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Pasquale Persico

Ferrara

Dicembre 2006

Plectica

Le Città, come

gli scienziati,

gli artisti

ed i

poeti, non

possono morire.

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Le Città, come

gli scienziati,

gli artisti

ed i

poeti, non

possono morire.

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a Graziella e Rosa

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Se ami Venezia, lascia che muoia

Le città sono state, fin dalla loro nascita, un canale insostituibile di comunicazione tra passato e futuro. Le storie degli organismi urbani sono sempre storie di uomini e di donne che vivono la città; anche le città possono essere raccontate come storie di organizzazioni fatte di reti fisiche ed immateriali che nascono, vivono e muoiono.Spesso l’apparenza inganna, città che sembrano vivaci, brillanti e piene di persone sono in realtà morte e città morte e sepolte, una volta ritrovate, si fanno percepire come città che continuavano a vivere, perché sanno emozionarci e si fanno amare.

- If you love Venice, let Her die - era l’appello apparso su “ Times on Line, scritto da Rachel Campel Johnston .

Anziché accanirsi per continuare ad investire per sostenere la sua vita virtuale, di organismo urbano senza struttura vitale, programmare per Venezia una morte lenta, potrebbe essere più vantaggioso per i veneziani e per l’umanità.Gli argomenti della giornalista sembravano convincenti; il tema della vitalità della morte veniva svolto con puntiglio, contrapponendo argomenti validi, pieni di sugggerimenti rispetto alla vitalità apparente fatta di consumo di estetica modernizzata.Come economista dello sviluppo mi ero fatto suggestionare dall’idea. Una morte lenta, ben comunicata, avrebbe prodotto ancora più iniziative. E perfino il turismo sarebbe raddoppiato, con una

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crescita anche di quello culturale; la natura sarebbe diventata anch’essa nuova protagonista della storia di questi luoghi aiutando Venezia a sparire con dignità, ad estinguersi come organismo del luogo.“Decay”, dopo tutto, sosteneva la nostra amica, is the second Half of story of life.“Venezia deve avere la possibilità di morire con dignità, di scivolare lentamente verso una nuova vita, come memoria-miraggio- immaginario – storia – persistente ; e ciò non sarà meno reale di quanto esiste.

Piazza S. Marco, è stata descritta , raccontata e vissuta da milioni e milioni di persone, e l’architetto che l’ha concepita ha avuto rispetto per tutte le opere altrui che la compongono. I fabbricanti di S. Marco hanno posto in salvo, in quella piazza, ogni reliquia a loro affidata.La piazza è anche la città dei veneziani, mostra la loro capacità di costruire; altri popoli avrebbero discusso delle pietre da importare, dei marmi più adatti fino a rischiare di essere volgari per la scelta di pietre preziose ma senza storia. I veneziani fondatori, in fuga da antiche e belle città , hanno preferito far ricorso a frammenti di monumenti antichi, componendo, con questi, splendori inauditi.

Questa pratica si fa arte e la città si fa splendente, al significato affettivo delle pietre dei fuggiaschi si aggiungono i trofei delle ripetute vittorie, soprattutto commerciali e culturali.John Ruskin ci ricorda che il senso del colore è un dono che non tutti hanno, come d’altronde l’orecchio per la musica. S. Marco possiede il valore intrinseco di un cromatismo perfetto e

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immutabile; definire la bellezza di Piazza S. Marco soltanto nelle forme della fabbrica, sarebbe equivalente al comportamento di un sordo che pretendesse di giudicare il valore strumentale di un’intera orchestra Dopo averla descritta nel suo splendore Ruskin anticipò l’ipotesi della giornalista americana di ben 6 secoli: “il lettore mi consenta di ritornare ancora una volta a quell’anno così importante per la storia di Venezia costituita dalla morte del doge Tommaso Mocenigo, il 1423, l’anno che rappresenta il primo passo verso la decadenza. Venezia, che un tempo aveva superato tutte le città del mondo cristiano in pietà e forza, ora le supera per vanità ed indulgenza, …facendola perdere il suo posto tra le nazioni, mentre le ceneri ostruiscono i canali del suo mare , salmastro e morto”Eppure questa ipotesi, fatta nel 1700, non era comparsa tra quelle da esplorare in nessuno degli scenari potenziali del piano strategico della città; mi dovevo far carico di chiedere all’arch. Roberto D’Agostino, che intelligente protagonista, da assessore, della redazione del piano regolatore, avrebbe potuto illuminarmi su come era stata avanzata l’ipotesi di sostenibilità ambientale e sociale di quella forma urbana millenaria, per il futuroCome hanno pensato di risolvere quella contraddizione insolubile che vede le costruzioni della città sulla terraferma difficilmente sommabili alla città bellissima? Certo proprio l’occasione piano si ridiscusse il ruolo della città antica e, pur considerando esaurita l’antica invenzione, non si è mai veramente ipotizzato di lasciare che essa muoia con dignità per arrivare ad una nuova idea di città funzionale in cui Venezia perda ogni velleità di integrazione.

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Dibattito tuttora aperto dal recente finanziamento del Moses da parte del Governo.Del resto anche per Venenzia appare contemporanea la frase attribuita ad Ippocrate: Breve è la vita, lunga è l’arte.Lui , medico greco,era vissuto intorno al 400 a.C. nell’isola di Kos, affacciata sull’Egeo.Per la storia è ricordato come “ il padre della medicina”, ed il suo giuramento prevede che, in qualità di medico, si è obbligati ad aiutare i pazienti con tutte le proprie energie, evitando ,però, di fare loro del male.Ma che c’entra Ippocrate con Venezia e le città?Da oltre un decennio, come economista, mi sono preso cura dello sviluppo delle città o della necessità della nascita di nuove città; ho sempre pensato alle città come un organismo o infrastruttura complessa, necessaria allo sviluppo di aree vaste.Incerto sulle mie capacità di fare la diagnosi giusta, mi sono fatto accompagnare, quasi sempre, da un artista, Ugo Marano, come denuncia esplicita della incapacità di una sola disciplina di arrivare a proporre azioni strategiche intelligenti.Noidue, poi, abbiamo sempre chiesto aiuto ad altre competenze ed incrociando storie di città abbiamo prodotto scenari di sviluppo ed itinerari pilota.A Salerno il Museo Città Creativa , il Progetto Urban e la Fontana Felice, come progetti realizzati, annunciarono la metamorfosi della città; la vitalità risvegliata della società società salernitana interpretò per prima il nuovo paradigma delle città, Identità e sviluppo.Nella Val D’Agri l’idea dell’orchidea nera, sintesi dello sviluppo sostenibile, vive ancora oggi come immaginario possibile, Natura e Petrolio insieme per una città a due fuochi.

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La Città del Parco come direzione strategica a cui legare il futuro di 100 comuni del Cilento e La Città Moltiplicata come rivoluzione dello stare insieme di 6 comuni del Copparese, testimoniano l’importanza della creatività come fenomeno collettivo, di presa di coscienza rivoluzionaria.Anche a Ferrara, stavamo per iniziare, come dottori nuovi, un percorso diagnostico sul futuro della città.La città voleva darsi un piano strategico, la città patrimonio mondiale per l’urbanistica sentiva di dover cambiare passo, di essere ammalata, di non avere tempo disponibile per rincorrere le città in riposizionamento di competitività.Fummo convocati, dal gruppo incaricato di fare il piano, come saggi da ascoltare.Il Vicesindaco Rita Tagliati, responsabile politico del Piano e Davide Tumiati responsabile tecnico, conoscevano il nostro modo di lavorare e invitandoci a Ferrara nel giorno in cui si costituiva il gruppo di lavoro, implicitamente ci rivolgevano le domande giuste.Era necessaria una diagnosi profonda? Ferrara era in pericolo?Nei ragionamenti fatti durante il viaggio, la radicalità di Ugo era emersa; lui, come Kandisky, era arrivato subito alla “parte nuda” cioè alla necessità di un’invenzione totalmente nuova.Ma allora Ferrara era morente?Se Ferrara come Venezia è in lenta agonia, allora occorre organizzare un declino dignitoso; ma se Ferrare è solo ammalata allora torna il ragionamento di Ippocrate.Come non far del male alla città esistente per sperimentare la medicina giusta nel tempo breve?Come arrivare all’arte lunga, cioè alla capacità di muovere cittadini ed istituzioni verso una nuova vitalità, per costruire la città da vivere?

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Il tempo stringe

“Il tempo stringe”, il bel libro di Harold Weinrich mi aveva intrigato parecchi, proprio la teoria del tempo nella visione di Ippocrate, da lui rivisitata, mi aveva illuminato , anche rispetto alla mia visione ristretta del tempo come scarsità, come costo, direbbe un economista.L’approccio dell’autore è linguistico e le mie difficoltà a padroneggiare tali questioni mi facevano chiedere spesso l’aiuto di un amico, professore di linguistica computazionale e primo protagonista della nascita dei corsi di laurea in scienze della comunicazione in Italia, Annibale Elia. Lui mi confermò le cose che avevo intuito; Annibale non si sorprendeva più delle domande e con semplicità e continuità rispondeva alle mie curiosità.Tempus, tempora significa tempo ma anche tempia: che relazione semantica esiste tra tempo e scarsità?Mi scrisse: nei tempi antichi i battiti del cuore si misuravano con la clessidra e si misuravano in diverse parti del corpo, oltre al polso, alla tempia in primo luogo, o per essere più precisi su entrambe le tempie.Un tempo, quando non c’erano gli attuali strumenti, tempia e polso alterati rivelavano la possibile malattia ed incominciava l’agitazione legata al pensiero che la vita primo o poi corre verso la fine.Per fortuna quando il polso o la tempia tornano normali, l’ammalato guarisce e dimentica immediatamente tempia, polso, tempo e paura .I medici, nella visione di Ippocrate, continuano a pensare e cercano di andare oltre il tempo breve, in questo senso la loro arte guarda al tempo lungo.Se la tempia o gli altri punti di misurazione sono

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luoghi del senso del tempo, è possibile immaginare cosa accade nella nostra mente quando il senso del tempo si trasforma in consapevolezza del tempo di vita, attraverso tutti i nostri sensi?Quel giorno avevo trascorso l’intera mattinata all’università Parthenope, ex Istituto Universitario Navale, Raffaella la figlia di mia sorella Rosa, doveva discutere la tesi di Laurea.Al cosiddetto Navale avevo vissuto in qualità di studente, borsista universitario, ricercatore ed infine professore ordinario circa 35 anni ed i miei cinque sensi si attardavano a misurare il tempo trascorso.La vista del mare mi portava alle prime lezioni di matematica e alle prime occupazioni per cambiare il mondo; l’odore del legno delle navi, modelli a scala ridotta, mi trasportavano nei sogni legati all’esame di tecnica della navigazione; le voci del personale che mi riconosceva mi spingevano nuovamente nelle aule anche se non ricordavo quale lezione dovessi cominciare.Le tante giornate di lavoro appassionato risalivano il tempo, potevo abbracciare allievi diventati professori e altri docenti che mi parlavano dei loro progetti futuri.Assaporavo così i sapori del tempo utile, il passato che progetta il futuro.Perfino la mia pelle sembrava registrare le emozioni per quella chiara sovrapposizione: un mio parente che ripercorreva la mia strada, rincorreva i miei stessi professori, alcuni diventati fantasmi illuminanti.Il tempo passato si presentava come percezione globale di tutti gli organi quasi che la sua sensorialità potesse materializzarsi , a conferma dell’idea che un senso interno del tempo fosse percepibile fisicamente ancor prima che mentalmente.

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La commozione di mia sorella e di suo marito Lello era riflessa nella lucentezza dei loro occhi che parlavano del futuro dei giovani come dimensione sempre presente come potenziale del cambiamento; la presenza dei giovani allunga il tempo di vita percepito, specie se i loro progetti vengono capiti e condivisi.Alle quattordici dello stesso giorno, mentre ero a pranzo, il cellulare suona nella stanza accanto, l’altra mia sorella, Graziella, mi chiede di scendere in strada, deve dirmi una cosa importante.Lei era in macchina con una sua amica, Luisa, la pioggia fittissima rendeva buio il contesto, la sua comunicazione fu secca: “ho un tumore diffuso al polmone, la situazione è molto preoccupante, non dire niente a Rosa, questa sera c’è la festa di Raffaella”.Il tempo non poteva più scorrere tranquillo nelle tempie.Risalii senza pensieri raccontabili le scale, Anita, mia moglie lesse nei miei occhi il cambiamento, le lacrime fermarono tutti i pensieri, la testa sotto il cuscino per ritrovare subito il buio.

“Il tempo è breve” era la frase implicita di Graziella ed io tornai a nostra madre che per prima aveva dato a mia sorella il soprannome giusto, “La scienziata”.

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L’architetto e la città

Davide Tumiati l’aveva incontrata nel suo ufficio presso il comune di Ferrara. Lui architetto, già sindaco di Copparo per oltre un decennio, era impegnato in una nuova avventura, doveva seguire i progetti strategici della città di Ferrara ed in particolare seguire, coordinandosi con il vice sindaco, l’amica Rita Tagliati, l’avvio del piano strategico della città; processo che diverse città d’Italia hanno avviato con esiti ancora incerti.Lei architetto giovane, stava conseguendo il PHD in Olanda e doveva trascorrere a Ferrara un periodo di Research Scholar, presso il dipartimento di Urbanistica, allo scopo di elaborare la sua ricerca su “ Nuova architettura per la Città “Sembrava una situazione ideale, la città voleva guardare al futuro e lei poteva approfittare della nuova vision in elaborazione per disegnare l’architettura dialogante con la città patrimonio mondiale per l’urbanistica.Non era un’impresa facile, ma a differenza di Davide, lei poteva consentirsi di fare un doppio percorso: guadagnare gradi di libertà metodologica attraverso un percorso di ecologia dell’architettura e scegliere scenari percorribili e sperimentali di nuova urbanità.Per non essere banale, doveva liberarsi dei segni dell’architettura contemporanea che affollano le città del mondo, doveva evitare il pericolo di un’architettura che riflette su se stessa, doveva allargare lo scenario, riuscire a fare un consuntivo dinamico del passato e proiettare Ferrara in uno scenario di nuova urbanistica riconoscibile, dove l’architettura ritrova un linguaggio innovativo e dialogante.

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Proprio nella città bella, produrre segni di risemantizzazione , non è facile, come non è facile mediare tra passato e futuro; per fortuna c’era in campo una domanda fondamentale, una richiesta di cambiamento, di riposizionamento della città, di nuova identità.Qual ‘è l’identità possibile della città di Ferrara?Il piano strategico doveva rispondere a questa grossa questione e, per ragioni di credibilità dello stesso, la risposta doveva essere trovata in un tempo breve, sette mesi di duro lavoro.La giovane Vanrose era pronta, anche Lei voleva guadagnare il tempo utile, progettare insieme alla città, riposizionare tutti i suoi pensieri, innovare la ricerca con nuove metodologie di intervento, progettare un’architettura giusta per la città bella.Il suo italiano era perfetto e colto, potè immergersi nella lettura del libro di Bassi : “ Perché Ferrara è bella “.Ferrara è bella perché è stata, e forse lo è ancora, riferimento mondiale per l’Urbanistica e per l’architettura dialogante all’interno delle mura. La stessa architettura è capace di guidarci dentro il “senso profondo” della città pensata.Fu così che Vanrose scoprì che moltissimi ferraresi non possedevano gli strumenti di riferimento per leggere i caratteri “ distintivi ed indimenticabili” del proprio quartiere; una sorta di indifferenza ai luoghi di appartenenza, ed all’architettura, al linguaggio artificiale della bellezza. Il suo slancio la portò a ridisegnare completamente gli spazi fuori e dentro la “ Casa Comunale”. Un primo esperimento di “ igiene mentale” per ridare a tutti gli abitanti di quella casa la gioia della casa nuova, la casa di appartenenza istituzionale, i segni genetici dell’arte del mondo.

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La giovane architetto seguiva una metodologia già utilizzata da Kevin Lynch ed applicata ai centri storici famosi, come Firenze.Lei voleva dotarsi di una mappa mentale cognitiva, in cui segno e oggetto andassero diritti alla decodifica del potenziale da riprodurre o da conservare; le sequenze di volumi, materiali,colori, odori,rumori, silenzi, venivano intrecciati nei disegni parlanti capaci a poco a poco di esprimere un linguaggio flessibile dentro e fuori il linguaggio esistente.Anche il linguaggio della manutenzione nella sua essenza minimale diventava nuovo linguaggio espressivo di riscoperta del potenziale. Ambito e luogo si rincorrevano e la metodologia faceva scoprire nuove appartenenze dando valore alle addizioni e alle sottrazioni progettuali.Vanrose decise di guardare e disegnare, in termini di ecologia della mente , la città dentro le mura, in quella città abitata da un terzo della città residente doveva essere trovata la chiave per aprire la città fuori delle mura.Ridefinire la città scoprendo il ruolo dell’architettura adatta alle nuove attività, alla vita contemporanea e alla vita futura , come arte che guarda al tempo lungo.C’è chi parla di Meta- Città proprio per la difficoltà di usare ancora la parola città che per Ferrara spesso fa riferimento alla città storica; ma oggi la città oltre i confini amministrativi è la città da riconnettere, e questo vale per molte altre città, per evitare che esse si sviluppino solo intorno ai corridoi delle reti energetiche, di comunicazione, delle reti ICT, dei flussi di traffici delle merci del mercato globale:Ma la nostra amica voleva entrare nel labirinto della ricerca sapendo di non aver paura del labirinto, era consapevole di avere la speranza laica di saper uscire, di ritrovare la sua città nuova, la Ferrara desiderata.

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Il poeta dell’empatia

L’empatia può essere vista come atto individuale che appartiene alla sfera emotiva e che, spesso, usiamo quotidianamente nel rapporto con gli altri.Può essere vista anche come una risorsa latente , radicata nella vita comune, capace, se praticata, di rilanciare le potenzialità del progetto di vita.Franco Giuliani, poeta ed artista, lavorava negli uffici dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, oggi S. Paolo IMI.Ci conoscemmo a cena, a casa di un amico, Cosimo Tridente, docente di Psichiatria ed anche persona di grande sensibilità e cultura. Quella sera il racconto delle esperienze di viaggio e di quelle quotidiane di Franco fece da catalizzatore dei nostri pensieri. La sua personalità veniva fuori con leggerezza e produceva reciprocità; fu facile entrare in rapporto di scambio, di comunicazione; pensieri e parole di andata e ritorno danzavano nella casa, mentre Annamaria, la figlia di Mino (Cosimo) portava gustosissime pietanza che amplificavano l’idea che il girotondo intorno a Franco era fatto di corpi vivi e di io differenti dalle pietre.Non era solo simpatia reciproca, non era condivisione di affetto, ma una interattività moltiplicativa di pensieri e di emozioni.Cercavo di spiegare quella sensazione; ricordavo a me stesso che Franco era originario di Boscotrecase e viveva a Trecase, paesi alle falde del Vesuvio, luoghi d’origine dei miei genitori e dei miei nonni, dove anch’io avevo una frequentazione intensa; ma non sembrava, quell’appartenenza, sufficiente a giustificare quella disponibilità all’incontro.Percepivo che altre reti, immateriali, si intrecciavano nella stanza accogliente e nonostante che l’incontro

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fosse frugale, queste reti accumulavano spessore e densità di comunicazione, con dimensioni di ricettività e di partecipazioni sorprendenti, influenzavano sia la sfera del sentire che quella del volere.“Franco posso aspirare a ricevere una selezione delle tue poesie, adatta a comporre un libro per la mia collana di ricerca su – Le città degli uomini -?La sua disponibilità e la spontaneità dei suoi gesti rivelarono subito il suo stile di vita; la sua abitudine di vita non era fondata sul rapporto che l’io ha con se stesso ma piuttosto sulla relazione che l’io cerca con gli altri e con ciò che é altro da lui. Del resto il suo vissuto apparteneva anche ad altri luoghi ed ad altre lingue, il portoghese come amore, il francese come musica, l’italiano come pelle, il napoletano come vestito.Feci scegliere le poesie a lettori sparsi di varia età, io stesso ne avevo selezionate alcune più vicine ai temi della partenza o del viaggio, come inquietudine del vivere le città.Il libro di poesie – Cocci – vide la luce, Cosimo fece un’ introduzione; il poeta era felice di far volare i suoi pensieri, il libro camminava , la sua dimensione e la immediatezza delle poesie accompagnavano persone e questi camminavano nella città degli uomini, la città dei cocci sparsi, capaci però, se riconosciuti, di segnalare appartenenze vitali.Firenze fu città di pace, ci ricorda Enzo Mazzi, e fu rasa al suolo nel 80 a.C. da Silla proprio perché aveva partecipato alla lega delle città italiche, le città dell’empatia sui temi della libertà e dell’uguaglianza, che non volevano essere complici della politica dell’aggressione di Roma. I cocci della città distrutta continuavano a vivere come cocci della città dell’accoglienza.

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Proprio su uno di quei cocci, nel Rinascimento, oltre ad altre bellezze, nasce il capolavoro brunelleschiano dell’Ospedale degli innocenti, dedicato ai bambini abbandonati.Le città non muoiono, distrutte fanno parlare i cocci. Nonostante la nuova urbanistica lasci frantumare le città, il poeta, inconsapevolmente, nel suo libro, parlava della nuova urbanistica : come è possibile che le gloriose città italiane ed europee che sono state culle di creatività, di ibridazione, di diversità, di civiltà, di arti applicate, di ingegno, vogliano ora unificarsi sotto il segno della competitività? Bisogna riconoscere i cocci ed illuminarli per riconoscerli come parti di una nuova complessità.Far gridare i cocci sparsi o nascosti doveva diventare la nuova disciplina per la diagnostica delle città.Il poeta dell’empatia tra le persone ricordava la necessità dell’empatia tra i luoghi dell’appartenenza passata e quelli del progetto di vita nuova.

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Casa Capriglia

Breve è la vita, lunga è l’arte, la frase tornava in mente ogni volta che pensavo a Casa Capriglia.Casa Capriglia, così nominata da Ugo e Stefania, sua moglie, era la casa di Famiglia dell’artista; lui l’ha avuta in dono da sua madre, è situata nella Frazione di Pellezzano del Comune di Baronissi, località a ridosso del comune di Salerno.Una casa nobile, poco distante dal campanile e dalla Chiesa Madre; gli spazi enormi delle stanze, del cortile, delle cantine e dei sottotetti si sono riempiti nel tempo di opere create per quegli spazi e di opere rientrate da mostre od esibizioni nei tanti luoghi del mondo dove Ugo è stato chiamato per proporre il suo pensiero di artista radicale, utopico e contemporaneo, o dove gli innamorati della sua arte hanno nascosto le opere acquistate o avuto in regalo.Questa immensa ricerca è stata sottratta ed è sottratta alla comunicazione di mercato e la Casa vive, oggi, come testimonianza contemporanea del tempo perduto, tempo minuscolo per Proust. Spesso Ugo viene invitato a tirar fuori le sue opere per esporle, ma egli preferisce sempre produrre il nuovo, che per lui è il Tempo ritrovato, Tempo maiuscolo nel senso di Proust.Per l’artista non c’è stato mai tempo per raccontare tutto il passato vissuto dalle sue opere, ha dovuto sempre mettersi al lavoro per essere artista ogni giorno perché “ non c’è tempo da perdere”.La stessa Casa e la sua funzione di testimonianza del tempo d’artista, non è stata messa al sicuro, “mis en s^urité” ,direbbe Proust, come opera complessiva.

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La mente ed il corpo dell’artista sono ancora troppo impegnati a riempire il tempo che viene, e sarà solo questo lavoro, che pur essendo parte, saprà raccontare anche il lavoro passato ed allungare il Tempo, preservando la mente ed il corpo dai segnali di scarsità di questa.Eppure, la mia ossessione ritornava,specie negli ultimi tempi, quando all’immagine di Ugo che trasportava vasi giganti o che riparava con la forza dei pugni vasche d’argilla immense, si sostituiva, per qualche malanno temporaneo,la sua immagine zoppicante di persona della sua età.Nel libro di Marcel Proust scorre sempre la stessa domanda, che era anche la mia ossessione,” il narratore (artista), invecchiato, vivrà abbastanza per mettere al sicuro la sua opera? Potrà far vivere con gioia l’idea che “lunga è l’arte che alimenta il pensiero sul futuro degli uomini?Una città diversa è possibile se riusciamo a preservare questa tensione sempre anche per coloro che non sono artisti. Coloro che devono sempre ricercare lo spazio nuovo come irrinunciabile esperienza della specie umana. Pensare e trovare il luogo nuovo, non necessariamente di continuità spaziale, nella città desiderata, come opera d’arte individuale, di ricerca contemporanea di autonomia e di comunità. Un luogo inaccessibile a qualsiasi fondamentalismo.Forse per tutti noi Casa Capriglia può ispirare tutto questo, con la stanza del diavolo e quella dell’angelo che come entrata a pian terreno segnalano le infinite scale della vita dell’uomo.Casa Capriglia, cattedrale del tempo, che non aveva ancora definito il suo ruolo? La Casa non finita, come opera sospesa ma piena, rimaneva nei miei pensieri .

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La sfilata delle opere di Ugo chiedevano luce, spesso, tutte le opere si mettevano in cerchio dentro a territori immensi , riempivano contemporaneamente i centocinquantamila ettari del Parco del Cilento e poi si allungavano lungo le autostrade fino alla Città Moltiplicata, nel Copparese e qualcuno di esse si immergeva nel PO quasi a volere nuovamente sparire per riapparire altrove, inseguendo anguille vitali.Cercavo la decodifica che l’artista si era sempre rifiutato di fare ma mi sarei accontentato che Ugo chiamasse per nome tutte le sue opere e le facesse nuovamente sfilare come inventario del tempo perduto prima di farle rientrare nella Casa del Tempo.

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Casa d’Artista

La notizia che il postino che portava le lettere ad un poeta mai morto , Arthur Rimbaud, era andato in pensione faceva rinascere in me l’interrogativo sull’importanza della casa-testimonianza del tempo dell’arte.Quel postino non aveva più il suo poeta, o era il poeta che non aveva più il suo postino?Il postino che aveva impedito che le lettere indirizzate a Rimboud finissero nel centro postale di Libourne, quello dei destinatari “inconnus”, quel postino aveva mantenuto in vita la casa del Poeta; quella casa o quel museo potevano vivere come luogo di nascita e di ispirazione dell’artista, che invece aveva girato il mondo, eppure quell’andata e ritorno di lettere ne avevano cambiato l’immagine; avevano dilatato il tempo dell’artista.Da tutto il mondo, nella cittadina di Charleville-Mézières, dove lo scrittore nacque nel 1854, continuavano ad arrivare messaggi che segnalavano che il poeta non era ancora morto.Ma allora la sua casa che significato ha?A Salerno, una frana impedisce il funzionamento del Teatro Sperimentale e Casa Capriglia viene messa a disposizione come scenario per mille rappresentazioni; Pasquale De Cristofaro, regista riconosciuto riscopre Nitch e fa danzare le parole dell’autore nella stanza del Diavolo; altre persone ispirate dal Teatro decidono di utilizzare il cortile e la stanza dell’angelo per celebrare il loro matrimonio civile in maniera sacra, con Ugo celebrante. Critici d’arte, filosofi ed artisti, come Argan, Sanguineti , Turcato e Guttuso hanno abitato la casa come luogo d’ispirazione e hanno prodotto opere in ceramica impensabili.

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Non dovevo dimenticare le difficoltà, per Ugo quella casa non era da raccontare, il tempo andava dedicato ad altro; le tantissime opere esistenti erano solo opere già fatte, qualcuno in futuro potrà chiamarle per nome, anche inventandone uno nuovo.Non mi rassegnavo.Casa Capriglia era una polis, la casa coincideva con la sua forma, e dentro la casa c’era una città: tante altre case e tanti altri oggetti, spesso, da soli, concettualmente più grandi della casa e della città.La panca arrugginita fatta negli anni sessanta poteva essere oggi la casa e la città dell’apolide; ci si poteva riparare sotto quando c’era pioggia o neve e coricarsi sopra o sedersi vicino alla fornace predisposta per il fuoco, ripararsi dal vento ed accogliere amici.Mille panche come queste, potrebbero essere collocate a Lampedusa come visione temporanea della piazza-agorà necessaria all’Europa delle città aperte.Sappiamo che in molte delle città d’Europa, la città degli architetti e degli urbanisti non c’è più, sottolinea J.Nancy in Micromega, la città è tecnica, è pulsazioni, è crocevia di nomadi; un mercato, un luogo, un incontro dove accade un evento o non accade niente; dove vive lo sfiorarsi dei corpi, e non delle persone, dove vi sono serie interminabili di bagliori, immagini, suoni, colori,rumori, cellulari che squillano e vibrano, rincorse inappagate.I piani, i disegni, le invenzioni degli architetti vivono il tempo breve, anche gli amministratori non sanno che sono transeunti inconnus; essi non sono capaci di inseguire la realtà che sembra vicina, ma che diventa irraggiungibile e lontana da rappresentazioni finite.Nella Casa dell’artista è possibile ritrovare le Agorà necessarie ad uscire dall’immobilismo della pianificazione, io le avevo ritrovate ma l’artista,

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nell’affrontare i temi, aveva voluto sempre costruirne di nuove; eppure in quella casa ce ne erano ancora tante per le nuove piazze delle città desiderate.La città contemporanea si fa beffa delle contrapposizioni tra coloro che vogliono i piani e coloro che confidano nel mercato. Il territorio si fa disobbediente, assorbe tutta l’energia degli scontenti e tutto il potere dei potenti, la sua forma diventa non forma, la sua identità si scioglie e riappare in mille segni separati , omologanti di non appartenenza.Anche quella casa rischia di rimanere anomina, dimenticata in un territorio che si appresta a diventare la prima stazione utile del Mezzogiorno per salire sull’alta velocità che sale fino a Berlino e a Parigi; Casa Capriglia addobbo estetico della Nuova stazione come identità omologata delle stazioni città mercato in progettazione.Del resto, il famoso architetto Mendini era già venuto a Casa Capriglia e aveva insistito, insieme al direttore della metropolitana di Napoli perché un grande mosaico, nascosto in Capriglia, facesse un viaggio solitario fino a Napoli per abitare per sempre nella Stazione di S. Rosa. Ugo rifiutò, ma poi , quando Mendini ed Il direttore chiesero di fare anche un’opera nuova per la stessa Stazione, accettò, dimenticò il mosaico e pensò da quel momento alla nuova opera, “Napoli Città Madre”.Ero tornato alla carica, avevo convinto Ugo affinché un mio amico, bravissimo regista, Antonio Leto, documentasse con delle immagine il racconto dell’inventario delle opere.Un critico d’arte e buon comunicatore come Philip D’Averio, commentatore della trasmissione d’arte Passpartou, avrebbe bussato al portone di Casa Capriglia, in giorni diversi della settimana , accompagnato da un visitatore anonimo, e Ugo avrebbe raccontato ai due delle sue opere fino

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all’arrivo di un secondo visitatore; a questo e agli altri avrebbe fatto un altro racconto sulle stesse opere e sulle altre ancora non viste, il racconto si sarebbe fatto infinito fino all’arrivo del terzo visitatore. Ma chi era il terzo visitatore?Questa volta Ugo aveva detto di si; l’avevo, perciò messo in contatto con Antonio ed avevo telefonato a D’Averio, la sua segretaria mi avrebbe comunicato il giorno del suo arrivo a Napoli, uno dei giorni del ciclo di conferenze sui temi dell’arte, da tenere all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa.Casa Capriglia diventava, nella mia mente, spazio pubblico immateriale, racconto delle città possibili, ritrovava il racconto del Tempo, il tempo ritrovato rigenerava il tempo perduto.

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La poesia dialoga con la musica

La poesia ha gli occhi del mondo, ci ricorda la nostra massima poetessa vivente, ma nessuno si prende cura dei poeti; nessun amministratore si fiderebbe di un poeta per disegnare la vision della città futura; altri artisti hanno avuto questa investitura.Per Franco, la poesia viveva insieme alle altre cose, e queste avevano pari dignità; sì, la poesia aiutava a moltiplicare gli incontri ma , per lui,anche gli altri linguaggi erano delle vitalità in attesa.Quando proposi a mio fratello Bruno, musicista, di organizzare, presso il suo centro musicale, una serata per presentare il libro del poeta, lui non poté che scegliere la musica come linguaggio di dialogo con la poesia. Questa volta la musica non avrebbe fatto da sottofondo alla parola; ma parola e musica avrebbero dialogato Ancora una volta il poeta, incontrando i musicisti del centro di educazione musicale, riesce a produrre comportamenti d’incontro. E quella scuola si trasformò rapidamente in acquerello espressivo; l’empatia produceva linguaggio, musica e poesia vivevano la loro metamorfosi.Si scoprivano nuovi spazi di reciprocità e la fertilità dell’incontro faceva accumulare nuove pensieri e nuove emozioni, musicisti, poeti ed attori si esibirono in uno spettacolo fatto di suoni e di parole.A pochi passi dalle tradizioni di Napoli, di S. Gregorio Armeno e dei suoi presepi, artisti della parola e della musica univano i cuori e le menti dei presenti, fino a var viaggiare le loro emozioni.Per Franco fu una restituzione importante, questa volta la sua poesia veniva recitata dalla musica e

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la musica la separava dalla convivenza spontanea con le altre cose; non si era distratto, ma anche lui apprezzò questa temporanea sublimazione della parola.Alcune delle sue poesie vennero trasformate dalla bellissima voce di Alicia Esteller Sole in malinconico canto d’amore per le cose che gli uomini e le donne fanno ogni giorno.

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Finito tutto!Tutto è diventato Libertà.Libertà a caro prezzoLibertà di tutti i giorniDi tutti i mariDi tutti i fiumiLibertà MontaneE mondaneLibertà metropolitaneE dei “ metro”Libertà caotica ed armonicaLibertà del suono e del gestoE della maschera personificataLibertà che ride sulle scale mobiliLibertà “tutti in fila”Libertà vestita da soldatoLibertà saltellante e feliceLibertà artigianaleLibertà scientificaLibertà teorica E del paneE del vinoE del formaggioE del pensieroLibertà biologiaFinito Tutto!

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Dentro il dentro della città

Si era ricordata del seminario che Rick Rise, l’architetto belga che insegna alla London Metropolitan University di Londra: “guardare, fotografare e disegnare” fino a sviluppare i nuovi segni dell’Interior Design.Interior Design non va mai tradotto “ Architettura d’interni” , commetteremmo nuovamente l’errore di Cartesio. Trovarsi dentro, ritrovarsi dentro il manufatto dell’architettura, considerato come pieno; ma anche l’interno di una città appartenente ad una regione.Vanrose, si era esercitata allungo ed oltre ai disegni già prodotti relativi ai luoghi del Palazzo di Città , aveva prodotto altri disegni. Questa volta li voleva esporre nello spazio che Davide aveva conquistato per ospitare l’ufficio di pianificazione.Aveva scelto due architetture della città dentro le mura; quasi a voler rivelare nuovamente il potenziale urbano nascosto in quei due luoghi noti.Il primo luogo appare come volume quasi mimetizzato, un riparo sorprendente, come quello che da piccoli sceglievamo nel gioco “a nascondino”; un luogo vicinissimo alla persona che conta ad occhi chiusi e che, poco dopo, si sorprende nello scoprire che a pochi metri c’è già chi lo può sorprendere, perché ha scoperto un luogo nuovo invisibile fino a poco tempo prima nell’invetario mentale del posto.Così il teatro comunale, vicinissimo al Castello, dà voce all’idea che con “il meno si ottiene il più”.Vicino alla forza straordinaria delle altre architetture presenti nel suo intorno, in quel luogo si sono intrecciate richieste di qualità di un cardinale, di un

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architetto e di un esperto di acustica, già celebrato per la Fenice di Venezia.La giovane architetto aveva simulato una nuova progettazione, dopo aver riprodotto nella mente, nella fotografia e nel disegno mille volte le forme ellittiche dei due spazi chiave di quell’architettura nascosta: il teatro che guarda il palcoscenico ed il teatro che guarda alla città.Voleva trovare un’altra chiave, quella utile ad aprire la sua mente rispetto alla definizione del potenziale ancora nascosto in quei luoghi per moltiplicarlo con il dentro delle altre architetture.Questa operazione di vivere fino in fondo il dentro del dentro l’avrebbe poi proiettata con più sicurezza dentro il fuori del dentro le mura e poi ancora dopo, verso l’architettura del fuori le mura, per una nuova addizione riconoscibile.Forse lo stesso Claudio Abbado, il maestro che ha rilanciato Ferrara come città della Musica, aveva inconsapevolmente fatto quello stesso percorso e si era appassionato alle forme del teatro percependo il potenziale di restituzione in termini di suoni e di accoglienza.La qualità di quelle forme, una volta riconosciute, rimanevano dentro la mente delle persone e aiutavano quelle stesse persone, non appena uscite dal teatro, a riscoprire nuovamente la città.Con i disegni la giovane entusiasta aveva tentato di riprodurre la dualità di ogni luogo per renderlo adatto a moltiplicare l’effetto di qualità incorporato nel senso delle cose vissute.Quei disegni sviluppati erano bellissimi, le forme classiche si rincorrevano come onde in sequenza avvolgenti; poi all’improvviso, come se le mani fossero diventate vento, le stesse onde cambiavano direzione, nuove rotondità inattese si manifestavano insieme alle rotondità previste.

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Poi all’improvviso il vento cessava e l’abbondanza di forme ellittiche e ad arco sparivano per lasciare spazio a disegni di una semplicità estrema; avveniva quasi una sottrazione totale delle forme che pure dovevano concorrere a legare il linguaggio dell’architetto al linguaggio funzionale, tenendo ben strette le esigenze dell’acustica.Davide, architetto razionalista , si era distratto, era attratto da altri disegni; in questi le onde erano sparite ed erano apparse geometrie e simmetrie semplici. Stava già pensando a nuove case per l’espansione urbana , per le tante volte che lo stesso modulo era stato disegnato e fotografato.Scopre, così, che tutti quei disegni e tutte quelle foto sono dedicate all’approfondimento del dentro di un altro luogo nascosto ma noto: “La Casa del Poeta” in via Ariosto 65, oggi di proprietà del Comune.Girolamo da Carpi , quando vede le casette in campagna che Ludovico Ariosto compra da Ercole Pistoia e riceve l’incarico di sistemare la casa, mette la semplicità dei segni al sevizio della mente dell’anziano committente che ha un’esigenza primaria: riuscire finalmente a pubblicare la sua opera grande dopo averla riscritta nella forma definitiva.L’architetto del poeta progetta interni ed esterni alla casa con una semplicità orientata a dare certezza ai passi lenti della mente e del corpo dell’uomo di ottanta anni.Appare il progetto giusto, spazi in grado di ispirare e contenere la misura e la raffinata metrica dell’Ottava d’Oro mostrano fino in fondo il significato di interior design, cioè la capacità di leggere la casa, dentro e fuori, come pensiero intimo dell’artista.Il poeta più che con il suo corpo abita quegli spazi con la propria mente, abita tutta la casa e si sente

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finalmente in città come capacità di guardare fuori, per far conoscere il suo libro, che presto volerà in tutto il mondo.La giovanissima architetto, abitante temporanea di quella casa, aveva fotografato e disegnato molto, sebbene gli spazi fossero limitati. Aveva l’intenzione di fissare gli sguardi che Ariosto aveva proteso dentro e fuori della Casa nei due anni che l’aveva potuta abitare, prima di morire dopo aver portato a termine il suo progetto.La casa disegnata e progettata nuovamente come spazio più grande, uno spazio diventato luogo di un nuovo viaggio possibile.Del resto, come per il poeta, anche per la nostra olandese, il tempo trascorso in quella casa, seppur brevissimo rispetto alla vita vissuta, era comunque il tempo nuovo, il tempo del progetto.Il poeta lo aveva vissuto con una intensità indescrivibile, tanto era innamorato del progetto relativo alla sua opera magistrale, e quella densità aveva reso concettualmente lungo il tempo del progetto, fino a far sparire il ricordo del tempo passato. Vanrose, con la moltitudine dei disegni , di Interior Design, aveva voluto riprodurre questo concetto; una casa piccola abitata da mille pensieri geometrici e da altri pensieri asimmetrici,aveva liberato il poeta dall’appartenenza al passato. Appariva chiaro che il tempo vissuto in quella casa era stato un tempo denso, cresciuto concettualmente, fino a diventare più lungo del suo vissuto in altri luoghi.Ricevette i complimenti da Davide, e Davide, felice del contributo di idee, decise di organizzare una mostra selezionando accuratamente il tanto materiale prodotto.

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Lei chiese di trattenere la chiave del teatro, voleva ancora approfondire il dentro del dentro, era sicura di poter avere, come era stata per la casa del Poeta ancora di più da una lettura profonda di quella architettura nascosta.

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Furore per le scienze

La passione di Graziella si era manifestata non appena iniziò la tesi sperimentale presso i laboratori del CNR di Arco Felice, località poco distante da Napoli, sulla strada Domiziana, la strada che lungo il mare va verso Roma.Usciva di casa quando ancora non era giorno e rientrava a notte fonda, si era sincronizzata sui tempi della ricerca. Nostro padre fu il primo a contestare questo comportamento; non si addiceva ad una ragazza poco più che ventenne, e poi in quei luoghi, cosi poco raccomandabili, quella strada tanto nota per altre attività...I tempi dedicati al laboratorio ed alla ricerca biologica erano inverosimili.Arrivò la laurea con voti pieni e la constatazione che il settore della ricerca scientifica lasciava poche opportunità in Italia ; la partenza arrivò come decisione inevitabile, per chi come lei aveva un vero e proprio furore per quella direzione.Il National Institute of Healt di Washington le conferì una borsa di Studio ; Bob Martin ed altri scienziati di valore internazionale l’accolsero come ricercatrice di pari dignità scientifica.Ogni altro valore o peso delle cose divenne relativo, le amicizie, i luoghi, i legami familiari, le abitudini di vita lasciarono il passo alle nuove aspettative che si affacciavano nella sua mente, tutta protesa verso la conoscenza.Sembrò che l’ordine dato da Gesù ai suoi apostoli valesse anche per lei; questa volta l’ordine era legato ad una missione laica, sempre presente nella storia dell’uomo, la ricerca.

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- “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i morti” –

Non c’era più tempo per altro.

Graziella interpretò questa missione con slancio e continuità inaudita; dal suo comportamento si può comprendere anche che la fretta messa da Gesù ai suoi discepoli non è stupefacente.Non valeva più il quarto comandamento, e nemmeno tutti gli altri valori della vita ordinaria.Gesù chiarisce a tutti gli eventuali dubbi con una risposta brevissima che riguardava anche lei:“perché il tempo urge, perché i tuoi giorni sono lunghi sulla terra”.

Arrivano le prime scoperte, viene clonato il primo gene del cromosoma X, vi è un grande riconoscimento internazionale, si aprono nuove strade di ricerca.Perfino nostro padre, invitato al premio Madame Curie, in Italia, aveva dimenticato tutti i suoi comportamenti contro e si era convinto che era stato lui ad incoraggiare ogni passo della giovane scienziata. Lui che, invece, metteva il chiavistello alla porta di casa ogni sera, pensando di doverla rimproverare prima di farla accedere nuovamente ai beni dell’accoglienza familiare.Il buio nella mia mente e davanti ai miei occhi continuavano a farmi viaggiare, fino a Washington dove, ospitato da Graziella, con la mia famiglia mi ritrovai sveglio, durante la notte; la voce di mia sorella rincorreva nel mondo altri gruppi di ricercatori; loro, in rete, si confrontavano sui risultati

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della ricerca in corso, era lei a spingere perché si rispettassero i tempi della ricerca.Il buio del tempo di riposo erano per lei una convenzione e non una necessità, mentre il sonno rimaneva un evento differibile. Proprio a Washington fece un rimprovero solenne ad un ricercatore che non aveva atteso l’esito di un esperimento.

- Tu non sarai mai un ricercatore vero - E l’altro .

- Ma che differenza c’è tra questa sera e domani mattina? –

Era chiaro che lei facesse riferimento al suo furore, atteggiamento non sempre riproducibile come modello di comportamento e di formazione.Il tempo necessario era il tempo lungo della conoscenza che però aveva necessità di essere intenso perché speso nel tempo breve della vita.Il buio provocato con il cuscino sulla testa mi aveva portato indietro, ai bui fertili di mia sorella e capii che quella malinconia che mi stava immobilizzando doveva essere rimossa al più presto ed il mio tempo doveva nuovamente essere speso per accompagnare il progetto di vita possibile.Penavo , comunque, che la grave malattia avrebbe pesantemente condizionato tutti i nuovi pensieri e che l’economia del tempo della normalità dovesse essere abolita.Tornava prepotentemente in mente la parabola degli uccelli e dei gigli del campo:“Quelle creature erano diventate incuranti , non era in grado né di seminare né di mietere”.Di fronte all’imminente trasformazione in altra vita, sottolinea la metafora della parabola, ogni processo di economia del tempo perde significato; ma la reazione giusta può essere diversa, proprio

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perché brevissimo il tempo deve assumere nuovo significato, deve crescere come qualità percepita..Per fortuna, le cose sono ancora più semplici;il non sapere quanto tempo è la nozione di tempo brevissimo riapre il comportamento degli uomini. Essi possono, concettualmente, ribaltare l’idea che la cura e l’assistenza hanno perso senso e far ripartire l’idea che davanti all’orizzonte lontano del tempo del mondo il tempo degli uomini ritorna ad essere breve o lungo come è sempre stato, e la loro vita può riprendere come ieri.

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Tutti a Scala nel laboratorio di ecologia della mente

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PRESENTE PASSATO

FUTURO

INFINITO

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FERRARACITTA’ DEL FUTURO

Ugo Marano artista

Pasquale Persico economista

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L’ADDIZIONE NON LINEARE COME PROSPETTIVA STRATEGICA DI FERRARA

Nel bel libro di Carlo Bassi ci sono mille pensieri di ripartenza accanto ai mille pensieri che guardano Ferrara e la descrivono come città bella. La Città Bella è la città diventata riferimento culturale prestigioso, la Città Bella è quella delle addizioni virtuose, che hanno creato simmetrie e senso della città .L’area industriale incompleta e l’ esterno di strade per rincorrere i nuovi servizi territoriali segnalano una rottura di una capacità di continuare a ridisegnare le mura della città nuova.Le ultime addizioni stravolgono le simmetrie geometriche e simboliche, fino a perdere il senso della città.La città va ripensata, bisogna produrre pensieri per una metamorfosi che rinnovi l’identità percepita rispetto all’identità storica.Lo stesso Bassi nel finale del libro svela la sua metodologia, egli moltiplica i luoghi del quotidiano per i luoghi dell’animo ottenendo 18X14 percorsi potenziali in termini di ecologia della mente.Una città da vivere ogni giorno scoprendo 252 itinerari da vivere.Ma la città si è complicata ed altri ritmi esterni stanno costringendo gli abitanti a fare altri percorsi, tutti si accorgono che stanno perdendo la visione della città desiderata, da vivere nuovamente; la città è diventata più piccola e più lontana, può essere vissuta soltanto per pochi giorni all’anno.Ma questa non è solo la storia di Ferrara è la storia dei territori che stanno perdendo identità per effetto dei cambiamenti epocali che stanno avvenendo nel mondo.

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Il Valore della città e del suo territorio dipendono dai comportamenti che possono essere innestati nel tessuto sociale della città.I Francesi chiamano Cité l’insieme delle associazioni e delle unioni di persone che vivono la città, una sorta di città degli uomini, con i loro pensieri ed i loro progetti; mentre chiamano Ville l’insieme dei luoghi fisici dove queste attività si svolgono; ebbene, come per Bassi,i luoghi dell’animo possono essere più grandi dei luoghi del quotidiano così la Cité immateriale può essere più grande della Ville.Le città hanno un valore d’attrazione prima e valore economico e culturale dopo quando la Cité tende a crescere in maniera esponenziale e si fa inseguire dalla forma urbana.Il progetto prima della forma, la metamorfosi creativa come identità fertile. Ed allora, l’ispirazione dell’artista ha già riempito il progetto : sottrarsi per aggiungersi altrove, per liberare energie nelle città del margine ampio. Riproporre la metodologia già vissuta in una visione di crescita per reti neurali del tessuto sociale provinciale prima e regionale poi, è la strada per aprire i laboratori strategici. La nozione di prossimità va rivisitata, i luoghi dello spazio esistenziale vanno trovati fuori per allargare il dentro della città esistente. I luoghi si moltiplicano e si rinnovano; la possibile crescita di Ferrara è il riflesso controllato della crescita delle città possibili, nate in un intorno di territorio allargato. La metodologia di lettura di Bassi va spostata su una mappa ampliata dove i luoghi fisici e quelli del progetto sono percepiti al quadrato rinnovando ogni giorno il potenziale del cambiamento, la vitalità possibile.

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Un progetto difficile ma che sposa il processo in partenza; Provincia e Città voglio fare il piano strategico e sono costrette a rifare la mappa del potenziale del territorio. Nuovamente il paradigma Identità e Sviluppo torna in campo per rinnovare i gradi di libertà del progetto possibile: il vocazionale non determina il gradiente delle possibilità, la mente e la creatività dell’uomo, come comunità creativa, potranno progettare la città nuova. La Ferrara di oggi, come discontinuità culturale, dovrà riconoscere l’addizione nonlineare come forma nuova e contemporanea; ancora una volta le mura saranno rimosse ma questa volta il nuovo perimetro sarà a scala variabile per essere incubatore fertilizzante dei progetti della città allargata. Il pensiero nuovo e la politica nuova devono ricongiungersi. Ferrara nuovamente laboratorio vivo dell’urbanistica del nuovo millennio.Allora Ferrara sarà ancora bella.

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FERRARA

CITTA’ DELL’URBANISTICA ADDIZIONATAPATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITA’E’ LA PRIMA CITTA’ CHE CRESCE COME UN ALBERO ORIZZONTALECITTA’ ORGANICAQUESTO PENSIERO NON AVEVA PREVISTO IL CAMBIO DI ERALA CIVILTA’ INDUSTRIALEIL SUO CAMBIO DI MARCIALA SUA VELOCITA’ URBANICIDAsi è costruito più in questa era che nelle altre precedentipiù negli ultimi cinquant’anniche nei diecimila passati

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ECCO ALLORASCONVOLTOIL PENSIEROURBANISTICOSUBLIMEE LIBERATO UN RAGIONAMENTO SULLA FERRARA DEL FUTUROLA SUA RIPARTENZAurgentealloracercarema ancora meglio trovare un paradigma rivoluzionarioper la comunità da riposizionare

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E’ DA QUALCHE ANNO

CHE FERRARAA MECREATORE DI

GIOIASEMBRA TRISTE

IMMALINCONITA

ANNOIATA

DOR-MIENTE

ED ORA DOPO MOL-TI ANNI FINALMENTE HO CAPITO

QUESTO SENTI-MENTO PIU’ CHE UMANO

RISCONTRABILE NEL SUO PROGETTO

DI URBANISTICA FINITO

NON CI SONO PIU’ ADDIZIONI DA FARE

LA CITTA’ DI FER-RARA e questa è una notizia vitale

DOVREBBE COMIN-CIARE A SOTTRARRE

SENZA TORNARE INDIETRO

SOTTRARREANDANDO AVANTICOMINCIARE DA

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SUBITOVELOCEMENTE

MA ANDANDO PIANOPENSARE AD UNA

CITTA’ DEL FUTUROCHE NON POTRA’

ESSERE PIU’ FERRARAO FERRARA DUE

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A Scala presso il Laboratorio di Ecologia della Mente

Per vedere l’invisibile bisogna educare le persone a vedere con gli occhi degli altri. E’ più o meno questo l’approccio suggerito da Bateson quando ci spinge verso un’ecologia della mente.Al di là di ogni aspettativa i dirigenti del comune di Ferrara avevano aderito all’invito che io ed Ugo avevamo fatto a Rita Tagliati e a Davide: “incontriamoci in un luogo mitico, e liberiamo la mente da tutti i luoghi comuni, conquistiamo una nuova flessibilità delle idee per discutere liberamente del Potenziale ecologico, naturale ed urbano della città”.Quello che la pianificazione strategica delle città chiama diagnostica, fatta con le analisi tradizionali a cui si applica la SWOT analysis, cioè la messa in evidenza dei punti di debolezza e di forza di un territorio, poteva essere fatta in un luogo sublime cercando di innovare la metodologia di analisi.Volevamo incontrare quella comunità di esperti e proteggerli, informandoli del pericolo della convergenza delle idee. L’Europa chiama le città a concorre agli obiettivi di convergenza e di competitività e tutte le città scoprono di essere capaci di investire in ricerca e sviluppo tecnologico, nella società dell’informazione e della conoscenza, nell’ambiente, in turismo e beni culturali, in educazione, nei trasporti e nelle reti lunghe, nella sanità, nel recupero urbano, nella innovazione della pubblica amministrazione.Tutti fanno tutto e le città diventano vive?Ferrara era lontana e la mente sembrava finalmente libera di disegnare scenari potenziali.

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Dovevamo trovare una strada che portasse ad una “Vision” del piano strategico cioè ad un’idea larga dello sviluppo che consentisse, l’animazione del territorio, la condivisione dei temi da sviluppare e la interpretazione del progetti possibili concertati, cioè suonati come concerto riconosciuto.Con il panorama di Ravello ampliato sotto gli occhi,l’ecologia della musica ed l’ecologia dello spazio come discipline di supporto, finalmente Natura e Uomo lavoravano insieme potevano ispirare i nuovi allievi, finalmente liberi di volare in termini di ecologia della mente.- Lo scopo del nostro incontro è quello di portare la nostra mente lontano dai problemi vissuti, volare alto come modalità, scorciatoia, per saper vedere in modo nuovo la città. Andare oltre il distinguo tra spazio interno, proprio dell’architettura e spazio esterno proprio dell’urbanistica, guadagnare “Scala” diventa la metafora della scala da scoprire per guardare la struttura portante della nuova città.Credo che a Ferrara negli ultimi anni, la consapevolezza urbanista abbia perso peso ancor più della consapevolezza architettonica delle nuove addizioni.

– Non voglio Fare il professore – aggiunsi – voglio solo dare il là al lavoro che ci vede co-protagonisti : produrre un primo ragionamento sulla partenza. –

Lo spazio mentale nuovo iniziava ad apparire e solo quando i colori di questo spazio diventarono leggibili la classe diventata creativa poté classifi-care i ventisette progetti di mandato che il sindaco riteneva prioritari e strategici.

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Per Ugo questa prospettiva di lavoro, sebbene aperta a risultati molteplici, era ancora troppo limitante; dovevamo prima essere impietosi nel descrivere la realtà, liberarci di tutti gli errori, rendere vera la ripartenza, credere nell’utopia possibile, cioè quella per cui valeva la pena impegnarsi.Sebbene vivessero e lavorassero da tempo a Ferrara, i bravi dirigenti avevano avuto poche occasioni di confronto effettivo sul futuro della città. Si, c’erano stati molti convegni, diversi seminari accademici, alcune associazioni come, Il Pane e le Rose, che aveva interrogato persone importanti, capaci di disegnare scenari, ma nessun confronto paritetico era stato organizzato tra le diverse componenti della città, entrare in campo era stato sempre difficile.Questa volta la simulazione lasciava credere che l’Agorà fosse disponibile e che la discussione sarebbe entrata nel merito dei beni pubblici e beni privati da produrre per la città nuova.In termini di governance strategica, l’apertura verso il protagonismo responsabile delle componenti vitali dell’organizzazione dell’ente locale è una direzione irrinunciabile, sebbene non sempre perseguita nella storia dei piani strategici già elaborati.Non a caso alcuni dei funzionari si erano avvicinati all’iniziativa con curiosità ma anche con qualche riserva; forse era stata Scala e la bellezza del luogo a spingerli alla decisione di impegnarsi nuovamente, almeno per due giorni.Ugo fu capace di prenderli. Curiosi o scettici, tutti furono trasportati verso la riflessione profonda; l’ecologia della mente non era più una dimensione lontana.Riapparve l’immagine di Ferrara, questa volta era sospesa nelle acque del Tirreno con la sua storia urbanistica ancora più chiara.

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La prima città che era stata capace di crescere come un albero orizzontale, con le sue addizioni di urbanistica sublime, che aveva dato fertili frutti all’urbanistica del tempo, oggi faceva frutti non più riconoscibili ed anche il progetto funzionale è in crisi; evidente nei passi affannati dell’amministrazione che insegue i problemi. Il cambio di velocità della globalizzazione, il cosiddetto Global Shift, ha prodotto velocità urbanicida, la città bella si allontana, prende il largo e diventa invisibile, mentre una nuova città non identificabile avanza ad avvolge la vita di tutti dettando i temi della vita in città.La città non ha colori identificabili; città della musica, città della cultura, città dell’università non sono più slogan bastevoli a risvegliare il cuore e la mente di coloro che vivono la città esistente.Per l’artista, Ferrara appare come città dormiente, con un pensiero urbanistico visibilmente moribondo, una città incapace di sottrarre, inviluppata nei discorsi sulle addizioni non pensate, non intelligenti, cioè realmente orientate al futuro.L’artista spinge il ragionamento e diventa terribile, forza il discorso in termini di ecologia dell’architettura e di ecologia dell’urbanistica addizionata:

- La periferia di Ferrara già decreta la sua morte; la Ferrare nuova va ricercata altrove -

Anche per l’artista, l’annuncio della vitalità della morte di Ferrara poteva essere una buona notizia, come quella apparsa sul Times on line per Venezia.Eppure questa visione così dura teneva dentro immagini di progetti felici, fertili; si lasciava aperta la possibilità di architetture trasparenti, luminose, di una semplicità piena di purezza.Il gioco diventava esplicito.

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La ricerca della Ferrara nuova doveva essere fatta fuori dalla città organica, ragionare per frattali, alla ricerca di una più complessa e nuova organicità fatta di addizioni non lineari, da riconoscere o disseminare lontano, portando via da Ferrara tutti i segni indesiderati, come colori da aggiungere altrove, per riscoprirli come addizione urbanistica dialogante con la città che verrà.I colori e le direzioni furono individuate, le ore passarono veloci, il confronto diventava partecipativo, la classe si appropriò con gioia dei progetti del Sindaco e li collocò nel nuovo spazio mentale, la nuova mappa delle potenzialità, i ventisette progetti erano solo una parte dei gradi di libertà guadagnati.Era nata un’agorà temporanea, tutta orientata al mancante ma che finalmente dava importanza all’esistente; finalmente i progetti del sindaco uscivano dai depliants di presentazione o dalle schede di valutazione e si collocavano nelle mappe da vivere della città in movimento, potevano essere valutati nella loro capacità di vivere nello spazio nuovo.Non furono tratte delle conclusioni, la task force del comune, insieme a Davide ed al Vicesindaco, era diventata più consapevole; Rita Tagliati ribadì, prima di chiudere la due giorni, che questa consapevolezza doveva essere allargata alle altre organizzazioni della città, private e pubbliche. C’erano ancora percorsi infiniti da fare, rivisitare la Ferrara sublime,andare incontro alla nuova identità, riposizionare la città della conoscenza, ragionare in termini di ecologia della musica e della cultura per rifare il percorso di economia della cultura.Il Campionario visivo proposto da Ugo e quello teorico iniziato dal gruppo poteva essere portato via da Scala, sebbene noi lo avessimo sacralizzato

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poggiandolo sul pavimento della Cripta più antica dell’intera costiera amalfitana.Quel patrimonio di idee, prodotte nel Laboratorio di Ecologia della Mente di Scala, poteva essere diffuso nella città fino al corto circuito delle menti volitive, capaci di interrompere il percorso dell’urbanistica che uccide definitivamente la città sublime, per risvegliare Ferrara, la città adagiata, la città con pochi traffici di idee, con le sue ritualità guardanti al passato, del Ducato ancora desiderato, con l’università appena risvegliata, con la classe dirigente apparentemente coesa.

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Se perde Ferrara perde l’architettura

Sentivo di dover dare a Davide il senso forte delle raccomandazioni che l’esperienza di Scala implicitamente aveva prodotto. Inviai una lettera lunga, riassuntiva ed esplicativa della responsabilità in campo.

- Caro Davide ,Ti ringrazio della possibilità data a me e a Ugo di pensare a Ferrara in modo progettuale: non avremmo prodotto uno scenario così profondo sul cammino da fare senza la responsabilità di lavorare per tanti altri.L’atmosfera di Scala era buona e tutti sapevano che il laboratorio mentale aperto non ci avrebbe fatto parlare solo del riposizionamento competitivo della città, tutti dovevamo andare incontro ad una teoresi perduta.Probabilmente i Greci al bivio (dilemma) tra teoresi (sapienza) e la prassi hanno scelto la prima, rinunciando al progresso tecnologico possibile ma non alla vita di pensieri.Ti ricordo che i diamanti del Palazzo dei Diamanti sono stati pensati e progettati da un astrologo che ha suggerito di posizionarli in modo da catturare l’energia del cosmo, energia al quadrato del cosmo e dell’uomo. Ancora un progetto di ecologia della mente.Ti propongo il Dilemma come Dilemme, cioè la necessità di affrontare un argomento

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che presenta due proposizioni contrarie e condizionanti, dove però per svolgerlo non si vuole lasciare il campo agli altri ma, solo a quelli che ne hanno piena consapevolezza.Ecco allora, che il primo argomento, prima di sciogliere il dilemma piano strategico si o piano strategico no, è capire quanta consapevolezza sia cresciuta nella città e sul territorio allargato di Ferrara, tanto da allarmare il mondo, che sta per perdere memoria della Città ideale, la città che ha fondato il pensiero urbanistico.Ferrara come città di Anfione, città opera d’arte e città contemporanea, che si rinnova addizionando forme che l’avvicinano al perfetto, si sta sciogliendo, non è più un’immagine solida.La storia passata è nota quella futura incerta. La città in fuga da se stessa non si fa sentire. Nella memoria del mondo c’è solo la città sublime.La vision appena accennata a Scala non è facile da trovare e la responsabilità è notevole, deve essere condivisa, dobbiamo portare idealmente tutta la città nuovamente a Scala.Non facciamo i dilettanti, non formiamo gruppi di lavoro per trovare slogans, non ci facciamo prendere dalla necessità di avere successo a breve termine. Non rincorriamo gli altri piani strategici; Torino, Lioni, Glasgow,Cesena, Firenze sono un’altra realtà. Queste città non devono confrontarsi con il pensiero urbanistico di un millennio, non hanno la pressione di non dover commettere errori.

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Nel venire a Ferrara le mie scelte sono state condizionati da avvenimenti esterni. L’affluenza alla fiera di Cersaie a Bologna, mi ha costretto a scegliere un albergo fuori le mura , e mi ha fatto vivere le difficoltà di penetrazione nella città dell’armonia, fino a farmela percepire come lontana, inesistente.Il piano strategico deve servire a Ferrara per non perdere definitivamente l’opportunità di fare l’addizione non lineare.Il piano strategico in questa fase può essere anche un piano serio di manutenzione ordinaria e straordinaria della città, un piano utile a scoprire la mappa del potenziale da disegnare.Ulisse prima del nuovo viaggio aspettava, un tempo lungo d’attesa serviva a far maturare l’entusiasmo per la nuova avventura e la necessità della partenza, ben sapendo che questa nuova impresa presentava un alto grado di irreversibilità.Se la pagina introduttiva del programma di mandata del sindaco fosse riscritta, anche alla luce di quanto è avvenuto a Scala, i progetti potrebbero apparire in più dimensioni culturali: quelli di normale amministrazione, quelli di straordinaria manutenzione e quelli che aprono i laboratori della nuova progettualità.La città strategica deve avere la possibilità di avere lo stesso valore di senso della città dello scorso millennio.Come vedi è un’idea forte che sconvolge la terminologia attuale e non uso il piano strategico per tutte le stagioni.

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Certo Ferrara farà il piano strategico, ma questo sarà una ripartenza? Avrà un teoria dell’Urbanistica rinnovata? Ci sarà una teoria dello sviluppo legata alla nuova infrastruttura complessa che è la città pensata? Ci sarà un’idea dell’evoluzione culturale e civile della popolazione che abita ed abiterà la città? Sapremo volare nel cosmo come il palazzo dei Diamanti?”

Forse avevo esagerato, Davide era rimasto, come Rita e tutti i funzionari, soddisfatto del passo in avanti fatto a Scala, ma io sentivo la necessità del tempo breve. Ferrara era diventata la città che non mi faceva dormire. Sognavo il Vicesindaco che faceva svuotare il palazzo dei Diamanti per offrirlo ad Ugo come bianco della città e Ugo, nonostante l’opportunità andava, invece, alla ricerca del bianco altrove, fuori delle mura, nella nuova addizione significativa.Poi all’improvviso sognavo altri centri commerciali, altre città commerciali sommergere definitivamente la Casa in via Copparo del Rettore dell’Università che per vedere la città doveva nuovamente salire nella parte alta del polo tecnologico. Carlo Blasi, ecologo di grande valore, direttore del maggior Centro Italiano sulla Biodiversità, ha sempre raccolto sfide culturali sulla sostenibilità delle città; di recente la sua proposta di rete ecologica per la città di Roma è stata inserita nella discussione globale sul piano urbanistico della Città. Primo caso al Mondo. Per le città il recupero di gradi di resilienza ( rendere reversibile il funzionamento del sistema ecologico esistente nello spazio territoriale in cui la città è insediata) è sempre un esercizio da fare perché mostra una capacità di salvare la città.

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Appena usciti dal suo dipartimento presso l’Università la Sapienza di Roma gli posi una domanda difficile su Venezia.

- Ma a Tuo giudizio, come ecologo che guarda lontano, non è forse più utile dichiarare la nostra incapacità di salvare Venezia invece che decidere in emergenza opere che in futuro si riveleranno ingestibili ed inutili?

- Perché non fare esprimere nuovamente la Natura sul futuro di quei luoghi?

La sua risposta fu chiara e veloce.

- La Natura senza l’uomo non può raccontare tutta la sua forza e la sua bellezza. Venezia è bella perché è stata una città pensata e desiderata, l’uomo non può non pensare di poterle dare un destino contemporaneo, insieme alla Natura che è sempre capace di essere contemporanea. Per progettare il futuro farsi aiutare dalla natura è un buon esercizio culturale e scientifico, come del resto hanno fatto i fondatori di Venezia che desideravano proteggerla, utilizzando le informazioni che la Natura dava loro , specie quando era diventata città globale -

La risposta secca non lasciava contraddittorio e diventò un suggerimento prezioso anche per Ferrara; parlammo della contrapposizione tra Cacciari ed il governo ed appariva chiaro che c’erano ragioni

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a supporto delle due posizioni; lera anche chiaro che il Governo ed il sindaco non parlassero della stessa città. Io e Carlo parlammo anche di Ferrara e di come la Natura poteva suggerire letture diverse della città dentro le mura per allargare poi la città stessa al territorio ampio, fino a riconoscere le addizioni non lineari di appartenenza.Il suo suggerimento rendeva, poi, ancora più forte l’idea della ricerca della sottrazione e dell’addizione da fare.L’idea di Ugo di togliere “le pietre“ di una piazza nota per trasferire quella piazza nota altrove e rimpiazzarla con un campo di grano era un pensiero vicino all’idea di farsi aiutare dalla Natura nella decodifica dei valori della città nuova. Il progetto di Ugo e le idee di Carlo camminavano già nella città ripensata, il potenziale espressivo della natura, come rete ecologica funzionante doveva vivere accanto alla massima espressività dell’uomo, l’urbanistica eccellente; le due espressività non devono mai negarsi ma anzi moltiplicare i sensi della città.A Ferrara sembrava inverosimile che a poca distanza dalla città bella, nuovi manufatti del commercio, dell’industria già dismessa, e dell’abitare negassero la storia virtuosa di oltre un millennio.No, Ferrara non può morire per colpa dell’urbanistica stupida, miope, ancora in campo, quella che vuole dare il colpo mortale alla crescita pensata e desiderata.E’ come se uno scontro in atto tra il nuovo costruito ed il passato tendesse a negare l’intelligenza dei luoghi.

La scala urbanistica della città e dei luoghi aveva sempre dato importanza non solo ai “pieni” ma anche agli intervalli. Pieni e vuoti si rincorrono,

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ancora oggi, nella città come possibilità di dare significato alle infinite complementarietà esistenti.La città, che a partire da Biagio Rossetti si era imposta all’attenzione per la sua capacità di produrre linguaggio urbanistico, stava diventando muta e sorda; accettava senza alcuna ribellione significativa al diventare città omologata dai segni della modernità commerciale e residenziale, nuovi segni di luoghi del dove andare per soddisfare le necessità dell’adesso.Quando l’urbanistica divenne il DNA della città, Ferrara era centro internazionale riconosciuto in dialogo con altre città regine, era una città semplice, pragmatica,volitiva, piena di responsabilità sociale. Bisognava ripristinare quella voglia di intelligenza e di capacità di pensare al futuro.Bisognava nuovamente insegnare a “saper vedere la città”, entrare nell’anima delle persone e sperare che una massa critica sufficiente di persone riprendesse a pensare e a desiderare di vivere per sempre nella città dei luoghi dell’urbanistica intelligente. Emozionarsi nuovamente dinanzi ai rimandi tra S. Benedetto e San Giovanni Battista; riempirsi gli occhi ancora tra il coro del Duomo e Palazzo Montecatino, rivedere i palazzi Mosti e Turchi. Rivedere,così, le reti di relazioni, per riscoprire la Ferrara splendente anche lontano dalle mura. Mettere ancora in campo tutte le esigenze di vita per riscoprire le appartenenze, invitare persone lontane a scoprire tutta la genialità dei luoghi. Imparare a progettare bimolecole urbane della non-linearità ritrovata come urbanistica intelligente che crescerà organicamente per frattali e per simmetrie inattese come linguaggio asimmetrico riconosciuto, contemporaneo.

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Nel laboratorio come sempre

Erano passate appena due ore da quando Graziella mi aveva informato della nuova situazione, dal buio dovevo nuovamente andare incontro alle cose da fare; sicuro che lei le stesse già facendo.Entrai nel suo laboratorio presso l’Istituto Internazionale di biofisica e biologia del CNR, con l’idea di doverla accompagnare nuovamente in ospedale per ulteriori riscontri clinici; mi ritrovai nel bel mezzo di una riunione organizzativa per far camminare più velocemente il progetto “Parco genetico”.Questo progetto, nato appena quattro anni prima, rappresentava per lei ed il suo gruppo una sfida nuova: uscire dal laboratorio per utilizzare il patrimonio genetico delle popolazioni isolate del Parco Nazionale del Cilento e di altre località Campane per arrivare a risultati di conoscenza nuovi sul tema delle malattie complesse, quelle che sono causate da mutazione di più geni e che sono malattie anche molto diffuse: quelle vascolari, i tumori, il diabete, il morbo di Parkinson ed altre.Non era facile definire lo stato di salute di una popolazione ma la disponibilità di isolati geografici aveva incoraggiato a seguire quella strada pur sapendo che la logistica del nuovo progetto avrebbe rivoluzionato il modo di fare ricerca.La passione di Graziella aveva trascinato molti, le collaborazioni nazionali ed internazionali erano aumentate e tutti si erano innamorati del progetto e dei luoghi del Cilento.Le nuove conoscenze allargavano a macchia d’olio le intersezioni con le altre discipline, antropologia, statistica, informatica, bioinformatica, biometria, sociologia, medicina, contribuivano a rinnovare il

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modo di fare ricerca. I valori e le esigenze della ricerca andavano incontro ai valori ed alle esigenze delle popolazioni, nuovi rapporti fiduciari facevano camminare il progetto.Gioi Cilento divenne la base operativa; Andrea Salati, il sindaco della passata legislatura, sua moglie ed il parroco sempre pronti all’ospitalità necessaria ad accogliere i ricercatori; il progetto nonostante le difficoltà finanziarie e quelle della ricerca specifica camminava veloce, diventando riferimento italiano per metodologia e risultati, adesso doveva camminare ancora più veloce.Arrivai al laboratorio, il viso di Graziella era appena malinconico, sembrava che interpretasse con consapevolezza la “bella tragedia” di Schiller; il lavoro di Schiller era stato scritto nel periodo della Repubblica di Weimar. Graziella mi apparse come che autrice ed attrice;lei, in quel momento, era in grado, grazie alla sua arte pratica, al suo pensare al laboratorio come vita da interpretare, di far diventare luminosa e spendente “la cupa immagine della verità” in cammino. Sullo sfondo c’era ancora la sua serenità.Lei, con il suo comportamento pronunciava continuamente le parole di Schiller “Seria è la vita, ma serena è l’arte”.Anche Schiller era medico di formazione e sembrava voler correggere il pensiero di Ippocrate.Graziella non recitava né proclamava frasi; aveva fatto riemergere il suo furore per la ricerca e questa vita di sempre doveva ancora essere vissuta con serietà; questo le avrebbe dato la serenità per continuare, insieme ai suoi amici ricercatori e a tutte le alte persone che l’avrebbero voluta accompagnare, la sua vita.Non fu facile nascondere a Rosa gli avvenimenti del giorno, lei nonostante la bella festa per Raffaella,

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teneva già dentro mille pensieri di paura.Per molti giorni ancora la malinconia profonda non ci avrebbe fatto sincronizzare sul ragionamento di Graziella: “ se la vita è diventata inevitabilmente breve, è inevitabile che la prenda ancora più sul serio, mi farò aiutare per combattere il male, ma il mio comportamento di vita di ogni giorno diventerà ancora più radicale.Sembrava ribadire con il suo comportamento:

- Ho la serenità di fare come faccio, perché diversamente dalla faticosa serietà della vita, il mio lavoro, la mia arte mi dà serenità e la serenità mi fa vedere il tempo lungo -

Goethe, direttore del teatro dove si rappresentava il prologo di Schiller, aveva cambiato la frase finale. Senza l’autorizzazione di Schiller, l’attore Vohs avrebbe recitato sul palcoscenico di Weimar: “Seria è la vita, serena sia la vita”.Schiller cancellò subito quel “sia”. Come per Schiller anche per Graziella l’arte, il saper fare bene e con passione il proprio lavoro, non era una qualità ideale ma una qualità da vivere.Graziella dopo trenta anni di ricerca in laboratorio, aveva deciso di sfidare se stessa ed approfittare di una occasione da non perdere per mettere luce scientifica sulle malattie complesse; voleva fare come aveva fatto per il cromosoma X, fare da scienziata pioniera, esploratrice riconosciuta. Uscire dal laboratorio significava pure uscire dalle proprie certezze, cambiare le metodologie, incontrare tutte le sfide del lavoro di gruppo ampio, con problemi di mobilità e di organizzazione spaventosi anche perché sia i finanziatori del progetto che le strutture di ricerche hanno

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difficoltà a capire il campo nuovo su cui ci si può impegnare.La sfida era stata vinta con difficoltà immense, ora nonostante il tempo breve, dovevano essere consolidati i risultati e prospettate dimensioni nuove del progetto in sviluppo. Nonostante le difficoltà sopraggiunte, la scienziata voleva ancora una volta misurare il tempo opportuno e viverlo tutto; per l’ennesima volta Graziella sceglieva di congiungere la scarsità del tempo con l’opportunità dell’occasione.Chi poteva capirla?Victor Hugo ci viene in soccorso: La science cherche le mouvement perpétuelle. Elle l’ha trouvé: c’est elle méme.

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Oltre i cinque sensi

Elisa Molinari, scienziata di fisica della materia, nel commentare il mondo delle nanotecnologie, ci spinge a trovare il poeta scienziato in grado di immaginare nuovi spazi, urbani aggiungiamo noi, percorribili a patto di saper andare oltre l’esperienza dei cinque sensi.Questo andare incontro alle forme delle strutture dissipative, questo cercare le basi scientifiche e le rappresentazioni dei processi di differenziazione dei sistemi complessi, questa ricerca di visione di forme che descrivono fenomeni di autorganizzazione è un atteggiamento culturale utile per capire il ruolo di alcuni sistemi locali. Questi, sebbene non in equilibrio con l’ambiente circostante, mantengono la loro configurazione o rappresentazione fino a candidarsi come parte di un sistema ancora più complesso.La stessa Ferrara, definita luogo dei luoghi, è a sua volta un luogo rispetto ad un ambiente ed a un territorio che è anch’esso un insieme di luoghi.Riuscire a connettere, andando oltre i cinque sensi, la Ferrara riconoscibile con i paesaggi successivi, con i giardini lontani, con le altre città vicine, con le altre pietre significative del territorio e con i luoghi liquidi esistenti, non è impresa da poco, specialmente se si vuole distinguere quello che fa parte della storia passata e quello che potrà far parte della storia futura.La giovane architetto non voleva rischiare di riproporre il restauro ambientale, attingendo alle metodologie apprese in Olanda; voleva stare stretta nel discorso riguardante l’architettura e la sua capacità di farsi riconoscere come architettura dialogante, cioè in grado di diventare linguaggio contemporaneo della città in evoluzione.

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Doveva trovare la chiave della città, la metodologia, proporre una strategia per l’architettura della urbanistica strategica;doveva, anche lei,andare oltre la percezione dei cinque sensi, entrare nei frattali scomposti, riproporre rapporti di equilibrio o di complementarietà, non farsi condizionare dalle asimmetrie stridenti.Doveva ripartire dai silenzi di Ferrara per andare oltre, doveva sentire gli odori dei luoghi, riconoscer al tatto le architetture amate, cercare i colori desiderati per portare lontano i colori indesiderati, immaginare i luoghi da ritrovare lontano come architetture in esplorazione del territorio necessario alla città in metamorfosi.Un esperimento da fare, allenare i sensi ad impossessarsi nuovamente della città per proiettarla fuori con un sesto senso, somma o moltiplicazione di quelli esistenti, come suggerito dalla scienziata modenese che vede nel piccolo il grande futuro. Sottrarre, sottrarre come metodo della nuova architettura che guarda al futuro .Era entrata nel suo laboratorio mentale, voleva nuovamente vivere l’architettura attraverso i sensi.Aveva alzato gli occhi al cielo, guardava con intensità l’ovale disegnato nella parte alta della piazzetta d’ingresso al teatro comunale. Il passaggio delle nuvole la informavano del cammino del mondo, chiuse gli occhi ed aspettò il silenzio della città delle biciclette.Non era un’impresa facile, il silenzio tardava, il rumore non rendeva percepibile la città disegnata.Rimaneva dentro alla sua mente il disegno dell’ovale, con i due fuochi a segnalare il legame tra la forma e l’acustica, un segno da ritrovare dentro, dopo essere stata nuovamente in relazione con la musica attraverso il non-rumore.

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Voleva toccare gli ovali del teatro con la mente, con i centri rimbalzanti previsti dall’acustica.Il silenzio doveva arrivare prima di sentire il profumo delle poltrone, baciare i pochi strumenti in attesa, toccare i tasti di un pianoforte solitario e finalmente sentire la musica desiderata.I suoi pensieri nuovi si mescolavano con quelli di ragazza, quando era stata educata alla ecologia della musica ed alla musica esatta del piano ed alla creatività nascosta.Sentiva che in quel teatro avrebbe trovato la discontinuità necessaria alla sua ricerca, poteva dare valore d’insieme ai suoi disegni, l’architettura, ancora come linguaggio della città in espansione, non avrebbe tradito il disegno della città bella.A notte fonda arrivò il silenzio, aprì gli occhi e ritrovò le stelle, la sua concentrazione era al massimo, la ricerca avrebbe dato nuovi frutti.Si ricordò della sua insegnante di piano, del suo amore per Chopin, l’importanza delle pause, dell’attesa della nota giusta, distinguibile dall’intensità o dalla dolcezza del suono.Quale brano per la sua nuova Ferrara? Musica e disegno dovevano viaggiare insieme, interpretare le pause, le suonate armoniose, far allontanare le mani per approfittare di tutto lo spazio dei suoni, per poi ricongiungerle fino a scambiarle di ruolo.Quale brano l’avrebbe aiutata a riconoscere l’urbanistica strategica, con l’architettura dialogante come nuova identità riconosciuta ed apprezzata; dove trovare il “la” per la sua tesi e per la sua nuova città?Si stava innamorando della sua nuova ricerca o della sua nuova città? Esitava, era troppo emozionata per entrare ma non voleva rischiare che un rumore d’auto o una voce in cammino le facesse perdere la concentrazione. Tutti i suoi sensi erano pronti per andare oltre.

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Metamorfosi e poesia

Io e la mia famiglia fummo invitati a Città delle Scienze, sulla marina di Bagnoli, da Franco.Lui aveva convinto un gruppo di giovani, tra cui mio figlio Nicola, a rivisitare il testo di Kafka sulle Metamorfosi, per trarne un lavoro teatrale rinnovato.Il poeta divenne attore, interpretava Gregor, Nicola accompagnava con provocazioni musicali del suo sassofono il testo, Marcella era la voce narrante ed anche la sorella di Gregoe mentre Datlas faceva l’analista esterno di quello che avveniva. Altri giovani curavano le luci e l’armonizzazione dei suoni.Le stelle ed il clima dolce contribuirono alla buona riuscita della serata.Ancora una volta l’empatia aveva librato energie nuove, inattese, le età differenziate dei protagonisti segnalavano la capacità di Franco di tenere insieme le persone, un girotondo sempre aperto all’ingresso di nuovi protagonisti.Il suo saper vivere con gli altri faceva agorà, riempiva innumerevoli spazi della vita di molti.Quel brano venne rappresentato più volte, in librerie, in altri teatri, negli spazi aperti; contesti diversi davano al brano nuova freschezza, aiutati dalle voci e dai suoni in campo. Le recite assumevano significati multipli. Del resto quelle erano le qualità di Franco, partire dalle cose semplici per far incontrare i sentimenti delle persone, produrre scambi, emozioni , reciprocità.La sua casa alle falde del Vesuvio era sempre aperta all’incontro senza paura della possibilità che le persone fossero deludenti.

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Del resto le ginestre in vista segnalavano sempre questa possibilità duale dell’attività dell’uomo e della Natura.Come pianta pioniera, la ginestra si mostra dopo l’eruzione, dopo la catastrofe fertile; essa segnala all’uomo che la paura e la malinconia possono essere rimosse, lo invita a riprendersi la vita, costruirsi una casa e a produrre vino e frutta dolce di grande qualità.L’uomo accetta e riconosce la generosità del Vulcano, la sua vita è nuovamente lunga.L’uomo capisce la lezione e diventa il poeta del paesaggio; lo trasforma per renderlo significativo. Albicocche, pesche e uva profumata segnalano che l’uomo e la Natura insieme possono fare grandi cose. Le case si moltiplicano, c’è voglia di città.Poi anche l’uomo si trasforma, la sua metamorfosi è evidente, distrugge il paesaggio e la Natura diventa nuovamente ostile; egli non riconosce il potenziale; trascura i luoghi d’incontro, nessuno si incontra per progettare il futuro. La città muore. La ginestra riappare, dopo l’abbandono, come segno della morte del progetto dell’uomo. Molte ginestre, molti luoghi abbandonati dalla mancanza di progetti.Franco si era soffermato mille volte sul significato di quella pianta, per lui era sempre stata un colore desiderato; ma era anche il segno della metamorfosi di quel paesaggio, partenze forzate dalle catastrofi, spesso umane più che naturali ; lui sempre in attesa di arrivi di gioia per frutti inattesi.La ginestra era la poesia, era il teatro, era la musica, era il buon cibo ed il buon vino, era un luogo di incontro; era la pianta della vitalità della Natura e della temporaneità del progetto dell’uomo

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sempre in cerca della metamorfosi risolutiva.La casa del poeta si specchiava in quella pianta che sempre gli appariva come fiore nuovo.

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Dal sale al sale

Al piano urbanistico di Campos Venuti per la città di Cervia viene riconosciuto il merito di aver conservato il valore urbano e il valore ambientale nella città di Cervia. Il piano Tintori aveva ripreso questi valori e li aveva adeguati alle spinte che venivano dai modelli di fruizione turistica del territorio.Il territorio si organizza e si esprime sempre più attorno alla “Spina dei Servizi” introducendo la perequazione urbanistica come prassi della pianificazione dell’espansione urbana.Ma il nuovo volto della città sta sciogliendo la sua identità, l’armonia del disegno urbano nasconde i significati potenziali, perfino le area a grande naturalità hanno perso senso non essendo riconoscibile la rete ecologica di appartenenza, sebbene sia un’area certificata ambientalmente.L’innovazione amministrativa non ha la bussola delle aspettative certe da soddisfare.Il sindaco di Cervia ed Il Direttore Generale del Comune erano curiosi della presenza mia e di Ugo nella bella cittadini di mare. Proponemmo loro di rendere esplicita la nostra diagnosi veloce su quel territorio nella magnifica struttura dei Magazzini del Sale.Negli spazi immensi anche un convegno sul futuro delle città medie poteva essere organizzato con il Ministro Luigi Nicolais e il Vice Presidente della Regione ,Flavio Del Bono, interlocutori affidabili.Andavo incontro ai pensieri dell’artista e del Direttore Generale, Daniela Ori, ambedue sentivano per ragioni diverse di dover dare di più alla città ospitale.I Magazzini del Sale erano una struttura fondante della nuova città, ricostruita nel 1700, usando le

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pietre della vecchia città, costruita molto tempo prima in un territorio divenuto insalubre.L’identità dei trecento abitanti della vecchia città era legata al sale ed il primo gesto fondante della nuova città fu proprio la costruzione dei Magazzini, architetture bellissime e maestose a ridosso della città a doppio rettangolo che oggi è una sorta di centro storico della città estesa. La città moderna guarda al mare in maniera diversa, perché diverso è il valore del mare rispetto allo sviluppo della città.Cervia nacque come città benedetta dal Papa ed ancora oggi, ogni anno il sale di Cervia viene portato al Papa come tradizione irrinunciabile di identità da non perdere.Oggi la città della luce, la città che vede il sole dall’alba al tramonto, vuole essere illuminata da pensieri nuovi.

- Ugo, è l’occasione buona per inco-minciare a svuotare Casa Capriglia; vi sono molte opere che possono farci parlare dei problemi di Cervia -

Era stato facile pensare che la città del turismo, conosciuta da tutti, soprattutto per Milano marittima, stava perdendo identità; aveva “il sale” come identità solida e si sentiva spaesata nell’interpretare la nuova identità liquida legata al consumo edonistico ed alle vacanze come consumo necessario.Pensavo che finalmente potesse essere realizzato il catalogo delle opere orizzontale, quelle sulla rivi-sitazione dell’esistenza, opere prodotte e nascoste, esibite per pochi minuti in mostre lontane nel tem-po: il pavimento sonoro del Museo Città Creativo, il letto di coppe esibito a Positano, l’antipavimento

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della sala Carlo V del Maschio Angioino, il letto lungo a due posti simmetrici, la culla d’alberi, la stanza del silenzio, le infinite Case, dallo scalatore in pensione a quello del filosofo, le tele orizzontali, i pavimenti casa. Tutto poteva essere utile per una mostra sull’esistenza liquida, sulla ricerca della nuova essenzialità, della nuova identità consape-vole.Per un momento Casa Capriglia divenne nuova-mente contenitore concettuale da cui attingere , riposizionando le opere, per mostre d’arte legate allo sviluppo.Chiesi da Antonio Leto di programmare la prima parte del suo documentario, sulle opere in parten-za.Un numero di opere impressionante poteva uscire da quella casa senza riuscire a svuotarla.Il racconto di D’Averio poteva iniziare da questo avvenimento.Ugo per la prima volta accettava di rivisitare ed elencare le opere che avrebbero consentito alla città di Cervia di discutere della propria identità in fuga.Scoprire nuovamente i motivi per cui Grazia Deled-da ed altri poeti e uomini d’arte scelsero Cervia per trovare se stessi, fino a desiderare una seconda casa, poteva servire a riconoscere le ibridazioni non desiderate.Non si tratta di condannare la furbizia dei milanesi che sfruttarono il mito dei poeti e dei salinari, di raccontare storie di speculazioni intelligenti di quelli che costruirono la Milano del Mare, ma di ripensare profondamente al nuovo patto sociale per la città del sale, più consapevole, più sapiente, come iden-tità nuovamente ricercata ed indossata.Il successo turistico di Cervia e di Milano Marittima porta ricchezza ma sta sciogliendo l’identità solida

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prima ancora che la popolazione che vive a Cervia diventi realmente consapevole del nuovo pericolo che minaccia la città: la perdita definitiva di identità.La città alla ricerca del nuovo sale, diventa città strategica, città che accetta nuovamente l’ipotesi di essere smantellata e ricostruita altrove, perché non ritrova il bianco del suo sale.La natura aveva accumulato qualità nel bianco bianchissimo esistente; al principio questo bianco era facile da trovare o trovare in grande quantità, il mondo di allora voleva il sale di Cervia; anche Grazia Deledda aveva cercato il sale di Cervia; la sua qualità era anche il segno che la natura sapeva dialogare con gli uomini e con i poeti.Casa Capriglia, approfittava dell’occasione, assu-meva un significato dinamico, aiutare gli uomini e le città a guardarsi dentro per trovare il progetto di cambiamento necessario al tempo lungo della città in metamorfosi creativa. Casa Capriglia muoveva i primi passi di città centro delle mille città in movi-mento.

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Casa Capriglia ancora chiusa

Il programma per Cervia fu subito ridimensionato; far scorrere la sua liquidità senza scosse era una necessità istituzionale, il ruolo dell’artista doveva servire ad ampliare la comunicazione del convegno, non poteva egemonizzare il convegno stesso.Il convegno con il Ministro nel solito teatro di città e l’artista con una sola opera nei Magazzini; la malattia della Città di Cervia non appariva grave, il tempo non era breve.Forse eravamo stati troppo pessimisti, il sole e la folla di turisti ci aveva suggestionato, l’identità era ancora evidente, la città desiderata era lì disposta a vivere fino in fondo la sua identità liquida fatta di rincorsa dell’adesso. E poi questa è la problematica che vive il mondo dei paesi sviluppati, far camminare il consumo del mondo come identità globale.Ci sarà sempre una società del consumo, e questa società sarà sempre liquida, e Cervia saprà adattarsi alla nuova liquidità.Una società abituata a vivere con la luna che annuncia il tempo delle maree non riconosce più i segni della Natura. Oggi Cervia non ha più lunario e non pensa di costruirlo; rincorre il desiderio di milioni di individui offrendogli tutti gli spazi della propria vitalità.Ma la città non vuole morire , aspetta il tempo della mediazione giusta; ha paura, però,della rivoluzione; un altro Papa gli dirà dove andare.L’artista può accompagnare il Ministro ed il Ministro potrà parlare di innovazione; l’artista farà una nuova opera, dimenticando ancora una volta tutte le altre opere; la sua unica opera dirà che l’artista ha abbracciato tutta la storia di Cervia, l’ha fatta emergere dal sale e l’ha messa in cerchio di sapienza.

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L’artista abbraccerà il territorio, l’imbiancherà di sale e dal sale farà emergere le dualità esistenti: il sole e la luna, l’angelo ed il diavolo, il divino e l’umano, la Natura e l’Uomo.L’opera vivrà per un giorno nei Magazzini del Sale poi come le altre tornerà a Casa Capriglia e come identità artistica si scioglierà e diventerà mucchio muto d’arte rivoluzionaria nascosta.Casa Capriglia ancora chiusa in attesa di essere dismessa, come le tante fabbriche del secolo solido.La società contemporanea non insegue più la luna, e la Natura non ispira più i progetti, anche le casa e le città potranno essere comprate su internet ed essere vissute meno di un attimo.Ugo aveva vinto e perso contemporaneamente.Le opere fatte potevano rimanere chiuse, lui non avrebbe perso tempo a raccontarle, rimanevano progetti d’utopia . Farli vivere nello spazio giusto era ancora una volta un’impresa differita, metterli in fila significava costruire un muro di idee lungo un continente da scoprire possibilmente in un’altra epoca quando la comunicazione possiederà altri linguaggi, quando l’ecologia della mente sarà una disciplina riconosciuta, quando l’ecologia della parola, l’ecologia della musica, l’ecologia dell’architettura e l’ecologia dell’arte avranno creato un nuovo linguaggio.

- A Cervia andremo con una sola opera, un gazebo dolce, poggiato sul sale, che muto risveglierà i sensi, un gazebo d’attesa, per far sedere ad uno ad uno gli abitanti di Cervia, per produrre il nuovo sale -

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L’entusiasmo di Ugo risaliva tutte le malinconie, del resto a lui piaceva produrre il nuovo, non riconosceva il nuovo nel suo passato, le sue opere potevano continuare a dormire, come montagna di forme non decodificate, con coefficiente di diffusione zero. Lui aveva da sempre rifiutato di diventare ricco e famoso, non aveva inseguito mostre, ed aveva tenuto a distanza mercanti e critici. La sua Casa Capriglia poteva rimanere una città sommersa, una città in letargo, una città mai nata; poteva essere un città nel deserto, una città da trovare, lui aveva avuto il merito di averla costruita e l’avrebbe tenuta in vita producendo ed accumulando opere di nuova ricerca.La sua Casa non morirà fino a quando lui produrrà opere da accumulare e, se la sua arte sarà lunga, la sua casa prima o poi verrà riaperta.Le città hanno bisogno d’arte ma anche gli artisti hanno bisogno di città dove depositare il loro futuro.

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La porta del teatro in cielo

Quella sera la malattia gli ricordò che il tempo della parola era brevissimo, non restava che affidarsi all’arte del tempo lungo.Fece arrivare gli amici, gli amori e gli affetti della vita, volle che fossero un coro; tutti ad ascoltare le parole del poeta e tutti a cantare e suonare .- ” Voglio diventare un angelo” –Si era formata un’atmosfera speciale, nonostante che quella sera rivelasse a tutti quello che Franco aveva tenuto in disparte, il male maligno aveva deciso di impossessarsi di tutto il suo corpo e di tutta la sua mente. Ma l’amore per la poesia vinceva ancora e diventava protagonista della serata.Tutti poeti, tutti attori, tutti musicisti, uomini e donne insieme, si scambiavano sguardi di amicizia ed emozioni.

-Così son le parole, come i numeriche contano il passatosolitario, attento.-

recitava Franco

Ed il coro-Ognuno schiva il fangoviscidopuzzolenteOgnuno ordina immaginidi sguardie sensazioni-

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E Franco con voce ancora forte

- Le mie parole sono come i numeriSe combinatea mo’ di operazioniti danno il risultato:l’emozione

La musica mise la sordina e l’ultima “do” del piano divenne greve, quasi a voler cambiare lato, per tentare di risalire la vita.La voce ancora in vita:

“ vorrei mangiaril tuo visoQuando la mia vita per il sole se ne va

Ed il coro

Il ditirambo è laceratoLa scena è dissoltaIl canto ora è un lamentoLe gocce sono diamanti Il cuore assorbe il pianto

Quella notte divenne notte infinita. Tutti aspettavano che gli occhi si aprissero nuovamente, sicuri che Franco si era solo addormentato.

L’architettura non può perdere, specie a

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Ferrara

Aveva da poco terminato la lettura dell’ultimo libro di Leonardo Benevolo, “L’architettura del Nuovo Millennio”. Aveva condiviso la filosofia del libro, le critiche radicali ai cosiddetti “archistar”, cioè degli architetti che stanno ed hanno realizzato grandi progetti nelle città del mondo. Ad alcune provocazioni geniali, quali il Boubourg, essi non hanno fatto seguire molti altri progetti in grado di leggere la città esistente per riposizionare l’architettura complessiva.E’ come se l’Architettura attraverso quelle opere denunciasse non la vittoria di essa sulla città ma la sconfitta dell’architettura rispetto alla crescita funzionale, complessiva, della città stessa.Era molto evidente invece, che queste opere, contribuivano a far camminare la rendita fondiaria come unico architetto delle città.La rendita edilizia e quella fondiaria , alimentate dal capitale finanziario in libertà, sono il vero ispiratore della crescita delle città, perfino le città belle hanno subito lo stravolgimento del moderno, i loro segni significativi hanno perso senso, l’area vasta di riferimento delle città ha perso qualità paesaggistica e culturale; la qualità come processo endogeno di consapevolezza si esprime con la schizofrenia del caos. La perdita di identità del paesaggio appena fuori Pisa fino a Firenze centro è strabiliante.La tesi di dottorato doveva e voleva dimostrare che nelle città storiche, l’architettura è, e deve essere, ancora un utensile per disegnare l’intera città, anche quella in fuga, tutta la città del vivere.L’architettura modifica i luoghi, ma all’architetto spetta la responsabilità del saper sviluppare “l’intelligenza dei luoghi”, inteso come paesaggio

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che rende riconoscibile il dialogo tra artificiale costruito dall’uomo ed artificiale costruito insieme alla natura.Proprio a Ferrara, come in tanti altri luoghi cospicui d’Europa, l’architettura deve conservare la consa-pevolezza delle trasformazioni significative, quelle che vanno incontro alla possibilità di custodire e sviluppare, insieme, l’integrità di un lavoro com-plessivo di costruzione di un ambiente umanizzato che dura dall’alba della costruzione della città.La tensione e la passione della giovane architetto cresceva di giorno in giorno; lei sapeva che la sua ricerca doveva essere autentica, capace di indivi-duare una direzione strategica in cui l’architettura assumesse una nuova dignità nell’ambito della specifica esperienza di Ferrara.La sua tesi doveva ispirare nuovi comportamenti, non accademici, comportamenti del processo so-ciale esistente.Ferrara, come Venezia, Siena, Bruges, Amsterdam ed altre ancora, contengono ancora valori alti del modello di vita della città. Il loro modello di città di qualità non deve essere perso, ma rinnovato, diversamente, se lo perdiamo o lo sopprimiamo commettiamo un imperdonabile errore e rimane un segnale definitivo della impotenza della nostra civiltà democratica.La conservazione attiva deve essere rivista, modelli più radicali devono essere sperimentati, una nuova architettura dialogante con questi luoghi deve essere trovata, fino a generare una nuova massa critica di architettura riconoscibile dentro un nuovo percorso urbanistico di città bella.A notte inoltrata, conservava bene strette nelle mani le chiavi d’ingresso del Teatro, aveva aspetta-to il silenzio e la concentrazione giusta per entrare; aveva anche il permesso di accendere le luci; Da-

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vide sapeva che la sua protetta aveva bisogno di modalità di ricerca assolutamente diverse.Forse le luci erano anche non necessarie, per quante volte i suoi disegni avevano riprodotti i particolari di quella architettura; anche Davide era rimasto sorpreso dall’intensità di quel lavoro, la se-quenza dei particolari come ricerca dell’essenziale, un lavoro di ecologia applicata a singoli frammenti.Nuovamente Chopin nella sua mente, le frasi della sua maestra le aveva ritrovate nel libro di Hélén Grimaud “Variazioni selvagge”

- Chopin ha emancipato la mano sinistra ed anche i suoni della mano destra sono stati liberati, hanno assunto nuove tonalità espressive. Con Chopin tutti i 50 o 52 + 36 tasti sono diventati protagonisti -

La mano sinistra ha una voce e finalmente, come dalle opere di Mozart in poi, anche il Baritono pre-sente nei tasti è protagonista.Il Piano si suona con tutte e due le mani, non vi sono più tasti periferici, Chopin scrive finalmente per tutti gli 86 tasti.In territori come Ferrara, l’architettura deve essere riconoscibile sempre, deve suonare in ogni casa, in ogni ufficio, in ogni piazza, in ogni luogo d’arte.Questa operazione culturale deve essere fatta soprattutto fuori le mura; la mano sinistra dovrà disegnare nell’addizione non lineare, allontanare lo sguardo dalle mura, rincorrere le città esistenti fuori, la Città Moltiplicata e le altre città di cui Ferra-ra ha bisogno per suonare nuovamente il concerto dell’urbanistica addizionata.Come in molti concerti di Chopin i suoni della mano

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destra, dolci e alti, devono saper dialogare con quelli bassi ed estesi della mano sinistra.Una nuova ecologia dell’architettura deve prendere spazio come concerto esteso della provincia.Sapeva che quei concetti li avrebbe potuti trovare nella Ballata n.1 dell’opera 23, ma non era ancora pronta, fece emergere il suo rigore e la sua umiltà; la Ballata n.15 del preludio 26 la aiutò a scrivere e disegnare la prima parte della sua tesi.I disegni della mano destra venivano associati alle prime note di ingresso del concerto, scorrevano le note dolci , come rotondità femminili: La cattedrale, il portico di Casa Romei e quello di San Giorgio, il grande cortile del palazzo di Ludovico il Moro, nuo-vamente il teatro, con gli ovali in sequenza come note bemolle, interne; poi le stesse note, alte, come sequenza nuova di conta dei campanili esistenti. La sinistra, si fa riconoscere, sembra camminare nel basso ferrarese alla ricerca del costruito significati-vo, facendo percepire che lo spazio mentale per la nuova addizione è tutto libero fino al mare e fino al fiume; nuove addizioni come frattali organici sono possibili, basta suonare le note giuste.Il fuori deve farsi riconoscere, vincere il fascino delle note dolci, deve saper accarezzare il fiume ed i canali e spingersi con maestria fino al mare; una nuova città di mare e di fiume, allargata, fatta di architettura dialoganti, si fa riconoscere nuova-mente come patrimonio contemporaneo di ricerca dell’urbanistica rinnovata, di arte lunga.Nuovamente l’architettura si fa umile, si fa incom-pleta, sa sottrarre per disegnare la nuova urbanisti-ca. Tresigallo come altro centro storico esistente, insieme a tanti altri luoghi complementari della pro-vincia, stanno nello stesso spartito del potenziale concerto delle asimmetrie armoniche.Le mani hanno camminato dentro il territorio

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vasto, hanno disegnato più di prima con la velocità della musica, i concetti nuovi sono penetrati nella mente e nel cuore, i disegni della città nuova invadono le stanze, tutta la provincia di Ferrara si fa città, introduce qualità nei nodi neurali della città addizionata, la città può finalmente specchiarsi, riconoscersi come città dell’urbanistica bella, strategica, intelligente, non fatta da pochi e vissuta da molti.Solo così si potrà passare da Chopin a Stravinsky ed ad altri autori della complessità come musica.

Un giorno di festa vera

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La malinconia di mia sorella Rosa quel giorno sem-brava svanita; lei non si era rassegnata all’idea che Graziella avesse deciso di concentrare ancor più tutte le sue attività nel tempo della ricerca.Gli intervalli aboliti, tranne che per sua figlia Chiara; “Chiara è stato il tuo più grande esperimento” gli aveva detto Lucio Luzzato, lo scienziato Italiano che l’aveva convinta a ritornare in Italia per lavorare con lui all’ istituto IGB del Cnr, e Graziella consapevole di questo aveva sempre fatto capriole per conciliare la sua attività di madre con il tempo dei progetti che reclamavano sempre, come Chiara, un’esclusività particolare.A Rosa mancava quel contatto fisico, che nelle pau-se, specie estive, vedeva le due sorelle scambiarsi sguardi e parole di condivisioni di tutto. Passavano in rassegna persone, pietanza da fare, liberavano sorrisi, dispensando l’allegria dello stare insieme.Il tempo breve come pensiero incalzante aveva chiuso molti varchi per fare altro, il tempo lungo della ricerca aveva chiesto la precedenza sempre.Quel giorno a Gioi Cilento prima ed a Campora poi, i paesi isolati del Cilento, arrivava il Ministro Luigi Nicolais, protagonista del riconoscimento dell’impor-tanza del progetto Parco Genetico.Quella era una Giornata di festa per Campora, il paese che aveva completato l’itinerario di ricerca previsto, il paese che aveva donato il proprio pa-trimonio genetico alla conoscenza delle malattie complesse.Già un primo risultato scientifico era apparso su una importantissima rivista scientifica, era stato trovato un locus dove sarebbe stato probabile rintracciare geni legati alle cause dell’ipertensione.Già alcune imprese del settore delle scienze della

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vita si erano interessate ai risultati scientifici e le strade per la ricerca e per le cure apparivano più aperte.Erano proprio i risultati, che il Ministro, da assessore alla ricerca aveva ipotizzato come percorso virtuo-so: più ricerca di base e più ricerca applicata fatta in rete per avere massa critica visibile anche per le imprese.Il Ministro arrivò a Gioi, incontrò il vecchio sindaco, Andrea Salati, che con il suo entusiasmo aveva accompagnato il progetto ambizioso. Don Gugliel-mo, il parroco custode della storia dei luoghi, ebbe parole d’apertura importanti, riconoscendo il valore di queste attività per i giovani e per la popolazione nel suo insieme.Poi tutti a Campora scortati dal Vigile di Gioi Cilen-to.Graziella, che aveva preso posto nella macchina del Ministro si raccontava, trasferendo al ministro tutto l’entusiasmo per i risultati raggiunti; fece però anche sfoggio della conoscenza dei luoghi, scorciatoie not-turne, luoghi di convivio; le descrizione della qualità dei boschi , tutti boschi d’amore per le persone in-contrate a Campora ed a Gioi, accorciarono il tempo del trasferimento.Il territorio laboratorio di vita, molte discipline l’ave-vano accompagnata, la biologia molecolare non era mai stata sola, altre discipline anche lontane da quelle strettamente scientifiche avevano contribuito a produrre un data base di ricerca di grande valore. La mappa genetica incrociata con altre informazio-ne sullo stato di salute e sull’alimentazione pro-ducevano risultati in termini di nuova conoscenza sulle malattie complesse.Tutta la popolazione di Campora ricevette l’albero genealogico risalente fino al 1600, tutti scoprirono nuove identità e tutti si riconobbero dentro una

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storia comune. I sindaci ringraziarono Graziella che veniva con-siderata cittadina dei 12 comuni; tutti chiesero di continuare, capivano che i risultati della ricerca si sarebbero legati a tanti altri aspetti dello sviluppo possibile per quei territori; sembrava che, final-mente, questi rientrassero nella storia come luoghi contemporanei e non in decadenza o in estinzione. I 12 comuni, tutti insieme, erano diventati città.Del resto, Silvana Barbirotti, che aveva aiutato Gra-ziella nella comunicazione del progetto aveva sa-puto ben esporre tutti i risultati raggiunti, non ultimi quella della comunicazione su scala internazionale che aveva provocato anche qualche effetto di ritor-no temporaneo dei Camporesi sparsi nel mondo, New York compresa.Graziella finalmente raggiante, la sua allegria e la sua soddisfazione apparse alla popolazione come una restituzione sentita, e le sue parole, ispirate dal coro di consensi, ed i suoi occhi, guardavano al fu-turo: parlò della presenza dei giovani, un dottorato di ricerca e tre tesi brillantissime sui temi del Parco Genetico confermavano che il progetto camminava veloce; richiamò le tante competenze coinvolte, tut-te di altissimo valore, spiegò le aspettative ancora in campo ed il Ministro, con sapienza ed affetto, ribadì che lui era stato sempre certo della capacità di raggiungere quei risultati e che, dal giorno dopo, si sarebbe adoperato per convincere le altre isti-tuzioni affinché il progetto continuasse ancora con più sostegno.La serata terminò a Gioi, sotto il campanile del Con-vento, con fusilli in abbondanza e vino d’allegria.Nella casa di appoggio alla ricerca, le due sorelle restarono per la notte, si fecero cullare dalla sere-nità raggiunta, il suono delle campane ritornava forte ogni ora; ogni tocco un risveglio dolce, un

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ricordo, un pensiero sull’oggi, e tante speranze per il domani.L’aria fresca accarezzava i loro sorrisi nel sonno, come tempo intenso di felicità.

Ancora giorni di gioia

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Bob Martin, lo scienziato amico che l’aveva accolta a Washington, e sua moglie erano arrivati a Vene-zia da qualche giorno, come ogni anno.Essi amavano Venezia, la casa in fitto, la spesa nei mercatini, le passeggiate nei luoghi lontani dal turismo di massa; la vita vissuta a Venezia come pausa urbana rigeneratrice.Quest’ anno due motivi in più, per l’anziano scien-ziato: sua moglie presentava il libro che lei aveva scritto sulle persone, che vivono negli Stati Uniti ma che amano profondamente Venezia, la città che accompagna sempre i loro pensieri; poi, in un intervallo possibile, volare fino a Napoli per rivede-re la sua amica scienziata.Lo accolsi all’aereoporto con la scritta Mr. Martin sul mio petto, e lo accompagnai a casa di Graziel-la; il tempo del traffico mi consentì di approfondire la sua conoscenza di Venezia; per lui, era la città piena di luoghi vitali.Il buon caffè preparato da Graziella aiutò i due scienziati a rincorrere per il mondo i tanti ricercato-ri amici comuni, fecero una sorta di inventario della ricerca genentica di frontiera. Poi, tutti insieme in ospedale, per il ciclo di radiazioni programmate. Al ritorno a casa, una pietanza napoletana, sempli-ce nell’elenco degli: ingredienti, cipolle, carne, olio, ma impegnativa nel tempo di cottura e misteriosa sul perchè del nome. “La Genovese “ rallegrò an-cora di più l’atmosfera gioiosa.Senza un attimo di respiro il dopo pranzo, nel labo-ratorio di ricerca del CNR, fu fatto un aggiornamen-to veloce su tutto quello che di nuovo si stavaproducendo; una malinconia felice accompagnò lo scienziato nel volo verso Venezia, ancora sbalordi-to da tanta passione per le opportunità da cogliere

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nel tempo percepito; la sua Venezia gli apparve ancor più bella; si augurò di ripetere il viaggio a Napoli, ancora conquistato da Graziella e dalla sua Genovese.Anche Jim, professore e ricercatore all’Università di Calgary aveva anticipato il suo consueto viaggio natalizio a Napoli di quasi un mese.Lui da tredici anni è il compagno innamorato e cor-risposto di Graziella.Il loro stare insieme nonostante lo spazio enorme che li separa è fatto di pensieri e sentimenti paralleli al loro fare quotidiano, fatto di lavoro intenso per la ricerca.Jim aveva deciso di moltiplicare i giorni di per-manenza a Napoli, dando a lui e a Graziella lo gioia dello stare insieme nel tempo giusto; lui è diventato, così, il cuscino d’amore per affrontare la stanchezza delle cure.Anche le figlie di Jim erano arrivate il giorno prima di Natale, loro che vivevano in due Stati diversi, Ca-lifornia e Florida, potevano passare con Jim e con Graziella alcuni giorni di reciprocità intensa.Katie, con la complicità di Megan, volle fare una sorpresa a Jim e a Graziella ed annunciò a brucia-pelo che una bella notizia era pronta: lei aspettava un figlio; l’attesa del Natale divenne ancora più sentita.Pochi giorni dopo, il Presidente Giorgio Napolitano, durante il suo discorso inaugurale del 31 dicembre si ricordò del coraggio di due donne che aveva incontrato a Napoli; la prima era una madre che aveva lottato con tutte le avversità perchè suo figlio raggiungesse la dignità dell’istruzione ed la secon-da, una giovane ricercatrice, che nonostante che il suo contratto di ricerca fosse basso ed in scaden-za, non solo aveva mostrato la passione per quel lavoro, ma anche la voglia di continuarlo a qualsiasi

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condizione.I media, il giorno dopo andarono alla ricerca delle persone ed arrivarono anche a Graziella ed ai suoi occhi vividi di commozione.Durante la visita del Presidente a Napoli, la sua allieva, Enza Colonna, dovette presentare i risultati e le potenzialità della ricerca fatta nel Cilento.Quel giorno “aveva mostrato la forza morale delle donne”, aveva detto il Presidente.Il giorno prima, nonostante la febbre alta della scienziata, tutta la comunicazione rilevante era stata trasferita alla giovane allieva e questa riuscì ad emozionare tutti, anche il Presidente.Il giorno dell’incontro al IGB-CNR, tutti avevano fatto un passo indietro,anche Andrea Ballabio, lo scienziato ricercatore responsabile scientifico di Telethon Italia, dopo aver ricordato con la semplici-tà dell’intelligenza di essere stato anch’egli allievo della scienziata napoletana, incoraggiò la giovane ricercatrice a parlare per tutti.Quella ragazza, partita da un remoto paese della Basilicata, Lavello, nel melfese, da sette anni se-guiva come un’ombra Graziella, voleva anche leiscoprire come si fa a passare da ricercatore a scienziato; aveva capito che doveva moltiplicare la curiosità all’infinito,non doveva arretrare di fronte alla stanchezza, ma sopratutto non doveva aver paura dell’insuccesso, dell’incertezza.Di fronte al Presidente si era liberata, il suo po-tenziale tutto in campo, lo aveva letto negli occhi della sua scienziata, dopo l’incontro e la scienziata l’aveva esortata a partire nuovamente, per affronta-re il campo nuovo.A Ferrara, il prof. Guido Barbujanni, l’avrebbe ac-colta nel suo laboratorio.La giovane ricercatrice cominciò a desiderare come l’Ariosto, una piccola casa, con un piccolo giardino

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e, quantomeno un gatto,ad aspettarla, consapevole che il Tempo lungo della ricerca l’avrebbe assorbita tutto l’altro tempo.Le città, come gli scienziati, i poeti e gli artisti, non possono morire, pensò la ragazza dai capelli scu-ri, specie se il caso fa viaggiare i pensieri di tutti quelli che amano il loro lavoro, facendolo diventare labirinto di incontri, di conoscenza e di consapevo-lezza.

Il Sindaco e la città

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Avevo incontrato il sindaco di Ferrara, Gaetano Sateriale, al convegno organizzato dal Rettore dell’Università, Patrizio Bianchi, sul ruolo del Polo tecnologico e dell’Università nel riposizionamento strategico della città.Molta enfasi era sta messa sulla coesione interi-stituzionale, ed era stato facile ipotizzare che su questa cooperazione sarebbe stato agevole dise-gnare, immaginare, una governance collaborativa, strategica per la progettualità futura; Ferrara città della conoscenza accanto a Ferrara città della Cul-tura, due identità da confermare.Ma proprio dalle terrazze alte del polo diventava palpabile che non vi poteva essere una disconti-nuità significativa se le discontinuità incoerenti non fossero individuate e sottratte, eliminate durante il nuovo percorso strategico.Anche a Ferrara, da quel terrazza, era evidente la debolezza del discorso urbanistico proposto con l’addizione scientifica. L’architettura esistente divo-rava l’urbanistica fino a farla apparire come realtà inesistente a Ferrara.Mi avvicinai al Sindaco.

- E il Piano strategico come sta? – chiesi -- Ci stanno lavorando Davide e Rita Tagliati –

Non era una notizia, ma volli continuare a dialogare sull’argomento.

- Domani restituirò in bella copia il la-voro fatto dai suoi funzionari a Scala, a cui ho aggiunto la mappa mentale di un gruppo di dodici personaggi impor-

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tanti che avevano immaginato la città tra dieci anni, fra questi c’è anche il rettore Patrizio Bianchi, Carlo Bassi e l’urbanista Ceccarelli, poi ci sono i vuoti ancora da riempire con il proces-so di elaborazione che verrà.I funzionari non solo hanno rivisi-tato i suoi progetti di mandato ma li hanno valutati in un contesto mentale strategico restituendo informazioni importanti-

Speravo di convincere il sindaco ad essere presente alla discussione del giorno dopo; volevo anche misu-rare la sua curiosità per quella metodologia, che pur considerando l’importanza dei progetti del sindaco po-neva la città in una posizione diversa dalla situazione di infrastruttura da amministrare.Ferrara sembrava lontana, come romanzo dimenticato, o addirittura non letto, un’amante ancora da scoprire.Chiusi con gentilezza la conversazione e promisi di lasciare a Davide le raccomandazioni significative che sarebbero uscite dalla giornata d’incontro.Il “va bene del sindaco” risultò indecifrabile sul piano della emotività, del resto non avevamo avuto altre occasioni di incontro.L’assenza di curiosità mi fecero tornare indietro, alla domanda fondamentale: ma Ferrara lo sa che è am-malata? Se il sindaco non se ne preoccupa avrà la sua cura, pensai .Prima o poi il problema verrà fuori.Bisognava tornare ai valori delle autonomie locali nate dall’alto o reinvestire ancora nelle comunità locali sensibili? Come ricongiungere potere decisionale e progetto intelligente?Il ruolo della pianificazione strategica affidata ai comuni

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ed alle città ha svantaggi e vantaggi: offre un campo di rapporti più stretti e profondamente sentiti tra ammi-nistratori e cittadini per progettare insieme o chiude la possibilità di salire di scala per vedere i progetti giusti, di sviluppo?Il pericolo che la città non si veda è reale; il land-scape non esiste se la rete ecologica della città non è la struttura portante della pianificazione; e la città non è bella se non è pensata ed amata.Se è la sfera del consumo della città che prevale sulla sfera del progetto della città non vi sarà ruolo per l’architettura e per l’urbanistica strategica; le attività si svilupperanno nel caos delle convenienze dell’adesso, del breve periodo.La nuova combinazione tra beni pubblici della città e beni privati da produrre in città non può essere giocata nello spazio del piano urbanistico comuna-le ma va proiettata nel patto del tempo necessario a far crescere il compromesso riconoscibile come città bella.La città intelligente è sempre il risultato di un patto di tempo lungo, del saper fare come arte del tempo lungo.La storia di queste città belle racconta di questi equilibri dialoganti nel tempo, come musica ricono-scibile dell’urbanistica fatta di pause e di costruito, come architettura pensata per l’urbanistica.Ero pessimista, l’addizione non lineare, come fatto culturale nuovo da interpretare, veniva suonata solo come concerto solitario dell’architetto in par-tenza.Lo sguardo del sindaco ritornava, nonostante che l’incontro cominciasse sotto i migliori auspici.Davide mi tranquillizzo, il sindaco non era lontano.Il vice sindaco disponibile, i funzionari sorridenti, il rappresentante dell’associazione Il Pane e la rosa in attesa, Davide potè aprire la sessione di lavoro,

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richiamò i motivi dell’incontro.Caterina Brancaleoni, direttore della Sipro, pur non essendo venuta a Scala si sincronizzò subito con i temi da discutere.Le sue nuove rotondità segnalavano nuove nascite, il suo viso era splendente, c’era la bellezza della fertilità, come avviene per tutte le donne incinte.A lei era affidato il coordinamento del comitato scientifico e a lei, oltre che ai presenti, andavano trasferite tutte le idee nate a Scala, da metabolizzare nel tempo.Raccontai i percorsi fatti dall’architetto olandese, sottolineai come quella intensità di quel lavoro era dovuto ad una doppia spinta, la voglia di fare ricerca e l’ipotesi del tempo breve riguardante la città.Sentivo una strana atmosfera nei comportamenti dei presenti, l’ipotesi del tempo breve non era penetrata nelle stanze delle istituzioni e, nonostante che il vice-sindaco desse al gruppo l’importanza dovuta, il gruppo di lavoro faceva fatica a riprendere il passo mentale di Scala.Dicembre avrebbe portato il tempo nuovo; la Sipro avrebbe portato a Ferrara le esperienze significative e dal confronto di queste si sarebbe potuto cogliere quanta intensità mettere nel tempo giusto del progetto strategico.Rita Tagliati , Davide Tumiati e Caterina Brancaleoni erano più fiduciosi di me , molte cose erano state messe in campo e la città cominciava a parlare di sé. Non era poco.Mi feci cullare dal loro sorriso e dall’intervento di uno dei presenti.Cristiana Nidelea, una funzionaria di origine rumena, valorizzo il lavoro già fatto ed elogiò l’atteggiamento dell’architetto olandese, ribadì: “dobbiamo trovare altre persone che come VanRose siano disposte a

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mettersi in gioco come fanno le tante persone che amano Venezia e gli altri luoghi in difficoltà; le città non muoio se ci sono persone che sanno vivere i luoghi con serietà nel tempo breve “–Continuavo a specchiarmi negli occhi dei miei nuovi amici, finitezza ed infinitezza si mescolavano come colori venuti dal mare.Ferrara non affonderà, bisogna investire ancora in quello che i filosofi chiamavano vita, non bisogna farsi confondere dai segni dominanti della sfera privata; bisogna indagare, apprendere la verità investigando sulle forme alienate e far uscire l’entusiasmo del poi, anche differendo di molto il tempo del passaggio di testimone.A pranzo, la vice sindaco volle che fosse invitata la brava architetto ma Davide disse che era andata nel basso Ferrare, voleva disegnare con la pancia e con la mente di chi sa che presto nascerà qualcosa o qualcuno capace di partire con l’anarchia della curiosità, per disegnare la nuova addizione.

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Mi porgi nel palmo un chicco di risopreso dal cucchiaio pieno che tua madre ti porge.

Ti nutri nutrendomi dal tuo colmo al mio poco,dalle mani di tua madre alla mia boccaattraverso le tue.

Attingi dal tempo lungo che hai davantiper dare al mio residuo e fioco.

E’ questo movimento ripetuto e intensoche oppongo a quello dell’Angeloche si ritrae dal presente inorridito, spalle al futuro,per l’incombere annientante del passato:un chicco di riso dalla tua bocca alla mia,complice la mano paziente di tua madre.

Tra noi un ponte leggero, un gesto semplice e antico:come assistere al sorgere del sole, e morire pianosotto l’ombra di un melo, di un fico.

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E se il solo barlume di felicità concesso,l’unico paradiso,fosse questo tuo sguardo ridente e rosa,la tua bocca che rimane semi apertamentre mi porgi da succhiare un pezzetto di pera salivosae uno spicchio di mandarino ti sbrodola allegrogiù per il collo, mentre io indaffarato ti accudisco felicemente a mollo?

La poesia di Giancarlo Marchesine differisce la speranza del progetto affidandolo alla dolce anarchia della scoperta, come il messaggio nella bottiglia di Adorno.

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NUOVA IDENTITA’ FERRARA URBANISTICA SUBLIME

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FERRARA URBANISTICA SUBLIME

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CITTA’ DELLA CONOSCENZA

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CITTA’ DELLA CONOSCENZA

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