'aula dalla zona presbiteriale con copertura a cupola. A destra e a sinistra dell'ingresso sono presenti una serie di vani quadrangolari e sulle pareti una sequenza di affreschi molto rovinati. Interessante la facciata, di chiara ispirazione romanica, articolata con archetti ciechi su lesene e sull'architrave della porta d'ingresso, l'epigrafe con l'intitolazione della chiesa.

Chiesa di Santa Lucia alle Malve. La chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve è il primo insediamento monastico femminile dell'Ordine benedettino, risalente all'VIII secolo, ed il più importante nella storia della città di Matera. Una comunità che attraverso le sue tre successive sedi monacali di Santa Lucia alle Malve, di Santa Lucia alla Civita e Santa Lucia al Piano, è stata parte integrante della vita di Matera seguendone lo sviluppo storico-urbanistico nel corso di un millennio. Il fronte esterno dell'ex convento monastico si sviluppa lungo la parete rocciosa ai piedi dell'imponente Monte Errone, con una serie di accessi che immettono in altrettante cavità interne. Gli ambienti della Comunità si identificano per la sua presenza, in alto scolpiti a rilievo, dalla simbologia del martirio di Santa Lucia: il calice con i due occhi della Santa. L'entrata della chiesa, sulla destra del complesso, è evidenziata da squadrati blocchi di tufo che ne disegnano la linea terminanti con un arco acuto sul cui fondo, entro una lunetta, è posto il simbolo liturgico della Santa. Santa Lucia alle Malve è una chiesa in rupe di notevoli dimensioni che si sviluppa in tre distinte navate; pur avendo subito pesanti stravolgimenti, dopo l'abbandono da parte della comunità monastica, ha lasciato tanti di quei segni da consentire, con un poco di fantasia, di ricostruirne lo sviluppo planimetrico ed architettonico. Delle tre navate che articolavano lo spazio interno, quella di destra, nella quale è l'ingresso attuale, è sempre rimasta aperta al culto, tanto che ancora oggi nel giorno di santa Lucia, il 13 dicembre, vi si tiene una messa solenne, mentre le altre due navate furono trasformate in abitazioni e depositi fino agli anni '50: una trasformazione che coinvolgeva quasi tutte le chiesa rupestri presenti nei due rioni dei Sassi, man mano che venivano sostituite, liturgicamente, con edifici di culto eretti nel nuovo rione del Piano. Queste chiese rupestri, sconsacrate, si trasformavano in abitazioni, locali di servizio, depositi, ecc. con un processo iniziato nel XVIII secolo ed andato avanti fino agli albori del XX secolo. All'origine la navata centrale doveva avere i singoli spazi liturgici con andamento ascensionale dal livello della porta d'ingresso, sino al vano absidale dove era allocato l'altare. Il presbiterio di tutte e tre le navate, cioè quella parte riservata solo ai sacerdoti, era racchiuso da una serie di colonne, attualmente mozzate, che scendevano dalla volta offrendo un tocco di alta suggestione accresciuta dalla mobilità della luce emessa, all'epoca, dalle lucerne ad olio. La navata centrale era arricchita da una iconostasi, cioè quell'elemento architettonico appartenente agli spazi liturgici del culto greco ortodosso, che costituisce un divisorio tra la navata della chiesa (aula) e la parte presbiteriale, impreziosita dalle sottili colonne scendenti dalla volta e da una base arricchita da una serie di affreschi che attualmente si ritrovano, segati in squadrati blocchi che compongono un grottesco puzzle, nella struttura di una focaia che si trova nella navata di sinistra. Uno scempio avvenuto nel corso della trasformazione di parte della chiesa in abitazione. Notevoli, nella piatta volta le cavità lenticolari che arricchiscono l'area presbiteriale: sono cupole simboliche evidenziate, nella loro dimensione, da una serie di cerchi concentrici che danno il senso della profondità. In alcuni documenti il monastero compare con il titolo di S. Lucia e Agata alle Malve; questo porterebbe a pensare all'esistenza di due originarie chiese, ipotesi suffragata da alcune incongruità architettoniche rilevabili all'interno dell'attuale chiesa: la differenza di quota tra la navata di destra e la centrale; la presenza di tracce di iconostasi all'interno della navata centrale e di sinistra, mentre in quella di destra l'aula è divisa dal presbiterio da un originario arco calato, oggi murato, su cui poggia l'altare. Di grande importanza storico-artistica gli affreschi che ancora in parte decorano le pareti della navata, tornati, dopo i restauri, all'originale splendore. La Madonna del Latte (Galaktotrophusa, pianta n. 13) datata intorno al 1270 ed eseguita dallo stesso maestro frescante che ha dipinto in Cattedrale la Madonna della Bruna, denominato per questo Maestro della Bruna, ci mostra la Madonna che allatta il Bambino, in un gesto di tenerezza

che probabilmente è rappresentato per ribadire una dimensione più vicina all'uomo di quel Dio autoritario e vendicativo come era concepito nel Medioevo. Per non sfiorare la blasfemia il frescante ha dipinto il seno della Madonna in maniera decentrata rispetto alla reale anatomia e di piccole dimensioni. Nella nicchia accanto, San Michele Arcangelo (n. 14) datato 1250, nella sua funzione di messaggero di Dio, riveste una sopraveste tempestata di pietre preziose, simbolo degli ambasciatori della corte imperiale di Bisanzio, e stringe in una mano un sigillo con una croce greca inscritta. Nell'altra mano ha il labaro e sotto i suoi piedi si attorciglia il dragone rappresentante il diavolo. Una iconografia cristiano-latina con elementi cristiano-orientali armonicamente fusi. Sul grande pilastro che separa la navata di sinistra da quella centrale, l'affresco di un santo con in capo la mitra e nella mano sinistra il pastorale, ambedue simboli dell'autorità vescovile, datato intorno alla seconda metà del XIII secolo, per alcuni studiosi si tratterebbe di San Gregorio (n. 15), per altri di San Donato, anch'esso opera del Maestro della Bruna. In alto, fa capolino il volto ascetico di un Santo ignoto (n. 15), risalente alla prima metà del XII secolo. Un Santo mutilo, sopravvissuto alla riduzione della colonna quadra effettuata per l'esecuzione del sottostante San Gregorio. Una distruzione dalla quale si è salvata solo la testa, probabilmente per un atto devozionale dell'affrescante. Nell'intradosso dell'arco, a sinistra dell'attuale ingresso, si fronteggiano San Benedetto (n. 10) -

proprio a testimoniare l'origine benedettina del complesso- e Santa Scolastica (n. 9), entrambi fondatori dei grandi ordini monastici che fiorivano in quel periodo, mentre accanto a San Benedetto c'è San Giovanni Battista (n. 11), il precursore del Cristo, ricoperto con la tipica pelle di cammello con in mano un cartiglio con un brano del vangelo di Giovanni. Tutti e tre gli affreschi sono datati fine del XIII secolo. La parete della navata destra è impreziosita da un grande pannello raffigurante l'Incoronazione della Vergine (n. 2), in cui il Cristo simbolicamente pone una corona sul capo della Vergine a rappresentare un momento in cui dopo il 1200 aumentava l'importanza del culto Mariano. Ai lati, a destra, San Giovanni Battista e San Pietro, a sinistra, San Lorenzo e Santo Stefano. Nella parte superiore, a destra, la Deposizione del Cristo, trecentesca, in cui si nota Giuseppe d'Arimatea che ne sostiene il corpo, mentre, sulla scala, Nicodemo ne stacca il braccio sinistro dalla croce e la Vergine avvicina il braccio destro alle labbra. A sinistra San Nicola (n. 2), vescovo di Mira, nella classica iconografia tramandataci nel corso dei secoli. Sono affreschi risalenti all'epoca angioina intorno al XIV secolo, uno stile pittorico particolare sviluppatosi nel XIII-XIV secolo in Italia nel corso delle vicende storiche che ebbero per protagonisti i componenti della famiglia francese dei d'Angiò. Al lato, Santa Lucia (n. 4), protettrice della vista, datata 1610. Di seguito, un San Vito (n. 5) con un cagnolino posto ai suoi piedi, martirizzato sotto l'imperatore Diocleziano, considerato patrono contro la corea, una malattia del sistema nervoso, detta popolarmente ballo di San Vito, una malattia che si manifesta con improvvise contrazioni e movimenti involontari bizzarri dei muscoli d'ogni parte del corpo. A sinistra una seicentesca Madonna con Bambino (n. 8).

Convicinio di Sant'Antonio. Nel cuore del Rione Casalnuovo un elegante portale, contrassegnato con il civico 364, sormontato da un arco ogivale con decorazione trilobata, dà adito ad un cortile su cui si affacciano quattro chiese rupestri. Sorte fra il XII ed il XIII secolo, già dal XVII secolo il complesso fu profanato e gli ambienti religiosi trasformati in cantine, per cui oggi troviamo all'interno delle chiese, dei palmenti per la produzione del vino ed ulteriori ambienti scavati, atti alla conservazione del vino. Il primo vano subito dopo l'arco era adibito ad abitazione del custode. Da questo vano si entra nella cripta di San Primo, oggi meglio nota come “Tempe Cadute”, nome derivante dalla continua caduta di massi (le tempe) che caratterizzava il rione. La cripta si articola in due cappelle divergenti, divise da un pilastro che si rastrema in corrispondenza delle arcate. La volta è a tenda con nervatura centrale; le lunette absidali presentano una croce equilatera a rilievo. Attraverso un varco si accede all'attigua cripta di S. Eligio; in asse diverso presenta un'ampia aula (in gran parte modificata dopo la trasformazione in cantina), seguita dal presbiterio scandito sul fondo e sui lati da tre archi delimitanti absidi di diversa profondità. La cripta prende luce dall'ingresso che dà sulla Murgia e da quattro finestrelle appena strombate. Numerose tracce di pittura a fresco dimostrano la ricchezza decorativa che un tempo copriva le pareti. A fianco la cripta di San Donato, a pianta alquanto quadrata, scandita da due grossi pilastri, che scompongono il piano delle absidi appena abbozzate. Le volte sono a tenda ed evidenziano i tre spazi liturgici: vestibolo, aula e presbiterio. La volta del presbiterio di sinistra è a crociera, quella centrale è un'ampia cupola lenticolare con iscritta una croce gigliata a rilievo. In buono stato sono gli affreschi presenti nella cripta: a destra, sul pilastro posteriore, l'immagine di San Leonardo del quale è visibile solo il volto; sul pilastro anteriore resti di affresco riproducente San Donato in abito monacale, ai cui piedi vi è la piccola figura dell'ignoto committente. Sulla parete di fondo dell'abside, due scene seicentesche: un vescovo a cavallo che trafigge un drago e il miracolo di un santo vescovo alla presenza di monaci e devoti. Cripta di Sant'Antonio. Anticipata da un elegante portale, la cripta, a pianta rettangolare, presenta tre navate scandite da quattro pilastri. L'abside della navata centrale risulta chiusa, formando una vasca per la pigiatura dell'uva. La navata centrale e quella di destra presentano il soffitto a tenda con particolare nervatura. Le cavità lenticolari, che sovrastano i presbiteri laterali, sono arricchite da croci gigliate a rilievo, mentre la volta del presbiterio centrale è a crociera. Gli affreschi raffigurano San Sebastiano, di epoca barocca, posto sull'arco che divide l'aula dal presbiterio, e Sant'Antonio abate, datato XV secolo, collocato nella nicchia del pilastro destro. Nella parete di fondo, a sinistra, deturpata da un crollo, vi è un ex voto con la raffigurazione della Madonna di Picciano che protegge i lavori campestri. Chiesa di Santa Barbara. La chiesa rupestre di Santa Barbara è situata sul costone della gravina ed è raggiungibile da via Casalnuovo all'altezza del numero civico 220, percorrendo una scalinata che conduce all'ingresso della chiesa. Originariamente ubicata fuori dalle mura di Matera, ma per lo sviluppo cinquecentesco del Rione Caveoso, con lo scavo di case e cantine, l'ha resa peri-urbana. I lavori di riqualificazione dell'insediamento hanno portato alla luce una serie di sepolture poste ai margini del piccolo sagrato della chiesa. Sulla piccola facciata della cripta è presente una sorta di protiro, costituito da due semicolonne, con capitello trapezoidale, dove è collocata la porta d'ingresso alla chiesa; mentre a destra un altro ingresso conduce alla “cella del custode”. L'interno della chiesa si può dividere in tre parti: il piccolo vano posto fra i due archi d'ingresso rappresenterebbe un abbozzo di nartece; l'aula a pianta trapezoidale contornata da una banchina; e, dopo una splendida iconostasi, il presbiterio. L'aula, normale nelle chiese rupestri materane, ha il soffitto piano interrotto lungo l'asse longitudinale da escavazioni semicircolari, o meglio cupolette emisferiche, a ricordo e simbolo

dell'architettura bizantina. A destra, sotto una nicchia è un masso parallelepipedo legato alla parete: si tratta dell'ambone per la lettura dei testi sacri; è preceduto da una tozza colonna rastremata con capitello a tronco di piramide rovesciata con accenno di decorazione. La parete opposta ha un ritmo di minore intensità. La bella iconostasi giunge fino al soffitto: al centro un arco parabolico allungato, ai lati una coppia di aperture ad arco con leggero incavo lungo il sesto. Si accede al presbiterio salendo due gradini: al centro i resti di un plinto, sulla parete di fondo l'abside costituita da arcatelle concentriche, di cui la più interna termina su una mensola che probabilmente sosteneva un'icona; a sinistra la prothesis absidata per la conservazione delle sacre specie e la preparazione del rito nella liturgia bizantina; a destra il diaconicon, privo di abside, adibito a sacrestia e vestizione del sacerdote. Dall'analisi degli episodi architettonici presenti la chiesa di S. Barbara può essere definita una cripta bizantina; permane però il problema della datazione, dove neanche la decorazione pittorica presente, che risale ai secoli XV-XVI, può risolvere quella relativa allo scavo. È bene ricordare che il periodo bizantino di Matera si protrae dall'ultimo quarto del IX sec. fino alla metà dell'XI, ma per quanto riguarda la conservazione degli elementi stilistici, artistici ed architettonici, permane fino al XIII secolo. Difficile quindi il tentativo di datare in maniera assoluta questa chiesa e in generale altre dello stesso periodo, in quanto per tutta l'area pugliese e anche per Matera non ci sono fonti archivistiche che attestino la presenza di eremi, lauree e cenobi rupestri bizantini, al contrario della Lucania storica. Lo scavo della chiesa rupestre di S. Barbara potrebbe essere avvenuto tra il IX ed il X sec. Al contrario di quello che la tradizione storiografica locale ha riportato, l'apparato decorativo pittorico della chiesa, costituito da un'immagine della Madonna con Bambino e cinque pannelli che rappresentano la Santa a cui la chiesa rupestre è dedicata, è databile al XV-XVI sec., anche se un piccolo lacerto antecedente a questa datazione, affiora sull'iconostasi accanto alla testa della Madonna e, in alto a sinistra, si intravedono gli occhi e il naso di un santo. Sulla parte sinistra dell'iconostasi sono visibili i riquadri affrescati della Madonna col Bambino, Santa Barbara e una scena di vita contadina riferibile alla Santa. Questa si presenta con capelli biondi, impreziositi da un diadema, con nimbo di colore arancione decorato con perline bianche; la veste bianca, coperta da un manto rosso, con una mano che regge la palma del martirio e con l'altra la torre, dalle tre finestre, simbolo della Trinità, nonché simboli canonici dell'iconografia della Santa. L'altro pannello, la Madonna col Bambino, presenta un biondo bambino nell'atto di donare una rosa alla Madre, identificata come “Madonna del fico”, per il frutto che reca in mano, veste un sontuoso abito articolato nelle decorazioni. Entrambi questi pannelli, insieme alla scena bucolica dei pastori, molto realistica e che probabilmente si riferisce alla agiografia di Barbara, dove un pastore indicò al padre della Santa il luogo in cui si era nascosta dopo essere fuggita dalla torre, possono essere datati al XV sec. Sempre sull'iconostasi, a destra, sono presenti altre immagini di S. Barbara del XVI secolo, eseguite probabilmente da mani diverse, stilisticamente più semplici, realizzate da committenti per devozione. Sulla parete di destra, vicino l'iconostasi, un'altra immagine della Santa, con manto rosso e veste giallo-ocra, reca in mano una torre simile a quella del castello Tramontano di Matera. Un'altra Santa Barbara è affrescata sulla parete di sinistra, sopra l'inizio della banchina, simile al pannello che vede la Santa con i pastori. Santa Barbara è venerata sia dalla chiesa cattolica che dalla chiesa ortodossa e viene invocata ancora oggi come protettrice dai fulmini e dalle morti improvvise e violente. Il culto di Santa Barbara crebbe notevolmente nel periodo delle crociate, per esorcizzare la morte improvvisa.

Madonna dell'Abbondanza. Posta in un recinto privato, in via Cappuccini, 13, la cripta della Madonna dell'Abbondanza è una grande chiesa a navata unica. L'interno, rettangolare, è molto alto (circa m 10); due arcate segnano il soffitto a leggera botte, evidenziando i tre settori della chiesa: vestibolo, oratorio e presbiterio. Sulla sinistra del vestibolo un nicchione con arco a sesto acuto; sulle pareti dell'oratorio si trovano armoniose cavità absidali; l'abside centrale con l'altare ancora incorporato si trova a due metri dall'attuale pavimento. Cappuccino Vecchio. Subito dopo la chiesa dell'Abbondanza, a sinistra inizia un viottolo, Recinto Cappuccini, in fondo al quale è il ciglio della Gravina; sulla destra, dopo un ripidissimo sentiero si raggiunge la cripta del Cappuccino Vecchio. La parte antistante i due ingressi non esiste più a seguito dei profondi processi erosivi che hanno coinvolto tutto il complesso grottale. L'interno della cripta conta due navate che partono da un unico vestibolo rettangolare. Nel suo insieme la struttura è armoniosa, caratterizzata da spazi liturgici ascendenti dall'ingresso verso l'altare. Un arco parabolico introduce nelle due navate parallele divise da un arco; tre gradini immettono nei due bema, mentre altri due gradini conducono nei due presbiteri che comunicano tra loro attraverso un arco. Al centro dei due presbiteri l'altare e due nicchie laterali con probabile funzione di diaconicon e prothesis.

Chiese di Santa Maria de Idris e di San Giovanni in Monterrone. L'attuale complesso del Monterrone, lo sperone di roccia che si erge nel Sasso Caveoso, si articola in due chiese quasi completamente scavate nella roccia. La chiesa di Santa Maria de Idris si presenta ad un unico ambiente irregolare, con una parte costruita voltata che si poggia sul masso calcareo. È dedicata alla Madonna de Idris, probabile traslazione dal greco ad indicare Odigitria, “colei che guida nel cammino”, ma c'è chi dice che il nome sia riconducibile all'acqua; l'altare maggiore, del 1804, è infatti sormontato dall'affresco della Madonna (pianta n. 5) con ai piedi le “mezzine”, brocche utilizzate in passato per la conservazione domestica dell'acqua, affresco conosciuto dalla popolazione locale come Madonna del Litro. Accanto all'immagine della Vergine, sulla destra di chi guarda, è raffigurata la scena della Conversione di S. Eustachio (n. 4), patrono della città di Matera. Gli affreschi risalgono ad un periodo compreso tra il XVII ed il XVIII secolo. Sulle pareti laterali, a destra, è raffigurata una Natività (n. 3) e un S. Antonio da Padova (n. 2); a sinistra, una Madonna orante (n. 6) e diverse altre decorazioni. All'interno della cappella di destra, sulla roccia, una Crocifissione (n. 1) che presenta sullo sfondo una città rinascimentale. Oltrepassata la porta a sinistra dell'altare maggiore, si accede alla chiesa di San Giovanni in Monterrone, anche se l'accesso originario era ubicato all'esterno del Monterrone. Resa irriconoscibile nell'originaria architettura per i continui rimaneggiamenti avvenuti nei secoli, la chiesa conserva una interessante sequenza di affreschi. Entrando, si osserva a sinistra un Cristo Pantocratore (pianta n. 8) datato XI-XII secolo; a destra San Michele Arcangelo e San Nicola (n. 10) del XIII secolo. Di fronte una bellissima nicchia con a destra gli affreschi di San Pietro e San Giacomo Maggiore (n. 13) del XIII secolo e a sinistra un'Annunciazione (n. 14) e, sopra, il Battesimo di Cristo nel fiume Giordano. Lungo la navata un affresco seicentesco dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista (n. 11) e una serie di affreschi palinsesti, cioè sovrapposti ad opere più antiche, raffiguranti San Girolamo, un giovane santo e Sant'Andrea (n. 12).

Chiesa di San Pietro Caveoso. Quella di San Pietro Caveoso è stata senza dubbio per molti secoli una delle quattro parrocchie più importanti della città, assieme alla Cattedrale, a San Giovanni Battista e a San Pietro Barisano. La sua sede più antica era sul piano, nei pressi dell'allora Porta Pepice. Mancano testi scritti sulla prima fase della parrocchia ma, secondo alcuni storici locali, il destino della parrocchia è stato segnato dalla visita a Matera di s. Francesco d'Assisi nel primo ventennio del 1200. Sembra che egli fosse giunto qui con l'intento di fondare un convento; pertanto chiese ospitalità alla comunità ma gli fu inizialmente negata. In seguito ad un miracolo avvenuto nella provincia di Matera, i fedeli della parrocchia di San Pietro si convinsero a cedere l'area dove era collocata la parrocchia per costruirvi un convento francescano e trasferirsi provvisoriamente in un'angusta chiesetta sita in vico Solitario e denominata “San Pietro in Monterrone”, in attesa della nuova chiesa che sembra sia stata terminata già nel primo decennio del 1300. Della fase di costruzione, avvenuta tra la prima e la terza metà del Trecento, non resta quasi nulla, a causa delle trasformazioni successive. Le prime modifiche hanno riguardato l'ampliamento del tempio e la costruzione del campanile, simile, sia pur su piccola scala, a quello della Cattedrale. Il nuovo edificio era composto da tre navate alle quali corrispondevano sulla facciata altrettante porte; le navate laterali avevano cappelle. Anche questa chiesa, come tante in città, ha subito influenze barocche, anche se in maniera molto lieve. La facciata ha mantenuto la linearità e il rosone tipici delle chiese romaniche. Essa è adornata da piccoli acroteri, dalle statue di San Pietro, San Paolo e della Vergine fiancheggiata da devoti nello schema iconografico della Madonna del Confalone. Avanti all'allora cappella di S. Maria del Confalone, vi era l'originale battistero, un monolito che per il suo peso si è salvato dal saccheggio avvenuto nel tempo. Il battistero poggia su una base da cui partono otto bracci terminanti con una foglia di acanto; esso è decorato da una serie di bassorilievi riproducenti l'Agnello pasquale, due grandi mani, un telamone e uno strano animale di fantasia. La seconda cappella, dedicata all'Annunziata, ha pianta quadrata e volta a crociera. Gran parte degli affreschi allora presenti nella chiesa furono, nel periodo di rinnovamento, picconati e ricoperti d'intonaco. Solo l'abside non ha subito sostanziali modifiche; pertanto, sollevato l'intonaco, si è potuto recuperare quasi interamente il ciclo pittorico. Gli affreschi (S. Antonio Abate, la Vergine, S. Lorenzo, S. Domenico, S. Pietro e S. Paolo) sono tardo-seicenteschi; nel catino absidale tracce di un Pantocratore attorniato da Santi e da un piccolo offerente. In fondo alla navata sinistra, la raffigurazione della Sacra Famiglia, della Vergine con il Bambino e le anime del Purgatorio. Un altro affresco con la Crocifissione è in fondo alla navata destra. Attualmente questa chiesa è l'unica nel Sasso Caveoso dove si celebra messa.

Chiesa di San Pietro in Monterrone. Attraverso l'arco posto a destra della chiesa di San Pietro Caveoso si segue a piedi un viottolo sul ciglio della Gravina. Dopo pochi metri, percorsa una breve rampa, al n. 12 del vico Solitario si trova la chiesa rupestre di S. Pietro in Monterrone, in parte soffocata da spessi muraglioni costruiti alcuni anni fa per sostenere la sovrastante massa rocciosa. Questa cripta fu scavata per ospitare temporaneamente il Capitolo di S. Pietro e Paolo, dopo che la chiesa in rupe fu ceduta ai francescani, in attesa che fosse costruita S. Pietro Caveoso. È ad unica navata, divisa in due spazi liturgici da un arco lievemente ribassato: nella prima parte, o aula, si rilevano tre nicchie per lato (a destra due sono occultate da uno spesso muro di sostegno): le nicchie sono molto allungate e profonde e terminano con arco rialzato; nella seconda parte, o presbiterio, le pareti laterali convergenti verso un'ampia e profonda abside sono tagliate da tre piccole nicchie divise da colonne con accenno di capitello. Il soffitto a tenda è più accentuato nella zona del presbiterio. Nelle prime due grandi nicchie di sinistra sono rilevabili tracce di affreschi.

Chiesa di Santa Lucia e Agata alla Civita. Nei pressi si trovano i resti del convento di S. Lucia e Agata alla Civita, convento abbandonato nel 1797; in questo luogo le suore si erano trasferite dalla zona delle Malve nel 1283. Ciò che oggi vediamo è sufficiente per far comprendere lo splendore dell'antico convento. Si può ammirare il portale rinascimentale e, nella lunetta, in bassorilievo, la vergine Agata; di particolare interesse alcune strutture all'interno del complesso e sulla parte posteriore. Oggi la chiesa è utilizzata come Sala Comunale per le celebrazioni dei matrimoni civili.

Chiesa della Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci. Madonna delle Virtù. La cripta di Madonna delle Virtù è una chiesa rupestre a pianta latina completamente scavata in un banco calcarenitico. La data di escavazione della chiesa è incerta: alcune fonti la fanno risalire all'XI secolo, altre al XII. Le penitenti di Accon, giunte dalla Libia e dalla Palestina a Matera, trovarono temporanea accoglienza nel buio cenobio della chiesa, oggi visitabile attraverso una stretta scaletta oppure direttamente dalla strada. Successivamente, nel 1233, le religiose ebbero la loro definitiva sistemazione nel nuovo monastero di Santa Maria la Nova (l'attuale San Giovanni Battista). Nel 1667 la chiesa diventò beneficio del Capitolo della Cattedrale e nel 1674 subì una considerevole opera di restauro. In origine, l'interno a tre navate, era suddiviso da sei pilastri. Con il restauro seicentesco fu operato un intervento di ristrutturazione che cambiò l'asse della chiesa, eliminando due pilastri. L'antico altare fu sostituito da uno nuovo in stile barocco che fu posto sotto l'arco dell'originaria navata destra. Un altro intervento, con riduzione dell'ampiezza della cripta, si è avuto nel 1934, in occasione della costruzione della strada di congiungimento dei due Sassi. Per dare spazio alla strada fu segato l'esterno della navata sinistra, distruggendo il raccordo esistente con la soprastante cripta di San Nicola dei Greci. Fu, quindi, spostato l'ingresso con l'effetto di occultare le movimentate strutture della parete. La chiesa fu poi abbandonata ed un grave degrado la trasformò in discarica di rifiuti. Nel 1967, a cura e spese del Circolo “La Scaletta”, la chiesa fu completamente restaurata, riproponendo l'originaria impostazione della pianta e dell'ingresso e ricostruendo l'altare nell'abside centrale. Inoltre, furono eliminate le posticce superfetazioni e rimesse in luce le parti occultate. Gli affreschi visibili sono due crocifissioni: una nell'abside della navata centrale (sec. XVI) e l'altra in fondo alla navata di destra (sec. XIV). La cripta è uno straordinario esempio di “architettura al negativo”. Vengono, infatti, riproposti tutti gli elementi tipici dell'architettura costruita, ma scolpiti nel cuore della roccia tufacea: le colonne, i capitelli, gli archi, le bifore e anche le tre bellissime cupole ed il matroneo scolpito sul soffitto a capanna della navata centrale. Le opere delle mostre di scultura contemporanea che dal 1987 ogni anno vengono allestite nel particolare ambiente rupestre, acquistano così una cornice molto suggestiva ed emanano nuove ed inattese sensazioni. San Nicola dei Greci. Questa cripta (sovrastante la Madonna delle Virtù) è posta nel cuore della Civita, il più antico nucleo abitato di Matera. La cripta si presenta a due navate. Scavata intorno al IX secolo, ha tutte le caratteristiche dell'impostazione orientale con le varie e tipiche scansioni della liturgia bizantina (aula, bema, iconostasi e presbiterio). L'aula, comune a entrambe le navate, è scoperchiata per il crollo della volta rocciosa avvenuto nel 1700. Sulla sinistra ha un ambone e, addossato alla parete, un pilastro con resti di affreschi. Al centro, un pilastro comune alle navate, sul quale campeggia una figura di santo molto rovinata. In età medievale la cripta è stata usata come area cimiteriale poiché nel pavimento della navata destra e nel pianoro sovrastante sono state rinvenute numerose tombe di tipo barbarico.

Il complesso acquista valenza per l'esistenza di importanti affreschi di epoche diverse. I restauri del 1978 hanno messo in luce pitture sulla iconostasi: a destra un monaco (forse San Nilo di Rossano), a sinistra un palinsesto dal quale affiorano diversi santi. Meritano particolare attenzione gli affreschi dell'abside sinistra rappresentanti San Nicola, Santa Barbara, San Pantaleone ed una Madonna col Bambino; nell'abside di destra è miracolosamente conservata una bellissima crocefissione del XIV secolo. Chiesa di Sant'Agostino e cripta di San Guglielmo. Il complesso monastico di Sant'Agostino domina il Sasso Barisano da uno sperone roccioso, circondato da profondi baratri. I monaci dell'ordine degli Eremitani fondarono nel 1592 il convento annettendovi la chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie. Gli Agostiniani elevarono l'edificio su un antico ipogeo dedicato a San Guglielmo risalente al secolo XI. Nel 1734 un terribile terremoto rovinò l'intero complesso che fu restaurato e diventò sede del Capitolo Generale dell'Ordine degli Agostiniani. La soppressione del convento, frutto delle leggi eversive, vide i suoi locali destinati a ricovero per le truppe; successivamente essi divennero sede del carcere e poi accoglienza per anziani. Oggi è sede della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali. Il nucleo originario dell'insediamento agostiniano è ubicato al di sotto della struttura attuale, in una serie di locali ipogei atti alla vita conventuale, di cui le ultime tracce sono rappresentate da una cripta con ingresso all'interno dell'odierna chiesa, a sinistra dell'altare maggiore. Si tratta della chiesa ipogea dedicata a San Guglielmo da Vercelli (1085-1142), venuto a svolgere il suo apostolato nelle terre del sud. Sulla parete destra ci sono i resti di antichi affreschi e di decorazioni più recenti risalenti al XVII secolo: sono distinguibili una “Madonna con Bambino”, una “Consegna della Regola di Sant'Agostino” e una “Trinità” con padre e figlio incoronati e la colomba dello Spirito Santo su una sfera dorata. Esterno. La facciata è un pregevole esempio di architettura tardo-barocca. È articolata su due livelli e racchiusa entro paraste binate, coronata da un timpano mistilineo. Nella parte inferiore, il portale è sormontato da una nicchia con la statua di Sant'Agostino: il Santo è rappresentato secondo l'iconografia tradizionale, con lunga barba e volto scarno, mitra decorata sul capo e ampio mantello, mentre regge la chiesa con la mano sinistra. Al di sopra del cornicione, c'è una nicchia con la statua di un Santo vescovo benedicente e, ai due lati, le statue di San Paolo e San Pietro ricollegabili alla statuaria della famiglia Persio. Tra la chiesa ed il convento, si eleva il campanile in pietra calcarea, costituito da un parallelepipedo con una monofora su ogni faccia. Interno. La chiesa è a croce latina e si sviluppa in un'unica navata con altari laterali, divisi da pilastri con semicolonne, paraste e capitelli con foglie di acanto. Alcuni degli altari sono in pietra calcarea di artisti locali, altri in marmo policromo e stucco bianco, realizzati da maestranze napoletane fra il 1748 e il 1749. Il primo a sinistra è un altare in pietra intagliata e dipinta in stile tardo barocco. E, sovrastato da una tela incorniciata da putti, volute e foglie, che raffigura una Crocifissione con la Maddalena, San Giovanni Battista e la Madonna ai piedi della croce; in basso compaiono una monaca agostiniana e S. Rita. Il secondo altare è dedicato alla Madonna delle Grazie, estremamente raffinato nella policromia e negli intarsi del marmo che riproducono foglie e frutti. Sull'altare è presente un affresco risalente al 1595, raffigurante la Madonna delle Grazie col Bambino benedicente. Il terzo altare è dominato da una tela raffigurante San Nicola da Tolentino con il libro e il giglio, San Vito accompagnato dai cani, la Madonna col Bambino, Sant'Apollonia e Santa Caterina con le anime del Purgatorio. La cimasa presenta un medaglione centrale raffigurante una croce, una

corona, un giglio e una palma. Il resto è decorato a tempera sul muro. Una statua in legno policromo raffigura Santa Apollonia con tunica dorata e manto rosso, opera di maestranze napoletane. Fra il secondo ed il terzo altare è collocato un pulpito in legno del XVIII secolo composto da un confessionale e un baldacchino, con un medaglione centrale. Nel transetto, sormontato da una cupola emisferica, a sinistra dell'altare maggiore, c'è la statua raffigurante San Vito, della fine del XVII secolo. La statua di destra rappresenta Sant'Agostino in atto di scacciare l'eresia che giace sotto i piedi nelle sembianze di una donna, risalente al XVIII secolo. In fondo al presbiterio vi è il coro ligneo composto di 14 stalli, divisi da lesene sormontate da conchiglie e volute. Antistante al coro c'è l'altare maggiore in marmo policromo intarsiato, su cui è collocato un crocifisso in legno del XVI secolo. Gli altari di destra sono in pietra scolpita e dipinta e risentono del gusto tardo-barocco anche nei soggetti delle tele. A destra dell'ingresso è collocato un prezioso fonte battesimale in pietra proveniente da San Pietro Barisano.

Chiesa di San Pietro Barisano. San Pietro Barisano, in origine detta San Pietro de Veteribus, è la più grande chiesa rupestre della città di Matera. Le indagini archeologiche hanno permesso di individuare il primo impianto rupestre, risalente al XII-XIII secolo, al di sotto del pavimento. Con un primo intervento di ampliamento tra XV e XVI secolo, si approfondì lo scavo della chiesa e si realizzarono le cappelle laterali. Di queste resta solo la parte terminale della cappella situata dietro il secondo altare della navata destra con gli affreschi di San Vito, S. Eustachio, S. Agostino, S. Canio, dell'Annunciazione e di S. Caterina d'Alessandria. Il secondo intervento di ristrutturazione, del XVIII secolo, diede alla chiesa la forma attuale, con la divisione in tre navate, la costruzione della facciata (datata 1755), del campanile e degli ambienti sotterranei destinati alla “scolatura “ dei cadaveri. Questa pratica funebre era riservata ai sacerdoti o agli aspiranti tali: i cadaveri venivano collocati seduti entro nicchie e rimossi solo al termine della decomposizione. Nel 1903 a causa dell'eccessiva umidità la parrocchia fu trasferita nella vicina chiesa di Sant'Agostino insieme a gran parte degli arredi sacri, tra cui il fonte battesimale. Negli anni '60 e '70, a seguito dell'abbandono dei Sassi, gran parte delle opere d'arte furono trafugate o danneggiate. Nella navata destra, partendo dall'entrata, si trovano: l'altare di San Giuseppe, su cui era posta la pala della Sacra Famiglia, trafugata nel 1977, di cui rimane parte della cornice lignea; l'altare della Madonna della Consolazione, con l'immagine in tufo della Madonna con Bambino incoronata dagli angeli e statue di diversi santi; l'altare del SS. Sacramento, con il prezioso pavimento in maiolica. Nella navata centrale si trova l'altare maggiore -ligneo- datato 1771, conservato presso il deposito della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata. Visibile la

cornice della pala d'altare trafugata nel 1977. Proseguendo nella navata sinistra si trovano, partendo dal fondo: l'altare del SS. Crocifisso, con Crocifisso ligneo del '500, oggi collocato sull'altare maggiore della vicina chiesa di S. Agostino, in una cornice ovale in lamina d'oro. Ai lati, le statue in tufo della Madonna delle Grazie e di S. Michele Arcangelo e, in alto, la Trinità. Al di sotto dell'altare, si trovava una statua lignea di Gesù morto trafugata negli anni '70; l'altare dell'Annunciazione, con statue ed arredi in tufo, gravemente danneggiato dai vandali; l'altare di S. Maria Maddalena con statua di S. Antonio da Padova; il “Sancta Sanctorum”, in cui erano conservate le suppellettili liturgiche, i paramenti, i libri sacri e le reliquie dei santi. All'interno gli affreschi del XVI secolo della Madonna con il Bambino e S. Donato.

Chiesa di San Giovanni Battista. Per molto tempo quattro sono state le parrocchie della città: la Cattedrale, San Pietro Caveoso nel Sasso Caveoso, San Pietro Barisano nel Sasso Barisano e San Giovanni Battista. La parrocchia di San Giovanni Battista aveva in principio un'altra sede diversa dall'attuale, sita nel Barisano in via Fiorentini, dove è rimasta fino al 1695. Al tempo la chiesa attraversava una fase di rinnovamento e poiché la vecchia sede era ricavata nella roccia e pertanto molto umida, e migliorare tali condizioni risultava un'impresa tanto ardua, si decise piuttosto di trasferire anch'essa, così come stava accadendo per molte, in una chiesa costruita. Si prese in considerazione di trasferire la parrocchia nella chiesa di S. Maria la Nuova o delle Nove ai Foggiali. Quando la parrocchia si trasferì in questo edificio, furono avviati i lavori di ristrutturazione che ne cambiarono in parte l'aspetto. Furono annessi, per sostegno, alla parte posteriore la cappella del SS. Sacramento (oggi dei Ss. Medici), a quella anteriore un placcaggio che ha completamente modificato la bella e armonica facciata romanica, della quale si è dovuto eliminare qualche elemento decorativo diventato ormai di troppo. In alto fu costruito un campanile a vela, dietro il quale è stato collocato l'angelo che un tempo reggeva il rosone e poi trasferito. Alla fine del 1700 vi furono altri interventi di restauro che però alterarono ancora di più la struttura originaria; a questo periodo risale il rifacimento delle volte che da sesto acuto divennero a vela. Successivamente (inizi del 1900) si cercò di riportare la chiesa al suo aspetto originario. Furono infatti eliminati gli intonaci e le aggiunte che si erano accumulate con il tempo e tornarono a splendere le colonne, i capitelli, i matronei. L'aspetto oggi, nonostante i deturpamenti avvenuti nel corso del tempo, è piuttosto armonioso e piacevole. All'esterno, nonostante il placcaggio settecentesco, è ben visibile la Porta Parva, riccamente decorata secondo il gusto dell'epoca (spiccano le sei testine femminee sull'architrave), si scorge il rosone e il piccolo campanile a vela. Sul retro, si trova la finestra absidale finemente arabescata e sormontata da un suggesto su due mensoloni: in alto la scultura dell'Arcangelo e ai lati le figure di elefanti, di matrice puramente bizantina. L'interno si presenta a tre navate, divise da otto pilastri quadrangolari, cui sono addossate semicolonne da cui partono gli archi che compongono le volte che, nella navata centrale (più alta) sono a vela, in quelle laterali, a crociera. I capitelli, di grande interesse, si rifanno a temi tipicamente romanici, con motivi floreali, vegetali e a volte figurativi. Di fronte all'ingresso, si apre la cappella settecentesca dedicata ai Ss. Medici, con le statue dei santi del XIX secolo e sulla parete di fondo una tela riproducente S. Cosimo e S. Damiano, la Madonna con Bambino, S. Biagio e Angeli di Vit'Antonio Conversi; nella navata sinistra un altare sormontato da una tela raffigurante la Madonna delle Nove con Bambino che stringe nella mano un cartiglio (XV-XVI sec.) e sulla cimasa la scultura di un'Annunciazione di Altobello Persio; a sinistra dell'abside la scultura di una Deposizione (XIX sec.) e in fondo alla navata destra il battistero in marmo.

Chiesa e ospedale di San Rocco. La costruzione dell'ospedale a Matera si rese necessaria a seguito dell'epidemia di peste che colpì la città intorno al Seicento. Per evitare contagi e per curare i malati fu adibito ad ospedale un edificio abbandonato dalle monache nel 1480, di fronte alla chiesa di Santa Maria La Nova, l'attuale chiesa di San Giovanni Battista. L'edificio fu ceduto alla fine del XVI secolo alla Comunità Francescana dei Riformati, i quali lo ristrutturarono e lo trasformarono in un convento. La seconda collocazione dell'ospedale divenne, nel 1610, l'edificio adiacente la chiesa di San Rocco (sorta nel 1233), sempre in piazza San Giovanni. Cinque anni più tardi accanto all'ospedale fu costruita, da parte della Confraternita degli Artieri Artigiani, la chiesa di Gesù Flagellato, affrescata circa un secolo più tardi, nel 1720.

Nel 1726 la gestione dell'ospedale di San Rocco fu affidata ai Padri Ospedalieri di San Giovanni di Dio, i quali ampliarono e modificarono la chiesa. L'Ordine religioso dovete abbandonare la struttura nel 1749 per ordine della Regia Udienza che volle adibire l'edificio a carcere. Nei decenni successivi il carcere fu spostato e l'edificio diventò sede della Croce Rossa. Nel 1865 fu adibito ad ospedale il convento di San Rocco, con una capienza massima di 12 posti letto; nel 1926 fu ampliato con un altro piano con 40 posti letto a disposizione, raggiungendo infine 120 posti letto con l'aggiunta di un terzo piano. La nuova svolta si ebbe nel dopoguerra, quando nel rione Lanera si decise di costruire un orfanotrofio, divenuto successivamente colonia elioterapica ed un sanatorio per bambini affetti da tubercolosi. La conversione di questi nuovi edifici in ospedale avvenne intorno agli anni '70. Il vecchio ospedale di San Rocco fu adibito a biblioteca provinciale, mentre attualmente ospita l'Università degli Studi della Basilicata.

Piazza Vittorio Veneto. Ipogei di piazza Vittorio Veneto. Denominata piazza Plebiscito dopo l'Unità d'Italia, è stata ribattezzata piazza Vittorio Veneto dopo la guerra del '15/'18. La piazza, dalla forma piuttosto irregolare ed allungata, illuminata dall'imponente convento settecentesco dell'Annunziata, dalla chiesa di San Domenico e l'annesso monastero (oggi Palazzo del Governo), dalla chiesetta del Mater Domini e da alcuni dei palazzi storici della città, costituisce da secoli luogo di aggregazione per eccellenza della comunità materana. I lavori che hanno interessato la piazza nel 1992 hanno portato alla luce l'originario piano di calpestio e gli ambienti ipogei, un tempo parte integrante del Sasso Barisano. Case grotta, cantine, concerie, botteghe, neviere, cisterne e un'ampia area dove si svolgeva uno dei due mercati settimanali, costituivano il cosiddetto “Fondaco di Mezzo”, luogo utile insomma alla vita economica e sociale della città. In seguito all'Unità d'Italia nel 1880 l'Amministrazione decise, in memoria dell'evento di costruire una piazza come monumento e questa, per comodità, fu costruita al di sopra del Fondaco di Mezzo, interrando tutto ciò che fino ad allora aveva avuto la sua regolare funzione. Gli ambienti furono lentamente abbandonati e per tanto tempo dimenticati finché, negli anni '90, si decise di intervenire sulle fondamenta della piazza e di riportare alla luce i resti della vecchia città. Lungo il camminamento (ancora oggi non agibile), si incontrano: una cantina a tre livelli per la vendita del vino, una grande grotta che probabilmente è servita come bottega, cisterne, un vasto deposito e poi ancora cantine e cisterne. Il percorso ruota pressoché attorno alla chiesa di Santo Spirito (XI secolo), in principio sede dei Padri Benedettini e in seguito (1300 circa) dei Cavalieri Gerosolimitani o di Malta. Nonostante il tempo, le manomissioni e l'interramento durato oltre un secolo, la cripta offre ancora una lettura piuttosto chiara. Si presenta con pianta quadrata divisa in tre navate da grossi pilastri, ha volte a crociera e scarse tracce di affreschi; dell'annesso monastero purtroppo non ci sono tracce leggibili. Importante la scoperta della cinta muraria ritrovata sotto l'ex convento dell'Annunziata, la torretta a base circolare, le feritoie, i posti di guardia, il fossato (dal quale probabilmente è stato estratto il materiale di costruzione); il fortilizio è stato forse costruito nella seconda metà del XV secolo. Il “Palumbare lungo”, però, resta il luogo più suggestivo dell'intero piano ipogeo; in esso erano convogliate le acque piovane e sorgive e, in seguito all'interramento del 1880, con l'abbattimento degli ambienti ormai in disuso, il palumbare divenne la più grande riserva idrica della città, capace di contenere oltre 5.000 metri cubi di acqua. Nonostante ciò, in alcuni casi di siccità, essa non è stata in grado di soddisfare il fabbisogno dell'intera comunità cittadina.

Chiesa di San Domenico. La chiesa e il monastero sorsero nel Duecento sembra per volere di un discepolo di San Domenico, il quale raggiunse Matera con una lettera nella quale si faceva espressa richiesta della presenza di un ordine Domenicano in città. Gli fu concessa quindi un'ampia area con giardino in prossimità del Fondaco e lì venne costruito il monastero. Sicuramente il complesso conventuale occupava gran parte dei locali ipogei sottostanti all'odierna chiesa e al Palazzo del Governo; la chiesa invece ha sempre occupato solo quell'area. La facciata è l'unico elemento superstite con linee romaniche. Dalla porta d'ingresso si innalzano, su mensole, quattro colonnine per lato, intervallate da eleganti capitelli, le quali sorreggono un arco a tutto sesto che fa da cornice a uno splendido rosone. Le immagini a rilievo raffigurano alcune scene della vita pastorale; nel mezzo, il mistico agnello pasquale dal quale si dipartono 12 raggi, una probabile allusione ai 12 apostoli. Quattro sono le figure in altorilievo che affiancano il rosone, tra cui un telamone in basso che lo sorregge e in alto S. Michele Arcangelo in atto di trafiggere il male. La struttura originaria della chiesa era ad una navata, ma cresciuta la comunità monastica e quindi le necessità, fu ampliata con la costruzione delle navate laterali, modificando però il fianco destro esterno della chiesa, allora abbellito di una serie di archetti. Particolare interesse ha suscitato la costruzione della cappella del SS. Rosario, voluta dall'omonima confraternita. I lavori cominciarono nella seconda metà del 1500 con l'aiuto di artisti autorevoli che si prodigarono ad abbellire la cappella; in particolare l'arco d'ingresso a tutto sesto, finemente scolpito nel suo intradosso probabilmente dall'abile Giulio Persio. Nel 1700 la cappella viene completamente ripresa: inserite le statue di S. Lucia e S. Agata e 14 tele ovali di Vit'Antonio Conversi. La cupola a cassettoni è ben visibile anche dall'esterno quale elemento discordante dalle caratteristiche tipicamente lineari del romanico. La volta, un tempo a capriate, è a botte dalla metà del 1700. Sempre allo stesso periodo risale il rimaneggiamento più importante degli interni: furono aggiunti stucchi che ne modificarono totalmente l'aspetto. La chiesa è sicuramente una delle più ricche in città per la presenza al suo interno di opere di valore. Partendo dalla navata di sinistra, vi troviamo: una tela del Conversi che raffigura l'Annunciazione, una tela di Sarnelli raffigurante la Madonna con Bambino fra S. Vincenzo e S. Giacinto, una bella scultura in pietra dipinta della Madonna della Salute di Stefano da Putignano, con al di sopra una tela riproducente un episodio della vita di S. Domenico; segue una tela raffigurante Gesù Bambino benedicente. Si incontra qui una porta murata che un tempo metteva in comunicazione la chiesa al monastero. Chiude la navata sinistra una scultura di S. Pietro Martire, da attribuire ancora a Stefano da Putignano. Sulla porta della sacrestia vi è la tela raffigurante l'Estasi di S. Caterina da Siena. Sulla parete di fondo una grande tela con il Miracolo di Soriano di Giovanni Donato Oppido. Anche sull'altare che segue vi è una tela di Oppido con l'Apparizione del Crocifisso a S. Tommaso d'Aquino; quindi la statua di S. Domenico e una bella acquasantiera. Dopo la cappella del SS. Rosario, vi è l'altare della famiglia Persio sormontato da una tela di Domizio Persio con la Sacra Famiglia; ancora più avanti, un affresco che raffigura la Visitazione e, infine, nei pressi della porta di ingresso, il sarcofago di Orazio Persio.

Chiesa del Mater Domini. È una piccola costruzione appartenuta ai Cavalieri di Malta, risalente al 1680. Bel campanile a torre piatta con, al centro, gli stemmi dei Cavalieri gerosolomitani e della famiglia Zurla. L'interno, piccolissimo, ha sull'altare un'Annunciazione in pietra policroma. Oggi la chiesa viene occasionalmente aperta in onore dei festeggiamenti per la SS. Madonna della Bruna. A seguito dei lavori del 1993, è stata riportata alla luce la sottostante chiesa dello Spirito Santo, con affreschi, fra cui quello di Santa Sofia, del XIII secolo.

È un raro esempio di insediamento dei monaci benedettini presenti al Piano. Ignota l'epoca della sua origine, anche se da alcuni documenti si possono notare diverse trasformazioni che vanno dall'anno 1000 fino al 1600.

Convento dell'Annunziata. L'imponente palazzo che delimita piazza Vittorio Veneto sul lato ovest è l'antico convento dell'Annunziata, terminato nel 1748 come nuova sede delle suore Claustrali Domenicane. La costruzione sorse poco al di fuori della “porta Maggiore” (chiamata anche “della Bruna” e demolita nel 1820), nella contrada “Fontana della Torre”, dove le monache possedevano un orto. Il progetto originario, steso nel 1734 da Vito Valentino di Bitonto, fu portato a termine da Mauro Manieri di Nardò, architetto molto attivo nel barocco leccese. La facciata del palazzo si sviluppa su due ordini, ed è ritmata da una serie di marcapiani e arcate, l'ultima serie delle quali mostrano lo sfondo del cielo e nascondono un roof garden che ospita un caffè dal quale è possibile godere di una visuale mozzafiato che va dall'affaccio sulla piazza e sugli ipogei, ai Sassi e, alle spalle, a perdita d'occhio, l'altopiano murgico. L'arcone centrale nasconde una chiesa, mai officiata, progettata nel 1844 in stile neoclassico, utilizzata dapprima come luogo di riunioni e attualmente come cinema, nel quale sono ancora visibili le maestose colonne in pietra bianca. La costruzione venne utilizzata come convento fino al 1809, anno della soppressione degli ordini monastici; poi divenne sede del Tribunale, dell'Ufficio del Registro; ancora dopo fu sede di scuole elementari e medie, fino a essere ultimamente restaurata per diventare sede della Biblioteca Provinciale, intitolata a Tommaso Stigliani, poeta materano del '600, che custodisce 250.000 volumi, tra cui preziosi manoscritti, incunaboli, pergamene e cinquecentine.

Chiesa di San Francesco da Paola. La chiesa di San Francesco da Paola è situata nell'odierna via XX Settembre. Venne costruita nel 1774, appena fuori la principale porta d'ingresso della città, per dare asilo alla confraternita dedicata al Santo di cui la chiesa porta il nome. Il culto del santo si diffuse in tutto il meridione grazie alla congregazione dei frati minori costituitasi dopo il 1507, anno della morte del santo. La chiesa presenta una facciata barocca arricchita da lesene e divisa in due da un cornicione marcapiano; nella parte inferiore è notabile un portone ligneo costruito dopo la seconda guerra mondiale, mentre nella parte superiore è presente un finestrone rettangolare al di sopra del quale si nota una nicchia con la statua policroma del Santo. Nella parte sinistra dell'edificio, in alto, un piccolo campanile a vela rintocca nei periodi delle funzioni religiose. L'ingresso della chiesa è preceduto da un piccolo sagrato. La struttura è a croce latina con un'unica navata. Internamente, a sinistra, vi è la statua in terracotta del Santo, al di sotto della quale, sono presenti le sue reliquie.

Chiesa di San Biagio. La chiesa di San Biagio è situata nell'omonima via, zona in passato detta “dei Foggiali”. La chiesa venne costruita alle propaggini della città barocca e sulle sue antiche fondamenta nel 1642; si tratta di una chiesetta molto piccola, caratterizzata da una semplice facciata, che presenta due alti campanili a veletta e una finestra quadrata al centro con una colonna che ha la capacità di dividere a metà l'intera facciata. Su ambo i lati della porta d'ingresso, invece, sono presenti due nicchie con le statue di Sant'Agata e Santa Lucia, il che attesterebbe il possesso della chiesa all'omonimo monastero benedettino femminile. La chiesa appartiene alla chiesa Cattedrale che possiede in un braccio d'argento un osso del braccio del Santo stesso. La chiesa era luogo di pratiche cultuali legate alle virtù taumaturgiche di san Biagio, in particolare ogni 3 febbraio quando veniva indetta la processione in onore del Santo. La chiesetta resta chiusa tutto l'anno: viene aperta in occasione della festa del santo vescovo di origine armena, il cui culto a Matera potrebbe essere messo in relazione con la comunità armena raccolta intorno al cenobio benedettino di Santa Maria de Armeniis già dal IX-X secolo d.C.

Chiesa di Santa Lucia e Agata alla Fontana pubblica. Alla fine del 1700 la Comunità benedettina femminile della Civita, a motivo della persistente mortalità delle claustrali, cercò un nuovo spazio e questa volta sul Piano. Alla fine fu scelta la vasta area alle falde del castello Tramontano, presso la vecchia fontana pubblica. Le monache presero possesso della sede, grande ed ariosa, con ampio giardino, il 24 marzo 1797; nello stesso anno fu inaugurata la chiesa-cappella con il titolo, consueto, di S. Lucia e Agata. A navata unica, questa appare oggi più ampia, perché il presbiterio è stato portato indietro; la facciata, dotata di elementi decorativi semplici ed eleganti, è ornata dal ritmo sobrio dei profili e degli spessori convessi della superficie aggettante. Nell'interno, la prima specchiatura evidenzia una bellissima scultura in marmo policromo di Carrara raffigurante il Sacro Cuore di Gesù. La seconda specchiatura, sia di sinistra che di destra, si distingue dalle altre per la presenza di una elegante nicchia e di cornici elegantissime. Su quella di sinistra si stende una tela settecentesca con S. Giuseppe, la Madonna con Gesù infante e S. Elisabetta con S. Giovannino; su quella di destra la tela ricorda il martirio per accecamento di S. Lucia. Per tutto il perimetro della chiesa girano i matronei da cui le suore claustrali seguivano la liturgia. Il monastero fu soppresso dalle leggi eversive emanate nella seconda metà dell'Ottocento. Chiesa di San Francesco d'Assisi e cripta dei Santi Pietro e Paolo. La chiesa di S. Francesco d'Assisi, posta in posizione di spicco al termine di via del Corso e all'inizio di via Ridola, al limitare dell'omonima piazza chiara e luminosa, ci presenta un'ampia e regolare facciata barocca risalente al 18esimo secolo, pur essendo originaria del Duecento, in quanto fu varie volte modificata. Per tradizione popolare la chiesa fu fondata dallo stesso s. Francesco con licenza di papa Onorio III. La facciata si presenta armonicamente disposta su due piani divisi lateralmente da cornicioni marcapiano, e attraversata da lesene che terminano in acroteri che slanciano e raccordano le due parti. Nella parte inferiore, le cinque finestre e il portale sono circondati da delicate volute vegetali, mentre nella parte superiore, al centro, nella nicchia, statua della Madonna Immacolata, con angeli che reggono il ricco drappeggio barocco, mentre al limitare del marcapiano, a destra S. Francesco e a sinistra a S. Antonio da Padova. Nello sviluppo architettonico della chiesa si possono individuare quattro momenti salienti: la prima fase di costruzione si attesta intorno al 1200, quando sopra il preesistente convento dei Ss Pietro e Paolo, durante la fase di maggior espansione del movimento Francescano in Basilicata, venne eretta la prima chiesa dedicata a s. Francesco, di cui troviamo memoria in scarsi particolari superstiti alle varie trasformazioni che si possono individuare ad esempio in un vano a destra del coro ove è visibile l'originaria volta a crociera profilata da costoloni, o nella originaria porta di ingresso, posta ad oriente, murata ed occultata da una scalinata, o ancora nei resti del sarcofago del conte di Timmari Tovarelli, posto a settentrione. Un altro momento cruciale della genesi della chiesa avvenne nel XV secolo, quando fu ampliata e fu aggiunto il convento attiguo, e furono aggiunte le cappelle laterali all'interno; di questo momento si possono vedere gli affreschi quattrocenteschi, in parte mutili, venuti alla luce con la rimozione del coro ligneo dietro l'altare, che raffigurano scene dei “Miracoli di S. Giacomo Maggiore, l'Annunciazione, una Madonna in trono e i Quattro martiri di Albano. Nel 1670 il luogo subì una prima trasformazione barocca per iniziativa dell'arcivescovo Lanfranchi, mentre un secolo dopo l'interno veniva riorganizzato rivestendo interamente la chiesa con preziosi fregi in stucco. Interno. L'interno si presenta attualmente a navata unica, con cappelle laterali, delle quali alcune in particolare molto interessanti quali ad esempio la seconda cappella a destra che contiene un elaboratissimo altare con alzata lignea, che contiene la statua lignea di S. Antonio dello scultore Stefano da Putignano.

Nella seconda cappella a sinistra è da vedere la tela di Antonio Stabile (1580) “Immacolata Concezione” in cui è rappresentata la Vergine che schiaccia il serpente, circondata da una cornice di nuvole e dai vari simboli e cartigli legati al culto Mariano. Nella terza cappella sinistra invece vi è una botola che conduce alla cripta dei Ss. Pietro e Paolo, che contiene alcuni tra gli affreschi più antichi del patrimonio materano e consta di due ambienti entrambi con cavità lenticolari rappresentanti una simbolica cupola sul soffitto: nel primo, con una nicchia ad arco parabolico, affresco rappresentante S. Vincenzo; nel secondo, nella cavità absidata ricavata all'estremità, Madonna con Bambino affiancati dagli arcangeli Gabriele e Raffaele. L'affresco attiguo invece ha un valore oltre che artistico, anche documentario: sembra che rappresenti la visita a Matera di papa Urbano II nel 1093, che appare seduto in trono con ricca veste dalmatica e affiancato dall'abate Stefano che regge in mano la regola del suo ordine. Gli edifici sullo sfondo azzurro dell'affresco ritraggono probabilmente la chiesa di S. Eustachio, edificata attorno all'anno Mille e consacrata nel 1082 nel luogo in cui attualmente si trova la Cattedrale. L'elemento più importante contenuto in questa chiesa è sicuramente il Polittico smembrato (XV secolo) e sistemato sulla balaustra della Cantoria, contenuto in una bella cornice seicentesca, in un primo momento attribuito a Bartolomeo Vivarini e in seguito definitivamente identificato come opera di Lazzaro Bastiani, diviso in nove riquadri: al centro Madonna in trono col Bambino e a sinistra S. Pietro, S. Francesco, S. Caterina e S. Elisabetta; a destra S. Paolo, S. Antonio, S. Bernardino e S. Ludovico da Tolosa. Da notare la finezza dei tratti, i lineamenti delicati e la ricchezza di particolari delle preziose vesti, che ne fanno un'opera di grande pregio. L'ultimo capolavoro che riserva la chiesa è, vicino al portale d'ingresso, l'antichissima acquasantiera (sec. XIII), abilmente scolpita in pietra probabilmente dagli stessi lapicidi operanti nella Cattedrale e nelle chiese di S. Giovanni e di S. Domenico, tutte e tre coeve. Palazzo del Sedile. Tra il XV e il XVII secolo una sostanziale crescita sociale ed economica segnò la città di Matera che fino ad allora era rimasta stretta tra le cinta murarie e succuba del potere baronale. Nacque infatti la necessità di un'organizzazione più evoluta vista anche la crescita demografica della cittadella. I primi edifici ad essere stati eretti fuori dalle mura della “Civitas” furono, nel XIII secolo, essenzialmente monastici o appartenenti alla chiesa, ma seguirono, nei secoli a venire, strutture residenziali, amministrative e non solo. La città quindi spostò il suo baricentro appena fuori la porta detta di “Juso”, nella nuova Piazza Maggiore (successivamente detta Piazza del Sedile), area nella quale già da qualche tempo si svolgeva il mercato e dove erano attive già botteghe, concerie, magazzini, ecc. Verso la fine del XVI secolo fu eretto il Palazzo del Sedile, sede del Municipio. Da quel momento partì un vero e proprio processo di urbanizzazione che cambiò radicalmente e definitivamente l'aspetto della città. L'edificio fu eretto quindi per ordinanze municipali e, dopo essere stato sino al 1944 sede dell'Amministrazione Comunale, ha ospitato e ospita ancora oggi il conservatorio di musica “E. Duni”. La facciata, arricchita da un ampio arco sostenuto da due torri campanarie, ospita in alto le statue della Madonna della Bruna e di S. Eustachio, i due protettori della città di Matera e, di fianco all'arco d'ingresso, quelle delle quattro virtù cardinali (giustizia, fortezza, temperanza e prudenza), virtù emblema del buon governo. In principio l'ingresso lo si faceva oltrepassando una balaustra, all'interno della quale girava una banchina (il sedile appunto, simbolo del potere), dove si riunivano gli eletti per dibattere i problemi e le decisioni del municipio. Nel 1700 il sedile perse la sua funzione e divenne il piedistallo della statua di Carlo III di Borbone. Nell'ampio androne (dove era sita fino al 1799 la statua di Carlo III), sulla destra, vi è un affresco raffigurante Carlo III a cavallo e sulla volta coevi dipinti celebrativi della bellezza del regno di Napoli.

Cattedrale. L'edificazione della cattedrale di Matera viene generalmente collocata tra il 1203 ed il 1270 (come sembra testimoniare l'iscrizione che si trova sulla porticina d'accesso al campanile). Inizialmente era forse dedicata a S. Eustachio, perché parzialmente edificata sull'area che, dalla fine dell'XI secolo, ospitò il monastero benedettino di S. Eustachio e la chiesa contigua. La dedicazione originaria della chiesa era comunque quella a S. Maria de Episcopio; successivamente (tra la fine del XIV e l'inizio del XV) venne intitolata a S. Maria della Bruna e poi, probabilmente nel XVII secolo, anche a S. Eustachio. Esterno. La cattedrale, edificata in stile romanico-pugliese, è caratterizzata dalla “facciata a salienti” propria delle chiese romaniche, nelle quali il profilo della costruzione segue la diversa altezza delle navate. La facciata è dunque scandita da paraste cui si sovrappongono elementi verticali consistenti in colonnine sorrette da telamoni ed animali fantastici. Ai due terzi dell'altezza troneggia lo splendido rosone scandito nello spazio centrale da 16 colonnine ed 'avvolto' da due cornici decorate. Intorno al rosone, quattro figure; quella in alto è l'unica di indubbia identificazione: si tratta dell'Arcangelo Michele che uccide il drago. Per le due figure ai lati, che sembrano sorreggere il rosone, si nota una differenziazione nell'abbigliamento: la figura a sinistra ha abiti più modesti rispetto a quella di destra. Ma è il personaggio in basso, in atteggiamento da atlante, ad indossare gli abiti più ricchi, quasi fosse un nobile. È possibile che queste figure rappresentassero le diverse classi sociali del tempo (un artigiano, un ricco ed un nobile); ma potevano anche simboleggiare, così collocate intorno al rosone, la Ruota della Fortuna e quindi l'instabilità della sorte e l'avvicendarsi imprevedibile dei casi umani. Al di sopra del rosone, sulla sommità della facciata, un'archeggiatura cieca è scandita da 12 colonnine sorrette da altrettanti telamoni, possibile rappresentazione dei dodici Apostoli (così come le quattro colonnine, due per lato, su cui poggia l'ultimo elemento laterale dell'archeggiatura, potrebbero rappresentare i quattro Evangelisti). Al di sopra dell'architrave dell'ingresso principale vi è una Madonna col Bambino, mentre ai due lati si notano le sculture dei Ss. Pietro e Paolo. Più in basso, ai due angoli della facciata, al di sotto delle due monofore che si aprono in corrispondenza delle navate laterali, le immagini di S. Eustachio (a destra) e di sua moglie S. Teopista (a sinistra). Le due sculture, come quelle di S. Pietro e di S. Paolo, sono attribuite ad Aurelio Persio, scultore attivo nella prima metà del Cinquecento, o comunque alla sua cerchia. Il lato meridionale presenta due portoni monumentali; il primo, detto “Porta di piazza”, è ornato tutt'intorno da motivi vegetali tipici dello stile romanico pugliese. Ai lati, poste su due mensole, le raffigurazioni di due monaci: quello di destra è intento nella lettura, quello di sinistra, acefalo, è raffigurato nell'atto della preghiera. È probabile il riferimento alla regola benedettina dell'”Ora et labora”. Nella lunetta sovrastante vi è invece un bassorilievo che rappresenta Abramo, padre delle tre grandi religioni monoteistiche, Ebraismo, Cristianesimo ed Islamismo, tutte presenti in città al momento della realizzazione del bassorilievo. Il secondo portone monumentale si apre al di sotto del protiro ed è detto “Porta dei leoni”, per via dei leoni su cui poggiano le due colonnine che sorreggono, appunto, il protiro e che sembrano lì collocati a guardia della fede. L'architrave è invece decorata da pomi e da sei piccole teste di fanciulle o angeli probabile simbolo di purezza: è chiaro che la simbologia sacra si mescola a quella profana, conferendo ad una serie di immagini una chiara funzione apotropaica. Tra le due porte si apre una finestra finemente decorata con fregi vegetali. Di gran pregio anche il piccolo rosone presente sul braccio del transetto e sormontato da un rilievo di S. Eustachio che, per le forme piuttosto geometriche, si discosta dalle altre sculture esterne presenti. Sull'altro lato della cattedrale si apre una porta secondaria, ma di grande valore storico: sembra che fosse la porta attraverso la quale il conte Giovancarlo Traversano tentò invano di mettersi in salvo. Una seconda porta, oggi murata, era detta “porta del serpente”, per la figura di serpente che si sviluppa intorno all'arco di ingresso.

Il campanile è stato modificato nel suo impianto originario con un intervento che non è possibile collocare con precisione nel tempo: inizialmente terminava a torre, con finestre e bifore; successivamente venne aggiunta la cuspide che ne elevò l'altezza a 52 metri. Interno. Se l'esterno conserva per gran parte la sua struttura originaria, l'interno ha invece subito sino all'inizio dell'Ottocento una serie di trasformazioni radicali che ne hanno alterato completamente l'aspetto. La pianta della Cattedrale è scandita da tre navate e ha forma di croce latina; misura m 52 in lunghezza, m 18 in larghezza e m 23 in altezza. Originariamente la pianta era a T, perché terminava laddove oggi sorge l'altare maggiore, davanti al quale era collocato il coro. Ma all'inizio del Settecento la navata centrale venne allungata, sfondando l'abside originaria, per far posto al Coro. Della partizione di età romanica rimangono le dieci colonne che sorreggono le arcate con i loro splendidi capitelli, uno diverso dall'altro, secondo gli stilemi della tradizione romanico-pugliese. Ma è nel corso del Seicento che avvengono le trasformazioni più radicali: la chiesa si arricchisce di opere di gran pregio, vengono aggiunti stucchi e decorazioni. Nel Settecento nuovi ornamenti in stucco d'oro trovano posto sulle pareti e sul soffitto mentre nel 1719 un controsoffitto ligneo va ad occultare le capriate originarie della navata centrale. In origine la chiesa era dotata del solo altare posto nella navata centrale: oggi gli altari sono 12, compreso il maggiore. Frutto di interventi successivi anche le cappelle che ampliano la cattedrale, molte delle quali vennero eliminate nel corso del Settecento (sembra che fossero divenute ben 33). Il primo altare della navata sinistra, eretto nel 1627, è detto della “Madonna della Bruna”: esso custodisce l'affresco della Madonna della Bruna, così detta per il volto scuro oppure con riferimento alla sua funzione di difesa nei riguardi della città (dal latino longobardo brunja nel significato di “corazza, armatura”). L'affresco risalirebbe addirittura al 1270, anno in cui la costruzione della cattedrale venne ultimata. Proseguendo verso l'altare maggiore si incontra la Cappella dell'Annunciazione, realizzata nel '500 forse da Altobello Persio e da Sannazzaro d'Alessano nel 1534. Di gran pregio anche il ciclo pittorico che adorna la volta della cappella: si tratta di figure di Sibille e Profeti, da alcuni attribuite a Giovanni Todisco, pittore attivo nel XVI secolo. In fondo al transetto sinistro vi è poi il bellissimo dossale dell'altare di S. Michele, opera di Altobello Persio datata intorno al 1539: decorato con delicati fregi rinascimentali, ospita nelle nicchie la Madonna col Bambino e quattro Santi (S. Giacomo, S. Simeone, S. Giuda e S. Caterina da Siena), mentre la predella in basso è decorata con un bassorilievo raffigurante l'Ultima cena. Accanto al dossale, sull'architrave della porta d'accesso al campanile, compare il distico che fa riferimento alla data di fine costruzione della chiesa. Alle spalle dell'altare maggiore vi è la splendida pala d'altare realizzata da Fabrizio Santafede, attivo a Napoli, sua città natale, tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo: sulla tavola centrale vi è una rappresentazione della Vergine con i Santi Giovanni Battista, Pietro, Paolo, Donato d'Arezzo, Biagio di Sinope e il committente Giovanni Pietro Sanità; la predella è invece costituita da una serie di riquadri raffiguranti la Visione di S. Eustachio, S. Caterina, la Caduta di S. Paolo, Salomè con la testa del Battista, la Visitazione, il Martirio di S. Pietro, un Santo Vescovo, S. Giovanni in Oleo. Nell'ovale superiore vi è invece una raffigurazione della Trinità. Dietro l'altare maggiore si trova il coro ligneo. Fu realizzato tra il 1451 ed il 1453; è composto di 50 stalli ed è minuziosamente decorato ad intaglio con motivi vegetali, animali e fantastici, nonché con soggetti sacri. Per quanto riguarda la navata destra, subito a lato dell'ingresso principale, il meraviglioso Giudizio Universale, unico residuo di una più ampia decorazione pittorica medievale generalmente attribuita a Rinaldo da Taranto, pittore del XIII secolo.