Massimo R. Da Lacan a Freud e Ritorn

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    M a ss i mo  R e c a l c a t i

    DA LACAN A FREUD E RITORNO

    MATERIALE DIDATTICOPER UNA INTRODUZIONE

     ALLA PSICOANALISI

     A CURA DI

     A. Suc ce t t i, M. Mu g n a n i, A. Parma

    EDITRICIWIVTFÌÌM«)

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     Progetto grafico e tecnico: 

    Giorgia GiuIianeUi

     Immagine di copertina:Giorgio CeJiberti:

    Sentiero nella neve, 1994 (par:.)

    Copyright ©2001 Editrice Montefeltro s.r.l. Urbino Via Puccinotti, 23

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    IL CONCETTO DI ALTRO

    IN JACQUES LACAN

    Pr e se n t a z io n e

    Dai tempi di Freud, passando per quelli di Lacan, sino ai giorni nos-tri (e ritorno), la trasmissione della psicoanalisi viene praticata ancheattraverso l'insegnamento. Dico anche perché, come si sa, l'altro car-dine della trasmissione della psicoanalisi, e nel caso specifico della for-mazione dello psicoanalista, è Fanalisi personale.

     A differenza di quest’ultima, però, l'insegnamento, come dice JacquesAlain Miller in un suo testo del 1990, u.. del mathema che

    deve essere dimostrativo è per tutti (e in questo caso la psicoanalisientra in contatto con l’Università)Entrambi questi elementi siritrovano anche nello stile delTinsegnamento che Massimo Recalcad hatenuto a Milano all’inizio del 2000. Da un lato, egli ha saputo spiegarecon chiarezza alcuni concetti —e quindi anche alcuni mathemi che lirappresentano della teoria lacaniana e, dall’altro, ha saputo renderechiari a tutti quanti questi stessi concetti.

    La chiarezza delle spiegazioni, però, non ha mai saturato il desiderio

    di sapere. Nelle lezioni che seguono, infatti, si possono trovare, oltre aquelli che ho chiamato dei “concetti chiari”, anche degli interrogativiancora senza risposta, delle questioni aperte, che, quindi, rilanciano ildesiderio di sapere. Di fatto, la trascrizione delle lezioni tenute da Mas-simo Recalcati mette in luce una modalità di insegnamento che procedecome un lavoro in divenire, una sorta di work in progress, un'elabo-razione di sapere che si realizza nell hic et nunc della trasmissione delsapere e che viene orientata anche dalla presenza più o meno interro-gante —dell’altro, vale a dire del pubblico. Perché il sapere, di fatto, e

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    gli studenti di Psicologia dell’Università di Urbino ne sono un ottimo

    esempio , si costruisce, oltre che con lo studio personale, nello scam-bio con l’Altro e secondo quello che J.A. Miller chiama lo stile dellaConversazione.

    I risultati di quest’esperienza, che evidentemente non sono prevedi-bili, sembrano essere più che buoni: gli incontri di Milano, infatti, sonosuccessivi ad un'altra serie di lezioni che ha già dato origine alla pubbli-cazione “a più mani” di un numero de La psicoanalisi dedicato all’odio.Il che mostra, in maniera concreta, ciò che intende dire Lacan quando,nell’Atto di Fondazione della sua Scuola, scrive che «L’insegnamentodella psicoanalisi non può trasmettersi da un soggetto ad un altro cheattraverso un transfert di lavoro». L’insegnamento, quindi, è ciò cheannoda il soggetto, il sapere, il desiderio e l’Altro.

     Adele Succetti

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    1. Premessa

    Questa serie di incontri è sorta da una casualità e, in particolare, dalfatto di aver lavorato Fanno scorso con Antonio Di Ciaccia ad un'intro-duzione generale all’opera di Jacques Lacan.1 La casualità deriva dalfatto che lavorando a quel testo ho personalmente prodotto una serie discarti, cioè di materiali e di letture che non sono apparsi nel testo e chemi hanno fatto pensare ad una sorta di nuova versione di questa intro-

    duzione a Lacan. Vi parlerò, quindi, di quello che non apparirà nellibro e, in particolare, di una serie di letture, di pensieri, più o menoordinati, che non hanno trovato una loro oggettivazione scritta neltesto. Questa mia introduzione a Lacan, quindi, è un’introduzione piùlaterale, non sistematizzata come, invece, pretende di essere quella dellibro. In seguito, poi, ho pensato di limitare questa introduzione all'e-splorazione di un solo concetto in Lacan. Questa serie di incontri, quin-di, sarà interamente dedicata ad un solo concetto che, però, è un con-cettochiave nell’opera di Lacan, e cioè il concetto di Altro.

    Un'altra notazione di metodo da tenere in considerazione riguarda ilfatto che lo scarto di cui parlavo prima è costituito soprattutto da letturefilosofiche e cioè dall’incidenza che alcuni filosofi hanno avuto sull’operadi Lacan. In particolare parlerò dell’incidenza di tre grandissimi pensatoriquali Hegel, Kojève e Heidegger.

    X A. Di Ciaccia e M. Recalcati. Jacques Lacan, Bruno Mondadori, Milano 2000.

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    2. L’Altro come luogo della parola

    Ho evidenziato sette definizioni delPAltro presenti nel testo diLacan; queste definizioni partono tutte dal presupposto secondo cuil'Altro maiuscolo è maiuscolo proprio perché non si identifica con 1al-tro inteso come Taltro uomo, il simile. L’Altro maiuscolo, cioè, è un

     Altro depersonificato, depsicologizzato. Vi propongo, quindi, questesette definizioni del grande Altro secondo un ordine che rispecchia Fordine di sviluppo cronologico del pensiero di Lacan.

    La prima versione del concetto di Altro si trova ne II Seminano.  Libro II  ed è quella

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    topologia ingenua internoesterno. L’inconscio come discorso dell’Al-tro è una trascendenza esternainterna al soggetto. Linconscio abita ilsoggetto anche se lo abita nella forma di una «esteriorità interna», diun «territorio straniero interno» per usare una celebre metafora diFreud.

    Un’altra definizione è quella delY Altro che coincide con la funzione del Nome-del-Padre; si tratta di una funzione che definisce nell’Altro ciòche dà consistenza all'Altro, ovvero l'Altro dell’Altro, il significante del-l’Altro come tale. Il NomedelPadre, cioè, è FAltro che dà fondamentoalla nozione stessa di Altro e, in questo senso, corrisponde a una funzio-ne di tipo "teologica” perché indica il luogo dell’Altro come fondamen-

    to dell’ordine simbolico.La quinta definizione è quella dell’Altro inteso come A ltro sesso. Questa definizione concerne soprattutto la problematica sviluppatanegli anni ’70 e, in particolare, la funzione fondamentale che Lacanattribuisce alla femminilità, all’Altro sesso. Questa definizione è il con-trario, dunque, dell’Altro come luogo neutro dei significanti.

    La sesta formulazione è quella delY inesistenza dell Altro.  Si trattadell’ultimo tomante dell’insegnamento di Lacan: l’inesistenza dell'Altrorisponde ad una esigenza di radicalizzazione del concetto di struttura

    che finisce per svuotare il NomedeiPadre da ogni valore ‘‘ontologico”per ridurlo ad un sembiante tra gli altri. Come ha avuto modo di farnotare JacquesAlain Miller, la tesi dell’in esistenza dell’Altro è la rispo-sta autocritica di Lacan alla sua propria tesi del NomedelPadre come

     Altro dell’Altro. Affermare l’inesistenza dell’Altro significa, infatti,affermare che l’Altro dell'Altro non esiste.

    La settima formulazione dell’Altro non segue lo sviluppo crono-logico e teorico dell'insegnamento di Lacan poiché la si trova inuna posizione trasversale rispetto a tale sviluppo. È la formulazione

    del luogo dell VI/ ¿ro come luogo che definisce la posizione delV analista nel corso della cura analitica.

    Evidentemente non sarà possibile, per ragioni di tempo, affrontarel’insieme di queste formulazioni ma solo tratteggiarne qualcuna.

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     2.1 11 Altro nella filosofia contemporanea

    Il concetto di Altro è un concetto che serpeggia e attraversa la filo-

    sofia contemporanea: è un concetto già presente in Hegel che vieneamplificato in modo particolare da Kojève e, più in generale, dalle filo-sofie dell’esistenza, passando da Heidegger sino a Lévinas.

    L’Altro è una figura che attraversa la filosofia contemporanea e, inquesto senso, potremmo darne una definizione apparentemente moltobanale: FAltro, cioè, è ciò che non è lo Stesso. L’Altro è ciò che non è loStesso nel senso che FAltro è in un rapporto di esclusione con l’identità;l’Altro è un'opposizione all’identità, non è lo Stesso. Questo problema,come vedremo meglio in seguito, è già presente in Hegel il quale si

    interroga su come sia possibile articolare questa differenza fra l’Altro e10Stesso, fra l'Altro e l’identico. Si tratta, cioè, di interrogare quale sia ilrapporto tra l’Altro e lo Stesso a partire, però, da questa differenza difondo secondo cui l’Altro non è lo Stesso. In questo senso si può affer-mare che la dialettica è un modo di interrogare la connessione fra FAl-tro e lo Stesso, tra FAltro e l’identico, laddove, ad esempio, per il pen-siero dialettico, la costituzione dell’identità può avvenire solo attraversoFalterità dell’Altro. L’Altro, cioè, non è lo Stesso ma lo Stesso si costitui-sce solo grazie all’apporto dell’Altro. Questo è il modo dialettico di

    intendere il rapporto fra FAltro e lo Stesso. Potremmo dire che Lacan,11quale è partito da questa prospettiva dialettica che permette di tenerearticolati nella loro disgiunzione FAltro dallo Stesso, arriverà, nel corsodel suo insegnamento, a marcare sempre di più l’irriducibilità dell’Altroallo Stesso, non la loro connessione, ma precisamente l’elemento di irri-ducibilità esistente fra i due.

    2.2  L'Altro come trascendenza teologica

    L’Altro abita profondamente anche il discorso religioso, teologico.L’Altro è, nel pensiero religioso, il luogo della trascendenza di Dio; l’Al-tro, cioè, coincide conYEns causa sui. Questa connessione tra il concet-to di Altro maiuscolo e il concetto di trascendenza deve essere isolata inquanto è un tema ricorrente in Lacan anche se secondo una modalità

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    non religiosa. non teologica. D discorso religioso, il pensiero teologico, valorizza l’Altro maiuscolo come trascendenza incommensurabilerispetto all’essere dell’uomo. Come diceva Barth, tra Tessere dell’uomoe l’essere di Dio scorre «la linea della morte», che è la linea della diffe-renza assoluta. Nella prospettiva religiosa, quindi, l’Altro come trascen-denza personificata in Dio esprime una rappresentazione verticale dellatrascendenza. Questo è un concetto molto importante: esiste, cioè, unrapporto verticale e gerarchico tra l’essere trascendente e l’essere imma-nente in cui Tessente ciò che è al di qua è, per l’appunto, il prodotto(l’emanazione, la creazione, ecc.) di ciò che è al di là, della trascenden-za, di ciò che è il fondamento stesso delTessente. Bisogna tenere ben

    presente, quindi, il fatto che, nella prospettiva religiosa, la trascendenzadell’Altro è una trascendenza verticale, gerarchica. In questo senso Dio,come massima espressione della trascendenza dell’Altro, è per usareuna categoria di Lacan veramente l’Altro dell’Altro. Dio è l’Altro cheè a fondamento del concetto stesso di alterità, il principio che crea egoverna il mondo del creato.

     23 L'Altro come trascendenza orizzontale

    Potremmo dire che in Lacan questo concetto verticale di trascen-denza proprio del discorso religioso sparisce. Non sparisce l’idea di tra-scendenza ma sparisce precisamente l’idea di una trascendenza verticalee, quindi, sparisce la versione teologicareligiosa della trascendenza del-l’Altro. L’Altro, cioè, non è più l’espressione di una trascendenza verti-cale nel senso che il concetto di trascendenza si orizzontalizza. In que-sto senso Lacan accosta il concetto di trascendenza al concetto di lin-guaggio: non è più Dio ad esprimere la trascendenza bensì il linguaggio.Questo avviene, quindi, secondo una modalità non teologica, non verti-cale, non gerarchica ma, al contrario, orizzontale. Il linguaggio, infatti,appare come l’orizzonte entro cui gli esser: umani sono compresi. Que-sto passaggio, che in seguito analizzeremo meglio, da una concezione

     verticale della trascendenza dell’Altro a una concezione orizzontaledella trascendenza dell’Altro si trova al centro se vogliamo sintetizzaremolto anche dell’esistenzialismo filosofico. Si tratta, cioè, di un punto

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    teoretico che passa dall'esistenzialismo a Lacan. E con Heidegger, e inparticolare in Esseree Tempo, che assistiamo a questa orizzontalizzazione della trascendenza, a questa deteologizzazione del concetto di tra-scendenza. La trascendenza, cioè, non è più un attributo di Dio que-sto è il grande passaggio che si compie in Essere e tempo , non è piùuna proprietà di Dio ma è una proprietà del soggetto. Cosa significa,allora, pensare la trascendenza non più come una proprietà di Dio macome una proprietà del soggetto, del Dasein, cioè dell’esistenza umana?Significa e qui siamo sempre nel quadro teorico di Esseree te??ipo - essenzialmente due cose che sottolineo perché ritengo costituiscano dueconcetti ripresi in modo personale da Lacan.

    In primo luogo la trascendenza investe la nozione di soggetto. Il chesignifica che il soggetto in Heidegger, il « Dasein», Tesserci, esiste nelsenso che come scrive Heidegger ex-siste, cioè esiste nella forma del-l'essere costantemente fuori di sé, nell'essere costantemente aperto versoil mondo, verso TAltro. ILsoggetto, quindi, non è una sostanza che ripo-sa presso di sé ma è, appunto, uri ex-sistema, un uscir fuori, uno starfuori, uno sporgersi, una trascendenza. In questo senso, quindi, la tra-scendenza non è più riferita al rapporto verticale con Dio ma diventa ilmodo d’essere deU’esserci il quale non consiste mai in ciò che è ma si

    realizza solo oltrepassando se stesso, solo nel «Sein-kónnen», nel poteressere. La trascendenza delTexsistenza, quindi, indica precisamentequesta dimensione antisostanzialistica del soggetto. Il soggetto, cioè, nonè più un identità, una sostanza, ma una trascendenza, mvexsistenza, unanoncoincidenza. Tutto ciò è il contrario dello Stesso che, invece, è unaidentità chiusa su se stessa. Sottolineo questi termini perché la nozionedi soggetto diviso di Lacan è un modo molto particolare di ripensarequesto statuto non sostanzialistico, non autocentrato del soggetto cosifortemente presente nella versione heideggeriana del Dasein.

    Il secondo elemento che vorrei sottolineare è il fatto che Tesserci nelsuo essere è essa stessa una trascendenza; esso, cioè, non è mai ciò che èma è sempre al di là di ciò che è, è sempre impegnato nel futuro, neisuoi progetti, è sempre in rapporto alle possibilità dell'esistenza. Les-serei, comunque, è anche determinato nel suo essere da una causa chegli è «esterna». Questa dimensione eterodeterminata delTesserci —«Tes-serci», come dice Heidegger, «non si è portato da sé nel suo Ci» indi-

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    ca che Tesserci non è il fondamento di se stesso ma è piuttosto gettatonel mondo, è in una condizione di gettaiezza, di «Gevoorfenheit», è

    costituito dall’Altro/ Questa, quindi, è un’altra forma della trascenden-za: la trascendenza, in questo caso, è la trascendenza delTessere che eterodetermina il soggetto. Il soggetto, cioè, non si è fatto da sé ma è costi-tuito dall'Altro, è gettato nel suo esserci dall’Altro. Nessuno, in altri ter-mini, ha scelto di esistere; ciascuno subisce l'esistenza come un datoparadossalmente eccentrico a se stesso o, come diceva Sartre, come un«fatto primitivo e assurdo», abissale. Nessuno è stato interpellatoprima. In questo senso Pascal diceva «siamo imbarcati», proprio persottolineare questa dimensione senza fondamento che caratterizza Tesi-

    si enza. E in questo senso, diceva ancora Sartre, nessuno ha mai infondo diritto di esistere; Tesistenza è senza diritto perché è alla sua radi-ce senza fondamento.

    Questo, dunque, è il secondo aspetto che volevo mettere in evidenzae cioè il fatto che Tesserci non è padrone delle sue origini in quanto ègettato nel mondo. In Heidegger, però, manca una terza versione della«trascendenza orizzontale» su cui, invece, Lacan insisterà molto.

     2 A La trascendenza heideggeriana

    La prospettiva in cui si orienta Essere e tempo è una prospettivaultraumanistica nel senso che Tuomo non è più al centro del mondo maè piuttostogettato nel mondo. Si tratta, in altri termini, di una prospetti-

     va che decentra il soggetto in quanto il soggetto è eterodeterminato nelsuo essere. In Heidegger, però, non troviamo una teoria rigorosa deimodi attraverso cui TAltro determina Tessere del soggetto. E come seHeidegger cogliesse solo Torizzonte il fatto, cioè, che il soggetto è

    determinato nel suo essere dall’Altro senza, però, definire i modieffettivi attraverso cui questo avviene. In questo senso no: diremmo cheHeidegger non possiede la categoria di significante e, dunque, non puòdefinire i rapporti del soggetto con il significante.

    La prospettiva ultraumanistica di Heidegger si profila in polemica

    4 Cfr. M. Heidegger, Esseree tempo, Longanesi, Milano 1976.

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    con la prospettiva esistenzialista di Sartre. Nel testo Lesistenzialismo è un umanesimo (questo è il titolo di una conferenza che Sartre ha tenutonel 1946 a un pubblico di non specialisti), Sartre afferma: «Noi siano

    su un piano dove esistono solamente gli uomini». Questa è la massimadell’esistenzialismo: esistono solo gli uomini nel senso che «l'esistenzaprecede l'essenza». In questo caso, come potete notare, non esiste piùalcun vertice gerarchico, alcuna trascendenza verticale ma esiste solo unpiano orizzontale in cui ci sono, appunto, solo gli uomini. Nel 1947,nella Lettera sull umanesimo, Heidegger critica Sartre interrogandolo inparticolare su un punto interno alla sua stessa formulazione. Egli, cioè,chiede a Sartre a cosa corrisponda questo piano su cui ci sono solo gliuomini e sottolinea come non possa trattarsi dell'uomo; per Heidegger,

    in particolare, questo piano corrisponde al piano delTessere.5 E solo apartire dal piano dell’essere, infatti, che può esistere l'esistenza umanala quale si trova, dunque, a dipendere da un'alterità fondamentale, dall'alterità irriducibile dell'essere. In questo senso non è più l’esistenza adeterminare l'essenza ma l'esistenza dipende nel suo essere da questopiano fondamentale che non è riducibile all’essere dell'uomo. In Hei-degger stesso e in seguito anche in Lacan questo piano fondamenta-le diventa il piano del linguaggio dentro il quale accade l'esistenza del-l'uomo secondo la modalità di una dipendenza fondamentale. Questadefinizione c  tano dell'essere come piano del linguaggio che condi-ziona l'avvento uell esistenza è già presente in Heidegger ma, non pos-sedendo quest'ultimo il concetto di significante, questo piano rimaneuna sorta di presenza indeterminata.

     2.5 L'Altro delV intersoggettività

    Per sviluppare il concetto di Altro dell'intersoggettività, uno deiriferimenti testuali fondamentali è il paragrafo 19 delSeminario II  in cuiLacan afferma: «Ci sono due altri da distinguere, almeno due, un Altroche dobbiamo scrivere con la A maiuscola e un altro che scriviamo con

    5 M. Heidegger, Lettera sullumanesimo «inSegnavia, Adelphi, Milano 1987.

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    la a minuscola, che è l’Io. L'Altro, invece, è di lui che si tratta nella fun-zione della parola».6 Abbiamo, dunque, due altri: un altro che coincide

    con l'Io, con il simile, e un Altro che coincide con la funzione dellaparola. Potremmo dire, allora, che l’altro, il simile è immaginario men-tre il secondo altro, l’Altro maiuscolo. l’Altro che coincide con la fun-zione della parola, è l'Altro simbolico. L’altro immaginario non è, alme-no in questa fase del pensiero di Lacan, l’altro deirintersoggettivitàquanto piuttosto l’altro come puro riflesso specularenarcisistico dell'io.Laltro deU’intersoggettività è invece il luogo dell’Altro maiuscolo per-ché il campo deirintersoggettività è un campo che Lacan descrive riprendendo la lezione di Hegel come campo di una mediazione dia-lettica fondamentale. Solo attraverso l'Altro, infatti, il soggetto puòcostituirsi effettivamente come un soggetto di desiderio. Se l’altro spe-culare è l altro come doppio narcisistico che scatena dinamiche diaggressività e di erotizzazione prive di mediazione simbolica, l’Altrocome luogo deirintersoggettività è il luogo dove il soggetto può realiz-zare una soddisfazione autenticamente umana com'è quella del ricono-scimento del proprio desiderio di riconoscimento, ovvero una soddisfa-zione non narcisista ma legata al desiderio dell'Atro.

    3. LAltro e la soddisfazione umana

    Nel Lacan della prima metà degli anni '50 la funzione della parola èuna funzione squisitamente dialettica proprio per questo, perché attra-

     verso il medium della parola il soggetto può appellarsi all’Altro simboli-co e ottenere un riconoscimento come soggetto. Potremmo dire che, in

    fondo, uno dei temi che Lacan riprende da Freud e soprattutto daKojève questo tema caratterizza una chiave di lettura molto personaleche Kojève adotta nei confronti del testo di Hegel —è proprio il proble-ma della soddisfazione simbolica. Il termine soddisfazione, infatti, è untermine che rimbalza costantemente nella lettura e nel commento kojè

    6 J. Lacan, Il Seminario. Libro IL.., cit., p. 300.

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    il modo in cui Lacan traduce la questione del desiderio antropogeno diKojève laddove quest’ultimo sostiene che, in fondo, il desiderio umanosi soddisfa non nella consumazione dell’oggetto ma solo nella rispostadi un altro desiderio. Il desiderio umano, cioè, si soddisfa solo nel rico-noscimento, nel suo riconoscimento da parte di un altro desiderio. «Ildesiderio umano» scrive Kojève «o meglio ancora, antropogeno dif-ferisce dal desiderio animale. Il desiderio animale costituisce un esserenaturale che semplicemente vive. Il desiderio antropogeno si dirige,invece, non verso un oggetto reale, positivo, dato ma verso un altro

    desiderio» e ancora: «Il desiderio umano è quel desiderio che si dirigesu un altro desiderio; desiderare un desiderio è voler sostituire se stessoal valore desiderato da questo desiderio... Desiderare il desiderio di unaltro è, in ultima analisi, desiderare che il valore che io sono o che iorappresento sia il valore desiderato da quest altro. Voglio che egli miriconosca, che riconosca il mio valore come suo valore, voglio che eglimi riconosca come un valore autonomo. Detto in altri termini, ognidesiderio umano antropogeno è funzione del desiderio di riconoscimen-to».

    Il desiderio umano, quindi, non è desiderio —come dice Kojèvecommentando Hegel di un oggetto reale, positivo, dato, il desiderioumano non si soddisfa della consumazione animale dell’oggetto dato innatura. Nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel la datità corrispondeall'elemento immediato, all'elemento naturale. Il desiderio umano,quindi, non si soddisfa della consumazione dell'oggetto dato, positivomentre è piuttosto il desiderio animale che si soddisfa nella consuma-zione e nella negazione unilaterale dell’oggetto.

     Abbiamo, quindi, due forme del desiderio a cui corrispondono dueforme del soddisfacimento: da una parte il soddisfacimento animale,naturale, vitale che si esprime come una negazione unilaterale delToggeto di natura e, dall’altra, il soddisfacimento umano. Il soddisfacimentoanimale, che in Lacan e in Freud diventa il bisogno, corrisponde, quin-di, a una negazione unilaterale dell’oggetto. Questa espressione si trovanella Fenomenologia dello spirito di Hegel e significa che il bisogno, persoddisfarsi, deve poter consumare l’oggetto, deve poter negare la suadatità. Per fare un esempio potrei dire che se ho sete bevo e bevendo

    nego l'essere dato dell’acqua; questo rapporto tra me e l’acqua, quindi.

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    è un rapporto di negazione unilaterale. Non esiste reciprocità ma nega-zione unilaterale. L’appetito, la « Begierde», la brama, la «concupiscenzasensibile» come dice Hegel, si esprime in questo rapporto unilateralecon l’oggetto, in questo rapporto di negazione unilaterale. Possiamo,dunque, definire il bisogno come questa dimensione unilaterale del rap-porto con l’oggetto; in particolare il bisogno come dice Freud ne Linterpretazione dei sogni -  per essere soddisfatto necessita non tanto delFapporto dell'Altro quanto piuttosto di un’«azione specifica». Per sod-disfare il bisogno di bere, cioè, non posso mangiare ma devo bere. L’a-zione specifica è ciò che caratterizza il rapporto non convertibile, nonflessibile, rigido, tra la pressione del bisogno e l’oggetto che ne permette

    il soddisfacimento. E questo tipo di rapporto che Freud chiama «azionespecifica».Di tutt’altra specie, invece, è quello che Kojève chiama il soddisfaci-

    mento proprio del desiderio umano. Il desiderio umano, cioè, non sisoddisfa attraverso l’oggetto del bisogno ma si soddisfa solamenteattraverso un altro desiderio. Questo rapporto, quindi, non è di nega-zione unilaterale ma di reciprocità: desiderio di essere Foggetto deldesiderio dell’Altro, desiderio di essere desiderato dall’Altro. Il deside-rio è il desiderio del desiderio solo nel campo delle relazioni umane.

    Perché il desiderio si possa soddisfare umanamente, simbolicamente,non deve consumare l’oggetto ma deve trovare appagamento nel rico-noscimento dell’altro desiderio, nella funzione del riconoscimento. Apagina 703 della sua Introduzione a Hegel Kojève scrive che «Il deside-rio di riconoscimento è il desiderio di un desiderio, cioè non di unessere dato, naturale ma della presenza e dell’assenza di un tale essere[...] questo desiderio umano trascende il dato naturale. Il desiderio,però, umano si realizza solo nella misura in cui ha maggior potenza del-l’essere dato naturale cioè nella misura in cui lo annienta».

    La condizione del soddisfacimento del desiderio, quindi, è l’annien-tamento del bisogno naturale. Questo annientamento dice Kojève èuna morte, è un annullamento. Nondimeno «questo annientamento del-l’animale —conclude Kojève costituisce la creazione dell’uomo».

    Tutto ciò è molto interessante soprattutto se notiamo il fatto che que-sto annientamento del piano del bisogno naturale necessario affinché ildesiderio si soddisfi è l’espressione stessa dell’universalità del desiderio

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    rispetto alla particolarità del bisogno. Dobbiamo, quindi, porre il desi-derio sul lato dell’universalità e il bisogno sul lato della particolarità,

    come Lacan teorizza apertamente ne La significazione del fallo.sUparticolare è ciò che indica la dimensione dell’essere di natura,dell’essere dato, la «particolarità animale» come dice Kojève. Perché,però, vi sia realizzazione umana, umanizzazione dell’uomo, questa par-ticolarità deve essere elevata all’universalità del desiderio. Questa

     Aufhebungy  questa elevazione della particolarità del bisogno all’univer-salità del desiderio, secondo Hegel, avviene senza lasciare residui. Que-sta elevazione senza resti, quindi, è una sorta di sublimazione in cui ilbisogno animale viene annientato dal desiderio umano. La nascita, la

    creazione dell’uomo è la morte dell’animale cioè la realizzazione puradell’universalità del desiderio come desiderio di riconoscimento. Que-sta, dunque, è l’impostazione che Kojève dà al problema della soddisfa-zione umana attraverso la lettura di Hegel.

    3.1 La pagina 688 degli Scritti

    Secondo Lacan l’Altro è il luogo dell intersoggettività in quanto è

    solo attraverso l’Altro, il desiderio dell’Altro, che il desiderio del sogget-to trova una soddisfazione simbolica. In questo senso c’è un rapporto diperfetta compatibilità tra il desiderio e la parola: il desiderio umano, inaltri termini, sta all’Altro desiderio, al desiderio dell’Altro come la paro-la sta alla risposta. Il desiderio è perfettamente compatibile con la paro-la perché è un’espressione della legge dell’intersoggettività, della soddi-sfazione intersoggettiva e, dunque, umana. Il desiderio, afferma aque-sto proposito Lacan, riprendendo Kojève. è «il desiderio dell’Altro», il

    desiderio di essere riconosciuto dall'Altro. Abbiamo così da una parte il desiderio di riconoscimento e, dall’al-tra, la risposta dell’Altro, il riconoscimento del desiderio. Quando ildesiderio del soggetto è riconosciuto dall’Altro abbiamo la soddisfazionesimbolica mentre la frustrazione, la dimensione della sofferenza soggetti-

     va, in questo contesto, nasce precisamente da una mancata rispos:a del

    8 J. Lacan, La significazionedel fallo, inScritti, Einaudi, Torino 1974, p. 688.

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    l'Altro alla domanda di riconoscimento. Quando, cioè, il desiderio diriconoscimento non si completa nel riconoscimento del desiderio, abbia-mo la sofferenza soggettiva che corrisponde, in fondo, alla dimensionedel sintomo come evento che si produce al posto di un mancato ricono-scimento. Come potete notare siamo di fronte a un Lacan dialettico,hegeliano, che utilizza abbondantemente gli strumenti di Kojève inte-grandoli con quelli linguistici e per il quale il desiderio e la parola sicombinano insieme completandosi Funo nell'altro. Ora, però, stiamoancora analizzando la prima definizione dell’Altro come luogo delFintersoggettività, cioè come quel luogo attraverso cui può realizzarsi una sod-disfazione umana del desiderio. Questo punto che, ripeto, è hegeliano,

     viene ripreso e complessificato da Lacan in una pagina degli Scritti checondensa un insieme di concetti stratificati e, al contempo, fondamenta-li, che è la pagina 688 de La significazione del fallo.  In questa paginaLacan ritorna su Kojève e, in particolare, sul problema di cosa sia la sod-disfazione umana; egli vi ritorna munito di un principio hegeliano: «Lasoddisfazione umana non è la soddisfazione del bisogno». Aggiungendoconseguentemente che la soddisfazione del bisogno può essere proprio ilpunto in cui si infrange la possibilità della soddisfazione umana. Lacan,quindi, non solo mette in contrapposizione soddisfazione del bisogno e

    soddisfazione del desiderio ma indica addirittura che la soddisfazionedel bisogno può essere un attentato alla soddisfazione del desiderio.Questa pagina degli Scritti è ordinata selezionando tre forme di tra-

    scendenza che in questo testo viene evocata nella figura dellWdi là -  che, però, non corrispondono al/al di là teologico, religioso ma a unaforma di trascendenza integralmente immanentizzata.

    3.2 La prima forma di trascendenza: Val di là della domanda

    La prima forma di trascendenza viene descritta da Lacan come rap-porto fra la domanda e il bisogno

    D

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    Questa prima versione della trascendenza corrisponde alla trascen-denza significante, alla trascendenza pura del linguaggio. In altri ter-mini potremmo dire che il bisogno animale, naturale —quello cheFreud ne Linterpretazione dei sogni chiama i «grandi bisogni fisici»dell'essere vivente è subordinato ad un’alienazione fondamentale ecioè alla domanda, in quanto il bisogno per essere soddisfatto devearticolarsi in una domanda indirizzata aun altro. Il bisogno, cioè, nonsi soddisfa in un circuito chiuso ma implica sempre il passaggio attra-

     verso la domanda in quanto rivolta a un altro. La domanda nell’inse-gnamento di Lacan viene indicata con una D maiuscola in quanto èun’espressione del significante cioè dell’azione del linguaggio. Potrem-

    mo dire, quindi, che la domanda è la «messa in forma significante delbisogno». La trascendenza del linguaggio, dunque, agisce ordinandola spinta acefala, naturale del bisogno nella forma di una domandarivolta all’Altro. In questo modo il bambino piange, urla questo èl'esempio proposto da JacquesAlain Miller mentre spetta all’inter-pretazione di chi ascolta l’urlo fornirgli un senso interpretandolo comese fosse una domanda di qualcosa. Il bisogno, foss’anche il bisogno dinutrimento, passa attraverso un appello che è la forma elementaredella domanda. Dobbiamo sottolineare, inoltre, il fatto che questa

    prima forma di trascendenza la trascendenza della domanda sulbisogno è un’espressione concreta della trascendenza delFAltro. Nelpassaggio dal bisogno alla domanda avviene la perdita della dimensio-ne animale, si verifica lo snaturamento, l'annientamento dell’animalecome teorizza Kojève, cioè Fumanizzazione effettiva del soggetto. L’ur-lo del bambino può trovare una risposta nell’Altro, può umanizzarsi e,quindi, diventare una domanda, un appello. Questa prima forma ditrascendenza significante è anche una sorta di rimozione originaria. Larimozione originaria, nel modo in cui Lacan la rilegge in Freud, per-mette di cogliere il fatto che, nel passaggio dal bisogno alla domanda,qualcosa dell’essere animale, naturale, vivente si perde da sempre eper sempre. Questo è precisamente il carattere mortifero della trascen-denza del significante: il significante, cioè, attraverso .a domanda,uccide l’animale, il vivente, lo mortifica, lo negativizza. Questa nega-zione dell’animale, quindi, è un modo per esprimere la rimozione ori-ginaria, per esprimere una perdita irreversibile. Questo, dunque, èil

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    prezzo che il soggetto umano paga per essere nel campo del linguag-gio. In termini kojèviani questa perdita corrisponde precisamenteall’annientamento dell’animale.

    3.3 La seconda forma di trascendenza: lai di là della domanda d’amore

    La seconda forma di trascendenza è la trascendenza simbolica checorrisponde alla domanda d'amore:

    Da P 

    Cosa si intende, quindi, per trascendenza simbolica? Abbiamo ilprimo tempo, quello della rimozione originaria, della snaturazione del-l’essere vivente, il tempo della mortificazione e, in seguito, il tempo incui la domanda viene subordinata alla domanda d’amore, all’al di làdella domanda d'amore. La domanda, in quanto domanda umana, equindi filtrata dal significante, non è mai domanda di qualcosa macome diceva Kojève e come Lacan riprende domanda incondiziona-ta della presenza e dell'assenza dell'Altro. Non si tratta, quindi, di uiadomanda di qualcosa che l’Altro ha, di una domanda di un oggetoma, al suo fondo, ogni domanda è domanda della presenza e dell'$senza dell'Altro. La domanda non è diretta sull’oggetto ma sulla pre-senza dell'Altro, sulla sua presenza presente. Questa è, per Lacan, !adomanda d'amore: la domanda non di qualcosa ma, per l’appunto, adomanda incondizionata della presenza dell’Altro. In questo senso adomanda d’amore, in quanto domanda della presenza incondizionaadell'Altro, surclassa tutte le altre domande che sono, invece, domante

    di qualcosa. La domanda d’amore esprime una trascendenza simbolirarispetto a tutte le altre domande; tutte le altre domande di soddisfadmento dipendono, infatti, dal soddisfacimento della domanda d'am>re. La domanda d'amore, però, proprio perché non si soddisfa dell'o;getto, si soddisfa secondo una modalità particolare che viene elucidaain modo straordinario da Lacan sempre alla pagina688 degliScritti.

    La domanda d'amore annienta ogni altra forma di domanda ni

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    senso che ogni altra forma di domanda dipende dalla domanda d’amo-re. Questo è quanto è stato messo in luce classicamente dagli studi di R.Spitz ne II primo anno di vita del bambino. In questa opera si vede bene

    come la risposta precisa alle comande dei bambini di essere nutriti,accuditi, ecc., la sollecitudine della risposta, cioè delle cure, non è suffi-ciente a farli vivere e crescere adeguatamente. Ai bambini ospedalizzatidi Spitz, infatti, non mancava tanto il soddisfacimento del piano delladomanda quanto, piuttosto, il soddisfacimento del piano della domandad’amore. Si trattava di bambini nutriti e curati ma ai quali era regata lasoddisfazione simbolica della domanda d’amore. Questo a testimonian-za del fatto che il soddisfacimento del piano della domanda non è suffi-

    ciente a garantire Tesistenza come umana. Abbiamo, dunque, una sortadi discriminazione tra il piano della domanda e quello della domandad’amore che, comunque, rivela come al fondamento di ogni domanda visia sempre la domanda d’amore. La domanda d’amore, a differenza ditutte le altre forme di domanda, è incondizionata, intransitiva nel sensoche l’oggetto di soddisfacimento è annullato dal segno, dall’esigenza delsegno della presenza delTAitro. Possiamo, quindi, costruire una corri-spondenza tra la domanda d’amore, che è in rapporto al segno, e ladomanda che invece è in rapporto con l’oggetto:

    Segno DaOggetto 0 Per dare una semplificazione clinica di questo binomio possiamo

    citare l’esempio dell’anoressia e della bulimia. Nell’anoressia, infatti, sinota come per poter ottenere dall’Altro un segno d’amore, una prova,un dono d’amore, o —come direbbe Kojève un segno di riconosci-mento, il soggetto anoressico annulli la dimensione dell’oggetto rifiu-

    tandolo: rifiuta il cibo, l’oggetto naturale, per poter avere dall’Altro ilsegno. Egli, cioè, fa morire l’oggetto naturale per poter far nascere l’og-getto simbolico. In questo senso l’anoressica si spende fino alla morteper far sorgere l’evento del segno d’amore nell’Altro. Questo schemapuò servire a comprendere anche la bulimia intesa secondo la definizio-ne che ne dà Lacan nel Seminario IV: una compensazione attraverso unoggetto reale alla frustrazione della domanda d’amore9. Nella bulimia,

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    l’operazione è specularmente rovesciata rispetto a quella dell’anoressia:nel sogge:to bulimico, cioè, in assenza di segno questa è la frustrato-

    ne della domanda d’amore , l’oggettocibo viene a compensare questaassenza Anche nell’obesità patologica si può vedere bene questa fun-zione di compensazione dell’oggettocibo rispetto all’assenza di segno.Laddove cioè, manca il segno, l’oggetto viene a prenderne il posto.Questa sostituzione, però, non è una sostituzione metaforica ma unasostituzione patologica perché destinata allo scacco. L'abbuffata buiuni-ca è una divozione dell’oggetto alla ricerca del segno il quale, però,non è né potrà mai essere, nell’oggetto. Nel caso Celi’anoressia abbia-mo l’annullamento dell’oggetto per far nascere il segno d amore mentre

    nel caso della bulimia abbiamo la compensazione attraverso I oggettodella mancanza del segno. L’anoressica rifiuta la pappa asfissiante per-ché vuole il segno della mancanza dell’Altro, il segno che essa è l’ogget-to della mancanza dell'Altro; per far sorgere il segno, l’anoressica èdisposta a rinunciare all’oggetto. Il soggetto bulunico, invece, ricorreallegretto in mancanza del segno; ques:a tormula potrebbe essere este-sa a tutte le forme di dipendenze, l’alcolismo, la tossicodipendenza, ecc.L’assenza del segno, quindi, provoca la compensazione attraverso 1og

    getto reale di consumo.Si possono, comunque, fare diverse riflessioni su questo schema dibase in quanto, ad esempio, non è sempre detto che l’oggetto non siaesso stesso elevato alla dignità di un segno simbolico. In questo senso sipuò pensare alla dimensione del dono ¿’ornare, il dono d’amore, infatti,è un esempio di cosa significhi elevare unoggetto asegno. Esiste, cioè,una vera e propria estetica del dono d’amore :n cui interviene, comun-que anche la differenza fra i sessi. Le donne, infetti, hanno un rapportocon’ il dono d’amore molto diverso rispetto «quello degli uomini. Si

    può dire che una donna tende veramentead annullare l oggetto rispettoal segno ciò che conta per lei, ad esempio, è il bigliettino che accompa-gna l’oggetto più che l’oggetto regalato: conta più la scrittura che lacosa Se manca il bigliettino che ripora la dedica d amore, 1oggetto esvalorizzato in quanto ciò che dà valore Soggetto è il puro segno, è la

    91996.

    I Lacan, IlSeminario. Libro IV. Larelazo* fogge** 19*1957, Einaudi, Torino

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    scrittura, è la lettera d'amore. È vero, inoltre, che nelle donne esisteanche un’arte della confezione del dono che manca agli uomini. Nelledonne la procedura seguita è più raffinata nel senso che la forma, ilsembiantedel dono è il vero contenuto del dono. Evidentemente questo nonsi verifica in tutte le donne però c’è una tendenza a valorizzare più laforma che non il contenuto; negli uomini, invece, si valorizza più il con-tenuto che la forma.

    11 dono d’amore, in ogni caso, è l’operazione attraverso cui l’ogget-to viene elevato alla dignità del segno. Per questo motivo, nelle civiltàpovere non esiste l’anoressia perché in queste civiltà il cibo è esso stes-so segno d’amore perché donare del cibo significa privarsi di qualcosa,

    mettere in gioco la propria mancanza. La condizione dell’anoressia,invece, è la società a capitalismo avanzato in cui il cibo rientra nel pro-blema storico deli’affermazione del potere del mercato e, di conse-guenza, della circolazione illimitata di oggetti di consumo. L’anoressiadiventa, allora, proprio l’operazione di riduzione di questo eccesso dioggetti finalizzata a far sorgere il segno della mancanza dell’Altro. Piùin generale, possiamo dire che uno dei problemi dell’Altro simbolicocontemporaneo, che fa sì che l’anoressia e la bulimia siano delle pato-logie epidemiche, dipende dal fatto che nella civiltà contemporanea

    l’oggetto ha preso il posto del segno. Esiste, cioè, una circolazionesenza perdita di oggetti di consumo che però tende ad annullare lapossibilità che un oggetto possa essere elevato alla dignità del segno; èquello che Lacan ha chiamato il «discorso del capitalista» nel qualetutto si consuma e niente fa più segno. L’anoressia e la bulimia, quindi,sono due risposte patologiche a questa sorta di polverizzazione delsegno sotto l’impero delPoggetto. Il problema, dunque, è come farnascere di nuovo il segno, il segno d’amore. Quanto ho appena dettomi serviva per chiarire il carattere fondamentale della domanda d’a-more rispetto alla dimensione generica della domanda. Possiamo nota-re, infatti, che solitamente le famiglie dei pazienti anoressico/ bulimicisono insiemi familiari che hanno assicurato la circolazione in abbon-danza dell’oggetto mentre il difetto, la mancanza, è proprio a livellodel segno. In questo caso, cioè, ci troviamo di fronte all’oggetto nonunito ma scorporato dal segno.

    Un altro esempio di dono «inautentico» in cui l’oggetto appare

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    come scorporato dal segno si può trovare nel film " L'attimo fuggente”. In questo film sull’adolescenza c'è un ragazzo che poi si suiciderà il quale riceve lo stesso identico dono a tutti i suoi compleanni: unoscrittoio di pelle munito di tutti i suoi accessori... Questo dono è com-pletamente inadeguato alla particolarità del soggetto e, oltretutto, èsempre lo stesso.1  È inadeguato alla particolarità del soggetto perchénon tiene conto in nessun modo del desiderio del soggetto ma si limitaa rispettare la sola scadenza del calendario... E quello che capita nellefamiglie in cui gli anniversari diventano solo delle ricorrenze formali incui si scambiano oggetti senza segno... Una delle condizioni del dono

    d’amore, che fa sì che l'oggetto venga elevato alla dignità del segno, èprecisamente la considerazione della particolarità del destinatario.Nel Seminario IV  possiamo trovare questo rapporto tra oggetto e

    segno articolato come differenza fra il seno materno e il segno. Lamadre del seno, cioè, è la madre che dà ciò che ha, la madre che nutre;la madre del segno, invece, è la madre che dà ciò che non ha, cioè l’a-more, la sua mancanza, facendo sorgere in questo modo la particola-rità del soggetto: «Ti do non ciò che ho ma ciò che non ho, dunque tido il segno del fatto che mi manchi!». Questa è la domanda d’amore:

    fare segno che l’altro ci manca. Un altro esempio: al ritorno da unlungo viaggio la prima domanda che si rivolge al partner che ci è man-cato non è «Che cosa mi hai portato?» anche se in questo caso,comunque, la domanda potrebbe significare «Mi hai pensato quandonon c’ero?» ma «Ti sono mancato?». L’interrogazione d’amore, cioè,è sempre sulla mancanza dell’Altro. La cosa peggiore, dunque, è tor-nare a mani vuote cioè senza qualcosa che faccia segno di quella man-canza. .. Forse, però, le mani vuote sono sempre meglio dello scrittoriodi pelle di cui parlavo prima.... Ci sono dei padri di alcune pazienti

    che tornano sempre —e per di più da tutti i paesi del mondo con lostesso oggetto acquistato all’ultimo momento in aeroporto! E chiaroche, in questo caso, il segno è abolito da un oggetto che non tieneconto della particolarità del soggetto ma solo del rituale formale darispettare.

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    3.4 Intermezzo

     Abbiamo sino ad ora operato una scomposizione dell’Altro rica- vandone diverse declinazioni. La declinazione sulla quale ci siamo sof-fermati maggiormente riguarda l’Altro come luogo delTintersoggetti

     vità}luogo della funzione della parola. La seconda declinazione del-l’Altro è quella dell’Altro come luogo dei significanti, luogo del lin-guaggio, luogo neutro del significante. Se, dunque, V  Altro come luogodell’ inter soggettività è un Altro animato dalla dinamica delle relazionifra gli esseri umani, l’Altro come luogo neutro del significante è un

     Altro che coincide con la morte. Si tratta di sviluppare meglio questo

    concetto —di cui abbiamo fatto notare la derivazione hegelianokojè viana affrontando l'Altro inteso come afferma Lacan nel Seminario XI10  come luogo del «fattore letale» del significante. Abbiamo quin-di, uno stesso concetto, quello dell’Altro, che, però, definisce due con-tenuti diversi: da un lato F Altro come luogo delTintersoggettività e,dall’altro, l’Altro come potere letale, mortificante, del Simbolico,come luogo neutro del significante. Abbiamo altresì affrontato lanozione di Altro attraverso il concetto di trascendenza; Lacan, infatti,coniugando il concetto di linguaggio con quello di trascendenza arriva

    a parlare, come abbiamo già visto, di una trascendenza del linguaggio.L’Altro, dunque, si connota come il luogo di una trascendenza cheperò non è teologica, non è verticalizzata come la trascendenza delYEns causa sui, la trascendenza di Dio secondo la teologia tradizionale.Il linguaggio, cioè, è il luogo di una trascendenza orizzontalizzata,immanente.

    Facendo riferimento alla pagina688 degli Scritti siamo giunti a defi-nire tre modalità della trascendenza: la trascendenza del significante, la

    trascendenza del simbolo e la trascendenza del residuo. Abbiamo, quin-di, tre forme di trascendenza che schematizzano precisamente i rapportifra bisogno, domanda e desiderio. Il concetto di trascendenza, quindi, èciò che permette a Lacan di articolare questi rapporti fra bisogno,domanda e desiderio. La prima forma di trascendenza, quella del signi-

    10 J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1979.

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    ficante, definisce, come abbiamo visto, i rapporti fra la domanda e ilbisogno:

    Db

    La seconda trascendenza è quella del simbolo, cioè la trascendenzadella domanda d’amore, la trascendenza del segno. In questo caso, sitratta della trascendenza della domanda d’amore sulla domanda:

    Da0

    Queste due forme della trascendenza corrispondono a due oblitera2Ìoni: nella prima è obliterato il bisogno, nella seconda la domanda.

    Nella trascendenza della domanda, rispetto al bisogno, utilizziamola D maiuscola perché la domanda è l'espressione dell’azione universa-le del linguaggio sul bisogno naturale. U bisogno naturale, cioè, è mar-cato dal linguaggio che lo trascende e Fazione del linguaggio sul biso-gno naturale è un’azione di mortificazione, di negativizzazione. 11 biso-

    gno è nella dimensione della particolarità mentre la domanda è nelladimensione dell’universalità. Il rapporto fra Domanda e bisogno costi-tuisce una modalità di pensare il rapporto tra universale e particolare:la domanda è nella dimensione del linguaggio e, quindi, nelFordinedella cultura mentre il bisogno è nelFordine della natura, dell’anima-lità. Il bisogno però per soddisfarsi deve passare dal filtro delladomanda, deve alienarsi nella domanda. Questa alienazione è unamortificazione, è un annientamento. La trascendenza del linguaggio,infatti, produce un potere di annientamento dell’animale, come scriveKojève commentando Hegel. Il particolare, quindi, è il luogo dell’esi-stenza dell’animalità, cioè del bisogno fisico, della «Begierde» hegelia-na. Lacan trae questo passaggio, sul quale ci siamo già soffermati, daKojève lettore di Hegel; Kojève, infatti, insiste molto sul fatto che Fanimale si annienti perché possa nascere l’uomo. La domanda, quindi,è l’articolazione significante del bisogno naturale; dove c’è domandanon c’è più l’animale, c’è l’appello che prende il posto dell’urlo anima-

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    I

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    le. L'appello, in altri termini, è il modo in cui l’urlo animale viene lavo-rato dal significante.

    Possiamo riprendere rapidamente da questo punto per arrivare allaterza e più complessa nozione di trascendenza e cioè la trascendenza delresto, del residuo.

    Il secondo passaggio riguarda la trascencenza della domanda d'amo-re rispetto alla domanda; la domanda, inlatti, è la messa in forma signi-ficante del bisogno ma è sempre domanda di qualcosa, domanda all’Al-tro di qualcosa che l'altro ha. Questa è la comanda sul lato immagina-rio: domandare all’Altro qualcosa che l’Altro ha immaginando che l’Al-tro abbia ciò che gli si chiede. La domanda immaginaria, quindi, è unadomanda d'avere. La domanda immaginaria è la domanda che supponeche l'Altro contenga l'oggetto; non si tratta, quindi, dell'oggetto perdu-to o dell’oggetto inteso come buco ma del fatto che l'oggetto sia in pos-sesso dell’altro. Tutto ciò genera sentimenzi terribili quali l'invidia, lagelosia, l’aggressività, ecc. La domanda d’amore, invece, per come vieneteorizzata da Lacan nel Seminario IV, non è una domanda immaginariaperché non mira a ciò che l’Altro ha ma a ciò che manca all'Altro.

    La domanda d'amore è una domanda simbolica, è una domanda al

    di là della domanda immaginaria. La domanda d'amore non è ladomanda d'oggetto ma la domanda di un segno, del segno della man-canza dell’altro. La domanda d’amore è trascendente rispetto alladomanda immaginaria, è, come dice Lacan, al di là della domandaimmaginaria in quanto non ha oggetto. Le. domanda d’amore, cioè, èdomanda d’essere, domanda che costeggia un vuoto: non si ama maiqualcuno per quello che ha ma, piuttosto, per quello che non ha. Il veroamore è l'amore per il difetto non l’amore per lo stendardo, per l'inse-gna, per quello che l’altro ha. Il vero amore significa amare il punto di

    imperfezione dell’Altro, elevato alla dignità dell'oggetto agalmatico.

    3.3 La terza forma di trascendenza: l ai di là del desiderio

    Il terzo passaggio riguarda la trascendenza del desiderio. Più poeti-camente, ma anche più letteralmente, faremo riferimento alla trascen-denza del resto, alla trascendenza del residuo. Lacan, sempre a pagina

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    688 degli Scritti, dà una definizione molto nota del desiderio collocan-dolo «al di là» e «al di qua» della domanda. Più precisamente il deside-rio è la riapparizione della particolarità obliterata al di là della doman-

    da. In questo senso, quindi, possiamo scrivere la formula del desideriocome resto, come trascendenza residuale. La domanda oblitera il biso-gno e, in un secondo tempo, il desiderio è ciò che spunta come un al dilà della domanda d’amore.

     Abbiamo, quindi, due obliterazioni : la prima obliterazione è quelladel significante che oblitera, annulla, nientifica il bisogno. Questa obli-terazione corrisponde airazione dell'Altro sul soggetto, dell'Altro cheimpone al bisogno di passare dalla strettoia della domanda. La partico-larità del bisogno è annullatadall/ universalità della domanda, dall'azio-

    ne dell*Altro del linguaggio. E su questo punto preciso che Lacan siscosta da Hegel poiché questa cancellazione del particolare da partedell'universale non produce, come avviene invece in Hegel, una riconci-liazione ma piuttosto una riapparizione del particolare al di là delladomanda. Questo particolare che riappare al di là della domanda è pre-cisamente il desiderio. Il desiderio, quindi, deriva dalla particolarità pri-mitiva, arcaica, originaria, mitica del bisogno naturale snaturato dall'a-zione del significante; questa particolarità però non si lascia assorbire,diversamente da Hegel, dall’universale in quanto riappare al di là dell’u-

    niversalità della domanda. Il fatto che l’universale non assorba il parti-colare è un punto centrale in Lacan; è il punto per cui egli non fa coin-cidere Famore con il desiderio.

    Qual è, dunque, la differenza tra la dimensione dell amore e ladimensione del desiderio? Il desiderio si riferisce all'oggetto piccolo (a)mentre la domanda d’amore si riferisce all’Altro barrato ip().

    d *■(a)

    Da A Possiamo interrogarci, ora, su cosa significhi il fatto che il desiderio

    è un particolare che riappare al di là della domanda. Per rispondere aquesto interrogativo è necessario notare che il desiderio è il prodotto diun resto. L'ordine del significante, infatti, sovrapponendosi alFordinedel bisogno naturale produce una mortificazione che lascia un resto, un

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    nocciolo reale che non è integrabile nel discorso universale. Questonocciolo particolare, non sussumibile nelle maglie dell’universale, è

    quello che riappare nel desiderio e che, con Lacan, noi chiamiamo il«residuo dell'obliterazione». L’oggetto piccolo (a) non è l’oggetto deldesiderio, non è uno degli oggetti che noi immaginiamo in possesso del-l’altro, non è l’oggetto della domanda immaginaria, ma è l’oggetto checausa il desiderio. Questa differenza è molto importante in quanto l’og-getto del desiderio ha uno statuto immaginario mentre l’oggetto causadi desiderio ha uno statuto reale. Nella pagina688 vediamo abbozzatala teoria dell’oggetto piccolo (a) che. in realtà, Lacan non ha ancora svi-luppata. Questa teoria viene abbozzata nell’idea secondo cui il desiderio

    è un resto; questo resto non è un resto passivo ma, al contrario, un restoche causa qualcosa, un resto causativo.A

    Quando Lacan afferma che il desiderio riappare al di là delladomanda, questo significa che c’è una dimensione del desiderio che èirriducibile alla domanda d’amore. La domanda d’amore, infatti, è ladomanda del segno della mancanza dell’Altro mentre il desiderio nonpunta alla mancanza ma è causato, sospinto da un oggetto. Abbiamo,quindi, questa differenza fondamentale tra la domanda d’amore che èdomanda del segno della mancanza delTAltro e il desiderio che, invece,è causato da un resto che non è assorbito dall’azione significante delladomanda sul bisogno particolare. Ma la domanda d’amore si può soddi-sfare? Come si soddisfa la domanda d’amore? Hegelianamente ladomanda d’amore si soddisfa nel riconoscimento, nel fatto di esserericonosciuti dall’Altro, di essere fatti valere dall’Altro nel nostro statutopiù particolare.

    La soddisfazione dell’amore, cioè, è una soddisfazione simbolica, lasoddisfazione del riconoscimento. Nell’amore, si tratta della soddisfazio-

    ne del segno. In questo senso Lacan nel Seminario XX12potrà affermareche è proprio per questo motivo che le donne si soddisfano nelle poesied'amore, nella lettera d’amore, si soddisfano anche solo nel sentir parla-re d’amore. Non gli uomini, dunque, ma le donne si soddisfano nel par-

    11 Cfr. M. Recalcati. L’universale e il ¡ingoiare. Lacan e l'al di là dei principio di piacere,M&rcos y Marcos, Milano 1995.12 J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora, 1972-1974, Einaudi, Torino 1983.

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    lare d'amore... L’amore è una soddisfazione della parola, una soddisfa-zione della scrittura che si realizza attraverso le lettere d'amore... Rispet-to al parlare d'amore, il rapporto sessuale è molto diverso... siamo,infatti, di fronte a due diversi tipi di soddisfazione. La soddisfazionedella parola d’amore è molto diversa dalla soddisfazione sessuale, dallasoddisfazione legata all’oggetto sessuale... Si tratta di due dimensionidiverse che, ad esempio, nella clinica dell’isteria troviamo come struttu-ralmente dissociate. Nell’isteria femminile, infatti, spesso si trova cheladdove c’è la soddisfazione della parola d’amore manchi la soddisfazio-ne pulsionale del corpo. Una soddisfazione esclude l’altra: la soddisfa-zione della parola impedisce la soddisfazione del corpo e, per questo

    motivo, ci sono soggetti che scelgono dei partners a cui inviare le lettered’amore e dei partners con cui avere uno scambio di godimento... Inquesto senso l’isteria è la figura clinica che più di altre può illuminarequesta zona della struttura. L’isteria illumina cioè il fatto che esiste un’e-terogeneità fra la soddisfazione d’amore e la soddisfazione del desiderio.

    Esiste, dunque, una dimensione di infinito che pertiene al desiderio.Lacan, infatti, utilizza spesso questa associazione fra il desiderio e l’infi-nito. Esistono due modi di dire il rapporto fra il desiderio e l'infinito: ilprimo modo è quello semiotico secondo cui il desiderio è una metoni-

    mia, cioè uno slittamento infinito da un oggetto all’altro poiché non c’èmai un oggetto che dia pace al desiderio in quanto il desiderio è,appunto, questo stesso rilancio continuo verso altro da desiderare...Desiderare, cioè, è sempre desiderare altro, non desiderare il desideriodell'Altro ma desiderarealtro, altro, dunque, anche rispetto al desideriodell’Altro. Il desiderio appare qui nella sua versione antidialettica inquanto non si appaga nel desiderio dell’Altro, ma è al di là anche deldesiderio dell’Altro, dunque al di là dell’amore. Questo è il primo mododi intendere l’infinito del desiderio come una metonimia. Si deve nota-

    re, inoltre, come questa equiparazione del desiderio alla metonimiasganci il desiderio lacaniano dal desiderio hegeliano.

    Il secondo infinito del desiderio che Lacan sviluppa molto bene nelSeminario IV  dipende dal fatto che il desiderio è nostalgico, è associatoalla nostalgia o, per utilizzare un termine di questo stesso Seminario, èuna forma di «rimpianto». Il desiderio è il rimpianto di ciò che nonabbiamo mai avuto, il rimpianto delFoggetto perduto come direbbe

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    Freud. Il desiderio vive il paradosso di cercare in avanti ciò che lo causa

    da dietro, essendo destinato, di conseguenza, a trovare l’oggetto sempredisarmonico, discorde rispetto a ciò che lo causa. Per questo motivol’oggetto piccolo (a) non può mai coincidere con l'altro minuscolo inte-so come simile. Come oggetto che causa il desiderio, l’oggetto piccolo(a), ha una funzione di calamita, di attrazione sul desiderio ma, in quan-to contraddistinto dalla nostalgia, esso non è altro che un vuoto. Essoindica il punto di perdita originaria del soggetto, dunque non ha sostan-za, è un vuoto che, però, causa, orienta il desiderio motivando, cosi, ilsuo carattere nostalgico e di rimpianto.

    Quando il desiderio può arrestare la sua corsa metonimica? Non nel-l’incontro con l’altro dell’amore e del riconoscimento, ma nell’incontrocon qualcosa nel quale il soggetto può ritrovare ciò che non ha mai incon-trato: una traccia, una lettera, una marca, un’impronta dell’oggetto perdu-to. Questo è precisamente l’oggetto piccolo (a). Abbiamo, dunque, l'og-getto piccolo (a) come un punto vuoto, (l’oggetto perduto da sempre) el’oggetto piccolo (a) come residuo dell’obliterazione originaria che noiincontriamo nella forma del dettaglio, dell’impronta, della marca, dellalettera, del resto appunto dell’obliterazione significante. Il vuoto e il restosono i due modi finali con cui Lacan dice la dimensione del desiderio.

    Sempre a pagina 688 Lacan afferma che 1amore è una domanda incondizionata mentre il desiderio è unacondizione assoluta. Qual è ladifferenza fra queste due definizioni? Una domanda incondizionatasignifica non tanto una domanda di qualcosa ma una domanda dellapresenza dell’Altro, ovvero non di ciò che l’Altro ha ma dell’essere del-l’Altro. In questo caso si tratta, comunque, di una domanda rivoltaall’Altro. L’incondizionato della domanda d’amore implica l'Altro per-

    ché nell’amore noi domandiamo incondizionatamente la presenza del-l’Altro e per questo siamo disposti a donare la nostra presenza comesegno, come dono simbolico. Nell’amore, in effetti, l’oggetto del dono èla presenza. La domanda d’amore è una domanda incondizionata cheimplica una intersoggettività. L’assoluto dell’amore si gioca nella dimen-sione dell’intersoggettività.

    E diverso, invece, dire che il desiderio del soggetto è una condizioneassoluta. Lacan lo dice in modo molto brusco: il desiderio, dice, puntaal fallo. Il desiderio, cioè, non cerca il segno della mancanza dell’Altro

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    ma cerca un oggetto capace di sostenersi come significante del desideriodell Altro. Il tallo è il nome che Lacan dà a questa idea immaginaria che

    esista un oggetto capace di completare Tessere del soggetto. Per questomotivo Lacan fa del fallo il significante del desiderio. Restiamo ancorasu questa definizione della condizione assoluta del desiderio: chi ci inse-gna questo nella clinica? Per trovare una figura clinica che ci illuminimeglio quest altra zona della struttura e cioè il desiderio come condizio-ne assoluta dobbiamo passare dalla donna all uomo, dall’isteria alla per- versione. La perversione, infatti, è la struttura clinica che meglio illumi-na questa configurazione del desiderio come condizione assoluta. Inparticolare, per semplificare, neirambito delle perversioni dobbiamo

    fare riferimento al feticismo maschile. La perversione feticistica illuminache cosa significhi il fatto che il desiderio sia una condizione assoluta; ilgodimento perverso del feticista, infatti, ncr è mai godimento del segnodell’Altro, non è mai godimento della parola. La soddisfazione del feti-cista non è la soddisfazione della parola, non è la soddisfazione delFamore. Per il feticista, infatti, la soddisfazione è legata a un oggetto parti-colare: il feticista, cioè, non gode dell’Altro ma gode dell’oggetto. Aitempi di Freud il feticista godeva del tacco a spillo e il tacco a spillo questo è il punto della struttura era la condizione assoluta per causare

    il desiderio, cioè quello che una volta JacquesÀlain Miller ha chiamatoil «divino dettaglio» per indicare, appunto, la condizione assoluta deldesiderio. Mentre le donne hanno il problema di come integrare laparola d’amore con il godimento del corpo, negli uomini il problema èquello di reperire il divino dettaglio nel corpo dell'Altro; è questa lacondizione feticistica di fondo del desiderio maschile. Questa condizio-ne, che nel feticismo patologico si amplifica, secondo Freud e Lacan, èstrutturale in quanto appartiene alla struttura del desiderio maschile.

    Se ci riferiamo all’opposizione fra l’isteria e il feticismo possiamonotare che l’isterica è disposta a sacrificare il godimento per parlare d’a-more. Ho un paziente, ad esempio, che ha una compagna isterica che losottopone tutte le notti a una sorta di test: la donna prima intavola unalunga discussione sul tema dell’amore e poi, se l’uomo sostiene il“ritmo” di questa conversazione, concede il proprio corpo al godimentosessuale... Ma e questo è il motivo della sua angoscia , egli non devefingere di appassionarsi ad una discussione, non deve far finta di inte-

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    ressarsi a ciò di cui si discute perché altrimenti lei. nel rapporto sessua-

    le, fa solo finta di godere di lui... Lei risponde con una tipica manovraisterica che consiste nel dare il proprio corpo assentandosi da esso... L’i-sterica, quindi, verifica se l’uomo si assenta dalla parola sottoponendoloa sfibranti discussioni notturne e solo dopo aver verificato tutto ciò puòconcedersi. Ma, in fondo, il suo godimento è quello della parola. Alcontrario, come dice JacquesAlain Miller, gli uomini sono un po' bru-tali nel rapporto con l'Altro sesso, essi sono per lo più orientati dal cri-terio di sostanza mentre le donne sono orientate dal criterio di vuoto edè veramente difficile conciliare queste due posizioni. Questo è ciò che

    conferma la tesi di Lacan della disarmonia radicale fra i sessi.

    4. Il grande Altro nella conduzione della cura

    Riprendiamo uno degli schemi più noti di Lacan che viene sviluppa-to ampiamente nel Seminario II  e, in particolare, nel capitolo “Introdu-zione al grande Altro”, e cioè lo schema L. Si tratta di uno schema car-

    dine per capire il concetto di Altro in Lacan.

    Il merito di questo schema è il fatto di essere uno schema da cuiemerge chiaramente la differenza fra l’altro immaginario e l’Altro sim-bolico. L’altro immaginario si trova sull’asse a a?mentre l'Altro simbo-lico si trova sull'asse A S. Potremmo sostenere che questo è lo schemapivot di tutto il primo insegnamento di Lacan che èfondato sulPop-posizione tra Immaginario e Simbolico e, di conseguenza, sull'ideasecondo cui un’esperienza analitica sia un modo per giungere ad unasimbolizzazione progressiva dell'Immaginario. Potremmo anche aggiun-

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    che, nel Seminario II, Lacan definisce come «inerzia dell’Immaginario».14

     Abbiamo, quindi, sullo stesso lato l’inerzia dell’Immaginario, la rela-zione tra Io e la dimensione dell’erotizzazione e dell aggressività imma-ginaria (l'odio, invece, come dice Lacan, è una passione delTessere, nonè solo legata all'immagine).

    Se passiamo all’asse simbolica S A, possiamo notare che quest assenon è statica bensì dinamica. In effetti, Lacan parla di «una dinamicasimbolica».15 Abbiamo, quindi, da una parte l’inerzia immaginaria e, dal-l’altra, la dinamica simbolica, la dinamica della parola. Da una parteabbiamo la simmetria immobile a a’, Fidentificazione tra Io e dall’altra

    l’asimmetria simbolica introdotta dalla parola. Questa asimmetria dipen-de dal fatto che nella misura in cui il soggetto parla ad un altro egli devepassare attraverso il linguaggio che è un terzo rispetto al soggetto e all’al-tro, è un terzo trascendente il rapporto di comunicazione stabilito dallaparola. Il linguaggio è, infatti, la condizione trascendentale che ci fa par-lare. Sempre facendo riferimento alla costruzione dello schema L. possia-mo notare anche che la nozione di sintomo non è sul lato immaginarioma su quello simbolico. Questa cosa sembra un po’ paradossale in quan-to il sintomo mostra una sua staticità e, in effetti, i pazienti in analisi silamentano perché il sintomo non cambia, perché resta sempre allo stessoposto. Eppure Lacan dice che il sintomo è articolato simbolicamente enon immaginariamente. Si tratta di questioni cliniche molto complessema nodali nel senso che è necessario distinguere la dimensione dell iden-tificazione da quella del sintomo. Nell’ultimo Lacan questa distinzione

     viene meno in quanto egli fa convergere sintomo e identificazione; nelLacan degli anni ’50 invece il sintomo si trova sull’asse simbolica mentreFidentificazione sull’asse immaginaria. Il sintomo, cioè, si trova sull asse

    simbolica in quanto il sintomo è un fatto di linguaggio, una metafora, unsignificante che sta al posto di un significato rimosso. Se nell’analisi por-tiamo un soggetto a “dire bene”, il sintomo si scioglie in quanto vienedecifrato. L’idea base di Lacan è quella secondo cui la dinamica decifratoria della parola si contrappone all’inerzia dell’Immaginario.

    14  Ivi, p. 286.15  Ivi, p. 387.

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    Sullo schema L il sintomo si situa sull’asse A S mentre la posizionedell’analista è quella dell’Altro maiuscolo; l’analista, in questo senso, èl’incarnazione, la presentificazione dell7asimmetria delPAltro. Questa,

    infatti, è un’altra nozione da tenere presente e cioè il fatto che Lacan usil’espressione «luogo dell’Altro» anche per definire il luogo dell’analistanella conduzione della cura analitica. Molto brevemente potremmo direche questo significa che il luogo dell’Altro, il luogo delTanalista, è unluogo non simmetrico, dissimile rispetto a quello dell’Io. Lacan marcaprecisamente questa dimensione dell’analista come incarnazione deldissimile facendone l’incarnazione della morte, teorizzando la necessitàdella sua cadaverizzazione. Si tratta di una modalità per dire che esisteun’appartenenza del Simbolico alla morte e viceversa. Ogni volta che siconsidera l’ordine simbolico, il luogo dell’Altro, la trascendenza del lin-guaggio, Lacan pensa alla morte perché dove c’è il linguaggio, dove c’èil simbolo, dove ce la parola, dove c’è l’Altro maiuscolo, c’è perdita di

     vita, c’è perdita di natura come già dicevano Hegel e Kojève.In questo senso Lacan rifiuta tutte le teorie del controtransfert che

    invece collocano la conduzione della cura integralmente sull’asse imma-ginaria, da Io a Io. Il transfert cosiddetto positivo corrisponderebbecosì all’espressione, da parte del paziente, «Ti voglio bene analista!»,

    mentre il transfert negativo a quella: «Ti odio analista!». All’inverso, ilcontrotransfert positivo da parte dell’analista sarà: «Mi fa piacere vederti paziente!» e il controtransfert negativo: «Ti detesto paziente!».Si tratta, come si vede, di sentimenti positivi e negativi sul lato dell’analista e su quello del paziente. Lacan dice che tutto ciò si situa sull’asseimmaginaria ed è ciò che disturba il funzionamento del dispositivo ana-litico. La condizione che permette al dispositivo analitico di funzionare,invece, è come scrive Lacan in Varianti della cura-tipo16  un’ascesi.L’analista, nel suo essere analista, è in una posizione di ascesi. Non si

    tratta, evidentemente, di un’ascesi mistica ma di un’ascesi rispetto all’Io,rispetto all’asse immaginaria, un’ascesi che si specifica molto precisamente nella differenziazione che Fanalista deve poter compiere tra tran-sfert immaginario e transfert simbolico. Nella cura il transfert immagi-

    16 J. Lacan, Varianti della cura-tipo, inScritti, cit., pp. 317356.

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    sione immaginaria del transfert. Se ci si immedesima con il paziente,cioè, non si opera bene perché si annulla la condizione stessa del kvoroanalitico e cioè la divaricazione tra l’Immaginario e il Simbolico.

    Per capire la posizione dell’analista nel transfert, dunque, è necessa-rio tenere a mente questi due elementi: da un lato l'ascesi —e chi lavorain particolare con soggetti psicotici o molto gravi capisce cosa significhi

     veramente l’ascesi nel senso stretto della «sopravvivenza dell'analista»,come direbbe \X7Ìnnico:t e dalFaltro il «desiderio più forte» che devepoter animare Fanalista. La condizione perché le interpretazioni sianoefficaci in un’analisi, infatti, è prodotta dalFincontro con il reale deldesiderio dell’analista, con questo «desiderio più forte» che anima Fa-nalista e che non è il desiderio di indottrinare il paziente, un desiderio

    pedagogico, né tantomeno un desiderio di tipo medicoterapeutico diguarire il paziente ma è un desiderio che presentifica il reale della mortecome reale al di là delFimmaginario. E un desiderio che mira a produrre«la differenza assoluta»

     4.1 Domande e risposte

     Domanda-. Vorrei sapere in che senso ha parlato della pulsione dimorte...

    Dove c’è il Simbolico, dove c'è la parola, dove c’è il linguaggio, c’èla morte della Cosa. Questo è il punto in cui Lacan è maggiormentehegeliano: dove c’è la comanda, cioè il significante, c’è la morte dell’animale. Per spiegare meglio questa idea proporrei di accostare la pagina677 del testo Introduzione a Hegel di Kojève alla pagina 298 del Seminario I. E impressionante notare il fatto che mentre Lacan afferma che :

    «Il concetto non è la Cosa in quanto essa è, per il semplice motivo che ilconcetto è sempre là dove la Cosa non è. Il concetto sostituisce la Cosacome l’elefante che posso fare entrare semplicemente pronunciandoloda quella porta...» .18 Quasi utilizzando gli stessi termini Kojève può a

    18 J. Lacan, Il Seminario Libro1. Gli scrini tecnici di Freud, 19)3-54, Einaudi, Tonno1978, p. 298.

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    sua volta scrivere: «Il rapporto tra il cane e l'essenza cane è naturale maquando, grazie alla potenza assoluta dell'intelletto, l’essenza diventasignificata e si incarna in una parola tra essa, la parola cane, el suo sup-porto naturale non c’è più alcun naturale. Qui. dunque, la parola cane èstata negazione del dato così come è dato. Il significato incarnato nellaparola cane può continuare a sussistere anche dopo che sulla terra sonoscomparsi tutti i cani».

    Uicea che la parola uccide è un’idea ricorrente nell’opera diLacan. L'Altro, allora, è pulsione di morte nel senso del rapportoprofondo che si genera tra l’azione del simbolo e la morte comeannientamento, surclassamento del dato naturale. In seguito, però,

    Lacan modificherà molto quest'idea in quanto, nel periodo classicodel suo insegnamento che possiamo circoscrivere nella prima partedegli anni cinquanta —la pulsione di morte è un'espressione del Sim-bolico; la parola cioè uccide la Cosa. La pulsione di morte, dunque, èciò che si manifesta nella ripetizione simbolica. Dopo il Seminano VII. Letica della psicoanalisi, però, ci sarà una svolta radicale in que-sta concettualizzazione...

     Domanda: Vorrei chiedere alcune delucidazioni sull’oggetto piccolo

    (a) come traccia, come vuoto...

    Faccio un esempio un po’ banale: esistono due generi di gatti, i gattiche «fanno», come si usa dire, «la pasta», ovvero che muovono le zatnpette anteriori come se stessero succhiando il latte dalla mammagattautilizzando come surrogato della mammella ogni genere di cose e quelliche non lo fanno. Da poco ho un gatto, che ho chiamato Martino percelebrare il nome di Heidegger..., che non si comporta cosi che non«fa la pasta»... Il veterinario mi ha dato una spiegazione di questo fattoe cioè che il mio gatto non «fa la pasta» perché è stato svezzato secondodei tempi naturali. Gli altri gatti, invece, quelli che «fanno la pasta»,hanno dovuto subire uno svezzamento anticipato... Potremmo dire chenel genere umano non esiste un essere come Martino: tutti gli esseriumani, infatti, si comportano come i gatti che «fanno la pasta» in quan-to non esiste per gli esseri umani un tempo naturale dello svezzamen-to... Come per i gatti, quindi, anche per gli esseri umani esiste qualche

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    tipo di oggetto che si presta meglio a surrogare la funzione dell’oggettoperduto. Ebbene questa sorta di selezione di oggetti ha a che fare conl'oggetto piccolo la); possiamo aggiungere, però, che la separazione dal-l’oggetto perdute non è ma: una separazione in pura esteriorità ma èanche una separazione da quell’oggetto che noi stessi siamo. Si trattacioè, di un oggetto che, come il panno della gatta che «fa la pasta», è unpanno che non ha lo stesso prestigio della mammella della madre,’ è unoggetto scarto che, però, acquista un valore speciale dovuto al fatto chesa produrre un «più di godimento»...

     Domanda: Vorrei sapere dove potremmo collocare l’oggetto piccolo(a) sullo schema L; l’oggetto piccolo (a), infatti, tocca sia l’Immaginario

    che il Simbolico.

    Nello schena L Lacan non implica il Realein quanto i registri coin- volti sono solo quelli dell'Immaginario e del Simbolico. NelSeminario I  Lacan afferma che«il linguaggio non è concepibile altrimenti che comeun grande reticolo, ana rete sull’insieme delie cose, sulla totalità delreale. Il linguaggio inscrive sul piano del rede quell’altro piano chechiamiamo piano simbolico».’'' Questo significa che il linguaggio è unarete che copre il Reale il quale, secondo una bgica un po’ parmenidea,

    rappresenta unessere che è dato onginariairente e che verrebbe rico-perto dalla retedel linguaggio come in ur, empo secondo. Il Realequindi, sarebbe fuori dal Simbolico, non entrerebbe in relazione al lin-guaggio. D o p il Seminario VII  Lacan corregge questa sua posizioneincludendo ideale nel Simbolico; in questocaso il Reale non sarebbepiù la totalità delle cose su cui cadrebbe la raedel linguaggioma. piut-tosto, un predotto del linguaggio stesso. Il fole, allora, è il resto di cuiparlavamo prima, dò che il linguaggio non ¿esce a simbolizzare inte-gralmente. 3bisogno naturale viene sigribmtizzato ma rimane un

    resto che riamarei di là della domanda. Peinspondere meglio alla suaquestione sipotrebbe anche aggiungere de,1Reale si incarna nell’analista con*,e oggetto in grado di mantenere asimmetrici i due assi del

    19 | . Lace».n,tkminsio. Ubro /..., cit., p.323.

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    Simbolico e dell’Immaginario. Se Fanalista non si pone come oggettoreale, abbiamo lo schiacciamento dello schema L e, quindi, una sorta dineosimmetria. Se le due linee dello schema coincidono non abbiamo la

    presenza dell'elemento reale ma soltanto una pura simmetria specularetra Io. In questo senso si può notare come tutta la teoria del contro-transfert e dell’empatia sia un etfetto proprio delFabolizione dell’anali-sta inteso come oggetto reale.

     Domanda: Vorrei che dicesse qualcosa di più sulla differenza tra ildispositivo analitico nella Scuola lacaniana e il setting così come vieneconcepito dall’IPA.

    È molto importante questa domanda perché Fidea che la SPI e, ingenerale, i postfreudiani hanno a questo riguardo è che ciò che èdeterminante per il funzionamento di un’analisi sia il mantenimentodella costanza del setting. La condizione basale perché un'analisi fun-zioni sarebbe la preservazione del setting nella sua neutralità. Ci sono,ad esempio, degli analisti freudiani ossessionati dal fatto che una voltache un'analisi comincia le sedute debbano essere tre o quattro, in gior-ni fissi, ad ore fisse, con una durata standard di 45 minuti... È una

    concezione standard del setting. Se si legge un'opera come Tecnica del colloquio di Semi ci si può fare un’idea di come i postfreudiani inten-dano la dimensione del setting. Per noi queste formulazioni di regole eprecetti sono semplicemente fuori senso in quanto se non c'è il deside-rio dell'analista tutti questi provvedimenti formali sono inutili... Se Fa-nalista, cioè, non è nella posizione del «desiderio dell’analista» comedesiderio «più forte», nonostante tutte le accortezze tecniche che sipossono adottare, l’analisi non viene tutelata nel suo orientamentoetico di fondo.

    Per ritornare alla sua domanda vorrei aggiungere che, come diceFreud, la condizione della tecnica è l’etica; la tecnica da sola, cioè, nonpuò mai sostenere un’analisi. Senza l’operatore «desiderio dell’analista»non è possibile, in altri termini, produrre un’analisi. La tecnica senzadesiderio, infatti, è morta e non solo cieca.

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     4.2 LA ltro come principio di mediazione

    Uno dei significati dell’Altro maiuscolo è quello che Lacan utilizza

    per definire il posto delFanalista nella direzione della cura.Le due declinazioni dell’Altro lacaniano che abbiamo percorso sino

    ad ora sono state quella dell’Altro come luogo delTintersoggettività equella dell’Altro come luogo della catena significante, come luogo neu-tro del codice. Nella prima declinazione in primo piano è l'Altro comeprincipio dialettico di mediazione, mentre nella seconda in primo pianoè FAltro come principio di negativizzazione simbolica della naturalitàdel vivente.

    Queste due declinazioni dell’Altro costituiscono i due principi chedefiniscono il modo in cui Lacan concepisce Fazione stessa dell’analista.Quest’azione, infatti, è sia un’azione di mediazione che rende possibileil riconoscimento simbolico che un’azione di mortificazione nel sensoche fa sentire al soggetto m analisi l’effetto “letale” dell’azione del lin-guaggio. Dobbiamo, dunque; mettere in valore questi due movimentipropri dell’azione dell’analista. Per far questo è necessario riprendere loschema L:

     Applicheremo questo schema alla seduta analitica e, più in generale,alla problemadca della conduzione della cura analitica. Nello schema L

    il luogo dell’Altro è il luogo dell’analista, il luogo di S è il luogo del sog-getto dell’inconscio mentre l’asse simbolica mette in rapporto il sogget-to dell’inconscio al luogo dell Altro. L’asse simbolica, inoltre, subisceun’interferenza da parte dell’asse immaginaria in cui a minuscolo indical’Io dell’analista e / indica 1Io del paziente. Abbiamo, quindi, una dop-pia polarità: da una parte l’inconscio in rapporto all’Altro e, dall’altra,la relazione simmetrica tra i due Io, l’Io del paziente e l’Io delFanalista.

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    Limmedesimazione, cioè, significa che nel transfert idealizzante edimmaginario i due soggetti si riconoscono come medesimi. Si trattadi una relazione puramente simmetrica. Nel dopo Freud tutte le teo-

    rie sul controtransfert e sulFempatia operano, come abbiamo già visto, uno schiacciamento dello schema L nel senso che lo schema Lsubisce una sorta di appiattimento simmetrico verso il basso e, diconseguenza, non articola più una dissimetria ma, al contrario, unarelazione di pura specularità. Il soggetto viene così abolito nell’Iomentre, dal lato dell’analista, la funzione dell’Altro viene assorbitanella simmetria della risposta empatica. In altri termini potremmodire che la dissimmetria interna allo schema, ovvero la non coinci-denza tra la relazione immaginaria e quella simbolica, si perde in un

    appiattimento dell’una sull'altra che porta, sul lato del soggetto all’abolizione dell’inconscio nell’Io e sul lato dell*Altro alla riduzionedella sua funzione all’Io immaginario. Si tratta di una relazione trapari, tra simili, che però continua ad essere dominata da un elementosuggestivo in quanto, in questo appiattimento, l’Altro continua a fun-zionare ma solo sotto forma di pura suggestione. L’Altro, cioè, diven-ta l’Altro del carisma, l'Altro della funzione carismatica, immagina-ria, seduttiva. Questo è precisamente l’effetto dello schiacciamentodei due assi dello schema L.

    Se però t •>riamo all’asimmetria possiamo cogliere l'importanza del-l’asse simbolica, .a quale caratterizza il rapporto fra il soggetto dell’in-conscio e il luogo dell’Altro. Concretamente questo significa che TAltroè un principio di mediazione. E da questa prospettiva che possiamointrodurre la tesi dialettica della funzione dell’analista come funzione dimediazione. E l'idea lacaniana dell’analista come «puro dialettico»,erede di Socrate edi Hegel, dell'analista come «maitre» della verità nonperché, come sostengono i postfreudiani, esso rende possibile un

    ampliamento della coscienza permettendo di annettere alla coscienzazone oscure del cosiddetto inconscio, ma perché rende possibile l’emer-genza stessa dell'inconscio. Nella partita analitica, cioè, non è tanto inquestione l’ampliamento della coscienza, un guadagno di conoscenza,quanto, piuttosto, la possibilità dell'emergenza dell’inconscio. L’inter-pretazione, in fondo, è fare segno al paziente dell'emergenza deO’incon-scio quando questo emerge nei ritorni del rimosso, ovvero nelle forma-

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    zioni delFinconscio quali sono i lapsus, gli atri mancati, i sintomi, isogni, ecc.

    In questo caso si vede bene come il Simbolico, rappresentato dal-l'Altro maiuscolo non esprima un potere di alienazione, di mortificazio-ne sul soggetto ma piuttosto un potere di riconoscimento. L’Altro, cioè,rende possibile un’esperienza della soddisfazione simbolica in quanto ilsoggetto dell’inconscio trova nell'Altro il luogo del proprio riconosci-mento.

    Dprimo Lacan, in particolare, sottolinea molto questo concetto delriconoscimento simbolico delFin con scio. Prendiamo in esame alcune

    definizioni fondamentali che Lacan dà dell’azione dell’analista. In Fun zione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi egli scrive checiò che fa l’essere dell’analista è «il suo rifiuto di rispondere».20 NegliScritti, inoltre, troviamo una definizione fondamentale —si tratta di unpasso molto citato dai commentatori di Lacan che, purtroppo, noncompare nella nostra introduzione a Jacques Lacan e che, quindi, è unoscarto di valore «L’analista» scrive Lacan «interviene concreta-mente nella dialettica dell’analisi facendo il morto, cadaverizzando lasua posizione come dicono i Cinesi, sia con il suo silenzio là dove egli è

    l’Altro con un’A maiu