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Mat3M O A P

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Mat3M

b O b Ab P

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L’idea di redigere personalmente gli appunti dei corsi piu belli (o per i quali questa pratica si fosse rivelata piuutile) e nata quasi per gioco, come molte altre abitudini, e per dare una forma piu precisa a quel processo, delicatoe lento, chiamato “apprendimento”. Gradualmente questa pratica ha avuto due piacevoli conseguenze.

La prima e una discreta (almeno in prima approssimazione) padronanza di quello che e lo standard tipografi-co per un libro che tratta di argomenti “scientifici”: un libro di Matematica, per quanto breve, deve possederequella stessa struttura che e intrinseca al ragionamento che in esso compare, e parallelamente chi lo componedeve possedere la necessaria sensibilita per apprezzare la differenza tra una arida enumerazione di definizione-proposizione-teorema-lemma e invece una sorta di “cammino educativo” che prende per mano il lettore e lo conducea capire quelle quattro, cinque idee fondamentali che sono sottese all’argomento che il libro tratta. E’ irrinuncia-bile dunque rivolgere la propria attenzione ad un metodo di scrittura, quale e il linguaggio TEX, che permetta diorganizzare e subordinare logicamente, prima che graficamente, gli argomenti che si vogliono affrontare. Ovvia-mente, non penso di aver raggiunto nemmeno un pezzetto di questo obiettivo: e pero nato in me un modo nuovodi guardare al “libro di matematica”, comprendendo la sua diversita da un qualunque altro prodotto di editoria.La metafora migliore che ora mi viene in mente per apprezzare e far apprezzare ad un estraneo la differenza trai due tipi di volume e quella urbanistica: gli Elementi di Bourbaki (tanto per non fare nomi) sono assimilabilead una metropoli densa di vita e di eventi, che per essere vissuta agli innumerevoli livelli che la sua struttura(frattale?) offre deve essere digerita con calma, affrontata pezzo per pezzo per impedire che la sua grandezza cisovrasti. Solo le opere di Borges hanno avuto in me questo stesso effetto, pur non contenendo una sola equazione.Altre opere dell’intelletto (e in tal caso, davvero, e piu prudente non fare nomi) si possono invece pensare comecomunita molto piu tranquille, poco dedite a stupire il lettore/abitante e anzi, desiderose di evitargli ogni formadi meditazione. Dire chi stia meglio dove, non compete mai all’autore: certo e che da lettore/scrittore amatorialeauspico una sintesi tra i due mondi, un “inurbamento” di certe letture talmente scialbe da diluire nel nulla le pocheidee interessanti che in esse sono soffuse, e la perdita, da parte di certi autori di libri di Matematica, di un certoamore per le costruzioni che si innalzano a perdita d’occhio come grattacieli, e impediscono a chi soffre una leggeravertigine algebrica di apprezzare quel punto di vista che e permesso all’equilibrista.

Il secondo risultato e stato l’invito da parte di alcuni dei miei quattro lettori1 a mostrare al docente che in quelperiodo ci istruiva il risultato finale di tre mesi di fatiche. Fino a ieri questo consiglio ha incontrato sempre unnetto rifiuto. Ora i piu fidati di loro (e la constatazione che l’oggetto da me prodotto aveva raggiunto dimensioniapprezzabili) mi hanno forse convinto: prima di poterlo fare pero preciso una volta per tutte cio che in altri contestimeno “professionali” ho comunque messo in chiaro con forza: nulla di quanto seguira e “mio” in un modo chemi permetta di vantarmene, o peggio, di lucrarne. Come in una sorta di strano setaccio infatti, tutto quello chenelle successive pagine e degno di nota non e merito mio, potendo essere sempre ricondotto alla capacita e allapertinenza delle fonti che ho consultato, e invece ogni errore, refuso, omissione, confusione o travisamento e miacolpa e mia proprieta.

Per coerenza dunque, e come ultimo paragrafo di questa presentazione, mi sembra logico nominare persone ecose che hanno partecipato al mio processo di apprendimento: Lezioni di Geometria Analitica e Proiettiva, G. Beltrametti et al. The real Projective Plane, H.S.M. Coxeter Geometric Algebra, Emil Artin Cours D’Arithmetique, Jean Pierre Serre Projective Geometry, L.N.G. Filon Projective Geometry, O. Veblen e J.W. Young Elements of Projective Geometry, L. Cremona Un numero imprecisato (per fortuna non infinito) di dialoghi con i docenti M. Candilera, titolare del corso, F.

Esposito, assistente del corso, e M. Cailotto, persona dalla disponibilita e dalla chiarezza (non solo didattica)fuori del comune. Un numero indefinito, forse infinito, di conversazioni (telefoniche e non) con tanti compagni di corso, cuidovro a breve farmi pagare in birra tutti i teoremi e i corollari spiegati a notte alta in vista dell’esame.

A tutte queste persone e alla loro fatica (nel sopportare domande noiose, nell’aver prodotto il materiale su cui hostudiato) va il merito di queste poche e caotiche pagine.

1. . . ove qui “lettori” e inteso nell’accezione di “compagni di corso gentilmente invitati –chi ha orecchie per intendere. . . –a leggere quel che man mano producevo”

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GEOMETRIA PROIETTIVA

Due rette parallele non siincontrano mai... e se siincontrano non si salutano.

Corrado Guzzanti

Intro: Come dare significato matematico alla frase “Queste due figure si somigliano”? La risposta piunaturale e che esse si somigliano, se, a meno di certe operazioni che su di esse possiamo compiere, una eidentica all’altra. Tutto si riduce allora a fissare quante e quali sono le trasformazioni che su una figurapossiamo applicare: e lecito operarle una qualunque tipo di deformazione? Oppure dobbiamo limitarcisolamente a quelle continue (quelle che non “bucano il foglio”)? O ancora, possiamo o meno “invertirne”l’orientazione come se la volessimo riflettere in uno specchio? Analogamente a quanto capitato in tuttele branche della Matematica moderna, l’intero edificio della Geometria si e costruito sui concetti chiavedi insieme e di funzione: sacrificando un certo amore per l’immediatezza, ma guadagnando il potentestrumento della generalita, l’opera di Felix Klein e il suo Erlangenprogramme ci hanno insegnato cheuna “Geometria” e per noi null’altro che la definizione precisa dell’azione di un gruppo di trasformazioni(funzioni invertibili) su un insieme di oggetti (che per dirla con Hilbert, possono assumere la foggia chepiu ci piace, diventando tanto punti e rette quanto boccali di birra e stecche da biliardo). Detta C la classedegli oggetti che vogliamo trasformare, e G il gruppo che agisce su C, due di tali oggetti (T e T ′) si dirannoequivalenti nel momento in cui esiste una g ∈ G tale che T ′ = g(T ). Una Geometria e essenzialmentedeterminata dalle caratteristiche del quoziente C/G, e le sue caratteristiche dipendono solo da quelle di G:la conquista intellettuale maggiore di questo nuovo punto di vista e pensare in modo nuovo lo “spazio”,come determinato unicamente dalle trasformazioni che su di esso sono permesse: la geometria e ora lostudio di quelle “figure” che sono invarianti rispetto all’azione di G: l’equivalenza di cui prima smembral’insieme C in classi che sono le “figure geometriche” che si vogliono studiare. E’ allora con questo spiritoche partiamo a definire il problema (estendere il gruppo di trasformazioni a noi note, in modo costruttivoe coerente) e la sua soluzione (definire lo spazio proiettivo su uno spazio vettoriale). Dunque, riassumendobrevemente il percorso fatto finora, abbiamo parlato di Spazi Vettoriali, il cui gruppo di trasformazioni e quello delle applicazioni lineari invertibili

(Aut(V ) ≃ GLn(K )); Spazi Affini, estensione della nozione di spazi vettoriali, il cui gruppo di trasformazioni e quellodelle affinita (Aff(A ) ≃ · · · ≃

(1 0t

v a

)); Spazi Metrici (Euclidei), il cui gruppo di trasformazioni e quello delle isometrie (Sim(E) ≃

On(R ))2

Partiamo da una osservazione che mette in luce una caratteristica delle affinita: esse rispettano uninvariante molto semplice da “visualizzare”, quale e la proporzione tra tre punti.

2Nessuno di questi isomorfismi e canonico.

2

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Osservazione. Le affinita rispettano una quantita detta proporzione. Dati cioe O,P,Q ∈ A n ed f :A n → A n affinita associata a φ ∈ End(V ) (ricordiamolo, f(P + v) = f(P ) + φ(v)) allora si ha

Q−O

P −O=f(Q)− f(O)

f(P )− f(O)

Dimostrazione. Si vede subito dalla definizione di affinita: se (Q−O) = α(P −O) si ha

f(Q)− f(O) := φ(Q−O) = φ(α(P −O)) = αφ(P − O) =: α(f(P )− f(O)) Q.E.D.

Partiamo proprio da questa osservazione per notare come non tutte le trasformazioni che e possibiledefinire su A siano riconducibili ad affinita: per essere tali esse dovrebbero tutte rispettare questa propri-eta, ma basta poca inventiva per trovare una trasformazione geometrica “innocua” che pero non ha alcun

modo di essere assimilata ad una affinita. Definiamo all’uopo la mappa che, fissati P e π (risp. un puntoe un piano), manda X ∈ A in (P ∨X) ∩ π3: cerchiamo ora di scrivere tale f in maniera leggermente piu“analitica”.

b P

bc f(S)

bc f(X)

bcS

bcX

π

Innanzitutto π si puo scrivere4 Y ∈ A | n ·(Y −Q) = 0. Poi un puntogenerico della retta P ∨X si scrivera P + t(X − P ) con t ∈ R . Tale puntoe nel piano quando e verificata

n · ((P −Q) + t(X − P )) = 0 = n · (P −Q) + tn · (X − P )

Ora, se X − P non e parallelo a π la soluzione e unica in t = n·(Q−P )n·(X−P ) ed

f si scrive

f(X) = P +n · (Q− P )

n · (X − P )(X − P )

E’ questione di conti convincersi che punti allineati vanno ancora in puntiallineati mediante f , ma e facile convincersi pure del fatto che il rispettodelle proporzioni e perduto: gia questo basta a dire che f non e una affinita.Notiamo poi che

1. Tale f non e biiettiva (cosa succede se π ‖ (P ∨X)?)

2. Le relazioni lineari con le coordinate non sono rispettate (notare che le incognite(

X1.

Xn

)compaiono

a denominatore)

Vi sono molte ragioni (storiche, artistiche, fisiologiche: prima delle quali la nozione di prospettiva incampo artistico, non ultima la nascita della fotografia oppure la comprensione che la visione si basaessenzialmente sulla percezione prospettiva dello spazio) a proposito del perche si senta il bisogno diesprimere trasformazioni come questa in un modo che sia naturale. E’ proprio con lo spirito di aprire lastrada a nuove scoperte che definiamo lo

Definizione 1 (Spazio Proiettivo). Sia V spazio vettoriale di dimensione finita sul corpo K . Diremospazio proiettivo associato a V l’insieme di tutti i sottospazi vettoriali di V . Scriveremo σW per indicarel’elemento di P (V ) corrispondente al sottospazio W V (e tale W si dira sostegno di σW ).

Notiamo fin da subito alcune cose:

1. La nozione di dimensione di un elemento di P (V ) e conservata e vale

dimK σW := dimK W − 1

L’unico elemento di dimensione −1 e il vuoto proiettivo σ〈0〉.Gli elementi di dimensione 0 sono i punti proiettivi σ〈v〉

3Essa e detta proiezione centrale di dentro P , per ovvi motivi grafici.4Non c’e in realta bisogno di ricorrere alla definizione di un prodotto scalare su A , ma per semplicita supponiamo di farlo.

Mat3M 2007/2008 3

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Gli elementi di dimensione 1 sono le rette proiettive, σ〈v, w〉 con v, w indipendenti.Si definisce poi

dim P (V ) := dimσV = dimV − 1

2. Vi e la possibilita di estendere per trasporto la relazione di inclusione tra sottospazi ad una relazioned’ordine. Tra elementi di P (V ) vale che

σU ≤ σWdef⇐==⇒ U ≤W

Si conservano inoltre le due operazioni di somma e intersezione:

σU ∩ σW = σ(U ∩W )σU ∨ σW = σ(U +W )

e torniamo a usufruire della formula di Grassmann, dopo averla dovuta abbandonare entrando nellospazio affine:

dim(σU + σW ) + dim(σU ∩ σW ) = dim σU + dimσW

(dim(U ∩W ) + dim(U +W )− 2 = dimU + dimW − 2)

3. Proprio questo fatto ha per conseguenza immediata che Per due punti passa sempre una sola retta; Due rette in P 2(K )(= P (K 3)) si intersecano sempre in un punto, viene cioe abbattuta lanozione di parallelismo5.

Si ha, come e possibile immaginare, un modo di “mettere delle coordinate” agli elementi dello spazio.

Preso un punto P = σv = σ〈(

x0.

xn

)〉, ove v 6= 0 (altrimenti si cade nel vuoto), tale (n + 1)-upla e sempre

determinata a meno di proporzionalita: questo vuol dire che, preso α 6= 0, le coordinate(

x0.

xn

)e(

αx0.

αxn

)

esprimono lo stesso punto.Dualmente6, preso un iperpiano di P (K n+1) ⊃ σH , H ≤ K n+1, esso e determinato da una equazione

omogenea non nulla

H = (

x0.

xn

)| a0x0 + . . . anxn = 0 = X ∈ H | a∗ X = 0

sara infatti proprio la (n + 1)− upla di coordinate a∗ = ( a0 ... an ) a fornire le coordinate dell’iperpiano,ancora una volta a meno di proporzionalita. Tali coordinate si dicono coordinate pluckeriane dell’iperpianoH .

Applicazioni proiettive

Abbiamo ora la possibilita di parlare di trasformazioni sullo spazio introdotto:

Definizione 2 (Applicazione proiettiva). f : P (V )→ P (W ) si dice applicazione proiettiva se esiste unaφ : V →W tale che

fv(σW ) = σ〈φW 〉 ∀W ∈ P (V )

tale φ prende il nome di applicazione lineare soprastante per f .

5E’ questa, forse, la nozione chiave: da essa traggono origine molte liberta che d’ora in poi potremo prenderci, e unafortissima simmetria tra gli oggetti proiettivi, impossibile da non notare.

6Facendo per ora poco caso a questo avverbio...

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Proposizione 1. φ, ψ : V → W sono soprastanti di una stessa applicazione proiettiva f sse esse sonoproporzionali mediante un fattore costante α. Esiste cioe α ∈ K × tale che ψ(v) = αφ(v) ∀v ∈ V .

Dimostrazione. Un verso e banale, cioe se ψ = αφ e φ e soprastante di f , ψ(v) ⊆ 〈φ(v)〉 per ogni v edunque anche ψ e soprastante di f .Viceversa, dato v ∈ V , σ〈φ(v)〉 = f(σ〈v〉) = σ〈ψ(v)〉. Chiaro che allora vale la proporzionalita. Resta daprovare che il coefficiente αv non dipende da v. Supponiamo v ∈ kerφ: allora σ〈φ(v)〉 = σ〈0〉 = f(σ〈v〉) = σ〈ψ(v)〉 cioe kerψ ≡ kerφ e la costante

puo essere scelta tale da verificare la tesi. Supponiamo invece che φ(v) = φ(w), cioe φ(v − w) = 0. Si ha dunque ψ(v) = αvφ(v) e ψ(w) =αwφ(w). Ora, ψ(v − w) = αv − wφ(v − w) porta a concludere che αv = αv−w = αw. Se infine φ(v), φ(w) sono linearmente indipendenti la cosa si fa in modo identico. Q.E.D.

Vi e ora una importante definizione, che permette di concludere questo capoverso:

Definizione 3 (Proiettivita). Le applicazioni proiettive invertibili formano il gruppo delle proiettivita: fe proiettivita sse una sua soprastante (e quindi tutte le altre, definite come proporzionali a quella sceltamediante α 6= 0) e isomorfismo di spazi vettoriali.

Osservazione. Il gruppo Proj(P (V )) si identifica con PGL(V ) = GL(V )/K (gruppo lineare su K moduloK , oppure come gruppo di trasformazioni esso si identifica con Aut(V )/∼, ove v, w ∈ V , v ∼ w ⇐⇒∃α ∈ K v = αw).

Un Esempio Troviamo la matrice di una soprastante la proiezione centrale di centro P =

(1020

)sul

piano π : 3x0 − 2x1 + x3 = 0 (piano di coord. pluckeriane ( 3 −2 0 1 )). La mappa e X 7→ (P ∨ X) ∩ π.

Ora, si ha X ∨ P = 〈

(1020

),

( x0x1x2x3

)〉 =

(α+βx0

βx1

2α+βx2

βx3

). Un punto della retta sta sul piano sse soddisfa la sua

equazione, e risolvendola troviamo 3α = β(3x0 − 2x1 + x3). Scelti dunque β = −3, α = 3x0 − 2x1 + x3 siha che

f(X) =

( −2x1+x3

−3x1

6x0−4x1−3x2+2x3

−3x3

)cioe la sua soprastante e A =

( 0 −2 0 10 −3 0 06 −4 −3 20 0 0 −3

)

Alcune osservazioni: dim imφ = rkA = 3: l’immagine della proiezione e un piano proiettivo, cioe un sottospazio vettorialedi dimensione 3. Analogamente kerφ ha dimensione 1: qual e il punto che viene mandato in 0 equindi quello tale che f(X) = σ〈0〉 = ∅? f2 = f , ma per la matrice vale qualcosa di piu debole: A2 = λA. Con un calcolo diretto, nell’esempiodi prima A2 = −3A, e dunque mA(x) = x(x+ 3): A e diagonalizzabile (e non invertibile). Similmente a quanto accadeva nel caso delle proiezioni su spazi vettoriali, anche quelle proiettivedanno luogo a una decomposizione dello spazio. I punti uniti di f sono tutti e soli i punti di π, autovettori di −3. Questo ha senso se si pensa aquale sia la condizione per essere punto unito: cfr. Esercizio 1.97.

Definizione 4 (Luogo di Degenerazione). Diremo luogo di degenerazione per f proiettiva l’insiemef−1(σ〈0〉) = σσ〈kerφ〉 se φ e soprastante di f .

Osservazione. Se f e iniettiva il suo luogo di degenerazione e il vuoto proiettivo.

7Il sans serif indichera, ca va sans dire, gli esercizi contenuti nella “vera” dispensa del corso.

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Osservazione. Se f e proiettivita, la sua soprastante e isomorfismo e dunque f rispetta le dimensioni.

Definizione 5 (Posizioni Reciproche). Ricordando la definizione delle due operazioni di join e meet

abbiamo che σU e σW si dicono incidenti se σU ∩ σW 6= ∅; σU e σW si dicono sghembi in ogni altro caso.

Osservazione. Come gia visto nel caso di rette nel piano, in P (V ) viene abbattuta la nozione diparallelismo.

Dualita Proiettiva

L’insieme V ∗ := Hom(V,K ) e spazio vettoriale della stessa dimensione di V (finche dimV 6= ∞). Nullavieta di definire un P (V ∗): lo possiamo considerare come l’insieme dei sottospazi duali di V ∗. Definiamopoiuna applicazione insiemistica8 ∆:

∆ : P (V ) −→ P (V ∗)σZ 7−→ σ(Z⊥)

Dalla definizione di ∆ discendono immediatamente alcune sue proprieta (quelle di Esercizio 1.6, cfr. ancheEsercizio 1.7).

Tale mappa e la ragione per cui si puo definire la cosiddetta “dualita proiettiva” (∆ stessa e definitacome dualita proiettiva): essa afferma che, se una proprieta che involve solo la relazione di inclusione e leoperazioni di intersezione e generazione vale per una certa classe C di elementi di P (V ) allora essa valeanche nel suo duale P (V ∗), avendo cura di rovesciare le inclusioni e di scambiare tra loro le operazioni.

A questo riguardo esiste poi la possibilita di caratterizzare la simmetria che esiste tra uno spazioproiettivo e il suo duale, quando si conosca una qualunque proiettivita agente su di esso. Risolviamo inpoche parole l’ Esercizio 1.7: sia allora f una proiettivita di soprastante φ, dalla definizione data di ∆discende che si puo definire ∆f∆−1 = f∗ : P (V ∗) → P (V ∗). Mostriamo che tale f∗ e una proiettivita

di soprastante φ = (φ∗)−1. Direttamente dalla definizione di ortogonale e di proiettivita discende che∆f∆−1(σ〈v〉) = σ〈φ(〈v〉⊥)〉⊥. Cerchiamo di capire cosa sia questo sottospazio:

φ(〈v〉⊥) = φ(w) ∈ V | w ∈ ker v

z ∈ V | φ−1(z) ∈ ker v = z ∈ V | (v φ−1)(z) = 0 = z ∈ V | ((φ−1)∗ v)(z) = 0 = ((φ∗)−1 v)⊥

l’ortogonale di quest’ultimo sottospazio e ovviamente (φ∗)−1 v, e dunque si ha la tesi ∆f∆−1(σ〈v〉) =

σ〈(φ∗)−1(v)〉.

P (V ∗)f∗

−−−→ P (V ∗)

∆−1

yx∆

P (V ) −−−→f

P (V )

8Questa e essenzialmente una notazione algebrica per indicare una nozione nota fin dai primordi della Geometria Proiettiva(∼ 1648, con Girard Desargues): ogni teorema valido nello spazio proiettivo ammette un “asserto duale” che inverte lerelazioni di inclusione e scambia oggetti di dimensione k con oggetti di dimensione n − k.

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Rappresentazione dei sottospazi

Sia H = σW ∈ P (V ). Dare per H una rappresentazione parametrica significa prendere un sistema digeneratori w1, . . . , wr di W e scrivere i punti di H come σ〈α1w1 + · · · + αrwr〉 al variare della r-upla( α1 ... αr ) di parametri omogenei.

Osservazione. Se 〈w1, . . . , wr〉 e base di W la r-upla e unica a meno di proporzionalita.

Invece, dare ad H una rappresentazione cartesiana significa scegliere delle equazioni omogenee perrappresentare i punti di H . Preso un sistema di generatori di W⊥ ⊆ V ∗, W⊥ = τ1, . . . , τk si possonoscrivere i punti di H mediante il sistema di k equazioni

τ1 v = 0...

τk v = 0

∀ P = σ〈v〉 ∈ H

Osservazione. Se τ1, . . . , τk e base di W⊥ il sistema ha rango massimo e le equazioni date sono nelminimo numero possibile.

Per poter dare un riferimento all’interno dell’intero P (V ) serve qualcosa di piu fine:

Definizione 6 (Riferimento Proiettivo). Un riferimento in P (V ) e il dato di n+2 punti P0, . . . Pn, U chesoddisfino alle due condizioni P0 ∨ · · · ∨ Pn = σV U /∈ P0 ∨ · · · ∨ Pj−1 ∨ Pj+1 ∨ . . . Pn ∀j = 0, . . . , n

Osservazione. Notare il motivo di quella che sembra una ridondanza: non sarebbe bastato il dato din+1 punti a generare P (V ) per definire la posizione dei suoi elementi: le coordinate essendo date a menodi proporzionalita, c’e bisogno di un (n+ 2)-esimo punto U che funga da punto unita nel riferimento9.

Studio delle proiettivita – sottospazi stabili

E’ ora naturale studiare meglio le proiettivita (applicazioni che mandano riferimenti in riferimenti), e inparticolare i loro elementi uniti: giungeremo ad un risultato importante, e cioe che le forme canonichedella matrice di una soprastante ad f ∈ Aut(P (V )). Rimandiamo al risultato di un esercizio (Esercizio1.9) per poter giustificare la

Proposizione 2. Se f ∈ Aut(P n(V )), il punto P = σ〈v〉 e unito per f sse f(P ) = P . Tale condizionee equivalente all’essere v autovettore per la soprastante di f , relativo ad un autovalore non nullo (ma inrealta ogni autovalore di φ e non nullo, dato che φ e invertibile).

Un po’ piu fine e invece la

Definizione 7 (Elemento Unito). Se H = σW , H ≤ P (V ), W ≤ V , H si dice elemento unito per f sef(H) = H , nel senso che φ(w) ∈ W per ogni w ∈ W . In altre parole H = σW e unito per f sse W e unsottospazio φ-stabile.

9Ci accorgeremo in seguito di come la forma di questa definizione faciliti il lavoro in altri frangenti.

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Dualita tra sottospazi stabili f ∈ Aut(P n(R )) abbia soprastante φ di matrice A ∈Mn+1(R ). Siano(x0.

xn

)le coordinate omogenee del punto P ∈ P n(R ). Sia infine H un iperpiano di coordinate pluckeriane

a = (a0, . . . , an). Come visto in Esercizio 1.8 si ha che l’immagine di H mediante f e l’iperpiano dicoordinate pluckeriane aA−1:

f(H) = f(P ) | P ∈ H = AP | a P = 0 = Q | aA−1Q = 0 = aA−1

Se si vuole, si puo pensare che aA−1(AP ) = 0. dunque le coordinate pluckeriane dell’iperpiano (=dell’ele-mento del duale) che annullano f(P ) sono per forza aA−1. Ora, notare come H e un’iperpiano unito per fsse aA−1 = a a meno di proporzionalita, cioe aA−1 = βa. Si tratta in pratica di individuare gli autovettori

della matrice trasposta di A10 rispetto ad autovalori non nulli (tale soprastante ad f∗ ∈ Aut(P (V ∗)) eproprio la famosa (φ−1)∗ di cui in Esercizio 1.7).

Osservazione. Abbiamo appena notato una prima applicazione del “principio di dualita” a cui abbiamoaccennato all’inizio: punti ed iperpiani sono oggetti duali, nel senso che sono collegati da una relazione che“scambia le dimensioni” traspone le coordinate.

Nel caso appena citato, la situazione punti uniti e dualmente simmetrica alla situazione iperpiani

uniti. Proprio tale connessione profonda semplifica la classificazione delle proiettivita di P n(V ) in baseallo studio dei loro punti uniti.

Classificazione delle Proiettivita

( αβ

γ

)3 punti uniti: σ〈v0〉, σ〈v1〉, σ〈v2〉

3 rette unite: σ〈vi, vj〉per i, j = 0, 1, 2, i 6= j( α

ββ

)1 retta di punti uniti σ〈v1, v2〉

e dualmente un fascio di rette unitedi centro σ〈v0〉(

αα

α

)e l’identita, tutto P 2(K ) e unito

(α 1

αβ

)2 punti uniti σ〈v0〉, σ〈v2〉

2 rette unite σ〈v0, v2〉, σ〈v0, v1〉(α 1

αα

)2 punti uniti σ〈v0〉, σ〈v2〉

2 rette unite σ〈v0, v1〉, σ〈v0, v2〉di cui una di punti uniti che induceun fascio di rette unite di centro σ〈v0〉(

α 1α 1

α

)1 punto unito σ〈v0〉

1 retta unita σ〈v0, v1〉

L’osservazione base di questa sezione e che la for-ma canonica di Jordan di una matrice soprastantead f ∈ Aut(P (V )) la classifica come proiettivita:conduciamo qui lo studio sistematico del solo cason = 2, lasciando per esercizio i casi n = 3, 4. Leforme canoniche delle φ ∈ End(K 3) sono 6, usiamola notazione per cui vi e l’i-esimo vettore della basejordanizzante:

Le forme canoniche per le φ ∈ End(K 4) sono14. Per le φ ∈ End(K 5) sono 27. La classificazioneprocede allo stesso modo.

L’obiettivo che ci poniamo da qui in poi e peril resto della sezione e di capire quale relazione in-tercorra tra A (spazio affine) e P (spazio proiet-tivo). Giungeremo alla conclusione che lo spazioaffine risulta piuttosto naturalmente da una sezionedi P (V ), che viene privato di un iperpiano. Simmet-ricamente P (V ) risulta (meno naturalmente) dal-l’“incollamento” di molti spazi affini tra loro, acui e stato alla fine aggiunto un iperpiano detto“all’infinito”.

Per poter giungere a questi risultati avremobisogno di parlare in modo naturale di certe trasformazioni proiettive: dobbiamo premettere delle altredefinizioni.

Definizione 8 (Omologia). Definiamo una particolare classe di proiettivita, le omologie:Omologia Omologia (duale)Una omologia e una proiettivita che Una omologia e una proiettivita tale cheha un iperpiano di punti uniti: f(P ) = P per ogni P ≤ Z. ∃P ≤ P (V ) con f(Z) = Z per ogni iperpiano Z ≥ P .Tale iperpiano e lasse di omologia tale punto e il centro di omologia

10Infatti se αaA−1 = a allora αa = aA

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Definizione 9 (Omologia speciale). Una omologia f di centro P e asse Z si dice speciale se P ≤ Z, non

speciale altrimenti.

Osservazione. L’identita idP (V ) e una omologia sia speciale che non speciale.

Volendo tradurre quanto appena detto in termini di matrici, la soprastante ad un’omologia ha unsottospazio di dimensione n di autovettori relativi ad uno stesso autovalore α (= esiste un iperpiano su cuiφ induce un’omotetia, ed f l’identita). Una volta scritta la matrice in una certa base, dato che (x − α)n

deve dividere pA(x) possono presentarsi due casi: La soprastante φ e diagonalizzabile e la soprastante ha matrice simile a

βα

. ..α

pA(x) = (x − β)(x− α)n La soprastante φ non e diagonalizzabile, e la sua forma di Jordan e

( α1 α

.. .α

)pA(x) = (x− α)n+1

Proposizione 3. Una omologia e determinata completamente dalla conoscenza di asse H e centro P edi una coppia (P, f(P )) con P 6≤ Z e P 6= C.

Dimostrazione. Facendo un disegno:

r

bc P

b Q

b

Db

f(Q)

bcP

bcf(P )

bc

CNotiamo anzitutto che P,C, f(P ) sono allineati (per definizione di centro di omologia). Dato Q si

cerca f(Q): vediamo che P ∨ Q interseca H (asse) in un punto D. f(Q) ≤ (C ∨ Q) per definizione dicentro di omologia. Ora, f(P ∨D) = f(P )∨D e f(P ∨Q) = f(P )∨ f(Q). Si ha insomma f(Q) ≤ Q∨Pe f(Q) ≤ C ∨Q

f(Q) = (P ∨Q) ∩ (C ∨Q)

Un discorso del tutto analogo vale se l’omologia e speciale. Q.E.D.

Immersione di A (V ) in P (V )

Proposizione 4. Sia P (V ) uno spazio proiettivo di dimensione n (i.e. dimV = n+ 1). Preso comunqueun iperpiano H = σT , l’insieme dei punti di P (V ) che non appartengono ad H diventa uno spazio affinesotto l’azione di un’omologia speciale di asse T .

Vorremmo ora capire in che senso cio sia vero. La faccenda e intricata, perche porta alla luce laproprieta meno banale dello spazio proiettivo, quella che riguarda la sua topologia (essenzialmente, pernoi si tratta di capire cosa gli succede tagliandolo, deformandolo, o spostandoci lungo di esso). Lo spazioproiettivo e un primo esempio del concetto di varieta, cioe di un luogo geometrico che si puo localmentefare assomigliare ad una struttura piana e liscia, ma la cui struttura globale puo essere parecchio diversa(e parecchio poco intuitiva). In breve, lo spazio proiettivo nasce dall’“incollamento” di un gran numero dispazi affini che ne mappano la topologia locale, e che presi tutti insieme danno la vera forma di P n, chese ne discosta molto e regala anche alcune strane proprieta. L’idea per mostrare questo fatto si basa sulla

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possibilita di associare ad ogni vettore t dell’iperpiano che si vuole “mandare all’infinito” una omologiaspeciale di asse H e centro σ〈t〉. Per poterlo fare, definiamo tale omologia dando la matrice di una suasoprastante. Fissiamo un iperpiano H = σT , un punto P = σ〈v0〉 6≤ Z e un vettore v0 nel suo sostegno,assieme a una base di T . Ora, 〈v0〉 ⊕ 〈v1, . . . , vn〉, e dunque V = v0, v1, . . . , vn e una base dell’intero V :possiamo usarla per definire la soprastante ψt nel modo che segue:

ψt(v0) = v0 + t ψt(x) = x ∀x ∈ T

In tale base la matrice della soprastante e

(1 0t

t1.

tn

1

). Per ricondursi alla matrice di una omologia speciale

possiamo operare un cambio di base e ottenere che con V ′ = v0, t, v2, . . . , vn la matrice e( 1 0 ... 0

1 1...

. . .0 1

)

(si puo fare questo cambio perche t = t1v1 + . . . tnvn, la componente in v0 non c’e dato che 〈v0〉 ⊕ T .A questo punto abbiamo un modo univoco di associare ad un vettore t ∈ T una omologia speciale: la

corrispondenza Υ: T → Aut P (V ) e quella che manda il vettore t nella omologia τt definita da

τt(σ〈αv0 + x〉) = σ〈ψt(αv0 + x)〉 = σ〈ψt(αv0) + ψt(x)〉 = σ〈α(v0 + t) + x〉

Ora, come e noto lo spazio affine e dato da una terna (A , T,+): L’insieme dei punti e dato dai puntidello spazio proiettivo che non stanno nell’iperpiano che si e tolto. Lo spazio delle traslazioni e costituitodal sostegno vettoriale dello stesso iperpiano H , e cosa piu importante l’azione dei vettori di T sui puntidi A e data dalla applicazione +: A × T → A che manda la coppia (P, t) nell’immagine di P mediantel’omologia Υ(t) = τt(P ). E’ facile vedere che l’applicazione + soddisfa agli assiomi di azione su uno spazioaffine: τt1+t2 = τt1 τt2 = τt2 τt1 τt(X) = X sse t = 0 ∀X,Y 6≤ Z ∃! t | τt(X) = Y

La prima asserzione si puo mostrare notando che τt1+t2(σ〈αv0 + x〉) = σ〈α(v0 + t1 + t2) + x〉. A questopunto e facile sviluppare in due direzione e provare che le due omologie commutano.

Per la seconda, X si scrive come σ〈v0 + x〉 per qualche x ∈ T . Ora, τt(σ〈v0 + x〉) = σ〈v0 + t+ x〉.

v0 + (x+ t) = v0 + x ⇐⇒ x+ t = x ⇐⇒ t = 0

Infine, dati X,Y 6≤ Z si ha che X = σ〈v0 + x〉,Y = σ〈v0 + y〉. τt(σ〈v0 + x〉) = σ〈v0 + t+ x〉 = σ〈v0 + y〉.

v0 + (t+ x) = v0 + y ⇐⇒ t+ x = y ⇐⇒ t = y − x

Otteniamo cosı che τy−x(X) = Y, τx−y(Y ) = X , per ogni X,Y 6≤ Z. Q.E.D.

Struttura Topologica di P (K ) Vogliamo ora trovare un qualche “modello geometrico” per P (R ) eP (C ), nei casi di dimensione bassa, e corrispondentemente arrivare per analogia (e con un po’ di fantasia)ad una formulazione geometrica dell’immersione di A in P . Cominciamo dalla retta proiettiva reale:P 1(R ) ha come sostegno l’usuale piano, e l’insieme dei suoi punti e l’insieme di tutte le rette per l’origine.La scelta di un iperpiano in R 2 corrisponde al “fissare” una retta che poi andra all’infinito. Scegliamoad esempio l’iperpiano x0 = 0: la retta affine e allora una retta parallela all’iperpiano tolto. Fissatatale retta ad una quota λ ogni punto P del proiettivo, di coordinate (x0, x1) acquista le coordinate(1, x1/λ), ove x1/λ e esattamente la coordinata di P pensato come elemento affine. Di solito, dato chee indifferente il valore di λ (purche non nullo, si finirebbe altrimenti sull ’iperpiano tolto) si sceglie diconsiderare l’iperpiano di eq. affine x0 = 1 ottenendo cosı quella che e l’immersione canonica di A in P ,ove PP = ( x0

x1) ← PA =

(1

x1/x0

).

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bbbbb bb b b bbb

Risulta piu chiara ora l’“immersione” di uno spazio nell’al-tro: l’identificazione geometrica tra punti del proiettivo e puntiaffini si esplica nell’essere unico il punto di intersezione di unaqualunque retta passante per l’origine con la retta x0 = 1. Im-maginiamo il percorso di una ipotetica retta che ruoti di piu diπ/2 partendo da un punto arbitrario. Man mano che essa tendead essere orizzontale, notiamo che il punto di intersezione si spostasempre piu lontano: non e illogico supporre che quando la rettae effettivamente orizzontale, tale punto sia situato “da qualcheparte” molto lontano, luogo dal quale si “esce” non appena laretta si e spostata ancora un po’, e da cui si ritorna man manoche la retta continua a ruotare. Ancora, non e illogico pensareche, se nel momento in cui lo si e toccato da un lato ci si ac-

corge di tornare indietro dall’altro, la struttura dello spazio non sia piatta. E’ infatti possibile trovareun’altra biiezione (piu intuitiva e “naturale”) tra la retta proiettiva ed un oggetto curvo come S1.

b

b

b

b bbb

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

bb

bb

Pensiamo ad una circonferenza “piantata” nell’o-rigine da cui si dipartono delle rette: esse intersecher-anno la circonferenza in un solo punto tranne l’orig-ine. E’ dunque possibile pensare alla retta proietti-va come ad una circonferenza, di modo che fissatoun punto all’infinito essa si “apra” e diventi una co-mune retta affine (questa tecnica per passare da rettea cerchi e detta proiezione stereografica). Il cerchioin questo modo diviene omeomorfo (e anzi c’e unarelazione piu stretta tra i due luoghi, che possono es-sere facilmente resi diffeomorfi) alla retta proiettiva,

che quindi puo essere pensata come una linea che viene “storta” e i cui due estremi vengono “pinzati” eidentificati l’uno con l’altro, fungendo da elemento all’infinito.

La tecnica della proiezione stereografica e utile anche per determinare un modello di P 1(C ): la rettacomplessa e infatti assimilabile al piano reale, e si puo trovare un omeomorfismo che mette in corrispon-denza S2 privato del Polo con il piano (il Polo funge da punto che “circonda il piano”: e il punto all’infinitodella retta complessa).

Ben piu arduo e invece capire come si costruisce P 2(R ), e indagare meglio la questione mette trasver-salmente in luce come non sia vero che P (C ) ≡ P 2(R ), cosa che invece accadeva nell’affine dove A (C ) ≡A 2(R ). Vogliamo mettere in corrispondenza i punti del piano proiettivo (=la stella di rette per l’orig-ine) con i punti di S2. Cominciamo ponendo il centro della sfera nell’origine, ma e facile accorgersi chec’e qualche problema di continuita presso l’Equatore, se vogliamo continuare a lavorare modulo mappaantipodale (in altre parole, la mappa che identifica x con −x non funziona quando si considerano i puntidell’Equatore: intuitivamente ci si puo convincere di questo pensando come non sia possibile “pinzare”una circonferenza –che e, nel nostro caso, un cerchio massimo– per far coincidere ogni punto con il proprio

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antipodo. . . piegando la circonferenza ci si troverebbe infatti ad avere due punti che non e possibile farcombaciare).

Lavoriamo dunque in un altro modo, e tagliamodue calotte ai lati della sfera: quello che si ottiene euna sorta di “rettangolo curvo” che pero ora e facilerendere omotopo al quadrato canonico [0, 1] × [0, 1]:applicando ora la mappa (x, 0) ∼ (1− x, 1) che crea ilnastro di Mobius abbiamo creato una figura che identi-fica con continuita vertici antipodali. Ora, ricordandola proprieta del nastro di avere una sola faccia e un solobordo, possiamo riprendere in mano una delle calotteche avevamo tagliato (l’altra coincide con essa, datoche lavoriamo modulo antipodi) e “incollarla” al nas-tro: cio che otteniamo e una superficie liscia, chiusa eomeomorfa al piano proiettivo.

Birapporti

Tre punti distinti P1 = σ〈v1〉, P2 = σ〈v0〉, P3, su una retta sono un riferimento proiettivo per essa. Sipossono scegliere i primi due in modo che siano base del sottospazio vettoriale della retta proiettiva (bastache siano distinti) e fare del terzo il punto unita, in modo che P3 = σ〈v0 + v1〉. Ora ogni altro punto eunivocamente determinato dall’avere coordinate omogenee σ〈x0v0 + x1v1〉. Si puo definire allora

Definizione 10 (Birapporto). P1, P2, P3, P4 siano punti allineati in P (V ), P1 6= P2. Definiamo comebirapporto (cross-ratio) dei quattro punti la quantita

(P1P2P3P4) := −x1

x0∈ K ∪ ∞11

Il punto proiettivo sulla retta ha generiche coordinate ( x0x1

). Ora, pensando la retta come retta affineimmersa in P (K ) e scegliendo x0 = 0 come iperpiano all’infinito, le coordinate affini del punto della rettadiventano proprio x1/x0

12.

Proposizione 5. Se f e una proiettivita e P1, P2, P3 sono punti a due a due distinti, allineati con P4,allora

(P1P2P3P4) = (f(P1)f(P2)f(P3)f(P4))

In altre parole, le proiettivita conservano i birapporti.

Dimostrazione. Scriviamo P1 = σ〈v1〉, P2 = σ〈v0〉, P3 = σ〈v0 + v1〉, P40σ〈x0v0 + x1v1〉. Ora, se φ esoprastante di f essa e isomorfismo,e in particolare manda punti distinti in punti distinti. Per linearitaessa conserva anche i coefficienti (x=, x1) coordinate di P4 nel riferimento P1P2P3, e dunque possiamoconcludere direttamente che (P1P2P3P4) = x1

x0= (f(P1)f(P2)f(P3)f(P4)) Q.E.D.

Osservazione. Il birapporto di un punto con altri 3 si puo vedere come la coordinata affine di quel punto,se visto come elemento di A → P (retta affine immersa dentro la proiettiva) nel caso in cui l’“iperpiano”(e un punto) x0 = 0 vada all’infinito (cioe nel caso in cui P1 si allontani a ∞).

b b b b

P1 =∞ P2 = 0P3 = 1 P4 = x1

x0

11La convenzione sull’utilizzo del simbolo “∞” e quasi la stessa che si usa nel calcolo di limite: per ogni a ∈ K si haa ±∞ = ∞,∞ + ∞ = ∞,∞−∞ = 0

12Vale la pena parlare in modo piu approfondito di questo fatto: come abbiamo visto, il modo piu fedele di rappresentareuna retta proiettiva e figurandosela “curvata e pinzata” all’infinito, a mo’ di circonferenza: questa sua caratteristica fa sı chenon sia possibile dare una buona definizione di “segmento tra due punti” (essendo infatti due le porzioni di spazio compresetra due dati punti). Tutto cio che possiamo fare e definire un ordine tra i punti, nella forma di una relazione ternaria di“giacere tra . . . e . . . ” mediante la predetta nozione di birapporto.

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Azione delle permutazioni sul birapporto E’ un fatto interessante esplicitare l’azione di S4 sulbirapporto di 4 punti. Si mostra facilmente che gli scambi hanno questi effetti: sia (indicando solo i pedicidei punti interessati) (1234) = x, si ha

(2134) = (1243) = 1/x(4231) = (1324) = 1− x(3214) = (1432) = x/1− x

ed essendo ogni permutazione e composizione di scambi si riesce a trovare come ad agire sui quattro puntinon e il suddetto S4 ma un suo sottogruppo: notando infatti come ogni scambio equivalente sia involutoriosi trova che esistono solamente 6 valori distinti per (P1P2P3P4):

x,1

x,

1

1− x, 1− x,

x

x− 1,

x− 1

x

Dare dimostrazione dell’effettivo comportamento degli scambi e questione di conti. Si sceglie la base inmodo che il terzo punto della sequenza volta per volta sia il punto unita, e poi si trovano coefficienti adattix0, x1 per esprimere il quarto punto.

Vogliamo infatti ora concentrarci su un risultato piu interessante: consideriamo quattro punti del-la retta affine immersa nella proiettiva: essi hanno coordinate ( 1

a ) , ( 1b ) , ( 1

c ) , ( 1d ). Vogliamo trovare il

birapporto di questi quattro punti. Cerchiamo anzitutto α, β tali che

α ( 1a ) + β ( 1

b ) = ( 1c ) risolvendo il sistema

α+ β = 1

αa+ βb = c

sistema che ha soluzioni uniche in α = c−bb−a e β = c−a

b−a (si usa Cramer).Cerchiamo ora x0, x1 tali che

x1α+ x0β = 1

x1αa+ x0βb = de li troviamo in x0 =

1

β

d− a

b− ax1 =

1

α

b− d

b− a

e giungiamo all’espressione del birapporto per i quattro punti affini (cioe il birapporto di quattro numeriin K )

(abcd) =(c− a)(b− d)

(c− b)(d− a)

Osservazione. Notare come se a → ∞, (abcd) → b−dc−b : che e il rapporto semplice (cfr. AGLQ pag. 147

– 148) dei 4 punti.

Osservazione. Conseguentemente notare (=fare il conto di) come (∞01x) = (0∞x1) = (1x∞0) =(x10∞) = x.

Puo essere interessante “scoprire” qual e il senso proiettivo del birapporto di quattro numeri: l’oper-azione di “prendere una riga di coordinate” e, in fin dei conti, una proiezione (sull’asse che si sceglie diconsiderare), e le proiezioni sono prospettivita. A quali condizioni (dato che non e sempre vero) vale cheil birapporto di 4 punti e il birapporto di qualnque loro 4 coordinate j–esime?

Dati 4 punti distinti i valori del loro birapporto sono meno di 6 se si verifica una uguaglianza tra essi.Il solo caso particolare che esamineremo13 e quello in cui (ABCD) = −1.

Definizione 11 (Quaterna armonica). Il caso in cui k = 1/k implica che k = −1 (il caso k = 1 e infattiescluso nell’ipotesi di punti distinti). In tal frangente si ha (1234) = (2134) = (1243) = (2143) = −1 e i4 punti si dicono una quaterna o gruppo armonico, o equivalentemente P4 si dice coniugato armonico oquarto armonico dopo A,B,C o ancora si dice che (AB) separa armonicamente (CD) o viceversa.

13Limitandoci a far notare di sfuggita che alcune di queste relazioni impongono condizioni quadratiche su k, e quindi lapossibilita di trovare un valore che le soddisfi dipende dal K in cui si lavora

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Costruzioni con la riga Quello delle costruzioni e un argomento che affonda le radici nell’Algebrapiu che nella Geometria (talune prove di incostruibilita mediante strumenti semplici, come la riga nongraduata e il compasso, di segmenti di lunghezza α data fanno uso di argomenti di Algebra parecchioavanzata). Noi ora enunciamo che, dati 3 punti allineati, e possibile costruire con la sola riga un quartopunto tale che il suo birapporto con gli altri 3 sia −1 (e cioe possibile costruire il quarto armonico dopoP1P2P3).

Dimostrazione. Nella costruzione del disegno consideriamo la proiezione di centro A che porta r in s:

(P1P3P2S) = (Q1Q3Q2S)

Consideriamo ora la proiezione di centro B che porta s in r:

(Q1Q3Q2S) = (P3P1P2S)

La tesi segue dal fatto che 1/x = x quale che sia x, e dal fatto che i punti sono distinti. Q.E.D.

b

P3bP1

bQ3

bQ1

bA

bB

b

Q2

b

b

bZ

bU

b

P2bS

I punti AQ3BQ1 sono i vertici di quello che si dice quadrangolo piano completo: questa costruzione ebasilare e ricca di proprieta interessanti. Prima delle quali puo essere far vedere come il quarto armonicodopo i tre punti dati P1P2P3 sia unico e indipendente dalla costruzione sopra suggerita. Mostreremoquesta cosa piu avanti, quando avremo dalla nostra un teorema famoso e molto bello da cui questa tesiseguira direttamente. Vedremo pero anche che in spazi proiettivi dove quel teorema non valga (e ve nesono) anche questo finisce per essere falso.

Puo essere interessante provare a contare quante quaterne armoniche sono state disegnate in figura: larisposta finora e 9. Altrettanto interessante e dualizzare la costruzione. Lo lasciamo come facile esercizio.

Involuzioni Cerchiamo ora di studiare le proprieta di un’altra classe di proiettivita.

Definizione 12. f ∈ Aut(P (V )), f 6= id si dice avere periodo k se k ∈ N e il minimo intero tale chefk = id. In particolare noi studieremo le involuzioni, proiettivita di periodo 2.

Definizione 13 (Coppia Involutoria). Una coppia involutoria per f ∈ Aut(P (V )) e una coppia (P,Q) dipunti distinti tali che f(P ) = Q e f(Q) = P .

per caratterizzare le proprieta di tali trasformazioni ci serviamo invece della

Proposizione 6.

1. f ∈ Aut(P (V )) e una involuzione sse essa ha una coppia involutoria;

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2. Se f e involuzione, o non ha punti fissi o ne ha esattamente due. In particolare la condizione dipendedalla proprieta di chiusura algebrica del corpo su cui si lavora;

3. Dati X,Y punti uniti per f , allora la coppia X,Y separa armonicamente ogni coppia di punticorrispondenti.

Dimostrazione. Con ordine:

1. La prima implicazione e banale. Viceversa se (P,Q) e una coppia involutoria e X ∈ P (V )

(PQf(X)X) = (f(P )f(Q)f2(X)f(X)) = (QPf2(X)f(X)) = (PQf(X)f2(X)) Q.E.D.

2. Se φ e soprastante per f involuzione, essa ha polinomio caratteristico pφ(x) = x2 − α (coincidentecon mφ(x) per l’ipotesi f 6= id): ora i casi sono due, o tale polinomio si fattorizza perche α e unquadrato in K , oppure no. Se cio avviene la φ e diagonalizzabile e gli autovettori sono proprio ipunti uniti cercati. Q.E.D.

3. E’ immediato: (XY Pf(P )) = (XY f(P )P ) cosa che accade sse tale birapporto e −1. Q.E.D.

b

Bb

C

bQ3

bQ1

bV

b Q2

b

P2

b

b

bP3

bP1

bA

Ci concentriamo ora su un risultato classico tra i piu famosi, il Teorema di Desargues. La profondita di tale

risultato (e assieme ad esso del Teorema di Pappo, che non affronteremo) non va sottovalutata, anche se in un

approccio algebrico alla teoria degli spazi proiettivi, basato sugli spazi vettoriali, sia l’uno che l’altro Teorema

conseguono abbastanza semplicemente da certe condizioni imposte alle coordinate. Un approccio sintetico alla

teoria non ha invece modo di derivare anche solo uno di questi asserti dai (molti) altri assiomi che si pone, ed

e costretto a postularne la validita (e tale e la ragione per cui viene chiamato spazio proiettivo desarguesiano

uno spazio dove vale il Teorema che ci accingiamo a mostrare). Il lato affascinante della questione e pero un

altro: in poche parole si tratta di questo. Le dimostrazioni che noi diamo del Teorema di Desargues e del suo

duale e algebrica, e in tale linguaggio esse non richiedono alcuna nozione profonda. Possiamo pero esibire anche

una dimostrazione geometrica, che utilizzi quelli che vengono detti assiomi di appartenenza tra sottoinsiemi del

piano proiettivo reale. Nell’enunciato del Teorema ne intervengono solamente alcuni: desideriamo allora una

dimostrazione che utilizzi quelli e solamente quelli. Tale dimostrazione non puo essere trovata: si puo in altre

parole costruire un “altro” piano proiettivo che soddisfa tutti gli assiomi di appartenenza, ma in cui Desargues e

falso. Potremmo allora obiettare una certa incongruenza: il teorema dimostrato algebricamente smette di valere

geometricamente. Che ne e allora della solida corrispondenza costruita tra oggetti algebrici e relative coordinate?

Ebbene, risulta che per poter introdurre le coordinate sul piano (per poter cioe mettere in isomorfismo gli elementi

del piano con gli elementi di R 3, e necessario che agli assiomi di incidenza venga aggiunto come postulato il

teorema di Desargues. Puo risultare sconvolgente la profondita di un teorema di cosı semplice enunciazione: il

risultato cardine su cui vorremmo puntare l’attenzione e che di per se stesso, senza bisogno di altri elementi, la sola

presenza del teorema di Desargues (che dunque credo mantenga la sua nomenclatura di “teorema” piu per ragioni

storiche che logiche), puo bastare a dimostrare l’esistenza di un corpo commutativo sotteso al piano proiettivo

(gli elementi sono i punti, e somma e prodotto sono definiti in un certo modo abbastanza tecnico, che non vale la

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pena approfondire ora), che e esattamente il corpo su cui si costruisce lo spazio vettoriale tridimensionale che fa

da sostegno al piano proiettivo.

Per snellire l’enunciato del Teorema diamo a parte qualche definizione:

Definizione 14. Un triangolo nello spazio proiettivo e il dato di tre rette non concorrenti o di tre punti non allineati.Le eventuali rette sono i lati del triangolo, gli eventuali punti sono i suoi vertici. Dati due triangoli di vertici ABC, A′B′C′ essi si dicono prospettivi se le 3 congiungenti verticiomonimi concorrono a un punto V . Dati due triangoli di lati abc e a′b′c′ essi si dicono omologici se le 3 intersezioni di lati omonimi sonoallineate su una retta s

Teorema 1 (Desargues). Due triangoli sono omologici se e solo se sono prospettivi. In altre parole,dati due triangoli PQR e P ′Q′R′ i cui vertici omonimi concorrano ad un vertice V , le intersezioni di latiomonimi sono allineate, e viceversa.

Dimostrazione. (⋆ Il disegno ricorda qualcosa? ⋆) Supponiamo T1 e T2 prospettivi da V : P1 = σ〈v1〉, P2 =σ〈v2〉, P3 = σ〈v3〉, V = σ〈v〉. Gli altri tre punti si possono scrivere come combinazione di questi: Q1 =σ〈a1v1 + v〉, Q2 = σ〈a2v2 + v〉, Q3 = σ〈a3v3 + v〉 (dato che a meno di riscalare il coefficiente non nullo inv, ogni vettore si scrive come ajvj + bv ≡ aj/bvj + v ≡ αvj + v. Ora:

(P1 ∨ P2) ∩ (Q1 ∨Q2) = σ〈v1, v2〉 ∩ σ〈a1v1 + v, a2v2 + v〉 = σ〈a1v1 − a2v2〉 = σ〈u〉

(P2 ∨ P3) ∩ (Q2 ∨Q3) = σ〈v2, v3〉 ∩ σ〈a2v2 + v, a3v3 + v〉 = σ〈a2v2 − a3v3〉 = σ〈w〉

(P1 ∨ P3) ∩ (Q1 ∨Q3) = σ〈v1, v3〉 ∩ σ〈a1v1 + v, a3v3 + v〉 = σ〈a1v1 − a3v3〉 = σ〈z〉

Ora, questi punti sono allineati se i tre vettori u,w, z sono linearmente dipendenti det( a1 0 a1

−a2 a2 00 −a3 −a3

)= 0.

E’ cosı, dato che l’ultima colonna e la somma delle prime due.Viceversa, supponiamo T1 e T2 omologici sulla retta per A,B. A = σ〈v2〉, Bσ〈v3〉, P1 = σ〈v1〉q1 =

σ〈w1〉. Gli altri punti si possono scrivere mediante questi: P2 = σ〈a1v1 + v2〉, Q2 = σ〈b1v1 + v3〉, Q2 =σ〈c1w1 + v2〉, Q3 = σ〈d1w1 + v3〉. L’ipotesi e che (P2 ∨ P3) ∩ (Q2 ∨Q3) ≤ σ〈v2, v3〉:

σ〈a1v1 + v2, b1v1 + v3〉 ∩ σ〈c1w1 + v2, d1w1 + v3〉 = σ〈b1v2 − a1v3, ⋆1〉 ∩ σ〈d1v2 − c1v3, ⋆2〉

Per ipotesi le rette P2P3e Q2Q3 si intersecano in un punto di σ〈v2, v3〉: si ottiene da qui che a1 = c1 e b1 =d1, e riscrivendo i punti si ha P2 = σ〈a1v1 + v2〉, P3 = σ〈b1v1 + v3〉, Q2 = σ〈a1w1 + v2〉, Q3 = σ〈b1w1 + v3〉.Ora

P2Q2 = σ〈a1v1 + v2, a1w1 + v2〉 = σ〈v1 − w1, ⋆1〉P2Q2 = σ〈b1v1 + v3, b1w1 + v3〉 = σ〈v1 − w1, ⋆2〉P2Q2 = σ〈v1, w1〉 = σ〈v1 − w1, w1〉

Dunque tutte e tre le rette passano per il punto V = σ〈v1 − w1〉 e i due triangoli sono prospettivi daV . Q.E.D.

Collineazioni Consideriamo proietivita tra rette: vogliamo mostrare un risultato classico che riguardauna proprieta di questa classe di trasformazioni e le riduce a composizione di proiezioni14.

14Il risultato e piu generale che non con proiettivita tra rette, si puo vedere http://archive.numdam.org/ARCHIVE/RSMUP/

RSMUP_1968__41_/RSMUP_1968__41__1_0/RSMUP_1968__41__1_0.pdf per maggiori informazioni.

Mat3M 2007/2008 16

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bO

b

C′

bC

bAbB

bA′bB′

b Y bKbP

Il procedimento che utilizziamo e grafico, sianodate una f ∈ Aut(P (V )) che manda il riferimentoR = A,B,C nel riferimento R′ = A′, B′, C′.Mostreremo che definite ad hoc due proiezioni la lorocomposizione coincide con f sul riferimento scelto.Siano r = A ∨ B ∨ C, r′ = A′ ∨ B′ ∨ C′. Siano poiK = B′C∧BC′, Y = A′B∧AB′, e infine s = K∨Y .Consideriamo πB′ : r → s: essa manda il riferimentoR = A,B,C in S = Y, P,K. Consideriamopoi la proiezione πB : s → r′ che manda S in R′

come voluto. Si ha dunque la tesi, πB πB′ = f . Laretta s prende il nome di asse di collineazione. Cosasuccede se le rette r, r′, s sono concorrenti? Pensarein termini di Desargues.

Complementi

Queste righe vorrebbero dare una visione d’insieme (che si spera essere abbastanza comprensibile ma nonappesantita da formalismi troppo accentuati) sull’argomento sviluppato nel capitolo. La teoria dello spazioproiettivo ha una storia piuttosto lunga, che risale ai tempi in cui si cercava di risolvere alcuni problemiaperti nel campo della matematica e dell’arte: per buona parte del Rinascimento infatti l’artista era uomodai molti ingegni, e non ultimo il pittore doveva intendersi di geometria del piano e dello spazio.

Nozione di prospettiva — Costruzione grafica del birapporto Cerchiamo qui di dare brevementeun’idea di cosa si intenda con “Lo spazio proiettivo e stato introdotto nel XVI secolo per modellizzarelo spazio visto dall’occhio umano, negli studi sulla prospettiva”. La nozione di prospettiva, intesa comestudio delle leggi ottiche su cui si basa la possibilita di rappresentare in due dimensioni oggetti tridimen-sionali in un modo che si avvicini alla percezione visiva, nasce nel XVI secolo ad opera di Brunelleschie altri pittori del Rinascimento italiano. Le specifiche “tecniche” dei loro risultati hanno qui poco rilie-vo: basti sapere che il risultato comune ai due approcci (quello artistico e quello matematico, ma sonodavvero due?) e quello secondo il quale ogni trasformazione proiettiva(si tradurra dopo il termine “proiet-tivita” in termini artistici) e ottenibile mediante composizione di proiezioni successive, una volta immerso

lo spazio (nel caso del pittore tale spazio e la tela) in uno spazio di dimensione “piu grande di uno”.La “proiettivita” che interessa all’artista e una trasfor-mazione dello spazio che riesce a “portare al finito”punti che sono all’infinito, riuscendo a rappresentaregraficamente l’impressione che l’occhio ha ogni volta cheguarda un paesaggio, che cioe le linee all’orizzonte “con-vergano” in un punto che sta al di la del campo visivo.Questa idea, che cioe lo spazio geometrico piatto e “drit-to” possa essere trasformato in un qualcosa di curvo, edi una ricchezza intellettuale prima che matematica sen-za pari: su di essa si e basata la possibilita di parlaredi geometria descrittiva, di prospettiva nel campo del-l’arte, di geometrie non euclidee e di molte altre coseche permettono di appoggiarsi ad una struttura dove

“trasformare lo spazio” si puo fare in molti piu modi che non con le sole affinita. Vorremmo ora eviden-ziare come sia possibile “disegnare” il punto in prospettiva che e in un certo (bi)rapporto dato con altritre punti. Mettiamoci in una precisa situazione data: disegnare in modo realistico una porta il cui mezzosta esattamente al centro di una parete, che pero e vista “di sbieco”, cioe da un’osservatore il cui pianovisuale non e parallelo al piano della parete. Risulta infatti chiaro come ad essere rispettate in questatrasformazione non sono le proporzioni (se si vuole, questo puo essere visto come chiosa al discorso con

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cui abbiamo introdotto le trasformazioni proiettive: ad essere conservata, abbiamo visto, non e la pro-porzione (rapporto semplice) tra i vettori, ma una quantita piu complessa, il rapporto tra i rapporti delle“distanze” di una coppia di punti e di punti corrispondenti (il loro birapporto). Se dunque noi vogliamopreservare l’armonia (ed e proprio il caso di chiamarla cosı) tra gli elementi del quadro generale dobbiamorispettare non gia i rapporti tra le distanze ma i loro birapporti. Ecco allora come potremmo procedereal momento del disegno: notiamo che sulla retta inferiore che delimita la parete (che si puo vedere nellafigura in (1) cosı com’e “alla Euclide”) sono staccati 4 punti. Saranno proprio quei 4 punti ad essere inun determinato birapporto λ, che andra conservato anche dopo la proiezione (nel nostro caso particolarepuo essere utile ricordare che dati 4 punti generici il loro birapporto puo sempre essere ricondotto15 albirapporto (01ξ1ξ2)). Procedendo in questo modo e possibile conoscere qual e il birapporto che si desideraconservare. Ma sentiremmo anche il bisogno di un procedimento grafico che ci permetta di disegnareeffettivamente il quarto punto dopo tre, e che abbia il birapporto λ cercato. Per farlo procediamo comesegue:

Abbiamo la retta r dove sono segnati (ordinatamente) i punti P1, P2, P3. Tracciamo una retta arbitrarias passante per P2, e una retta parallela ad s (chiamiamola s2) passante per P1. La retta s fungera daretta affine che permettera di trovare il birapporto: segniamo infatti su di essa il punto di coordinata1 e individuiamo su s2 il punto C che fungera da centro di proiezione: ora il punto che ha birapportoλ con i tre punti dati si trova come intersezione r ∩ (C ∨ Qλ, dove Qλ e il punto della retta affine dicoordinata λ. Q.E.D.

bP2

bP3

bUb

P1 bC

b

bP4

Da ultimo, diamo altri due argomenti su cui lavorare: uno e un altro teorema classico, l’altro unapprofondimento sul tema dei birapporti, che ne estende il concetto a rette ed iperpiani.

Teorema 2 (Pascal). Data una sestina di punti ordinati ABCDEF , se vertici opposti appartengono auna coppia di rette incidenti allora le tre intersezioni PQR dei lati opposti dell’esagono cosı costruito sonoallineate

Teorema 3 (Brianchon (Pascal duale)). Se i lati individuati da una sestina di punti ordinata passanoalternativamente per 3 punti, le rette che congiungono i vertici sono concorrenti.

Teorema 4 (Darboux). Ogni applicazione insiemistica invertibile tra punti della retta proiettiva, tale daconservare l’armonia (i.e. il valore −1 del birapporto) e una proiettivita.

Costruzione della retta armonica Sono date 3 rette complanari r, s, t, di un fascio Θ che ha centro C.Vogliamo trovare la quarta retta v tale che il birapporto (r, s, t, v) = −1. Innanzitutto cosa significa “rettaarmonica a tre date”? Possiamo pensarla in almeno due modi: un punto di vista geometrico ci induce acercare quella retta tale che, scelta una quinta retta p /∈ Θ si abbia (r∩p, s∩p, t∩p, v∩p) = −1 (invarianzadel birapporto per proiettivita – nel caso particolare, proiezione da un punto–, farsi un disegno).

Da un punto di vista algebrico possiamo invece pensare che sul piano generato da Θ le rette hannocerte coordinate pluckeriane (a, b): per dualita la situazione e del tutto analoga al calcolo del birapportotra punti.

15Per quale motivo? Pensare al fatto che tale valore e ξ1(ξ2 − 1)/ξ2(ξ1 − 1). . .

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Supponiamo che le tre rette siano complanari e abbiano coordinate pluckeriane r1 = (a1, b1), r2 =(a2, b2) e r3 = (a3, b3) in un riferimento sul piano che le contiene. La quarta retta armonica si individuatrovando α, β tali che

α( a1

b1

)+ β

( a2

b2

)=( a3

b3

)

(si puo usare Cramer): si trova che α = a3b2−a2b3a2b1−a1b2

e β = a3b1−a1b3a1b2−a2b1

. Ora si cercano x0, x1 tali chex0r1 +x1r2 = q = (q1, q2), alla condizione x1/x0 = −1 che permette di trovare q1, q2. Risolvendo di nuovoil sistema si ha il risultato in

q1 =(a1a3b2 + a2 (a3b1 − 2a1b3))

2 a3b1b2 − (a2b1 + a1b2) b3q2

Questo e dunque un modo naturale di estendere il concetto di birapporto anche al caso di iperpiani: nelpiano proiettivo si parlera dunque di rette armoniche o in dato birapporto, se le loro coordinate pluckerianesoddisfano alle condizioni algebriche che abbiamo imposto alle coordinate omogenee di punti. Ma comegia detto, questo non e l’unico modo di pensarla. Per chi volesse una raffigurazione visiva della cosa, ilbirapporto di 4 rette di un fascio puo essere definito come il birapporto dei 4 punti di intersezione tagliatida esse su una qualunque quinta esterna al fascio: in ogni esposizione per via sintetica si puo notarecome la nozione di birapporto sia profondamente legata all’angolo formato dalle 4 rette16. Tale angolo,rimanendo uguali le rette, viene conservato, e dunque tanto accade del birapporto dei punti proiettatisulla quinta retta: in tal senso e ben definito il birapporto tra rette, e in un modo non molto diverso si puoparlare di birapporto tra piani e iperpiani (non fara male pensare, fino ad una dimensione visualizzabile,a come puo funzionare la faccenda).

Composizione di omologie

bD

bC1

bC2

bP

bP′′

bP′

bQbQ′

b

Q′′

b C

Siano f1, f2 : P(V ) → P(V ) due omologie (non speciali) di asse comune H e centri C1, C2: il puntoP viene mandato da f1 in P ′, e P ′ viene mandato da f2 in P ′′. f1 f2 e ancora un’omologia di asse H :trovare il suo centro.

Il centro giace sicuramente sulla retta P ∨P ′′: per individuarlo basta intersecarla con la retta Q∨Q′′,ove Q′′ e l’immagine mediante f1 f2 di un punto arbitrario Q. Sia dunque Q tale punto: la sua immagineQ′ mediante f1 e il punto (C1 ∨ Q) ∩ (P ′ ∨ D): D e il punto di intersezione tra la retta P ∨ Qe l’assedi omologia:dato che tale punto e unito per f1 si ha f(P ∨ Q) = f(P ) ∨ f(Q) = f(P ) ∨ D: Q′ giace

16Tale nozione e metrica, e dunque non ha senso parlarne fino a che non si e posto sullo spazio un modo di misuraredistanze e angoli, ma ha una bellissima formulazione proiettiva: per chi volesse cercare, parliamo del teorema di Laguerre,che esprime l’ampiezza dell’angolo formato da due rette di un fascio mediante il loro birapporto come elementi corrispondentiin una certa involuzione.

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dunque sulla retta f(P ) ∨D = P ′ ∨D. Un discorso del tutto analogo (si tratta visibilmente dello stessoprocedimento usato per costruire geometricamente l’immagine di un punto mediante un’omologia di datiasse, centro e una coppia di punti corrispondenti) permette di trovare f2(Q

′) = Q′′ = f2(f1(Q)) comeintersezione (P ′′ ∨D) ∩ (C2 ∨Q′)

Osservazione: I triangoli PP ′P ′′ e QQ′Q′′ sono prospettivi in D e omologici sulla retta C1 ∨ C2.Cosa accade a catene di composizioni del tipo f1 f2 f1 e simili? Cosa succede di una tale successionenello spazio degli operatori lineari? Come dualizzare l’asserzione? cosa accade a f1 f2 e f2 f1 se f1, f2hanno stesso centro e asse diverso?

Nella costruzione del quarto armonico abbiamo dato per scontato il poter scegliere liberamente qualequadrangolo completo costruire: mostrare che la costruzione e invariante involve il teorema di Desargues,dato che si tratta di mostrare che in due quadrangoli ABCD, A′B′C′D′ sono contenuti due triangoli ABCe A′B′C′ che sono prospettivi dal vertice D e dunque omologici sulla retta in cui si vuole trovare il quartoarmonico. Q.E.D.

Teorema 5 (Hesse). Dato un quadrilatero piano ABCD, tale che due coppie di vertici opposti sonoconiugate (cioe la polare dell’uno secondo una data polarita passa per l’altro), la terza coppia di vertici eanch’essa una coppia coniugata.

bAbB

bC

b

bQ

bR

b P

bS

bbb

Dimostrazione. Nel quadrangolo APBCQR A sia coniugato on P e B con Q: proviamo che C e coniugatocon R. Supponiamo che almeno uno dei lati non sia auto-coniugato (diciamo s = ABC), e supponiamopure che il suo polo S non coincida con P,Q,R ne giaccia su uno dei lati PQ,PR,QRAllora le polari diA e B sono a = PS, b = QS. Siano ora A′ = s ∩ a,B′ = s ∩ b, C′ = s ∩ SR: nell’involuzione dei punticoniugati su s (AA′), (BB′) sono due coppie di punti corrispondenti, dunque devono esserlo anche C e C′:la polare di C e cioe SC′, retta che contiene R. Q.E.D.

Teorema 6 (Chasles). Dato un triangolo T nel piano proiettivo, il suo triangolo polare ha per vertici i polidei lati e per lati le polari dei vertici. Il Teorema di Chasles afferma che un triangolo e il suo polare sonodesarguesiani, cioe prospettivi da un punto e omologici su una retta. L’inverso di tale teorema, dovuto avon Staudt, dice che ogni coppia di triangoli desarguesiani sono triangoli polari per una certa polarita.

b S

bR

b

P

bQ

bP′

bR′bQ′

Diamo una dimostrazione analitica e una sintetica: Prenden-do come riferimento nel piano i vertici di T , e un certo puntounita, i suoi lati hanno coord. pluckeriane p1 = ( 1 0 0 ), p2 =( 0 1 0 ),p3 ( 0 0 1 ). Ora, ad una polarita φ : P (V ) → P (V ∗) e as-sociata una applicazione bilineare simmetrica non-degenere g dimatrice G nel riferimento scelto. Le coordinate dei lati del trian-golo polare φ(T ) allora sono q1 = ( g11 g12 g13 ), q2 = ( g12 g22 g23 ),q3 = ( g13 g23 g33 ). Si vede subito allora che p1∩q1, p2∩q2,p3∩q3sono tre punti allineati. Per dare una prova sintetica di questofatto avvaliamoci del disegno: le rette PP ′ e QQ′ si incontranoin un punto S, e PS e coniugata a QR, perche contiene P ′ (il po-lo di QR). Grazie a(l duale de)l Teorema di Hesse, cosı e anchedi QS, che contiene Q′ e dunque e coniugata a PR. Q.E.D.

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bS

bT

bP bQ

bR

bD

bE bA

bBbC

b

b

Alcuni Esercizi Sintetici

(1) Sia PQRST un pentagono inscrit-to in una conica C di P 2(R ). Consideriamo ipunti di intersezione ABCDE (formano un pen-tagono, “cuore” di una stella inscritta nel pen-tagono piu grande) delle sue diagonali e la coni-ca D , unica, che passa per tali punti. Si indichipoi in minuscolo la polare di ogni punto rispet-to alla conica in cui giace (cioe la tangente allaconica in quel punto): a la polare di A, . . . , e la

polare di E fatte rispetto a D , p la polare di P , . . . , t la polare di T rispetto a C .Mostrare che (riferendosi al disegno) a passa per s∩ t ed r∩ q, e che questa condizione di allineamento

vale anche per gli altri punti.(2) Sia Q una conica di P 2(R ). Siano A,B,C tre punti sul suo supporto (in modo tale che ABC

sia un troangolo inscritto in Q, e a, b, c le polari dei lati omonimi (in tal modo definiamo A′ = b ∩ c, B′ =c ∩ a, C′ = a ∩ b).

Mostrare che le rette rAA′ , rBB′ , rCC′ concorrono. Detto O il loro punto comune, qual e la polare diO rispetto a Q? Definiti D = CC′ ∩ Q, E = AA′ ∩ Q, F = BB′ ∩ Q, mostrare che l’esagono formatodall’“intersezione” dei due triangoli ABC e DEF e inscritto in una conica (=scelti cinque punti a caso diquell’esagono, l’unica conica che passa per quelli passa anche per il sesto).

(3) Ogni proiettivita di P 2(R ) risulta dalla composizione di (al piu) due omologie.

Dimostrazione. (L’invito e a svolgerla del tutto) f : P 2(R )→ P 2(R ) ha almeno un punto unito (perche?).Sia esso P . Se si sceglie una retta r ≥ P , f |r e una prospettivita di r in f(r), di centro C. Se si consideral’omologia τ di centro C e asse rPC che manda X ∈ r \ P in f(X), si puo mostrare che θ = τ−1 f eomologia di asse r. Q.E.D.

Si generalizzi al caso di f : P n(R )→ P n(R ): ogni proiettivita e prodotto di al piu n− k omologie, sek = dimN , N sottospazio puntualmente unito per f , in particolare ne servono al piu n+ 1.

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APPLICAZIONI BILINEARI

Manca di mentalita matematicatanto chi non sa riconoscererapidamente cio che e evidente,quanto chi si attarda nei calcolicon una precisione superiore allanecessita.

Carl Friedrich Gauß

Intro: La nozione di applicazione bilineare nasce per rendere intrinseca la teoria dei gia noti prodottiscalari. Il prodotto scalare e stato anche un primo esempio di metrica su uno spazio, un modo di misurarele distanze: ci accorgeremo presto di come le proprieta di uno spazio possano modificarsi sensibilmente aseconda della applicazione bilineare che vi si vuole introdurre.

Durante quasi tutta la trattazione supporremo tacitamente, ogni volta che tratteremo di spazi vetto-riali, che la caratteristica del loro corpo di base sia diversa da 2: la trattazione di questo caso particolaree piu complessa, e soprattutto “esula dagli scopi del corso”.

Definizione 15 (Applicazione Bilineare). V,W siano spazi vettoriali di dimensione finita su K . Unaapplicazione bilineare e una funzione

g : V ×W → K

(v, w) 7−→ g(v, w)

che sia lineare rispetto ad entrambe le variabili. Si deve avere cioe

g(a1v1 + a2v2, w) = a1g(v1, w) + a2g(v2, w)g(v, a1w1 + a2w2) = a1g(v, w1) + a2g(v, w2)

A questa proprieta si puo poi aggiungere la non degenerazione:

g(v, w) = 0 ∀ w ∈W =⇒ v = 0g(v, w) = 0 ∀ v ∈ V =⇒ w = 0

Un immediato esempio di applicazione bilineare non degenere e la dualita canonica (piu avanti ciaccorgeremo che essa e legata molto profondamente al dato di ogni altra applicazione bilineare):

: V × V ∗ → K

(v, ζ) 7−→ v ζ =: ζ(v)

Iniziamo subito a particolareggiare la trattazione: se V ≡W , i due argomenti della applicazione possonoessere confrontati, e puo accadere che il valore assunti da g su (v, w) sia correlato in qualche modo colvalore assunto su (w, v): se cio e vero, possono presentarsi due casi: Simmetria: g(v, w) = g(w, v) per ogni v, w ∈ V ; Alternanza: g(v, v) = 0 per ogni v ∈ V .

23

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Dall’alternanza discende in particolare che g(v, w) = −g(w, v): se si sostituisce nella definizione v conu+ w si ha

0 = g(u+ w, u + w) = g(u, u) + g(u,w) + g(w, u) + g(w,w) = g(w, u) + g(u,w)

Vale in realta qualcosa di piu, e cioe che ogni g bilineare puo essere scritta come la somma di unaapplicazione simmetrica e di una alternante:

g = gS + gA gS =g(v, w) + g(w, v)

2gA =

g(v, w)− g(w, v)

2

Il fatto interessante e che si puo cominciare a lavorare in coordinate: se V = v1, . . . vn e una base di V ,all’applicazione g : V × V → K si puo associare una matrice n× n.

G = (gij)1≤i,j≤n = (g(vi, vj))1≤i,j≤n u =

n∑

i=1

aivi w =

n∑

j=1

bjvj

A questo punto il prodotto g(u,w) puo essere sviluppato per bilinearita:

g(u,w) = g

n∑

i=1

aivi,

n∑

j=1

bjvj

=

n∑

i=1

aig

vi,

n∑

j=1

bjvj

=

n∑

i,j=1

aibjg(vi, vj)

risultato che si nota essere uguale al prodotto utGw:

( a1 ... an )G

(b1...

bn

)= ( a1 ... an )

(∑g(v1,vj)bj

...∑g(vn,vj)bj

)=

n∑

i,j=1

aibjg(vi, vj)

Abbiamo cioe mostrato che, introdotta una base (e dunque delle coordinate) si ha

g(v, w) = vtGw Q.E.D.

Le proprieta di g si possono ora leggere mediante le proprieta della sua matrice: valgono le seguenti g e non degenere sse detG 6= 0; g e simmetrica sse Gt = G; g e alternante sse Gt = −G; Se W = w1, . . . wn e un’altra base di V , la matrice H di g nella nuova base e H = P tGP , ove Pe il cambio di base.

(2), (3) sono facili. Mostriamo (1) e (4).

Dimostrazione. (1): Se v e tale che g(v, x) = 0 per ogni x ∈ V si ha vtGx = 0 per ogni x ∈ V , e dunquevtG = (0, . . . , 0) (si potrebbe altrimenti trovare un vettore tale per cui vtGx 6= 0). Cio significa chevtG = Gtv = 0, cioe kerGt non e il sottospazio banale, o in altre parole detGt = detG = 0. Q.E.D.

(4): Siano x′ = Px, y′ = Py. x′tGy′ = (Px)tGPy = xtP tGPy. Q.E.D.

Facciamo ora due esempi di applicazioni bilineari non degeneri, simmetriche: Scelta la base canonica E , il prodotto scalare e definito come l’applicazione g che ha in tale basematrice identica (cioe puo non averla in altre basi).

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In R 4 si puo introdurre l’applicazione lineare g : R 4 × R 4 → R di matrice M in base canonica, cheprende il nome di applicazione di Minkowski (lo spazio (R 4,M) analogamente si chiama spazio diMinkowski).

M =

( 11

1−c2

)c e una costante positiva fissata, la velocita della luce

Tale spazio funge da modello teorico per la relativita ristretta: notare come vi sono vettori non nullitali che vtGv = 0, ad esempio (c, 0, 0, 1)t. Preso un vettore v generico, di coordinate (x, y, z, t) inbase E si ha che vtGv puo essere positivo, negativo o nullo a seconda che x2 + y2 + z2 − c2t2 siapositiva negativa o nulla.Se v e tale che vtGv > 0, v si dice vettore spazio

Se v e tale che vtGv < 0, v si dice vettore tempo

Se v e tale che vtGv = 0, v si dice raggio di luce

DUALITA’ Vogliamo mostrare come esista una relazione piu intima tra il dato di una applicazionebilineare e la dualita canonica: sia g : V ×W → K (gli spazi vettoriali siano di dimensione finita); essaequivale al dato di due omomorfismi (in realta uno solo, potendosi mostrare che sono l’uno il traspostodell’altro)

Φg : V →W ∗ Ψg : W → V ∗

v 7−→ g(v, ·) w 7−→ g(·, w)

La bilinearita di g sui due argomenti porta a dire che Φ e Ψ sono effettivamente omomorfismi (sonofunzioni lineari), e la non degenerazione dice che i due sono iniettivi: da dimV ≤ dimW , dimW ≤ dimVsi conclude che sono in realta isomorfismi tra uno spazio e il duale dell’altro. Il dato di un’applicazionebilineare non degenere e insomma il dato di un isomorfismo (non canonico perche dipendente dalla sceltadi g) tra V e il suo duale V ∗: se V e base di V , e V∗ e base di V ∗, allora G = αVV∗(Ψg). Un esempiopermettera forse di cogliere la sottigliezza: consideriamo R 4. Esso si puo identificare con R 4∗ sia colprodotto scalare 1 sia con la matrice di Minkowski, e le proprieta dei suoi elementi cambiano molto aseconda dell’identificazione che si sceglie.

Indaghiamo meglio questa identificazione, e mostriamo in particolare che Φ∗g ≡ Ψ. Ricordiamo in-

nanzitutto che esiste un isomorfismo canonico tra lo spazio Hom(V ∗,K ) =: V ∗∗ e V (“valutazione” dellaforma ζ nel vettore v definita come evv(ζ) := ζ(v). Ora, la definizione di trasposta di una φ : V → W eφ∗ : W ∗ → V ∗ tale che φ∗(w∗) := w∗ φ.

A questo punto applichiamo tale definizione a Φ∗ : W ∗∗[≃W ]→ V ∗.

Φ∗g(φw) := φw Φg quale forma e questa? calcoliamola in v

(φw Φg)(v) := φw(Φg(v)) = φw(g(v, ·)) = g(v, w)

Da cio (riducendo all’osso le informazioni necessarie, la cosa richiede comunque una certa “meditazione”)segue che Φ∗

g manda φw ∈ W ∗∗ (identificato con w ∈ W grazie all’isomorfismo di cui sopra) nella mappav 7→ g(v, w) (e cio e proprio quello che fa Ψ).

La prima nozione che vogliamo vedere in questa nuova ottica e quella di ortogonale a un sottospazio.

Definizione 16 (Ortogonale). Dati ∅ 6= S ⊆ V (notare che e sufficiente che sia un sottoinsieme) eg : V × V → K applicazione bilineare, definiamo l’ortogonale di S come

S⊥ := v ∈ V | g(v, s) = 0 ∀ s ∈ S

(sono i vettori di V che si annullano sui vettori di S mediante g; notare che cio generalizza la definizionedi ortogonale mediante la dualita canonica).

Le proprieta di questo ortogonale sono quelle che gia conosciamo:

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1. S⊥ e un sottospazio (leggasi: anche se S non lo e)

2. Se S1 ≤ S2 allora S⊥1 ≥ S

⊥2 .

3. S⊥ = 〈S〉⊥.

4. Se W ≤ V , dimW = k, allora dimW⊥ = n− k.

5. Se W ≤ V , (W⊥)⊥ = W

Dimostrazione.

1. S⊥ 6= ∅, dato che contiene lo zero. Se poi v, w ∈ S⊥ si ha g(αv + βw, s) = αg(v, s) + βg(w, s) =0 + 0 = 0

2. Facile.

3. S ⊆ 〈S〉, e dunque 〈S〉⊥ ⊆ S, per (2). Se v ∈ 〈S〉, x ∈ S⊥, v = a1s1 + · · · + arsr. g(v, x) =a1g(s1, x) + . . . arg(sr, x) = 0 =⇒ x ∈ 〈S〉⊥

4. Scelta una base W = w1, . . . , wk, g ha matrice G. Siano poi (x1, . . . xn) le coordinate di v nellastessa base. Imponendo che v appartenga a W⊥ si ottiene un sistema di k equazioni indipendenti:il suo spazio delle soluzioni ha rango n− k.

5. W ⊆ (W⊥)⊥ per definizione di ortogonale (=i vettori che si annullano contro i vettori che si annullanocontro i vettori di W , sono almeno tutti i vettori di W ).D’altra parte dimW⊥ = n − (n − k) = k.Per ragioni di dimensione, si ha W ≡W⊥⊥. Q.E.D.

Osservazione. La nozione di ortogonale permette ora di definire

Definizione 17 (Isotropia – Degenerazione). Diremo isotropo un vettore w 6= 0 tale che g(w,w) = 0,ovvero 〈w〉 ≤ 〈w〉⊥.Diremo W ≤ V degenere se W ∩W⊥ 6= 〈0〉Diremo infine W ≤ V sottospazio isotropo se W ∩W⊥ = W .

Risultato importante e che se g |W e non degenere, lo spazio V si spezza in due sottospazi in sommadiretta, uno ortogonale all’altro:

V = W ⊞W⊥

e se g |W e non degenere, allora anche g |W⊥ lo e.

Proposizione 7 (Decomposizione Ortogonale). Sia V spazio vett. su K (di caratteristica diversa da 2),dimV = n < ∞. Sia poi g : V × V → K bilineare (simmetrica o alternante), non degenere. Allora datoW ≤ V si ha

V = W ⊞W⊥ =⇒ g |W e non degenere

Possiamo “traslare” un’altra nozione propria del duale mediante g allo spazio vettoriale: tale nozionee quella di trasposta di un’applicazione lineare.

Definizione 18 (Trasposta di φ). Sia g bilineare non degenere, e sia φ ∈ End(V ) applicazione lineare.

La trasposta di φ e quella applicazione φ tale che

g(φv,w) = g(v, φw)

Fissata una base si hanno certe identificazioni:

1. g ha matrice G = αVV(g);

2. φ ha matrice P , φ ha matrice P ;

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3.(

x1.

xn

),( y1

.yn

)sono le coordinate di v, w nella base scelta.

Note tali identificazioni vorremmo esplicitare P . La condizione di cui alla definizione tradotta in questitermini diviene

(Px)tGy = xtG(P y) ⇒ xtP tGy = xtGPy ⇒ P tG = GP

cioe P = G−1P tG.Possiamo fare alcune osservazioni: Se G = 1, o in generale ogni volta che G commuta con P t, P = P t Valgono le relazioni ker φ = (imφ)⊥, im φ = (kerφ)⊥.

Forme Quadratiche

Cambiamo argomento e trattiamo un’altra peculiarita delle forme bilineari, il loro esprimere in modolineare proprieta di oggetti quadratici : vogliamo mostrare come lo spazio vettoriale delle applicazionibilineari sia (non canonicamente) isomorfo ad un altro spazio vettoriale, quello delle forme quadratiche avalori su un corpo, isomorfismo che si esplicita nel poter associare in modo (quasi, nel senso “a meno diun fattore due”17) biunivoco una forma quadratica ad una forma bilineare. E’ ovvio cominciare definendo

Definizione 19 (Forma Quadratica). Definiamo forma quadratica una mappa q : V → K che sia omoge-nea di grado 2 (tale cioe che q(αv) = α2q(v)

Una forma quadratica puo essere pensata come la “restrizione” di una applicazione bilineare g aivalori che essa assume “sulla diagonale” nel senso che segue: sia g : V × V → K una forma bilineare.Consideriamo l’applicazione

qg : V → K

v 7−→ g(v, v)

essa e visibilmente omogenea di grado 2, e dunque possiamo affermare che una g bilineare induce natu-ralmente una forma quadratica una volta ristretta alla “diagonale”.

Fatto piu interessante e pero che a sua volta una forma quadratica q induce una applicazione bilinearesimmetrica: consideriamo gq definita da

q(v + w) − q(v)− q(w) = g(v, w) + g(w, v)

(notare come questa sia la “parte simmetrica” di g). Ragionando in termini di matrici, quanto detto puoessere spiegato come segue: scelta una base, q(v) e un polinomio omogeneo di 2o grado nelle coordinatedi v:

v = (x1, . . . , xn) g(v, v) = xtGx =∑

1≤i,j≤n

gijxixj

Data poi una q quadratica che sia omogenea di grado 2, essa induce naturalmente una g bilinearesimmetrica:

(v, w) 7−→ q(v + w)− q(v)− q(w)

Spendiamo due parole in piu sull’isomorfismo che esiste tra i due spazi Q (forme quadratiche) e B

(forme bilineari simmetriche). Mostrato che essi sono spazi vettoriali, definiamo due applicazioni

φ : Q → B ψ : B → Q

q 7−→ gq g 7−→ qg

non e difficile mostrare che (ψφ)(q) = q, (φψ)(g) = g a meno di un fattore 2. Possiamo dunque affermareche esiste un isomorfismo Υ che associa ad ogni quadratica una bilineare simmetrica e viceversa. Q.E.D.

17Ecco che diventa indispensabile poter lavorare su corpi non di caratteristica 2.

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Classificazione

Esaurito questo discorso generale volto ad introdurre l’argomento, vorremmo occuparci del punto fonda-mentale, che e un problema di classificazione per certi versi analogo a quello affrontato nello studio delleclassi di equivalenza di Mn(K )/∼ (anello delle matrici modulo simiglianza). Diamo qualche definizione dipartenza e poi presentiamo il problema.

Definizione 20 (Base Ortogonale). Si dice base ortogonale diV rispetto a g (bilineare simmetrica e nondegenere) una base di V fatta di vettori a due a due ortogonali:

g(vi, vj)λiδij

Queste basi sono “piu belle” perche se v1, . . . vn e base ortogonale per V , e v ∈ V , allora le suecomponenti lungo la base V si trovano come “proiezioni ortogonali” sui vettori della suddetta (tuttoquanto detto generalizza un discorso gia affrontato nello studio del prodotto scalare canonico su R n):

v =g(v, v1)

g(v1, v1)v1 + . . .

g(v, vn)

g(vn, vn)vn =

n∑

i=0

g(v, vi)

g(vi, vi)vi

Tale osservazione contiene un punto da dimostrare: facciamo vedere che v −∑n

i=0g(v,vi)g(vi,vi)

vi = 0.

Un vettore e nullo (anche) se g(w,V) = 0 (la notazione essendo ovvia, esso si annulla contro tutti ivettori di una base).

g

(v −

n∑

i=0

g(v, vi)

g(vi, vi)vi, vj

)= g(v, vj) −

g(v, v1)

g(v1, v1)g(v1, vj)− · · ·+

−g(v, vj)

g(vj , vj)g(vj , vj)− · · · −

g(v, vn)

g(vn, vn)

tutti i termini non riquadrati si annullano (la base e ortogonale), e i due a restare sono opposti. Q.E.D.

Proposizione 8. Sia V spazio vettoriale di dimensione finita su K , charK 6= 2†, g bilineare simmetrica(quindi non alternante(†)), non degenere. g ammette una base ortogonale.

Dimostrazione. Esiste v1 tale che g(v1, v1) 6= 0. Consideriamo ora 〈v1〉⊥. Anche lı g e non degenere,dunque esiste v2 tale che g(v2, v2) 6= 0. Insomma, V si spezza come

V =〈v1〉 ⊕ 〈v1〉⊥

=〈v1〉⊞ 〈v2〉 ⊕ 〈v1, v2〉⊥

=〈v1〉⊞ 〈v2〉⊞ · · ·⊞ 〈vj〉 ⊕ 〈v1, . . . vj〉⊥

fino ad arrivare ad una base dell’intero V . Q.E.D.

Questo risultato e ben piu interessante se visto in termini di forme quadratiche: se g e non degenereesiste sempre un cambio di base che permette di esprimere qg come somma di quadrati puri.

Q(

x1.

xn

)=

n∑

i=0

aiix2i

Possiamo ora occuparci del problema originario, studiare Mn(K ) al variare di K e dell’equivalenzaintrodotta su di esso. Le classi di equivalenza Mn(K )/≈ definite dalla relazione detta congruenza

G ≈ H ⇐⇒ esiste P ∈ GLn(K ) tale che P tGP = H

puo cambiare sensibilmente a seconda del corpo K su cui si lavora: tale difficolta e intrinseca alla naturadel problema: stiamo studiando qualcosa che e “quadratico” e che quindi coinvolge la possibilita di estrarreliberamente radici quadrate agli elementi del corpo. Tale liberta esiste solo in corpi algebricamente chiusi,di cui C e un esempio, quello che affrontiamo proprio adesso.

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K ≃ C Sia g : V × V → C bilineare simmetrica non degenere, Prendiamo una base ortogonale W . Con-siderando che g(wi, wi) = λi, e possibile “normalizzare” i vettori di base dividendoli per la (una)radice quadrata di λi. Riscalata la base in questo modo possiamo trovare che

αVV(g) = 1 V = w1/√g(w1, w1), . . . , wn/

√g(wn, wn)

Tale risultato e fondamentale, perche mette in luce la “semplicita” delle applicazioni bilineari che sipossono mettere su uno spazio complesso: esse sono tutte riconducibili all’identita, e quindi essen-zialmente identiche al prodotto scalare canonico definito su C dalla base E . In altre parole, ogniforma quadratica complessa puo essere scritta come somma di quadrati puri. L’unica classe chesiamo ridotti a studiare e l’identita (nel caso delle applicazioni non degeneri), o in altre parole lematrici sono classificate esclusivamente dal loro rango.

GLn(C )/≈ = [1]

K ≃ R La situazione qui (si passi il gioco di parole), e meno complessa ma piu difficile, potendosi normal-izzare la base ortogonale solo a meno del segno.

vi =w1√

|g(w1, w1)|

supporremo dunque che g(vi, vi) = ±δij . Il risultato peculiare e che il numero r ∈ Z + di “+1” indiagonale e un invariante di congruenza. Per snellire l’enunciato raccolto in un solo teorema, diamoa parte qualche definizione.

Definizione 21 (Forme definite). g si dice definita positiva se la forma quadratica definita da qgammette solo valori positivi. g si dice, specularmente definita negativa se −g e definita positiva. Inogni altro caso g e non definita.

Osservazione. Se g e non definita ammette vettori isotropi, per una ragione assimilabile ad unasorta di “teorema degli zeri”: se lo spazio e fatto sia da vettori tale che g(v, v) > 0 sia da vettori taliche g(v, v) < 0 allora deve esistere una sorta di “margine” tale che g(v, v) = 0.

Andiamo dunque ad enunciare il

Teorema 7 (Sylvester). Sia V spazio vettoriale di dimensione finita, g : V × V → R bilinearesimmetrica non degenere. Allora lo spazio V si decompone come somma ortogonale di W+ e W−tali che g |W±

e definita positiva/negativa. In piu [tale parte della tesi e quella che ci interessaper individuare l’invariante di congruenza] se Z+, Z− e un’altra decomposizione che soddisfa i puntiprecedenti, dimW± = dimZ±.

Dimostrazione. Esiste sicuramente una base ortogonale per g. A meno di permutarne i vettori,possiamo supporre che i primi r siano tali che g(wi, wi) > 0, e che gli ultimi n − r siano tali cheg(wj , wj) < 0.

Per vedere che g |W±e definita ± si procede come segue: sia v = x1w1 + . . . xrwr ∈W+.

g(v, v) = x21g(w1, w1) + . . . x2

rg(wr, wr) > 0

analogamente si procede per W−.

Resta da mostrare l’ultimo punto. Sia allora V = Z+⊞Z− una decomposizione con le stesse proprietadi prima. Siano infine r = dimW+, s = dimZ+ Cio che ci permette di concludere e essenzialmenteun argomento di dimensione. Considerando infatti W+ ∩ Z− = 〈0〉 si ha V ≥ W+ ⊕ Z− cioe in

termini di dimensione n ≥ r + n − s, s ≥ r . Analogamente considerando W− ∩ Z+ = 〈0〉, si ha

V ≥W− ⊕ Z+, n ≥ n− r + s, r ≥ s . Q.E.D.

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Esiste dunque una base tale che g abbia matrice

1r

−1n−r

il numero naturale r viene detto segnatura dell’applicazione, e come visto e un invariante di con-gruenza. Puo essere utilizzato anche il numero r − s, detto indice d’inerzia della g.

Riassumiamo brevemente i risultati ottenuti: la classificazione cui siamo giunti dipende dal corpo diriferimento, essenzialmente perche condizioni quadratiche sulle incognite presuppongono di poter risolvereequazioni di secondo grado. Alla condizione che charK 6= 2 abbiamo distinto vari casi.

Se K e algebricamente chiuso, ogni g bilineare non degenere e congruente al prodotto scalare.Se K e un corpo ordinato (=i quadrati sono numeri positivi) allora esiste un invariante di congruenza

piu fine, la segnatura, definita come la dimensione del massimo sottospazio dove g coincide col prodottoscalare.

⋆ Tradurre quanto detto in termini di matrici significa essenzialmente studiare i quozienti di GLn(K )/ ≈(gruppo lineare modulo congruenza). GLn(C )/ ≈ = [1] (una sola classe) GLn(R )/ ≈ = [1],

[(−11n−1

)], . . . ,

[(−1r

1n−r

)], . . . , [−1] (n+ 2 classi) Su corpi in cui ci sono meno liberta “algebriche”, come ad esempio Q , oppure su insiemi di numeri

che non sono corpi, come Z , la classificazione e piu ardua. Se ne puo trovare un esempio in Jean

Pierre Serre, Cours d’Arithmetique.

Classificazione delle g alternanti

La classificazione stavolta e indipendente da K . Accenniamoci brevemente. Sia g : V × V → K bilinearealternante non degenere, charK 6= 2. Preso v1 6= 0, esiste w1 tale che g(v1, w1) = c 6= 0, e wlog si puo sup-porre g(v1, w1) = 1. Sia ora W2 = 〈v1, w1〉. g |W2

ha matrice(

0 1−1 0

). Se dimV > 2 si procede trovando in

W⊥1 due vettori v2, w2 tali che g(v2, w2) = 1. Detto W4 = 〈v1, w1, v2, w2〉, g |W4

ha matrice

(0 1−1 0

0 1−1 0

).

Da qui si procede in questo modo fino ad esaurire la dimensione di V , che deve per forza essere pari: nonpossono esistere forme alternanti non degeneri se dim V e dispari. Riordinando i vettori di base comev1, . . . vk, w1, . . . , wk si ottiene quella che e la vera forma canonica delle applicazioni alternanti. Invecedi una matrice fatta da k blocchi 2× 2 si puo ottenere la matrice

(O 1k

−1k O

). L’invariante di congruenza e

solamente l’intero k ∈ Z +.

Isometrie

Chiamiamo isometrie le trasformazioni che preservano la struttura geometrica indotta da una g bilineare.

Definizione 22 (Isometria). Dati due moduli quadratici18 (V, g) e (W, g′) si dice isometria ogni appli-cazione lineare φ : V → W tale che g′ φ = g, o in altre parole ogni φ tale che

g(v, w) = g′(φv, φw) ∀v, w ∈ V

Spesso noi particolarizzeremo il loro studio al caso in cui g, g′ sono non degeneri e al caso in cui V ≡W .Alcune proprieta delle isometrie posso essere derivate direttamente dalla definizione:

18Cioe due coppie (V, g) dove V e spazio vettoriale e g applicazione bilineare simmetrica

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Ogni isometria e iniettiva; Composizione di isometrie e ancora un’isometria; Inversa di un’isometria e ancora un’isometria.

La dimostrazione di questi tre fatti e semplice: Supponiamo v ∈ kerφ

g(v, w) = g′(φv, φw) = g′(0, φw) = 0

ma se g′ e non degenere, g′(v, w) = 0 per ogni w implica che v = 0 Q.E.D. g(v, w) = g′(φv, φw) = g′(u, z) = g′′(ψu, ψz) = g′′(ψφv, ψφw) Q.E.D. Se φ−1 : W → V , presi u, z ∈W si ha

g(φ−1u, φ−1z) = g′(φφ−1u, φφ−1z) = g′(u, z) Q.E.D.

(il secondo passaggio si puo fare perche φ e isometria per g).

Con tali proprieta l’insieme IG delle isometrie per una data g ha struttura di gruppo. Volendo tradurrequesto in termini di matrici si trova che Ig e isomorfo (non canonico) con un sottogruppo di GLn(K ):scelta una base di di V V , g ha matrice G e φ (isometria per g) ha matrice P . Secondo la definizione

xtP tGPy = xtGy ⇐⇒ P tGP = G

Esiste dunque un isomorfismo Ig∼−−→ P ∈ GLn(K ) | P tGP = G: per esempio, se g e il prodotto scalare

canonico, e V e una base ortonormale per g allora

Ig ≃ P ∈ GLn(K ) | P tP = 1 (gruppo ortogonale On(K ))

Se g bilineare reale ha segnatura r, scelta una base standard il gruppo delle sue isometrie Or(R ) e

Or,n−r(R ) :=P ∈ GLn(R ) | P t

(1r

−1n−r

)P =

(1r

−1n−r

)

per esempio, il gruppo O3,1(R ) e detto gruppo di Lorentz (isometrie di R 4 con g =(13

−1

).

Dalla relazione P tGP = G si ottiene che (detP )2 = 1, cioe detP = ±1. Le isometrie con determinante1 conservano la struttura di gruppo, e vengono dette sottogruppo delle isometrie speciali di g.

SIg := P ∈ On(K ) | detP = 1

Per esempio SO2(R ) e il gruppo delle rotazioni sul piano, ed SO3(R ) quello delle rotazioni attorno a unaretta 〈v〉,attorno al piano 〈v〉⊥.

Anche le isometrie di una g alternante sono un gruppo: prendiamo uno spazio di dimensione n = 2kdotato di una g non degenere alternante: il gruppo delle sue isometrie e detto gruppo 2k-simplettico. Laclassificazione del caso generale e ardua, ben piu facile e farsi un esempio con Sp2 dato che il conto si puofare a mano. Ovviamente l’insieme delle trasformazioni e in isomorfismo con un sottogruppo di matrici:anch’esso viene detto gruppo simplettico.

Sp2k :=A ∈ GLn(K ) | At

(O 1k

−1k O

)A =

(O 1k

−1k O

)

Definizione 23. Supponiamo φ ∈ On. Possiamo definire l’asse di isometria come il sottospazio lasciatounito dal φ.

Hφ = v ∈ K n | φ(v) = v

Se Hφ e un iperpiano, φ si dice simmetria assiale. Si puo mostrare che ogni isometria di On e composizionedi al piu n simmetrie assiali:

φ = σ1 · · · σr r ≤ n

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Forme Hermitiane

Vorremmo a questo punto interessarci al problema di estendere una g reale a coordinate complesse, man-tenendo cioe le proprieta (almeno quelle piu “oneste”) che ci aspettiamo di trovare donando una geometriaallo spazio. Ci siamo gia scontrati in passato, con l’impossibilita di definire in maniera ingenua un “prodot-to scalare” in spazi vettoriali su base complessa. Ora quel problema e generalizzato, ma la soluzione cuigiungiamo e essenzialmente identica. Sfruttiamo le proprieta del coniugio per parlare di applicazioniemi19lineari.

Definizione 24 (Forma hermitiana). Sia V spazio vettoriale su C , h : V × V → C . h si dice forma

hermitiana se e lineare in una variabile (convenzionalmente la seconda) e coniuga gli scalari nell’altra.

Valgono insomma le proprieta

h(v, αw1 + βw2) = αh(v, w1) + βh(v, w2)h(αv1 + βv2, w) = αh(v1, w) + βh(v2, w)

h(v, w) = h(w, v)

Ora si tratta solo di cambiare “quel tanto che basta” definizioni e proprieta che gia conosciamo: iniziamonotando che la definizione posta e esattamente quel che volevamo. Pensando uno spazio complesso comespazio R vettoriale di dimensione doppia, ogni h che sia hermitiana e R -bilineare.

Preso poi V = R n, con l’applicazione g simmetrica di matrice G ∈ Mn(R ), possiamo considerareR n → C n e su C n a sua volta possiamo considerare l’applicazione (z, w) 7−→ ztGw: a coordinate realitale applicazione e bilineare, mentre a coordinate complesse e hermitiana.

Fissata poi una base di V si puo associare ad h una matrice

H = (h(vi, vj))1≤i,j≤n

da una delle proprieta della definizione discende direttamente che Ht = H (le matrici che hanno questaproprieta20 si dicono matrici hermitiane. Infine dalla terza delle proprieta discende che h(v, v) = h(v, v),e dunque ogni hermitiana che scontra un vettore con se stesso restituisce un numero reale21.

Con perfetta analogia alle bilineari h si dice degenere se esiste un vettore v non nullo tale che h(v, w) = 0per ogni altro w. Infine lavorando in coordinate si puo associare ad h e ai vettori dello spazio una matricee delle colonne, ottenendo la relazione

h(z, w) = h

n∑

i=0

zivi,n∑

j=0

wjvj

=∑

1≤i,j≤n

ziwjh(vi, vj) = ztHw

Si presenta poi lo stesso problema di classificazione, e la stessa soluzione: e possibile trovare una baseortogonale, ma i vettori possono essere normalizzati solo a meno del segno. Vale dunque un analogo delteorema di classificazione di Sylvester:

Teorema 8 (Sylvester complesso). h : V × V → C sia hermitiana non degenere. Allora lo spazio V sidecompone in due sottospazi tra loro ortogonali in modo che h |W+

e definita positiva e h |W−e definita

negativa. Infine se Z+, z− e un’altra siffatta decomposizione, allora dimW± = dimZ±.

Dimostrazione. Analogo al caso reale: supponiamo i primi r vettori siano tali che h(vi, vi) > 0 e gli ultimin− r tali che h(vj , vj) < 0. Se poi x ∈ W+ si ha

h(x, x) = z1z1h(v1, v1) + · · ·+ zrzrh(vr, vr) > 0

Anche l’ultimo punto si dimostra analogamente al caso reale. Q.E.D.

19non piu “bi”20Spesso la si scrive come H = H

t

21E quindi se tale h e definita positiva ha perfettamente senso una metrica su spazio complesso. Questo era parte di quelche volevamo ottenere.

Mat3M 2007/2008 32

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Anche le forme hermitiane sono quindi classificate dalla segnatura.

Proposizione 9 (Disuguaglianza di Schwartz). Sia h : V × V → C hermitiana definita positiva. Dativ, w ∈ V si ha

|h(v, w)|2 ≤ h(v, v)h(w,w)

e vale l’uguaglianza sse v, w sono linearmente dipendenti.

Dimostrazione. Poniamo κ =(

h(w,v)h(v,w)

)1/2

. Si nota facilmente che κ = κ−1, useremo questo risultato

successivamente. Siccome h e definita positiva si ha h(v + tκw, v + tκw) ≥ 0, su questo basiamo ladimostrazione:

h(v + tκw, v + tκw) = h(v, v) + (κh(w, v) + κh(v, w))t+ h(w,w)t2 = h(v, v) + 2|h(v, w)|+ h(w,w)t2 ≥ 0

ora si ha immediatamente che per questo trinomio di secondo grado in t, ∆/4 < 0 cioe esattamente

|h(v, w)| ≤ h(v, v)h(w,w) . Q.E.D.

Osservazione. Notiamo come questo risultato sia parecchio generale: possiamo infatti utilizzarlo in ognicaso abbiamo una h definita positiva come ad esempio nel caso della applicazione bilineare integrale

〈·, ·〉 : C([a, b],C )× C([a, b],C )→ C 〈f, g〉 =

∫ b

a

f(x)g(x)dx

La disuguaglianza di Schwartz in questo caso diventa

〈f, g〉 ≤ 〈f, f〉〈g, g〉 ⇐⇒

∣∣∣∣∣

∫ b

a

f(x)g(x)dx

∣∣∣∣∣

2

∫ b

a

|f(x)|2dx

∫ b

a

|g(x)|2dx

complicata disuguaglianza integrale che invece e di semplicissima dimostrazione.

Definizione 25 (Aggiunta di una h). Siano V,W spazi vettoriali, e h, h′ forme hermitiane, h : V ×V → C

e h′W ×W → C . Sia poi φ : V →W : definiamo come aggiunta di φ l’applicazione φ∗ tale che

h′(φv,w) = h(v, φ∗w)

Noi particolarizzeremo lo studio a quando V = W .Ragionando in termini di coordinate, fissata una base si hanno le seguenti relazioni: H,H ′ sono matrici

di h, h′, P e matrice di φ, P ∗ matrice di φ∗.

(Pv)tH ′w = vtHP ∗w

chiaro che quindi si ha la relazione P ∗ = H−1PtH ′ (in maniera molto simile alla relazione tra una φ e

la sua trasposta).

Definizione 26 (Operatore Autoaggiunto – Normale). φ : V → W si dice autoaggiunto se φ ≡ φ∗ (in

termini di matrici, P = Pt). Si dice invece normale se φ φ∗ = φ∗ φ.

Osservazione. Matrici simmetriche reali sono matrici di operatori autoaggiunti, cosı come matrici hermi-tiane sono matrici di operatori autoaggiunti complessi. Lo studio di queste trasformazioni e fondamentalein molti ambiti della Matematica Applicata e della Fisica Teorica (in Meccanica Quantistica l’oggettoosservato viene visto come una trasformazione che si opera sullo spazio, in virtu del principio che l’atto diosservare modifica lo stato dell’esperimento). Ancora maggiore importanza acquistano se si pensa che peressi vale un risultato importante (il Teorema Spettrale, una generalizzazione di quello gia visto, che oraandiamo a dimostrare) che mostra che trasformazioni autoaggiunte (o anche solo normali) sono semprediagonalizzabili con basi ortogonali.

Mat3M 2007/2008 33

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Teorema 9 (Spettrale per Operatori Autoaggiunti). Sia φ : V → V endomorfismo autoaggiunto perh : V × V → C . Allora esiste una base ON di autovettori per φ.

Dimostrazione. Per induzione su n = dimV : se n = 1 nulla da provare. Sia allora n > 1, ed a unautovalore per φ di autovettore relativo v. Sappiamo che grazie a g si ha V = 〈v〉 ⊕ 〈v〉⊥. Mostrando cheφ(〈v〉⊥) ⊆ 〈v〉⊥ ci si riduce ad uno spazio di dimensione n− 1 che per ipotesi induttiva ha una base ONdi autovettori. Sia x ∈ 〈v〉⊥:

h(v, φx) = h(φv, x) = ah(x, v) = 0 Q.E.D.

La tesi e provata, dobbiamo pero ancora mostrare che Se φ e autoaggiunto per h lo spettro di φ e reale: ah(v, v) = h(φv, v) = h(v, φv) = ah(v, v) e

dunque a = a, cioe a− a = 0 2ℑa = 0. Q.E.D. Se v, w sono autovettori relativi ad autovalori distinti, allora sono ortogonali: siano φ(v) = av,φ(w) = bw.

ah(v, w) = h(φv,w) = h(v, φw) = bh(v, w)

cioe (a− b)h(v, w) = 0, a− b = 0. Q.E.D.

Prima di mostrare lo stesso risultato a ipotesi piu deboli (cioe assumendo solo che φ sia normale),parliamo di un corollario interessante di questo risultato.

Proposizione 10. Sia π : V → V una proiezione (cioe sia idempotente, π2 = π, e lo spazio si dividain somma diretta in due parti, una che fa da schermo e una che fa da direzione di proiezione). π eautoaggiunta sse e proiezione ortogonale.

Dimostrazione. Sia π proiezione ortogonale, v, w ∈ V . Dobbiamo far vedere che h(πv, w)?= h(v, πw).

Con un barbatrucco algebrico si ha

h(π(v), w) − h(w, π(w)) − h(π(v), π(w)) + h(π(v), π(w))h(π(v), w − π(w)) + h(π(v) − v, π(w)) = 0

(fa zero perche #− π(#) ∈ kerπ e π(#) ∈ imπ, e per ipotesi kerπ = (imπ)⊥. Q.E.D.

Viceversa se π e autoaggiunta mostriamo che h(v − π(v), π(w)) = 0

h(v, πw) − h(πv, πw)h(v, πw) − h(v, π2w)h(v, πw) − h(v, πw) = 0 Q.E.D.

Mostriamo ora il teorema spettrale per operatori normali: ci serviamo di due lemmi che andiamo adimostrare. Siano allora φ, φ∗ una applicazione e la sua aggiunta, tali che φ φ∗ = φ∗ φ.

1. v ∈ kerφ ⇐⇒ v ∈ kerφ∗

2. v ∈ ker(φ− α) ⇐⇒ v ∈ ker(φ∗ − α)

Dimostrazione. Per la prima affermazione abbiamo

v ∈ kerφ ⇐⇒ φ(v) = 0 ⇐⇒ h(φ(v), φ(v)) = 0

perche h e definita positiva. Ora abbiamo anche

0 = h(φv, φv) = h(v, φ∗φv) = h(v, φφ∗v) = h(φ∗v, φ∗v) Q.E.D.

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Dimostrazione. Per la seconda abbiamo qualcosa di simile:

h((φ− a)v, (φ − a)v) = h(φv, φv) − ah(v, φv) − ah(φv, v) + aah(v, v)

= h(φ∗v, φ∗v)− ah(φ∗v, v)− ah(v, φ∗v) + aah(v, v)

= h((φ∗ − a)v, φ∗v)− h((φ∗ − a)v, av)

= h((φ∗ − a)v, (φ∗ − a)v) Q.E.D.

Forti di questi risultati, mostriamo il teorema per induzione su n = dim V , in modo analogo a prima.Sia n > 1 e la tesi vera per ogni j < n. Sia poi a un autovalore di autovettore v. Consideriamo ladecomposizione 〈v〉 ⊕ 〈v〉⊥. E’ sufficiente mostrare che φ(〈v〉⊥) ⊆ 〈v〉⊥. Sia allora x ∈ 〈v〉⊥:

h(φx, v) = h(x, φ∗v) = h(x, av)⋆= ah(x, v) = 0

(abbiamo usato il secondo lemma dove c’e ⋆)

Complementi

Valori Singolari di una Matrice

Accenniamo a una questione di Matematica Applicata che usa buona parte degli argomenti svolti. Tempo addietrosi e notato come il rango di una matrice A ∈ Mn,m(K ) sia un’invariante di equivalenza, e di come sia possibile,detto r tale rango, ricondurre ogni matrice ad una della forma

(1r Or,m−r

On−r,r On−r,m−r

)

una decomposizione del genere dell’anello Mn,m(K ) e pero “troppo” fine. Vorremmo trovare un modo di “di-agonalizzare” una matrice rettangolare e trovare dei valori che siano anch’essi invarianti per equivalenza ma checaratterizzino meglio la matrice. Questo ci si accorge subito essere un problema che somiglia a quello degli auto-valori, ma la soluzione possibile e prevedibilmente diversa: qui non possiamo parlare di determinanti! Quello cheora vogliamo mostrare e che data A ∈ Mn,m(K ) esistono due matrici unitarie P, Q (di dimensioni diverse!22) taliche P tAQ = S ove S e una matrice diMn,m(K ) della forma

s1

. . . 0sr

0tO

gli sj si dicono valori singolari di A

In termini di applicazioni lineari vorremmo che una qualunque applicazione tra spazi vettoriali possa essere “ridot-ta” ad una matrice come quella prima scritta. Sia allora ϕ : R n → R m una applicazione lineare. La prima cosa chevorremmo fare e restringerla ad un isomorfismo di spazi vettoriali, la cosa si puo fare considerando K = (kerϕ)⊥

(in tal modo ϕ e iniettiva) e restringendo il dominio alla sola Y = im ϕ. In tal modo ϕ |K=: ϕ e isomorfismodi spazi vettoriali, di inversa ϕ−1 Ora, oltre alla normale restrizione del prodotto scalare ad Y possiamo definirel’applicazione bilineare ς : Y × Y → R , (x, y) 7→ ϕ∗(x) · ϕ∗(y) (prodotto scalare delle controimmagini di ϕ suivettori di Y ). Tale applicazione e ovviamente bilineare, e dalla sua definizione discende che e anche simmetrica edefinita positiva. Esiste dunque una base di vettori w1, . . . wr (r = dim Y = rk φ) tali che ς(wi, wj) = kiδij . Taliki sono tutti positivi, e dunque per comodita stenografica possiamo scriverli come ki = 1/s2

i . Otteniamo dunqueche la base v1 = s1ϕ

−1(w1), . . . , vr = srϕ−1(wr) e una base ortonormale per il prodotto scalare su K. In definitiva

ϕ(vj) = sjwj e dunque, una volta completata V = v1, . . . vr a base di R n mediante una base di kerφ (ottenendola matrice P ) e completata W = w1, . . . , wr a base di R m (ottenendo la matrice Q) si ha

P tAQ = S S =

s1

. . . O

srO O

Q.E.D.

22Se vogliamo essere precisi, ad agire su Mn,m(K ) non e piu l’azione degli interi due gruppi GLn(K ) e GLm(K ), bensısolo quella di due loro sottogruppi, quelli di matrici invertibili unitarie.

Mat3M 2007/2008 35

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CONICHE E QUADRICHE

Quando lavoro su un problema,non penso mai all’estetica... maquando ho finito, se la soluzionenon e bella, so che e sbagliata.

Richard Buckminsterfuller

Intro: Le coniche sono l’esempio in dimensione piu bassa possibile (immediatamente sopra le equazionilineari, che pero si studiano con altri metodi) di curve algebriche, cioe di luoghi geometrici che sonodefiniti da equazioni algebriche di grado arbitrario. Geometricamente una conica puo essere definitacome l’intersezione di un piano con un bicono. Su questa definizione e sulla sua formulazione in terminimetrico–affini si basa l’intera trattazione dell’argomento in termini classici, di geometria sintetica: risalegia ad Apollonio un primo trattato sulle sezioni coniche, il κoνικoν appunto. Noi non prenderemo il viada questa definizione, che pure e quella piu nota, perche poco “maneggevole” ai nostri scopi: inizieremoinvece sfruttando l’approccio analitico per parlare di coniche e quadriche mediante gli strumenti algebricia noi noti. Essenzialmente ci appoggeremo alla teoria sviluppata al precedente capitolo.

Cominciamo considerando naturale immergere lo spazio affine nello spazio proiettivo, a sua volta natu-ralmente immerso nello spazio complesso (cio significa che ci prenderemo una certa liberta nel consideraresoluzioni complesse di equazioni, come vedremo tra poco).

Definizione 27 (Quadrica). Una quadrica nello spazio proiettivo e il dato di una forma quadraticaQ : R n+1 → R , a meno della moltiplicazione per una costante: la quadratica x2

0 − 2x0x1 + x0x2 − x23 e

una quadrica di P 3, ed e uguale23 a 3x20 − 6x0x1 + 3x0x2 − 3x2

3.

Della quadrica ci interessera studiare il luogo dei punti dello spazio proiettivo in cui essa si annulla: ciinteressiamo in pratica alla “forma” del sottoinsieme dei vettori isotropi di Q.

Definiamo come supporto di una quadrica l’insieme Supp Q := X ∈ P n(C ) | Q(X) = 0, e chiamer-emo coniche le quadriche del piano. La domanda che ora sorge e: perche il supporto e definito su C aprescindere dallo spazio vettoriale considerato? Altrimenti verrebbe ad essere falso questo risultato:

Proposizione 11. Siano Q1,Q2 due forme quadratiche in C n tali che Supp Q1 ≡ Supp Q2 (le duequadriche condividono lo stesso supporto): allora esiste λ ∈ C tale che Q1 = λQ2 (cioe le due quadrichesono uguali a meno di proporzionalita)24.

Dimostrazione. Usiamo una sorta di induzione su n. Per n = 1 esiste solo la forma x0 = 0, dunque non c’enulla da dimostrare. Per n = 2 abbiamo invece la forma generica Q(X) = ax2

0 + 2bx0x1 + cx21. Possiamo

supporre a 6= 025 e trovare due soluzioni in t = x0

x1: t1,2 = −b±

√b2−ac

a . I punti del supporto di Q sonodunque

σ〈(−b+

√b2−ac

a

)〉, σ〈

(−b−

√b2−ac

a

)〉

23Si tratta in pratica di considerare F (lo spazio delle forme quadratiche) modulo proporzionalita, un po’ come lo spazioproiettivo nasceva da V ×/K . Attenzione pero che le classi non restano le stesse cambiando K , e anzi ha poco senso parlarneal di fuori di C .

24Non e difficile farsi un esempio del perche questo sarebbe falso su R o su altri corpi: due forme possono avere lo stessoluogo degli zeri (il vuoto, se otteniamo polinomi di secondo grado irriducibili in R ) ma essere diverse.

25Se a = 0, la forma x1(2bx0 + cx1) = 0 ha per soluzioni i punti(

1

0

),( c−2b

)

36

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Ogni altra forma quadratica dotata dello stesso supporto puo essere ricondotta a questa a meno diproporzionalita (ci si puo accorgere di questo cercando di risalire alla forma a partire dal supporto:ax2

1(t− t1)(t− t2) porge l’equazione di secondo grado. . . ).Supponiamo dunque n > 2: prese Q1,Q2 con lo stesso supporto, si sceglie v 6= 0 che non stia nel

suddetto supporto: il rapporto Q1(v)/Q2(v) avra dunque senso e in particolare sara diverso da zero,chiamiamolo λv. Mostriamo ora che in realta λv non dipende da v. Prendendo un w qualsiasi si ha

Q1 |〈v,w〉= g1(t0v + t1w, t0v + t1w)Q2 |〈v,w〉= g2(t0v + t1w, t0v + t1w)

cosı ristrette le due forme hanno supporto Supp Q1,2 ∩ 〈v, w〉: si tratta nient’altro che dell’intersezionedella quadrica con la retta 〈v, w〉. D’altra parte si ha pure che v, w sono arbitrari, ma noti: g1,2(t0v +t1w, t0v+t1w) sono due quadriche in due variabili t0, t1: per quanto mostrato al punto precedente abbiamoche

t20g1(v, v) + 2t0t1g1(v, w) + t21g1(w,w)t20g2(v, v) + 2t0t1g2(v, w) + t21g2(w,w)

condividono lo stesso luogo degli zeri e sono dunque proporzionali:

g1(v, v)

g2(v, v)=

g1(w,w)

g2(w,w)=Q1(w)

Q2(w)= λ Q.E.D.

Osservazione. Vi sono ragioni algebriche (e di coerenza) che ci spingono a creare una nomenclaturaparticolare. Nel caso di una conica che risulti dal quadrato di una singola forma lineare, Q(X) = (ax0 +bx1)

2, l’“unico” punto del supporto di Q e (−b, a). In tali casi noi diremo che esso e punto del supporto“con molteplicita 2”, e intenderemo che anche se e un solo punto andra contato come fossero due. In talmodo si evitano particolarismi fastidiosi, e ha senso dire che il supporto di una quadrica26 e sempre fatto

almeno da due punti.

Coniche

Nella terminologia appena sviluppata, una conica e un’ equazione di secondo grado della forma

a00x20 + 2a01x0x1 + 2a02x0x2 + a11x

21 + 2a12x1x2 + a22x

22

ad essa si puo naturalmente associare una matrice, quella della forma quadratica che definisce la conica.

A meno di proporzionalita si ha dunque che A =(

a00 a01 a02a01 a11 a12a02 a12 a22

)definisce la conica.

Tutte le informazioni sulla forma e le proprieta della conica si possono ricavare da questa matrice:come imparare a leggerle? Qualche cosa sappiamo gia trovarla: prendiamo ad esempio una quadrica sullaretta proiettiva, di matrice A

(a bb c

). Essa sara costituita da due punti distinti o coincidenti, a seconda

che sia o meno nullo il “discriminante” ∆ = b2 − ac, quantita che guarda caso e proprio il (l’opposto del)determinante della matrice. Il segno di tale determinante aiuta poi a capire se la quadrica sia fatta dipunti complessi coniugati oppure reali.

Raccogliamo ora qualche definizione e giungiamo a un risultato: una conica si dira degenere se sispezza nel prodotto di due forme lineari (non necessariamente distinte, per pignoleria si potrebbe crearela terminologia “singolarmente degenere” e “doppiamente degenere”, dall’eloquente significato). Il rango

di una conica e il rango di una, e quindi di tutte, le matrici che la rappresentano.

Proposizione 12. Una conica C di matrice A e degenere sse detA = 0.

26Si dovrebbe precisare “che viva almeno sulla retta proiettiva”, ma nel caso in cui consideriamo spazi vettorialiunidimensionali, il loro spazio proiettivo e un punto. . . La cosa perde di interesse.

Mat3M 2007/2008 37

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Dimostrazione: Il verso destro si ottiene pensando cosı: se le due rette sono distinte, aiutiamocicon un disegno.

b σ〈w〉

r

bσ〈u〉

s

b σ〈v〉

bA

bB

bC

I punti σ〈u〉, σ〈v〉, σ〈w〉 sono in posizione generale e generano tutto il piano: in questo riferimento la

matrice di C risulta essere(

0 0 ⋆0 0 0⋆ 0 0

), che e chiaramente non invertibile. σ〈u,w〉 non puo essere retta

isotropa (avremmo una conica generata dalla forma quadratica nulla, e cio e assurdo) e dunque l’entratachiamata ⋆ non puo essere nulla. La matrice ha visibilmente rango 2 e determinante nullo. Consideriamoora il caso di una retta doppia, scrivendo Supp C = 2r

Siano A = σ〈u〉, B = σ〈v〉, C = σ〈w〉. Nella base 〈u, v, w〉 la conica ha matrice(

0 0 00 0 00 0 ⋆

), visibilmente

di rango 1 e determinante nullo. Sarebbe sufficiente a concludere notare che u, v sono isotropi e tra loroortogonali: in realta c’e di piu, e cioe che 〈u, v〉 = ker g (ove g e la bilineare simmetrica indotta dallaconica). Vediamo perche si ha g(v, w) = 0: per assurdo supponiamo g(v, w) 6= 0. Si avrebbe che

g(t0v + t1w, t0v + t1w) =

= t20g(v, v) + 2t0t1g(v, w) + t21g(w,w)

= t1(2t0g(v, w) + g(w,w))

questa forma quadratica avrebbe soluzione non banale in(

g(w,w)−2g(v,w)

), dovrebbe cioe esistere un punto del

supporto esterno alla retta 2r, assurdo. Dunque si ha g(v, w) = 0, e altrettanto per g(u,w): notiamoinfine che supporre g(v, w) = 0 permette di conservare la coerenza nel risultato raggiunto poco sopra: sisarebbe ottenuto 〈g(w,w)v − 2g(v, w)w〉 = 〈v〉: ma cio accade appunto se g(v, w) = 0, in modo che siabbia pure t21g(w,w) = 0, con unica soluzione t1 = 0. Q.E.D.

Viceversa supponiamo detA = 0 e distinguiamo due casi in base al rango di A. Se rkA = 2 sia〈v〉 = kerA. Consideriamo una retta r = σ〈u,w〉 sghemba con P = σ〈v〉 (mutatis mutandis si puo guardarela figura precedente). Restringendo Q ad r si ottiene una forma non degenere: dunque r∩Supp C e fattoda due punti distinti, reali o complessi, Q1, Q2. Vogliamo mostrare che Supp C = (P ∨ Q1) ∪ (P ∨ Q2):〈v, u〉 e 〈v, w〉 sono rette isotrope:

g(av + bu, av + bu) = agg(v, v) + 2abg(v, u) + b2g(u, u) = 0g(av + bw, av + bw) = agg(v, v) + 2abg(v, w) + b2g(w,w) = 0

Supponiamo ora che esista σ〈z〉 ∈ Supp C diverso dagli altri punti: la retta σ〈v, z〉 sarebbe anch’essaisotropa intersecherebbe r in un punto diverso da Q1 e Q2. Cio pero e assurdo, perche una retta intersecauna quadrica in al piu due punti (Bezout?)

Se infine rkA = 1 mostriamo che Supp C = kerA: σ〈kerA〉 = σ〈v, w〉. Qualunque punto p = σ〈u〉esterno alla retta non puo essere isotropo (altrimenti in quel riferimento A avrebbe matrice nulla e rango0, assurdo).

Definizione 28 (Cono Quadrico). Una quadrica Q ⊂ P n(C ) si dice cono quadrico se esiste un puntoP ∈ Supp Q tale che ogni retta P ∨Q e contenuta in Supp Q. I punti come P costituiscono il vertice delcono quadrico.

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Proposizione 13. Q di matrice A e un cono quadrico sse detA = 0

Dimostrazione. Mostriamo per converso che se detA 6= 0 esiste sempre Q tale che P ∨Q /∈ Q, cioe dettiP = σ〈w〉 esiste v tale che g(v, w) 6= 0. Ma se w 6= 0, il suo ortogonale 〈w〉⊥ ha dimensione n. Dunqueesiste v /∈ 〈w〉⊥ tale che g(v, w) 6= 0.

Se quel w sta in Supp Q abbiamo finito. Altrimenti cerchiamo U = αw + v isotropo:

0 = g(u, u) = 2αg(v, w) + g(w,w) α = −g(w,w)

2g(v, w)Q.E.D.

Polarita

Sia C una conica non degenere di matrice A. Dato P = σ〈v〉 possiamo considerare lo spazio (e uniperpiano) 〈v〉⊥, mediante l’ortogonale indotto dalla g che definisce la conica. Tale iperpiano, che in P 2 euna retta, e detto polare di P rispetto a C (se la conica e non degenere, la corrispondenza punto – polaree biunivoca).

bb

b

b

Alcune osservazioni: Se P ha coordinate( p0

p1p2

), la sua polare e la retta

P tAX = 0, cioe la retta di coordinate pluckerianeP tA La relazione di appartenenza alla polare e “sim-metrica”, nel senso che se P ∈ πC (Q) alloraQ ∈ πC (P ): questo si nota osservando che

P tAQ = 0 ⇐⇒ (P tAQ)t = QtAP = 0

Proposizione 14. Se P = σ〈v〉,P ∈ C , allora πC (P ) e la tangente in P alla conica (ovvero la polareinterseca la conica in P con molteplicita 2).

Dimostrazione. Se P ∈ C , v e isotropo per g. Se w ∈ πC (P ) ∩ Supp C esso e un vettore isotropo eortogonale a v. Cio vuol dire che σ〈v, w〉 e un sottospazio isotropo. Ma poiche g e non degenere, questosottospazio deve avere dimensione al piu 1 (geometricamente, una retta isotropa spezzerebbe la conica inun prodotto di rette). Q.E.D.

Osservazione. Presi due punti sulla conica Q1, Q2, possiamo trovare il polo della retta Q1 ∨Q2 con unragionamento di questo tipo:

Q2 ∈ πC (P ) ⇐⇒ P ∈ πC (Q2)Q1 ∈ πC (P ) ⇐⇒ P ∈ πC (Q1)

e dunque P e l’intersezione dell due polari tangenti i punti Q1,Q2. Il ragionamento si puo fare anche allarovescia: dato P /∈ Supp C la sua polare e la retta che passa per i due punti di tangenza alla conica delledue rette uscenti da P .

Proiettivita e Coniche I

Scelta una retta r non tangente a una conica C consideriamo l’applicazione ϕ : r → r che manda X inπC (X) ∩ r

Osserviamo: i due punti R1 6= R2 di intersezione tra C ed r sono uniti per ϕ. Inoltre ϕ(P ) = P ′.Da cio si deduce che P ∈ πC (P ′). Ma P ∈ r, e dunque e l’unico punto che puo essere l’immagine di P ′.Conclusione: (P, P ′) e una coppia involutoria per ϕ, che dunque e un’involuzione.

Mat3M 2007/2008 39

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C

rbX

πC (X)

b

b

bφ(X)

b

b

C

rbX

πC (X)

b

b

b

b

b

Si ha in particolare (R1R2Xϕ(X)) = −1, cioe data una retta non tangente a C , i due punti diintersezione separano armonicamente ogni coppia di punti corrispondenti. Altro risultato geometricointeressante e il fatto che la polare di un punto che non appartenga ad una data conica si puo costruirecon la sola riga: se il punto e esterno a C , prese due rette qualunque non tangenti alla conica, e le lorointersezioni con essa, si puo costruire con la sola riga il quarto armonico A ∨ E dopo (PAE), e su C ∨Ddopo (PCD). Detti Q1, Q2 questi punti, la polare di P e Q1 ∨Q2. Se il punto e interno alla conica, lo silascia per esercizio.

Vorremmo ora trattare analiticamente il problema di individuare il cono quadrico tangente a Q uscenteda un punto esterno P . Un punto X appartiene a tale cono quadrico sse la retta P ∨ X interseca Q inun sono punto contato due volte. Un generico punto di P ∨X e σ〈t0v + t1x〉. Esso interseca Q quando(t0v + t1x)

tA(t0v + t1x) = 0, cioe quando t20(vtAv) + 2t0t1(v

tAx) + t21(xtAX) = 0, equazione di secondo

grado in t0t1. Essa ha due soluzioni coincidenti quando il suo discriminante e nullo, cioe quando

(vtAX)2 − (vtAV )(xtAX) = 0 (eq. del cono tangente alla conica)

(vtAX) e la polare (che in generale e l’iperpiano tangente alla quadrica che passa per il punto P ) diP , mentre (xtAX) e l’equazione della conica (o della quadrica) considerata.

Coniche nello Spazio Proiettivo

Noteremo ora come le proprieta e le classi di coniche che potremo individuare cambieranno sensibilmentea seconda dello spazio in cui ci troviamo, in virtu del principio che vuole che sia rispettato il gruppodi trasformazioni che definisce lo spazio. Per fare un esempio, lo spazio affine nasce dal proiettivo dallascelta di un iperpiano particolare, e il gruppo di trasformazioni detto delle Affinita e quello che tiene fissoproprio quell’iperpiano. All’interno dello spazio affine e poi possibile definire un concetto di metrica, e daquel momento lo spazio acquista la struttura di spazio euclideo: le trasformazioni che preservano questastruttura sono ora le isometrie.

Cominciamo ora dalla classificazione meno fine di tutte, essendo molto piu vasta la classe delletrasformazioni (le proiettivita) che sono permesse.

Definizione 29 (Equivalenza Proiettiva). Due coniche si dicono proiettiva mente equivalenti se esisteuna proiettivita f ∈ End(P 2(K ))27 che trasforma l’una nell’altra.

In termini di matrici facciamo agire sull’insieme delle matrici simmetriche l’intero PGLn(K ): se A,Bsono matrici di due coniche, A ≡ B sse B = λP tAP per qualche P ∈ PGLn(K ) e qualche λ ∈ K .

27E’ importante che questo K sia un corpo dove la proposizione 1 ha senso.

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Osservazione. Il rango di una conica viene lasciato invariato da questa equivalenza (ed e proprio laragione per cui ha senso parlare del rango di una conica, la possibilita di cambiare riferimento e di farrestare degeneri le coniche degeneri). Possiamo dunque classificare le coniche degeneri come segue Coniche che sono il quadrato di una forma lineare; Coniche che sono il prodotto di due forme lineari distinte; Coniche che sono forme non fattorizzabili sul corpo reale (si spezzano nel prodotto di due rette

complesse).

L’ultima classe origina dal fatto che in questo studio quasi sempre tacitamente porremo che il corposu cui si lavora sia R : trasformazioni reali non possono toccare coordinate complesse, e dunque non c’emodo di classificare le coniche irriducibili se non come costituenti una classe a se stante. Le rette in cui sispezza il cono quadrico sono comunque due distinte, ma risultano invisibili nel piano reale. Osserviamoanche come la classificazione proiettiva delle coniche sia, essenzialmente, la classificazione canonica delleforme bilineari secondo Sylvester. Proprio come in quel caso, i quozienti dipendono fortemente dal corposu cui si lavora: per questo distinguiamo i casi. Su C e su corpi algebricamente chiusi si possono trovaresolo tre classi di coniche distinte dal rango:

Semplicemente degenere Doppiamente degenere Non degenere

(1

10

) (1

00

)13

x20 + x2

1 = 0 x0 = 0 x20 + x2

1 + x22 = 0

Il discorso si fa gia piu interessante su R : la classificazione secondo Sylvester evidenzia quattro classidistinte (per le forme non degeneri). La possibilita di lavorare a meno di proporzionalita pero le riduce adue:

Conica senza punti reali Conica con punti reali

±13 ±(

1−1

−1

)

x20 + x2

1 + x22 = 0 x2

0 − x21 − x

22 = 0

Proiettivita e coniche II

bC1

bC2

b

b

b

b

b

b

b

b

b

b

Abbiamo parlato di una quadrica come del dato di unaquadratica in P , e del suo supporto come del luogo dei puntiproiettivi che sono vettori isotropi per Q. Esiste ora un altromodo di definire il supporto di una conica, sfruttando quellache e l’identificazione P (V ) ∼ P (V ∗) permessa dalla presenzadi una applicazione bilineare. L’ente duale al punto proiet-tivo e un fascio di iperpiano (nel piano un fascio di rette) dicentro il punto: vedremo ora come la forma canonica di unaquadrica (nel piano una conica) sia essenzialmente definita dauna proiettivita tra fasci di rette.

Proposizione 15. Sia C una conica in P 2(C ), C1, C2 duepunti del suo supporto. Allora la corrispondenza ΥC : C∗

1 →C∗

2 che alla retta r del fascio di centro C1 associa la retta C2 ∨ (r ∩ C ) e una proiettivita. Viceversa,dati due punti distinti C1, C2 e una applicazione tra i fasci di rette di centro quei punti che sia unaproiettivita, allora l’insieme dei punti r ∩ (r) e il supporto di una conica.

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Dimostrazione. Per la prima asserzione: usiamo un riferimento comodo. C0, C1C2, ove C0 e il polo

della retta C∨C2. In tale riferimento la conica ha matrice(

⋆ 0 00 0 ⋆0 ⋆ 0

)e si puo sempre scegliere bene il punto

unita in modo da avere(

1 0 00 0 10 1 0

). Ora, la generica retta del fascio C∗

1 e r di coordinate (a 0 b) in quel

riferimento, e la sua altra intersezione con la conica e soluzione del sistema

ax0 + bx2 = 0

x20 + 2x1x2 = 0

σ〈

(2abb2

−2a2

)〉 = Q

La retta C2 ∨ Q e quella di equazione det

(x0 2ab 0x1 b2 0x2 −2a 1

)= 0, cioe (b − 2a 0). Quindi la corrispondenza

tra fasci e una proiettivita di soprastante(

0 −21 0

)28. Per mostrare il secondo asserto utilizziamo lo stesso

riferimento: C1 =(

010

), C2

(001

)e un sistema di coordinate coerente nel piano proiettivo. Una proiettivita

: C∗1 → C∗

2 ha matrice(

α βγ δ

). L’intersezione tra un retta e la sua immagine risulta dal sistema r ∩ rc

(usiamo la matrice dei complementi algebrici, potendo lavorare a meno di proporzionalita). Risolvendo in(a, b) si deve imporre che la matrice dei coefficienti abbia determinante nullo:

det( x0 x2

−x1β+x0δ x1α−x0γ

)= 0 αx0x1 + βx1x2 − γx

20 − δx0x2 =

(−2γ α −δ

α 0 β−δ β 0

)Q.E.D.

Coniche nel Piano Affine

Ora vorremmo studiare come cambi la classificazione delle coniche, riducendo il gruppo delle trasformazionigeometriche alle sole affinita. Lo spazio affine consiste essenzialmente di uno spazio proiettivo cui e statotolto un iperpiano detto “iperpiano dell’infinito”. Una scelta canonica (perche facilita conti e definizioni)e quella di pensare A n → P n togliendo l’iperpiano x0 = 0. Nel caso del piano, A 2(C ) puo essere pensatoimmerso in P 2(C ) \H∞ ove H∞ : x0 = 0 e la retta impropria del piano. Il passaggio di coordinate e

( x0

x12x1

) (1

x1/x0

x2/x0

)=(

1xy

)

Operata questa riduzione possiamo permetterci di usare solo trasformazioni affini, cioe solo proiettivitache lasciano fissa la retta impropria (nel senso che H∞ e globalmente unito per ogni F che sia affinita). Laclassificazione quindi si arricchisce nel modo che andiamo ad esporre: le definizione di equivalenza affine

tra due coniche e analoga a quella proiettiva, cambiando solo il fatto che come detto ora usiamo solo unsottogruppo di PGL(V ). Le coniche saranno ora classificate dalle posizioni reciproche tra supporto dellaconica e retta all’infinito. Le possibilita sono due sul campo complesso: C ∩ r∞ = P,Q, con P 6= Q: si parla di conica a centro. C ∩ r∞ = 2P (un sono punto doppio) si parla di parabola.

Se K = R invece le cose si fanno piu interessanti: e le coniche a centro si dividono a loro volta in Ellissi se i punti sono complessi coniugati Iperboli se i punti sono reali distinti.

28Sarebbe interessante classificare questa proiettivita. La sua soprastante e diagonalizzabile? Lascia unita qualche retta?Cosa succede della retta C1 ∨ C2? E delle due tangenti alla conica in 2C1 e C2?

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Scegliendo la retta canonica x0 = 0 all’infinito possiamo trovare una condizione abbastanza semplice dadare al determinante di una sottomatrice della conica che la identifica: il sistema per trovare i punti diintersezione tra conica e r∞ si riduce a

x0 = 0

a11x21 + a12x1x2 + a22x

22 = 0

Questo sistema ha due soluzioni distinte o coincidenti a seconda che il discriminante ∆ = a212− a11a22 sia

o meno nullo: Se ∆ > 0 si ha un’ellisse; Se ∆ < 0 si ha una iperbole; Se ∆ = 0 si ha una parabola.

Salta inoltre quasi subito all’occhio la relazione ∆ = A11 (ove A11 e il complemento algebrico di posto 1, 1di A).

Il centro di una conica a centro e dunque il polo della retta all’infinito. Un modo semplice per trovarne lecoordinate sfrutta la regola di Cramer: per trovare il punto di coordinate (1 xC yX) tale che CtA = (ρ 0 0),cioe tale che sia appunto il polo di x0 = 0 a meno di proporzionalita, si deve risolvere il sistema

a11xC + a12yC = −a01

a12xC + a22yC = −a02

dunque le coordinate omogenee del punto si trovano come

(det A∞

(A∞)12(A∞)13

).

Definizione 30 (Equivalenza Affine). Due coniche in A 2 si diranno affinemente equivalenti se esiste unatrasformazione affine che muta l’una nell’altra. In termini di matrici, scelta la solita retta all’infinito, edate alle coniche C ,D due matrici C,D, deve esistere una matrice del sottogruppo Aff che trasformi CinD: (

1 vt

0 Πt

)(c00 ct

c C∞

)(1 0t

v Π

)= D

Osservazione. In questo caso, chiamando K lo spazio delle coniche, il quoziente K/ ∼A e piu ricco percheconsta di piu classi rispetto al proiettivo: qui figurano classi che non ha senso distinguere in P .

E’ importante del resto notare come la classificazione ottenuta dipenda fortemente dalla scelta di unaben determinata retta impropria. La nostra scelta semplifica i conti che dovremo fare e aiuta a visualizzaremeglio le caratteristiche dei rappresentati delle classi che definiremo, ma e importante fissare bene dueconcetti: Il numero degli elementi di K/ ∼A e indipendente dalla scelta di una particolare retta impropria, e

in questo senso la classificazione ottenuta e “abbastanza” canonica. Bisogna pero osservare che la scelta di un’ altra retta impropria puo modificare parecchio la formacanonica di una data conica in P 2: si potrebbe dire che la classe delle iperboli e quella fatta datutte le possibili coniche che intersecano in due punti distinti la retta x0 = 0: cambiando retta,cambieranno allora le coniche che intersecano quella determinata retta, e saranno diverse anchequelle che (ad esempio) le sono tangenti in due punti coincidenti, cioe le parabole.

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Forme Canoniche

bA2

bA1

c

b

C

bP∞

bQ∞

Iperboli Scegliamo un buon riferimento: P∞ sia unpunto di r∞ distinto dalle due intersezioni A1, A2 =C ∩ r∞. La polare di P∞ e allora una retta che pas-sa per il centro C della conica, e interseca r∞ nel puntoQ∞. Scelti C = σ〈v0〉, P∞ = σ〈v1〉, Q∞ = σ〈v2〉 si ha

che la matrice della conica assume la forma(

⋆⋆

)29).

Si puo a questo punto fissare in modo opportuno U (pun-

to unita) in modo da ricondursi alla forma(±1

±1±1

).

Ora, C 6≃ ±13 altrimenti la conica non avrebbe punti re-ali (che invece, per ipotesi di essere un’iperbole) ci sono.

Scegliamo a questo punto la forma(−1

1−1

)che con-

venzionalmente e la rappresentante della classe delle iperboli. Data una qualunque iperbole, e possibilericondurla mediante affinita alla forma

X2 − Y 2 = 1

bP∞ b

Q∞r∞(πC (P∞))

bC

Ellissi Un conto del tutto simile porge la forma canonicadi una ellisse. Sia C il centro della conica (interno adessa dato che la retta r∞ tocca C in due punti complessiconiugati). Scegliamo poi P∞ ∈ r∞: πC (P∞) ≥ C. Siapoi Q∞ = r∞ ∩ π(P∞). Usiamo come riferimento C =σ〈v0〉, P∞ = σ〈v1〉, Q∞ = σ〈v2〉. La matrice della conicae allora nuovamente diagonale, dato che quello scelto e unriferimento autopolare. Da qui e possibile ricondursi alla

forma(±1

±1±1

)e notando che la restrizione di C a r∞

e per ipotesi senza punti reali scegliere la forma canonica(±11

1

)con la scelta di un opportuno punto unita. Nulla ci si dice pero sul quell’ultimo segno. A seconda

della scelta fatta la forma quadratica sara meno definita, cioe la conica avra o meno punti reali:

+1 Ellisse senza punti Reali X2 + Y 2 = −1

−1 Ellisse con punti Reali X2 + Y 2 = 1

Osservazione (Triangoli Autopolari). . Definiamo come triangolo [dualmente, trilatero] autopolare ildato di tre punti [dualmente, di tre rette non concorrenti] tali che ogni punto sia il polo della retta chepassa per gli altri due [dualmente, tali che ogni retta sia la polare dell’intersezione delle altre due]. Iriferimenti autopolari sono quelli che si scelgono nel piano (anche se la nozione puo benissimo essereestesa, parlando di tetraedro, o simplesso autopolare, sostituendo “retta” con “iperpiano polare indottoda una quadrica Q”) per classificare affinemente le quadriche. La scelta di questi riferimenti, era, per laGeometria precedente l’approccio algebrico, un metodo sintetico per definire riferimenti ortogonali suglispazi: notare solo quanto appare naturale questa proprieta se lo studio viene affrontato con la teoria deglispazi vettoriali!

Esiste poi un interessante proprieta dei quadrangoli piani inscritti in una conica data:

Proposizione 16. Sia ABCD un quadrangolo inscritto in una conica C . Allora il triangolo diagonale,formato dalle intersezioni delle 6 diagonali prese a due a due e autopolare.

Dimostrazione. Si basa su un fatto gia visto, che cioe la polare di un punto P taglia su qualunque altredue rette non tangenti a C (che quindi la intersecano in A e B) del fascio P ∗ il quarto armonico dopoPAB. Q.E.D.

29Il triangolo CP∞Q∞ e cioe autopolare: ogni vertice e il polo della retta opposta

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Un interessante corollario permette di tradurre in un linguaggio proiettivo/affine una proprieta met-rica: se due diagonali di un quadrangolo si incontrano nel centro della conica, allora ABCD e unparallelogramma.

Concludiamo questa breve digressione lasciando un quesito:

Costruzione geometrica delle polari Come fare a costruire con la sola riga la polare di un puntointerno ad una conica data C ? Ci sono almeno due modi diversi. . .

bP∞

b

Q∞

bV

Parabole Analogamente a quanto fatto in preceden-za, scegliamo un opportuno riferimento: la conica in-terseca la retta impropria in 2P∞: scegliamo dunqueQ∞ 6= P∞ e tracciamo la sua polare, che passa perP∞ e interseca C in un altro punto V , sicuramentedistinto da P∞. La polare di V e la retta V ∨Q∞. Inquesto modo si ottiene per C una matrice antidiago-nale (non sarebbe possibile ottenerne una diagonale,perche?), che scegliendo U punto unita puo essere ri-

dotta a( ±1

±1±1

). I due segni esterni devono essere

uguali per simmetria della matrice, e il segno centralepuo essere scelto ad arbitrio (scegliere uno piuttostoche l’altro porta ad avere parabole che sono comunqueequivalenti). Scegliamo dunque il segno positivo e ot-

teniamo la forma canonica di matrice( −1

1−1

)ed

equazione X2 = 2Y .

Coniche nel Piano Euclideo

Lo spazio affine nasce dal proiettivo come A n = P n \ H∞. Lo spazio euclideo nasce come ulterioreraffinamento dello spazio affine, ed e essenzialmente il dato di un A n(V ) dotato di una metrica, cioe diuna applicazione bilineare definita positiva (e quindi proiettivamente equivalente al prodotto scalare dimatrice 1). La metrica posta stacca sull’iperpiano all’infinito una quadrica priva di punti reali che e dettaassoluto dello spazio. Essa, in un opportuno riferimento, ha la forma

H :

x0 = 0

x21 + x2

2 = 0

Questa definizione permette di esprimere certe proprieta metriche in maniera piu intrinseca: ad esempio,la relazione di perpendicolarita diventa la polarita indotta dall’assoluto su En.

Noi ci occuperemo per ora solo del piano euclideo, dove l’assoluto e fatto da due punti complessiconiugati. In coordinate standard si ha

H :

x0 = 0

x21 + x2

2 = 0=(

01i

),(

01−i

)

Quei due punti si dicono i punti ciclici del piano. Si presenta ora un problema di classificazione analogoai precedenti, con la differenza che ora a poter agire su K e solo il gruppo delle isometrie rispetto allametrica. Queste trasformazioni hanno matrici del tipo P =

(1 0

t

v R

)ove r ∈ O2, gruppo ortogonale, cioe

delle matrici tali che RtR = 1. Se tra due coniche di matrici A,B c’e la relazione B = P tAP allora ledue si dicono metricamente equivalenti.

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Restano ovviamente definite tutte le classi precedenti, ma ora due coniche che non si possano farcoincidere mediante sole (glisso)rotazioni, traslazioni, (glisso)riflessioni non sono piu equivalenti. La clas-sificazione e resa piu ardua anche dal fatto che dobbiamo trovare due direzioni (saranno gli assi dellaconica) che siano coniugati per la conica e perpendicolari per l’assoluto. Tali direzioni pero esistono dicerto in base al Teorema Spettrale, non resta che individuarle. Lavorando in coordinate si ha che presa lagenerica matrice A, dato l’assoluto e un punto P∞ esso deve realizzare insieme al suo ortogonale P⊥

∞ larelazione

P∞AP⊥∞ = 0 (p1 p2)A ( p1

p2) = a12p

21 + (a22 − a11)p1p2 − a12p

22 = 0

Quest’ultima e detta equazione degli assi : affinche vi siano soluzioni reali deve accadere che (a22−a11)2−

4a212 ≥ 0: questo e sempre vero se A e reale. Trovate le direzioni ortogonali e coniugate che risolvono

l’equazione degli assi possiamo cambiare coordinate in C = σ〈v0〉, P∞ = σ〈v1〉, P⊥∞ = σ〈v2〉. Non e pero

possibile a questo punto scegliere il punto unita arbitrariamente, dato che siamo vincolati alla scelta diuna base ortonormale. Ci si puo avvalere dei disegni di prima:

Coniche a Centro Poniamo come al solito l’origine del riferimento nel centro della conica. Ora, sceltoun punto sulla retta all’infinito e il suo ortogonale euclideo, essi identificano le direzioni degli assi del

riferimento in cui la matrice ha forma( ⋆

αβ

). A questo punto possiamo usare il fattore di proporzionalita

per ridurre a −1 (scelta convenzionale) per portare la matrice nella forma canonica(−1

ab

). Riflettere

su quando Q puo essere o no definita porta a distinguere due casi ulteriori: Se 0 < a ≤ b si tratta di una ellisse. Se b < 0 < a si tratta di un’iperbole.

Parabole P∞ sia il punto di intersezione tra C e la retta impropria. P⊥∞ sia la direzione su r∞ ortogonale

a P∞ rispetto all’assoluto (o se si vuole, il quarto armonico secondo l’involuzione degli angoli retti, dopo(IIP∞)). La polare di P⊥

∞ passa per P∞ e interseca C in un secondo punto. Questo punto e il vertice

della parabola, e va scelto come origine. P∞, P⊥∞ sono gli assi coordinati: in tale riferimento la parabola

ha matrice( −1

a−1

)(dopo essersi ricondotti alla forma

(⋆

α⋆

)si sceglie comodamente il punto unita

del riferimento).Vorremmo ora concentrarci su qualche risultato collaterale: osserviamo i conti da fare per ottenere la

forma canonica euclidea di una conica. Cerchiamo una matrice P di isometria, che quindi ha l’aspettogenerale di

(1 0

t

v Θ

)(rotazione di Θ composta a traslazione di v): dobbiamo svolgere il prodotto

C = P tAP = (

1 vt

0 Rt

)(a00 a

t

a A∞

) (1 0

t

v R

)=

(a00+vta+atv+vtA∞v atR+vtA∞R

Rta+RtA∞v RtA∞R

)

Questa matrice, a seconda dei casi, sara uguale ad una delle due forme canoniche per le coniche euclidee:(−1a

b

)oppure

( −1a

−1

). Ogni informazione puo essere ricavata dopo aver notato quali siano le re-

lazioni tra la matrice della conica e la sua rappresentante in forma canonica: cio che stiamo operando esostanzialmente un cambio di riferimento ortonormale, e dunque possiamo subito notare che la matriceA∞ e simile mediante R (che essendo ortogonale ha la proprieta per cui R−1 ≡ Rt) alla sottomatricedella forma canonica: sia che si tratti di una conica a centro che di una parabola possiamo dire che ae b sono gli autovalori di A∞ a meno della costante : tale costante puo essere determinata nel caso diconiche a centro notando che le isometrie conservano i volumi, e dunque il determinante di A e uguale aldeterminante della sua forma canonica C, che puo essere calcolato in −ab. Il calcolo esplicito si trova con

−ab = detC = 3 detA e ab = detC∞ = 2 detA∞

quindi = −detA∞

detA . Se invece si tratta una parabola, la condizione da usare e l’invariante traccia:

trA∞ = trC, che da la condizione necessaria a determinare come − tr3 AdetA . Un simile utilizzo dei

cosiddetti “invarianti ortogonali” (tutte quelle quantita che si conservano per similitudine, unite a quelle

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che si conservano per isometria) e utile per determinare senza troppi conti i parametri euclidei di unaconica.

Fuochi di una Conica

bI b Ir∞

bF2

bF

b

F

b

F1

← Q∞

bP∞

b

Come gia detto, il piano euclideo risulta dal-la posizione in A 2 di una forma quadraticadefinita (e dunque priva di punti reali). L’in-tersezione di tale quadrica con la retta impro-pria consta di due punti distinti, complessi co-niugati, e prende il nome di assoluto del piano.I due punti di tale quadrica sono detti punti

ciclici dell’assoluto di coordinate(

01±i

). Ogni

retta che passi per uno dei punti ciclici e dettaretta isotropa, e ogni fascio proprio del pianopossiede due rette isotrope: nella proiettivitatra fasci indotta dall’assoluto sul piano quelledue rette sono unite. In altre parole l’assolutoH induce una involuzione in ogni proiettivita

tra fasci di rette, detta involuzione degli angoli retti, che manda ogni retta nella sua ortogonale in sensometrico, e dunque lascia unite le rette isotrope. Vogliamo basarci su questo fatto per studiare uno deiluoghi caratteristici delle coniche a centro (e in un senso un po’ diverso, anche delle parabole), cioe i fuochidi una conica: data una conica C nel piano euclideo, restano individuate quattro tangenti isotrope allastessa, due per ogni punto ciclico. Siano F1 = t1∩t1, F2 = t2∩t2, F = t1∩t2, F = t1∩t2. F1, F2 sono dettifuochi reali della conica (essendo intersezioni di rette complesse coniugate, le loro coordinate sono reali).Avvalendosi del disegno mostriamo le relazioni che intercorrono tra fuochi, centro e rette congiungenti.Osserviamo anzitutto che F1FF2F e un quadrangolo piano completo: si ha che (IIP∞Q∞) = −1 (cosache comunque gia sapevamo, considerando che P∞, Q∞ sono punti tagliati da due rette corrispondentinella involuzione degli angoli retti sulla retta impropria. Nella involuzione che C induce sul fascio di cen-tro F1, le rette F1F2 ed F1Q∞ sono corrispondenti (involuzione = proiettivita = birapporto conservato),e per la stessa ragione nell’involuzione sul fascio F ∗

2 le rette F1F2, F2Q∞ si corrispondono. Ragionan-do allo stesso modo su FF si riesce a capire come F1F2 sia un’asse della conica, e FF sia l’altro asse:F1F2 ∩ FF = C e il centro della conica,, e per uno stesso argomento di birapporto si puo scoprire che(FFCQ∞ = (F1F2CP∞) = −1. Essendo P∞, Q∞ due punti impropri la conclusione e che C biseca isegmenti F1F2 e FF .

Osservazione. Di tutto quanto detto e possibile dare una (per alcuni piu convincente, per altri piu o menocomprensibile) prova algebrica, che non val la pena ricopiare passo per passo: basti solo aggiungere cheora tutte le definizioni classiche, di Geometria sintetica (per intendersi, quelle proposte nelle Koνικoν diApollonio di Perga30), possono essere derivate dalla descrizione della conica in questione in un riferimentoche sceglie uno dei fuochi come origine.

Fasci di Coniche

Nel piano proiettivo un fascio di rette e l’ente duale di un dato punto P . r1, r2 fanno da riferimento sulfascio, con le loro coordinate φ1, φ2: ogni altra retta s avra coordinate ψ = λφ1 + µφ2 al variare di λ, µ

30L’opera di Apollonio fu basilare nello studio della geometria sintetica: sulle sue idee finirono per ragionare figure comequelle di Fermat e Newton, che vi trovarono argomenti di discussione l’uno nel campo dell’aritmetica e l’altro nel campodell’astronomia. Per curiosita, e per chi non abbia arrugginito troppo il suo latino, l’opera completa Sulle coniche si puotrovare a http://www.wilbourhall.org/index.html, sito che raccoglie copie liberamente scaricabili di opere di Diofanto,Archimede, Tolomeo e Apollonio, fianco di opere di autori molto meno noti in Occidente come Brahmagupta.

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non entrambi nulli. Ora, e possibile trovare un isomorfismo tra lo spazio delle coniche e lo spazio puntatoP 5(K ) nel modo che segue:

C =

a00a01a02a11a12a22

In tal modo lo spazio delle coniche X e in isomorfismo conP 5(K )

in pratica ogni entrata distinta della matrice della conica fa da coordinata di un vettore in P 5. Con questaidentificazione lo studio dei fasci di coniche si riduce allo studio dei fasci di rette in P 5.

Quello su cui vogliamo concentrarci ora e un caso particolare del Teorema di Bezout, che afferma chel’intersezione di due curve algebriche di grado m ed n e fatta esattamente da mn punti, contati con le loromolteplicita.) Siano C,D due coniche nel piano proiettivo complesso. Allora il luogo base del fascio C,Dconsta esattamente di 4 punti contati con le loro molteplicita.

Potendo scegliere ad arbitrio una conica per generare il fascio, sostituiamo D con una conica degenere:ora il problema e ridotto a provare che sono quattro e solo quattro i punti del luogo

C ∩ (r ∪ s) = (C ∩ r) ∪ (C ∩ s)

ma questo lo sappiamo gia: l’intersezione di una conica con una retta nei complessi consta sempre di duepunti. Q.E.D.

Osservazione. Se A,B sono matrici delle coniche C,D allora la conica generica del fascio (C,D) e degeneresse det(λA+µA′) = 0. Da cio (dal fatto che detD e un polinomio omogeneo di III grado in µ/λ) consegueche a) ogni fascio di coniche reali ha o una o tre coniche non degeneri.

Il luogo base del fascio di coniche puo essere di cinque tipi diversi (con A,B . . . indichiamo i puntibase): ABCD coniche secanti (quattro punti distinti) AABC coniche tangenti (tre punti distinti, uno di molteplicita 2) AABB coniche bitangenti (due punti distinti, entrambi di molteplicita 2) AAAB coniche osculatrici (due punti distinti, uno di molteplicita 3) AAAA coniche iperosculatrici (un solo punto)

Affrontiamo il problema di ricostruire il fascio a partire dalla conoscenza del luogo base: data l’arbitrarietanella scelta delle coniche a generare il fascio, sara piu conveniente scegliere di trovare coniche degeneri.

Coniche Secanti : il fascio e determinato dalla conoscenza di due delle tre coniche degeneri passantiper i 4 punti.

bP1

bP3

bP4

bP2

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Coniche Tangenti Il fascio non puo essere ricostruito a partire dalla conoscenza dei soli punti base,essendo necessario conoscere o l’equazione della retta tangente a tutte le altre coniche del fascio (che passaper AA) oppure l’equazione di una qualunque conica non degenere (per fissare univocamente la retta ditangenza). A quel punto il fascio e descritto dalle due coniche degeneri della figura.

bP2

bP1

bP3

C

Coniche Bitangenti Il fascio si puo ricostruire noti i punti base e almeno una conica non degenere, cheserve a fissare univocamente le due rette di tangenza. A quel punto il fascio si scrive come combinazionedelle due coniche degeneri (coppia di rette e retta doppia per i due punti base).

bP1

C

bP2

Coniche Osculatrici Il fascio e determinato quando si conoscano i punti base e una conica non degenereche fissi la retta osculatrice (l’unica conica degenere e la coppia di rette).

bP2

bP1

C

Coniche Iperosculatrici Il fascio e determinato dalla conoscenza del punto di iperosculamento (l’unicaconica degenere e la retta doppia che e tangente a tutte le altre) e di una conica non degenere

bP1

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Quadriche

Naturale generalizzazione e ora quella che ci porta a studiare le superfici definite nello spazio tridimension-ale da equazioni di secondo grado, che saranno dette quadriche dello spazio proiettivo tridimensionale. Ilpercorso ricalchera quello gia compiuto nel caso delle coniche: da una prima nozione di equivalenza proi-ettiva, arricchiremo man mano la struttura dello spazio e passeremo alla classificazione affine ed euclidea.Cominciamo con l’ovvia definizione di base

Definizione 31 (Quadrica in P 3). Definiamo quadrica dello spazio proiettivo il dato di una formaquadratica Q nelle variabili ( X0 X1 X2 X3 ). Ad una quadrica resta associata la matrice simmetrica

A =

(a00 a01 a02 a03a01 a11 a12 a13a02 a12 a22 a23a03 a13 a23 a33

)

Osservazione. Come nel caso delle coniche, resta determinata a meno di proporzionalita una proiettivitaϕ : P (V )→ P (V ∗) detta polarita associata alla quadrica, che manda punti in iperpiani. L’immagine di undato punto P e detto iperpiano polare di P , e i punti della conica possono essere definiti, oltre che come ipunti proiettivi che sono vettori isotropi per Q, anche come tutti i punti contenuti nel proprio iperpianopolare.

Cominciamo cercando di classificare proiettivamente le quadriche degeneri, vale a dire i coni quadricitridimensionali. Come e lecito aspettarsi, la classificazione si arricchisce date le maggiori possibilita didegenerazione (semplice, doppia o tripla) della matrice della conica. La dimensione del nucleo della gassociata a Q determina la forma della conica non degenere, e sia che esse siano degeneri che non degeneri,la classificazione delle quadriche nel campo piu “libero” che possiamo immaginare, quello complesso, eessenzialmente una classificazione per rango. Si ha dunque che Se rkA = 1 il supporto di Q e un piano doppio 2π; Se rkA = 2 si hanno invece due piani distinti ρ, σ; Se invece il nucleo della g (=il vertice del cono quadrico) ha dimensione 1, si ottiene un vero e proprio

cono, tale che un qualunque piano sghembo con esso taglia su Q una conica non degenere31; Infine si hanno le quadriche non degeneri.

La classificazione su C e conclusa.Spostandosi al campo reale, analogamente a prima, le classi aumentano per due ragioni: esistono forme

definite e forme non definite, cioe forme che possiedono vettori isotropi e forme che non li possiedono(ricordiamo che su C ogni forma quadratica e congruente al prodotto scalare 1), e non ha senso parlare didefinitezza, dato che ogni forma bilineare su C possiede un sottospazio isotropo della dimensione massimapossibile). Le possibili segnature su R 4 sono 5, e a meno di proporzionalita diventano 3:

(±1±1

±1±1

) (±1±1

±1∓1

) (±1±1∓1

∓1

)

Quadrica senza punti reali Non definite con segnatura (3,1) Non definite con segnatura (2,2)

La differenza fondamentale tra le due classi proiettive di quadriche si esplica essenzialmente in: Le quadriche con segnatura (3, 1) si dicono a punti ellittici. L’intersezione tra la quadrica e l’iperpianopolare di uno dei suoi punti e sempre costituita da un solo punto di molteplicita 2 (in terminigeometrici si puo pensare una superficie ellittica come “a curvatura positiva”, dando alla locuzioneun significato intuitivo: la segnatura sopra indicata mostra infatti come il sottospazio isotropo didimensione massima ammissibile all’interno del supporto di Q sia unidimensionale).

31La teoria delle coniche puo essere derivata totalmente da certe condizioni imposte sulla posizione reciproca tra un conoe un piano sghembo al suo vertice. Come fare?

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Le quadriche con segnatura (2, 2) si dicono invece a punti iperbolici : l’intersezione tra quadrica epiano polare di uno dei suoi punti e costituita da una conica degenere, e nella fattispecie da un conoquadrico — retta doppia, che ha per vertice il punto della quadrica. Da un punto di vista geometricole superfici iperboliche sono quelle “a curvatura negativa”, e la loro caratteristica puo essere spiegatapensando che il massimo sottospazio ammissibile sul supporto di Q sia bidimensionale (rette).

Schiere di rette Vorremmo a questo punto focalizzarci su una proprieta geometrica delle quadrichea punti iperbolici, che discende dalla definizione appena data: ogni quadrica a punti iperbolici non solocontiene rette nel supporto, ma e completamente formata da due schiere di rette Ω e Ψ tali che ogniretta di Ωe sghemba a tutte le altre rette della stessa schiera, e interseca tutte le rette dell’altra schiera.Tale proprieta intrinseca delle quadriche a punti iperbolici permette, ad esempio in edilizia, di costruirneuna senza dover utilizzare superfici curve ma modellando il cemento su un’anima di sbarre di metallointrecciate nel modo giusto, oppure in medicina ....

Per mostrarla possiamo cominciare in questo modo: data la segnatura della quadrica, esiste di certoun riferimento in cui la matrice di Q e tale che essa abbia la forma Y0Y1 + Y2Y3 = 0 (se si vuole, data lasegnatura di Q esiste un cambio di coordinate che porti la differenza di quadrati (φ2

0−φ21)+ (φ2

2−φ23) = 0

ove le φj sono forme lineari distinte, nella forma suddetta, col cambio di coordinate Y0 = φ0 + φ1,Y1 = φ0 − φ1, Y2 = φ2 + φ3, Y3 = φ2 − φ3. A questo punto, a meno di permutare i prodotti, possiamopartire da Y0Y1 = −Y2Y3 e supporre prima Y0, Y2 6= 0 e poi Y1Y3 6= 0. Si ottengono cosı i due sistemi

Y1

Y2= −

Y3

Y0=λ

µ⇒

λY2 − µY1 = 0

λY0 + µY3 = 0

Y0

Y3= −

Y2

Y1=λ

µ⇒

λY3 − µY0 = 0

λY1 + µY2 = 0

Al variare di λ, µ non entrambi nulli quelle sono le due schiere di rette cercate.

Quadriche nello Spazio Affine

Passando allo spazio affine, cioe fissando un piano all’infinito, possiamo permetterci solo trasformazioniche lo lasciano unito. Utilizziamo cioe solo proiettivita che siano affinita. Due quadriche si diranno alloraaffinemente equivalenti se e possibili ottenerle una dall’altra mediante un cambio di riferimento che siauna affinita. La descrizione si arricchisce, dato che dobbiamo tenere conto delle posizioni reciproche traquadrica e piano all’infinito. Su C , avremo allora che a seconda che Q ∩ π∞ sia una conica degenereo meno, la quadrica si classifichera affinemente come paraboloide oppure quadrica a centro (il centro eil polo di π∞). Nel campo reale invece avranno luogo ulteriori distinzioni: se Q ∩ π∞ ha punti reali siparlera di iperboloide, se invece non ne ha parleremo di ellissoide (a sua volta questa classe e suddivisa inellissoidi con e senza punti reali, a seconda che la quadrica nella sua totalita sia definita o meno). Infinei paraboloidi possono suddividersi in ellittici o iperbolici, a seconda di quale sia la segnatura dell’interaforma quadratica. Come al solito, per le quadriche a centro sfrutteremo la possibilita di trovare unabase ortonormale (che in A 3 sara un simplesso autopolare) per diagonalizzare A: nel caso di quadrichea centro porremo l’origine nel centro, e useremo come assi una base ortogonale (data appunto dai verticidel simplesso autopolare). Otterremo dunque una delle forme seguenti32 a seconda che la quadrica sia

Iperboloide Iperbolico

(1

1−1

−1

)

Iperboloide Ellittico

(−1−1

−11

)

Ellissoide senza punti reali

(1

11

1

)

Ellissoide con punti reali

(−11

11

)

32Resta inteso il metodo che abbiamo usato: scelta la base ortogonale, la possibilita di scegliere il punto unita ad arbitriopermette di ortonormalizzarla: il senso geometrico della cosa e chiaro, potendo utilizzare delle omotetie non ha sensodistinguere quadriche che si possono ottenere l’una dall’altra dilatandole di un fattore α.

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Un discorso a parte merita la classificazione degli iperboloidi: potremo “alzare di una dimensione” ildisegno fatto in P 2 per ottenere una cosa del genere:

Sia P∞ l’intersezione Q ∩ π∞. Prendiamo r∞ contenuta nel piano all’infinito: la polarita indotta daQ associa ora punti a piani e rette a rette33. La polare di r∞ passa per P∞, non giace su π∞, e intersecala quadrica in un altro punto (detto vertice del paraboloide) V . Scelta la base

V = σ〈v0〉, R1, R2 = σ〈v1〉, σ〈v2〉, P∞ = σ〈v3〉

la matrice ha la forma

(⋆

⋆⋆

)e la scelta del punto unita porta alla forma

( −11±1

−1

): la scelta di

+1,−1 dipende dalla segnatura della quadrica: si parlera di paraboloide ellittico se sgnQ = (3, 1) (quindiscegliendo −1) e di paraboloide iperbolico se sgnQ = (2, 2) (quindi scegliendo +1).

Quadriche nello Spazio Euclideo

Fissiamo in A 3 = P 3(R ) \ π∞ una forma quadratica definita positiva. In una certa base essa avra laforma x2

0 + x21 + x2

2 + x33 = 0 (e quindi matrice 1): la sua intersezione con π∞ costituisce l’assoluto dello

spazio euclideo.

H :

x0 = 0

x21 + x2

2 + x33 = 0

(e una conica senza punti reali tagliata sul piano all’infinito). Su ogni piano contenuto in A 3 viene quindiindotta una metrica euclidea (con punti ciclici i punti di intersezione dell’assoluto dello spazio con la rettaimpropria di quel particolare piano).

Due quadriche si diranno ora isometriche se esiste una isometria dello spazio che trasforma una nel-l’altra: B = XtAX ove X e isometria: XtX = 1. Nel caso di quadriche a centro dobbiamo determinareun’origine e tre assi ortonormali che facciano da riferimento: il centro della quadrica si puo trovare comeil punto di coordinate omogenee (A11, −A12, A13, A14)

t (gli Aij sono i complementi algebrici di A), eper trovare gli assi ci appelliamo al teorema spettrale, che ci permette di diagonalizzare ortogonalmentela matrice A∞. Il risultato e che ogni quadrica a centro e isometrica a

D =

(−1a

bc

)

resta da determinare solo : un conto analogo a quello fatto per le quadriche porge che = −detA∞

det A . Oraa seconda della quadrica si avranno dei parametri a, b, c concordi o discordi: Se a ≥ b ≥ c > 0 si ha un’ellissoide con punti reali di equazione aX2 + bY 2 + CZ2 = 1 Se 0 > a ≥ b ≥ c si ha un’ellissoide senza punti reali (la matrice e definita) Se a ≥ b > 0 > c si ha un’iperboloide iperbolico, se invece a > 0 > b ≥ c se ne ha uno ellittico.

Per quanto riguarda i paraboloidi facciamo delle considerazioni: si ha detA 6= 0 = detA∞: in questo casonon puo esistere una forma canonica di A che sia diagonale, perche la matrice A∞ ha l’autovalore 0. Cioche dobbiamo fare e essenzialmente diagonalizzare A∞ per ricondurci ad una forma che sia simile a quellaottenuta nella classificazione affine: possiamo trovare il coefficiente dopo qualche conto, imponendoche il determinante delle due matrici resti invariato per isometrie. Per il resto, σ〈kerA∞〉 (il sottospazioproiettivo generato dall’autospazio di 0) sia il punto di intersezione del paraboloide con il piano all’infinito.Scegliamo poi v2, v3 che sia base di autovettori (relativi ai due autovalori non nulli) per A∞. Presa r∞ =σ〈v1, v2〉 la sua polare e detta asse del paraboloide (passa per σ〈v3〉), e il secondo punto di intersezionedell’asse con la quadrica e il vertice di quest’ultima. Scegliendo la base fatta da vertice e autovettori di

33La retta polare secondo Q si puo ottenere geometricamente come intersezione dei due piani polari di due qualunquepunti di r∞

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A∞ (tenendo per ultimo quello che genera il suo nucleo) la matrice A ha forma

(⋆

ab

)la possibilita di

riscalare le coordinate dell’origine permette poi di ricondursi alla forma canonica

D =

( −1a

b−1

)

A seconda della segnatura di A si puo poi parlare di paraboloide iperbolico o ellittico. La classificazione econclusa.

Sfere – Cerchi su Quadriche

Analogamente a quanto detto nel caso delle coniche, un’ellissoide e una sfera se a = b = c > 0. Intersecandola sfera con l’iperpiano improprio si ha

x2

1 + x22 + x2

3 = x20/a

x0 = 0⇒ x2

1 + x22 + x2

3 = 0

cioe Q ∩ π∞ e tutto l’assoluto (generalizza quanto detto per i cerchi). Chiameremo dunque sfera (anchein dimensioni piu alte) ogni quadrica che contiene tutto l’assoluto.

Ci poniamo ora questo problema: ci sono piani che tagliano sulle quadriche dei cerchi? H e Q ∩ π∞si intersecano in 4 punti a coppie complesse coniugate oppure in due punti doppi (non ci sono altrepossibilita)34:

Fissato il piano all’infinito, i casi possibili sono 5, a seconda delle caratteristiche dell’intersezioneQ∩ π∞ ∩H (che e una conica, diciamola C∞): C∞ e non degenere, a punti reali, e interseca l’assoluto in PQPQ. Le rette (reali) P ∨ P e Q ∨ Q

danno le giaciture dei piani che tagliano cerchi sulla quadrica.

bP b

Q

b P

bQ

H

C∞ e non degenere, a punti reali, e incontra l’assoluto in PPP P . In tal caso la retta P ∨ P el’unica che taglia cerchi sulla quadrica (che e di rotazione attorno all’asse perpendicolare, cioe polaresecondo la metrica, a tale piano).

bP b

Q

b P

bQ

H

Q ∩ π∞

C∞ e degenere, reale, di rango 235 e interseca l’assoluto in quattro punti PQPQ. Le rette reali incui si spezza la conica C∞ sono gia quelle che tagliano cerchi su Q.

34Visto che c’e una certa difficolta a trovare una nomenclatura non ambigua, usiamo questa notazione: l’intersezioneQ∩ π∞ ∩ H puo essere costituita o dal ciclo base PQPQ oppure da quello PP PP

35Non puo essere reale di rango 1, altrimenti la quadrica sarebbe degenere.

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bP

b P

H

C∞ e degenere, e si spezza in due rette complesse coniugate r, r: le rette che tagliano cerchi su Qsono quelle “trasverse” (si vede in figura). Ora, nulla vieta che la coppia di rette complesse coniugatesia tangente all’assoluto. In quel caso (disegnarlo) l’unica giacitura che taglia cerchi su Q e quelladella retta che passa per i due punti di tangenza, e la quadrica e un paraboloide di rotazione (lungol’asse perpendicolare, cioe polare secondo la metrica, al piano)

bP

b Q

H

b

r

r

b P

bQ

Complementi

Teorema di Laguerre Siano r, s due rette incidenti in P 36. La formula di Laguerre da un modoelegante di caratterizzare l’angolo formato da r, s mediante il birapporto tra loro e le rette isotrope ρ, σdel fascio F di centro P .

b IbIH

bP

σ ρ

bB

s

bA

r

Prendiamo come riferimento P e due punti, A su r e B su s. Si ha allora

P =(

100

)A =

(0a1a2

)B =

( 0b1b2

)

r = ( 0 a2 −a1 ) = ( 0 1 m1 ) s = ( 0 b2 −b1 ) = ( 0 1 m2 ) ρ = ( 0 1 i ) σ = ( 0 1 −i )

A questo punto (r s ρ σ) = (m1m2 i − i) =1 +m1m2 − i(m2 −m1)

1 +m1m2 + i(m2 −m1)=

1− i m2−m1

1+m1m2

1 + i m2−m1

1+m1m2

.

Ricordando l’identita trigonometrica e2iθ = 1−it1+it , ove t = tan θ, si ha

m2 −m1

1 +m1m2= tan θ =⇒ θ = arctan

m2 −m1

1 +m1m2= rs

Ora 2iθ = log(r s ρ σ) e dunque ha senso definire rs = 12i log(r s ρ σ)37. Q.E.D.

36Lavoriamo nel piano quindi questo e sempre vero: la richiesta generale e che r, s non siano sghembe37Il logaritmo usato e il logaritmo principale del numero complesso di modulo 1 z = eiθ: ovviamente |z| = 1, e dunque

log eiθ = i arg z

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