MARZO 2017 - Eni · e radici culturali. Ora il cambia-mento. Prima ad Algeri e poi a Vienna, tra...

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Oil magazine n.34/2017 - Spedizione Postatarget Creative Supplemento gratuito a Il Foglio Quotidiano del 14/03/2017 Numero MARZO 2017 magazine 34

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Sembrava una chimera. Ognipregresso tentativo di concilia-re le posizioni dei membri in-terni all’OPEC per porre un ar-gine consensuale alle periodiche

oscillazioni del mercato del greggio avevaprodotto risultati, se non proprio ineffica-ci, quantomeno di scarsa durata. Gli inte-ressi nazionali hanno spesso prevalso rispettoal bene comune, rivelando resistenze che,in realtà, riflettevano le differenze sociali edeconomiche dei Paesi che fanno storica-

mente parte delCartello, uniti dalbenevolo destinodi ospitare sulproprio territorioconsiderevoli ri-serve di petrolioma spesso diame-tralmente distan-ti per tradizione,vicende storichee radici culturali.Ora il cambia-

mento. Prima ad Algeri e poi a Vienna, trasettembre e novembre 2016, è successo ciòche molti osservatori internazionali ritene-vano altamente improbabile: la sottoscri-zione di un accordo che, oltre a sancire ri-duzioni ben precise sul versante della pro-duzione di greggio, ha stabilito nuovi equi-libri interni ed esterni all’Organizzazione,raggiunti anche per restituire ossigeno a bi-lanci pubblici ed economie che, moltospesso, fanno affidamento quasi esclusiva-mente sui proventi del petrolio, e chequindi molto hanno pagato alla discesa re-pentina delle quotazioni, dal 2014 ad oggi.Ne è convinto Mohammad Sanusi Barkin-do, segretario generale dell’OPEC, che os-serva come alla politica dei veti incrociati sta-volta si sia sostituita la ragionevolezza, cosìda dar vita ad “un evento storico”. Comespiega in maniera esaustiva Moisés Naím,gli alti prezzi precedenti alla crisi post-2014avevano favorito la produzione di shale oilstatunitense con la conseguente sovrab-bondanza di greggio sui mercati mondiali,e la pressione ribassista sulle quotazioni. Inprima battuta il Cartello aveva deciso dimantenere inalterate le quote di produzio-ne per frenare l’espansione americana, maalla lunga l’incidenza negativa di tale scel-ta sulle casse dei Paesi membri, prima fra tut-

te l’Arabia Saudita, ha costretto il Cartelload addivenire a più miti, e vantaggiosi, con-sigli, rivedendo la propria strategia prote-zionistica e procedendo al ridimensiona-mento delle estrazioni per sostenere i prez-zi. Come ben visualizza la mappa in aper-tura del numero, ad oggi sembra proprio chegli impegni assunti dai “negoziatori” abbianoprodotto risultati incoraggianti, se i tagli pre-visti avevano raggiunto, a gennaio 2017, laquota del 90 percento rispetto a quanto sta-bilito. Ma Mosca e Washington non stan-no a guardare. La prima ha guidato il con-tingente di paesi non-OPEC verso l’inte-sa, e Yusufov, ex ministro russo dell’Ener-gia, ripercorre nel suo articolo gli episodi at-traverso cui il suo Paese ha contribuito, nelcorso dei decenni, alla costruzione di una po-litica energetica mondiale. Dagli USA si at-tendono segnali nuovi. Le prese di posizioneenergetiche di Trump, come ci raccontanoMolly Moore e Sarah Ladislaw, sono ancoraaccennate ma già al vaglio della comunitàinternazionale. Sarà veramente una politi-ca all’insegna del rilancio della produzioneinterna di idrocarburi e del bando di ognirestrizione alle trivellazioni? È ancora pre-sto per dirlo. L’Arabia Saudita, nel con-tempo, ricerca una via economica alterna-tiva, anche nelle rinnovabili, alla dipendenzadall’oro nero, come ci spiega Bassam Fat-touh, mentre Nigeria, Iraq e Venezuela, gra-zie alla ripresa del barile, vedono forse di-radarsi le nubi economiche che avevano of-fuscato l’orizzonte di una prossima ripresaeconomica. Intanto la domanda di petroliocorre, e lo farà ancora per un po’ di tempospinta, come sottolinea Lazlo Varro, capoeconomista della IEA, soprattutto dal set-tore dei trasporti, una crescita che, come rac-comanda lo stesso Varro, impone una ripresadegli investimenti nell’upstream petrolife-ro. Uno scenario quindi eterogeneo, per-corso, a detta dei nostri esperti, da una sen-sazione di “unpredictability” che ci ac-compagnerà ancora per molto. Senza in-certezza, ma con piacere, voglio invece sot-tolineare il fatto che questo numero del no-stro giornale è distribuito in allegato insie-me al quotidiano Il Foglio. Un’iniziativa che,speriamo, ci consentirà di avvicinare lanostra testata ai lettori italiani e, in pro-spettiva, di farci nuovi amici.

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Il visualPRODUZIONE OPEC E TAGLIO CONCORDATO ED EFFETTIVO

Esclusiva/Parla ilSegretario generaledell’OPECUNA DECISIONE STORICACHE PIACE AI MERCATIdi Daniele Di Mita e Serena Sabino

L’intervento CORREREPER RIMANERE FERMIdi Lazlo Varro

Intervista/TheophilusAhwireng, Ad PetroleumCommission GhanaNUOVI ORIZZONTI DI CRESCITAdi Marilia Cioni e Simona Manna

OPEC UN NUOVO RUOLOdi Jamie Webster

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Analisi OPEC E PREZZI:COSA ABBIAMO IMPARATO?di Moisés Naím

Colloqui/Christoph Frei,segretario generale WECUN PASSAGGIO INEVITABILEdi Giancarlo Strocchia

Scenari L’AGO DELLA BILANCIA È WASHINGTONdi Jim Krane

Casa Bianca AMERICAENERGY FIRSTdi Molly Moore

USA Politics L’ENERGIA A STELLE E STRISCEdi Sarah O. Ladislaw

Stati Uniti UNA NUOVAERA ENERGETICAdi Lorenzo Montanari e Justin Sykes

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AMERICA ENERGY FIRSTdi Molly Moore

40SHALE CONTRO SCEICCHI? di Phillip Cornell

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6INTERVISTA ESCLUSIVA

AL SEGRETARIOGENERALE DELL’OPEC

MOHAMMAD BARKINDOdi Daniele Di Mita

e Serena Sabino

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Trimestrale Anno 10 - N. 34 marzo 2017Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 19/2008 del 21/01/2008

� Direttore responsabileGianni Di Giovanni� Direttore editorialeMarco Bardazzi

� Comitato editorialeGeminello Alvi, RobertArmstrong, Paul Betts, IanBremmer, Roberto Di GiovanPaolo, Bassam Fattouh,Francesco Gattei, Gary Hart,Roberto Iadicicco, AlessandroLanza, Lifan Li, Molly Moore,Moisés Naím, Daniel Nocera,Lapo Pistelli, Carlo Rossella,Giulio Sapelli, Mario Sechi,Lazlo Varro, Enzo Viscusi

� In redazioneCoordinatore: Clara SannaEvita Comes, Simona Manna,Alessandra Mina, Serena Sabino,Giancarlo Strocchia, Manuela Iovacchini

� AutoriMarilia Cioni, Phillip Cornell,Marisol Diaz De Medrano,Daniele Di Mita, DemostenesFloros, Jim Kraine, Sarah O.Ladislaw, Giorgia Lamaro, RobinM. Mills, Lorenzo Montanari,Nicolò Sartori, Justin Sykes,Davide Tabarelli, GiammarcoVolpe, Jamie Webster,Igor Yusufov

� Ritratti autori Stefano Frassetto� FotoPortfolio: Sergio Ramazzotti -ParallelozeroContrasto (Reuters;Redux); Getty (Corbis);IPA (Alamy);Shutterstock; SieMasterfile

GIANNIDI GIOVANNI Un cambio

di scenario

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USA Energy SHALE CONTROSCEICCHI? di Phillip Cornell

Arabia SauditaLA PROSSIMA MOSSAdi Bassam Fattouh

Iran UN FUTURO DI INCOGNITEdi Giuseppe Acconcia

Nigeria, Iraq e Venezuela 3 PAESI CON UN DOMANIDA SCRIVEREdi Gianmarco Volpe,Giorgia Lamaro e MarisolDiaz De Medrano

RussiaVERSO UNASTABILIZZAZIONEdi Igor Yusufov

Focus MERCATO E PREZZI, QUALEANDAMENTO?di Robin M. Mills, Davide Tabarelli e Demostenes Floros

Riflessioni UN ANNOINTERESSANTEdi Roberto Di Giovan Paolo

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Portfolio ABU DHABI:MIRACOLO ARABOdi Sergio Ramazzotti

BaricentriNUOVI EQUILIBRINELL’ERADELL’INCERTEZZAdi Nicolò Sartori

GeopoliticaUN’AMICIZIA FONDATASUL PETROLIO?di Geminello Alvi

Data HAPPY NEWSWING (PRODUCER)a cura di Scenari di Mercato e Opzioni Strategiche di Lungo Periodo Oil (SMOS/OIL) - Eni

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il visual PRODUZIONE OPEC E TAGLIDOPO L’ACCORDO

VERSO UNASTABILIZZAZIONE

di Igor Yusufov

A R I O

Social:About Oil@AboutOil

About OilaboutoilStorify AboutOilYouTube About Oil@AboutOil@about_oil

� Redazione Piazzale E. Mattei, 100144 Romatel. +39 06 51996385+39 06 59822894+39 06 59824702e-mail: [email protected]

� Progetto graficoCynthia Sgarallino� Collaborazione

al progettoSabrina Mossetto� ImpaginazioneImPRINTingwww.imprintingweb.com

� StampaIn Italia: Stab. Tipolit.Ugo Quintily S.p.A. viale Enrico Ortolani,149/151, 00125 Roma� Edizione cineseEUCA Culture &CommunicationsCompany Limitedtraduzione, stampa,pubblicitàwww.eucasolutions.com

� Traduzioni:RR Donnelley

Carta Magno Natural 100 grammi

Chiuso in redazione il 28 febbraio 2017

• Benvenuto in Oil, un giornale edito da Enicon il preciso intento di promuovere un dia-logo aperto sull’energia come strumento af-fidabile e sostenibile per lo sviluppo econo-mico e geopolitico. Oil raccoglie notizie e ideeper la comunità energetica e non solo, of-frendo un’analisi autorevole delle tendenzeattuali nel mondo dell’energia.• Per abbonarsi gratuitamente a Oil scrive-re alla redazione: [email protected]• Per ricevere aggiornamenti via e-mail sulmondo dell’energia e interagire con altri opi-nion leader, iscriviti alla news letter su:www.abo.net

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Iprezzi del petrolio hannoricominciato a salire, il peggioè passato per i produttori, ma non sono aumentati i postidi lavoro nell’industria

petrolifera, anzi l’automazione li ha ridotti. In America, ad esempio,mentre la produzione galopparaggiungendo gli 8,6 milioni di barili al giorno, nello scorsosettembre ben 16.300 posti di lavoronell’industria petrolifera sono andatiperduti. Di questi, 9.800 se ne sonoandati via solo in Texas, lo Statoamericano dove si estrae piùpetrolio. Il rapporto petrolio-estrazione-produzione-costi-riduzione di manodopera eautomazione è all’ordine del giorno,anzi è in cima ai pensieridell’OPEC. Non tutti i Paesimembri possono permettersi il modello americano. Ma chi può lo fa. E a Vienna, nella sededell’OPEC, la discussione è aperta.Certo, la suite presidenzialedell’Intercontinental, dove avevacasa e ufficio lo sceicco Yamani, il saudita che riusciva a mettere tutti d’accordo con le buone o con le cattive, non ospita più un superpetroliere. Ma l’agendadell’OPEC è calda. Due settimanefa, a metà febbraio, nonostantel’aumento delle scorte americane, il prezzo del petrolio è rimastostabile a 53,11 dollari al barile,nonostante gli stock di greggio e di benzina siano saliti ai massimistorici. Capita che le quotazioni del petrolio scendano, per poirisalire subito dopo e assestarsi sul trend medio. “Il mistero”, comelo ha definito il Financial Times, staalimentando teorie complottistiche.Ovvero, si vocifera che dietro gli strani rimbalzi di prezzo ci sia un paese OPEC, più attento allafinanza che al prodotto. Mercoledì22 febbraio si è tenuta una riunione

fra i paesi OPEC e non-OPEC dalla quale non è emerso molto chegià non si sapesse o non si potesseprevedere. Tutti hanno tagliato laproduzione per far lievitare i prezzi,tranne l’Iran, la Libia, la Nigeria e i petrolieri dello shale oil che, dopola fine delle sanzioni, sono tornaticon forza sul mercato. Se i livelliproduttivi di gennaio resterannoinalterati, o quasi, l’IEA, l’AgenziaInternazionale dell’Energia, prevedeche le scorte petrolifere globali si ridurranno di 600 mila barili

al giorno nel primo semestre del 2017. Nell’ultimo semestre del 2016 la riduzione era stata di 80 mila barili al giorno, la più fortein tre anni. E tutto ciò di fronte aduna domanda di greggio in rialzo.La produzione globale è comunqueprevista in aumento di 1,4 milioni dibarili al giorno, di cui 290 mila barilial giorno in più estratti da Libia,Nigeria e Iran. Altri 400 mila bariliarriveranno dalla produzione USAdi shale oil. Il prezzo del petrolio ètornato dunque sotto osservazione,soprattutto da parte dei governi deiPaesi importatori e non produttori.Molte di queste economie, infatti(Italia in primis), hanno trattobeneficio dalle basse quotazioni del greggio. Ma fino a quandodurerà la bonaccia? All’OPEC si dice che sia già finita. Si sentono i primi venti della prossima bufera.

CARLO ROSSELLA

L’autoreÈ giornalista e dirigente d’azienda. Ha diretto il TG1, La Stampa, Panorama e il Tg5.Attualmente è presidente di Medusa Film,società di produzione e distribuzionecinematografica del gruppo Mediaset.

Il grande interrogativo

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MAPRMARFEBGENDICNOV

2014 2015$/b

4,561

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ALGERIA

ANGOLA

IRAQ

VENEZUELA

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LEGENDA

Dati in Mb/g (milioni di barili al giorno)

LIVELLO DI PRODUZIONEDI RIFERIMENTO

VARIAZIONE

90%TOTALE PAESI OPEC

Taglio di 1,2 Mb/gda gennaio 2017per 6 mesi(revisione/roll over 25 maggio 2017)

obiettivo

Taglio effettivo (in percentuale) rispetto a quello concordato

Produzione OPEC e taglio concordato

Nel grafico si riportano il livello di produzione di riferimento e le variazioniconcordate per gli undiciPaesi OPEC ai quali è assegnato un targetproduttivo (Libia e Nigeria sono state esentate dai tagli).

1,089

-0,05

2,067

-0,10

1,751

-0,08

0,548

-0,03

142% 88%22%

53% 98% 127% 116% 38%18%

78%ALGERIA ANGOLA ECUADOR GABON IRAQ KUWAIT QATAR ARABIA

SAUDITAEAU VENEZUELA

-1,2Mb/g

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Il 30 novembre 2016l’OPEC ha finalizzato,

a Vienna, l’accordoper il taglio della

produzione di greggioraggiunto a fine

settembre. I Paesiesportatori hanno

stabilito una riduzionedi circa 1,2 milioni di barili al giorno.

Nella mappa è possibile vedere

il livello di produzionedi riferimento

e il taglio concordatodi ciascun Paese,mentre nel grafico

in basso sonoevidenziati i tagli

effettivi rilevati a gennaio 2017.

Importanti gli effettisul prezzo

del petrolio, come si evince dal grafico

sulla correlazione tra strategia OPEC

e quotazioni del barile

Fonte: OPEC

Fonte: elaborazioni Eni su base IEA

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FEBGENDICNOVOTTSETAGOLUGGIUMAGAPRMARFEBGENDICNOVOTTSETAGOLUGGIUMAGPR

2016 2017

27 novembre 2014Meeting OPECcambio Policy «non intervento»

16 febbraio 2016Doha proposta «freezing output»

2 giugno 2016Meeting OPECnulla di fatto

26-28 settembre 2016Algeriproposta taglio a 32,5-33 Mb/g

30 novembree 9 dicembre 2016

Viennaformalizzazionetaglio congiunto

OPEC–non-OPEC1,8 Mb/g

17 aprile 2016Doha

fallimento peril veto incrociato

Arabia Saudita e Iran

4 dicembre 2015Meeting OPEC

«free ceiling strategy»

1,0

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0,6

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GEN 16

FEB 16

MAR 16

APR 16

MAG 16GIU 16

LUG 16

AGO 16

SET 16

OTT 16

Nel 2016 l’OPEC rivede la strategiaDopo due anni di free ceiling strategy l’OPEC torna a controllare il mercato. Il bottom del prezzodi gennaio 2016 (27 $/b) innesca il processo di ricerca dell’accordo per tagliarele produzioni.

IRAN

KUWAIT

LIBIA

NIGERIA

QATAR

GABON

EMIRATI ARABI UNITI

ivede la strategia

10,544

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ARABIASAUDITA

3,013

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IRAN

ARABIA SAUDITARUSSIA

IRAQ

USA

Produzione OPEC e non-OPECvariazione vs gennaio 2016Mb/g

La produzione OPEC è costantemente aumentata nel 2016: +0,8 Mb/g a ottobre rispetto a gennaio (di cui +0,3 dopo Algeri). A guidare la crescita il ritorno dell’Iran (+0,86 Mb/g) e il record saudita. Anche la Russia accelera, grazie a: svalutazione rublo, tassazione favorevole, bassi costi di estrazione e ampi investimenti greenfield nel passato. A ottobre rimbalzo di 0,5 Mb/g rispetto ad agosto. Nel 2016 l’unico grande produttore in declino sono gli USA.

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Fonte: elaborazioni Eni su base IEA

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Mohammad Sanusi Barkindo È stato nominato ufficialmente Segretario generaledell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio con un mandatotriennale in occasione della 169ª riunione della Conferenza dell’OPEC,tenutasi il 2 giugno 2016 a Vienna. Barkindo subentra ad AbdallaSalem El-Badri, che guidava l’Organizzazione dal 1° gennaio 2007. Il neo Segretario generale vanta un’enorme esperienza nel settore del petrolio e del gas, sia in Nigeria che nel panorama internazionale.Tra il 2009 e il 2010 è stato Amministratore delegato del gruppoNigerian National Petroleum Corporation (NNPC). Precedentemente, aveva ricoperto la carica di Vicedirettore generaledi Nigerian Liquefied Natural Gas. Barkindo ha contribuito alla redazione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e del Protocollo di Kyoto, guidando la delegazione tecnica nigeriana durante le trattative dell’ONU a partire dal 1991.

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Una decisione storica che piaceai mercatiL’impegno a ridurre l’output di petroliopreso da 24 Paesi produttori, riporterà le quotazioni in equilibrio, ristabilendo un rapporto equo tra domanda e offerta e sosterrà il settore nel breve, medio e lungo termine

Esclusiva/Parla il Segretario generale dell’OPEC

WHAT’S NEXT

OPEC si riappropria del suo destino. Dopo otto anni di in-comprensioni e vertici fatti più di veti incrociati che di deci-sioni concrete, lo scorso 30 novembre, spazzando via scetti-cismi e dubbi, i Paesi esportatori di greggio hanno raggiun-to un’intesa per ridurre la produzione petrolifera di 1,2 mi-lioni di barili al giorno. A ruota, un nutrito gruppo di nazio-ni non aderenti all’OPEC, guidate dalla Russia, il 10 dicem-bre si è unito a questa decisione tagliando la propria produ-zione per ulteriori 600mila barili al giorno. Un accordo cheil segretario generale dell’OPEC, il nigeriano Mohammad Sa-nusi Barkindo, in un’intervista esclusiva rilasciata a Oil, ha de-finito “storico”, in grado di “stabilizzare il mercato” e, allo stes-so tempo, di sostenere il settore petrolifero “nel breve, me-dio e lungo termine”. Barkindo, 57 anni, si è insediato al ver-tice dell’OPEC lo scorso primo agosto, e la guiderà per i pros-simi tre anni. È originario di Yola, il capoluogo dello stato set-tentrionale di Adamawa, uno dei 36 che costituiscono la Re-pubblica federale della Nigeria. Dopo essersi laureato al-l’Ahmadu Bello University, tra i più prestigiosi atenei dell’Africaoccidentale, l’attuale segretario generale dell’OPEC ha per-fezionato i suoi studi alla Southeastern University di Wa-shington (USA) e a Oxford.

Con l’intesa sui tagli alla produzione raggiunta a novembre,si può dire che l’OPEC sia tornato a farsi carico delbilanciamento del mercato petrolifero?

L’aspetto più importante da sottolineare è che con la decisionedi 24 paesi produttori, 13 OPEC e 11 non-OPEC guidati dal-la Russia, si punta a lavorare insieme per bilanciare il merca-to del petrolio: questo avrebbe un impatto enorme sull’industriapetrolifera e per i paesi produttori, con benefici estesi all’in-tera economia globale. Siamo in presenza di un avvenimen-to davvero storico perché per la prima volta abbiamo i paesiOPEC, e numerose nazioni non-OPEC, uniti nel siglare unaccordo per bilanciare il mercato petrolifero.

’LSpecializzatosi all’Alta scuola in media e comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, Daniele Di Mita è giornalistadell’AGI, di cui è stato corrispondente in Nigeria dal 2009 al 2013.

Giornalista, Serena Sabino lavora per la rivistaOil dal suo primo numero. Ha lavorato per l’agenzia di stampa AGI e, in precedenza,per l’agenzia di stampa DIRE e per Radio24ilsole24ore.

DANIELE DI MITA E SERENA SABINO

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1960 1970 1980

1960: Conferenza di Baghdad

1961: Entra il Qatar

1962: Entrano Indonesia e Libia

1967: Entranogli Emirati Arabi Uniti

1969: Entra l’Algeria

1971: Entra la Nigeria

1973: Embargo petrolifero arabo Entra l’Ecuador

1975: Vertice di Algeri Entra il Gabon

1979:Scoppio

della rivoluzioneiraniana

1968:Dichiarazione

sulla politica petrolifera dei Paesi membri 1986:

Crollo del prezzo del petrolio

L’OPEC è stata fondata in un momento di transizione dentro il panorama politico-economico internazionale, che stava assistendo in quegli anni a un ampio processo di decolonizzazione e alla nascita di numerosi stati indipendenti fra i Paesi in via di sviluppo. All’epoca il mercato petrolifero internazionale era dominato da un gruppo di compagnie multinazionali, le cosiddette “Sette Sorelle”, ed era decisamente separato da quello dell’ex Unione Sovietica (URSS) e dalle altre economie centralizzate. L’OPEC ha adottato, nel 1968, una “Dichiarazione sulla politica petrolifera dei Paesi membri”, nella quale si sottolineava il diritto inalienabile di tutti gli Stati a esercitare la sovranità permanente sulle proprie risorse naturali nell’interesse dello sviluppo nazionale.

Gli anni Sessanta

Negli anni Settanta l’OPEC è salita alla ribalta della scena internazionale, mentre i suoi Paesi membri assumevano il controllo delle industrie petrolifere locali e acquistavano un maggior peso nella determinazione dei prezzi del greggio sui mercati mondiali. Due gli eventi che hanno causato un aumento esorbitante del prezzo del petrolio in un mercato volatile: l’embargo petrolifero arabo nel 1973 e lo scoppio della rivoluzione iraniana nel 1979. Nel 1975 l’OPEC ha ampliato il proprio mandato con il primo Vertice dei capi di stato e di governo svoltosi ad Algeri, nel corso del quale si è posto l’accento sulla necessità di alleviare la povertà delle nazioni più bisognose, auspicando al tempo stesso una nuova era di collaborazione nelle relazioni internazionali, in un’ottica di stabilità e sviluppo economico mondiale.

Gli anni Settanta

Dopo aver raggiunto livelli record all’inizio degli anni Ottanta, i prezzi hanno cominciato a scendere, prima di crollare definitivamente nel 1986, in seguito a un’eccezionale sovrabbondanza di petrolio. La quota dell’OPEC, in un mercato petrolifero più ristretto, ha registrato un pesante calo e le rendite petrolifere totali dell’Organizzazione sono scese al di sotto di un terzo rispetto ai picchi precedenti, causando gravi difficoltà economiche a molti Paesi membri. Verso la fine del decennio i prezzi sono tornati a salire, arrivando però a circa la metà dei livelli raggiunti nei primi anni Ottanta e la quota dell’OPEC nella produzione mondiale ha iniziato a recuperare terreno. Tale processo è stato supportato dall’introduzione, da parte dell’OPEC, di un tetto massimo di produzione e di un paniere di riferimento per la determinazione dei prezzi, nonché da progressi significativi nel dialogo e nella cooperazione tra i paesi OPEC e non-OPEC.

Gli anni Ottanta

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L’accordo sta dando i suoi frutti: il trend ribassista si èinvertito. Che scenario prevede? Fin dove potrà arrivare il prezzo del petrolio?

L’obiettivo di questa dichiarazione di cooperazione tra pae-si OPEC e non-OPEC è di bilanciare il mercato. L’accordoha completamente cambiato, positivamente, l’atmosfera delsettore petrolifero: abbiamo già visto l’inizio di una ristrut-turazione nel mercato e adesso abbiamo nelle nostre mani ilpotere per rendere credibile questa dichiarazione. Per il re-sto, più che di obiettivi di prezzi, noi preferiamo ragionare diun obiettivo di stabilità: il nostro scopo attuale è di riporta-re il mercato in equilibrio, di ricostruire un rapporto equo tradomanda e offerta in modo da assicurare la stabilità.

L’intesa arriva dopo otto anni di incomprensioni tra i paesiOPEC. Che importanza riveste questo accordo dal punto di vista dei vostri equilibri interni e della capacità dell’OPECdi impattare efficacemente sul mercato del greggio?

L’OPEC, insieme ad altri 11 paesi non-OPEC, ha scritto unapagina davvero storica per l’industria petrolifera mondiale chetraccia le sfide che abbiamo davanti a noi. Adesso dobbiamolavorare insieme per stabilizzare il mercato petrolifero e persostenerlo nel breve, medio e lungo termine.

Crede che ci saranno problemi nell’implementazionedell’accordo? Diversi analisti temono che non tutti i paesidell’OPEC rispetteranno i tagli.

Questa dichiarazione di cooperazione ha efficacia solo a par-tire da gennaio. Abbiamo discusso nelle scorse settimane coni Paesi che hanno sottoscritto l’accordo e siamo in marcia contutte le nazioni partecipanti per fare del nostro meglio per ini-ziare a implementare questa decisione storica.

E i paesi non-OPEC manterranno la promessa di collaborarea far calare la produzione mondiale?

Oltre mezzosecolo traalti e bassi(di prezzo)

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1990 2000 20102014:

Crollo del prezzo del petrolio

2007: L’Ecuador rientra nell’OPEC

2008:I prezzi aumentano

a livelli record 1992: L’Ecuador esce dall’OPEC

1995: Il Gabon esce dall’OPEC

2016: Il Gabon rientra nell’OPEC

2011:Stabilità dei prezzi

fino alla prima metàdel 2014

Rispetto agli anni precedenti, i prezzi hanno mostrato un andamento meno marcato e l’intervento tempestivo dell’OPEC ha ridotto l’impatto sul mercato dei conflitti che hanno interessato il Medio Oriente nel biennio 1990-91. Gli anni Novanta sono stati comunque dominati da un’eccessiva volatilità e da una debolezza generale dei prezzi, e la recessione economica del Sud-est asiatico, unita a un inverno mite nell’emisfero settentrionale, hanno visto i prezzi tornare ai livelli registrati nel 1986. Tuttavia, a ciò ha fatto seguito una solida ripresa in un mercato petrolifero maggiormente integrato. I passi avanti compiuti nel dialogo tra produttori e consumatori hanno coinciso con i continui progressi nei rapporti tra paesi OPEC e non-OPEC.

Gli anni Novanta

Nei primi anni 2000 un meccanismo innovativo attuato dall’OPEC, riguardante la fascia di oscillazione dei prezzi del petrolio, ha contribuito a rafforzare e stabilizzare i prezzi del greggio. Nel 2004, invece, la situazione si è trasformata in seguito a una combinazione di forze di mercato, speculazione e altri fattori, che hanno portato a un aumento dei prezzi e della volatilità in un mercato del greggio ben fornito. Il petrolio, quindi, è stato utilizzato sempre più come un asset. Intorno alla metà del 2008 i prezzi sono aumentati a livelli record, prima di crollare a causa della crisi finanziaria globale e della recessione economica. L’OPEC ha quindi assunto un ruolo di primo piano nel sostegno al settore petrolifero, come parte degli sforzi globali per affrontare la crisi economica.

Gli anni 2000

Agli albori del nuovo decennio il principale pericolo per il mercato petrolifero era rappresentato dalle incertezze macroeconomiche globali e dai forti rischi incombenti sul sistema finanziario internazionale. L’inasprimento dei disordini sociali in diverse parti del globo ha influito sia sulla domanda che sull’offerta in tutta la prima metà del decennio, benché i mercati siano rimasti relativamente in equilibrio. Dopo un periodo di stabilità dei prezzi tra il 2011 e la metà del 2014, una combinazione di speculazione ed eccesso di offerta ne hanno causato il crollo nel 2014. Il mondo ha iniziato a prestare sempre più attenzione a una gestione multilaterale delle problematiche ambientali, giungendo a un accordo sul cambiamento climatico promosso dalle Nazioni Unite. L’OPEC ha continuato a perseguire la stabilità del mercato, cercando di ampliare ulteriormente il dialogo e la collaborazione con i consumatori e i produttori non-OPEC.

Dal 2010 ad oggi

30 novembre 2016 I membri dell’Organizzazione hanno

raggiunto l’accordo per ridurre la produzione petrolifera di 1,2 milioni

di barili al giorno. Il 10 dicembre, 11 paesi produttori non-OPEC, guidati dalla Russia, hanno deciso di tagliare

la propria produzione per ulteriori 600mila barili al giorno.

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Posso rispondere che al momento non conosco il livello peril quale si è esposto ognuno dei 24 paesi, OPEC e non-OPEC,sulla base di un impegno volontario al momento della sot-toscrizione dell’accordo.

L’incremento, più rapido del previsto, dell’output di Nigeriae Libia e l’aumento della produzione americana di shale oilfreneranno i prezzi?

La domanda di petrolio nel breve, medio e lungo termine ri-mane positiva e robusta, per cui chiediamo a tutti i produt-tori, inclusi Nigeria e Libia, di continuare a svolgere il lororuolo di soddisfare la richiesta e rifornire il mercato con la loroproduzione. Tutti i Paesi hanno un importante ruolo da svol-gere per continuare a garantire che il mercato sia continua-mente rifornito per soddisfare la domanda: il nostro obietti-vo è di mantenere la stabilità su una base sostenibile.

Il presidente Donald Trump si è da poco insediato alla CasaBianca: quale pensa possa essere il suo impatto sul settoreenergetico e, nello specifico, su quello petrolifero?

Noi aspettiamo innanzitutto di vedere le politiche che even-tualmente farà il presidente Trump. Di sicuro, noi supportiamoi continui investimenti nel settore energetico e in particola-re in quello petrolifero, in modo da assicurare che l’econo-mia mondiale sia continuamente rifornita di petrolio per man-tenere e aiutare la crescita dell’economia globale.

Prima di congedarci, viste le sue origini, ci può dire comevede la situazione geopolitica della Nigeria?

Come Segretario generale dell’OPEC preferisco non com-mentare mai gli affari interni dei singoli Paesi membri. Maqui farò un’eccezione, dicendo solo che adesso la situazioneè migliore. Per ora.

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L’OPEC decide di tagliare la produzione

Prezzo il giorno dell’annuncio indicizzato a 100

Settimane precedenti e successive all’annuncio dell’OPEC

2008

19982001

Fonte: EIA, U.S. Global Investors

LE REAZIONI DEL MERCATO AI PRECEDENTI TAGLI OPEC

Nelle ultime tre occasioni in cui l’OPEC ha deciso di ridurre la produzione (1998,2001, 2008), il prezzo del greggio è salito per i successivi due anni. Naturalmente, le performance del passato non garantiscono gli stessi risultati per il futuro.

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L’intervento/L’andamento dei mercati e la politica energetica

Correre per rimanere fermiPer prosperare in questo secolo, il settorepetrolifero dovrà mantenere efficienza edisciplina, continuare a investire ininnovazione e aumentare il suo impegnostrategico nelle nuove tecnologie sostenibili

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WHAT’S NEXT

onostante andamenti sempre tumul-tuosi, gli ultimi due anni sono statiparticolarmente ricchi di emozioniper i mercati petroliferi. I prezzisono crollati a livelli incredibilmen-te bassi, dopo cinque anni di cresci-ta e prezzi apparentemente prevedi-bili, seguiti da un brusco recupero.Una sforbiciata ai programmi di spe-sa, costi in caduta libera ed efficien-za sono stati i temi del giorno. Il con-testo politico è stato caratterizzato dal-la volatilità, anche per i produttoriprincipali, come Russia, Iraq, Libia eSud Sudan, che complessivamente co-stituiscono una fetta sostanziale del-la produzione petrolifera mondiale,tutti invischiati in problemi relativi aquestioni geopolitiche. Nel frattem-po, la firma dell’accordo di Parigi sulclima ha sollevato un grande inter-rogativo sul futuro dei combustibilifossili. E per la prima volta in un se-colo, il progresso tecnologico incal-zante delle auto elettriche ha delineatola prospettiva di una concorrenzatecnologica il cui obiettivo era laroccaforte della domanda di petrolio:il settore dei trasporti. Dai costi di tri-vellazione, ai programmi di disinve-stimento, il settore deve fare i conticon una serie notevole di incertezze,come indica la strategia per gli annia venire.

L’importanza dei prezzi negli ultimi due anniMa i proclami sul declino del petro-lio sono prematuri. È vero che l’uni-verso delle auto elettriche sta avan-zando a grandi passi e che indubbia-mente dispone del potenziale peruna crescita ulteriore. Le caratteri-stiche di “pulizia” ed efficienza delmotore elettrico, associate all’interessedei consumatori e alla determinazio-ne imprenditoriale in stile Silicon Val-ley stanno dando vita ad un mix in-teressante in termini di crescita. Ma,nonostante tutto il clamore che aleg-gia sul settore, per ora le auto elet-triche influiscono solo per lo 0,01 per-cento sulla domanda mondiale dipetrolio. Gli ultimi due anni ci han-no ricordato l’importanza dei prezzi.Presso l’Agenzia internazionale perl’Energia, si riesamina continua-mente la valutazione della domandadi petrolio in una sola direzione: alrialzo. Complessivamente si trattaoggi di circa 2 milioni di barili al gior-no in più, rispetto alle nostre previ-sioni fatte quando il petrolio era a 100dollari al barile. Dalle vendite deiSUV in Cina, all’aumento delle oredi guida negli Stati Uniti, gli esempidi reazione dei consumatori al calo deiprezzi sono numerosi. Ma guardan-do al futuro, il quadro è più compli-cato. Gli sviluppi tecnologici e le po-litiche energetiche incideranno sul-la traiettoria della domanda. Il rap-porto World Energy Outlook 2016della IEA indica un calo della do-

NLAZLO VARRO

Chief Economist dell’AgenziaInternazionale per l’Energia (IEA), è stato Head of Gas, Coal and PowerMarkets dello stesso organismo. Varro è stato precedentemente Directorfor Strategy Development presso il MOL Group e Head of Price Regulation per l’Enteungherese dell’energia.

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manda di petrolio associata alle autoprivate nei prossimi 25 anni. Si trat-ta di un risultato incredibile, consi-derando che secondo le previsioni laflotta mondiale di auto dovrebbe au-mentare di un miliardo di unità en-tro i prossimi venticinque anni. Alcunidi questi veicoli saranno elettrici,ma la maggior parte sarà dotata dimotori a maggiore efficienza ener-getica. Un dato spesso trascurato èche le automobili rappresentano unafetta relativamente ristretta della cre-scita globale della domanda di pe-trolio, che nei prossimi decenni de-riverà per la maggior parte da ambi-ti diversi, soprattutto il trasporto,escluse le automobili e il petrolchi-mico. Spedizioni, aviazione e tra-sporto pesante su gomma sono de-stinati a crescere notevolmente, pervia dell’aumento del reddito nei mer-cati emergenti e di una loro maggio-re integrazione nell’economia mon-diale. Dal 2009, ad esempio, il nu-mero di passeggeri aerei è cresciutodel 50 percento. Nel complesso, laproduzione di beni di consumo mo-derni, a partire da televisori e frigo-riferi ad auto elettriche, è diffusa indiversi continenti e in qualsiasi settoregrazie a motori a combustione in-terna. L’altro grande propulsore del-la forte domanda di petrolio neiprossimi anni sarà quello che oggi èil simbolo più evidente della vitamoderna: la plastica. Quarant’anni disforzi sociali e politici per stimolareil riciclo degli imballaggi, ad esempio,non sono riusciti ad eliminare più diun anno dalla crescita media della do-manda di plastica. La crescita della do-manda di prodotti petrolchimici dasola è superiore alla riduzione che ciaspettiamo dall’aumento dei veicolielettrici. Tutto sommato ciò spiegaperché secondo le politiche attuali ri-teniamo che la crescita previsionale

della domanda di petrolio sia destinataa rimanere robusta ancora per diver-si anni.

Una traiettoria che deveessere modificataÈ innegabile che la politica energe-tica può e dovrebbe modificare que-sta traiettoria. La portata della sfidaclimatica non si limita alla sostituzionedel carbone con il gas; la transizioneenergetica dovrà riguardare tutti icombustibili fossili, petrolio com-preso. La traiettoria dell’energia coe-rente con gli obiettivi climatici pre-fissati (il World Energy Outlook’s 450Scenario) raggiungerà il picco delladomanda di petrolio mondiale nel2018. Da quel momento inizierà a di-minuire di circa 900.000 barili algiorno entro gli anni ‘20. La domandaè: potrà realizzarsi questa previsionein assenza di una recessione globalee quali implicazioni comporterà peril settore petrolifero? Lo Scenario 450della IEA non è una previsione. Mo-stra cosa dovrà succedere affinché sipossano raggiungere questi obiettiviclimatici, piuttosto che cosa stiano fa-cendo nella vita reale tutti i Paesi. Inaltre parole, si basa su presupposti po-litici che superano decisamente quel-li applicati attualmente. In un similecontesto, la crescita inarrestabile del-la domanda di petrolio è invertita datre modifiche sostanziali. Innanzi-tutto, una robusta implementazionedelle politiche climatiche accelera ildecollo delle auto elettriche entro undecennio, ed entro il 2040 il nume-ro di auto elettriche in circolazione ar-riverà al quintuplo di quello che im-plicherebbero le politiche attuali.Raggiungere questo obiettivo ri-chiederà un forte impegno politico aconcedere finanziamenti notevoli perdiversi anni, prima che le auto elet-triche diventino competitive per con-

to proprio, oltre ad ulteriori svilup-pi tecnologici per le batterie e l’in-frastruttura di rete di ricarica. A pre-scindere dalla tendenza, le auto elet-triche da sole non possono portare auna stabilizzazione della domanda dipetrolio. Occorrerà rafforzare glistandard di efficienza per centinaia dimilioni di motori a combustione in-terna che saranno venduti, soprattuttoper gli autocarri. Anche i sistemi ditrasporto dovranno essere resi più “in-telligenti” con servizi pubblici e tas-se sul traffico volte a ridurre l’uso diauto private e treni ad alta velocità insostituzione di voli su tratte a breveraggio. Sebbene non vi siano ostaco-li tecnologici in tal senso, le barrie-re sociali e politiche sono tuttavia no-tevoli.

La tecnologia per un futuro a basse emissioniInfine, raggiungere l’obiettivo dicontenere la domanda di petroliocomporterà l’uso di più tecnologie,quali biocarburanti avanzati, idroge-no e processi ad alta efficienza. Si trat-ta di conseguenze naturali delle com-petenze tecnologiche e di gestione diprogetti relativi al settore del petro-lio e del gas, e che daranno vita ad unatransizione naturale delle società pe-trolifere verso una società a basseemissioni di carbonio. È possibile, edal punto di vista del cambiamentoclimatico anche auspicabile, rag-giungere un picco della domanda dipetrolio mondiale nell’immediatofuturo, ma richiederà misure che an-dranno ben oltre quanto si sta facendooggi. A prescindere dal livello con-siderevole d’incertezza a livello poli-tico e tecnologico che definisce le pre-visioni di investimento, rimane unaconclusione strategica fondamentale:l’industria petrolifera deve conti-nuare a investire nel settore upstre-

am. La grande maggioranza degli in-vestimenti upstream non è necessa-ria per rispondere alla crescita delladomanda, bensì per affrontare la ri-duzione della produzione esistente.Tuttavia, solidi programmi di politi-ca climatica cambieranno lo schemae la portata degli investimenti e in par-ticolare potrebbero essere messi in di-scussione progetti che potrebbero ri-chiedere tempi lunghi e ingenti ca-pitali. Occorre fare tesoro di alcunelezioni apprese dal ciclo precedente.Il periodo che intercorre tra la crisi fi-nanziaria del 2008 e il crollo dei prez-zi del petrolio di fine 2014 è stato con-trassegnato da prezzi del petrolioelevati e apparentemente stabili. For-se in modo inevitabile, diversi anni dioscillazioni tra 100 e 110 dollari al ba-rile hanno creato un’illusione di pre-vedibilità. Gli investimenti sono len-tamente cresciuti, ma insieme a loroanche il costo dei progetti upstream.Grandi progetti importanti per ilfuturo strategico del settore hanno su-bito ritardi, lievitazione dei costi e di-sguidi tecnici. Il settore ha dovuto cor-rere disperatamente per rimaneresostanzialmente immobile: le princi-pali compagnie petrolifere hannosubito contrazioni degli utili, anchenotevoli, in un momento in cui oc-correvano ingenti investimenti dicapitali per sostenere una produzio-ne stagnante. Mentre alcuni dei prin-cipali paesi produttori di petroliohanno saggiamente risparmiato par-te dei guadagni investendo in fondisovrani, il prezzo del petrolio neces-sario per ripianare i loro bilanci hacontinuato a salire, mentre le politi-che di diversificazione economica alungo discusse non si sono concre-tizzate. Il settore non era mai anda-to così bene, ma sotto la superficie,prendevano sempre più forma anchele sue criticità. Ironia della sorte, non

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Produzione energetica Edifici Autovetture Marittimo

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Variazioni della domanda di petrolioper settore (2015-2040)

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sono state la politica sul clima o leauto elettriche a porre fine al ciclo ead avviare una dolorosa quanto ne-cessaria rettifica; sono state invece lacapacità innovativa del settore pe-trolifero stesso e l’ingenuità tecnicaad accelerare questo risultato. Il set-tore di petrolio e gas è spesso consi-derato come la quintessenza della “oldeconomy”, e di sicuro alcuni dei suoiprotagonisti principali sono alla ribaltada oltre un secolo. Tuttavia, ha di-mostrato una certa capacità di “di-sruptive innovation”, ovvero inno-vazione dirompente, in grado adesempio di usufruire al meglio dei bigdata e di integrare la digitalizzazionenei suoi processi. Ovviamente, l’in-novazione più evidente è stata lafratturazione idraulica applicata alloshale. Anche se ampiamente discus-sa, la portata e l’importanza della tra-sformazione per le possibilità di pro-duzione domestica negli Stati Unitisono ancora difficili da comprende-re. Appena dieci anni fa, l’argomen-to principale della discussione politicaamericana era la crescita apparente-mente irrefrenabile delle importazionidi petrolio e gas e ciò che essa rap-presentava in termini di dipendenzaenergetica. Le dichiarazioni politichea sostegno dell’indipendenza ener-getica erano ridicolizzate negli am-bienti politici e negli show in tarda se-rata come sciocca retorica. Oggi,con la rapida riduzione delle impor-tazioni di petrolio e le esportazioninette di gas, l’industria americana staavendo l’ultima parola.

La svolta a lungo terminedell’industria americanaTuttavia, è importante tenere presenteche questo processo non sarà a pron-ta portata. Nella prima metà di que-sto decennio, è stato investito più ca-pitale ogni anno per i progetti up-

stream che riguardano petrolio e gasnegli Stati Uniti rispetto a Russia eMedio Oriente messi insieme. La ca-pacità di finanziamento dei produt-tori americani indipendenti, che harappresentato una quota sostanzialedi tutte le emissioni di obbligazionisocietarie, è stata ampiamente supe-rata. Anche prima del 2015, il rapidoprocesso tecnologico e di apprendi-mento sul campo ha mantenuto i co-sti stabili in un ambiente in cui le quo-tazioni del petrolio sono elevate,mentre il resto del settore lottava conl’inflazione. Infine, la rapida ripresadella produzione è stata evidente-mente la ragione più importante eunica alla base del crollo del prezzodel petrolio. Quanto è accaduto ne-gli ultimi due anni costituirà un’im-

portante esperienza per il settore. Ta-gli agli investimenti del 20 percentoper due anni di seguito non si eranomai visti nella storia del settore. Undecennio d’inflazione dei costi è sta-to spazzato via da un’incessante at-tenzione ai progetti di efficienza e re-engineering. E come era successo du-rante la fase di aumento della pro-duzione, il settore dello shale oilamericano ha nuovamente trainato ilsettore in questo cambiamento: in dueanni, il costo dello sviluppo dei pro-getti per lo shale si è dimezzato.Esistono legittime preoccupazioniche i costi possano salire di nuovo unavolta recuperati gli investimenti, madi sicuro un’ampia parte dei risparmisui costi è strutturale e potrà esseremantenuta. Tutto ciò è frutto di un

mix di tecnologie e gestione. La di-gitalizzazione del settore petroliferoconsente di individuare meglio lezone di trivellazione, tassi di recupe-ro finali maggiori e minori tassi d’in-terruzione, oltre ad una maggiore ca-pacità di utilizzo. Il settore delloshale in particolare beneficia di sezioniorizzontali più lunghe, della miglio-re individuazione degli sweet spot edi una trivellazione a più pozzi, chedetermina l’ottimizzazione della lo-gistica. Forse di pari importanza ri-spetto alla tecnologia upstream cisono le innovazioni più “soft”, di ge-stione, come la continua attenzioneper i processi di reengineering, ra-zionalizzazione e standardizzazione.Allo stesso tempo, i governi dei prin-cipali paesi produttori stanno agen-do dimostrando la volontà di rifor-mare i sussidi energetici e di investi-re nel potenziale di crescita del non-oil dei loro paesi. Mentre vi è una di-scordanza legittima tra le tempistichee l’intensità della sfida tecnologica nelsettore del petrolio, non vi è alcundubbio che quest’ultima sia alle por-te. La domanda è quando, non se. Infuturo, sarà necessario mantenereslancio tecnologico e disciplina di ge-stione. Il settore americano delloshale ha pericolosamente sfiorato il ri-schio di perdere accesso ai capitali. Leprincipali compagnie petrolifere in-ternazionali hanno assunto prestiti per100 miliardi di dollari al fine di ono-rare il pagamento dei dividendi. Gliinvestitori attivisti sollevano dubbi le-gittimi sulla necessità di inserire la po-litica ambientale nella strategia in-dustriale. Il settore è cresciuto tra glialti e bassi del XX secolo grazie al suoimpegno per l’innovazione e la per-severanza nell’affrontare le sfide. Perprosperare in questo secolo, il setto-re petrolifero dovrà mantenere effi-cienza e disciplina, continuare a in-vestire in innovazione e aumentare ilsuo impegno strategico nelle nuovetecnologie sostenibili.

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2017-2040, a seconda dello scenario di riferimento

INVESTIMENTI UPSTREAMFonte: IEA

Gli investimenti upstream nel settore del petrolio e del gas rimangonoconsistenti, persino in uno scenario dove la decarbonizzazione è la protagonista assoluta fino al 2040, in modo da compensare i notevoli cali registrati a livello di produzione nei giacimenti esistenti.

I numeri della flotta globale sono raddoppiati, ma i guadagni in termini di efficienza e il numero di auto elettriche o alimentate a biocarburantehanno ridotto la domanda di petrolio per le autovetture.Negli altri settori, invece, la crescita spinge ancora la domanda totale sempre più in alto.

Fonte: IEA

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a decisione dell’OPEC contribuirà “a dare una spinta ai cor-si petroliferi”, con la speranza che un “range compreso tra i60 e i 90 dollari” apporti un equilibrio sia per i produttori cheper i consumatori. Un auspicio, come spiega a Oil TheophilusAhwireng, amministratore delegato della Petroleum Com-mission, che ancora di più vale per il Ghana, che attualmen-te produce 140 mila barili al giorno: maggiore è il prezzo albarile, maggiori saranno gli introiti del governo. La doman-da energetica ghanese, comunque, “cresce di oltre il 10 per-cento annuo. Pertanto l’aumento del fabbisogno energeticoè indirettamente un chiaro indice della crescita economica delPaese”. Questo anche grazie al contributo al PIL del petro-lio, di cui “la componente maggiore sarà rappresentata dal gas”,ma, precisa Ahwireng “non vogliamo che il Paese si adagi sul-la scia delle entrate acquisite, vogliamo assistere piuttosto auna creazione del valore aggiunto”. Un valore aggiunto su cuiil Paese sta lavorando strenuamente, anche perché, affermal’Ad, “credo fermamente che uno dei motori per la crescitadel Ghana possa essere rappresentato dal petrolio”.

In seguito alla decisione dell’OPEC di tagliare laproduzione, il mercato energetico sta attraversando una fase di cambiamenti e il prezzo del petrolio sembraessersi stabilizzato, anche se secondo molti osservatoriè previsto un aumento nel corso del 2017. Secondo lei,quali sono gli scenari futuri? Prevede che ci sarannocambiamenti significativi nel panorama energeticomondiale?

Generalizzando, si può affermare che il petrolio costituirà laprincipale fonte energetica mondiale dei prossimi decenni e,a livello settoriale, la componente maggiore sarà rappresen-tata dal gas. Le dinamiche cui abbiamo assistito nell’ultimoanno, vale a dire il crollo dei corsi petroliferi da 100 a quo-

ta 40-50 dollari, hanno com-portato dei profondi scom-pensi all’intero comparto.Concordo sul fatto che laquota dei 100 fosse un po’troppo elevata, con un im-patto negativo in molte del-le economie mondiali. Tut-tavia, il crollo repentino è sta-

to un colpo altrettanto duro. Occorre ricordare che se il greg-gio viene venduto a 100 dollari al barile, il prezzo di 50 dol-lari al barile non rappresenta una riduzione del 50 percento,perché i 50 dollari comprendono i costi di produzione. Se ilcosto della produzione è pari a 40 dollari, ciò significa che ilmargine scende da 60 a 10, il che rappresenta una minacciamolto grave. In Ghana, quando abbiamo avviato la produzionedei pozzi Jubilee, siamo stati fortunati a ottenere delle buo-ne quotazioni petrolifere, che di recente si sono drasticamenteridotte. In questo modo, le entrate del governo hanno regi-strato un calo significativo, ragion per cui la situazione de-sta preoccupazione. Ci aspettiamo che la decisione dell’OPECcontribuisca a dare una spinta all’andamento del prezzo. Lesperanze sono che, sia dal lato dei consumatori che dei pro-duttori, un range compreso tra i 60 e i 90 dollari, variabile aseconda di molti fattori, apporti un equilibrio per entrambele parti.

Più in dettaglio, quali sono le conseguenze del tagliodell’OPEC e di un possibile aumento dei prezzi in Ghana?

Attualmente la produzione, assente nel 2010, ammonta a 100mila barili al giorno. Lo scorso agosto abbiamo avviato la pro-duzione nei giacimenti TEN, che ora si attesta intorno ai 50mila barili al giorno. Tralasciando gli ostacoli che si presen-tano con i Jubilee, produrremo 140 mila barili al giorno. Conun regime di prezzi di 100 dollari al barile, il contributo daparte del petrolio sarebbe notevole, anche perché appena i cor-si torneranno a salire di nuovo, gli introiti del governo au-menteranno in maniera significativa. Basti pensare che, nel2014, il gettito statale derivante dal petrolio è arrivato a cir-ca 1 miliardo di dollari, per poi scendere a 300 milioni di dol-lari nel 2016. Di fronte a un’incidenza così elevata, ovviamente,se i numeri aumentano, anche il contributo subirà un incre-mento. Se da un lato i consumatori mondiali vorrebbero ve-dere dei prezzi bassi, ritengo che il range cui dovremmo aspi-rare debba essere favorevole per entrambe le parti, produt-tori e consumatori.

Il presidente Nana Akufo-Addo ha espresso la propriasperanza di veder realizzate le sfide energetiche per ilPaese. Quali sono gli obiettivi futuri più urgenti per il Ghanain materia energetica?

Nuovi orizzonti di crescita

Più aumenta il prezzo del petrolio, più l’economia ghanese ne trarrà beneficio. Oro nero, e soprattutto gas, sono le risorseche possono fare da volano per un Paese che punta a “crearevalore” e a promuovere sempre di più l’accesso all’energia

Intervista/Theophilus Ahwireng, Ad della Petroleum Commission del Ghana

Theophilus Ahwireng È amministratore delegato della Petroleum Commission Ghana. Dopola formazione in geofisica e una laurea in Fisica ottenuta presso laUniversity of Science and Technology in Ghana, Theophilus Ahwirengè entrato a far parte della Ghana National Petroleum Corporation.

LMarilia Cioni è content producere ufficio stampa di Eni. In precedenza ha lavoratoall’Agenzia Giornalistica Italia,dove gestiva le relazioniinternazionali.

Simona Manna, giornalista, lavoraper la rivista Oil. In precedenza halavorato all’agenzia di stampa AGIe, prima ancora, nella cartastampata (Corriere della Sera, Il manifesto, El País) e in radio(AGR, RCS MediaGroup).

MARILIA CIONI E SIMONA MANNA

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La buona notizia è che, se si escludono i consumi, la nostradomanda energetica cresce di oltre il 10 percento annuo. Per-tanto l’aumento del fabbisogno energetico è indirettamenteun chiaro indice della crescita economica del Paese. Ma la verasfida è rappresentata dalla disponibilità di energia. So che inalcune zone questo problema non si pone, ma in Ghana sì. IlPaese è partito con il piede giusto in materia energetica: ne-gli anni ’60, quando il nostro primo presidente sviluppò il pro-getto Akosombo Hydroelectric Power, siamo diventati subi-to esportatori netti. La nostra produzione sfiorava i 1.000 MW,il triplo rispetto al nostro fabbisogno, pari a soltanto 300 MWcirca. Successivamente, abbiamo esaurito le nostre risorse esiamo diventati importatori netti di energia elettrica. Attual-mente siamo passati dal 100 percento prodotto con risorseidroelettriche a un 50-50 tra energia idroelettrica e termica,una buona parte della quale si basa sul gas. Se il progetto OCTPSankofa-Gye Nyame soddisferà le attese, il Ghana produrràcirca 200 mila barili di petrolio al giorno e circa 300 milioni

di piedi cubi standard di gas al giorno, contribuendo in ma-niera significativa alla produzione di elettricità del Paese.

Il PIL del Ghana è in crescita e, stando agli esperti, la tendenza sarebbe anche collegata all’aumento della produzione ed esportazione petrolifera. Secondo lei, le prospettive per le risorse petrolifere sono favorevoli?

È in aumento il contributo del petrolio al PIL, ma non vo-gliamo che il Paese si adagi sulla scia delle entrate acquisite,vogliamo assistere piuttosto a una creazione del valore ag-giunto. Se considerassimo la componente derivante dagli in-troiti del petrolio includendo il valore aggiunto, la performancedel Ghana sarebbe molto positiva. Le faccio alcuni esempi pra-tici. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa abbandonando deltutto la pratica del gas flaring, con la costruzione dell’impiantoGhana Gas a partire dal nostro primo giacimento. Oggi sonoorgoglioso di poter affermare che quasi tutto il gas prodot-to dal Jubilee viene lavorato nello stabilimento di Ghana Gas

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È stata fondata nel luglio 2011 da una legge del Parlamentoghanese per regolare lo sfruttamento delle risorsepetrolifere e coordinare le relativepolitiche. La Commissione è il regolatore del settore petroliferoupstream del Ghana e ha il compitodi gestire e coordinare tutte le attività in questo settoregarantendo l’interesse dei ghanesi.

La PetroleumCommission

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G H A N A

G O L F OD I G U I N E A

TOGO

COSTAD’AVORIO ACCRA

GIACIMENTI DI GAS

GIACIMENTI DI PETROLIO

GASDOTTI

Company, il quale produce gas povero per la generazione ener-getica e circa il 50 percento del gas di petrolio liquefatto ne-cessario al Paese. Per questo motivo, continuando a genera-re introiti dai servizi connessi, anche il contributo comples-sivo del petrolio al PIL salirà. L’idea di valore aggiunto rica-vato dal petrolio si manifesta chiaramente in tutte le nostreattività, come ad esempio nelle iniziative di local content. Conil progetto OCTP (Offshore Cape Three Points), ad esem-pio, prevediamo che il valore dei contratti destinati alle azien-de locali superi il 20 percento: su un totale di 6 miliardi di dol-lari di contratti, stiamo parlando di oltre un miliardo, una ci-fra che contribuirà in maniera notevole. Stiamo apportandovalore aggiunto in molti modi, come ad esempio sviluppan-do le capacità nelle zone di fabbricazione: alcune sinergie, in-fatti, potrebbero portare all’utilizzo di queste capacità nel set-tore delle costruzioni navali e nel settore dell’estrazione, au-mentando quindi l’abilità del Paese di creare valore aggiun-to. Credo fermamente che uno dei motori per la crescita delGhana possa essere rappresentato dal petrolio.

Quando si parla di energia in Africa, spesso si fa riferimentoall’accesso all’energia. Come si sta muovendo il Ghana per quanto riguarda questo problema e quali sono gli obiettivi futuri? Sono in programma investimenti anchesulle risorse rinnovabili?

Stando alle statistiche, la percentuale di accesso all’energia inGhana è la più alta nella regione subsahariana. Tuttavia, nonci accontentiamo e crediamo che ci sia ancora molto lavoroda fare. Attualmente, l’aumento del fabbisogno energetico po-trebbe essere coperto dalle risorse termiche, ossia dagli im-pianti termici a gas naturale e l’aggiunta di queste risorse sa-rebbe un’opportunità fantastica. Il Ghana cerca anche di nonsottovalutare l’efficienza: la maggior parte delle nostre cen-

trali sono a ciclo combinato, quindi il gas prodotto è anchepiù efficiente. Non va dimenticato inoltre il gasdotto WestAfrican, che trasporta gas locale dalla Nigeria al Ghana, pas-sando per il Benin e il Togo. Il governo è intenzionato a ri-discutere questi argomenti con la Nigeria, al fine di assicu-rarsi che, sebbene produciamo gas localmente, possiamo co-munque aumentare le importazioni dal Paese, che attualmentesono molto inferiori a quanto previsto in fase iniziale. Gra-zie a queste risorse, è evidente che saremo sempre più in gra-do di mantenere le nostre promesse in campo energetico. Ac-canto alle risorse idroelettriche e termiche, bisogna considerareche la posizione geografica del Ghana è alquanto favorevo-le per garantire al Paese un elevato livello di intensità sola-re. Il settore dell’energia solare è però ancora poco sviluppatoe per questo motivo incoraggiamo la comunità internazionaledegli investitori a valutare la possibilità di un grande progettoin questo ambito. In fin dei conti, è solo una questione eco-nomica: se il prezzo per un kilowattora è conveniente, sare-mo ben felici di cogliere questa opportunità. Inoltre, la do-manda repressa è a livelli elevati: alcune industrie del Paeseattualmente non possono lavorare per via della carenza di elet-tricità. Il potenziale di consumo esiste e fortunatamente, gra-zie al West African Power Pool, ogni qual volta si verifichi uneccesso di potenza in Ghana, è possibile trasportare questaenergia nei Paesi confinanti, fra cui la Nigeria stessa. Secondome questa è una situazione molto positiva, e vorrei approfit-tare dell’opportunità per incoraggiare la comunità interna-zionale a considerare il Ghana come un Paese in cui fare in-vestimenti in materia di energia solare.

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Ghana EnergySuperficie: 238.533 km2

Capitale: AccraPopolazione: 26.908.262Lingua: inglese (ufficiale)Governo: Repubblicapresidenziale

PRINCIPALI INDICATORIECONOMICIPIL (parità potere d’acquisto):42,76 miliardi di dollari Tasso di crescita del PIL: 3,3%Debito pubblico: 73,7% del PILInflazione: 17,8%

PETROLIO Produzione: 106 migliaia di barili/g Consumo: 110 migliaia di barili/gRiserve: 659 milioni di barili

GAS (miliardi/mc)

Produzione: –Consumo: –Riserve: 27

Fonte: CIA Factbook, World Oil & Gas Review 2016

Fonte: Eni

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La capacità di generare un forte rally, basato su un accordo, fa pensare che la “morte dell’Organizzazione”, annunciata più volte, è errata: in realtà il Cartello sta diventando protagonista

OPEC/Le decisioni prese e i possibili risvolti futuri

Un nuovo ruolo

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WHAT’S NEXT

el novembre 2014 l’OPEC diede unduro colpo agli “oil bulls” che anco-ra speravano che l’Organizzazioneavrebbe salvato il mercato dal crollo.Quello stesso giorno, la decisione dilasciare la produzione allo sbando intermini di obiettivi, quote o qualsia-si altro meccanismo vincolante cau-sò un brusco calo del prezzo di più di5 dollari, imboccando il sentiero cheportava verso l’ovvio e definitivo mi-nimo toccato all’inizio del 2016. Ladecisione era stata caldeggiata so-prattutto dall’Arabia Saudita, convintadi non essere in grado di riuscire acompetere con la crescente produ-zione non-OPEC, dopo anni di prez-zi elevati. Lo scisto statunitense ebbeuna parte importante in questo sce-nario, ma non va trascurato neancheil ruolo del Canada e di altri, oltre alladomanda relativamente debole. Neiprimi 6 mesi, questa politica aiutò astimolare la produzione OPEC di cir-ca 2 milioni di barili al giorno, men-tre lo scisto iniziò a scendere solo tar-divamente, dopo aver guadagnatocirca 300.000 barili al giorno dalnovembre all’aprile 2014. Il ritarda-

to calo della produzione statuniten-se servì a rinforzare il timore, inter-no all’OPEC, che un taglio alla pro-duzione sarebbe stato semplicemen-te sostituito dalla produzione prove-niente da altre fonti, causando uncrollo dei ricavi totali su entrambi ifronti: prezzi e volumi. La politica dinon imbrigliare la produzione OPECsi basava sull’idea che i volumi fosse-ro controllabili al contrario degliequilibri globali.

Le condizioni che hannofavorito l’accordoLa strada che dalla decisione del no-vembre 2014 ha portato fino all’ac-cordo dei paesi OPEC e non-OPECdi tagliare la produzione alla fine del2016 è stata lastricata di numerosiconfronti bilaterali e multilaterali, del-la disponibilità al compromesso e del-la mutata situazione del mercato.Una situazione simile ha origine gra-zie al cambiamento relativo a quattrocondizioni:1 | LO SCISTO COME UNA MINACCIA.

Nel 2014, lo scisto statunitense haregistrato una crescita superiore a

quella dell’intera domanda globa-le, una situazione insostenibileper la stabilità dei prezzi. Dalcrollo di questi ultimi, il taglio deicosti, la riduzione della produzio-ne e i tempi di reazione ritenuti piùlenti hanno contribuito insieme afar ritenere che lo scisto non cre-scerà più a un livello insostenibi-le per il sistema globale, consen-tendo quindi un confronto sultema del taglio alla produzione.

2 | LA CRESCITA DELLA PRODUZIONEOPEC. È difficile ottenere un taglio,o persino un congelamento, dellaproduzione OPEC se uno o piùPaesi registrano ancora una cre-scita marcata. Come nel caso del-l’Iraq e dell’Iran, dove la produ-zione aumentò per motivi diffe-renti e in diversi intervalli di tem-po tra le importanti riunioni del-l’OPEC del 2014 e del 2016.Quando ciascun Paese ha toccatola vetta, sono diminuite le barrie-re per raggiungere un accordo.

3 | LA CONDIVISIONE DEI TAGLI. Moltisi aspettavano – o per lo meno spe-ravano – che l’Arabia Saudita si sa-

NJAMIE WEBSTER

È Fellow presso il Centro per la politicaenergetica globale della ColumbiaUniversity. Webster è esperto di mercatienergetici e geopolitica.

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rebbe fatta carico del peso dei ta-gli alla fine del 2014, all’alba del-la discesa dei prezzi. I sauditi,però, pur intravedendo il proprioruolo come potenziali fautori deitagli alla produzione, non ritene-vano che vi fossero particolarivantaggi nell’assumersi tutti glioneri del taglio della produzionementre i benefici sarebbero statispartiti. La condivisione dei taglitra i 9 membri dell’OPEC e mol-ti altri produttori non-OPEC haconsentito ai principali paesi del-l’OPEC di contribuire con volu-mi sostanziali (circa 800.000 bari-li al giorno), traendo al contempovantaggio dai tagli attuati dagli al-tri Paesi.

4 | IL CALO DEI PREZZI. La riduzionedei prezzi del petrolio ha intacca-to in qualche misura la situazionefinanziaria di tutti i paesi membridell’OPEC. Tuttavia, il calo deiprezzi ha anche spinto molti ad as-sumere un approccio tattico piut-tosto che strategico, rimanendoconcentrati sulla massimizzazione

dei ricavi in un contesto dei prez-zi sempre più negativo. La nego-ziazione di un congelamento aDoha e poi il raggiungimento diun accordo definitivo hanno con-tribuito a incrementare i prezzi dicirca 25 dollari al barile nel corsodell’anno, più che sufficienti perrasserenare i Paesi sul fatto che untaglio della produzione non soloera possibile, ma avrebbe potutoincrementare gli introiti com-plessivi.

I primi dati disponibili suggerisconoche il livello di rispetto della primaparte dell’accordo è stato molto ele-vato, tanto che alcune valutazioni mo-strano una compliance superiore al 90percento. Il taglio da 1,2 milioni di ba-rili al giorno previsto nel comunica-to dell’OPEC è stato seguito a stret-to giro da un altro pari a 600.000 ba-rili al giorno, promesso questa voltadai paesi non-OPEC. Il taglio del-l’OPEC ha dato subito i suoi frutti,generando un rendimento lo stessogiorno dell’annuncio. Analogo l’ef-fetto dell’accordo dei paesi non-

OPEC, siglato diversi giorni dopo.L’impatto fisico del taglio, che leagenzie di rilevazione pubbliche han-no preso ampiamente per buonocome annunciato, è stato meno cer-to, sebbene nessuno si aspettasse chepotesse trasformare immediatamen-te più di 10 trimestri di eccesso di of-ferta in un deficit. Sebbene l’impat-to sui prezzi si sia in gran parte veri-ficato prima dell’accordo, successi-vamente la curva forward ha iniziatoa tornare verso una situazione dibackwardation; un fatto che suggeri-sce una contrazione dei fondamentalie con essa l’inizio del rilascio di unaparte di 1,3 miliardi di barili di greg-gio e prodotti accumulati dall’iniziodella discesa dei prezzi. La capacitàdell’OPEC di generare un forte ral-ly basato su un accordo – e di esten-derne l’influenza anche al di là deipropri membri – porta a pensareche forse la “morte dell’OPEC”, an-nunciata più volte, non solo è errata,ma che il gruppo sta persino acqui-sendo nuova rilevanza nel raggiun-gimento di un equilibrio sul merca-

to petrolifero mondiale. Il mercato stacambiando e l’OPEC con esso, maper diversi motivi questo elevato li-vello di conformità è probabilmenteil massimo livello raggiungibile, men-tre il potere dell’OPEC tornerà ad af-fievolirsi e l’Organizzazione conti-nuerà a reinventarsi in un mercato no-tevolmente diverso da quello esi-stente, persino al culmine del boomdello scisto.

Gli incalcolabili rischi futuridell’Organizzazione I rischi che minacciano l’attuale livelloelevato di rispetto dell’OPEC sonosvariati, ma derivano dalle questionitrattate sopra. Il primo rischio èesterno all’organizzazione, poiché loscisto ha già evidenziato un rapido au-mento dell’attività, con un incre-mento degli impianti di trivellazioneorizzontali e direzionali di più di125 unità nelle 10 settimane succes-sive all’accordo OPEC. Il settoredello scisto ha reagito repentina-mente al crollo dei prezzi, con le so-cietà che hanno tagliato i costi, ridotto

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Se...

Lo scisto ha già evidenziato un rapido aumento dell’attività, con un incremento degli impianti di trivellazione orizzontali e direzionali di più di 125 unità nelle 10 settimane successive all’accordo OPEC. Il settore dello scisto ha reagito repentinamente al crollo dei prezzi, con le società che hanno tagliato i costi, ridotto il numero di impianti di trivellazione, rivolto l’attenzione verso le aree principali e aumentato l’efficienza. Tali misure hanno consentito alle compagnie petrolifere di più che raddoppiare la produttività media per pozzo dal calo dei prezzi.

La Nigeria e la Libia sono state esentate dai tagli alla produzione. Tuttavia, i loro livelli di produzione, che probabilmente saranno superiori all’anno scorso nonostante i rischi, rendono più difficile per l’OPEC realizzare i tagli alla produzione necessari per raggiungere un equilibrio globale.

Un’altra fonte di rischio deriva dal potenziale aumento della produzione da parte dei membri OPEC nei mesi a venire. Con il trascorrere dei primi sei mesi di vita dell’accordo, è sempre più probabile che alcuni dei membri cerchino di riconquistare parte degli introiti “persi” per colpa della minore produzione. Questa tentazione aumenterà nel corso del tempo solo se il prezzo del petrolio subirà una contrazione e le nuove suppliche dei ministri dei paesi OPEC non riusciranno a far riprendere il mercato, come fatto ripetutamente nel 2016.

Gli scenari futuri

...AUMENTA IL PREZZODEL PETROLIO, AUMENTA LA PRODUZIONE DI SHALE USA

...AUMENTA LA PRODUZIONE DI LIBIA E NIGERIA, A RISCHIO L’EQUILIBRIO NEI TAGLI

...AUMENTA LA PRODUZIONE OPEC, A RISCHIO L’ACCORDO

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il numero di impianti di trivellazio-ne, rivolto l’attenzione verso le areeprincipali e aumentato l’efficienza.Tali misure hanno consentito allecompagnie petrolifere di più cheraddoppiare la produttività mediaper pozzo dal calo dei prezzi, sebbe-ne da allora la produzione comples-siva di scisto sia lentamente calata. Ciòaumenta il rischio che l’incrementodei prezzi favorisca nettamente la pro-duzione statunitense. Gran partedelle stime di crescita della produ-zione per il 2017 sono comprese tra0,3 e 0,8 mbg, e il necessario ritornodelle operazioni di trivellazione inaree secondarie genererà alcuni deiguadagni in termini di efficienza;tuttavia rimane la possibilità che unsegnale di prezzo sufficiente possa ri-portare nuovamente il settore al tem-po in cui gli analisti, per diversi anniconsecutivi, hanno sottostimato mi-seramente le previsioni di crescita del-lo scisto. Il secondo rischio va cercato all’in-terno dell’OPEC stessa. La produ-zione della Libia e della Nigeria è sta-

ta ostacolata da diverse forme diconflitti interni (la Libia ha anche ge-stito alcuni problemi di manutenzioneche hanno intralciato la produzionenegli ultimi mesi del 2016). La pro-duzione libica è aumentata dai livel-li irregolari ma bassi di 200-400.000barili al giorno a più di 700.000 ba-rili al giorno all’inizio del 2017, pre-vedendo di raggiungere 1,2 mbg – ab-bastanza per compensare gran partedel taglio dell’OPEC e protrarrel’eccesso di offerta per altri 2 o 3 tri-mestri. Sono diversi gli ostacoli da su-perare man mano che questo livellodi produzione aumenta in un conte-sto di prezzi petroliferi elevati. La pos-sibilità di duplicare o triplicare gli in-troiti petroliferi su base annua eser-citerà una certa pressione su un si-stema che sta ancora emergendo dal-la debolezza del sistema statale, de-rivata da decenni di dominio diMuammar Gheddafi. Con l’aumen-to dei ricavi cresce anche il rischio discioperi, disordini o altre problema-tiche che potrebbero rapidamente in-vertire le conquiste produttive delPaese. Se i rischi di interruzione per la Li-bia sono legati all’aumento dei prez-zi, in Nigeria è l’esatto opposto. I ri-sultati della Nigeria sono inferiori aquelli della Libia, con una ripresa del-la produzione di un massimo di300.000 barili al giorno, che rasentanoil massimo della produzione del Pae-se. I prezzi e gli introiti più elevati, in-sieme alla campagna anticorruzionedel presidente Buhari, sono la chia-ve per sfruttare la potenziale dispo-nibilità di ulteriori introiti negli Sta-ti del delta del Niger. Ciò potrebberidurre i rischi di disordini e inter-ruzioni. La Nigeria e la Libia sonomembri dell’OPEC ma sono stateesentate dai tagli alla produzionedell’Organizzazione. Tuttavia, i lorolivelli di produzione, che probabil-mente saranno superiori all’annoscorso nonostante i rischi, rendonopiù difficile per l’OPEC realizzare itagli alla produzione necessari per rag-giungere un equilibrio globale.

Se non dovessero essererispettati gli obblighi Un’altra fonte di rischio deriva dal po-tenziale aumento della produzione daparte dei membri OPEC nei mesi avenire. Anche l’accordo del dicembre2008 siglato a Oran, Algeria, per ta-gliare più di 3 mbg dalla produzioneOPEC era stato rispettato diligente-mente nei primi mesi successivi allafirma. I principali paesi dell’OPEC ri-spettarono gli impegni assunti ta-gliando più di 1,1 mbg, un livello diconformità pari a più del 100 per-cento. Anche gli altri sette membrioperarono tagli di volume simile,corrispondenti però soltanto a circala metà di quanto concordato. Il Ve-nezuela tagliò solo 100.000 barili al

giorno dopo aver accettato di ta-gliarne quasi 650.000, contribuendoin gran parte al fallimento della mi-sura di riduzione. I paesi principalidell’OPEC, sia individualmente checome gruppo, rispettarono i propriobblighi nel corso dell’anno succes-sivo, mentre gli altri membri viderorapidamente crollare il proprio tassodi conformità solo al 23 percento diquanto pattuito. I primi dati rivelanoche l’accordo OPEC più recente staseguendo un modello analogo con al-cuni Paesi – in particolare i principalipaesi OPEC – che stanno applican-do tagli superiori a quanto concordatoa Vienna. Con il trascorrere dei pri-mi sei mesi di vita dell’accordo, è sem-pre più probabile che alcuni deimembri cerchino di riconquistareparte degli introiti “persi” per colpadella minore produzione. Ciò pro-babilmente varrà anche per i paesinon-OPEC, non abituati a tagliare laproduzione e a essere a loro volta vit-time di un indebolimento dei ricavipetroliferi. Questa tentazione di ri-durre la conformità aumenterà nelcorso del tempo solo se il prezzo delpetrolio subirà una contrazione e lenuove suppliche dei ministri dei pae-si OPEC non riusciranno a far ri-prendere il mercato, come fatto ri-petutamente nel 2016.C’è la possibilità che questa voltal’OPEC riesca a mantenere la rottagiusta. A livello superficiale è persi-no possibile affermare che il suo po-tere di mercato si trova ai livellimassimi, considerando che gli accordisi estendono fino a coinvolgere diversipaesi non-OPEC. Ma conservarequesta posizione richiederà diversi fat-tori, considerando che l’OPEC stes-sa non possiede alcun potere sanzio-natorio. Per prima cosa i Paesi do-vranno chiaramente vedere il van-taggio finanziario dell’adesione altaglio della produzione. Ciò sarà dif-ficile anche in un contesto caratte-rizzato dall’aumento dei prezzi, e ilproblema del free riding comporte-rà probabilmente che i Paesi non ve-dranno più il vantaggio dei ricavi in-crementali successivi al taglio inizia-le, concentrandosi invece sulla perditadi introiti derivante dai livelli di pro-duzione ridotti. Anche se la coesionedel gruppo più ampio venisse man-tenuta, il gruppo stesso deve dispor-re dei più ampi e flessibili volumi ditutti gli elementi utilizzabili perl’equilibrio di mercato. Lo scisto sta-tunitense non è contemplato nelcontratto per i paesi non-OPEC e,nonostante la storia della Texas Rail-road Commission, è improbabile cheentri a farne parte a breve. Lo scistoha già dimostrato la propria capaci-tà di rappresentare una forza dirom-pente sui mercati globali dopo aversovvertito l’equilibrio domanda/of-ferta nel 2014. Questi volumi in ra-pida evoluzione non sono sufficien-

ti, né in termini di dimensioni né divelocità, per bilanciare da soli il mer-cato in breve tempo, ma hanno di-mensioni sufficienti per minare glisforzi dell’OPEC o di una più ampiacoalizione OPEC/non-OPEC perequilibrare il mercato. L’equilibrio dimercato non emergerà da una batta-glia tra l’OPEC e lo scisto. La real-tà è molto più complessa e include lacrescente importanza e i volumi in au-mento del petrolio stoccato nel-l’equilibrio di mercato. Il mercato pe-trolifero si sta spostando da un mon-do con un equilibrio di mercato ge-nerato dall’OPEC unipolare a unmondo multipolare, caratterizzatoda diversi contrappesi che possonospostare barili in diversi punti dellascala temporale e su diversi livelli diprezzo.

Il mercato non torneràfacilmente “alla normalità”In un mercato costantemente carat-terizzato dall’eccesso di offerta, si puòdimenticare che, per riconquistare ilproprio status precedente, l’OPECdeve anche essere in grado di raffor-zare la produzione. I bassi prezzihanno ridotto drasticamente la spe-sa in conto capitale per le società, tan-to da tornare ai livelli del 2006. Que-sto è solo un primo segnale di una po-tenziale carenza di offerta in futuro el’OPEC, a questo punto, è poco at-trezzata per adattarsi a un eventualee considerevole aumento nella ri-chiesta di greggio OPEC, tenendoconto che l’incremento della produ-zione dell’Organizzazione nel corsodegli ultimi due anni è avvenuto a spe-se della ridotta capacità di riserva. Il taglio operato dall’OPEC nel no-vembre 2016, insieme al successivoaccordo dei paesi non-OPEC per unulteriore taglio, ha stimolato i prez-zi e contribuito a portare avanti leprevisioni di quando tornerà a emer-gere un equilibrio mondiale. Tutta-via, il mercato petrolifero odierno èdiverso persino da quello del 2014,con le attuali problematiche del-l’OPEC, come quella del free ridinge della bassa capacità di riserva checontinuano a ridurre l’efficacia com-plessiva delle sue capacità di gestio-ne del mercato a lungo termine. Iproduttori hanno tratto vantaggiodall’eroica azione intrapresa, ma do-vrebbero essere cauti nel credereche il mercato adesso tornerà alla“normalità”. Il mercato, e i ruolidegli operatori nuovi ed esistenti,sono ancora in evoluzione, ed è im-probabile che l’OPEC si riadatti consemplicità al suo vecchio ruolo.

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Analisi/Nuovi equilibri e fattori di rischio dopo l’accordo del 30 novembre

OPEC e prezzi: cosa abbiamo imparato?L’Organizzazione non è più quella di un tempo. Il suo potere diinfluenzare le quotazioni continua a scemare, mentre si allunga la listadi possibili eventi geopolitici in grado di stravolgere i mercati petroliferi

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a Primavera araba e la guerra civile li-bica hanno causato un aumento con-sistente del prezzo del petrolio, cheha mantenuto una media di quasi 100dollari al barile nel periodo di insta-bilità politica durato all’incirca dal2011 al 2014. I prezzi alti hanno per-messo ai produttori di shale oil negliStati Uniti di aumentare la propria at-tività. Grazie a questo, il Paese ha po-tuto praticamente raddoppiare lapropria produzione complessiva, pas-sando da 5,3 milioni di barili al gior-no nel 2011 a quasi 10 milioni di ba-rili al giorno nel 2014, e ridurre le im-portazioni di petrolio di circa due mi-lioni di barili al giorno durante lo stes-so periodo. Queste, chiaramente,non sono state delle buone notizie peri paesi produttori OPEC. Gli StatiUniti non solo stavano riducendo laloro dipendenza dal petrolio del-l’OPEC, ma la fiorente produzionepetrolifera nazionale ha provocato unasovrabbondanza globale di petrolioche ha causato a sua volta una pres-sione al ribasso sui prezzi. Il rallen-tamento economico dei grandi con-sumatori di petrolio, come la Cina, el’economia globale anemica hanno ul-teriormente indebolito il prezzo delpetrolio. I crescenti timori per la pie-ga presa dagli eventi hanno portatol’OPEC ad abbandonare il proprioobiettivo di “proteggere” il prezzo delpetrolio per adottare invece una stra-tegia volta a proteggere e, nelle mi-gliori delle ipotesi, ad aumentare lequote di mercato del Cartello. Perraggiungere tale obiettivo, il Cartel-lo ha deciso di non reagire al calo delprezzo e di mantenere alta la produ-zione, seguendo la scia dei provvedi-menti presi dall’Arabia Saudita. Il ber-

saglio di questa strategia è stata pro-prio la produzione di petrolio dishale oil degli Stati Uniti, che sareb-be diventata altamente svantaggiosada un punto di vista economico conprezzi al di sotto dei 50 dollari al ba-rile. Tale strategia si è rivelata vincenteper quasi due anni, dal 2014 al 2016.Durante questo periodo, infatti, laproduzione di shale oil statunitense ècrollata di quasi un milione di barilial giorno. Ma un simile approccio èdiventato insostenibile quando i pae-si OPEC hanno cominciato a senti-re la pressione. In Arabia Saudita, peresempio, il deficit di bilancio ha rag-giunto il 12 percento del PIL nel2016, gli introiti petroliferi del 2015sono scesi alla metà di quelli del2011, le importazioni sono state si-gnificativamente ridotte e la disoc-cupazione è salita circa al 12 percen-to. Verso la fine del 2016, il debito èsalito al 15 percento del PIL ed è pre-visto un aumento al 23 percento delPIL entro il 2018.

Un’inversione di rottaIn generale, i paesi OPEC hanno sof-ferto una grave e dolorosa riduzionedelle entrate generate dalle esporta-zioni di petrolio che sono calate dai753 miliardi di dollari nel 2014 ai 341miliardi di dollari stimati nel 2016. Unboccone troppo amaro per l’ArabiaSaudita e, infatti, il governo ha deci-so di invertire la rotta e puntare suprezzi più elevati riducendo signifi-cativamente i livelli di produzione.Sulla scia di questa tendenza, a di-cembre 2016, l’OPEC ha deciso di ta-gliare la propria produzione petroli-fera complessiva di circa 1,2 milionidi barili al giorno, con l’assorbimen-to di quasi la metà di questo taglio diproduzione da parte dell’Arabia Sau-dita. L’Iran, la Nigeria e la Libia sonostate esentate dai tagli, mentre la ri-duzione dei volumi per il Venezuelae l’Ecuador è stata molto ridotta, tan-to da non avere alcuna conseguenzanel contesto globale. Sono stati pro-messi tagli della produzione petroli-fera anche da paesi non appartenen-ti all’OPEC, in particolare Russia,Azerbaijan e Messico, facendo rag-giungere al calo pianificato alla for-nitura petrolifera globale 1,8 milio-ni di barili al giorno. Il Cartello ha sti-mato che, con questo volume di ta-gli della produzione, il prezzo del pe-trolio sarebbe salito a circa 60 dolla-ri al barile entro l’inizio del 2017. Ineffetti, non appena l’OPEC ha fattoil suo annuncio, il prezzo è salito del10-15 percento. Le azioni delle com-pagnie petrolifere sono salite, por-tando l’indice Standard and Poor a unnuovo record storico. Anche le azio-ni dei maggiori produttori statunitensidi shale sono salite dell’8-10 percen-to, quando il settore ha potuto av-vertire il profumo di vittoria sul-l’Arabia Saudita in quella che consi-

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LMOISÉS NAÍM

È Distinguished Fellow del CarnegieEndowment for International Peace di Washington DC. Il suo ultimo libro si intitola “The End of Power”.

OPEC

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SENTIMENT

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SCORTE

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WHAT’S NEXT

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deravano una guerra dei prezzi.

Cinque fattori di criticitàAll’inizio del 2017, il prezzo del pe-trolio è ancora compreso tra i 53-54dollari al barile. Ciò indicherebbe chel’impatto psicologico iniziale del ta-glio della produzione sui mercatiglobali è stato inferiore rispetto aquanto avvenuto in casi precedenti. Ilsentimento dominante sul mercatonon è quello di un mondo caratte-rizzato dalla scarsità di idrocarburi mapiuttosto di uno consapevole del-l’abbondanza di forniture e di una do-manda sempre contenuta a causadella debole economia globale e lasorprendente e rapida incursionedelle energie rinnovabili come l’eo-lico e il solare. L’aumento del prezzo del petrolio èanche compromesso da diversi altrifattori: 1 | il primo riguarda l’alto livello di

scorte. Nonostante la riduzione deilivelli verso la fine del 2016, le scor-te globali ammontano a 5,7 mi-liardi di barili, un volume molto

alto che influisce pesantementesulle dinamiche dei prezzi.

2 | Il secondo fattore che incide sul-l’aumento dei prezzi è proprio larapida risposta in termini di offertaai prezzi più elevati da parte deiproduttori statunitensi. La pro-duzione petrolifera degli StatiUniti ha registrato un aumento su-periore al 6 percento dalla metà del2016, mentre quella dello shale oilè tornata ai livelli della fine del2014. Baker Hughes, una societàdi servizi petroliferi, annunciache, dalla metà del 2016, le unitàdi trivellazione statunitensi hannoregistrato l’aumento maggiore de-gli ultimi quattro anni.

3 | Il terzo fattore, invece, riguardauna vecchia e irrisolta problema-tica all’interno dell’Organizzazio-ne dei Paesi esportatori di petro-lio ossia come mantenere una di-sciplina sui prezzi tra i proprimembri. Secondo il ministro del-l’Energia dell’Arabia Saudita, itagli alla produzione petroliferadell’OPEC stanno procedendosecondo i piani. Tuttavia, sono giàstati rivelati diversi imbrogli tra imembri dell’Organizzazione inoccasione di precedenti tagli allaproduzione petrolifera. Questavolta, l’Iraq potrebbe rappresentarel’anello più debole a causa delcontrollo limitato che esercita sul-la produzione petrolifera nella re-gione curda. Dal momento che iproduttori OPEC come l’Iran, laLibia e la Nigeria sono esentati daquesto accordo, un monitorag-gio adeguato del rispetto dei taglipotrebbe rivelarsi difficoltoso.

4 | Il quarto fattore è rappresentatodalla Russia, il secondo produtto-re di petrolio più importante almondo. Stando a quanto affermatodal ministro dell’Energia russo,l’obiettivo di Mosca è la stabilitàdel mercato nel lungo terminepiuttosto che un prezzo elevato delpetrolio. Inoltre, ha evidenziatoche il bilancio russo per il 2017 èbasato sulla vendita del petrolio aun prezzo di 40 dollari al barile.Un prezzo più elevato del petro-lio sarebbe certamente d’aiuto,ma “non ha importanza” per laRussia quanto lo ha per i paesimembri dell’OPEC, tanto a cor-to di liquidità. Peraltro, il ministrodelle Finanze Anton Siluanov haaffermato che la situazione finan-ziaria della Russia rimarrà stabilefinché il prezzo del petrolio simantiene tra i 40-45 dollari neiprossimi tre anni. Se non altro, lepriorità russe sembrerebbero fa-vorire un aumento della produ-zione petrolifera. Certamente, an-che l’evoluzione delle sanzionieconomiche imposte da Stati Uni-ti ed Europa sulla Russia, in seguitoall’invasione della Crimea e al-l’intervento in Ucraina, influen-zeranno l’impatto del petroliorusso sul prezzo mondiale.

5 | Infine, il fattore Trump. Il nuovopresidente degli Stati Uniti è de-ciso ad aumentare la produzionepetrolifera nazionale e di sicuro ciòinciderà negativamente sul prezzo.È probabile che i tagli alla produ-zione di petrolio dell’OPEC ge-nereranno, nel medio termine,un aumento del prezzo, che sarà si-

curamente più debole di quanto at-teso. L’Energy Information Ad-ministration (EIA) statunitenseprevede un aumento ad appena 55-56 dollari al barile nel corso deiprossimi due anni, a causa dellacrescita della produzione statuni-tense di circa 500 mila barili, cheannulla parzialmente i tagli dellaproduzione petrolifera del cartel-lo. Nel frattempo, alcuni dei Pae-si membri più esposti alla pressionefinanziaria potrebbero vedersi co-stretti ad aumentare la produzio-ne, indebolendo ulteriormentel’effetto delle misure messe inatto finora. La presenza degli Sta-ti Uniti, in veste di swing produ-cer non appartenente al Cartello,sembra aver cambiato le regole diquel gioco del prezzo del petrolioche era dominato dall’OPEC.

L’equilibrio di NashQuesto nuovo equilibrio favoriscequello che i teorici del gioco chia-mano “Equilibrio di Nash”. Non cisaranno incentivi per il Cartello a ta-gliare ulteriormente la produzione pe-trolifera finché gli Stati Uniti conti-nueranno ad aumentare la propriaproduzione per compensare i tagli.Ovviamente esiste sempre la possi-bilità che questo delicato equilibriovenga messo in pericolo da azioni uni-laterali di uno o più grandi produttoripetroliferi, spinti da un bisogno im-minente di aumentare gli introitipetroliferi a qualunque costo. Forse,invece, la conclusione più ovvia è chele recenti dinamiche del mercato pe-trolifero confermano la realtà chel’OPEC non è più quella di un tem-po. Il suo potere di influenzare il prez-zo del petrolio sta scemando da de-cenni ormai e l’impatto davvero tra-scurabile dei suoi recenti tentativi diinfluenzare il mercato sottolineanoancora una volta che questa tenden-za non è affatto cambiata. Un secon-do messaggio importante è che, no-nostante i fattori strutturali indichi-no un periodo prolungato di unprezzo relativamente contenuto delpetrolio, questo mercato è incline adaumenti improvvisi, causati da even-ti di natura geopolitica. E il 2017 è co-minciato con il forte presentimentoche la lista di possibili eventi in gra-do di stravolgere drasticamente imercati petroliferi si sia notevol-mente allungata e sia diventata piùpreoccupante di quanto non lo sia sta-ta negli ultimi tempi.

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LA RISPOSTA IMMEDIATA DEI PRODUTTORI USALa produzione petrolifera degli Stati Uniti ha registrato un aumento superioreal 6 percento dalla metà del 2016, mentre quella dello shale oil è tornata ai livelli della fine del 2014.

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a qualche tempo Vienna sembra essere il centro dei destinienergetici mondiali, e non solo. Dagli esiti dell’accordo OPECsui tagli alla produzione petrolifera, tanto faticosamente rag-giunto a novembre 2016, potrebbero dipendere le proiezio-ni di crescita economica globale. D’altro canto, una fetta este-sa della comunità internazionale è sempre più intenzionataa difendere strenuamente i risultati di un altro accordo, quel-lo raggiunto a Parigi nel corso della COP21, e che vuole sal-vaguardare il globo dall’acuirsi degli effetti nefasti dei cam-biamenti climatici. Al centro, una vasta schiera di istituzioniinternazionali, tra cui, una delle più prestigiose è il WEC, ilWorld Energy Council. Per questo ci è sembrato corretto, an-che ai fini di una necessaria completezza informativa, chie-dere in merito il parere autorevole di Christoph Frei, segre-tario generale dell’importante organizzazione internaziona-le, incontrato a Roma nel corso della presentazione del WorldEnergy Scenarios 2016.

A suo avviso, quali effetti avrà sul settore energeticoglobale il taglio alla produzione petrolifera previstodall’ultimo accordo tra i paesi dell’OPEC e qualecontrappeso potrà avere il ruolo dei produttori non-OPEC?

Ritengo che sia necessario fare una distinzione tra prospet-tive di lungo e breve termine. Guardando al breve periodo,dobbiamo osservare come, storicamente, i bassi costi petro-liferi abbiano sempre favorito la crescita. Nello stesso modo,tale situazione comporta inevitabilmente anche degli svantaggi:in periodo di quotazioni contenute, i Paesi produttori ne ri-sentono, con conseguenze dirette e indirette sull’economiaglobale. Si tratta di un fenomeno a cui abbiamo già assistito,ed è per questo che credo sia nell’interesse mondiale la pos-sibilità di individuare un prezzo equilibrato. Ritengo che le

misure poste in essere fino adora siano state attuate a que-sto scopo, e in qualche misu-ra sembra che stiano funzio-nando. La stessa situazione, amio avviso, se valutata sullalunga distanza, assume con-notazioni negative. I prezzibassi, soprattutto quando

coinvolgono economie centrate prevalentemente sulle risorseenergetiche, incidono sulla possibilità di investire e sostene-re i consumi, e quindi sulla crescita globale.

Spesso l’azione dell’OPEC è stata ostacolata da prese di posizione assunte in seno alla stessa Organizzazione.Quali sono stati gli elementi che questa volta che hannoconsentito il raggiungimento dell’intesa?

Porterei l’attenzione sui due principi fondamentali che, se-condo me, hanno reso l’OPEC un cartello di successo. In-nanzitutto, quello più scontato e prevedibile: riducendo la pro-duzione complessiva di greggio il prezzo è aumentato im-mediatamente. Ma ce n’è uno ancora più importante, che de-riva da un modello elaborato da un economista di nome Ho-telling. Limitando il volume della produzione, non solo si ri-scontrano effetti positivi sul breve periodo, ma anche nel lun-go termine, perché si prevede che il valore marginale aumentigrazie all’intervento dell’innovazione e di altri fattori ester-ni. Immaginando ora di applicare questa situazione a un con-testo di riserve bloccate, l’utilità marginale delle risorse nonaumenta più, anzi, avviene il contrario. Per questo la comu-nità internazionale è incentivata ad aumentare le riserve pe-trolifere, quanto più rapidamente possibile. E ciò va controla logica dei prezzi. Da un lato, nel breve periodo, c’è un for-te interesse globale nel mantenere un certo equilibrio. D’al-tro canto, tali dinamiche sembrano implicare chiaramente chenel lungo periodo non sussistano le basi affinché i prezzi delpetrolio continuino ad aumentare. L’OPEC e molti altri Pae-si stanno cercando di affrontare seriamente questa situazio-ne. Abbiamo visto come l’Arabia Saudita stia riorganizzan-do la propria politica, e penso sinceramente che il futuro siprefiguri molto diversamente rispetto a quanto ci sia stato fat-to vedere in passato, anche con l’OPEC.

A prescindere dagli accordi raggiunti, secondo lei qualeruolo giocheranno, nella formazione dei prezzi del greggio, i Paesi ad alto fabbisogno energetico, come, ad esempio,India e Cina?

La Cina si è dimostrata molto attiva ultimamente, investen-do principalmente nelle rinnovabili e mettendo in atto, se-condo uno schema che io ritengo armonioso, una serie di mi-sure possibili per combattere la povertà energetica che affligge

Un passaggio inevitabile

Mentre le cancellerie mondiali sembrano far dipendereil destino energetico globale dagli esiti degli accordi sulpetrolio, il mondo volge, inesorabilmente, lo sguardoverso modelli di produzione e consumo incentrati sualtre fonti. Quale sarà il nuovo equilibrio?

Colloqui/Christoph Frei, segretario generale WEC

DGIANCARLOSTROCCHIA

Christoph Frei È Segretario generale del World Energy Council dall’aprile del 2009. È Adjunct Professor presso l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologiadi Losanna (EPFL) ed è membro del World Economic Forum’s GlobalAgenda Council on Energy Security.

Giornalista, ha collaborato contestate come La Voce di Montanelli,Euronews, Rai Format. Ha lavoratopresso il Dipartimento di PubblicaInformazione delle Nazioni Unite a New York e si è occupato di comunicazione aziendale e CSR.

WHAT’S NEXT

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Crescita della classe

media

Cambiamento climatico

Fattori energetici

Governance globale

Nuove tecnologie e indice di produttività

Popolazione e forza lavoro

Emergenze ambientali

Nuove aree geografiche

di provenienza della domanda

Macchine ad apprendimento

automatico

Diffusionedell’autonomia

tecnologica

Nuovi concorrenti sul mercato

Digitale

Stoccaggio dell’energia

Consumo di massa

Tensioni geopolitiche

Istituzioni globali

MENA(Medio Orientee Nord Africa)

Politiche regionali

Crisi dei migranti

Percezione del

pubblico

Nuova competizione (solare, eolico,

energetico, idrocarburi)

Sistemi distribuiti

Riforma economica

Paesi in via di sviluppo

Globalizzazione

Sviluppo tecnologico

Investimenti

Frammentazione del mercato

Russia

Veicoli elettrici

Nuovi concorrenti sul mercato

Crescita di Cina e Asia

Africa subsahariana

America Latina

OCSEFornitura energetica

Efficienza

circa un miliardo di persone. Attualmente Pechino sta cer-cando di prendere le distanze dal carbone, aumentando com-plessivamente i livelli di efficienza energetica, riducendo l’in-cidenza dell’energia idroelettrica, e affrontando tutta una se-rie di problemi in maniera più consapevole. Perciò prevedoche la Cina possa ricoprire, in futuro, un ruolo sempre più im-portante, sia a livello nazionale che internazionale. L’India,dal canto suo, sembra invece essere rimasta indietro, seppurstia iniziando a considerare l’energia solare come un’oppor-tunità. Il “re carbone” domina ancora nel Paese, ma penso cheil solare si stia facendo strada, ovviamente insieme ai nuovimodelli di business che abbiamo visto usare altrove. Questenuove opportunità cambieranno lo scenario anche in altri Pae-si, oltre a Cina e India, basti pensare all’Africa. Per quanto ri-guarda i Paesi emergenti, l’interrogativo è diverso, ed è lo stes-so che ci siamo posti anche in passato: è possibile immaginareun balzo in avanti nel settore energetico? Negli anni scorsisi è sempre pensato che non sarebbe stato possibile. Tutta-via, ora i modelli di business dimostrano che potrebbero sus-sistere delle concrete possibilità per questi Paesi, che non di-spongono ancora delle infrastrutture necessarie, di compie-re un vero e proprio salto di qualità.

Uno scenario energetico, quindi, che si muove tra unriequilibrio del mercato petrolifero e la spinta, sempre più forte, a quella che viene indicata come una inevitabiletransizione verso fonti differenti e rinnovabili.

Anzitutto, dallo scenario globale risulta chiaro che il processodi transizione sia già in atto, diversamente da quanto avrem-mo potuto prevedere solo tre anni fa. Se dovessi riassumerein quattro punti chiave il contesto attuale e i cambiamenti nel

panorama energetico globale, direi prima di tutto che stiamovivendo un periodo di crescita completamente diverso dal pas-sato. Finora abbiamo assistito a una realtà caratterizzata dauna crescita economica costante e da prospettive di sviluppopositive per qualunque tipo di attività. In seguito alla bruscafrenata della crescita demografica il fabbisogno energetico procapite raggiungerà il suo picco prima del 2030. Ciò non vainteso come una crescita diffusa in tutto il settore energeti-co. Il gas e l’energia elettrica sono due componenti chiave chestanno continuando a crescere, ma il picco interesserà piut-tosto settori quali il carbone e il petrolio, ed è qui che il fab-bisogno finale pro capite aumenterà. Penso che questo sia ilprimo punto. Secondariamente, stando alle statistiche sullacrescita, tre sono i principali fattori che possono guidarci ver-so il cambiamento. Il primo è la decarbonizzazione, ossia un’ac-celerazione del processo tale da condurre la percentuale glo-bale dall’1 al 6 percento, così da evitare che la temperaturadel pianeta superi la soglia “critica” dei due gradi di aumen-to. Il piano di decarbonizzazione implica ovviamente che al-cuni Paesi debbano fare i conti con il fenomeno delle risor-se bloccate, come affermato precedentemente, quali il carbonee il petrolio. Ma il processo di decarbonizzazione si lega ine-vitabilmente anche alle politiche attuate nell’ambito degli ac-cordi mondiali per il commercio, e non solo. Il secondo fat-tore di rilievo è costituito da un nuovo modello di business,e ritengo che questo sia l’argomento di maggiore interesse perle imprese. Concetti come la decentralizzazione, il passaggiocompleto al digitale e la questione del costo marginale paria zero si innestano naturalmente sulla questione energetica.Si aggiunga poi il fatto che, al giorno d’oggi, non vi sono gros-si ostacoli per l’accesso al mercato dei vari tipi di energia, di-

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UN UNIVERSO IN MOVIMENTONel rapporto World EnergyScenarios 2016 si delinea la galassia di fattori che guidano i processi di cambiamento nel mondo dell’energia. Il graficoevidenzia le loro interazioni, con particolare riferimento alle 4 principali leve di trasformazione: crescita della popolazione e della forzalavoro, nuove tecnologie e indice di produttività, emergenzeambientali, governance globale e relazioni geopolitiche.

Fonte: World Energy Scenarios 2016, WEC

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ELEMENTI DI INCERTEZZA

CRESCITA ECONOMICA E PRODUTTIVA

SFIDA CLIMATICA

GOVERNANCE GLOBALE

STRUMENTI D’AZIONE

ModernJazz

UnfinishedSymphony

HardRock• Esperienza e crescita interna• Enfasi sui contenuti locali

• Azione politica incentrata sulla sicurezza

• Riduzione della crescita del PIL• La sicurezza energetica sostiene le fonti rinnovabili

• Sistemi economici e politici frammentati• Alleanze per equilibri di potere

• Economie aperte• Spinta alla sviluppo digitale

• Mercati liberi• Istituzione di politiche innovative• Nuovi modelli di business

• Adozione di tecnologie orientate dai consumi• Supporto tecnologico finalizzato alla decarbonizzazione

• Globalizzazione complessa• Trasformazione degli hub energetici• Crescita delle connessioni globali

• Supporti a livello locale• Mandati su scala mondiale• Azione unificata

• Solida cooperazione globale• Integrazione regionale

• Crescita intelligente• Economie circolari

• Politica incentrata sul clima• Convergenza politica globale

ELEMENTI PREDETERMINATI

POPOLAZIONE/FORZA LAVORO

NUOVE TECNOLOGIE

LIMITI AMBIENTALI DEL PIANETA

FATTORI CHE HANNO TRASFORMATO IL PANORAMA ENERGETICO MONDIALE DAL 1970 AL 2015 ELEMENTI PREDETERMINATI DAL 2015 AL 2060

• Raddoppio della crescita della popolazione globale (1,7%)

• Rivoluzione ICT• Tasso di crescita della produttività dell’1,7% annuo

• Raggiunte quattro criticità ambientali, tra cui quella climatica• Consumati oltre 1.900 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2

• Crescita rapida dei Paesi non-OCSE• Ruolo crescente delle istituzioni globali, es. UNFCCC, FMI, OMC e G20

• La popolazione globale crescerà del 40% (0,7%)

• Digitalizzazione pervasiva• Impatti combinabili e paradosso della produttività

• Stress idrico in regioni ad alto rischio• Riduzione di 1.000 Gt di CO2 al 2100 per evitare l’aumento di 2°C

• 2030: l’India è il Paese più popoloso• 2035-45: la Cina è la prima economia mondiale

TRASFORMAZIONI IN TERMINI DI GOVERNANCE

versamente dal passato. Il terzo fattore che incide sulla cre-scita della domanda energetica è la resilienza. Quali sono i ri-schi dei cyber attacchi per il settore energetico? I cambiamentiregistrati in tale contesto sono a dir poco drammatici, e mol-to lavoro è stato fatto per capire come prepararsi al meglioin caso di avversità climatiche. Ritengo che siamo di frontea un periodo di transizione davvero significativo, in un pa-norama caratterizzato da un tipo di crescita diversa e guida-to dalla decarbonizzazione, con nuovi modelli di business enuovi rischi che richiedono grandi capacità di resistenza alleavversità.

Qual è, a suo avviso, il modo migliore di reagire di fronte a mutamenti così rapidi? Il mondo dell’energia è preparato a fronteggiare tutto questo?

L’unica soluzione per rispondere alla rapidità dei cambiamentie alla nube di incertezze consiste nell’analisi del portfolio adisposizione, che garantisce una maggiore flessibilità, per-mettendo di rivolgersi a competenze necessarie in tale fran-gente. La situazione attuale esprime una complessità mai av-vertita precedentemente. Quindi, la chiave di tutto è rivol-gersi a talenti capaci di comprendere i tre fattori alla base delcambiamento in un contesto così diverso e di prendere le giu-ste decisioni di conseguenza. Sviluppare il talento non è unfattore di poco conto. E credo che sia necessario mettere inatto tutte le misure possibili per assicurare la leadership e svi-luppare il terreno necessario per far fronte a questa fase di tran-sizione. Ritengo che tutti gli sforzi debbano andare in que-sta direzione.

Secondo lei quale ruolo potrebbero svolgere le maggiori

istituzioni nazionali e internazionali, come la stessa OPEC,in un contesto simile?

Per quanto riguarda le istituzioni, il World Energy Councilha stilato delle previsioni che ci permettono di comprende-re meglio il loro ruolo e, per sintetizzare, posso dire che il fu-turo che ci attende non è perfetto, ma potremmo assistere alraggiungimento di molti obiettivi di natura energetica. In par-ticolare, maggiore sarà l’innovazione tecnologica, a livello diefficienza energetica, più veloce sarà il processo di avanzamentodel cambiamento. Se invece si costruiscono delle barriere com-merciali, potrebbe ingenerarsi un processo completamente op-posto. Per questo motivo, il primo compito delle istituzio-ni è quello di assicurarsi che tali tecnologie siano diffuse inmaniera efficiente e capillare. In secondo luogo, le istituzio-ni non devono sottovalutare l’importanza dei progressi con-tinui, né prendere le distanze dagli accordi sul clima. Le de-cisioni prese a Parigi rappresentano soltanto un terzo di quan-to sia realmente necessario fare per rispettare la soglia dei duegradi di aumento della temperatura globale. Credo sia di fon-damentale importanza prendere atto di questa realtà. Mol-ti progressi sono stati fatti, ma il processo è ancora in corsoed è parte di un cammino ben più lungo di cui ancora non riu-sciamo a intravedere la fine. Terzo punto: se si consideranole soluzioni a livello di resilienza, ad esempio le sfide e il fat-to che dobbiamo condividere le risorse più ecologiche ed ef-ficienti, l’integrazione regionale rappresenta una componenterilevante, per cui è importante avere l’appoggio delle istitu-zioni internazionali, lavorare con le banche dello sviluppo econ i governi dei vari Paesi per promuovere l’integrazione.

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WHAT’S NEXT

L’ENERGIA IN NOTE Il cambiamento in corsonel mondo dell’energiapotrebbe produrre, da oggi al 2060, 3 modellidi sviluppo energetico.Per descriverli, il WECutilizza altrettantemetafore musicali:MODERN JAZZ, guidatoda una “disruptiondigitale” edall’innovazione,UNFINISHED SYMPHONY,in cui prevalgono modellidi crescita economicasostenibile per un futuroa basse emissioni, e HARD ROCK,caratterizzato da una crescita economicapiù debole e un mondopolitico ripiegato su séstesso.

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Scenari/I rapporti futuri tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia

L’ago della bilancia è Washin

L’accordo, fortemente spinto daMosca, è stato una straordinariaimpresa diplomatica che haunito Paesi non sempre “amici”.Quest’intesa durerà? Dipendemolto dalle nuove direttivedella Casa Bianca Ar

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gtonerventi avversari durante la GuerraFredda, la Russia e l’Arabia Sauditahanno unito le loro forze a novembreper far approvare il taglio storico del-la produzione di greggio. Una stra-ordinaria impresa diplomatica che hacoinvolto 13 membri dell’OPEC e 11paesi non-OPEC e si è consumata aldi fuori dei consueti forum multila-terali. E ancora più sorprendente è ilfatto che l’accordo abbia superato lenette divisioni geopolitiche tra i fir-matari. La cerimonia ha messo in-sieme molti dei combattenti per pro-cura che sostengono le fazioni oppostedella guerra civile siriana: da un latoRussia e Iran, entrambi sostenitori delgoverno siriano di matrice sciita e deisuoi alleati, dall’altro l’Arabia Saudi-ta e le monarchie del Golfo, che sup-portano principalmente i ribelli sun-niti. Come ci sono riusciti? La rispostapiù diretta risiede nel semplice inte-resse economico. Tuttavia, archivia-re questo successo come una sempli-ce mossa finanziaria ne sminuirebbel’importanza.

Un’intesa tra avversari. Un miracolo nella storiaenergeticaVincolare la fornitura petroliferaglobale ha sempre rappresentato unaquestione di azione collettiva al-quanto ingarbugliata, che però è di-ventata più complessa dai giorni in cuiun cartello OPEC più ristretto, o laTexas Railroad Commission, o per-sino la Standard Oil, potevano por-re un freno ai produttori affinchémantenessero i prezzi petroliferi “ra-gionevoli”. L’accordo di novembre hamesso insieme non meno di duedozzine di stati, molti dei quali av-versari strategici e persino acerrimi ri-vali. I protagonisti hanno concorda-to di fidarsi l’uno dell’altro abbastanzaa lungo da condividere il peso di ben1,8 milioni di barili al giorno (mbg)di tagli alla produzione in cambio del-la prospettiva di un incremento spro-porzionato degli utili. Questa larga in-tesa, di portata storica, non si sareb-be mai materializzata senza l’impor-tante impegno da parte dei due attoriprincipali - l’Arabia Saudita e la Rus-sia - per trovare un terreno comunee coinvolgere altri protagonisti. Oraresta da chiedersi se la collaborazio-ne della Russia con il Cartello pe-trolifero è stata solo un’impresa op-portunistica studiata ad hoc o se il le-game russo-saudita è destinato a re-stare stabile per lungo tempo anco-

ra. Da un lato, il successo dell’accordodi novembre – congegnato da duePaesi che si trovano sempre più incontrasto con Washington – segna-la una maggiore volontà di coopera-zione tra Russia e OPEC. Inoltre,l’intesa rappresenta un’opportunitàsenza precedenti per Mosca di crea-re un legame con l’Arabia Saudita,uno dei suoi più acerrimi nemicidurante la Guerra Fredda. Dall’altrolato, l’impegno della Russia di com-battere insieme alle forze religiosesciite in Siria, compreso l’Iran e la mi-lizia libanese Hezbollah, implicaorientamenti geopolitici opposti chepeserebbero a sfavore di un allinea-mento più stretto. L’accordo di no-vembre è stato raggiunto nel modoin cui solitamente vanno a finire icompromessi politici, ossia con ileader che forzano la mano e offro-no bustarelle per creare coalizioni.L’Arabia Saudita - il leader de factodell’OPEC per via della sua capaci-tà produttiva di riserva - ha tutelatola propria posizione di figura domi-nante. Il regno si è assicurato il coin-volgimento delle monarchie del Gol-fo e degli altri membri arabi del car-tello, nonché di altri paesi comel’Oman, il Sudan e il Bahrain che pro-ducono petrolio al di fuori del-l’OPEC. La collaborazione russa èentrata in gioco con il presidente Vla-dimir Putin, che intuì gli ovvi van-taggi per il proprio Paese. In cambiodi un taglio graduale di 300.000 ba-rili al giorno - pari al 2,6 percento cir-ca della sua produzione massima nel2016, nel momento in cui i tagli rag-giungeranno il picco - la Russia ha giàiniziato a raccogliere i frutti di un au-mento del 20 percento dei prezzi divendita del greggio degli Urali. PerMosca l’accordo di novembre ha giàdimostrato la sua utilità a livelloeconomico. Per contro, i sauditihanno accettato di tagliare 486.000barili al giorno. A gennaio il regno haannunciato di aver già superato talelivello. Altri tagli consistenti sono sta-ti promessi dagli Emirati Arabi Uni-ti (139.000 barili al giorno) e dal Ku-wait, che ha assicurato di tagliare131.000 barili, sorpassando questo li-vello già a gennaio.Inoltre, la Russia ha compreso pie-namente l’opportunità unica di sfrut-tare il proprio vantaggio geopoliticonel Golfo, il cuore strategico della si-curezza energetica statunitense. Lemonarchie del Golfo Persico sono in-fatti così importanti per Washin-gton che la protezione della loro so-vranità diede vita nel 1980 alla dot-trina Carter. Tale prescrizione affer-mava, in caso di necessità, l’uso del-la forza da parte degli Stati Uniti pertutelare i propri interessi nel GolfoPersico; in effetti, venne proclamatain risposta a una minaccia russa: l’in-vasione sovietica dell’Afghanistan nel1979. La dottrina Carter venne poi

FJIM KRANE

È Wallace S. Wilson Fellow for EnergyStudies presso il Baker Institute dellaRice University, dove si è specializzatoin geopolitica energetica del MedioOriente. È autore del libro del 2009“Dubai: The Story of the World’s FastestCity”. Il suo prossimo libro, edito daColumbia University Press, esamina la politica dell’energia nel GolfoPersico. @jimkrane.

WHAT’S NEXT

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PRODUZIONE A DICEMBRE 2016

TAGLIO CONCORDATO

Fonte: OPEC 2017

Produzione petrolifera attuale e taglio concordato per l’ArabiaSaudita, la Russia, il Kuwait e gli EAU. Il taglio dellaproduzione russa, in terminirelativi, è inferiore a quello dei tre grandi produttori OPEC.

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Page 15: MARZO 2017 - Eni · e radici culturali. Ora il cambia-mento. Prima ad Algeri e poi a Vienna, tra settembre e novembre 2016, è successo ciò che molti osservatori internazionali ritene-vano

messa in atto nel 1991, quando unaforza multinazionale guidata dagli Sta-ti Uniti cacciò gli invasori iracheni dalKuwait. Attualmente, sembra chel’America, traboccante di petrolio discisto e sempre più stanca dei vari ten-tativi falliti per rimodellare il MedioOriente, stia assumendo un atteg-giamento più rilassato nei confrontidelle incursioni russe nel Golfo.

Un lavoro alacre partitostrategicamente da Mosca Com’era prevedibile, Putin ha presol’iniziativa: lui e il ministro del-l’Energia russo, Aleksandr Novak,sono stati tra quelli che hanno lavo-rato più alacremente per raggiunge-re l’accordo, dimostrando la credibi-lità dell’intenzione della Russia di ta-gliare la produzione, facendo aderi-re un recalcitrante Iran e i produtto-ri dell’ex blocco sovietico, comeAzerbaijan e Kazakistan. Questa vol-ta, la posizione di Mosca è risultata piùcredibile rispetto alle promesse fattenel 1998, quando per l’ultima volta laRussia partecipò a un accordo del-l’OPEC sul taglio della produzione digreggio. All’epoca, gran parte del set-tore petrolifero russo era in mani pri-vate. La raffazzonata privatizzazionepost-sovietica aveva consegnato lechiavi dell’economia a una manciatadi oligarchi poco interessati a pro-muovere gli interessi strategici delloStato. In quell’occasione si sostene-va che gli imbrogli sulla quota dellaRussia fossero dilaganti. Dal gra-duale ritorno alla nazionalizzazionedelle più grandi compagnie del pe-trolio e del gas attuato da Putin, e dal-la scelta di mettere i suoi sottopostipolitici chiave a capo di tali imprese,le promesse di taglio alla produzioneda parte del presidente hanno acqui-sito un peso maggiore. L’applicazio-ne delle quote è inoltre reso più fa-cile dalla proprietà pubblica di Tran-sneft, il proprietario-operatore mo-nopolistico degli oleodotti russi. Sidice che Novak e la sua contropartesaudita, Khalid al-Falih, abbiano ela-borato i principi fondamentali del-l’accordo di novembre nel corso diriunioni tenutesi nell’arco di un anno,incontrandosi spesso in segreto. Dopoi tagli, entrambi i ministri hanno ri-lasciato dichiarazioni che suggeri-scono che tale cooperazione conti-nuerà. Novak si è spinto persino a de-scrivere la stretta collaborazione nelcampo energetico come un primo se-gnale di una “partnership strategica”in nuce. “È un momento storico, amio parere”, ha affermato Novak.Sorprendentemente, al-Falih ha ri-badito questa visione, dichiarando chel’accordo “rinsalda il rapporto e ciprepara per una cooperazione a lun-go termine”. A gennaio, al- Falih hanuovamente invocato una partnershipdi lungo periodo con Mosca, mastando attento a inquadrare la coo-

perazione in termini OPEC-Russia,piuttosto che come russo-saudita.“Noi dell’OPEC miriamo a ottimiz-zare i nostri rapporti con la Russia alungo termine”, avrebbe dichiarato al-Falih, aggiungendo che “una solu-zione temporanea non è certamenteun grande obiettivo. Vogliamo chequesta sia una partnership duratura.Dobbiamo essere flessibili nei nostriinterventi. La nostra collaborazionesi evolverà nel tempo”. Tali dichia-razioni sollevano la questione di qua-li potrebbero essere i parametri de-finitivi di questa partnership. La par-tecipazione di Putin ha consentito al-l’accordo di superare la crescenteanimosità tra l’Arabia Saudita e l’Iran.Sette mesi prima, le dispute tra sau-diti e iraniani avevano fatto fallire iltentativo di forgiare un’intesa analo-ga a Doha. All’epoca, l’Arabia Sauditaaveva chiesto che l’Iran applicasse deitagli, e la risposta di Teheran fu cheli avrebbe presi in considerazionequando la propria produzione avreb-be raggiunto 4 milioni di barili al gior-

no, il livello vantato prima dell’im-posizione delle sanzioni internazionalisul proprio programma nucleare.Tali sanzioni sono state cancellate nel2016. Questa volta Putin ha convin-to l’Iran ad aderire accertandosi pri-ma che l’Arabia Saudita avrebbe dav-vero accettato di farsi carico del tagliodella produzione più consistente ditutti i partecipanti. Tuttavia, i saudi-ti non volevano che si pensasse chestessero concedendo troppo all’Iran.Si dice che Putin, venutone a cono-scenza, abbia telefonato al presiden-te iraniano Rouhani, con il quale è inbuoni rapporti, e si sia rapidamenteassicurato il suo consenso. L’Iranavrebbe acconsentito - senza che glifosse chiesto di applicare alcun taglio- e avrebbe evitato di gongolare peressersi aggiudicato una “vittoria neiconfronti dei sauditi”. Il sorpren-dente risultato: i sauditi finiscono pertagliare più di mezzo milione di ba-rili al giorno, mentre all’Iran vieneconsentito un aumento della produ-zione di 90.000 barili al giorno.

L’equilibrio dei poteri tra i produttori OPEC e non-OPEC Mentre la vecchia ostilità tra la Rus-sia e i produttori del Golfo sembrascemare, occorre chiedersi qualesarà l’equilibrio dei poteri tra i pro-duttori OPEC e non-OPEC. Nellungo periodo, la duplice pressioneproveniente dal cambiamento cli-matico e dalla scoperta di enormi ri-sorse al di fuori dell’OPEC non faben sperare per il potere di mercatodel cartello. Tuttavia, l’accresciutacooperazione - in particolare con laRussia - potrebbe erodere l’influen-za di Washington sui sauditi e, perestensione, sul mercato petroliferostesso. Dieci o venti anni fa ciò sa-rebbe stato impensabile. Nell’erasovietica, l’Arabia Saudita e gli Sta-ti Uniti erano legati in una partner-ship strategica che agiva pratica-mente in blocco. In ogni occasionei sauditi sostenevano gli sforzi statu-nitensi per contrastare le intromis-sioni sovietiche e comuniste in tut-

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CANADA ARABIA SAUDITA

L’Arabia Saudita e il Canada competono per il mercato delle importazionistatunitensi.

IMPORT USA DI PETROLIO DA ARABIA SAUDITA E CANADAFonte: EIA

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to il mondo, ad esempio in Egitto,Congo, Angola, Nicaragua e, conmaggiore successo, in Afghanistan.Allo stesso tempo, l’Arabia Sauditautilizzava la propria capacità di riservapetrolifera per supportare diversiinterventi statunitensi in MedioOriente. Che si trattasse della perditadi produzione del Kuwait nel 1990,delle interruzioni causate dalla guer-ra civile in Libia dal 2011, o delle san-zioni per il nucleare in Iran, l’Ame-rica lavorava di concerto con l’Ara-bia Saudita per accertarsi che le in-terruzioni della fornitura petroliferapotessero essere coperte senza gra-vare eccessivamente sugli stati im-portatori, e in particolare sugli au-tomobilisti americani. In cambio,gli Stati Uniti garantivano un forte si-stema di protezione alle altrimentideboli monarchie del Golfo. Il vec-chio accordo “petrolio in cambio disicurezza” si è sempre fondato su untacito principio: la Russia dovevaessere tenuta a debita distanza. Comeè noto, nel 1951 il re saudita Abdul

Aziz disse a un generale statuniten-se al comando della base aerea a Dha-hran: “Se riuscite a trovare un co-munista in Arabia Saudita vi conse-gnerò la sua testa”. Oggi sono nu-merosi i russi nel Golfo, sebbene po-chi possano essere definiti comuni-sti. Da tempo i resort del Golfo, inparticolare a Dubai, attirano i gonfiportafogli dei turisti russi. Il Burj al-Arab, con camere da 1.500 dollari anotte, è così popolare tra i russi chel’hotel stesso assume personale di lin-gua russa. Il traffico funziona in en-trambe le direzioni. A dicembrel’OPEC ha essenzialmente compra-to una quota della produzione pe-trolifera russa - benché una rimanesotto il controllo pubblico russo. LaQatar Investment Authority si è uni-ta a Glencore, società svizzera dicommercializzazione di materie pri-me, in un accordo da 11 miliardi didollari per acquistare una quota del19,5 percento di Rosneft, una delleprincipali compagnie petrolifere quo-tate al mondo, della quale il gover-

no russo detiene la maggioranza. Sel’accordo andrà in porto, la venditadi Rosneft rappresenterebbe unadelle principali operazioni energeti-che degli ultimi mesi nonché unmodo plateale per aggirare le sanzionioccidentali imposte alla Russia. L’ac-cordo è degno di nota in parte per-ché, a quanto pare, il Qatar, unosceiccato alleato agli Stati Uniti, si èsentito a proprio agio a investire inRussia, pur ospitando il quartier ge-nerale del Comando Centrale degliStati Uniti presso l’estesa base aereadi al-Udeid, fuori Doha.

La posizione “comprensibile”degli Stati Uniti Nel frattempo, sembra che gli StatiUniti stiano consentendo le incur-sioni russe, allontanandosi dal MedioOriente e allentando gradualmentei propri legami con l’Arabia Saudita.La posizione americana è parzial-mente comprensibile. I rapporti traStati Uniti e Arabia Saudita hannoperso gran parte della loro ragiond’essere strategica dopo la dissolu-zione nel 1991 dell’Unione Sovieti-ca. Da allora, l’America è stata dan-neggiata dal coinvolgimento in guer-re costose e infruttuose che nonhanno in alcun modo placato il caosin Siria, Libia, Yemen e Iraq. Il peg-gioramento del rapporto tra StatiUniti e Arabia Saudita si è esacerba-to con la presidenza Obama, che haapertamente disprezzato questo le-game. Obama ha ritirato le forze sta-tunitensi dalla regione e ha simpa-tizzato apertamente con i manife-stanti della Primavera araba in Egit-to e Tunisia. Tale posizione pro-ri-voltosi ha allarmato l’Arabia Saudi-ta, in particolare il ritiro del sostegnostatunitense al presidente egizianoHosni Mubarak, deposto nel 2011. Isauditi hanno inoltre condannatol’indisponibilità di Obama a inter-venire con la forza nella guerra civi-le siriana. Ancora più allarmante perRiyadh è stata la partecipazione sta-tunitense all’accordo del 2015 invirtù del quale l’Iran ha congelato losviluppo nucleare in cambio dellacancellazione delle sanzioni occi-dentali. L’accordo nucleare ha spia-nato la strada al ritorno dell’Iran suimercati petroliferi e, cosa più im-portante, come concorrente strate-gico dei regimi sunniti in tutto il Gol-fo. L’ex ambasciatore saudita a Wa-shington, il principe Bandar bin Sul-tan, aveva previsto che l’accordonucleare avrebbe “gettato scompiglioin Medio Oriente” perché aiutal’Iran, “un protagonista di rilievo nel-la destabilizzazione della regione”.L’OPEC è stato inoltre attirato ver-so la Russia e altri stati non OPECperché due dei principali produtto-ri petroliferi, gli Stati Uniti e il Ca-nada, non hanno i mezzi per con-trollare la produzione petrolifera al-

l’interno dei propri confini. Wa-shington e Ottawa non hanno prati-camente nessuna influenza sulle de-cisioni produttive di più di 10.000operatori privati che ne costituisco-no il settore petrolifero. La rivolu-zione dello scisto ha consentito al-l’America di ottenere l’autosuffi-cienza nel settore del gas naturale edi avvicinarsi a quella petrolifera.Benché l’Arabia Saudita rimanga laseconda fonte principale delle im-portazioni petrolifere statunitensi, stacedendo terreno al Canada. Se l’oleo-dotto Keystone XL verrà costruito,potrebbe perdere altre quote dellostrategico mercato statunitense.Con Donald Trump alla Casa Bian-ca, non è facile immaginare se i rap-porti tra Stati Uniti e Arabia Saudi-ta siano destinati a progredire o a va-cillare ulteriormente. Da un lato,Trump ha basato la propria campa-gna elettorale sull’ulteriore riduzio-ne del coinvolgimento americanonella regione e ha rilasciato commentidenigratori sull’Arabia Saudita, af-fermando che le importazioni statu-nitensi di petrolio saudita – e forse ilsupporto militare statunitense – sa-rebbero state subordinate all’inter-vento saudita nella lotta contro lo Sta-to islamico o ISIS. Dall’altro lato, lanomina a Segretario di Stato di RexTillerson, ex amministratore delegatodi Exxon Mobil, suggerisce la possi-bilità di un rafforzamento dei lega-mi non solo con la Russia, ma anchecon l’Arabia Saudita e altri paesiproduttori di petrolio con la cui lea-dership Tillerson è in buoni rapporti.I cambiamenti nella dinamica dei rap-porti USA-Arabia Saudita-Russia sirealizzeranno nel lungo periodo,trattenuti unicamente da ostacolistrutturali. Le risorse della Russia perpenetrare nel Golfo, alleato degli Sta-ti Uniti – con le basi statunitensi e imilitari nazionali che rimangono in-teroperabili con quelli americani –sono limitate. Al momento, anche ilsostegno della Russia ai rivali sciitidelle monarchie sunnite impedisceulteriori intromissioni. In definitiva,se ci sono problemi in Medio Orien-te, è ancora Washington a risponderealla chiamata.

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Leggi su www.abo.net gli articoli di Demostenes Floros, GiuseppeAcconcia e Bassam Fattouh sullo stesso argomento.

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Casa Bianca/L’obiettivo indipendenza torna ad essere una priorità

America Energy FirstTra conferme e correzioni di rotta, la politica energetica di Trumpmantiene gli orientamenti espressi in campagna elettorale: rilancio delle trivellazioni e abbandono della politica ambientalista,anche se il clima torna nell’agenda presidenziale

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na delle poche certezze riguardo lepolitiche statunitensi dei prossimiquattro anni in tema di combustibi-li fossili risiede nel fatto che l’inqui-lino della Casa Bianca ne è sicura-mente uno dei maggiori fautori. Seb-bene i dettagli sulle politiche ener-getiche e ambientali del presidenteTrump siano ancora pochi e solo va-gamente tratteggiati, le sue intenzioninon potrebbero essere più esplicite.Sin dal giorno del suo insediamentoTrump, infatti, si è impegnato asmantellare le politiche energetichee ambientali poste in essere dal suopredecessore, tacciato da molti di osti-lità nei confronti del settore degliidrocarburi. La nuova amministra-zione ha immediatamente preso prov-vedimenti per far ripartire l’iter di rea-lizzazione degli oleodotti KeystoneXL e Dakota Access, avviando la

procedura di annullamento delle nor-mative ambientali considerate sco-mode per il comparto dei combusti-bili fossili e dando inizio al ridimen-sionamento del ruolo governativoassunto dagli Stati Uniti nella lotta alcambiamento climatico. Molti dei pia-ni di Trump potrebbero richiederemesi, o persino anni, prima di esse-re messi in pratica, mentre altri sa-ranno contestati dal fronte giudizia-rio o intralciati dalla lenta burocraziagovernativa. Ma le dinamiche sem-brano essere molto evidenti: l’atten-zione del nuovo gruppo dirigente del-la Casa Bianca è concentrata soprat-tutto sugli aspetti relativi ai livelli oc-cupazionali e all’economia, mentre lepriorità individuate dalla precedenteamministrazione, che riguardavano ilcambiamento climatico e la salva-guardia dell’ambiente, non solo sono

state accantonate, ma raccolgonoaspre critiche dai fronti più dispara-ti. L’industria è cautamente ottimista,gli ambientalisti sono esterrefatti el’opinione pubblica americana è per-corsa da una divisione profonda e daun dibattito aspro.

Parola d’ordine: autonomiaenergeticaIl modo di agire di Trump, avventa-to e incurante delle conseguenze,sta preoccupando allo stesso modo so-stenitori e avversari. Durante l’an-nuncio della riapertura del processoche consentirà di portare a termine glioleodotti Keystone XL e DakotaAccess, il Presidente ha dichiarato cheavrebbe preteso l’uso esclusivo diacciaio di provenienza statunitense perla loro costruzione. Una tale richie-sta costituisce una vera e propria

MOLLY MOORE

È vice presidente senior di SandersonStrategies Group, azienda di strategiemediatiche con sede a Washington, D.C.In precedenza è stata corrispondentedall’estero per il Washington Post.

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violazione delle normative stabilite inseno all’Organizzazione mondialedel commercio, deroga consentita sol-tanto nel caso in cui venga posta a re-pentaglio la sicurezza nazionale. Lanuova amministrazione ha dovuto faremarcia indietro anche riguardo allacostruzione del muro sul confine traStati Uniti e Messico e all’applica-zione di un’imposta del 20 percentosulle merci importate. Affermazioniche avevano inizialmente allarmatol’industria del petrolio e del gas, e nonsolo, tanto da indurre Trump a ri-trattare, almeno in parte, quanto af-fermato riguardo a una possibile im-posta doganale. La maggiore preoc-cupazione dell’industria del petrolioe del gas riguarda il fatto che più del-la metà delle esportazioni di gas na-turale degli ultimi due anni è stata ac-quistata dal Messico. Sono esatta-mente le affermazioni di questo tipoche generano un grado di incertezzatale da destabilizzare le stesse indu-strie che Trump ha promesso di so-stenere. Il nuovo presidente ha ester-nato le linee guida del suo piano ener-getico sul sito della Casa Bianca,con il titolo An America First Ener-gy Plan, volto, secondo quanto af-fermato, a “ottenere l’indipendenzaenergetica degli Stati Uniti dal cartelloOPEC e da qualsiasi Paese ostile ainostri interessi. Allo stesso tempo, la-voreremo con gli alleati del Golfo persviluppare una relazione energeticapositiva che sarà parte integrantedella nostra strategia antiterrori-smo.” A livello nazionale, Trump haaffermato che la sua amministrazio-ne “abbraccerà la rivoluzione del pe-trolio di scisto e del gas”, mettendoa disposizione nuovi terreni federaliper lo sfruttamento di “riserve inuti-lizzate di petrolio e gas naturale”. Ri-guardo alle normative ambientali, ilnuovo inquilino della Casa Bianca hainvece dichiarato: “Troppo a lungosiamo stati frenati dalle gravose nor-mative imposte al nostro settoreenergetico. Io sono impegnato a eli-minare tutte le politiche non neces-sarie e dannose, come il Climate Ac-tion Plan e il Waters of the U.S. rule”,tutte iniziative del suo predecessorevolte a salvaguardare i corsi d’acquae a ridurre le emissioni di gas serra.Tuttavia, queste asserzioni, pubblicateonline, non forniscono informazionispecifiche, né rivelano altro rispettoa quanto dichiarato in campagnaelettorale. La senatrice repubblicanadell’Alaska, Lisa Murkowski, presi-dente della Commissione Energia eRisorse Naturali, forte sostenitrice de-gli interessi legati all’industria del gase del petrolio, ha affermato di non at-tendersi informazioni specifiche sul-la politica energetica della nuovaamministrazione prima della sca-denza di 100 giorni dall’inizio del-l’attività presidenziale. “Ritengo che,in quanto presidente della Commis-

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EDWARD SCOTT PRUITT Amministratore dell’EPA, Environmental Protection Agency

Avvocato e politico repubblicano, nel 2010 è stato nominatoProcuratore Generale dello stato dell’Oklahoma. In questaveste ha manifestato posizioni contrarie alle normative per la protezione dell’Ambiente, conducendo o partecipando a 14 azioni legali contro l’EPA, l’Environmental ProtectionAgency, lo stesso ente per il quale è il candidatoselezionato da Trump alla carica di amministratore.Nonostante la stampa americana gli attribuisca una tendenza “negazionista” rispetto al problema

dei cambiamenti climatici, nel corso dell’udienza in Senatoper la conferma definitiva alla sua nomina a capo dell’EPA

ha dichiarato come “il clima stia cambiando, e l’attività umanacontribuisce in qualche modo a determinare questo

cambiamento”.

REX TILLERSONUomo d’affari e diplomatico, è il 69mo Segretario di Statoamericano, incarico che ricopre dal momento della suaconferma, il 1° febbraio 2017. Nato a Wichita Falls, inTexas, Tillerson ha conseguito la laurea in Ingegneriacivile presso la University of Texas di Austin e, nel1975, è entrato a far parte di Exxon Company USA in qualità di ingegnere di produzione. Dopo la nomina,nell’agosto del 2001, a Vice Presidente Senior, è stato

eletto, nel marzo del 2004, Presidente di ExxonMobil e membro del Consiglio d’Amministrazione, assumendo

poi, dal 1° gennaio 2006, la posizione di CEO della stessasocietà, ruolo che ha mantenuto fino alla nomina a capo

della diplomazia statunitense.

RICHARD PERRY Candidato* alla carica di Segretario del Dipartimento

statunitense per l’energiaJames Richard “Rick” Perry è stato il 47mo governatore

dello stato del Texas, avendo ricoperto questo incarico dal dicembre 2000 al gennaio 2015, nel più lungo periodo di governo che lo Stato abbia mai avuto. Repubblicano, è stato eletto vice-governatore del Texas nel 1998 e haassunto la leadership quando l’allora governatore GeorgeW. Bush si è dimesso per diventare presidente degli StatiUniti. Perry ha corso, senza successo, anche per lanomination repubblicana alla presidenza degli Stati Uniti

nel 2012 e nel 2016. Il 14 dicembre 2016, Donald Trump ha annunciato la sua intenzione di nominare Perry come

Segretario del Dipartimento per l’energia, incarico che oraattende la conferma del Senato americano.

RYAN ZINKE Candidato* alla carica di Segretario per gli Affari InterniEx militare, dimessosi dagli U.S. Navy Seals con il grado di comandante nel 2006, è membro della Camera deiRappresentanti per lo Stato del Montana dal 3 gennaio2015. Repubblicano, è stato chiamato da Trump a guidareil dipartimento dell’Interno che, negli Stati Uniti, si occupaprevalentemente della protezione delle risorse naturali del Paese, inclusa la gestione dei territori demaniali e dei parchi. Zinke sarà chiamato a cambiare alcune delle

regole introdotte dall’amministrazione Obama, che limitavanol’uso del territorio americano, ad esempio vietando il fracking

o le perforazioni petrolifere nel Mar Artico.

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*Al momento della chiusura del giornale il Senato americano non aveva ancora ratificato la nomina del candidato

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sione per l’Energia, sia mio dovere ri-cordare alla nuova amministrazionele notevoli opportunità che il setto-re energetico presenta e il motivo peril quale è così importante che questoargomento sia posto in cima alla listadelle priorità da affrontare”.

Tutti gli uomini “energetici”del PresidenteL’ingresso di Trump alla Casa Bian-ca ha incoraggiato i legislatori re-pubblicani a introdurre una vastaserie di regolamenti a favore deicombustibili fossili e contro l’EPA,l’Agenzia statunitense per la tutelaambientale, che, nel loro insieme, po-trebbero guadagnarsi il sostegno del-la nuova amministrazione. Tuttavia,sembra che molti dei primi atti legi-slativi presentati avessero evidentilacune redazionali, quasi al pari deiprimi discorsi politici di Trump, e perquesto motivo siano stati ritirati insordina. Al di là del frenetico desideriodi Trump di smantellare molte dellepolitiche del suo predecessore, e del-le approssimative dichiarazioni poli-tiche pubblicate sinora sul sito webdella Casa Bianca, una più chiara vi-sione delle future politiche dellanuova amministrazione riguardol’energia e l’ambiente emerge dalleanimate udienze del Senato statuni-tense, durante le quali si discutono lenomine di coloro che guideranno leagenzie responsabili di mettere in attoi propositi di Trump e le leggi delCongresso. Le personalità indicate dalpresidente per ricoprire i ruoli chia-ve del proprio governo hanno in co-mune il sostegno al settore dei com-bustibili fossili. L’ex CEO di Exxon-Mobil, Rex Tillerson, è il nuovo se-gretario di Stato, la carica diploma-tica più importante della nuova am-ministrazione Trump. Rick Perry,ex governatore del Texas, stato riccodi petrolio, è stato nominato allaguida del Dipartimento dell’Energia,sebbene un tempo lui stesso ne aves-se proposto l’abolizione. Scott Pruitt,ex procuratore generale dell’Okla-homa, un altro stato rinomato per laconsistente presenza di petrolio, è sta-to scelto da Trump per dirigere l’En-vironmental Protection Agency(EPA). Pruitt aveva presentato alme-no 14 istanze contro lo stesso ente nelcorso dei sei anni in cui ha ricoper-to la carica di procuratore generale.Ryan Zinke, membro della Cameradei Rappresentanti per il Montana,acerrimo cacciatore e pescatore, non-ché sostenitore dell’espansione delletrivellazioni, delle estrazioni e del di-sboscamento nei possedimenti fe-derali, è a capo del Dipartimento de-gli Interni. Tutti, in varia misura, han-no espresso scetticismo riguardol’impatto che una ripresa delle attivitàdi produzione degli idrocarburi po-trebbe avere sul cambiamento cli-matico. Alcuni dei candidati al gabi-

netto di governo hanno fortementecriticato, in passato, le agenzie cheoggi sono stati incaricati di governa-re. Perry, nella sua corsa verso la pre-sidenza, aveva proposto addirittura dieliminare il Dipartimento dell’Ener-gia. Durante l’udienza per la sua no-mina ha tentato di rassicurare i se-natori, affermando di aver cambiatoopinione: “Le mie passate dichiara-zioni riguardo l’abolizione del Di-partimento dell’Energia, risalenti or-mai a più di cinque anni fa, non ri-flettono il mio pensiero attuale. Dopoaver appreso quanto siano importantile funzioni svolte del Dipartimentodell’Energia, mi rincresce di averneproposto l’eliminazione.”

Marcia indietro sul clima?Il presidente Trump, e gli uomini se-lezionati per il suo governo, sembra-no voler ammorbidire la propria po-sizione riguardo alla questione delcambiamento climatico. Il Presiden-te ha compiuto un passo indietro ri-spetto a quanto dichiarato nel corsodella campagna elettorale, in cui la de-finiva una “bufala” propinata dallaCina. “Credo che il clima stia cam-biando,” ha detto ai senatori Perry, cheera solito definirsi scettico riguardo laquestione, “che il cambiamento cli-matico stia avvenendo in modo na-turale solo in parte e che sia causato,al tempo stesso, dall’attività umana. Ladomanda che dobbiamo porci è comeaffrontarlo in modo ponderato, sen-za compromettere la crescita econo-mica, l’accessibilità dell’energia e i po-sti di lavoro degli americani.” “Lascienza ci dice che il clima sta cam-biando e che l’attività dell’uomo, inqualche modo, sta influendo su talecambiamento,” ha dichiarato il can-didato alla direzione dell’EPA, ScottPruitt. Da parte sua, il candidato a Se-gretario per gli Interni, Ryan Zinke,ha affermato come il cambiamento cli-matico non sia una bufala, ma ha pre-

cisato: “Ritengo che il dibattito do-vrebbe spostarsi su come tutto que-sto possa influire sulle nostre vite e sucosa possiamo fare al riguardo”. No-nostante ciò, ancora nessuna presa diposizione ufficiale, rispetto a questotema, è stata assunta. A pochi giornidall’insediamento di Trump, tutte lepagine riguardanti la questione delcambiamento climatico sono prati-camente svanite dal sito web dellaCasa Bianca.

La nuova vita del carboneSe è vero che il presidente ha la facoltàdi assumere decisioni esecutive in ma-niera rapida, l’attuazione di nuove po-litiche strutturali potrebbe dover af-frontare innumerevoli ostacoli buro-cratici, politici e legali. In ogni caso,gli esiti dell’avanzamento tecnologi-co e le forze di mercato potrebbero,per certi versi, ottenere un impattopiù efficace di qualsiasi nuova deci-sione politica. Nel settore energeti-co, più che in ogni altro, esiste la con-creta possibilità che ciò accada. Adesempio, sebbene Trump possa fa-vorire le politiche che governano lafratturazione idraulica, è lo Stato, in-sieme ai governi non federali, adavere il controllo sui permessi e lenormative che regolano le operazio-ni industriali. Lo stesso vale per le in-dustrie energetiche. Sono le direttive federali a stabilire glistandard minimi di molte normativeambientali, mentre gli Stati dispon-gono dell’autorità necessaria a im-porre limitazioni ben più restrittive.Trump, e i membri del suo governo,hanno promesso di bandire molte del-le normative ambientali che oggi li-mitano l’operato dell’industria degliidrocarburi, e di accelerare le proce-dure di autorizzazione dei progetti giàcantierabili, il cui avvio potrebbe,altresì, tardare mesi o persino anni.Tuttavia, molti gruppi ambientalististanno potenziando il proprio team di

legali in vista delle battaglie giudiziarieche, pur nella prospettiva di esitinon favorevoli, potrebbero comunqueavere l’effetto di ritardare l’attuazio-ne delle politiche di Trump fino allascadenza del suo mandato. Le attua-li condizioni del mercato, insieme allarapida evoluzione delle tecnologie ela crescente domanda, da parte deiconsumatori, di una maggiore re-sponsabilità delle aziende, possonorappresentare, inoltre, forze ancor piùtrainanti per il settore. Uno dei pila-stri della campagna elettorale diTrump è stata la promessa di ripor-tare posti di lavoro e prosperità nelsettore del carbone. Ma il declino del-l’industria carbonifera dipende, inegual misura, se non maggiormente,dal calo dei prezzi del gas e dall’in-troduzione delle nuove tecnologie,piuttosto che dalle normative am-bientali. Il repubblicano DavidMcKinley, membro della Cameradei Rappresentanti per lo Stato del-la Virginia Occidentale, la cui eco-nomia si basa prevalentemente sul car-bone, ha ammesso: “Mi rendo contoche non stiamo tornando agli anni ’50e ’60”. La nuova amministrazione ha,inoltre, promesso di concedere nuo-ve aree per le trivellazioni in Alaska,al largo delle coste statunitensi e suiterreni pubblici, ma considerati le bas-se quotazioni del petrolio e il drasti-co aumento della fratturazione idrau-lica, ben poche compagnie petrolife-re saranno interessate, o finanziaria-mente in grado, di estendere le ope-razioni di trivellazione in queste aree,soprattutto nell’Artico, un territorio“desolante” sia dal punto di vistaambientale che economico. Il presi-dente Trump, insieme al suo gover-no, ha inoltre preso di mira le leggivolute da Obama per inasprire le re-strizioni riguardanti le emissioni di gasserra e l’inquinamento idrico. Moltidegli sforzi volti a sovvertire questoquadro normativo troveranno unforte sostegno all’interno del Con-gresso statunitense, ormai dominatodai repubblicani. Il sito web di infor-mazione “Politico” ha chiesto al-l’amministratore uscente dell’EPA,Gina McCarthy, che ha sovrinteso al-l’attuazione di tali normative: “Cos’èche le toglie davvero il sonno quan-do pensa all’EPA nelle mani del-l’amministrazione Trump?”. La sua ri-sposta è stata: “Ognuna delle questioniattuali mi tiene sveglia la notte e nelloro insieme potrebbero togliermi ilsonno per i prossimi 10 anni”.

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La nuova amministrazione ha promesso di concedere ulteriori aree per le trivellazioni in Alaska. Nella foto una piattaforma a Prudhoe Bay.

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USA Politics/Le principali linee della nuova amministrazione

L’energia a stelle e strisceCon Trump c’è stata un’improvvisasvolta a destra per le politicheenergetiche e climatiche ma, di fatto, il loro impatto saràcomunque limitato dalle influenzedel mercato. Importante puntare su mercati energetici integrati a livello globale o regionale

li Stati Uniti vantano un enormepatrimonio di risorse naturali, un’eco-nomia forte, un vivace sistema di uni-versità e associazioni della società ci-vile, e imprese private di qualità ec-cellente. Ognuno di questi fattori hacontribuito a rendere gli USA uno deiprincipali produttori e consumatori dienergia al mondo, nonché fonte prin-cipale di tecnologie energetiche in-novative. Gli Stati Uniti si trovano adaffrontare un mondo con un sistemaenergetico in piena evoluzione. Imercati petroliferi stanno lentamen-te tornando in equilibrio dopo dueanni di offerta in eccesso accompa-gnata da un drastico calo dei prezzi.L’andamento futuro dei prezzi è in-certo, nonostante la recente decisio-ne dell’OPEC di ridurre la produ-zione. Un percorso accidentato conlivelli dei prezzi inferiori sembraprobabile e non si può ignorare la pos-sibilità di forti impennate favorite dainterruzioni dell’approvvigionamen-to. Le congiunture economiche sfa-vorevoli e l’incertezza nelle economieprincipali come quella cinese an-dranno probabilmente a pesare sul-le aspettative di aumento della do-manda energetica in tutto il mondo.I cambiamenti che coinvolgono le tec-nologie, le politiche e i mercati con-tinuano a rimodellare i settori del-

l’energia elettrica consolidati e invia di sviluppo in termini di mixenergetico, efficienza e complessitàdella rete. Il fermento geopolitico inalcune delle più importanti regioniproduttrici di energia del mondocontinuerà a mantenere i mercatidel petrolio e del gas in bilico. Un’on-data di populismo, anti-globalizza-zione e malcontento politico continuaa indebolire le istituzioni e a mette-re in crisi la governabilità in molti

Paesi del mondo. Sul fronte del cli-ma, gli Stati Uniti si sono imposticome leader dell’azione globale per latutela del clima e la riduzione delleemissioni, ma serviranno ancoraenormi passi in avanti per rispettaregli obiettivi globali dichiarati. Alcontempo, il centro di gravità dellacrescita della domanda energeticaglobale si è spostato nei Paesi in viadi sviluppo, cosicché queste regionisono diventate lo scenario della mag-

SARAH O. LADISLAW

È direttrice e membro senior delProgramma per la Sicurezza Nazionalee l’Energia del CSIS- Center forStrategic & International Studies.Ladislaw è un’esperta di politicaenergetica statunitense, mercati globalidel petrolio e del gas naturale ecambiamento climatico. Ha diretto il nuovo lavoro del CSIS sulcambiamento climatico, il settoreelettrico e lo sviluppo della tecnologiaenergetica.

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gior parte dei nuovi investimentienergetici, mentre tutti gli stakehol-der del settore energetico si concen-trano sulle modalità per dotare i piùpoveri del mondo di moderni servi-zi energetici.

La repentina virataL’elezione di Donald Trump allapresidenza è stata caratterizzata daun’improvvisa svolta a destra per lepolitiche statunitensi sull’energia e il

cambiamento climatico. Le promes-se elettorali di Trump includono unridimensionamento delle normativeambientali, l’apertura di più aree disviluppo petrolifero e del gas, la rivi-talizzazione del settore del carbone,il ritiro dall’Accordo di Parigi sul cli-ma e l’indipendenza energetica degliStati Uniti. In realtà, per quantol’amministrazione Trump possa pren-dere delle misure per realizzare que-sti obiettivi, il loro impatto sarà co-munque limitato dalle influenze delmercato. Ad esempio, il processoper abrogare le politiche sulle licen-ze e le normative ambientali dell’eraObama è oneroso e controverso, e alcontempo offre pochissime certezzea lungo termine per gli investitori neisettori interessati. Il climate changeè l’ambito più colpito da questi cam-biamenti, nonostante l’incertezza ap-pena menzionata. Le politiche fede-rali sul clima, che nel caso di un’am-ministrazione Clinton sarebbero sta-te estese, non saranno molto proba-bilmente portate avanti (si fannoipotesi sull’eventualità che le dispo-sizioni complementari di tali politichea livello statale e locale possano con-tinuare a resistere). Nel contestodell’agenda climatica globale, chemirava a ottenere riduzioni delleemissioni persino superiori a quellepromesse a Parigi, limitarsi a mante-nere la riduzione delle emissioni rag-giunta dagli Stati Uniti fino ad oggiè un risultato subottimale, mentreadottare azioni che aumentano leemissioni potrebbe risultare disa-stroso. Un altro esempio è la pro-messa di ottenere l’indipendenzaenergetica, un obiettivo che gli Sta-ti Uniti non sono mai stati così vici-ni dal raggiungere negli ultimi 40anni. Oggi, gli Stati Uniti produco-no più energia che mai in rapporto ailoro consumi, eppure rimangono le-gati al destino degli altri Paesi tantoquanto lo erano un decennio fa,quando la loro dipendenza dalle im-portazioni di energia era ai massimilivelli. Non è chiaro se una delle va-ghe dichiarazioni di Donald Trumpsulla possibilità di opporsi all’OPECe di rivendicare l’indipendenza ener-getica si materializzerà semplice-mente in politiche di sostegno allaproduzione energetica, che sarannoben accolte dal settore del petrolio, delgas e del carbone. Tuttavia gli inve-stimenti potrebbero essere limitati daun mercato globale in sovrapprodu-zione, almeno nei prossimi due anni,e gli effetti sulla produzione attualepotrebbero essere limitati dai cicli alungo termine relativi alla realizza-zione di nuovi investimenti. Perquanto concerne la posizione degliStati Uniti nei confronti dell’OPECe degli altri produttori e consumato-ri principali di petrolio, è probabileche questa venga fortemente in-fluenzata da altre questioni di politi-

ca estera, come la posizione sul com-mercio, le modifiche all’accordo sulnucleare con l’Iran e altre questionidi sicurezza. Come per le altre nuo-ve amministrazioni, Trump eredite-rà un sistema energetico con le pro-prie dinamiche e problematiche, soloalcune delle quali sono sotto il con-trollo federale. Attualmente, il setto-re energetico sta attraversando alcu-ni cambiamenti profondi che daran-no vita a ostacoli e a opportunità epermetteranno alla nuova ammini-strazione di determinare il futuroenergetico collettivo. Pensiamo adesempio al settore dell’elettricità sta-tunitense. Solo pochi anni fa, metàdella produzione elettrica statuni-tense era legata al carbone; questo va-lore è sceso al 32 percento a causa del-le abbondanti risorse di gas naturale,degli standard ambientali più restrit-tivi per le centrali a carbone e del-l’aumento della capacità solare ed eo-lica. La tendenza ad abbandonare ilcarbone, probabilmente, continueràsenza un supporto governativo mol-to consistente. Gli Stati Uniti hannoabbondanti risorse di gas, e le politi-che e gli incentivi fiscali esistenti a li-vello statale e federale - insieme alladiminuzione del costo delle rinnova-bili - manterranno competitive le ri-sorse rinnovabili. Gli stati federalistanno sperimentando nuovi model-li di prezzi e normative per adattarsialla quantità di risorse di energia di-stribuita, dalle tecnologie solari sui tet-ti a quelle per lo stoccaggio di ener-gia e per gestire la domanda. Nel frat-tempo, la domanda di elettricità ne-gli Stati Uniti è stabile con tendenzaa diminuire a causa di una minore cre-scita economica e dell’aumento deitassi di efficienza, il che comportal’estromissione di altre fonti a causadi grandi cambiamenti nel mix dicombustibili. Tali tendenze conti-nueranno a mettere in discussione ilruolo del carbone e dell’energia nu-cleare. Otto reattori nucleari hannoannunciato piani di chiusura, e se-condo alcune stime altri 15-20 im-pianti potrebbero fare lo stesso. Al-l’inizio del prossimo anno, il Tribu-nale distrettuale degli Stati Uniti de-ciderà il destino del primo standarddi settore per la regolamentazione del-l’anidride carbonica nell’ambito delClean Power Plan. L’amministrazio-ne Trump ha promesso di abrogare siaquesta che molte altre normativeambientali che colpiscono il settoreelettrico statunitense. Benché la nuo-va amministrazione abbia l’autorità diintraprendere tale deregolamenta-zione, il processo sarà lungo e il go-verno sarà citato in giudizio dagli sta-ti e dalle organizzazioni ambientali.Il risultato sarà solo una maggiore in-certezza invece di un chiaro segnalesu una maggiore o minore regola-mentazione sul clima nel corso delladurata degli investimenti a lungo

termine. Gli stakeholder dell’interosettore si rendono conto che talicambiamenti stanno mettendo sottopressione un sistema la cui strutturafisica e normativa è stata concepita perun’epoca diversa, e che sono necessaricambiamenti per adattarsi alle nuoverealtà di un sistema in transizione.

Trasporti e infrastrutture,cosa cambieràIl cambiamento sta attraversando an-che il settore dei trasporti. Per la pri-ma volta in decenni, il parco veicolistatunitense ha raggiunto i suoi con-correnti internazionali in termini diefficienza. Ride e vehicle sharingsono fenomeni in crescita in gran par-te dei centri urbani e la loro tecnolo-gia è diffusamente considerata comeanticipatrice di un’esperienza di tra-sporto completamente nuova, graziealla futura apparizione di veicoli deltutto autonomi. Sullo sfondo di que-sto enorme cambiamento, il sistemanazionale dei trasporti è bloccato inuna distorsione temporale. Le auto-strade, i ponti e le ferrovie rimango-no miseramente vittime di sotto ma-nutenzione e rappresentano dei rischiper la sicurezza, nonché una pesantezavorra per l’intera economia. Mol-te comunità statali e locali stanno mo-dernizzando la propria infrastrutturadei trasporti, ma si può e si dovreb-be fare molto di più. La campagna diTrump si fondava sulla promessa di in-vestire nelle infrastrutture della na-zione che, in gran parte, includono ilsettore dei trasporti. Le politiche in-frastrutturali e gli investimenti intel-ligenti potrebbero costituire un pro-gresso molto gradito e necessario inquesto settore. Nel frattempo, la ri-voluzione della produzione statuni-tense di petrolio e gas continua ri-manendo, nonostante due anni diprezzi del petrolio e del gas naturalebassi, ai livelli più alti degli ultimi de-cenni. La produzione petroliferaUSA, attualmente, riveste un ruolocentrale nelle dinamiche del merca-to petrolifero globale, mentre leesportazioni di gas naturale sonosbandierate come simbolo della po-tenzialità, per questa risorsa, di rive-stire un ruolo più importante nei pros-simi decenni. I timori riguardantil’impatto ambientale della produzio-ne, soprattutto onshore, hanno datovita agli sforzi delle lobby per inter-rompere la produzione di tutti i com-bustibili fossili. Ironia della sorte,ciò avviene nello stesso momento incui buona parte dell’infrastrutturadel petrolio e del gas della nazione staraggiungendo lo stadio di maturità enecessita di essere sostituita. Diversefuoriuscite di petrolio e perdite di gas,avvenute recentemente, dimostranola necessità di aggiornare e sottopor-re a manutenzione tali infrastrutture.La costruzione di nuovi oleodotti,come Keystone XL e Dakota Access,

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riceverà la massima attenzione poli-tica sotto la nuova amministrazione,ma la sfida di modernizzare la rete dioleodotti e gasdotti esistenti e dicontinuare a migliorare le presta-zioni dal punto di vista ambientale saràdi importanza altrettanto fondamen-tale. La nuova amministrazione haun’eccezionale opportunità di sfrut-tare questi cambiamenti ed effettua-re alcuni re-investimenti, tanto ne-cessari, che andranno a beneficiodell’economia statunitense, e po-trebbe persino scegliere di farlo inmodo accettabile per entrambi leparti politiche. Una delle poche aree

di intesa nella profonda spaccatura ge-nerata durante la corsa alla presiden-za di quest’anno, infatti, è stata pro-prio la necessità di ricostruire le in-frastrutture della nazione e di utiliz-zare il settore energetico per creareposti di lavoro e favorire la crescita.Diverse proposte di legge promossedall’attuale Congresso, nonché dal Di-partimento dell’Energia statunitensenel suo Quadrennial Energy Reviewe dal Dipartimento dei Trasporti sta-tunitense con il suo report BeyondTraffic, hanno presentato alcune ideeriguardanti le sfide dell’infrastruttu-ra energetica del futuro. L’ammini-

strazione Trump farebbe bene ad af-fidarsi a questi documenti e alle in-formazioni in essi riportate per ope-rare delle scelte consapevoli.

L’Agenda dell’innovazioneUn’altra area di accordo bipartisan èl’Agenda dell’innovazione. Gli StatiUniti sono leader mondiali nelle tec-nologie energetiche, automobilistichee agricole di tutte le tipologie. Il go-verno federale riveste un ruolo im-portante nel suo apporto a tale eco-sistema dell’innovazione. Sarebbe unerrore perdere il vantaggio competi-tivo che gli Stati Uniti possiedono nel-

l’innovazione energetica, arrenden-dosi a miopi esercizi di tagli del bud-get. Un’ultima lezione fondamenta-le da trarre dall’esperienza elettora-le di quest’anno è che, in entrambi ipartiti, si è diffuso un forte malcon-tento per quanto riguarda la condi-zione della mobilità economica e so-ciale. Tale preoccupazione permeerà,probabilmente, i dibattiti energeticia livello nazionale e locale, sia a de-stra che a sinistra, dello spettro poli-tico, perché l’energia è spesso legataa opportunità economiche e allacreazione di posti di lavoro. In occa-sione delle tornate elettorali più re-centi, entrambi i partiti hanno sug-gerito che la crescita economica, siaa livello nazionale che locale, potrebbeessere raggiunta alternativamentetramite l’utilizzo di energia a basseemissioni oppure con una produzio-ne energetica basata sui combustibi-li fossili e bassi prezzi dell’energia. Ciòche nessun politico è disposto ad am-mettere è che la nostra comprensio-ne di come l’energia si adatti alla mo-bilità economica e sociale è insuffi-ciente e opportunista. Questo è unambito in cui avrebbe particolar-mente senso uno sforzo bipartisan percomprendere davvero il ruolo del-l’energia nella mobilità economica esociale e per migliorare le nostrepolitiche e i nostri investimenti. In-fine, è fondamentale che la nuova am-ministrazione non perda di vista gliimportanti rapporti energetici che hastretto in tutto il mondo. Per granparte degli ultimi quarant’anni, la po-litica energetica statunitense è stataguidata dall’esigenza di fornire sicu-rezza energetica tramite rapporticommerciali estesi e aperti, soprat-tutto per il petrolio, all’interno delmercato globale. Grossomodo, negliultimi dieci anni, questo obiettivoprincipale è stato affiancato dallapriorità generale di ridurre le emis-sioni legate al consumo di energia percontrastare il cambiamento climati-co. L’attuale amministrazione non èguidata da nessuna di queste priori-tà, al contrario si concentra sullo sfrut-tare al massimo le risorse energetichestatunitensi. Un concetto collegatomolto strettamente all’idea di indi-pendenza energetica. A prescinderedalla quantità di energia in mano agliStati Uniti, sarebbe sbagliato ignorarei benefici economici e di sicurezza de-rivanti da mercati energetici integratia livello globale o regionale. L’ener-gia riveste un importante ruolo stra-tegico nell’economia statunitense enei rapporti con gli altri Paesi. Se daun lato l’agenda elettorale dell’am-ministrazione Trump verrà limitatadalle tendenze del mercato, dall’altroanche un settore dell’energia dina-mico offre moltissime opportunità,che vale la pena di cogliere.

L’America First Energy Plan,recentemente diffuso dalla CasaBianca, delinea, anche se ancorasommariamente, i punti salienti della politica energeticadell’amministrazione Trump.

1. L’energia è un elementofondamentale per la vita dell’America.

2. Affrancamento dalla dipendenzapetrolifera straniera.

3. Riduzione dei costi dell’energia per gli americani e massimizzazionedell’uso delle risorse interne.

4. Aumento dei salari nel settoreenergetico per complessivi 30 miliardidi dollari nei prossimi 7 anni.

5. Abrogazione delle politicheambientaliste, come il Climate ActionPlan e la Waters of the U.S. rule.

6. Sostegno alla produzione di shaleoil e shale gas e creazione di nuoviposti di lavoro nel settore.

7. Indipendenza energeticadal cartello OPEC e da ogni Paese ostile agli USA.

8. Sfruttamento dei 50 miliardi di dollari di scisto, petrolio e gasnaturale ancora non estratti, presentiin particolare su terre federali.

9. Cooperazione con i Paesi del Golfo alleati per sviluppare un rapporto energetico costruttivocome parte della strategia di lotta al terrorismo.

10. Ridefinizione della mission di EPA (Environmental ProtectionAgency) orientandola alla protezionedelle riserve e delle risorse naturali.

La via dell’autonomia

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Stati Uniti/Cosa cambia per il settore Oil&gas con l’avvento di Trump

Una nuova era energetica

Le prospettive per il settore, sotto la nuova amministrazione, sonopositive, ma restano dei motivi di preoccupazione: dall’ipotesi di unacarbon tax federale ad alcuni piani statali per la tassazione dei consumi

on l’elezione del Presidente Obamanel 2009, il settore statunitense del pe-trolio e del gas si è ritrovato ad af-frontare un’amministrazione menointeressata a promuovere la produ-zione e l’esplorazione interne diquanto, invece, fosse impegnata a so-stenere l’introduzione di normative eimposte oppressive per le compagnieenergetiche statunitensi. Con la re-cente elezione del Presidente DonaldTrump si apre una nuova era: laCasa Bianca e il Congresso hanno in-fatti già avviato il ridimensionamen-to di una serie di normative dell’eraObama che avevano scoraggiato laproduzione energetica e il suo utilizzo.Anche se, con l’amministrazioneTrump, le prospettive generali per ilsettore energetico sono positive, ri-mangono comunque alcuni motivi dipreoccupazione, come le richiestedi alcuni ex legislatori di una carbontax federale e alcuni piani statali per

la tassazione del consumo energeti-co e delle emissioni di carbonio, chestanno conquistando favore nelle le-gislature di diversi stati, dall’Alaskafino alla Carolina del Sud.

Una carbon tax federale?Di recente, un gruppo di consulentieconomici e politici del Grand OldParty (GOP, Partito Repubblicano),tra cui James Baker, George Schultze Henry Paulson, ha cominciato apromuovere una nuova e gravosacarbon tax federale descritta in un pia-no chiamato “Conservative Case forClimate Action”. La carbon tax daloro proposta evoca chiaramentel’imposta di 42 dollari/tonnellata cheHillary Clinton aveva rifiutato diappoggiare durante le elezioni. E-mailprovenienti dalla casella di posta pi-ratata di John Podesta dimostrano in-fatti che la campagna elettorale diClinton considerava l’imposta come

impopolare e regressiva. È dunque al-tamente improbabile che DonaldTrump, o membri repubblicani delCongresso, possano appoggiare unapolitica ambientale che era stata giu-dicata troppo estrema perfino daHillary Clinton.Durante la campagna elettorale, ilpresidente Trump si è mostrato de-cisamente contrario all’imposizione diuna carbon tax e nel mese di maggioha twittato: “Non appoggerò né so-sterrò una carbon tax!”. Finora, que-ste inclinazioni sono state ampia-mente confermate durante l’ammi-nistrazione Trump dalla sua scelta dinominare Scott Pruitt a capo del-l’Environmental Protection Agency(EPA) e Rick Perry come segretariodel Department of Energy (DOE),entrambi oppositori delle regola-mentazioni governative. Queste no-mine ribadiscono la politica di dere-golamentazione del Presidente. Inol-

LORENZO MONTANARI E JUSTIN SYKES

Lorenzo Montanari è Direttore perl’International Advocacy and Affairspresso l’Americans for Tax Reform.

Justin Sykes è il Direttore per lepolitiche energetiche e ambientali del gruppo Americans for Tax Reform.

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tre, un consulente senior della CasaBianca ha presumibilmente riferito aBloomberg News che il Presidente harespinto seccamente il suggerimentodi Elon Musk di introdurre una car-bon tax federale.Da pragmatico uomo d’affari, è mol-to probabile che Donald Trump e lasua amministrazione si rendano con-to del fatto che l’introduzione diuna carbon tax al tasso proposto di 40dollari/tonnellata creerebbe onded’urto economiche che non rimar-rebbero confinate soltanto al settoreenergetico. Ipotizzando un’imposta di20 dollari/tonnellata, la National As-sociation of Manufacturers ha con-statato che “l’aumento dei costi diprodotti legati al carbonio, al gas na-turale e al petrolio in seguito a unacarbon tax investirebbe l’intera eco-nomia provocando un aumento deicosti di produzione e una diminuzionedella spesa per beni non energetici”.Lo studio ha inoltre evidenziato cheuna carbon tax ridurrebbe i salari rea-li e la produzione manifatturiera ol-tre a generare un reddito fiscale mi-nimo per il governo federale.Baker, Schultz e gli altri hanno giu-stamente sottolineato che il gran nu-mero di normative ambientali ema-nate sotto l’amministrazione Obamaha avuto effetti dannosi sulla capaci-tà del settore energetico di pianifica-re il futuro, provocando di conse-guenza una diminuzione degli inve-stimenti di capitale. Definendo l’eli-minazione delle normative ambien-tali eccessive come il “pilastro finale”del loro piano, questi repubblicanihanno individuato un’area di riformapolitica la cui approvazione è moltoprobabile, ma non nel modo da lorosostenuto.Con Scott Pruitt a capo dell’EPA, lenormative ambientali come il CleanPower Plan, che Pruitt ha contesta-to da un punto di vista giudiziario lun-go tutta la sua carriera, finiranno sen-za dubbio sulla lista nera. Quindi, an-che se la deregolamentazione è posi-tiva per il settore energetico, non c’èmotivo di usarla come pedina discambio per l’imposizione di unacarbon tax come vorrebbero alcuni.Questo ridimensionamento norma-tivo avverrà comunque con Pruitt eTrump, senza bisogno di un grandeaccordo sulla carbon tax.

Avanti con laderegolamentazioneTrump si è dimostrato sempre favo-revole alla deregolamentazione, acominciare dall’emanazione del suoordine esecutivo “1-in-2-out” du-rante le prime tre settimane della suapresidenza. Inoltre, i sostenitori delsettore energetico stanno già festeg-giando la recente abrogazione della“Resource Extraction Rule” dellaCommissione per i Titoli e gli Scam-bi (Securities and Exchange Com-

mission, SEC), una normativa che erain grado di rovesciare i vantaggi ac-quisiti in termini di proprietà intel-lettuale dalle aziende americane. Lanormativa avrebbe richiesto alleaziende statunitensi di divulgare in-formazioni proprietarie ed è stato sti-mato che la sua applicazione sarebbecostata ben 385 milioni di dollari al-l’anno. L’abrogazione da parte delCongresso della Resource ExtractionRule è un segnale incoraggiante delfatto che la legislatura repubblicanaintende sostenere le imprese nazionalie creare le condizioni per un fioren-te settore energetico.Un altro importante passo avanti perla politica energetica è l’abrogazioneda parte della Camera della MethaneRule dell’Ufficio per la Gestione delTerritorio (Bureau of Land Manage-ment, BLM), una restrizione duplicee costosa sulle emissioni di metanoprovocate dall’estrazione di gas na-turale. La normativa è stata emanatadurante l’ultimo anno dell’ammini-strazione Obama nonostante i timo-ri che potesse imporre un pesante ca-rico economico sui produttori dienergia e sulle famiglie americane. An-che se la norma è ancora in attesa delvoto al Senato, le condizioni attuali in-dicano che i tempi sono maturi perl’abrogazione della Methane Rule.Tra le altre normative restrittive edeconomicamente inefficienti che po-trebbero essere abrogate con la nuo-va amministrazione troviamo l’Ozo-ne Rule dell’EPA, gli standard dellaCorporate Average Fuel Economy(CAFE), che saranno certamente ri-visitati entro il 2018, e il divieto sul-le trivellazioni nell’Artico dell’am-ministrazione Obama. Con l’abro-gazione di quest’ultima si stima chepotrebbero essere resi disponibiliquasi 130 mila miliardi di piedi cubidi gas naturale per i produttori dienergia americani aprendo poten-zialmente la strada a una nuova era diprosperità per il settore energetico.Tutto sommato, l’abrogazione dinormative energetiche costose e gra-vose avrebbe un impatto enorme sulmercato del lavoro americano e sul-la prosperità economica e stiamo giàassistendo all’inesorabile smantella-mento del vasto apparato normativodell’amministrazione Obama.Anche le proposte fiscali “fenomenali”promesse da Trump avranno un ef-fetto notevole sulle imprese che ope-rano nel settore energetico. Le prio-rità dichiarate da Trump includonol’abbassamento dell’aliquota sull’im-posta delle società al 15 percentomentre si va verso un sistema fiscale“territoriale” e la promessa alle im-prese di poter dedurre completa-mente e immediatamente il costo diacquisti aziendali come le attrezzaturee gli edifici. Queste politiche hannoil potenziale di generare una cresci-ta esplosiva in ogni settore dell’eco-

nomia americana, ma favorisconoparticolarmente le imprese coinvol-te nella produzione e nell’esporta-zione di shale gas. La fratturazioneidraulica è il settore in maggioreespansione nella produzione di greg-gio statunitense per il quale è previ-sta una riduzione del deficit com-merciale pari a 180 miliardi di dolla-ri entro il 2022. Entro il 2025, que-sto processo innovativo di estrazionedel petrolio favorirà 3,9 milioni di po-sti di lavoro. In sostanza, il settore del-la fratturazione idraulica ha assuntoun ruolo cruciale nelle questioni eco-nomiche che stanno più a cuore alPresidente. L’obiettivo dell’ammini-strazione Trump di favorire l’econo-mia nazionale porterà senz’altro a unacollaborazione economica tra l’Am-ministrazione e i produttori di pe-trolio e gas che sarà vantaggiosa perentrambe le parti.A livello statale, una politica energe-tica orientata alla crescita è di nuovopossibile. Quest’anno, i repubblica-ni avranno il pieno controllo delramo legislativo ed esecutivo in 26Stati mentre i democratici solo inquattro Stati. Questo significa che lamaggior parte degli Stati godrà sen-z’altro del sostegno necessario a fa-vorire una legislazione fruttuosa e,d’altra parte, la possibilità di evitarelegislazioni orientate all’aumento delcarico normativo e delle tasse su im-prese e cittadini americani. Un talecambiamento nel controllo repub-blicano all’interno degli Stati è di im-portanza fondamentale quest’anno.Alcune legislature statali stanno infatticonsiderando l’introduzione di nor-mative che colpirebbero i produtto-ri energetici, provocando quindi unaumento dei costi per le imprese e icittadini che dipendono da fonti dienergia affidabili ed economicamen-te accessibili.

Le minacce arrivano dalle leggi stataliAnche se i repubblicani controllanoi rami esecutivi e legislativi nellamaggioranza degli Stati, sussistonoancora delle minacce per la politica afavore del settore energetico. Infat-ti, sono ben 21 le legislature statali chestanno considerando nuove propostedi imposte sui carburanti, tra cuiStati tradizionalmente rossi come ilTennessee, il Mississippi, la Carolinadel Sud, l’Oklahoma e l’Alaska. Du-rante la prima udienza sul disegno dilegge, l’House Transportation Com-mittee in Alaska ha constatato che ilpendolare medio vedrebbe triplicar-si l’importo complessivo dell’impostasui carburanti da 133 a 399 dollaril’anno. Gli automobilisti in Alaska giàpagano uno dei prezzi di carburantepiù elevati del paese e un aumentocosì massiccio dell’imposta influen-zerebbe senza dubbio il consumo dipetrolio dello Stato.

Un’altra tendenza allarmante è lapressione in alcuni Stati per l’attua-zione di imposte sulle emissioni di car-bonio. Nel Massachusetts, il senato-re Mike Barrett ha introdotto l’S.1747, un disegno di legge che intro-durrebbe una tassa sulle emissioni dicarbonio pari a 10 dollari a tonnella-ta con un aumento annuo di 5 dolla-ri fino a un tetto massimo di 40 dol-lari. Nello Stato di New York e delRhode Island, la situazione è ancorapiù drammatica: la legislazione delloStato di New York sulla carbon taxpropone una tassa iniziale di 35 dol-lari a tonnellata, con un aumento an-nuo di 15 dollari fino a un tetto mas-simo di 185 dollari a tonnellata. Laproposta dello Stato di New York pro-vocherà un aumento dell’imposta sta-tale sui carburanti pari a 1,58 dollari,più del doppio dell’imposta attuale,portando lo Stato sempre più vicinoal primato della più alta imposta suicarburanti di tutta la nazione. Nel frat-tempo, la proposta del Rhode Islanddi una carbon tax pari a 15 dollari atonnellata, non dovrebbe incontrareostacoli significativi all’interno dellaCamera o del Senato, considerandoche entrambi sono controllati daidemocratici. Inoltre, il governatore delRhode Island, Gina Raimondo, ha

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strenuamente perseguito la riduzionedell’impronta di carbonio.Persino nello Stato di Washington,dove gli elettori a novembre avevanonettamente rifiutato un referendumper l’istituzione di una carbon tax, gliattivisti del clima continuano a insi-stere per una legislazione che soffo-cherebbe il settore energetico.L’aspetto ironico del fallimento del re-ferendum del 2016 sulla carbon tax èche la maggioranza dell’opposizioneproveniva proprio dalla sinistra am-bientalista, convinta che la propostafiscale non fosse abbastanza esausti-va. Questo dimostra quanto sia im-probabile un accordo bipartisan sul-la carbon tax. Il gruppo “Alliance forJobs and Clean Energy” ha già pre-sentato un piano per introdurre nel-la legislatura una nuova imposta sul-le emissioni di carbonio. L’opposi-zione alla carbon tax sarà una batta-glia difficile nello Stato di Washin-gton, dove i repubblicani detengonouna maggioranza esile al Senato (25repubblicani - 24 democratici - 1 in-dipendente) mentre i democraticicontrollano la Camera e il ramo ese-cutivo. Inoltre, il governatore delloStato di Washington, Jay Inslee, si èin precedenza pronunciato favorevoleal sistema cap-and-trade. Anche se la

carbon tax non dovesse passare al-l’assemblea legislativa, il Washin-gton Environmental Council sta giàdiscutendo una nuova votazione sul-la carbon tax per il prossimo anno.L’ultima politica da considerare a li-vello statale sarà la cap-and-trade o,come la definisce lo Stato dell’Ore-gon, “cap and invest”. Questa espres-sione ottimista e pro-crescita non ba-sta comunque a mascherare quella cheè solo una ripetizione della politicainappropriata già applicata in Cali-fornia. I politici dell’Oregon am-mettono che la parola “invest” nel ti-tolo si riferisce al modo in cui ver-ranno utilizzati i profitti della vendi-ta all’asta dei permessi di emissione eche non influisce in modo rilevantesul modello di funzionamento deiprogrammi cap-and-trade. I senato-ri dell’Oregon prevedono che la le-gislazione “cap and invest” sarà in-trodotta entro il 2017 e, dato che almomento sono i democratici a con-trollare sia il ramo legislativo che ese-cutivo, la loro proposta potrebbeavere ripercussioni importanti sullapossibilità delle imprese di operarenell’Oregon.Non sarà una sorpresa per nessunoscoprire che la California continue-rà a essere una spina nel fianco per il

settore energetico durante la presi-denza Trump. Con l’adozione dinuove tecnologie che rendono losfruttamento di energia più sempli-ce, economico e sicuro e la rimozio-ne da parte del governo federale del-le normative che rappresentano unostacolo al progresso economico, laCalifornia continua a opporsi ai cam-biamenti in materia fiscale. Il Cali-fornia Air Resources Board, che in-siste nel sostenere l’attivismo am-bientale a spese delle imprese locali,ha l’obiettivo di abbassare il limite sul-le emissioni di carbonio al di sotto dellivello imposto dalla legislazione sta-tale. Anche se il sistema cap-and-tra-de è in fase di contestazione in ambitogiudiziario, i legislatori californianihanno già messo a punto una serie dipiani di emergenza nel caso in cui lapolitica venisse capovolta. Questipiani includono una potenziale car-bon tax e, nel 2016, l’assemblea legi-slativa ha approvato una risoluzioneper spronare il Congresso statunitensead adottare una carbon tax.

Un avvio promettente per il settore energeticoA parte la California, gli imprenditoridel settore energetico possono sentirsirassicurati perché l’amministrazione

Trump ha dimostrato un avvio pro-mettente in termini di politica ener-getica. Nonostante le esortazioni diex leader all’interno del GOP, l’am-ministrazione Trump non dovrebbeessere incline all’introduzione di unacarbon tax. La campagna elettoraledel Presidente ha avuto successoproprio perché si è dimostrato diversodai politici di carriera che hannoperso di vista le esigenze economichereali dell’americano medio. Inoltre, haperseguito la sua linea politica con-trocorrente nelle prime settimanedella sua presidenza. È rimasto fede-le al principio di deregolamentazio-ne e i primi successi nell’abrogazio-ne di normative inopportune indica-no che potremmo presto assistere al-l’abrogazione della Ozone Rule, del-la Methane Rule e di altre politichedannose. Anche se le imposte sui car-buranti e sulle emissioni di carbonioe i sistemi cap-and-trade continue-ranno a essere motivo di preoccupa-zione in diversi Stati nei prossimi anni,la differenza nelle prospettive eco-nomiche tra l’amministrazione Oba-ma e quella a favore della crescita e delsettore energetico di Trump nonpuò essere sottovalutata.

NUOVE TASSE SUI CARBURANTIBen ventuno Stati USA, tra cui alcuni

tradizionalmente rossi come ilTennessee, il Mississippi, la Carolina

del Sud, l’Oklahoma e l’Alaska,stanno considerando l’introduzione

di nuove imposte sui carburanti.

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USA Energy/Sul mercato restano fattori ribassisti, un rally dei prezzi solo nel 2019

Shale contro sceicchi?

autunno del 2014 ha visto l’inizio diun lungo periodo di depressione deiprezzi del petrolio, i cui fattori sca-tenanti erano da ricercare nelle ten-denze di tipo macroeconomico, so-prattutto il rallentamento della do-manda cinese a seguito della politicadi transizione economica di ampioraggio introdotta da Pechino. Ma èstata la politica consapevole adotta-te all'interno dell’OPEC in reazioneal calo dei prezzi (o più precisamen-te, la politica saudita), a mantenerlibassi così a lungo. Riad ha infatti ri-fiutato di rispondere con un taglio alleforniture, aprendo un nuovo corso perle aspettative del mercato e inaugu-rando, potenzialmente, un’era di to-tale irrilevanza dell’OPEC. L’accor-do raggiunto di recente tra i membridell’Organizzazione ha rassicuratoparte del mercato, dimostrando chel’OPEC continua a esistere e che larinnovata propensione alla gestionedel mercato fra i produttori potevaportare alla definizione di una sogliaminima dei prezzi (price floor), obiet-tivo che si cerca di raggiungere conogni mezzo da due anni. Anche le spe-ranze dei produttori di petrolio sta-tunitensi potevano ritenersi legittime,poiché tale scenario avrebbe postofine “all’attacco” allo shale oil ame-ricano, portando a un’inversione ditendenza in termini di produzione.Occorre tuttavia non lasciarsi trasci-nare dal clima di speranza, che ten-de a offuscare le accurate aspettative

L’PHILLIP CORNELL

È Nonresident Senior Fellow presso il Global Energy Center dell’AtlanticCouncil. In precedenza, Cornell eraSenior Advisor per la pianificazioneaziendale dell’amministratore delegatodi Saudi Aramco.

Non sarà il tight oil statunitense a mettere a repentaglio i risultatidell’accordo OPEC. Un diffusoincremento della produzionerichiederà quotazioni superiori a quelle attuali e per un periodo di tempo prolungato

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del mercato e le tendenze macroe-conomiche, che, al pari delle specifi-che variabili nazionali, rischiano dicompromettere un rialzo dei prezzi,basato su una sopravvalutazione del-l’impatto reale dell’accordo.

Le ragioni del caloÈ utile cominciare da come si è arri-vati a questo punto. Le ragioni chehanno portato alla decisione sauditadel 2014 erano molteplici e, comemolte decisioni politiche impostedall’alto, erano probabilmente piùcampanilistiche di quanto gli analisti,in cerca di grandi narrazioni strate-giche, tendano ad ammettere. In ef-fetti, l’aumento della produzione dipetrolio di shale oil americano (light-tight oil, LTO) era dovuto alla pre-senza di prezzi abbastanza elevati dacompensare gli alti costi del proces-so di estrazione, e sin dal 2015 i pro-duttori arabi avevano cominciato aguardare con attenzione alla resilienzasul mercato delle trivellazioni statu-nitensi. Ma più che la sfida “shale con-tro sceicchi”, gli Stati Uniti (contra-riamente a quanto probabilmentefossero inclini a pensare) non rap-presentavano l’obiettivo primario delpensiero politico economico estero.In queste situazioni, infatti, spesso èutile (sebbene più banale) accoglierela risposta più miope e semplice ri-guardo alle motivazioni sottostanti aicambiamenti politici. In questo casoRiad, guardando i suoi partnerOPEC, ha semplicemente ricordatola situazione dei primi anni ’80. Perquale motivo l’Arabia Saudita avreb-be dovuto farsi carico della pesanteperdita di entrate risultante da un ta-glio alla produzione, vista l’impro-babilità che i suoi partner seguisseroil suo esempio e considerato, per dipiù, che la strategia di 30 anni primanon era riuscita a sostenere la ripre-sa dei prezzi, lasciando al Paese prez-zi al ribasso, quote di mercato persee un pericoloso deficit di bilancio?Inoltre, il fatto che i prezzi bassi nonavrebbero aiutato in alcun modo Te-heran nel suo percorso di rilancio del-la produzione e delle sue vaste fortunefiscali era considerato da Riad una sor-ta di valore aggiunto.È stato così che i prezzi sono crolla-ti. Nel 2015, i principali attori deimercati di materie prime hanno di-mostrato un’eccessiva impazienzanella definizione della soglia minimadei prezzi, facendo uso di dati relati-vamente irrilevanti o a breve termi-ne per giustificare i rialzi che, comeera prevedibile, hanno avuto vitabreve. La produzione di shale oil hasubito una forte pressione, ma l’in-sieme estremamente eterogeneo deiproduttori, spesso di dimensioni ri-dotte, ha continuato con tenacia a cer-care opportunità di contenimentodei costi, per lo più pressando i for-nitori di servizi ma in alcuni casi an-

che attraverso effettive innovazionitecniche e migliorie apportate in ter-mini di efficienza. Inoltre, l’insolita di-sponibilità di liquidità proveniente daimercati finanziari ha permesso lorodi resistere più a lungo, nella speranzache si verificasse un’inversione ditendenza (e la speranza è un mezzodavvero potente quando un paio diimpianti di trivellazione sono alla basedella sussistenza di un’intera rete dipiccole imprese). Tuttavia, le misureadottate si sono dimostrate insuffi-cienti e gli impianti di trivellazionesono stati chiusi. Nonostante il defi-cit di bilancio, l’Arabia Saudita sem-brava comunque determinata a man-tenere invariata la rotta. I venti dicambiamento che, dal punto di vistapolitico hanno investito Riad dopo lamorte del re Abdullah, nel gennaio2015, hanno rafforzato la volontà diperseguire questa strategia, in quan-to il giovane entourage di Moham-med bin Salman (MbS, che sarebbepresto diventato Vice Principe ere-ditario) vedeva per il regno un futu-ro economico meno vincolato al pe-trolio. La pressione delle forze di mer-cato ha rappresentato un’eccellentegiustificazione politica per la riformadei sussidi e per il più ampio e suc-cessivo programma di trasformazio-ne economica.

L’impatto reale dell’accordo Facciamo un balzo in avanti fino aldicembre 2016 e all’accordo OPEC.Khaled al-Faleh è stato promosso daCEO di Saudi Aramco a ministrodell’Energia e dell’Industria (piut-tosto che semplice ministro del Pe-trolio) e ha dovuto farsi carico del-lo sforzo riformatore saudita. La fi-ducia del mercato nei confronti delsuo giudizio è la riprova di un ap-proccio relativamente razionale enon ideologico alla gestione del-l’economia, alla questione delle quo-tazioni petrolifere e al mercato stes-so. In un contesto di crescente con-correnza tra le potenze rivali del Me-dio Oriente, al-Faleh ha avuto l’astu-zia di aprirsi alla cooperazione con 11produttori non-OPEC e, in parti-colare, con la Russia. L’ottica diunità tra i paesi membri dell’OPECe i partner non appartenenti al Car-tello avrebbe potuto rafforzare la fi-ducia nella continua influenza diRiad, con un impatto limitato sulleentrate dell’Arabia Saudita e sulla suaquota di mercato. Il precedente ten-tativo di congelare la produzione al-l’interno dell’OPEC era stato im-mediatamente visto nella sua realenatura di stratagemma: i produttoriche ne avevano la possibilità stavanopompando a pieno ritmo e un con-gelamento avrebbe bloccato Iran eIraq, le cui capacità di produzione edesportazione si stavano riprendendononostante il calo dei prezzi. Lanatura più schietta del nuovo accor-

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do è stata sin dall'inizio evidente, conle eccezioni per Iran e Iraq e l’ade-sione della Russia. Il mercato ha ri-sposto di conseguenza e il rally deiprezzi si è dimostrato il più solido de-gli ultimi due anni.Tuttavia, per poter giudicare l’im-patto sui prezzi a lungo termine, è ne-cessario esaminare l’effetto dell’ac-cordo sull’economia reale del petro-lio, tenendo presenti due fattoriprincipali. In primo luogo, in passato, tali ac-cordi hanno influito solo marginal-mente sui flussi reali di petrolio, acausa di violazioni ed eccezioni. Irane Iraq (così come Nigeria e Libia)continuano ad incrementare la pro-duzione. Per quanto riguarda gli al-

tri Paesi, i primi dati ricevuti dagli os-servatori del settore rivelavano che ivolumi di esportazione dei produttorinon appartenenti al Golfo sauditaerano in realtà immutati, suggeren-do l’ipotesi della consueta truffa.Analisi più recenti hanno però fornitodati che contrastano nettamentequesta ipotesi: alla fine del mese digennaio, un sondaggio condotto daReuters ha registrato un 82 percen-to di conformità con l’impegno di ri-durre la produzione, un dato ben aldi sopra del 60 percento registrato nel2009. I dati Reuters si basano sul-l’analisi dei dati riguardanti le spe-dizioni, ma anche su quelli forniti dafonti interessate, come le compagniepetrolifere e la stessa OPEC, moti-

vo per cui devono essere presi in con-siderazione con la dovuta cautela. In-dipendentemente dall’esatto tassodi conformità, Riad continua a far re-gistrare una riduzione mai vista pri-ma e al-Faleh ha dichiarato che lescorte petrolifere torneranno a rag-giungere la loro media quinquenna-le entro la metà del 2017. Si trattaprobabilmente di una previsionetroppo ottimista, ma una tale aspet-tativa riguardo all'esaurimento del-le riserve commerciali potrebbe por-tare a un rialzo dei prezzi a breve ter-mine, con implicazioni sul secondofattore: in che modo l’aumento deiprezzi influisce sulla produzione?L’impatto del rally del prezzo gene-rato dall’accordo OPEC è di fonda-

mentale importanza e dipende dalledinamiche presenti all’interno del set-tore dello shale oil statunitense.Questo settore si è evoluto nel cor-so degli ultimi due anni e c’è moti-vo di ritenere che la produzione, unavolta raggiunto un determinato pun-to di equilibrio, difficilmente torne-rà al livello precedente. Il consoli-damento del settore ha comportatola presenza di un minor numero diplayer, con una diversificazione del-le tipologie di pozzi che presenta unavasta gamma di costi di produzione,all’interno e tra i diversi giacimentipetroliferi. Non appena il prezzo sa-lirà, questi grandi attori riavvieran-no le operazioni con maggior caute-la, iniziando dagli obiettivi più facil-

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Produzione di petrolio cumulativa al 2025 (1 milione di barili al giorno)

Il greggio più economico è nello shale USA

Prezzo medio di break-even

Confrontando i diversigiacimenti nel mondo in relazione al loro prezzomedio di break-even, sievince che, contrariamentea quanto si pensa, il petroliopiù economico da estrarre si trova in alcuni giacimenti di shale americani (Mid-Continent, Bone Spring e Wolfcamp). Negli ultimi due anni, infatti, si è rilevato che i costi medi di produzioneper barile in questi giacimentisono scesi dal 30 al 40percento.

Fonte: Wood Mackenzie

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mente conseguibili, in considera-zione soprattutto dell’incertezza sul-l’andamento dei prezzi nel corsodell’anno. Nel mese di gennaio, in ef-fetti, il numero degli impianti ditrivellazione è aumentato negli USAe ora desta preoccupazione il fattoche la produzione statunitense pos-sa vanificare le conquiste ottenutegrazie all’accordo OPEC. Tuttavia,il robusto incremento del numerodelle trivelle è circoscritto al Permianbasin e i pozzi incompleti che po-trebbero essere sviluppati rapida-mente e a basso costo sono soltantouna parte di una realtà molto più va-riegata. Per arrivare a una nuova pro-duzione significativa nei bacini diBakken e Eagle Ford sarà necessarioun aumento dei prezzi al di sopra dei60 dollari. In breve, la rigidità e l’ir-regolarità della curva di elasticità deiprezzi renderanno la produzionestatunitense poco costante e menomarcata di quanto i semplici nume-ri possano suggerire.

Trump e le altre incognite del mercato In ogni caso, i prezzi del petrolio nel2017 e negli anni a seguire dipen-deranno da fattori ben più influen-ti dell’accordo OPEC e dei suoi ef-fetti immediati: in questi giorni ri-sulta impossibile, al di là di ogni ra-gionevole sforzo, evitare di men-zionare Donald Trump. L’agenda po-litica perennemente vaga del nuovogoverno americano non si presta aun’analisi chiara e, quanto al temadell’energia, si sa talmente pocoche qualsiasi ipotesi al di là di una let-tura superficiale resterebbe un puroesercizio speculativo. Ciò nono-stante, l’orientamento generale lasciaprevedere uno smantellamento del-le regole e l’introduzione di incen-tivi fiscali volti ad abbassare i prez-zi del petrolio, al fine di favorire laproduzione negli Stati Uniti. Tut-tavia la nuova produzione median-te sistemi convenzionali (su terrenifederali) sta subendo un ritardo di di-versi anni e non è ancora chiaro senuovi megaprogetti situati in terre-ni difficili (come l’Artico) suscite-ranno interesse in un contesto di for-te incertezza dei prezzi. Più in ge-nerale, la produzione statunitensedovrebbe conservare la propria so-lidità grazie al rallentamento deitassi di declino dei giacimenti esi-stenti e ai nuovi pozzi del Texas oc-cidentale. Tali fattori potrebberofar presagire un mercato più equili-brato nel corso della seconda metàdell’anno e contenere i prezzi del pe-trolio anche nel 2018. È probabileche reali impennate dei prezzi pos-sano verificarsi più tardi, forse nel2019. Gli investimenti nell’upstreamnon sono stati infatti sufficienti amantenere il passo con il declino deigiacimenti convenzionali e lo shale

oil non sarà in grado di compensa-re tale declino a breve termine.Dal punto di vista della domanda, ilcalo dei prezzi che ha caratterizzatogli ultimi due anni non ha contribuitoad aumentare la domanda o a sti-molare la crescita economica. LaCina continua a sperimentare note-voli sbalzi per quanto concerne lapropria capacità di produzione, la-sciando presagire una diminuzionedei tassi di crescita, e gli sforzi del go-verno per la riduzione dello smogeserciteranno di sicuro enormi pres-sioni sulla domanda cinese. Anche laforza del dollaro continua a esercitareuna certa pressione al ribasso nelladomanda globale di petrolio. Nel2017 la forza del dollaro e le aspet-tative di crescita dell’economia sta-tunitense dipendono dal modo in cuii mercati risponderanno all’impre-vedibile governo di Donald Trumpe una guerra commerciale potrebbemetterle entrambe a rischio, insiemealla domanda di petrolio negli USA.Infine, sebbene i fondamentali rap-presentino la chiave della direzionedelle quotazioni petrolifere, anche ilposizionamento nel mercato puògiocare un ruolo importante. Al mo-mento, operatori e fondi istituzionalidimostrano di avere una pronuncia-ta tendenza a preferire posizionilunghe, e con tanti acquirenti inqueste posizioni, qualsiasi inizio di in-versione provocherà di certo unarapida corsa per uscirne. Tale dina-mica di “commercio affollato” è sta-ta confermata in passato e sembrapresagire una correzione dei prezzinei prossimi mesi.

Una prospettiva a lungotermine In assenza di un efficace swing pro-ducer – lo shale oil non sarà in gra-do di ricoprire effettivamente taleruolo – è probabile che il futuro saràall’insegna della volatilità dei prezzi.Basandoci sull’esperienza passata,risulta evidente che l’industria è im-postata in modo da sperimentarecicli fortemente altalenanti in breviperiodi di tempo. Nonostante la ri-voluzione dello shale statunitense, laproduzione è destinata a concentrarsisempre di più nelle mani di pochiproduttori OPEC. La crescita dellaproduzione all’interno del cartello èguidata da Iraq e Iran, ma entrambii Paesi devono far fronte a una sfidaben più grande: da una parte il rischiodi instabilità in Iraq a cui si aggiun-ge la debolezza delle infrastrutture edelle istituzioni e dall’altra la neces-sità dell’Iran di garantire la tecnolo-gia e gli investimenti su larga scala ri-chiesti. L’Agenzia Internazionale perl’Energia (IEA) stima che per com-pensare il calo della produzione neigiacimenti esistenti e mantenere laproduzione futura ai livelli attuali sa-rebbe necessario un investimento

annuale nell’upstream di 630 miliardidi dollari statunitensi (circa l’im-porto totale che in media il settore haspeso ogni anno negli ultimi cinqueanni). L’attuale eccesso di offertanon dovrebbe rassicurare gli animi ri-guardo alla sicurezza del mercato delpetrolio. La possibilità di un’impennata deiprezzi entro la fine del decennio è sta-ta prevista sulla base dei fondamen-tali della produzione di petrolio con-venzionale e dei tassi di investimen-to. Il dovere delle compagnie petro-lifere è quello di sviluppare una ge-stione flessibile dei progetti, checonsenta una maggiore reattività difronte all’andamento dei prezzi. Lavolatilità di questi ultimi, di per sé,potrebbe influire sul comportamen-to dei consumatori, incentivando ladiffusione di un atteggiamento piùprotezionista tra gli industriali espingendo i singoli individui a pren-dere in considerazione mezzi di tra-sporto alternativi, con la diffusione diveicoli elettrici e autonomi. Ad ognimodo, un “picco di domanda” è unaprospettiva assai lontana.

Un segnale di cambiamento L’accordo OPEC è stato un segnaledi cambiamento: i produttori sonotornati a esprimere il proprio impe-gno a gestire nuovamente il merca-to. Tuttavia, l’intesa e la sua attua-zione non rappresentano di per séuna vera e propria svolta. Il rispettodei termini sembra maggiore delprevisto, ma resta da scoprire perquanto tempo ancora durerà. Loscenario dello shale oil statunitenseè estremamente variegato e un diffusoincremento della produzione richie-derà prezzi superiori a quelli attualie per un periodo di tempo prolun-gato. Complessivamente, le tenden-ze della domanda e dell’offerta la-sciano prevedere un mercato anco-ra debole nel 2017, nonostante l’ac-cordo OPEC. Sebbene quest’ultimoavrebbe potuto rafforzare il merca-to del petrolio, i fattori ribassisti per-sistono. La vera crisi si farà sentire piùtardi nel corso di questo decennio.

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Lo shale oil dominerà la produzione degli Stati Uniti che, tuttavia, continueranno a produrre volumi significativi anche di altri tipi di greggio.

La produzione di petrolio negli Stati Uniti è strettamente correlata con il prezzo del greggio, ma anche con la disponibilità di risorse e i progressi tecnologici. Nello scenario di riferimento dell’EIAl’output nel 2040 supererà i 10 milioni di barili al giorno.

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Arabia Saudita/Riad sulla via della differenziazione economica e sociale

La prossima mossa

l cambio di rotta che, nel 2016, ha vi-sto la politica petrolifera saudita pas-sare da una strategia orientata alle quo-te di mercato all’introduzione di con-sistenti tagli alla produzione è stato og-getto di numerosi dibattiti. Alcuni so-stengono che questa transizione rap-presenterebbe l’ammissione di un“fallimento dal punto di vista strate-gico” [dovuto a] “presunzione, ine-sperienza e, in primis, mancata com-prensione... di come funziona una veraeconomia di mercato”.1 Altri, invece,ritengono che l’Arabia Saudita abbiafinalmente ceduto, ammettendo lasconfitta nella guerra contro lo scistostatunitense. Altri ancora sostengono,invece, che il Paese sia nel pieno di una“crisi finanziaria” e di un “momentodi panico”, perciò si è visto costretto,in maniera “disperata”, a siglare un ac-cordo sulla produzione. Se da unlato tali affermazioni stuzzicano l’im-maginario collettivo, dall’altro sonopoco funzionali a capire l’evoluzionedella politica petrolifera saudita nelcorso del tempo. Il mercato del settoreappare perciò statico, in bianco enero. Tali affermazioni sottintendonoche la politica petrolifera saudita siacostante e non possa basarsi su calcolirazionali di costi e benefici che ten-denzialmente subiscono delle varia-zioni col passare del tempo. Tuttavia,come sostenuto dal sottoscritto in di-verse occasioni, la politica petrolife-ra del Paese presenta varie sfaccetta-ture connesse a molteplici fattori, fracui gli sviluppi dell’economia locale,le dinamiche associate ai produttoriOPEC e non-OPEC, la natura delloshock nel mercato petrolifero e la va-riazione delle sue condizioni.

Le quattro fasi della politicapetrolifera sauditaDal 2008 ad oggi, quattro sono statele fasi che hanno contraddistinto la

politica petrolifera dell’Arabia Saudita.Durante la prima, successiva al col-lasso della domanda di petrolio in se-guito alla crisi finanziaria del 2008,l’OPEC ha messo in atto uno deimaggiori tagli di sempre, il più si-gnificativo dei quali ha colpito proprioRiad. Il Paese ha inviato anche un se-gnale forte, indicando il suo prezzopreferito per il petrolio a 75 dollari albarile. Nella seconda metà del 2009e per buona parte del 2010, con la ri-presa dell’economia globale, anche ladomanda ha mostrato segni di ripre-sa, e i prezzi dell’oro nero si sono sta-bilizzati intorno ai 75 dollari al bari-le, salvo poi riprendere a salire alla finedel 2010 in concomitanza con l’iniziodella Primavera araba in Tunisia. Trail 2011 e il 2013 il mercato ha subitodelle forti interruzioni nella fornitu-ra, principalmente provenienti dalMedio Oriente e dal Nordafrica. Nelcorso della seconda fase, l’ArabiaSaudita ha svolto il suo compito pre-ferito: aumentare la produzione percompensare quelle stesse interruzio-ni, dal momento che la produzioneriusciva a controbilanciarle in manieraquasi perfetta. Il primo incrementodella produzione saudita è avvenutosuccessivamente ai disordini in Libiadel 2011, mentre il secondo è arriva-to in seguito alle sanzioni imposte al-l’Iran, che hanno provocato un crol-lo significato delle esportazioni delPaese. Negli anni 2011 e 2012, è au-mentata rispettivamente di 0,96 mbge 0,41 mbg su base annua, raggiun-gendo i 10,1 mbg nell’agosto 2013. Siè trattato purtroppo di incrementi in-sufficienti a compensare le interru-zioni della fornitura e il mercato si èaffidato di conseguenza al repentinoincremento dello scisto statunitenseper far fronte al divario in termini diapprovvigionamento. Verso la fine del2013, quando i disordini sembravano

IBASSAM FATTOUH

È il Direttore dell’Oxford Institute for Energy Studies e professore alla School of Oriental African Studies(SOAS), University of London.

Stretto tra le prospettive di ripresa dello shale oilstatunitense e l’esigenza di mantenere in equilibrio il mercato petrolifero, il Regno saudita potrebbeabbandonare la posizione di allineamento agli ultimiaccordi OPEC per un repentino dietro front

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essersi attenuati, la produzione sauditaè scesa sotto ai 10 mbg, ma è rimastasopra ai 9,5 mbg fino alla fine del2014. In questa fase, l’Arabia ha rivi-sto al rialzo il suo prezzo preferito finoa raggiungere quota 100 dollari al ba-rile, lanciando così un segnale sul fat-to che tale cifra fosse un obiettivo va-riabile in base alle fluttuazioni che in-vestivano il mercato al momento.Mentre l’allora ministro del petrolioAli al-Naimi lanciava avvertimenti sulrischio che prezzi molto alti a livellointernazionale non fossero accoltipositivamente dall’Europa, gli StatiUniti, le economie emergenti e le na-zioni più povere del mondo, e che ilRegno avrebbe quindi “preso dellemisure per ridurre l’impennata delprezzo del petrolio”, al contempo la-sciava chiaramente intendere come“100 dollari sia un prezzo equo pertutti: consumatori, produttori e azien-de petrolifere”. I corsi del petrolio, re-lativamente alti e stabili, hanno pro-vocato delle forti reazioni sia nella do-manda che nell’offerta, in particola-re dallo shale statunitense. Nella pri-ma metà del 2014, la sola crescita del-la fornitura da parte degli Stati Uni-ti superava quella della domanda glo-bale, contribuendo così a un grandeaccumulo di riserve in quell’anno.

Opzioni limitate e politicareattivaA metà del 2014, l’Arabia Saudita rea-giva a un forte squilibrio di mercatoprovocato dalle forze economichescatenatesi in seguito alle elevatequotazioni petrolifere. Di fronte a untale squilibrio, al Paese non restava-no che due opzioni: tagliare la pro-duzione, o lasciare che gli andamen-ti dei prezzi riequilibrassero il mer-cato. Nel novembre del 2014, l’Ara-bia Saudita ha deciso invece di au-mentare la produzione, nel tentativodi ampliare la sua quota di mercato adiscapito dei produttori ad alto costo.Diversi sono i fattori che hanno mo-

tivato la scelta del Paese all’epoca:• | lo squilibrio di mercato del quar-

to trimestre del 2014 era consi-stente;

• | l’Arabia Saudita non era dispostaad agire unilateralmente per rie-quilibrare il mercato. Tale prin-cipio fondamentale si ricollegadirettamente agli eventi risalentialla metà degli anni ’80, quando iltentativo del Paese di proteggerei prezzi del petrolio comportòun’enorme perdita di volumi diproduzione, quote del mercato eintroiti, senza peraltro riuscire arincarare i prezzi;

• | la difficoltà nel raggiungere un ac-cordo all’interno dell’OPEC econ i produttori non-OPEC. Mol-ti produttori all’epoca non risen-tirono del calo degli introiti, per-ciò non erano particolarmentedisposti a prendere delle misure.Fra l’altro, Iraq, Kuwait ed Emi-rati Arabi Uniti stavano incre-mentando la produzione, proget-tando un ambizioso aumento del-la capacità produttiva e non vole-vano che venisse loro impostoun sistema di quote;

• | negli anni del boom economico,l’Arabia Saudita ha lavorato percreare dei solidi ammortizzatori fi-scali, accumulando grandi riservestraniere e riducendo il suo debi-to a livelli molto bassi. Ciò po-trebbe aver indotto i politici sau-diti a credere che il Regno potes-se sostenere dei bassi corsi per piùtempo;

• | l’ascesa dello shale statunitense haintrodotto nuove incertezze strut-turali, in particolare per quanto ri-guarda la risposta nella fornituradagli Stati Uniti e, più in genera-le, la natura dello shock che si ab-batteva sul mercato.

In un quadro di incertezza strutturalee non cooperazione da parte degli al-tri produttori, adottando un ap-proccio puramente teorico, è possi-

bile dimostrare come l’Arabia Sauditatragga vantaggi quando non opera deitagli alla produzione. Nel corso diquesta terza fase, quindi, l’Arabia Sau-dita ha incrementato sensibilmentela produzione. Nel 2015, il Paese, in-sieme all’Iraq, era uno dei maggioricontributori all’aumento della for-nitura, aggiungendo più di 400.000barili al giorno. Nel 2016, la produ-zione saudita ha toccato la soglia re-cord di circa 10,8 mbg.

Il calcolo dei costi e dei beneficiOgni strategia politica prevede costie benefici, e lo stesso si applica allapolitica delle quote di mercato adot-tata dall’Arabia Saudita nel novem-bre 2014. L’aumento della produzioneha senza dubbio permesso al Paese diconservare, o perfino far salire, in mi-sura marginale, la sua quota nella for-nitura globale di petrolio, ma non èriuscito a compensare il crollo degliintroiti, i quali, nel 2015, sono qua-si dimezzati rispetto all’anno prece-dente. Sul lungo periodo, una simi-le strategia potrebbe portare a introitipiù elevati, se le attuali riserve per lafornitura uscissero dal mercato o i po-tenziali fornitori fossero dissuasi dal-l’idea di entrarvi. Tuttavia, comesottolineato da Robert Mabro, esper-to di energia, “i prezzi dovrannoscendere per molto tempo e le aspet-tative sulle quotazioni dovranno con-tinuare a essere basse per un lungoperiodo, prima che si verifichi un mi-glioramento significativo della quo-ta di mercato. Per mantenere una si-mile strategia, quindi, di fronte a pro-lungati periodi di basse quotazioni,occorre che un Paese esportatore dipetrolio si dimostri finanziariamen-te resiliente, essendo in grado difare affidamento sui propri ammor-tizzatori fiscali, adattare la propriaeconomia al panorama dei bassi prez-zi, oppure ridurre la propria dipen-denza dagli introiti derivanti dal pe-

trolio diversificando il proprio siste-ma economico. Tuttavia, la naturatemporanea degli ammortizzatori fi-scali fa sì che questi possano svanireabbastanza rapidamente, in partico-lare se la spesa del governo sale in ma-niera imprevista. Un adattamento del-l’economia può rivelarsi molto do-loroso, e non tutti i governi sono ingrado di spostare il peso dell’inter-vento sulla popolazione. La diversi-ficazione dell’economia nazionale èun processo a lungo termine che sfug-ge a molti dei Paesi esportatori di pe-trolio e l’Arabia Saudita, da questopunto di vista, non rappresenta un’ec-cezione. Se da un lato i costi di talistrategie possono essere notevoli,l’entità e le tempistiche dei beneficisono incerti, poiché dipendono daprocessi di adattamento di altri pro-duttori. I produttori ad alto costo pos-sono ridurre i propri costi tramite l’ef-ficienza, lo sfruttamento delle riser-ve che garantiscono maggiori rendi-menti (il cosiddetto “high-grading”)e la deflazione dei costi nella catenadella fornitura. Inoltre, i lunghi tem-pi di consegna dei progetti ad altadensità di capitali implicano che lareazione della fornitura ai bassi cor-si petroliferi non sarà immediata,nemmeno per i produttori ad alto co-sto. Infine, la risposta ai segnali deiprezzi potrebbe farsi attendere ancorpiù per i produttori di petrolio a bas-so costo, specialmente se la lorostrategia è quella di massimizzare laproduzione a qualunque costo neltentativo di dare una spinta agli in-troiti.

La variabile del fattoretemporaleIl calcolo dei costi e dei benefici nonè statico, ma varia in funzione del fat-tore temporale. La produzione pe-trolifera è crollata in molte zone delmondo in seguito alla forte diminu-zione delle quotazioni del petrolio ri-spetto al picco di giugno 2014. Mal-

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ttro

Il grafico evidenzia come i livelli di produzione di petrolio rilevati in Arabia Saudita, fino al 2016,abbiano inciso, quasisincronicamente, sull’andamentodei prezzi del greggio. Ora, se l’accordo OPEC verrà rispettato integralmente, la situazione potrebbe prendere una piega differente.

Prezzo & produzione,vite parallele

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VARIAZIONE PERCENTUALE WTI

PRODUZIONE DI GREGGIO DELL’ARABIA SAUDITA

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2 347

Se gli altri Paesi non dovessero rispettare l’accordosulla produzione?L’Arabia Saudita potrebbe decidere di spostarsi verso una politica voltaall’aumento della produzione riducendo così i vantaggi previsti dall’operazione.

Se la produzione di shalestatunitense dovesseaccaparrarsi le quote di mercatolasciate libere dal taglio alla produzione dell’OPEC?Riad probabilmente tornerebbe ad aumentare la produzione, in quanto l’attuale decisione del taglio comporterebbe la perdita di una fetta di mercato troppo ampia, insieme ai relativi introiti.

Se la risposta dello shale USA dovesserivelarsi moderata? Lo scenario più probabile è che al prossimo incontro OPECverrà stabilita un’estensione dell’accordo attuale.

Se il mercato si restringessepiù rapidamente di quanto previsto, ad esempio per via di interruzioni alla fornitura? L’Arabia Saudita potrebbe tentare di mettere un tetto al prezzo del petrolio aumentando la produzione,oppure potrebbe lasciare che le scorte si esauriscano in maniera più veloce, con il rischio di far aumentare ancora di più i prezzi.

Nonostante il consenso offerto all’accordo OPEC sui tagli alla produzione petrolifera,

l’Arabia Saudita mantiene uno sguardo vigile sul comportamento dei diretti “competitor”

per conservare la propria posizione di leadership nei mercati mondiali del greggio.

Ecco 4 possibili scenari che potrebbero prefigurarsi in caso

di “cambiamenti di fronte” internazionali.

Quale orizzonte?

Fonte: U.S. Energy Information Administration, Thomson Reuters

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grado il miglioramento dell’efficien-za, lo scisto statunitense è in testa aquesta tendenza al ribasso nel 2016.In aree mature quali Messico, Cinae Colombia, i crolli della produzio-ne sono stati significativi. Perfino inalcune zone dell’OPEC al di fuori delMedio Oriente, quali Venezuela e Ni-geria, la crisi fiscale e l’instabilità han-no provocato delle gravi perdite intermini di produzione. Tali crollidella produzione, insieme a una do-manda piuttosto consistente nel 2015e nel 2016, ha contribuito a riequili-brare il mercato, ma forse meno ra-pidamente di quanto previsto. Alcu-ni produttori chiave, principalmen-te il Medio Oriente e la Russia, han-no continuato a investire nei loro set-tori energetici, aumentando la pro-pria produzione anche in un quadrocaratterizzato da bassi prezzi. Ma seil mercato petrolifero mostrava segnidi riequilibrio, l’economia saudita,d’altro canto, risentiva dei minori in-troiti causati dai bassi prezzi del pe-trolio. Dopo aver raggiunto un tas-so di crescita annuo reale del 3,6 per-cento e del 3,5 percento rispettiva-mente negli anni 2014 e 2015, si pre-vede che la crescita economica ral-lenterà all’1,2 percento nel 2016.

La minore spesa del governo, e lacontrazione del credito, hanno avu-to dei contraccolpi sul settore priva-to, che dipende ancora in maniera so-stanziale dalla spesa pubblica. Lacrescita in questo settore si è quasi ar-restata, mentre nel settore non lega-to al petrolio è risultata negativa nelquarto trimestre del 2015 e nel pri-mo trimestre del 2016, salvo poi re-cuperare leggermente nel secondo tri-mestre dello stesso anno. Di fronte aun esorbitante deficit fiscale e dellepartite correnti, il governo saudita siè visto costretto ad adottare una se-rie di misure dolorose. Nel dicembre2015 sono stati aumentati i prezzi dicarburante ed elettricità. Anche laspesa del governo per i progetti di in-vestimento è stata tagliata. Stando allenotizie fornite dai media, sono statirivisti o cancellati i finanziamenti dimigliaia di progetti per un valore di69 miliardi di dollari. Il governo hainoltre tagliato sulle indennità del set-tore pubblico: oltre a rivedere laspesa pubblica. Per la prima volta,l’Arabia Saudita ha attinto dai mer-cati obbligazionari internazionali,con una nuova emissione obbliga-zionaria che ha fruttato 17,5 miliar-di di dollari. Nonostante queste mi-

sure siano state massicce, e in qual-che modo previste, in un quadro ca-ratterizzato da bassi prezzi del pe-trolio, il Paese non sta vivendo né unperiodo di crisi né di panico. Il rap-porto debito/PIL è ancora relativa-mente basso e l’accesso ai mercati deldebito locali ed esteri è ancora di-sponibile, mentre l’ultima emissionedi obbligazioni mostra segnali digrande attrattiva da parte degli in-vestitori. Le riserve estere sono an-cora relativamente elevate, il gover-no dispone di molte risorse pubbli-che attraenti destinate alla vendita eprogetta di dare una spinta alle en-trate introducendo imposte indiret-te quali IVA e altre tasse, tariffe e ac-cise. Tuttavia, le basse quotazioni pe-trolifere hanno costretto il governoa stringere la cinghia in maniera piùrapida del previsto. Il rallentamentonel settore privato e nell’economianon legata al petrolio implica che leopportunità di impiego aumente-ranno a un ritmo più lento rispettoalle previsioni originarie, e i proget-ti del governo di razionalizzare l’im-piego nel settore pubblico subirannouna battuta d’arresto. La valutazionedi alcuni asset, come ad esempio laparziale IPO di Saudi Aramco, sarà

anche collegata in maniera positiva al-l’andamento dei corsi petroliferi.

L’accordo per i tagli alla produzioneLa caduta del prezzo del petrolio sot-to la soglia dei 30 dollari al barile, ainizio 2016, ha rappresentato unmomento critico per l’intero mercatopetrolifero. Alcuni ritenevano che, aprescindere da cosa sarebbe succes-so al prezzo del petrolio, il Regnonon avrebbe reagito in alcun modo.Tuttavia, l’Arabia Saudita ha reagito,facendo capire al mercato che lebasse quotazioni di gennaio di 2016erano “irrazionali” e lanciando segnalidi voler cooperare con i produttoriOPEC e non-OPEC per un conge-lamento della produzione. Con ilmancato accordo di Doha dell’apri-le 2016 i produttori hanno persoun’occasione per concordare lo stes-so congelamento, creando così un’at-mosfera generale di pessimismo nelmercato. Ma i produttori non hannosmesso di impegnarsi per trovare unaccordo. Nel corso del 2016, i segnalilasciavano intendere che si sarebbepassati dal congelamento al taglio del-la produzione e, cosa altrettanto im-portante, l’Arabia Saudita stava svol-

UN RIEQUILIBRIO LENTOPrima del recente accordo OPEC,

la produzione petrolifera è precipitata in molte zone

del mondo (tra cui Messico, Cina,Colombia, Venezuela e Nigeria)

in seguito alla forte diminuzionedelle quotazioni rispetto

al giugno 2014. Tale flessione,insieme a una domanda piuttostoconsistente nel 2015 e nel 2016,

ha contribuito a riequilibrare il mercato, ma meno

rapidamente di quanto previsto.

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gendo un ruolo chiave in questi ne-goziati, nominando Khalid Al-Falihnuovo ministro del petrolio. Tutta-via, in questo periodo la produzionedel Paese è rimasta elevata, toccan-do livelli record nell’estate 2016,per affrontare le trattative con unmaggiore livello di produzione. Nelnovembre del 2016, i negoziati sonoculminati in un accordo volto a ta-gliare la produzione dei paesi OPECdi 1,2 mbg e di undici paesi non-OPEC di 0,58 mbg, capitanati dal-la Russia con 0,3 mbg.

Possibili spiegazioni per il cambio di rotta della politicaA questo punto gli interrogativi cherestano sono: quali fattori potrebbe-ro giustificare un tale cambio di rot-ta nel comportamento saudita? Quat-tro sono le possibili spiegazioni:1 | i produttori si sono mostrati più

collaborativi quando gli introiti de-rivanti dal petrolio sono crollati edè diventato troppo difficile adat-tarsi ai bassi prezzi;

2 | il mercato è riuscito a risolvereun’incertezza fondamentale ri-guardante la reazione dello scistostatunitense;

3 | il mercato si è già riequilibrato, percui i benefici previsti derivantidal taglio della produzione sonoaumentati, e il costo per ottenereinformazioni riguardo alla rea-zione al rialzo dello scisto è rela-tivamente basso in un mercato de-licato;

4 | il costo della strategia per la quo-ta dell’Arabia Saudita è stato su-periore ai suoi benefici.

La prima spiegazione è una possibi-lità, ma la volontà dei produttori dicollaborare può essere vista piuttostocome un fattore che ha contribuito araggiungere l’accordo sulla produ-zione nel 2016. L’Arabia Saudita halasciato sempre intendere che nonavrebbe agito unilateralmente, e ogniaccordo sarebbe dovuto essere ilfrutto di un lavoro congiunto daparte dei produttori OPEC e non-OPEC. Un altro fattore che ha fa-vorito il raggiungimento dell’accor-do è stato anche il riavvicinamento traRussia e Arabia Saudita in seguito al-l’incontro tra il presidente Putin e ilprincipe ereditario Mohammed binNayef in Cina nel settembre 2016. Laseconda spiegazione è meno convin-cente, in quanto non ci sono proveche sia stata risolta l’incertezza sul

mercato riguardo allo scisto statuni-tense, in particolare per quanto con-cerne la risposta ai prezzi più eleva-ti della fornitura di scisto. La terzaspiegazione è più plausibile. Il gua-dagno derivante da un taglio allaproduzione è aumentato nel tempo,dal momento che la situazione delmercato è diventata più delicata. In al-tre parole, le tempistiche del taglionon sono da trascurare, poiché se av-viene in condizioni di mercato più dif-ficili, avrà un impatto maggiore suiprezzi e sugli introiti. La quarta spie-gazione, che si basa sul costo, è for-se la più plausibile. Molte sono le pro-ve che testimoniano come i Paesiesportatori di petrolio, Arabia Sauditacompresa, siano stati colpiti dura-mente dai bassi corsi petroliferi. Mauna spiegazione basata sui costi po-trebbe anche presentare alcune po-tenziali varianti:• | quando si è deciso di optare per il

taglio, il costo era diventato tal-mente alto che il guadagno nettoderivante dalla strategia per laquota si era molto ridotto;

• | dal novembre 2014, i costi com-plessivi sono aumentati più rapi-damente rispetto ai benefici com-plessivi, annullando il guadagnonetto derivante dalla strategia perla quota di mercato nel corso deltempo;

• | quando si è deciso per la prima vol-ta di aumentare la produzione, nel2014, l’Arabia Saudita potrebbeaver sopravvalutato la sua resilienzafinanziaria e la sua capacità di tol-lerare i costi connessi all’adozionedella strategia per la quota;

• | quando è stata presa la decisioneper la prima volta, l’Arabia Saudi-ta potrebbe aver sottovalutato il co-sto connesso all’adozione dellastrategia per la quota di mercato,in quanto all’epoca non tutte le in-formazioni erano disponibili.

È più probabile che un insieme diquesti fattori di costo, anziché unosingolo, oltre alle previsioni di mag-giori benefici derivanti da un taglio inun mercato difficile, abbiano nelcomplesso contribuito a innescare uncambio di rotta nella politica petro-lifera del Paese.

Prospettive e scenari futuriDal momento che la politica petro-lifera dell’Arabia Saudita è in costanteevoluzione, non è da escludere la pos-sibilità di ulteriori cambi di rotta nel-la politica dei prossimi mesi. Ma datoche i costi connessi a un eventuale ta-glio della produzione sono elevati,soltanto dei cambiamenti estremi(ma probabili) nel comportamento dialtri attori, o nelle dinamiche del mer-cato petrolifero, potrebbero spinge-re il Paese a modificare la propriastrategia. Anziché cercare di preve-dere le prossime mosse, ecco alcuniscenari possibili:

• | qualora gli altri Paesi non doves-sero rispettare l’accordo sulla pro-duzione (ma ciò non significa chedovrà esserci un rispetto al 100percento), lo scenario più proba-bile è che l’Arabia Saudita decidadi spostarsi verso una politicavolta all’aumento della produzio-ne, in quanto altri produttori en-treranno in gioco nel taglio nellaproduzione saudita, riducendocosì i vantaggi previsti dall’ope-razione;

• | se la risposta dello scisto statuni-tense dovesse essere forte e rapi-da, e dovesse prendere il posto deltaglio alla produzione dell’OPEC,l’Arabia Saudita probabilmentetornerà ad aumentare la produ-zione, in quanto l’attuale decisio-ne del taglio comporterebbe unaperdita della quota di mercato sen-za avere un impatto duraturo suiprezzi e, di conseguenza, com-porterebbe degli introiti minori;

• | se la risposta dello scisto statuni-tense è moderata, e non si sosti-tuisce al taglio della produzioneconcordato, lo scenario più pro-babile è che al prossimo incontroOPEC verrà stabilita un’esten-sione dell’accordo attuale;

• | se il mercato si restringesse più ra-pidamente di quanto previsto, adesempio per via di interruzioni allafornitura, l’Arabia Saudita po-trebbe tentare di mettere un tet-to al prezzo del petrolio aumen-tando la produzione, oppure po-trebbe lasciare che le scorte siesauriscano in maniera più velo-ce, con il rischio di far aumenta-re ancora di più i prezzi.

In passato, le decisioni dell’OPECsono sempre state importanti nel-l’orientare le dinamiche del merca-to, ma la decisione del 2016 di ta-gliare la produzione è scottante, inquanto non solo sarà essenziale perrisolvere una grave incertezza ri-guardo uno shock di mercato, magetterà ulteriormente luce sulle mos-se dell’Arabia Saudita in un contestomondiale ancora più incerto. E inquesto contesto mondiale incerto, ilRegno attualmente si trova di fron-te alla più grande trasformazione eco-nomica della sua storia, che lo vedericonfigurare le sue alleanze geopo-litiche e affrontare diverse dinamicheall’interno dell’OPEC, con il ritor-no di Iran e Iraq, mentre continua astudiare nuove fonti di approvvi-gionamento diversificando il ciclo diinvestimenti e modello di business, eil potenziale per ottenere grandiguadagni in termini di efficienza.

1 Nick Butler, “The Saudis’ StrategicFailure”, The Financial Times, 10 ottobre 2016.

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Iran/Le prospettive della politica petrolifera del Paese

Un futuro di incogniteL’accordo OPEC viene accolto con favore da Teheran. Ma gli effetti positivi di breve periodo sui prezzi e sulla capacità produttiva iranianapotrebbero essere ridimensionati con un inasprimento della politica estera USA

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er la prima volta dopo otto anni di ne-goziati, il 28 settembre 2016 è statoraggiunto ad Algeri l’accordo preli-minare in sede OPEC per la ridu-zione delle quote di produzione di pe-trolio da 33,2 milioni di barili a 32,5milioni di barili al giorno. L’ArabiaSaudita diminuirà la sua produzionedi circa 500mila barili mentre gli Emi-rati Arabi Uniti (EAU) hanno visto ri-dursi la loro produzione totale di150mila barili al giorno. L’intesa in-clude l’ulteriore riduzione della pro-duzione, per un totale di 1,2 milionidi barili al giorno, anche per paesinon-OPEC, come la Russia, che ta-glierà la sua produzione di petrolio dicirca 300mila barili al giorno. L’annuncio dell’intesa preliminareaveva subito prodotto effetti signifi-cativi sul prezzo del petrolio che è pas-sato dai 26 dollari al barile del febbraio2016 ai 54 dollari del gennaio 2017.Tuttavia, questa diminuzione dellaproduzione potrebbe non essere suf-ficiente per produrre effetti di lungoperiodo significativi sui prezzi del pe-trolio. Le attese dell’OPEC sono diun possibile aumento del prezzo delpetrolio nel primo quadrimestre del2017 almeno vicino ai 60 dollari. L’intesa definitiva è stata formalizza-ta il 30 novembre 2016 in occasionedella riunione di Vienna con i 14 Pae-si produttori dell’OPEC. Questo ta-glio, inferiore all’1 percento della pro-duzione globale, è arrivato dopomesi di discussioni tra i maggiori Pae-si produttori, in particolare tra Irane Arabia Saudita. Tra settembre e no-vembre dello scorso anno si sono svol-ti incontri tecnici costanti tra delegatisauditi e iraniani per concretizzarel’intesa. Le autorità iraniane hannotentato di ritardare il più possibile iltaglio della produzione petrolifera.L’obiettivo di Teheran in fase nego-ziale era di tornare vicino ai livelli diproduzione precedenti alle sanzioniinternazionali, imposte nel 2003,prima di dare l’assenso a qualsiasi di-minuzione della produzione. E così, la decisione presa a Viennanella riunione OPEC di novembrenon comporterà una riduzione del-la produzione petrolifera iraniana.L’Iran continuerà a perseguire i suoiobiettivi di aumento della produzio-ne nel mercato petrolifero interno,compensando la diminuzione dei li-velli produttivi di altri Paesi, in par-ticolare Nigeria e Venezuela. Sonoproseguiti, dopo il raggiungimentodell’intesa, gli incontri a Vienna perstabilire la creazione di un Comita-to di controllo sui tagli alla produ-zione, composto da cinque paesiOPEC e non (Kuwait, Algeria, Ve-nezuela, Oman e Russia). Secondo idati forniti, i Paesi che si sono im-pegnati a tagliare la loro produzionestanno fin qui rispettando gli accor-di di Vienna. Dal febbraio 2017, ilComitato presenterà un rapporto

mensile sull’effettivo rispetto del-l’intesa.

Le posizioni iraniane nellafase negozialeLe autorità iraniane si sono imme-diatamente espresse a favore dell’ac-cordo preliminare di Algeri. In par-ticolare, il ministro iraniano del Pe-trolio, Bijan Zanganeh, ha ammessoche l’Iran non avrebbe potuto che ve-dere con favore un accordo formaleper il congelamento della produzio-ne di petrolio. Le autorità iraniane,durante le riunioni tecniche, tra set-tembre e novembre 2016, hannopuntato su un accordo che prevedes-se un tetto alla produzione del pe-trolio di Teheran il più vicino possi-bile ai 4 milioni di barili al giorno.Secondo alcuni analisti, le autorità ira-niane hanno infine dato il loro assensoper un primo taglio della produzio-ne, come auspicato dai sauditi, soloperché questo non avrebbe implica-to necessariamente un ridimensio-namento della capacità produttivairaniana. In altre parole, nonostanteil taglio stabilito dai paesi OPEC,l’Iran potrebbe anche perseguire i suoiobiettivi di aumento della produzio-ne nel mercato petrolifero interno. Iltetto massimo a cui potrebbe aspira-re il Paese, secondo gli analisti ira-niani, è di 4,2 milioni di barili al gior-no (circa il 13 percento della produ-zione OPEC): un livello di outputmolto alto tenendo in considerazio-ne la qualità migliorabile della tec-nologia iraniana in ambito petrolife-ro e la parziale cancellazione delle san-zioni internazionali contro Teheran,in seguito all’entrata in vigore del-l’intesa di Vienna nel gennaio 2016. Per questi motivi, secondo il Finan-cial Times, la capacità iraniana di au-mentare la produzione, in tempi bre-vi, fino a 3,9 milioni di barili al gior-no è ancora da verificarsi. E così,l’Arabia Saudita, ha voluto che venisselasciata invariata la stima degli attuali3,6 milioni di barili di petrolio pro-dotti ogni giorno in Iran. Le autori-tà saudite considerano pari a 3,7 mi-lioni di barili di petrolio al giorno illivello massimo a cui potrebbe aspi-rare Teheran in questa fase. L’intesa di Vienna è arrivata in uncontesto incoraggiante per l’econo-mia iraniana. Secondo il ministero delPetrolio iraniano, il livello di produ-zione registrato alla fine del 2016 è di3,8 milioni di barili al giorno, quin-di vicino al livello precedente alle san-zioni, pari a 4,2 milioni di barili algiorno, quando l’Iran era il secondoPaese produttore di petrolio in am-bito OPEC.Non solo: sono numerosi i contrattinel settore petrolifero siglati negli ul-timi mesi dall’Iran. L’ultimo in ordi-ne di tempo riguarda la compagnia Se-tad che ha siglato un accordo pari a 2,5miliardi di dollari per lo sviluppo dei

PGIUSEPPE ACCONCIA

Giornalista e ricercatore per le Università Bocconi e Cattolica di Milano e per la University of London (Goldsmiths). Ha scritto per Il Manifesto, The Independent e Al-Ahram Weekly.Ha pubblicato saggi per Palgrave,Carnegie, The International Spectator e Le Monde diplomatique. È autore del libro “Il Grande Iran”(Exorma, 2016).

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pozzi di petrolio di Yaran. Ma gli in-vestimenti esteri hanno riguardato an-che altri settori, in particolare l’in-dustria automobilistica. Italia, Ger-mania e Francia, i tre paesi europei cheper primi hanno scongelato miliardiiraniani fermi nelle banche locali,sono in corsa per ottenere il primatonegli scambi bilaterali con l’Iran.

Le reazioni all’intesa E così le autorità iraniane hanno sa-lutato favorevolmente l’intesa diVienna. Dopo l’annuncio del rag-giungimento dell’accordo, Teheranha immediatamente confermato che“non taglierà” la sua produzione dipetrolio. L’accordo permetterà inveceall’Iran di continuare a invitare com-pagnie straniere ad investire nel suosettore energetico. Anche i livelli di esportazione di pe-trolio iraniano stanno lentamentetornando ai volumi pre-sanzioni. Senel 2003 Teheran esportava 2,5 mi-lioni di barili di greggio al giorno, nel2015 i livelli di esportazioni erano sce-si ad appena 1,3, per risalire a 2,6 mi-lioni di barili al giorno nel settembre2016, in seguito all’entrata in vigoredell’intesa di Vienna sul nucleare. Secondo dati Reuters, nel febbraio

IranEnergy:un nuovocorsoL’intesa di Vienna sul taglio dellaproduzione è arrivata in un contestogià incoraggiante per il settorepetrolifero iraniano. I graficievidenziano come questo sia un periodo di crescita, sia a livello di produzione che di export, e conseguenti profitti, di petrolio.

1. PRODUZIONE PETROLIFERA La produzione petrolifera iraniana,negli anni da gennaio 2005 a ottobre 2016, ha avuto un crollodrastico nel 2012, in seguitoall’embargo stabilito dall’Unioneeuropea nei confronti di Teheran,per poi risalire negli ultimi mesi del 2016, quasi ai livelli pre sanzioni.

2. VENDITA DI PETROLIO,PROFITTI E STIMEI profitti ricavati dalla vendita del petrolio iraniano sono calatiprogressivamente dal 2013 al 2015e solo nel 2016 il calo si è arrestato.Nel 2017 la previsione è che i profittipossano aumentare.

3. EXPORT PRE SANZIONILe esportazioni iraniane pre sanzionihanno avuto un calo drammatico.Nei due anni dal 2011 al 2013l’export iraniano è calato di 400.000barili al giorno, la maggiore flessionemai registrata.

4. EXPORT POST SANZIONIL’export totale di petrolio iraniano,nell’epoca post sanzioni, ha avutoun boom nel 2016, toccando gli oltre 2,5 milioni di barili al giorno.Nel 2017 non è sceso comunquesotto i due milioni di barili al giorno.

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1. PRODUZIONE PETROLIFERA

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2. VENDITA DI PETROLIO - PROFITTI E STIME

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3. EXPORT PRE SANZIONI

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2015 2016 (settembre) 2017 (febbraio)

4. EXPORT POST SANZIONI

(Fonte: OPEC)

(Fonte: Thomson Reuters Oil Research & Forecasts)

(Fonte: OPEC)

(Fonte: Thomson Reuters Data)

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2017, i volumi di esportazione del pe-trolio iraniano sono rimasti però in-feriori ai dati di settembre 2016.Questo suggerirebbe che l’Iran sta ri-scontrando difficoltà a trovare nuo-vi acquirenti. L’esportazione di greg-gio dovrebbe essere di 2,2 milioni dibarili di petrolio al giorno nel febbraio2017, il livello più basso da luglio2016. Tuttavia, il vice ministro del Pe-trolio, Abbas Kazemi, ha assicuratoche le intenzioni iraniane sono di au-mentare sensibilmente la produzio-ne petrolifera e i volumi delle espor-tazioni nel 2017 grazie al migliora-mento della tecnologia estrattiva. I principali clienti iraniani restano iPaesi asiatici, verso i quali affluiran-no 1,5 miliardi di barili di petrolio en-tro febbraio (dati Reuters). Le espor-tazioni verso l’Europa sono state di610 mila barili al giorno nel genna-io 2017: in diminuzione rispetto agli800 mila barili di petrolio dello scor-so dicembre. 70 mila barili di greg-gio sono diretti solo al mercato olan-dese. Qui un altro tabù imposto dal-le sanzioni contro il programma nu-cleare iraniano è stato ormai superato.L’Iran sta intensificando la consegnadi greggio a petroliere straniere, inquesto caso operanti nel porto di Rot-

terdam, in seguito all’alleggerimen-to delle restrizioni sulle assicura-zioni navali, approvato lo scorsoaprile, come conseguenza dell’ac-cordo di Vienna del 2015. Negli ul-timi mesi grandi petroliere greche ecroate hanno trasportato il greggioiraniano dall’isola di Kharg fino aSpagna, Italia e Thailandia. Trenta-duemila barili di petrolio iraniano algiorno sono stati consegnati all’Ita-lia nel gennaio 2016, 110 mila sa-ranno esportati questo febbraio;mentre le esportazioni con la Spagnacresceranno da 30 mila a 70 mila ba-rili al giorno. Secondo dati Reuters, ben 25 Paesieuropei e asiatici stanno trasportan-do il petrolio iraniano all’estero.Questo ha permesso di superare i li-miti imposti dalle sanzioni interna-zionali più velocemente del previsto.Fino all’aprile 2016, le autorità ira-niane avevano trovato non pochiostacoli per esportare il petrolio lo-cale. Tuttavia, alcune compagnie in-ternazionali restano scettiche sullapossibilità di fare affari con le auto-rità di Teheran, soprattutto per il per-durare delle restrizioni imposte da-gli Stati Uniti. Per questo, il mini-stero del Petrolio iraniano ha pro-

messo nuovi piani per l’esplorazionedei giacimenti petroliferi presenti nelSud del Paese. Sarebbero almeno unadozzina le compagnie internaziona-li che potrebbero essere coinvolte nelrilancio del settore. Secondo AliKardor, direttore della National Ira-nian Oil Company (Nioc), le com-pagnie straniere coinvolte nel pianodi rilancio saranno principalmenteeuropee e asiatiche.

L’intesa sul nucleare e lerelazioni tra Iran e Stati UnitiL’Iran è rientrato a tutti gli effetti nelmercato globale come conseguenzadell’intesa di Vienna del luglio 2015e del riavvicinamento tra l’ammini-strazione Obama e la presidenzamoderata di Hassan Rouhani. Tut-tavia, un possibile nuovo gelo tra idue Paesi, in seguito all’elezione delpresidente Donald Trump negli Sta-ti Uniti e dei suoi primi provvedi-menti esecutivi, sta già comportan-do una levata di scudi degli ultra-conservatori iraniani che potrebbe-ro ottenere un buon risultato elet-torale alle presidenziali del maggio2017, riportando il Paese verso unmuro contro muro con la comunitàinternazionale, come è avvenuto du-

rante le presidenze di Mahmud Ah-madinejad (2005-2013). In particolare, le nomine di Micha-el Flynn a Consigliere alla Sicurez-za nazionale e di Mike Pompeo a gui-da della Cia, entrambi contrari al-l’intesa raggiunta a Vienna da Fran-cia, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sta-ti Uniti e Germania (P5+1) nel luglio2015, potrebbero mettere in discus-sione la fine delle sanzioni interna-zionali contro l’Iran. Per questo, il di-rettore uscente della Cia, John Bren-nan, ha avvertito il presidente DonaldTrump che revocare l’intesa con Te-heran sarebbe un “disastro” e “il mas-simo della follia”. In particolare,Mosca potrebbe mediare con lo sco-po di favorire la completa attuazio-ne dell’intesa, con l’obiettivo di rag-giungere con Washington una solu-zione condivisa della crisi siriana.La risoluzione 2231 del Consiglio diSicurezza delle Nazioni Unite, che ri-conosce il diritto iraniano all’arric-chimento dell’uranio a scopo civile,dovrebbe assicurare la tenuta del-l’impianto dell’intesa di Vienna. Tut-tavia, Michael Flynn ha avvertito leautorità iraniane che non saranno ul-teriormente tollerate violazioni. Inparticolare in riferimento ai test di

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missili balistici, come il più recente,realizzato da Teheran il 29 gennaioscorso. Secondo Flynn, si trattereb-be di una violazione della risoluzio-ne 2231 e dell’accordo sul nucleare,valutato come “debole e inefficace”.La reazione iraniana a queste di-chiarazioni non si è fatta attendere.“L’Iran rimarrà indifferente alle mi-nacce di Washington” e “non cer-cherà il permesso di nessun Paese perdifendersi”, ha ribadito Ali Akbar Ve-layati, Consigliere per gli affari in-ternazionali della Guida suprema, inriferimento agli avvisi delle autoritàstatunitensi.Come se non bastasse, il 2 dicembre2016, il Congresso USA ha approvatoun’estensione di dieci anni dell’Iranand Libya Sanctions Act (ILSA). Lesanzioni degli Stati Uniti contro Li-bia e Iran erano state approvate perla prima volta nel 1996 e sarebberoandate verso la scadenza alla fine del-lo scorso anno. La possibilità che gliStati Uniti facciano un passo indie-tro sull’accordo di Vienna ha subitoprovocato dure reazioni in Iran. Inparticolare la Guida suprema AliKhamenei ha duramente criticato ilnuovo pacchetto di sanzioni appro-vate dal Congresso USA control’Iran. “Non ci sono differenze tral’imposizione di un nuovo divieto ola continuazione di uno precedente.La seconda è una negazione esplici-ta di quello che è stato concordatocon gli americani”, ha dichiaratoKhamenei. La Guida suprema ha ag-giunto che, in altre parole, le nuovemisure sono una violazione dell’ac-cordo sul nucleare.In risposta all’imposizione delle nuo-ve sanzioni, Teheran ha subito an-nunciato l’avvio di un piano per laproduzione di propulsori marittiminucleari e di un’azione legale controWashington per la mancata cancel-lazione delle misure internazionali

contro l’Iran, come previsto dall’in-tesa di Vienna. L’annuncio è statoconfermato dall’Organizzazione del-l’Energia atomica iraniana (AEOI),già accusata dall’Agenzia interna-zionale per l’Energia atomica (AIEA)di aver ripreso l’arricchimento del-l’uranio a livelli superiori ai limiti pre-visti dall’intesa di Vienna, a partiredallo scorso novembre.In una lettera di Hassan Rouhani alcapo negoziatore e ministro degliEsteri iraniano, Javad Zarif, il Presi-dente ha riferito di “ritardi nell’at-tuazione dell’accordo sul nucleare” edi una “palese violazione” dell’inte-sa di Vienna in relazione alle nuovesanzioni approvate da Washington. Ecosì il governo iraniano continua aguardare verso la Russia e l’Europaper bilanciare il gelo nelle relazioni bi-laterali con gli Stati Uniti. Le auto-rità iraniane hanno firmato un me-morandum d’intesa da 2,2 miliardi didollari con la compagnia russa Gaz-prom e un altro accordo con la Ro-yal Dutch Shell per lo sviluppo di dueimportanti giacimenti petroliferi delPaese: Azadegan Sud e Yadavaran. Ac-cordi miliardari sono stati raggiunti

anche con la francese Total, la tede-sca Wintershall, l’olandese Schlum-berger e la norvegese DNO.

Un programma di distensione nellecontroversie internazionaliLe autorità iraniane sono impegna-te, dal 2013 e per i prossimi anni, aseguire la linea politica di riavvici-namento alla comunità internazio-nale, tracciata dall’ex presidente,uno dei leader del fronte moderato,Hashemi Rafsanjani, scomparso l’8gennaio scorso. Questa linea politi-ca prevede la distensione nelle prin-cipali controversie internazionali, apartire dal programma nucleare finoal ridimensionamento delle tensionibilaterali con l’Arabia Saudita. Nelprimo caso, l’accordo di Vienna delluglio 2015 ha sancito il ritorno di Te-heran nel mercato globale; nel se-condo caso, le intese di Algeri eVienna di settembre e novembre2016, per la riduzione della produ-zione petrolifera in sede OPEC,hanno ribadito il diritto iraniano atornare a livelli produttivi e di espor-

tazioni del petrolio, pari al periodopre-sanzioni internazionali. Que-st’ultima decisione potrebbe segna-re una distensione nelle relazioni bi-laterali tra Iran e Arabia Saudita,estremamente tese, in particolare acausa dei conflitti in Yemen e Siria.A frenare gli entusiasmi dei nego-ziatori iraniani, da una parte, c’è loscetticismo delle élite conservatrici eradicali iraniane che non hanno maicreduto in un concreto riavvicina-mento di lungo periodo con gli Sta-ti Uniti e, dall’altra, ci sono le nuo-ve politiche statunitensi in MedioOriente, abbozzate nei primi giornidi presidenza Trump. In particolare,il bando temporaneo all’ingressonegli Stati Uniti di cittadini prove-nienti da sette Paesi a maggioranzaislamica, incluso l’Iran, ha determi-nato l’approvazione di misure di re-ciprocità non retroattiva da parte del-le autorità iraniane, e non pochimalumori per il ritardato rispetto de-gli impegni internazionali USA - as-sunti dall’amministrazione uscente diBarack Obama - con le autorità ira-niane in materia di fine delle sanzionibancarie contro Teheran. Infine, nonostante il significativoincremento delle esportazioni pe-trolifere verso Europa e Asia, il ri-torno degli investimenti esteri nelPaese, soprattutto europei, e il rag-giungimento di uno dei principaliobiettivi dell’OPEC, cioè l’aumentodi lungo periodo dei prezzi del pe-trolio grazie ad una riduzione dellaproduzione, non stanno impedendoun’escalation nelle relazioni bilateralitra Iran e Stati Uniti che potrebbe-ro riportare l’asse dello scontro allafase di tensioni continue tra autori-tà iraniane e amministrazione USAdella presidenza Repubblicana diGeorge Bush. Una nuova fase di raf-forzamento degli ultra-conservatoriiraniani, come conseguenza di un ina-sprimento della politica estera USA,potrebbe determinare molti passiindietro sia sul dossier nucleare sia inmerito alla fine delle sanzioni inter-nazionali. Questo, in ultima analisi,potrebbe ridimensionare gli effettipositivi di breve periodo che il taglioalla produzione petrolifera ha de-terminato, sia sui prezzi del petroliosia sulla capacità iraniana di tornarea buoni livelli di produzione edesportazione di greggio, vicini aivolumi pre sanzioni.

FAVOREVOLI AL TAGLIOLe autorità iraniane si sono

espresse a favore dell’accordopreliminare di Algeri. In

particolare, il ministro iranianodel Petrolio, Bijan Zanganeh(nella foto), ha ammesso che

l’Iran non avrebbe potuto chevedere con favore un accordo

formale per il congelamentodella produzione di petrolio.

Secondo alcuni analisti, leautorità iraniane hanno dato illoro disco verde per un primotaglio della produzione, soloperché questo non avrebbe

implicato necessariamente unridimensionamento della

capacità produttiva iraniana.

Leggi su www.abo.netaltri articoli dello stesso autore.

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1. NIGERIA“Una volta che la produzione nazionale tornerà sugli 1,8 milioni di barili al giorno, l’OPEC ci chiederà di fare la nostra parte nei tagli”Emmanuel Ibe KachikwuMinistro del petrolio

2. Iraq“Il Paese spera in un prezzo migliore. Puntiamo a 65 dollari al barile, o qualcosa del genere”Abar Ali al-LuaibiMinistro del petrolio

3. Venezuela“Ci stiamo già dando da fare e siamo pronti a esporci ancora per difendere e sviluppare lo storico accordo raggiunto nel mese di novembre”Nicolas MaduroPresidente della Repubblica

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Paesicon un domani da scrivere

Abuja, Baghdad e Caracas hanno nel petrolio il fulcro, quasi esclusivo, delle rispettive economie, e per questo ripongono

le proprie speranze di rilancio nei benefici effetti dell’accordo OPECsulle quotazioni del greggio, ma non possono trascurare

la risoluzione di problemi in materia di infrastrutture, esportazioni, ordine interno e relazioni internazionali

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La Nigeria è stata esentatadall’applicazione dello stori-co accordo OPEC sui taglialla produzione di petrolio,per via dei gravi problemi che

ne hanno dimezzato la capacità diproduzione. L’intesa, tuttavia, è de-stinata a incidere fortemente sul-l’andamento dell’economia del Pae-se, così come l’evoluzione del mercatopetrolifero nigeriano potrebbe avereun impatto significativo sulla tenutadell’accordo.Negli ultimi anni l’economia della Ni-geria è stata tra le più colpite dal crol-lo del prezzo del greggio. Nel 2014il Prodotto interno lordo (PIL) cre-sceva a un ritmo del 6,3 percento. Nel2015 rallentava attestandosi attornoai 2,7 punti percentuali. E l’anno scor-so, per la prima volta in un quarto disecolo, la Nigeria è entrata in reces-sione, registrando contrazioni delPIL per i primi nove mesi del 2016e perdendo (a vantaggio del Sudafri-ca) lo scettro di prima economia delcontinente.Non è tutta colpa del prezzo del greg-gio: corruzione endemica, politichemonetarie rigide, riserve in valutastraniera prosciugate e perdurante in-sicurezza hanno contribuito alla cri-si in modo non marginale. Ma perun’economia che conta sui prodottipetroliferi per il 90 percento delleesportazioni e per il 70 percentodelle entrate statali, un prezzo delgreggio ai minimi storici costituisceuna zavorra difficilmente sostenibile.

L’impatto sull’economia L’accordo OPEC non potrà che ave-re ripercussioni positive sull’econo-mia nigeriana. Il ministro del Petro-lio, Emmanuel Kachikwu, si aspettache il taglio globale della produzio-ne porti il prezzo del greggio attor-no ai 60 dollari al barile, e valuta che,in tal caso, la crescita dell’economianigeriana possa raggiungere que-st’anno il 2,5 percento. Stime in lineacon quelle delle agenzie di rating (il

2,6 percento per Fitch e 2,5 percen-to per Moody’s), ma molto più otti-miste rispetto a quelle del Fondo mo-netario internazionale, che prevedeinvece una crescita del PIL attornoagli 0,8 punti percentuali.C’è però da considerare una variabi-le importante. Le previsioni del go-verno si fondano su una produzione

petrolifera di 2,2 milioni di barili algiorno, traguardo che appare oggimolto difficile da raggiungere. Que-sto perché nei primi mesi dello scor-so anno la regione del Delta del Ni-ger è diventata teatro di frequenti at-tacchi da parte di formazioni arma-te che, per indurre l’esecutivo a unamaggiore generosità nella distribu-

zione dei proventi delle esportazioni,hanno minacciato e colpito diretta-mente gli interessi delle compagniestraniere. Al punto che, nel maggioscorso, secondo la compagnia nazio-nale NNPC, la produzione di petro-lio si è dimezzata, raggiungendo 1,1milioni di barili al giorno.Allo stato dei fatti, la situazione è in

Nigeria/Per ora è esentata dai tagli, ma la produzione cresce rapidamente

Alla ricerca di nuovi equilibri

N I G E R I A

PORT HARCOURT

G O L F OD I G U I N E A

GIACIMENTI DI GAS

GIACIMENTI DI PETROLIO

GASDOTTI

OLEODOTTI

Fonte: Eni

55_59_Nigeria&C.qxp 27/02/17 14:23 Pagina 56

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miglioramento. Secondo gli ultimidati forniti dall’OPEC, a gennaio laNigeria ha prodotto in media 1,6 mi-lioni di barili al giorno contro gli 1,37milioni del mese precedente. Un in-cremento significativo, ma che nonbasta a ritrovare il primato (cedutol’anno scorso all’Angola) nella classi-fica dei maggiori produttori di petroliodell’Africa. E che non basta neanchea raggiungere gli ambiziosi obiettivistabiliti dal governo federale, chespera di tornare quanto prima ai livellidi produzione precedenti la crisi.Per questo motivo, le autorità nige-riane hanno avviato un’intensa atti-vità diplomatica mirata a placare glianimi degli insorti e, dall’altra parte,a mettere in sicurezza gli investimentidelle compagnie straniere. Gli sfor-zi non hanno però ancora portato airisultati sperati. Al momento la pro-duzione è inferiore del 30 percento ri-spetto ai livelli attesi dal governo fe-derale.

Verso i due milioni di barili al giorno?Il terminal di Forcados, il terzo piùimportante del Paese, è di fatto chiu-so dal febbraio del 2016. E la di-

mensione del danno inferto all’eco-nomia locale è stata recentemente de-finita dalla stessa NNPC, che stimain 300 mila barili di petrolio al gior-no la perdita netta per le esportazio-ni nigeriane. Significa che, con un co-sto medio del greggio di 45 dollari albarile, la Nigeria ha perso quasi 5 mi-liardi di dollari a causa degli atti divandalismo che hanno colpito unadelle principali rotte dell’export di pe-trolio. Nel complesso, gli esperticalcolano che, a causa dei suoi pro-blemi di sicurezza, il Paese africanoperda circa mezzo milione di barili digreggio ogni giorno.Nel corso di un dibattito sul bilanciodel ministero del Petrolio nel 2017,Kachikwu ha assicurato ai membridella Commissione per le risorse pe-trolifere della Camera dei rappre-sentanti che la riapertura di Forcadosè “questione di settimane”. Dellostesso avviso è Dolapo Oni, capo delsettore Energy Research di Eco-bank, per il quale l’oleodotto che ri-fornisce il terminal, potrebbe rientrarepienamente in funzione all’inizio dimarzo. A quel punto, la produzionenazionale di petrolio della Nigeria po-trebbe risalire verso i 2 milioni di ba-rili al giorno.Le difficoltà incontrate dal governonel rilancio della produzione ri-schiano di pesare sulla ripresa del-l’economia nigeriana, ma sono unabuona notizia per l’OPEC, che puòevitare il pericolo di un aumento ec-cessivo della produzione da partedei Paesi esentati dall’accordo delloscorso dicembre. “Una volta che laproduzione nazionale tornerà sugli 1,8milioni di barili al giorno, l’OPEC cichiederà di fare la nostra parte nei ta-gli”, ha ipotizzato lo stesso ministroKachikwu, nel corso di una recente vi-sita a Roma. Se allora la Nigeria col-laborerà, l’obiettivo di ripristinare i li-velli di produzione di un anno fa re-sterà un miraggio. E il presidente Mu-hammadu Buhari sarà costretto, an-cora una volta, a rivedere al ribasso lestime di crescita dell’economia.Il futuro del Paese, quindi, si giocheràsu un sottile equilibrio: da una partegli obblighi nei confronti dei partnerinternazionali, dall’altra la necessitàdi rispondere alle attese della popo-lazione. Anche da qui passerà il giu-dizio futuro su un leader, Buhari, chefinora non ha saputo imprimere allaNigeria la svolta che gli elettori e gliosservatori internazionali si aspetta-vano.

DI GIANMARCO VOLPEGiornalista ed esperto di politica

internazionale, si occupa di Africa e di cooperazione internazionale.

Ha diretto il desk Medio Oriente e NordAfrica del Centro Studi Internazionali

di Roma e svolge attività di consulenzaper la NATO.

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WHAT’S NEXT

NigeriaEnergyPETROLIO Produzione: 2.332 migliaia di barili/giornoConsumo: 264 migliaia di barili/giornoRiserve: 37.062 milioni di barili

GASProduzione: 42,57 miliardi di metri cubiciConsumo: 18,01 miliardi di metri cubiciRiserve: 5.284 miliardi di metri cubici

Fonte: Eni World Oil & Gas Review 2016

Iraq/A gennaio ha rispettato l’accordo al 53 percento

Baghdad regge all’urto

Secondo maggiore produtto-re di petrolio dell’OPEC,l’Iraq ha promesso di ta-gliare il suo output di 210mila barili al giorno in base

all’accordo siglato il 30 novembrescorso a Vienna. Nel corso delletrattative con gli altri Paesi esporta-tori, il governo di Baghdad, che ave-va chiesto di essere esonerato dai ta-gli per via degli alti costi della guer-ra contro lo Stato Islamico (IS) e del-la difficile situazione interna, non èriuscito ad ottenere l’esito sperato, maha dovuto accettare un tetto giorna-liero di 4,35 milioni di barili, rispet-to alla produzione di ottobre pari a 4,7milioni di barili. Ciò nonostante, al-meno per ora, l’obbligo assunto neiconfronti degli altri paesi membri del-l’OPEC non dovrebbe avere riper-cussioni negative sull’industria pe-trolifera irachena e sulle entrate de-

rivanti dall’export di greggio. Con unprezzo medio del Brent a 55 dollarial barile – che secondo alcune stimepotrebbe aumentare ancora fino araggiungere i 60 dollari – Baghdadpuò contare infatti su un’alta liquidità,necessaria per far fronte alle spese bel-liche e di ricostruzione. È peraltroprobabile che nei prossimi mesi l’Iraqsia comunque obbligato a ridurre laproduzione di petrolio a causa di fat-tori contingenti.

La manutenzione dei giacimenti e la questionedel KurdistanLe esportazioni di greggio irachene,nel mese di marzo di quest’anno, do-vrebbero scendere al livello più bas-so degli ultimi sette mesi, per via deilavori di manutenzione previsti in al-cuni dei maggiori giacimenti delPaese e per il fisiologico calo stagio-

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Page 30: MARZO 2017 - Eni · e radici culturali. Ora il cambia-mento. Prima ad Algeri e poi a Vienna, tra settembre e novembre 2016, è successo ciò che molti osservatori internazionali ritene-vano

nale della produzione. Nel giaci-mento “supergigante” di Rumaila,operato da Bp, Petrochina e dal-l’irachena South Oil Company(SOC), i lavori di manutenzionesono già iniziati a gennaio scorso e do-vrebbero concludersi a giugno. Quel-li nel campo supergigante di Majno-on, dato in concessione alla società an-glo-olandese Royal Dutch Shell inpartnership con la malese Petronas el’irachena Missan Oil, dovrebbero in-vece iniziare a febbraio e finire adaprile. A pieno regime, i due giaci-menti producono insieme una mediadi circa 1,5 milioni di barili al gior-no, quota che diminuirà durante i la-vori di manutenzione.In base alle previsioni degli esperti, amarzo le esportazioni di greggio daiterminal di Bassora, nel sud del Pae-se, dovrebbero scendere a 3 milionidi barili giornalieri (dai 3,28 milioniattuali), dato il calo della produzione.A queste vanno aggiunte le esporta-zioni dai campi sotto il controllodella regione autonoma del Kurdistan

iracheno, sulle quali tuttavia non c’èancora accordo tra i due Paesi. L’in-tesa raggiunta nel dicembre del 2014tra Erbil e Baghdad sulle esportazio-ni petrolifere è infatti bloccata.In base all’accordo, il Kurdistan ira-cheno dovrebbe esportare 550 milabarili di petrolio al giorno attraversola Somo, la compagnia di Baghdadper la commercializzazione del pe-trolio, in cambio del 17 percento delbilancio federale. Attualmente inve-ce le esportazioni dalla regione cur-da e dai campi di Kirkuk (in gran par-te controllati dalle autorità di Erbil)fluiscono sulla conduttura di colle-gamento con la Turchia, l’oleodottoKirkuk-Ceyhan, anche perché la pi-peline che passava per Mosul, città an-cora sotto il parziale controllo delloStato islamico nel nord dell’Iraq, èchiusa almeno dal 2014 per via dellaguerra. Il governo di Baghdad conti-nua quindi a bloccare lo stanzia-mento del 17 percento del bilanciostatale destinato alla regione curda inbase alla Costituzione.

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SIRIA

IRAN

ARABIA SAUDITA

I R A Q

KUWAITGIACIMENTI DI GAS

GIACIMENTI DI PETROLIO

GASDOTTI

OLEODOTTI

BAGHDAD

Fonte: Eni

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Venezuela/Le prospettive economichebasate sui proventi del petrolio

L’occasionemancata

Per il Venezuela il periodod’oro per accumulare ri-sorse con i proventi del pe-trolio sarebbe stato il de-cennio passato, quando il

prezzo del barile arrivava a spinger-si fino ai cento dollari e oltre. L’ac-cordo raggiunto a fine 2016 tra i pae-si OPEC e alcuni grandi produttorinon appartenenti all’Organizzazione,se anche dovesse riuscire a sostene-re la quotazione sopra i 65 dollari albarile, non basterà da solo a rimetterein carreggiata la pesante crisi econo-mica nazionale. Incrociando i dati del-l’OPEC con quelli del Fondo mo-netario internazionale, risulta cheper mantenere il bilancio pubblico inequilibrio, il governo di Caracasavrebbe bisogno di un prezzo del ba-rile a 117,5 dollari.

La situazione economica del PaeseIl Venezuela, che ha nel petrolio l’as-set fondamentale della propria eco-

nomia, annaspa in una recessione chel’FMI stima attorno al 12 percento delPIL per il 2016, aggravato da un au-mento dei prezzi al consumo checorre su numeri a tre cifre. Numeri chesembrano preoccupare Caracas piùdell’azione a breve sul prezzo delgreggio: a gennaio, infatti, il Venezuelaè stato tra i pochi Paesi a non aver ri-spettato le consegne sui tagli alla pro-duzione di greggio. Uno sforamentocomunque modesto, con una produ-zione giornaliera di 2,01 milioni di ba-rili, rispetto all’1,98 previsto dall’ac-cordo (dati S&P Global Platts), com-pensato finora dall’impegno di ArabiaSaudita e Angola. Di certo il governodi Nicolas Maduro lavora per cerca-re di strappare dall’accordo un valo-re aggiunto strategico, sfruttando la suaposizione con la Russia, vero paese-ful-cro dell’accordo, capace di aprire uncanale di comunicazione tra i paesiOPEC e non-OPEC. Caracas hadato enfasi al lavoro diplomatico mes-so in campo con Mosca nelle settimane

precedenti all’intesa ed è uno dei cin-que paesi del Joint OPEC-non-OPECMinisterial Monitoring Committee, ilgruppo che mensilmente rivedrà lo sta-to di avanzamento dei lavori. D’altrocanto, l’ombrello che la Russia tieneaperto sul Paese è fondamentale perproteggere, almeno in parte, Caracasdalle intemperie, se è vero che, comesostiene l’agenzia di rating Fitch, lacompagnia petrolifera nazionalePDVSA è sull’orlo del default. Un fal-limento che stona, visto il certificatoche riconosce al Venezuela le risorsedi greggio più grandi al mondo. Il tem-po delle vacche grasse è comunquepassato. All’ascesa al potere delloscomparso Hugo Chavez, nel 1999, ilprezzo del petrolio venezuelano era di16 dollari al barile, tra il 2011 e il 2014il valore è balzato a una media com-presa tra gli 84 e i 103 dollari. Dal 1999al 2014 il Paese incassava una mediadi 56 miliardi di dollari all’anno, nel2015 – con il prezzo già in calo ma nonai livelli del 2016 – l’importo scende-

va a circa 12 miliardi di dollari. Fiu-mi di denaro che il governo bolivarianoha speso in poderose campagne sociali,vuoi per combattere la povertà – conrisultati riconosciuti anche dalla Ban-ca mondiale – vuoi per puntellare lapopolarità dei vertici all’approssimarsidelle elezioni. Vuoi infine, come so-stengono i detrattori, per oliare imeccanismi di un sistema di poteresempre più circolare. Ma molto pocoè finito in cassaforte e ora che il rubi-netto del petrolio ha ridotto il suo get-tito, le casse pubbliche piangono.

A corto di risorse Mancano, in primo luogo, le risorseper ammodernare, o solo tenere inesercizio la stessa macchina del pe-trolio, tanto che alla vigilia dell’ac-cordo alcuni analisti sostenevanoche il Venezuela non avrebbe avutoproblemi ad abbassare ancora la pro-duzione. Una questione nazionale, vi-sto che l’oro nero rappresenta oltreil 90 percento del totale delle espor-

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tazioni. L’agenzia Reuters, citandodocumenti interni della PDVSA,sostiene che per mancanza di fondimolte petroliere stanno ritardando dimesi i viaggi verso Mosca e Pechino,con carichi complessivi pari a 750 mi-lioni di dollari. Si tratta di una par-te delle spedizioni che Caracas ga-rantisce in cambio di prestiti concessidai due partner, seguendo uno sche-ma che potrebbe avvitare ancor piùla spirale delle casse del Paese latino-

americano. La crisi di liquidità met-te in allarme i creditori, anche se – vadetto – il Venezuela ha finora onoratoi suoi debiti. Negli anni d’oro, sfrut-tando l’onda degli alti profitti, Sta-to e PDVSA hanno emesso corposequantità di titoli, creando un debitoche nel 2027, secondo la società diconsulenza Ecoanalitica, potrebbe ar-rivare a 93 miliardi di dollari. Que-st’anno dovrebbero arrivare a sca-denza obbligazioni per circa 9 milioni

di dollari, concentrate soprattutto neimesi di aprile ed ottobre. Le riserveinternazionali sono cadute dagli ol-tre 40 miliardi di dollari del 2008, aiquasi 11 miliardi attuali, limitandofortemente la capacità di acquisto deibeni primari destinati al mercatointerno. Un problema che, a sua vol-ta, è causa concorrente di un’infla-zione contro cui poco sembrano po-ter fare il conio di biglietti dal valo-re nominale crescente, o i ripetuti au-

menti dei salari. Il presidente Ma-duro, tuttavia, rilancia, e a gennaio hapromesso di far avere ai leader ade-renti al patto una nuova proposta, ingrado di garantire stabilità ai prezzidel greggio sui mercati internazionali.Difficile immaginare che, anche così,il Paese possa riscattarsi rapidamen-te dalle fatiche in cui è costretto.

DI MARISOL DIAZ DE MEDRANO

Per quanto la mancanza di un accor-do tra il governo federale e quello re-gionale curdo possa avere delle con-seguenze per la stabilità politica in-terna del Paese, è improbabile che essoabbia ripercussioni sul rispetto del-l’accordo siglato in sede OPEC. A fa-vore dell’Iraq gioca anche il fattoche finora l’OPEC ha ridotto più delprevisto la produzione di petrolio, gra-zie al contributo dell’Arabia Sauditache si è impegnata il 30 novembrescorso a ridurre l’output di circa 500mila barili giornalieri.Secondo l’Agenzia internazionale perl’energia (AIE), a gennaio Riad ha ta-gliato l’output più del necessario e idati mostrano il compimento del 90percento dell’accordo OPEC, il cuiobiettivo è un taglio della produzio-ne media, nei primi sei mesi del2017, di circa 1,2 milioni di barili, cuisi dovrebbe aggiungere una riduzio-ne dell’output di 558 mila barili gior-nalieri da parte dei Paesi che non fan-no parte del Cartello, tra cui la Rus-sia. L’Iraq quindi, almeno per ora, si

è potuto permettere di non portarecompletamente a compimento l’im-pegno assuntosi in sede di accordo,fermandosi al 53 percento dell’obiet-tivo (-0,11 percento di produzione afronte del -0,21 percento richiesto).

Le sfide internazionaliSul fronte geopolitico, nonostante i re-centi successi militari ottenuti nellaguerra contro lo Stato Islamico, conl’appoggio della coalizione interna-zionale a guida USA, l’Iraq va incon-tro a tempi impegnativi.L’offensiva per la liberazione di Mo-sul, ultima vera roccaforte del grup-po jihadista nel nord, è infatti quasigiunta al termine con la parziale li-berazione del centro cittadino ma, unavolta ripreso il controllo dell’interaprovincia, Baghdad dovrà iniziareun’opera di “ricostruzione politica”non facile, che tenga conto delle ri-chieste e delle rivendicazioni dei di-versi gruppi religiosi ed etnici. Sarà ne-cessario riconoscere un ruolo im-portante alla comunità sunnita, anche

al livello delle più alte cariche istitu-zionali, in modo da allontanare, unavolta per tutte, il riaccendersi delle vio-lenze tra le diverse componenti reli-giose del Paese.Anche con i curdi sarà necessario tro-vare un nuovo equilibrio, poiché nel-la guerra contro lo Stato islamico, laRegione autonoma del Kurdistan ira-cheno ha assunto un ruolo più forte,sia dal punto di vista delle relazioni in-ternazionali – con la Turchia ma an-che con gli Stati Uniti – e sia dal pun-to di vista strettamente militare. Cer-to è che, una volta sconfitte le miliziedel “califfato”, per il Paese potrebbeaprirsi un periodo di crescita e di sta-bilità che non potrà non favorire la ri-costruzione.

DI GIORGIA LAMAROGiornalista, dal 2003 si occupa

in particolare di Medio Oriente e Balcani.È specializzata in questioni energetiche

legate a paesi come Iraq, Turchia e Siria.

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WHAT’S NEXT

Venezuela EnergyPETROLIO Produzione: 2.608 migliaia di barili/giornoConsumo: 698 migliaia di barili/giornoRiserve: 300,878 milioni di barili

GASProduzione: 25,75 miliardi di metri cubiConsumo: 26,17 miliardi di metri cubiRiserve: 5.702 miliardi di metri cubi

Fonte: Eni World Oil & Gas Review 2016

V E N E Z U E L A

COLOMBIA

F i u m e O r i n o c o

CARACAS

GIACIMENTI DI GAS

GIACIMENTI DI PETROLIO

GASDOTTI

OLEODOTTIFonte: Eni

IraqEnergyPETROLIO Produzione: 4.078 migliaia di barili/giornoConsumo: 766 migliaia di barili/giornoRiserve: 142.503 milioni di barili

GASProduzione: 7,30 miliardi di metri cubiciConsumo: 7,30 miliardi di metri cubiciRiserve: 3.158 miliardi di metri cubici

Fonte: Eni World Oil & Gas Review 2016

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Russia/Le previsioni secondo l’ex Ministro dell’Energia

Verso una stabilizzazione

hi ben comincia è a metà dell’opera,come dice un proverbio italiano. In-fatti, l’inizio dell’anno evoca alcunesperanze, a livello globale, riguardantilo sviluppo energetico mondiale.Una delle principali questioni è pro-prio l’auspicio che, a livello interna-zionale, i prezzi del greggio possanostabilizzarsi in modo sostenibile nel-l’ambito della procedura di commer-cializzazione adottata alla fine del2016: i produttori OPEC e non-OPEC hanno deciso congiuntamen-te di ridurre la propria produzione pe-trolifera. La Russia si è impegnata atagliare tra i 200.000 e i 300.000 ba-rili al giorno e già all’inizio di que-st’anno ha ridotto la produzione di100.000 barili. Anche se sarà un or-gano speciale dell’OPEC a stabilire setutti i partecipanti a quest’importan-te iniziativa internazionale abbiano te-nuto fede a tale disciplina produttivaauto-imposta, una cosa è certa: ilprezzo del greggio ha chiuso il 2016a 55 dollari al barile e le prospettivea medio termine lo vedono oscillaretra 50 e 60 dollari. Ciò significa chela redditività delle compagnie delsettore energetico in tutto il mondorimarrà costante, favorendo la stabi-

lità nella realizzazione dei progetti edi conseguenza la creazione di postidi lavoro. Dal mio punto di vista, ladecisione di ridurre la produzione dipetrolio assume un significato parti-colare: nel 2001, in veste di ministrodell’Energia russo e Capo della de-legazione russa durante la 117maconferenza OPEC a Vienna, condussinegoziati, giorno e notte, con i mi-nistri del petrolio del Cartello che eb-bero, come risultato, la primissimapartecipazione del mio Paese al tagliosolidale della produzione petrolifera.La quota di riduzione russa ammon-tava a 140.000 barili al giorno e, no-nostante lo scetticismo espresso dal-la stampa, contribuì a mantenere ilprezzo del petrolio nel corridoio es-senzialmente corretto, che allora si ag-girava tra i 20 e i 25 dollari.Altra epoca, altri prezzi. Ma permet-tetemi di rispondere a coloro che noncapiscono come la Russia riuscirà aconfrontarsi con una produzione pe-trolifera ridotta: per il nostro bilan-cio, calcolato in base al prezzo del ba-rile a 40 dollari, un incremento di 10dollari del prezzo del petrolio com-porta un’aggiunta di 29 miliardi didollari.

Una nuova America: cosacambia per MoscaAnno nuovo, vita nuova: il nuovoanno politico è iniziato con i festeg-giamenti per la cerimonia di inse-diamento del presidente Trump, aWashington, che mi hanno colpitoparticolarmente. Allo stesso tempo,però, ho l’impressione che queste ce-lebrazioni potrebbero significare unnuovo inizio per il dialogo energeti-co tra Russia e America, al quale hoavuto l’onore di contribuire circa 15anni fa. Il mio mandato come ministro del-l’Energia russo ha coinciso con un pe-riodo molto interessante e laboriosodi intensa ricerca di nuovi significa-ti e incentivi per la politica energeti-ca russa. Nei primi anni 2000 for-mulammo la strategia energetica delnostro Paese e intrecciammo strettilegami con società italiane, e conl’Unione Europea come contropar-ti nei rapporti energetici globali. Nel2001 i presidenti russo e statuniten-se, Vladimir Putin e George Bush, an-nunciarono un dialogo energetico bi-laterale basato sul postulato che laRussia, in qualità di più importanteproduttore di petrolio, e gli Stati Uni-

IGOR YUSUFOV

Vanta più di 30 anni di esperienza nel settore energetic,o nonché nelleindustrie di petrolio e gas. Dal 2001 al 2004 Yusufov è stato Ministrodell’Energia della Federazione Russa e dal 2003 al 2013 ha fatto parte del Consiglio di amministrazione di Gazprom.

La speranza è che, a livello internazionale, i prezzi del greggiopossano stabilizzarsi in modo sostenibile, tra i 50 e i 60 dollari. Intantocon Trump si intravede un nuovo dialogo energetico con gli USA

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ti, come principale consumatore pe-trolifero, avessero davvero bisognol’uno dell’altro.È per me motivo di particolare gio-ia ricordare che uno dei partecipan-ti più attivi alla creazione di questa for-ma, qualitativamente nuova, di con-fronto internazionale fu l’allora vi-cepresidente senior di ExxonMobil,Rex Tillerson. Lo incontrai per la pri-ma volta il 10 aprile 2002, e fin dal-l’inizio fu chiaro che una conversa-zione con una personalità così fortee sagace avrebbe portato a dei risul-tati. Tillerson sembrava conoscere ecapire la Russia esattamente come meche, all’epoca, vestivo i panni di Mi-nistro, e non solo per quanto con-cerneva le questioni legate all’energia.Conosceva personalmente ogni per-sona che veniva citata, sia in ambitogovernativo che privato, e sembravaaver colto ogni minimo dettagliodella legislazione russa e dei contrattistipulati a Mosca dalle società estere. Rimango dell’idea che la Russia el’Italia hanno molto in comune: pernoi i contatti e le relazioni persona-li rivestono un ruolo molto impor-tante persino nei rapporti più formali.Tillerson dimostrò le sue ecceziona-

li capacità anche in questo frangen-te: non è una coincidenza che il pre-sidente Putin apprezzi l’attuale Se-gretario di Stato e lo abbia scelto trale poche persone insignite dell’Ordinedell’Amicizia russa.Insieme al brillante diplomatico rus-so Sergey Lavrov, il nostro ministrodegli Esteri, il nuovo Segretario diStato può davvero cambiare il mon-do. Ne sono certo. L’approccio imprenditoriale del ma-nifesto dell’amministrazione Trumprappresenta una base molto solida sucui è possibile edificare il grattacielo(forse un palazzo metaforico intito-lato ai suoi architetti?) del nuovo dia-logo russo-americano sul tema del-l’energia. La Russia ha da offrirenumerosi progetti energetici moltointeressanti e l’apporto americano po-trebbe consistere in investimenti econtributi sia manageriali che tec-nologici.Spero sinceramente che il neo-pre-sidente Trump e il suo team dimo-strino un approccio ragionevolmen-te positivo alle sfide globali, tra cui lapossibile partnership strategica con ilpresidente Putin, non da ultimo nel-la cooperazione energetica. Ciò apri-

L’adesionedi Mosca

Dopo lo storico vertice del 30novembre 2016, la Russia è stata il primo tra i paesi non-OPECa garantire una collaborazione con l’OPEC per i tagli allaproduzione di petrolio. Mosca, infatti, ha guidato l’accordonon-OPEC del 10 dicembre 2016,impegnandosi a ridurre la produzione tra i 200.000 e i 300.000 barili al giorno. Unimpegno preso a cuore dal ministrodell’Energia russo, Alexander Novak(nella foto): “Stiamo facendo tuttociò che possiamo per partecipare alla realizzazione dell’intesa”.

Mondo

91.863

Russia

11.057

migliaia di barili al giorno

migliaia di barili al giorno

Il peso nel mondo

Terzo produttore di petrolio al mondo, dopo Stati Uniti e Arabia Saudita,la Russia ha un ruolo fondamentale nello scacchiere energetico mondiale.

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rebbe le porte a massicci investi-menti nell’esplorazione e nella pro-duzione russa di petrolio e gas, atti-rando tecnologie all’avanguardia edeccellenti pratiche di gestione ame-ricane in questo settore. In tal modole società russe avrebbero nuove op-portunità di arrischiarsi in progetticon idrocarburi di difficile estrazio-ne, come i depositi di Achimov, nel di-stretto di Urengoi, in Siberia.Questa è esattamente la sfida tecno-logica e manageriale che il fondo diinvestimento Fund Energy, che hofondato sei anni fa, sta affrontando de-dicandosi al suo progetto Yamal, ilquale comprende due depositi, Ka-rasyovskoye e Yuzhno-Tanlovskoye,oltre ad otto licenze per l’esplorazionegeologica di altri giacimenti. Siamoriusciti a coinvolgere Halliburtonnelle attività di perforazione, in qua-lità di supervisore, e stiamo portan-do avanti le trattative con la Export-Import Bank statunitense per il fi-nanziamento di tali operazioni percontinuare questa primavera con al-tre tre perforazioni. Pertanto guar-diamo con ottimismo al futuro di en-trambi i nostri progetti e alla coope-razione russo-americana nel settoreenergetico in generale.Non c’è da sorprendersi: all’inizio de-gli anni 2000 ho avuto il privilegio diassistere alla nascita di questo dialo-go tra Stati, partecipando attiva-mente all’organizzazione dei duevertici russo-statunitensi sull’energiaa Houston (2002) e San Pietroburgo(2003). A ogni modo, fu a Houstonche nel 2002 conobbi per la primavolta James Richard Perry, l’attualeministro dell’Energia: nel corso diquell’evento di portata storica hoavuto il privilegio di saggiare di per-sona la sua conoscenza delle questionienergetiche, discusse da rappresen-

tanti del governo e delle imprese.A mio giudizio, questo è il momen-to migliore per rispolverare la pras-si di tali vertici. A tal riguardo per-mettetemi di ricordare che in inter-viste a Bloomberg Businessweel e TheGuardian, pubblicate a gennaio, pro-ponevo già un ritorno alla pratica deivertici energetici bilaterali: siamopronti a lavorare sodo per fornire unimpulso qualitativamente nuovo allacooperazione energetica tra Russia eAmerica. Essendo organizzati sottol’egida dei presidenti dei due Paesi econ il coinvolgimento attivo sia delgoverno che delle imprese private dipetrolio e gas, sembrano rappresen-tare un formato molto efficace, nonsolo per un confronto diplomatico diampio respiro, ma anche per la for-mulazione di un obiettivo comunenello sviluppo energetico.Nel momento in cui gli Stati Unitiesprimono l’intenzione di entraresul mercato energetico internazionalecon cospicue quantità di petrolio egas, consentitemi di ricordare che unadelle sezioni dei vertici energetici rus-so-americani era completamente de-dicata ai mercati internazionali degliidrocarburi. Ciò rappresenta esatta-mente il contesto in cui dovrebbe es-sere formulata una politica dei prez-zi comune; la Russia potrebbe esse-re pronta ad attuare tali decisioniusando la sua esperienza di dialogo ef-ficace con l’OPEC e altri produtto-ri di greggio. In una fase successiva lepotenze energetiche europee e asia-tiche potrebbero unirsi a questo nuo-vo dialogo, che deve risultare nel-l’elaborazione di certi meccanismi re-golatori: in questo caso potrebbe es-sere instaurata una stabilità di mercatoper un periodo adeguato a dare effi-cacia alle misure introdotte. Tutti gliesperti di Fund Energy – che, tra le

altre funzioni, riveste quella di piccolafabbrica di idee - sarebbero lieti dicontribuire a questo aspetto del dia-logo energetico globale e mettere adisposizione tutta la loro esperienzaaffinché abbia successo.

L’effetto “opposto” delle sanzioni USA Per quanto concerne le sanzioni di na-tura politica che, non dobbiamo di-menticarci, costituiscono un’inven-zione categorica del passato, rara-mente portano al risultato atteso.Introdotte per la prima volta nel423 a.C. dall’antica Atene contro al-cuni produttori del distretto di Me-gara, furono la causa dello spargi-mento di sangue delle guerre del Pe-loponneso. L’arguta Lisistrata dellacommedia di Aristofane, che visseesattamente nello stesso periodo sto-rico, ebbe molto più successo facen-dosi beffe delle sanzioni, ma questa ètutta un’altra storia. Tornando seria-mente alla questione, voglio sottoli-neare che il settore petrolifero e delgas russo sono riusciti a resistere ab-bastanza bene a questa dura prova distress. Per quanto riguarda il regimesanzionatorio e il suo futuro, vorreicitare Anthony Scaramucci, consu-lente senior per la comunicazione conle imprese del presidente Trump,che a gennaio a Davos ha sottolinea-to “un enorme rispetto del presiden-te (allora presidente eletto) nei con-fronti della popolazione russa e del re-taggio dei rapporti degli Stati Uniticon la Russia, risalente alla secondaguerra mondiale”.Scaramucci ha dichiarato che le san-zioni americane contro la Russiahanno sortito l’“effetto opposto”,consolidando il rapporto tra i russi eil loro presidente. Inoltre, aggiunge-rei: il 2016 è stato un anno da record

per gli investimenti esteri nel nostrosettore energetico. La cinese BeijingGas ha investito 1,1 miliardi di dol-lari nel progetto di Rosneft Ver-khnechonskneftegas, mentre 5 mi-liardi di dollari sono stati investiti dal-l’indiana ONGC Videsh Limitednei progetti di Rosneft nella Siberiaorientale. La privatizzazione del 19,5percento delle azioni di Rosneft conla partecipazione della svizzera Glen-core e del Qatar Investment Autho-rity ha portato 10,2 miliardi di dol-lari nel bilancio russo. Cosa ci colpi-sce di tutto ciò? Naturalmente l’as-senza di società americane e italianein questo rimarchevole elenco. Que-sta situazione deve cambiare.Tra i progetti russo-americani che miaspetto di veder trionfare in futuro ilprogetto ExxonMobil-Rosneft nelMare di Kara. ExxonMobil ha inve-stito 640 milioni di dollari, compre-so il finanziamento delle attività diperforazione, il cui risultato è attual-mente oggetto di analisi presso i la-boratori di Exxon a Houston. La miasperanza è che presto riceveremol’incoraggiante notizia della scoper-ta di un nuovo importante deposito.Ciò significa che, persino nell’attua-le contesto, le principali società ame-ricane e russe stanno ricercando consuccesso modalità sicure per trovareil petrolio al largo dell’Artico. Lo con-sidero il primo passo della futura coo-perazione di colossi come Exxon eRosneft nella produzione di idrocar-buri nelle regioni artiche. In futuroprevedo nuovi progetti in questezone, con anche la partecipazione del-l’Italia.

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15 anni fa“Incontrai Tillerson per la prima volta il 10 aprile 2002. Fin dall’inizio –spiega Yusufov – fu chiaro che unaconversazione con una personalitàcosì forte e sagace avrebbe portato a dei risultati. Tillerson sembravaconoscere e capire la Russiaesattamente come me che, all’epoca,vestivo i panni di Ministro. Non è una coincidenza che il presidente Putin apprezzi l’attualeSegretario di Stato. Insieme al brillantediplomatico russo Sergey Lavrov, il nostro Ministro degli Esteri, il nuovoSegretario di Stato può davverocambiare il mondo. Ne sono certo”. (Nella foto, il primo incontro a Moscatra Igor Yusufov con l’alloravicepresidente senior di ExxonMobil,Rex Tillerson).

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DEMOSTENES FLOROSAnalista geopolitico, docentepresso il Master in RelazioniInternazionali Italia-Russia,dell’Università di BolognaAlma Mater. Responsabile e docente del corso di Geopolitica all’UniversitàAperta di Imola. Collabora con l’Energy International RiskAssessment-EIRA e la rivistadi geopolitica Limes.

DAVIDE TABARELLI Presidente di Nomisma Energia dal 1990, è statodirettore del RIE, dove si è occupato di progettidi ricerca sull’industriaelettrica e sulle politicheambientali. Pubblicasulle principali riviste dedicate ai temienergetici.

ROBIN M. MILLS Amministratore delegato di QamarEnergy e autore di “The Myth of the Oil Crisis”.

Focus/Le conseguenze dell’intesa OPEC

Mercato e prezzi,quale andamento?Tre esperti del mondo dell’energia analizzano i trend delle quotazioni del greggio nel breve,medio e lungo termine e l’impatto sulle altre fonti di energia

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L’accordo OPEC per il taglio della pro-duzione petrolifera raggiunto lo scor-

so novembre ha suscitato un fervido di-battito, laddove il suo impatto sul gas e sul-le energie rinnovabili a livello mondiale hadestato minore attenzione. Si tratta peròdi un effetto di un certo rilievo, in parte per-ché funge da incentivo alle altre fonti dienergia, ma ancor di più per ciò che ci dice,a livello di strategie a lungo termine, deigrandi produttori petroliferi.L’accordo dell’Organizzazione del 30 no-vembre prevede che gran parte dei mem-bri dell’OPEC tagli la produzione del 4,4-4,5 percento rispetto ai livelli di ottobre, perun totale di circa 1,4 milioni di barili al gior-no. Restano esenti Libia e Nigeria, fune-state dai disordini politici. Per l’Iran, reduce da un periodo di sanzioni,è stato definito un tetto a un livello più ele-vato. Questa intesa è stata seguita, il 10dicembre, dalla decisione senza prece-denti della Russia di ridurre la produzio-ne di 300.000 barili al giorno, mentre unaltro gruppo di paesi non-OPEC – tra cuiOman, Kazakistan, Messico e altri – ha ta-

gliato altri 300.000 barili al giorno.Finora la conformità da parte dell’OPECsembra buona, pari al 90 percento circa,benché ciò sia dovuto in gran parte al-l’Arabia Saudita, mentre la produzione rus-sa è fondamentalmente piatta. I prezzi delgreggio Brent, già aumentati da valori in-torno a 40 dollari al barile durante le trat-tative sull’accordo, hanno subito un’im-pennata a circa 56 dollari al barile, atte-standosi da allora intorno a quel livello.L’obiettivo dichiarato dell’OPEC nell’ado-zione di questa misura è quello di inver-tire il pesante eccesso di offerta cheaveva innescato il crollo dei prezzi ametà 2014 e che persiste da allora, pro-sciugando in tal modo l’eccesso di scor-te. Varie previsioni, come quella del-l’Agenzia Internazionale per l’Energia,mostrano peraltro, quest’anno, uno spo-stamento del mercato verso un disavan-zo. Tuttavia, secondo le stime, la ripresadei prezzi sarà relativamente modesta, al-meno nel breve periodo, a causa dell’au-mento della produzione di petrolio di sci-sto statunitense. Da un valore minimo di8,45 milioni di barili al giorno all’inizio diottobre, la produzione di greggio statuni-tense si era già ripresa raggiungendo8,978 milioni di barili al giorno all’inizio difebbraio, secondo dati dell’Energy Infor-mation Administration statunitense.

UN EVENTO PROVVIDENZIALE PER LE ALTRE FONTI?L’aumento dei prezzi dà un po’ di sollie-vo temporaneo a Paesi produttori e societàpetrolifere sotto pressione, ma migliora an-che la situazione dei concorrenti del pe-trolio, che possono essere raggruppati intre categorie: gas naturale; carbone, rin-novabili e nucleare; veicoli a combustibi-li alternativi.La riduzione della produzione petroliferadell’OPEC riduce anche la sua produzio-

ne di gas associato, che in Arabia Saudi-ta ammonta a circa 2,4 miliardi di piedicubi al giorno. Ogni riduzione deve esse-re compensata dall’aumento della com-bustione di petrolio. Per contro, l’aumen-to dei prezzi del petrolio – e dei sottopro-dotti dell’estrazione del gas come i con-densati e i liquidi da gas naturale – com-porta un incremento dell’attività di trivel-lazione in aree come gli Stati Uniti. Il gas naturale compete direttamente conil petrolio in pochi impieghi, come il ri-scaldamento domestico, ma i clienti sonogeneralmente vincolati all’uno o all’altrocombustibile. Solo alcuni Paesi, primo fratutti l’Arabia Saudita, utilizzano ancoraquantità di petrolio significative per la ge-nerazione di energia, e in questo caso il fat-to che i prezzi siano regolamentati dal go-verno fa sì che le fluttuazioni sul merca-to non si traducano subito in una maggiorecompetitività del gas.Nel mercato dell’energia temporanea e off-grid (principalmente nel comparto deigeneratori diesel) i prezzi petroliferi più ele-vati intensificano una tendenza già in atto,

ossia il passaggio all’energia rinnovabile,tramite accumulatori o in combinazionecon riserve alimentate da petrolio. In al-ternativa in alcuni casi, come quello de-gli impianti di trivellazione, si utilizza il gasladdove disponibile.L’incremento delle quotazioni petrolifere haun impatto immediato sul gas perché pro-voca un aumento del prezzo dei contrat-ti di vendita correlati al petrolio. Una for-mula indicizzata al petrolio è tuttora il me-todo per definire il prezzo del gas naturaleliquefatto (GNL) in Asia. Se il prezzo del pe-trolio è più elevato, il gas diventa relati-vamente più costoso e se ne riduce l’at-trattiva rispetto al gas con prezzi definitisu altre basi (ad esempio il prezzo del GNLstatunitense definito in base all’indice Hen-ry Hub), al carbone, all’energia rinnovabilee all’energia nucleare. Il gas è già troppocostoso per sostituire il carbone in moltimercati asiatici, come l’India.Quindi, indirettamente, un petrolio più co-stoso aumenterà la quota sia del carboneche delle rinnovabili: l’impatto sul primo èimmediato, poiché i generatori abbando-

Il mercato dell’oro blu si adeguerà in frettaall’aumento di prezzo del greggio. Energieverdi e nuclearericeveranno un impulsodal taglio alla produzionepetrolifera, così come le vendite di veicolielettrici e ibridi

ROBIN M. MILLS

Un sentiero scivoloso per gas e rinnovabili?

Focus/Le ripercussioni sulle altre fonti

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WHAT’S NEXT

nano le centrali elettriche a gas, mentre sul-le seconde è più lento, perché serve tem-po per costruire nuova capacità.Tuttavia, a lungo termine, non c’è moti-vo perché il petrolio e il gas siano nego-ziati a un certo livello di parità fissato. Per-sino i contratti di vendita di gas correla-ti al petrolio saranno modificati così da ri-flettere le nuove realtà di mercato. Iprezzi del gas seguono le proprie dina-miche specifiche. Di fatto, un crescenteallontanamento del gas dai prezzi del pe-trolio incoraggia la tendenza verso la con-correnza tra gas e gas, e l’utilizzo di pun-ti di determinazione del prezzo comel’Henry Hub statunitense, i nodi europeinord-occidentali e il nuovo indice “Slingdi Singapore” per il GNL.La produzione di gas di scisto degli StatiUniti continua ad aumentare in modo so-stenuto, il mercato globale del GNL è sa-turo delle forniture australiane e ora an-che statunitensi, e i nuovi progetti del-l’Africa orientale e del Canada possono ar-rivare al giusto prezzo. Ma salvo forse inNord America e in alcuni remoti giacimentidi gas abbandonati, la disparità di prezzonon è abbastanza ampia da incoraggiareun numero maggiore di progetti di tra-sformazione da gas naturale a carburan-ti liquidi come la colossale struttura Pearldi Shell in Qatar.Ovviamente, alcuni dei maggiori esporta-tori petroliferi rimangono anche grandi ope-ratori del settore del gas, in particolare ilQatar (il principale esportatore di GNL almondo), la Russia (il principale esportatoredi gas in generale), l’Algeria e la Norvegia.L’Iran nutre l’ambizione di unirsi a loro. Fin-tanto che il loro gas rimarrà competitivo,questi Paesi potranno preoccuparsi menodei prezzi petroliferi.Infine, un petrolio più costoso aumenta l’at-trattiva dei veicoli a combustibili alterna-tivi: alimentati a gas naturale, biocombu-stibili, ibridi o elettricità, o forse un gior-no a idrogeno. Anche i veicoli convenzio-nali più piccoli, o con una migliore effi-cienza dei consumi, avranno da guada-gnarci. E si può già osservare una tendenzaallo spostamento di alcune spedizionimarittime verso il GNL, per rispettare i con-trolli contro l’inquinamento marino.I veicoli a batteria possono, ovviamente,funzionare con l’elettricità proveniente daqualsiasi fonte. L’aumento della doman-da di elettricità sarebbe una buona no-tizia per il carbone (se non fosse vinco-lato da politiche climatiche più restritti-ve), il gas, le energie rinnovabili e il nu-cleare. Tutte potenzialmente guadagne-rebbero quote di mercato a spese del pe-trolio. Ma i veicoli elettrici potrebbero es-sere introdotti in modo sinergico con leenergie rinnovabili. Le loro batterie, al-trimenti inutilizzate per il 95 percento delgiorno mentre il conducente si trova al-trove, potrebbero essere utilizzate per ac-cumulare energia solare o eolica varia-bile, o proprio l’economica elettricitànucleare fuori picco.A breve termine, l’aumento dei prezzi pe-troliferi a cui abbiamo assistito finora, dacirca 45 a 55 dollari, avrà un impatto re-

lativamente modesto ma positivo su tut-te queste alternative.Se nei prossimi anni i prezzi del petroliorimarranno intorno ai livelli attuali (comeindicherebbero le curve dei prezzi a ter-mine), aumenteranno ulteriormente o tor-neranno a crollare, dipende dall’interazionedi cinque fattori chiave: la disciplina del-l’OPEC nell’aderire agli attuali tagli e nel-l’estendere l’accordo oltre i suoi sei mesiiniziali; la forza della ripresa della produ-zione di scisto statunitense; il ritmo di ri-duzione della produzione non-OPEC neiprossimi anni a causa dell’impatto cu-mulativo della carenza di investimenti; lostato dell’economia mondiale di fronte allemosse protezioniste; e la minaccia di in-stabilità o conflitti che interrompano la for-nitura da uno o più dei principali Paesi pro-duttori di petrolio.I prezzi petroliferi ai livelli attuali proba-bilmente non andranno ad alterare latraiettoria energetica globale: aumento co-stante della quota delle energie rinnova-bili e dei veicoli elettrici, nonché maggio-re efficienza. Se l’OPEC continuerà a im-brigliare la produzione e i paesi non-OPECnon riusciranno a tenere il passo con la do-manda, un nuovo picco dei prezzi – a li-velli di 80 dollari al barile, 100 dollari o per-sino di più – darebbe un’accelerata al-l’avanzamento della conversione dei tra-sporti all’elettricità e al gas. Si unirebbe allepolitiche climatiche in corso per incorag-giare l’intervento governativo a favore del-le energie rinnovabili e delle batterie.Nel terzo caso, ossia un nuovo crollo deiprezzi del petrolio, le prospettive di unarapida transizione a veicoli più efficienti,ibridi o elettrici, si affievolirebbero. Già gliultimi due anni di prezzi bassi del petro-lio negli Stati Uniti hanno visto un ritornoal rialzo della domanda di benzina e del-

le miglia percorse dai veicoli, che sem-bravano aver imboccato la strada versoil declino definitivo. E i prezzi bassi del pe-trolio possono essere importanti anchenella definizione della traiettoria dei futurisistemi di trasporto dei colossi asiaticiemergenti, in particolare la Cina e l’India:più lontani da veicoli piccoli e in gran par-te elettrici e dal trasporto pubblico, e piùvicini a un modello d’ispirazione ameri-cana fatto di grandi automobili alimentatea benzina o a diesel. Quasi il 40 percen-to delle vendite di auto nuove in Cina dasettembre a novembre era rappresenta-to da SUV.

LE ENERGIE ALTERNATIVE COMINCIANO IN CASASe da un lato i paesi dell’OPEC sono alleprese con le sfide poste al loro core bu-siness dalle energie alternative, dall’altrostanno anche esaminando le opportunitàin casa propria. In molti di questi, il retaggiodi anni di copiosi sussidi al settore ener-getico è rappresentato da consumi elevatie dispendiosi. I problemi di bilancio han-no reso essenziale la riforma dei sussidie i tentativi di migliorare l’efficienza e laproduttività energetica.La riduzione dei costi ha reso l’energia so-lare ed eolica altamente competitive nel-le giuste località. Gli Emirati Arabi Uniti han-no assunto la leadership commissionan-do alcuni degli impianti solari fotovoltai-ci più economici al mondo; l’Arabia Sau-dita ha recentemente svelato alcuni pro-getti solari ed eolici su larga scala nel-l’ambito del suo Piano di trasformazionenazionale. Le quotazioni di acquisto del so-lare pari a 2,45-2,99 dollari al kilowatto-ra ad Abu Dhabi e Dubai implicano la pa-rità con i prezzi del gas a circa 3-3,60 dol-lari/MMBtu, ben al di sotto degli attuali

prezzi del GNL o del costo per svilupparenuove risorse interne dal costo più elevato.Altri paesi OPEC si stanno cimentando conle energie rinnovabili su scala più ridotta.Si prevede che gli Emirati Arabi Unitiquest’anno avviino anche la generazionedal primo reattore del loro programma dienergia nucleare civile da 5,6 GW. Inoltresono in corso i primi passi per realizzarereti di ricarica delle batterie per automo-bili, con Tesla che a breve aprirà a Dubaila sua prima sede in Medio Oriente.Le tecnologie per l’energia alternativa stan-no anche aiutando a supportare la pro-duzione petrolifera. L’impianto solare ter-mico Miraah in Oman verrà reso operati-vo prevedibilmente entro la fine di que-st’anno, generando 1.000 megawatt equi-valenti di vapore per il recupero del petroliopesante. E lo scorso mese di novembre,la joint venture Al Reyadah di Abu Dhabiha iniziato a consegnare l’anidride car-bonica catturata dagli scarichi di un’ac-ciaieria per un miglior recupero del petrolio.La motivazione dei paesi OPEC è quasi deltutto economica piuttosto che ambienta-le. Le energie rinnovabili sostituiscono i piùcostosi petrolio e gas, laddove l’Arabia Sau-dita e il Kuwait sono due dei pochi paesial mondo che utilizzano ancora quantità ri-levanti di petrolio per la generazione dienergia elettrica. La combustione direttadi greggio in Arabia Saudita per alimen-tare gli impianti di condizionamento nel-la stagione estiva in alcuni casi ha supe-rato 1 milione di barili al giorno. Ciò no-nostante, pur essendo conveniente, ser-viranno enormi quantità di energia rinno-vabile per ottenere una riduzione deiconsumi: 1 milione di barili al giorno digreggio possono produrre più di 22 giga-watt di potenza, più di metà della capa-cità solare installata della Germania, sia di

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Il grafico mostra l’andamento comparato dei prezzi del greggio WTI (o Nymex) e delle quotazioni spotdel gas sull’Henry Hub negli ultimi venti anni.

PREZZI A CONFRONTO: GREGGIO VS GAS

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notte che con le nuvole o nelle grigie gior-nate invernali.Le energie alternative inoltre offrono la spe-ranza di diversificare l’economia e costruireun futuro oltre il petrolio e il gas. Questaera la speranza dell’iniziativa Masdar diAbu Dhabi, lanciata nel 2006, che ha co-struito impianti solari, eolici e di captazionedell’anidride carbonica nel Paese e al-l’estero, ha costruito una città a basseemissioni di CO2 e ha investito in ricercasulle rinnovabili. Ma oltre a sfruttare il loroeccellente potenziale solare, i principaliproduttori petroliferi del Medio Orientestanno ancora cercando modi per essereinventori e sviluppatori di nuove tecnolo-gie energetiche, piuttosto che semplici ac-quirenti.

LA STRATEGIA A LUNGO TERMINEDELL’OPECIl dibattito dell’OPEC sulla sua strategia alungo termine è stato in gran parte in-quadrato in termini di tre questioni: l’ela-sticità della produzione di scisto; la mi-naccia delle energie alternative, in parti-colare dei veicoli elettrici; e la pressioneper la graduale dismissione dei combu-stibili fossili per contrastare il cambiamentoclimatico. L’aumento dello scisto offre unacrescita sostenuta della produzione aprezzi petroliferi moderati, almeno ri-spetto agli standard storici recenti, e in-debolisce il ruolo dell’OPEC come arbitrodei mercati globali. Interrompere il mo-nopolio del petrolio nel settore dei trasportipriverebbe i principali produttori petroliferidel valore aggiuntivo preteso dal loroprodotto. E, mentre il futuro della politicaclimatica è attualmente reso incerto dal-l’amministrazione Trump, in definitiva li-miti più rigidi sulle emissioni di anidridecarbonica sono inevitabili.Lo scisto rappresenta un problema sia abreve che a lungo termine per i principa-li esportatori di petrolio, mentre i veicolielettrici costituiscono, per ora, una mi-naccia più a lungo termine. Ma insiemerappresentano un puzzle strategico perl’OPEC. L’Organizzazione potrebbe ripetereciò che fece già negli anni Settanta e neiprimi anni Ottanta, tagliando ripetuta-mente la produzione per difendere unobiettivo di prezzo a dispetto della con-trazione della domanda e dell’accresciu-ta concorrenza dei paesi non-OPEC. Que-sto potrebbe risultare più facile oggi, vi-sta la cooperazione di alcuni operatori non-OPEC e l’eredità lasciata da tre anni di bru-tali tagli degli investimenti nell’upstream.In alternativa, i paesi OPEC che godono del-le risorse e della stabilità politica neces-sarie – quindi, essenzialmente, l’ArabiaSaudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti,e forse l’Iraq e l’Iran – potrebbero fare unoscatto verso la crescita. Un’espansione del-la loro produzione manterrebbe i prezzi re-lativamente bassi, ma compenserebberoalcune delle perdite guadagnando quotedi mercato. Questo approccio impedi-rebbe anche la concorrenza delle alter-native al petrolio. E i produttori a basso co-sto venderebbero il loro petrolio fintantoche riescono, possibilmente abbando-

nando le risorse ad alto costo e alteemissioni di CO2, come le sabbie bitumi-nose del Canada, irrecuperabili dal pun-to di vista ambientale per qualche de-cennio.Per un momento, dalla fine del 2014, sem-brava che la seconda strategia fossequella adottata quanto meno dai sauditi.L’ex ministro del petrolio Ali Al-Naimiaveva messo in chiaro che il suo Paese nontornerà ad assumersi il gravoso ruolo di“swing producer” che tanto gli costò ne-gli anni Ottanta. Ma il ritorno, nel 2016, aun approccio a breve termine di tagli del-la produzione ha segnato l’abbandono diquesti progetti, se mai siano stati con-templati. Il peso a breve termine deiprezzi bassi si è dimostrato insopportabi-le, nonostante lo scetticismo dichiarato daalcuni ministri del petrolio dell’OPEC ver-so la possibilità di successo della strate-gia di taglio della produzione. Certo, i ta-gli per ora sono modesti. C’è ancoratempo perché l’OPEC cambi direzioneentro il suo prossimo incontro program-mato di maggio – sia che il mercato sem-bri tornare a un equilibrio sia che i tagli nonstiano avendo l’effetto sperato.Ma l’Arabia Saudita, tuttora il principale ar-bitro dell’OPEC, non ha fatto mosse chia-re volte a estendere la propria capacità diproduzione. Se non lo farà, la sua ultimaarma – la capacità di sopraffare i concor-renti con un aumento della produzione –rimarrà bloccata ad un massimo assolu-to di 12,5 milioni di barili al giorno, solo 2mbg sopra i recenti record di produzione.

COSA SUCCEDERÀ?L’accordo OPEC e il cambiamento di ap-proccio dell’organizzazione renderanno ilpetrolio più costoso, per un po’ di tempo.Il mercato del gas si adeguerà abbastan-za in fretta al relativo spostamento di prez-zo. E nelle limitate aree in cui competo-no direttamente con il petrolio, le energierinnovabili e il nucleare riceveranno un im-pulso, così come le vendite di veicoli elet-trici e ibridi.In un mondo in cui la produzione petroli-fera rimane la principale fonte di ricavi edesportazioni, ma non costituisce più il fat-tore trainante della crescita, i principali pro-duttori petroliferi svilupperanno gradual-mente un ruolo più esteso per le energierinnovabili. E sebbene alcune delle su-permajor, in particolare Total, siano alle pre-se con i biocombustibili, l’eolico, il solaree la tecnologia a batterie, nessuna dellegrandi società petrolifere nazionali haarticolato un futuro “dopo il petrolio”. E sialoro che i Paesi che le ospitano dovrannopresto elaborare una strategia di produ-zione che bilanci gli introiti a breve termine,le quote di mercato a lungo termine e i vin-coli sulle emissioni di anidride carbonica.Questo passaggio cruciale, molto dibattuto,rimane sfuggente.

Dopo più di due anni di offerta fuoricontrollo, dal primo gennaio 2017 un

nutrito gruppo di Paesi ha deciso di ridurrela propria produzione di petrolio. Sono 24,13 dell’OPEC e 11 fuori dal cartello. I Pae-si coinvolti contano per il 55 percento del-la produzione mondiale, con 52 mbg, 34di provenienza OPEC e 18 da parte non-OPEC. Mai in passato si era visto un ten-tativo così esteso; del resto, mai in pas-sato l’eccesso di offerta era stato tale, conprezzi scesi da 110 dollari al barile, ad ini-zio 2014, a meno di 30 dollari nel gennaio2016. Ad inizio 2017, le quotazioni sonotornate a 55 dollari, anche grazie ad unalto grado di rispetto degli impegni sui ta-

Tessere checombacianoL’impegno, senzaprecedenti, di paesicome Arabia Saudita e Russia, e l’inattesasvolta statunitense nei confronti degliidrocarburi fa presagireuna “tenuta” degli ultimiaccordi petroliferi

DAVIDE TABARELLI

Focus/Perché i mercati hanno fiducia

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gli produttivi. L’accordo OPEC, siglato il 30novembre 2016, prevede un tetto di 32,5mbg, circa 1,2 mbg in meno rispetto aipicchi storici di 33,7 del novembre 2016.L’intesa relativa al versante non-OPEC, an-nunciata il 10 dicembre 2016, prevedeun’ulteriore riduzione per altri 0,6 mbg,che porta il totale di riduzione a 1,8 mbg.Una simile riduzione dell’offerta, se con-fermata per tutto il primo trimestre 2017,era stata osservata solo nel lontano1999, quando partì il lungo ciclo rialzistache, salvo la momentanea interruzione del2009, è durato fino al 2014. Da allora, unacoincidenza di eventi, congiunta alloscontro tra Arabia Saudita e Iran, ha in-nescato un forte incremento dell’offertaben oltre quello che la domanda, peral-tro in frenata, era in grado di assorbire.Quello che si intravede, nella sempre piùcomplessa situazione del mercato petro-lifero, è un corto nei prossimi anni che pre-para il terreno per un futuro ciclo rialzi-sta che mira alla soglia dei 100 dollari albarile. Negli ultimi 50 anni, la domandanon ha mai smesso di crescere, con unritmo medio di 1,2-1,5 mbg ogni anno. Ne-gli ultimi 30 anni i consumi sono au-mentati di un terzo, per complessivi 36mbg in più. La maggiore lentezza o ve-locità con cui l’offerta segue il trend deiconsumi, determina gli andamenti difondo dei prezzi. Con la produzione in sa-lita rapida, le scorte salgono e i prezziscendono; il contrario accade con la do-manda che sale, sostenuta dell’offerta. Ci-clicamente questi periodi si alternano edeterminano forti oscillazioni dei prezzi.

All’inizio del 2017, con un forte calo del-la produzione e con una domanda cheprocede costante nella sua crescita,come fosse un motore diesel, si prospettal’avvio di un nuovo ciclo. Tuttavia, alcunielementi concorrono nel conferire mag-giore equilibrio: da una parte la produzionestatunitense e, dall’altra, le innovazionitecnologiche, soprattutto l’auto elettrica.

UN’INTESA CHE NON HA PRECEDENTI STORICIUn accordo così allargato, che vede coin-volti tutti i principali protagonisti del Me-dio Oriente, non lo si registrava dal 1998.Fondamentale, come di consueto, è sta-to il riavvicinamento fra Arabia Saudita eIran, dopo un anno di estenuanti nego-ziazioni. Nel quadro di incertezza che ca-ratterizza la risorsa petrolio, una regola do-minante è che quando le relazioni tra i duePaesi migliorano i prezzi salgono, mentrese litigano, come accaduto fra il 2014 eil 2016, i prezzi scendono. La minaccia diun pieno ritorno sul mercato dell’Iran ave-va spinto i sauditi ad inondare il merca-to con una produzione addizionale. Riadnon aveva gradito che gli americani e gliiraniani fossero tornati ad avere buoni rap-porti, in quanto ciò rappresenta una mi-naccia per le loro ambizioni di leadershipsu tutto il Medio Oriente. Il disimpegno diObama dall’Iraq, nel 2011, aveva deter-minato un vuoto su cui si sono inseriti l’in-stabilità interna e l’Isis. Per cercare di ri-solvere il problema Washington ha chie-sto l’aiuto di Teheran il cui intervento hadeterminato, come contropartita, la ri-

chiesta della fine delle sanzioni sul nu-cleare. Minacciata, e anche un po’ delu-sa dagli americani, l’Arabia Saudita ha de-ciso improvvisamente di spingere sullaproduzione per difendere la propria quo-ta di mercato, in vista del potenziale ritornosul mercato della produzione iraniana chesarebbe potuta risalire dagli attuali 2,5 ai4 mbg, livello raggiunto precedentemen-te alle sanzioni. Un’azione di questo tipotrovava una giustificazione nel tentativodi porre un argine alla più costosa pro-duzione americana da fracking, ovveroquella che, al di là della politica, incom-be sulle quote di mercato saudite. Ilcrollo dei prezzi che ne è seguito è sta-to di intensità inaspettata anche per glistessi sauditi che speravano di esercita-re maggiori pressioni sugli iraniani e di ot-tenere cali più marcati di produzionenegli USA. Dopo due anni, però, hanno do-vuto accettare quello che oggi sembra ov-vio, ovvero che gli iraniani, finite le san-zioni, potessero tornare a produrre 4milioni barili giorno, la soglia su cui la suaproduzione è sostanzialmente stabile da20 anni. Chi manifestava un disperato bi-sogno di un accordo erano tutti gli altrimembri dell’OPEC, quelli “esterni” ai dis-sidi mediorientali. Venezuela, Algeria,paesi tradizionalmente esposti alle oscil-lazioni del prezzo del greggio, hanno vi-sto peggiorare drasticamente le loro eco-nomie e, inevitabilmente, crescere l’in-stabilità politica interna. Per mesi, inutil-mente, hanno fatto pressione su Iran eArabia Saudita perché si arrivasse ad unaccordo. Il grado di rispetto delle quote

OPEC risulta molto alto ad inizio 2017; unrigore raramente osservato in passato, eche indica come molti dei membri del Car-tello abbiano sofferto della situazionepregressa. Due importanti paesi, Nigeriae Libia, sono stati esentati dai termini del-l’accordo, perché la loro produzione è dimolto inferiore ai livelli normali a causadelle condizioni politiche interne. Questistessi Paesi dovrebbero aumentare la pro-pria produzione, quest’anno, nelle miglioridelle condizioni, di 0,5 milioni di b/g, cre-scita che non creerà problemi rilevanti almercato. A partire dal 1985, quando ci fuil primo di una lunga serie di crolli delprezzo del greggio, numerosi sono stati itentativi dei Paesi fuori del Cartello di de-finire iniziative comuni per controllare laproduzione, senza comunque raggiungereimportanti risultati. In questo caso appa-re più stabile e convinto l’appoggio ga-rantito all’accordo da un folto gruppo dipaesi non-OPEC, guidati dalla Russia, ilvero elemento che rinsalda le recenti di-namiche. Gli 11 paesi non-OPEC si sonoimpegnati a ridurre di un altro 0,55 mbg,di cui 0,3 a carico di Mosca. Nel prece-dente tentativo, quello fallito del 2001, laRussia aveva promesso un taglio di 30mila b/g, dieci volte minore rispetto aquanto prospettato con l’ultima intesa, enonostante ciò l’obiettivo non era stato ri-spettarlo. Oggi Mosca ha sancito la sualeadership, mentre il taglio promesso ri-sulta più semplice, perché incontra il calogià in atto in molti giacimenti per la ca-renza di nuovi investimenti che doveva-no essere fatti negli ultimi due anni e chesono stati rinviati a causa delle difficoltàfinanziarie. Diversamente dall’OPEC, il gra-do di rispetto dell’accordo non-OPEC ap-pare inferiore, in ragione del fatto che laRussia, per ridurre la propria produzione,ha bisogno di più tempo. Tecnicamente,i suoi giacimenti non prevedono la pos-sibilità di riaggiustamenti immediati conuna frenata dei livelli estrattivi.

VENTI DI CAMBIAMENTO A MOSCA E WASHINGTONL’attivismo politico e militare di Mosca inMedio Oriente ha coinvolto anche la di-plomazia del petrolio, visto che la sua eco-nomia, già pesantemente provata dallesanzioni del 2014, dipende, come nessunaltra, dall’andamento del barile. La Rus-sia è il secondo esportatore di petrolio, con5 milioni di b/g, dietro solo all’Arabia Sau-dita, ma è di gran lunga il primo espor-tatore di gas, circa 200 miliardi di metricubi ogni anno, pari a oltre 3 mbg equi-valenti di petrolio. I prezzi del gas rivoltiall’Europa e all’Asia, verso cui sono de-stinate le esportazioni russe, sono anco-ra fissati in base agli andamenti di quel-li del petrolio. Per tutto il 2016, Mosca haincoraggiato l’Arabia Saudita ad accettareche l’Iran potesse tornare a produrre suilivelli precedenti alle sanzioni, mentre allaRussia giungevano gli inviti accorati delVenezuela e dell’Algeria affinchè si rag-giungesse un maggior coordinamento. Dalfebbraio del 2016 la Russia ha partecipatoa tre incontri per coordinare una riduzione

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della produzione e, finalmente, un forteriavvicinamento è arrivato al vertice di finesettembre, a margine del World EnergyForum di Algeri che poi ha spianato lastrada agli accordi di fine anno. Pertrent’anni, appena Mosca poneva la que-stione dei prezzi del petrolio, si solleva-va da più parti il timore di un eventualeallargamento dell’OPEC; oggi, invece, sisottovaluta il nuovo corso della Russia.L’elemento che più frenerà la spinta rial-zista del barile sarà la produzione degliStati Uniti, che si riteneva potesse crol-lare con la caduta dei prezzi del 2014, mache, invece, è calata meno, di circa 0,9mbg, a 12,3 mbg; ad inizio 2017 lastessa produzione dà segnali di leggeraripresa. Se i prezzi torneranno, in via sta-bile, al di sopra dei 60 dollari, la stessaproduzione tornerà a crescere in modo piùsostenuto. Il processo di riduzione dei co-sti, avviato dal 2014, non si è mai fermato;nel 2012, in Texas, venivano indicati frai 70 e i 90 dollari, mentre a fine 2016, nel-le aree migliori, si attestavano fra i 40 ei 60 dollari. Nel bacino Permiano, da Dal-las a Odessa, in Texas, la produzione ècontinuata a crescere, le riserve sono sta-te riviste al rialzo, la ricerca di nuove so-luzione per risparmiare sull’acqua, sui tubi,sull’affitto di trivelle, sui composti chimici,sulle analisi geosismiche, non è maicessata. Vengono continuamente appli-cate nuove soluzioni nella ricerca della mi-gliore stratificazione geologica in cuiapplicare il fracking. Sono migliaia leaziende che lavorano in questo settoresolo nell’area di Odessa e Midland, altrecentinaia di migliaia nel resto degli Sta-ti Uniti, e i margini di miglioramento suicosti sono abbondanti. Il settore era cre-sciuto, quasi dal nulla, fra il 2006 e il2014, e oggi per il contingente di geolo-gi, chimici, autisti di camion, operai me-talmeccanici esperti di valvole e tubi sa-rebbe difficile trovare un’occupazionealternativa. Il sistema creditizio americanoha sempre aiutato, con tassi di interes-se molto bassi e con una certa disinvol-tura, a finanziare questa attività, salvo poinon vedere più rientrare le risorse. L’ot-timismo, anche nei momenti difficili,

come nella migliore tradizione della fron-tiera americana, non ha mai abbandonatoquesta sorta di pionieri dell’industria pe-trolifera mondiale. Se il precedente pre-sidente fosse stato repubblicano si sa-rebbe potuto attribuire a lui il sostegnomaggiore al settore del petrolio nell’arcodegli ultimi 50 anni ma, paradossalmen-te, era un democratico che ha provato adimporre regole ambientali più stringenti.Grazie alla maggiore produzione, e con-giuntamente ad un leggero decrementodei consumi interni, la dipendenza da im-portazioni di petrolio degli USA è passa-ta da un massimo del 60 percento nel2005 al minimo del 24 percento nel2015, valore che non si vedeva dall’ini-zio degli anni ’80 e che rappresenta unsuccesso proprio per Obama. Se l’ex in-quilino della Casa Bianca non ha fattomolto per sostenere il boom della pro-duzione interna, il nuovo presidente re-pubblicano Trump farà di tutto per aiutarla.A capo dell’EPA (Environmental ProtectionAgency) ha messo Scott Pruitt, il procu-ratore generale dell’Oklahoma, stato pe-trolifero per eccellenza, famoso per ave-re guidato azioni legali contro la regola-mentazione ambientale, imposta dalla lon-tana Washington. Sono spariti i timori chel’EPA potesse limitare le attività da frac-king, oggettivamente molto impattanti sul-l’ambiente. Fosse stata eletta la Clinton,certo sarebbe stato l’inasprimento dei vin-coli ambientali che avrebbe fatto au-mentare i costi di produzione. Trump hatalmente fiducia nei petrolieri che ha scel-to come capo della sua diplomazia il te-xano Rex Tillerson, amministratore dele-gato della grande ExxonMobil, la piùgrande compagnia petrolifera mondiale,con sede a Irvin, in Texas, quella con so-lide radici in Medio Oriente. Tillerson hauna profonda conoscenza di tutta lacomplessità dell’area e, allo stesso tem-po, è stato un abile negoziatore con laRussia di Putin. Nonostante le forti criti-che dell’opposizione, la sua presenza dauna parte tranquillizza l’Arabia Saudita cir-ca i rapporti con l’Iran, dall’altra garan-tisce un franco dialogo con Putin, per con-tenere l’instabilità politica.

LE SPERANZE RIPOSTE NELLA DOMANDALa domanda di petrolio mondiale, anchenel 2017, raggiungerà un nuovo massimostorico a 97,8 b/g, confermando un trenddi fondo che ogni anno vede un incrementodi 1,2-1,5 mbg, più o meno l’equivalentedella produzione dell’Algeria o della do-manda della Germania. Si avvicina così lasoglia dei 100 milioni barili giorno, ritenuta15 anni fa difficile da raggiungere per ca-renza di riserve. Rispetto agli anni ’70, pe-riodo di profonde crisi, prima quella del1973 e poi quella del 1979, la domandaè salita di 35 milioni barili giorno e, no-nostante i tentativi per ridurla, non accennaa diminuire. Il petrolio rimane la prima fon-te a copertura della domanda mondiale dienergia con il 35 percento, quota che cedeil passo solo leggermente a favore del gase delle fonti rinnovabili. Negli ultimi anni,la discussione sul picco del petrolio si èspostata da quello della produzione, chedoveva essere causato dall’esaurimentodelle riserve, a quello della domanda, chesi raggiungerà fra pochi anni, grazie allefonti alternative e all’auto elettrica. Se cibasassimo sul turbinio informativo dellaRete, che crea una sorta di scienza virtuale,sembra sicuro un prossimo cataclisma cli-matico causato dai fossili, fra cui il petrolio,mentre il suo abbandono, grazie all’affer-mazione dell’auto elettrica, è questione dipochi anni. In realtà, in attesa di prove piùsicure sul clima, la domanda di petroliocontinuerà a salire, in quanto la crescitadella popolazione, la globalizzazione, il mi-glioramento delle condizioni di vita di mi-liardi di persone, comporteranno maggiorericorso alla mobilità. Questa si realizzeràsoprattutto grazie a veicoli a combustio-ne interna che utilizzino grandi quantità dienergia che solo i prodotti derivati dal pe-trolio, come benzina e gasolio, riescono agarantire. I consumi di petrolio, al 2040continueranno a salire verso la soglia dei115 mbg, cifra che nel 2016 sembra lon-tanissima, come del resto negli anni ’80sembrava superfluo parlare dei 100 milionibarili giorno che verranno raggiunti fra unpaio di anni. Intanto, però, ci vorrà del tem-po perché le enormi scorte accumulate ne-

gli ultimi due anni vengano riassorbite. Leriserve commerciali dei paesi OCSE, ov-vero quelle che maggiormente incidonosulle dinamiche dei prezzi, hanno raggiuntoun livello record di oltre 3 miliardi di ba-rili, mentre, in termini di prospettive di con-sumo, hanno raggiunto i 66 giorni. Con iltaglio produttivo apportato ad inizio annoda paesi OPEC e non-OPEC, inizieranno su-bito a scendere, imprimendo aspettativediverse ai prezzi.

IL NUOVO PARADIGMA SAUDITA E IL FUTUROIl principale artefice del mercato petroli-fero mondiale rimane l’Arabia Saudita, pri-mo Paese per riserve, per produzione, peresportazione e per capacità produttiva inu-tilizzata. A gennaio 2017 la sua produzioneha segnato una flessione di oltre 0,5 mi-lioni barili giorno, un taglio che non si ve-deva da oltre un decennio e che eviden-zia la determinazione saudita a fare da lea-der nella ripresa dei prezzi. Il regista è ilnuovo ministro del petrolio, Khalid Al-Fa-lih, già presidente di Saudi Aramco, societàche da sempre forma i migliori funziona-ri statali. La sua nomina, ad aprile 2016,ha un po’ ridimensionato le velleità del gio-vane principe Mohammed bin Salman, fi-glio di 32 anni del re Salman, salito al tro-no a gennaio 2015, quando il crollo del pe-trolio era da poco iniziato. Il giovane prin-cipe, una sorta di ministro dell’economia,nel corso di alcune recenti dichiarazioni,nel gennaio del 2016, ha spiegato la sua“Vison 2030”, in base alla quale l’econo-mia del Paese si dovrà progressivamen-te affrancare dalla dipendenza dalle espor-tazioni del petrolio. Conosce bene i pro-blemi di un sistema parassitario fatto di mi-lioni di persone che fanno finta di lavora-re con stipendi statali che derivano attra-verso le esportazioni petrolifere del-l’Aramco. Inoltre, in quanto persona sem-pre connessa alla rete, è convinto che pre-sto il suo petrolio diventerà nient’altro cheroccia nera priva di valore, una volta che,fra pochi anni, l’auto elettrica subentreràai motori a scoppio. Il ministro del petro-lio, più anziano e con più esperienza, sabene che ciò avverrà fra molto tempo e che

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Forti eccessi di offertasi sono verificati nel 1986,

nel 1988, nel 1998 e nel 2014-2015,

periodo che in parteè ancora in corso

Da fine 2016 si dovrebbe intravedereuna crescita dell’offerta più moderata,

per un maggiore impegno dell’OPECe per il crollo degli investimentiDai primi anni 2000, a causa del crollo

degli investimenti, l’offerta di petrolio è diminuita,determinando un balzo dei prezzi a livello record

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DOMANDA E OFFERTAMONDIALE E VARIAZIONI DELLE SCORTE Negli ultimi 50 anni, la domandadi greggio non ha mai smesso di crescere, con un ritmo mediodi 1,2-1,5 milioni mb/g ognianno. Nello stesso periodo i consumi sono aumentati di un terzo, per complessivi 36 milioni mb/g in più. Oggi quello che si intravede è un periodo di corto che preparail terreno per un futuro ciclorialzista che mira alla soglia dei 100 dollari al barile.

63_71_FocusPrezzi.qxp 28/02/17 11:00 Pagina 68

Con l’intesa raggiunta il 30 novembrescorso dai paesi dell’OPEC sui tagli alla

produzione, la fase ribassista del prezzodel greggio sembrerebbe finita. L’accor-do, che arriva dopo 8 anni di incompren-sioni, nonché di conflitti di più vasta por-tata che hanno travalicato il perimetro del-l’Organizzazione stessa, è senza dubbio al-cuno di portata storica.

COSA È SUCCESSO IL 30 NOVEMBREIl 30 novembre 2016, a Vienna, l’Orga-nizzazione dei Paesi esportatori di petro-lio ha deciso di tagliare la produzione –a partire dal 1° gennaio 2017 – per unammontare pari a 1,2 milioni di barili algiorno (mb/g) rispetto ai livelli di ottobre2016. Il nuovo tetto produttivo dell’Orga-nizzazione – dal quale bisogna esclude-re la Libia e la Nigeria per cause ricon-ducibili alle sanzioni e alle conseguenzedella guerra, oltre all’Indonesia, momen-taneamente sospesa dal gruppo – sarà at-torno ai 32,5 mb/g.Nel contempo, 11 produttori non-OPEChanno promesso di ridurre le loro estra-zioni per un totale di 558mila b/g. Più pre-cisamente, la Federazione Russa di300mila b/g, seguita da Messico (100milab/g), Oman (40mila b/g), Azerbaijan (35milab/g), Kazakistan (20mila b/g) e altri (Ba-hrein, Brunei, Guinea Equatoriale, Malesia,Sudan e Sudan del Sud).Nell’ipotesi in cui questi tagli venissero portati a termine, a metà 2017 si verreb-be a determinare un graduale ribilancia-

mento tra domanda e offerta con prezzistabilmente sopra i 50 $/b. Il 31 gennaio2017, le qualità Brent Crude North Sea eWest Texas Intermediate hanno rispetti-vamente prezzato 55,48 $/b e 53,32 $/b,guadagnando il 15 percento circa daquando i produttori OPEC e non-OPEC sisono impegnati a ridurre le estrazioni.

ULTIMI DATI E STIME SUL PETROLIO In base ai dati forniti dall’Oil Market Re-port il 19 gennaio 2017, a dicembre2016, l’offerta globale di petrolio è dimi-nuita di 0,6 milioni di b/g rispetto al recordstorico di 98,2 mb/g raggiunto il mese pre-cedente. Tale diminuzione ha coinvolto siai paesi OPEC sia quelli non-OPEC. La pro-duzione di greggio del Cartello è calata di320 mila b/g per un totale di 33,09 mb/g.Secondo i dati forniti dall’OPEC Monthly OilMarket Report, il 18 gennaio 2017, nel2016, l’Organizzazione dei Paesi espor-tatori di petrolio ha in media prodotto32,418 mb/g di greggio, in forte aumen-to rispetto ai 31,470 mb/g nel 2015.La IEA stima che nel 2016 l’offerta globaledi oro nero è aumentata di 0,3 mb/g ri-spetto all’anno precedente, nella misurain cui le estrazioni record dell’OPEC han-no più che controbilanciato la flessione di0,9 mb/g dell’output non-OPEC, nono-stante tra questi ultimi la produzionedella Federazione Russa sia aumentata di230mila b/g fino a toccare più volte gli11,2 mb/g, record nell’epoca post-So-vietica.Le previsioni per il 2017, invece, suggeri-scono una inversione di tendenza deltrend non-OPEC, la cui offerta è data in au-mento di 385mila b/g, di cui ben 320milab/g provenienti dagli Stati Uniti d’America.Conformemente ai dati pubblicati dall’OilMarket Report del 13 dicembre 2016, lescorte totali dei paesi OCSE sono diminuitea novembre 2016 per il quarto mese di fila.Le stime preliminari di inizio dicembre evi-denziano un calo, in termini assoluti, di 82milioni di barili rispetto al record raggiun-to in luglio. Ciò nonostante, l’ammontareglobale di scorte permane tutt’ora superioreai 3 miliardi di barili.La domanda mondiale di petrolio si pre-vede in crescita di 1,5 mb/g nel 2016 e di1,3 mb/g nel 2017. Nonostante il lieve ral-lentamento, si tratta di un valore comun-que superiore alla media annuale di 1,2mb/g registrata dall’inizio del 21° secolo.Nello specifico, ancora una volta la Cina

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di petrolio ce ne sarà bisogno ancora a lun-go. L’accordo OPEC del 30 novembre2016, quello del 10 dicembre 2016 delgruppo non-OPEC guidato dalla Russia,l’alto grado di rispetto degli accordi ad ini-zio 2017, l’impegno dell’Arabia Saudita,sono tutte ragioni che fanno ritenere cheil mercato si stia dirigendo verso un nuo-vo ciclo caratterizzato da domanda checresce di più dell’offerta. Un decennio fa,la forte crescita della domanda cinese eraseguita lentamente dalla crescita del-l’offerta e ciò fece salire i prezzi a 140 dol-lari per barile nel luglio 2008. Ci si è un po’dimenticati della facilità con cui venneroraggiunti quei valori oggi impensabili. Èvero che un forte aiuto venne dalla dege-nerazione della finanza, anche questanon completamente sparita e che spera inqualche nuovo aiuto da parte di Trump.Oggi, le cose sono un po’ diverse. La do-

manda sale meno, l’economia cinese harallentato, l’India non è in grado di man-tenere gli stessi ritmi di crescita, i moto-ri a combustione interna, che vanno a ben-zina o gasolio, segnano miglioramenti diefficienza continui, nonostante la trazio-ne elettrica compia passi avanti, ma sem-pre in un contesto di auto ibride. Sul latodell’offerta, gli Stati Uniti, con i prezzi inascesa, aumentano la produzione, ma convolumi ancora limitati e non disponibili peril mercato internazionale. Il taglio alla pro-duzione di inizio 2017 fa ritenere come siaaltamente probabile l’aumento dei prez-zi, ma l’importante è che ciò non avven-ga con improvvisi shock al rialzo, il maleantico di questo mercato, e che l’OPECsappia, questa volta, governare meglio ilcambiamento.

Analizzando i principalifattori macroeconomici e geopolitici, l’oro nerosarà quotato poco al di sopra dei 50 dollaria barile nel corso dellaprima parte del 2017.Quanto pesano politicamonetaria, paesi non-OPEC e il rapportoRussia-USA

DEMOSTENES FLOROS

Il ribasso è finito

WHAT’S NEXT

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SCORTE COMMERCIALI GIORNI DI FUTURA DOMANDA

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Grazie alla maggiore produzione, e congiuntamente ad un leggerodecremento dei consumi interni, la dipendenza USA dalleimportazioni di petrolio è passata da un massimo del 60 percentonel 2005 al minimo del 24 percento nel 2015, valore che non si vedeva dall’inizio degli anni ’80 e che rappresenta un successoanche per l’amministrazione Obama.

I paesi OCSE detengono la maggior parte delle riserve mondiali di petrolio. Come dimostra il grafico, alla fine del 2015 avevanoraggiunto il livello record di oltre 3 miliardi di barili, coincidenti, in termini di futuro consumo, a circa 66 giorni. Nello stessoperiodo le riserve hanno oltrepassato la domanda, che rimanecomunque in fase di ripresa.

EVOLUZIONE DELLE SCORTE COMMERCIALI DEI PAESI OCSE

USA: CONSUMI E PRODUZIONE DI PETROLIO

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Page 36: MARZO 2017 - Eni · e radici culturali. Ora il cambia-mento. Prima ad Algeri e poi a Vienna, tra settembre e novembre 2016, è successo ciò che molti osservatori internazionali ritene-vano

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numero

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farà da traino ai consumi spinti dal 6,7 per-cento di crescita economica registrato nel2016. La principale compagnia di Stato –la CNPC – ha stimato per il 2017 una do-manda record pari a 11,88 milioni b/g digreggio (+3,4 percento), con importazio-ni nette in crescita del 5,3 percento a 7,95milioni b/g. Con ogni probabilità, l’aumentodi queste ultime si protrarrà oltre il 2017,visto che il governo cinese prevede che nel2020 il proprio output – pari a circa 4 mi-lioni b/g – diminuirà del 7 percento rispettoal 2015. Gli analisti di Wood Mackenzie sti-mano un crollo ancora più marcato, paria 3,53 milioni b/g nel 2020.Nonostante dal 2005 a inizio 2015, granparte della produzione incrementale digreggio a livello mondiale sia provenuta da-gli Stati Uniti d’America, l’eccesso di offertache ha caratterizzato il mercato petrolife-ro negli ultimi due anni è stato pressochéinteramente dovuto al mancato rispetto deltetto produttivo da parte dell’OPEC. IL RUOLO DELLA POLITICA MONETARIAIl 14 dicembre, la Federal Reserve ha al-zato i tassi di interesse di 25 punti base,portandoli ad un range di 0,50-0,75 per-cento. La governatrice della Banca Cen-trale americana, Janet Yellen, ha giusti-ficato tale operazione – che gli investito-ri attendevano da qualche mese e che ilmercato aveva già iniziato a scontare vi-sto l’apprezzamento del dollaro sin da ot-tobre 2016 – affermando che “il merca-to del lavoro sembra andare nello stessomodo in cui andava prima della reces-sione”. Quali sono state le prime conse-guenze?1 | L’incremento dei rendimenti. I ren-

dimenti dello U.S. 10-year TreasuryDebt hanno dapprima raggiunto il re-cord annuale di 2,3809 percento pro-prio in coincidenza dell’accordo OPEC.Dopodiché, hanno continuato a cre-scere sino a toccare il massimo di2,5967 percento il 15 dicembre, per poichiudere l’anno a 2,4443 percento(2,4531 il 31 gennaio 2017).

2 | Il rafforzamento del dollaro. A no-vembre, il biglietto verde ha aperto lequotazioni a 1,1025 €/$, apprezzan-dosi costantemente per l’intero mesesino a chiudere a 1,0635 €/$ in coin-cidenza dell’accordo OPEC. Tale trendè proseguito, raggiungendo, il 20 di-cembre, il massimo dal 2002 a quota1,0364 €/$. Nel corso del primo mesedel 2017, il dollaro ha nettamente in-vertito la tendenza, deprezzandosi sinoa 1,0755 €/$ il 31 gennaio 2017 sul-la scia del discorso inaugurale di Do-nald Trump, contraddistintosi per un im-pianto protezionistico in politica eco-nomica.

Dall’8 novembre 2016, giorno delle elezioniPresidenziali USA, al 6 gennaio 2017, il dol-laro ha guadagnato l’8 percento sull’eu-ro. Le promesse del neo presidente USAin favore di politiche di deficit spending esoprattutto, la riduzione delle tasse aquelle imprese che avrebbero rimpatria-to i capitali detenuti all’estero, hanno

supportato un trend rialzista. Dopodiché,l’impressione è che nel mercato abbianoprevalso i timori riconducibili al protezio-nismo, parallelamente alle critiche che laCasa Bianca ha rivolto alla Germania, readi favorire il proprio export grazie ad uneuro sottostimato.

CONSIDERAZIONI ECONOMICHEL’aumento dei tassi di interesse da par-te della Federal Reserve deciso il 14 di-cembre potrebbe non implicare l’apertu-ra di un nuovo corso marcatamente rial-zista come dimostrerebbe la successivascelta operata dall’Istituto centrale che, il1 febbraio, ha mantenuto i saggi invaria-ti. A discapito di quanto affermato dallaYellen, il mercato del lavoro statunitensepresenta delle zona d’ombra alquanto si-gnificative, a partire dal fatto che il 95 per-cento dei posti di lavoro creati nell’eraObama è part time.L’Amministrazione Trump, oltre ad eredi-tare 43,2 milioni di americani che fanno ri-corso ai cosiddetti food stamps (viveri go-vernativi) e di un debito pubblico prossimoai 20 trilioni di dollari dopo l’incremento di9 trilioni di dollari durante la precedentepresidenza (+86 percento), dovrà valuta-re con attenzione le conseguenze di un si-gnificativo rafforzamento della propria va-luta. Secondo l’economista Guido SalernoAletta, “L’America cambia strategia eco-nomica […] perché non può più mantenereil ruolo di locomotiva globale crescendo adebito verso l’estero. Nel corso della pre-sidenza Obama, l’esposizione finanziarianetta è peggiorata esponenzialmente,passando dai -2.627 miliardi di dollari del2009 ai -7.281 miliardi del 2015”. L’im-pressione quindi è che un apprezzamen-to del biglietto verde sarebbe “esiziale”.

VINCITORI E VINTI L’accordo OPEC rappresenta una gravesconfitta politica per l’Arabia Saudita e i suoialleati nel Golfo, a partire dal Qatar e da-gli Emirati Arabi Uniti, i cui effetti avrannoripercussioni che vanno ben oltre gli equi-libri interni all’Organizzazione. La strategiasaudita, implementata sin da settembre2014 e volta ad inondare il mercato pe-trolifero onde fare crollare i prezzi, avevacome primo obiettivo l’ulteriore indeboli-mento dell’Iran al tempo ancora alle pre-se con le sanzioni sul nucleare. Tale op-zione, oltre a mettere in difficoltà gli Sta-ti con un alto punto di pareggio fiscale (bre-ak-even point) dentro l’Organizzazione –a partire proprio dall’Iran, ma anche Ve-nezuela, Algeria, Nigeria ed Equador –avrebbe portato all’espulsione dal merca-to dei produttori ad alto costo. Questo pia-no non è stato portato a termine – se nonin maniera parziale e soprattutto, non neitempi che Riad aveva inizialmente previ-sto – per una serie di ragioni, a partire dal-la sconfitta militare nella guerra in Siria.Inoltre, i dati precedentemente espostievidenziano che parecchi produttori nonconvenzionali sono stati frattanto espulsi dalmercato, ma altri hanno invece avuto la ca-pacità di resistere, riducendo notevol-mente i costi di estrazione. Per di più, la Pe-

tromonarchia non è riuscita nell’intento difermare la ripresa dell’output dell’Irandopo la fine dell’embargo decretato il 14luglio 2015 e, nel contempo, ha vistoesplodere il proprio deficit pubblico a cau-sa del crollo della rendita da esportazionepetrolifera. Nonostante i 100 milioni di dol-lari di entrate, persi dal 2011 a oggi a cau-sa delle sanzioni e del crollo dell’export digreggio, l’Iran esce vincitore dal conflitto mi-litare siriano – e pertanto dallo scontro conl’Arabia Saudita – come dimostra il tettoproduttivo poco sotto i 4 milioni b/g stabi-lito dall’accordo (prossimo a quello del pe-riodo pre sanzionatorio). Ciò detto, nono-stante le esportazioni iraniane abbiano nuo-vamente toccato i 2,44 milioni b/g in ottobre2016, i dubbi di Trump in merito all’accordosul nucleare e le prime dichiarazioni di que-st’ultimo in favore di Israele, suggerirebberoa Teheran di non cantare vittoria, anche te-nuto conto che il proprio settore Oil & Gasnecessita di un centinaio circa di milioni didollari onde essere riammodernatato. An-che l’Iraq esce vincitore dallo scontro coni sauditi: prova ne è la sostituzione delle for-niture di Riyadh con quelle di Baghdad nel-l’approvvigionamento del Cairo, prece-dentemente interrotte dai sauditi a causadell’appoggio politico e militare del Gene-rale al Sisi ad al-Assad.

LA FEDERAZIONE RUSSATra gli Stati produttori di materie prime, laFederazione Russa è il principale vincito-re dal momento che l’accordo raggiuntoin sede OPEC e non-OPEC è la diretta con-seguenza del suo successo in Siria. Dopo anni di crisi economica dovuta allesanzioni imposte dall’Occidente, le quali“sono state molto più efficaci a causa delbasso prezzo internazionale del petrolio”– ebbe a dire l’Ambasciatore Dan Fried,coordinatore per la Sanctions Policy pres-so il Dipartimento di Stato USA, sollevan-do qualche dubbio in merito ad un’azio-ne in realtà condivisa tra Washington eRiyadh – Mosca può guardare con cautoottimismo al futuro grazie alla ripresa delbarile, al conseguente rafforzamento delrublo – ai massimi da 18 mesi, dopo ave-re raggiunto i 59,22 rublo/$ il 24 genna-io – nonché ai costanti acquisti di oro daparte della Banca Centrale Russa che adottobre 2016 hanno registrato un recorddal 1998.

LA PAX PETROLIFERA, IL PREZZO DELBARILE E L’ITALIA Secondo l’economista Giuseppe Masala,“con l’annuncio, da parte di Trump, dellanomina a Segretario di Stato di Rex Til-lerson, Ad di Exxon Mobil, dovrebbe essere

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chiaro che un epoca si è davvero conclu-sa. [...]. Questo dovrebbe riportare i rap-porti tra i due stati su un sentiero di fidu-cia reciproca che potrebbe garantire ungrande accordo sia in Medio Oriente chein Ucraina. Molto probabilmente questo accordo saràricordato dagli storici – qualora vedrà laluce – come la Pax Petrolifera”.Tenuto conto che un nuovo reset nelle re-lazioni internazionali tra Stati Uniti d’Ame-rica e Federazione Russa non sarà affat-to semplice, quali sono i principali avve-nimenti geopolitici accaduti a dicembre2016 che spingono nella direzione di unpossibile raggiungimento della Pax Pe-trolifera, oltre alla nomina di Tillerson e al-l’accordo OPEC & non-OPEC?1 | L’entrata nell’azionariato di Rosneft –

controllata dallo Stato russo per il 50percento – da parte del consorzio co-stituito dalla svizzera Glencore e dalFondo di Investimento del Qatar (QIF)per un valore equivalente a 10,5 mi-liardi di euro (19.5 percento del capi-tale) con la garanzia di un pool di ban-che (anche russe) capeggiate dall’ita-liana Intesa Sanpaolo. Attraverso taleoperazione, la Russia ottiene che il Qa-tar passi da nemico militare a partnereconomico, facendo convergere gli

interessi dei due maggiori produttori digas naturale al mondo.

2 | Rosneft ha acquistato il 30 percento delcapitale di Shorouk, uno dei principa-li giacimenti dell’offshore egiziano diZohr, dall’Eni per 1,57 miliardi di dol-lari. Così facendo, la compagnia guidatada Igor Sechin è entrata nel mercato delgas ma senza ledere, almeno mo-mentaneamente, gli interessi dell’altrocolosso energetico russo, la Gazpromcon la quale esistevano non poche fri-zioni. La Federazione Russa è così riu-scita nell’intento di “collocare un altropiede nel Mediterraneo” come ha af-fermato Gay Caruso, analista del-l’Energy and National Security Program,presso il Center For Strategic and In-ternational Studies.

Nel caso in cui la Pax Petrolifera venisseeffettivamente raggiunta, essa favorirà unastabilizzazione dei prezzi correnti del ba-rile e, nel contempo, creerebbe le condi-zioni per un possibile, seppur moderato,aumento. Parallelamente, per l’Italia si spa-lancherebbero le porte per uno scenariotutt’altro che secondario: di fatto, al nostroPaese si prospetterebbe la possibilità disvolgere il ruolo di pivot non solo nel Me-diterraneo, ma anche tra la Casa Biancae il Cremlino.

I FATTORI POTENZIALMENTE RIBASSISTI I fattori principali che potrebbero frenarei rincari del petrolio, se non invertirne iltrend sono: i possibili ritardi o inadempi-menti nell’implementazione dell’accor-do; il rapido recupero dell’output di Nige-ria e Libia escluse dal medesimo; un si-gnificativo incremento della produzioneUSA di tight oil.1 | L’implementazione dell’accordo. Al

momento, i membri dell’Organizzazio-ne stanno rispettando gli obblighi nel-le quantità e nei tempi prestabiliti. I sau-diti – che dovevano tagliare 486mila b/g,per un output totale di 10,058 milionidi b/g – sono già “poco sotto 10 milio-ni”, secondo le parole pronunciate dalministro Khalid al-Falih, ad Abu Dhabi,durante l’Atlantic Council Global Ener-gy Forum. Anche il principale produttorenon-OPEC, la Federazione Russa, ha giàridotto la produzione di 130mila b/g ri-spetto ai 100mila in programma.

2 | Nigeria e Libia. Difficilmente, Nigeriae Libia riusciranno ad aumentare il pro-prio output nei mesi a venire per unammontare tale da influenzare signi-ficativamente l’offerta globale. In par-ticolare, l’ex colonia italiana è ben di-stante dalla quota di 1,6 milioni b/gestratti nell’ultimo periodo dell’era diMuammar Gheddafi. Ciò detto, l’im-pressione è che la stabilità del Paese– precondizione per un incremento del-l’output petrolifero – possa più facil-mente arrivare dal consolidamentodel potere da parte del Generale Kha-lifa Haftar appoggiato da Mosca più chedall’attuale governo di Fayez al Sarraj,ufficialmente riconosciuto dall’ONU efortemente voluto da Obama, ma nonnecessariamente da Trump nella futu-ra spartizione delle zone di influenza traStati Uniti e Russia nel Mediterraneo ein Medio Oriente. Se così fosse, perl’Italia si determinerebbe un problemanon secondario visto il sostegno con-ferito all’attuale governo di Tripoli e lapresenza dei terminali dell’Eni nelMellitah, in Tripolitania.

3 | Il Tight Oil USA. Sia l’EIA che l’OPECprevedono che la produzione USA digreggio aumenterà nel 2017, atte-standosi attorno ai 9 milioni b/g. Dopoavere raggiunto il record di 9,7 milio-ni b/g ad aprile 2015, essa era calatasino al minimo di 8,4 milioni b/g a lu-glio 2016. Dopodiché, sulla scia del-l’aumento dei prezzi del barile, l’outputdi greggio USA ha nuovamente inver-tito la rotta sino a toccare gli 8,9 mi-lioni di b/g nella settimana del 20 gen-naio 2017. Ciò è stato possibile graziealla ripresa del non convenzionale – sti-mato attorno ai 4,7 milioni b/g a feb-braio 2017 – e della rimessa in motodi decine di trivelle giunte ad un tota-le di 712 – di cui 566 (79,5 percento)petrolifere, 145 di gas (20,4 percento),più 1 mista – secondo i dati forniti daBaker Hughes. Due sono i fattori chepotrebbero ostacolare tale trend.

In primo luogo, la necessità di soddisfa-re l’incremento della domanda implica chei frackers debbano rimettere in moto i poz-zi meno produttivi e con un break even costsuperiore rispetto a quelli attualmentesfruttati. Ciò comporterà un aumento deicosti che il Wall Street Journal ha già sti-mato tra il 10/20 percento nel corso del-l’inverno presente. Il rischio quindi è chei frackers necessitino di prezzi del barilesuperiori rispetto a quelli presenti onde ac-crescere l’output.In secondo luogo, l’attuale calo dei sag-gi degli energy junk bonds e il contem-poraneo aumento dei tassi di interesse daparte della FED sta notevolmente ridu-cendo il gap tra i rispettivi rendimenti –già al di sotto del 4 percento – ponendonuovi nubi all’orizzonte per parecchie im-prese americane operanti del settoredell’Oil & Gas.Nel 2016, il decremento dell’output USAdi greggio ha coinciso con un incremen-to delle importazioni. Più precisamente, anovembre esse hanno superato per laquinta volta nell’anno trascorso gli 8 mi-lioni b/g (8,054 milioni b/g). Se si esclu-de il mese di marzo, è interessante os-servare che gli altri 4 mesi in cui tale si-tuazione si è verificata sono successivi aluglio 2016, mese dopo il quale le estra-zioni americane di greggio hanno ripresoa crescere. Ciò detto, la media delle im-portazioni nei primi 11 mesi del 2016 am-monta a 7,879 milioni b/g, in aumento ri-spetto ai 7,344 milioni b/g importati nel2014 e ai 7,363 milioni b/g del 2015.I principali fattori macroeconomici e geo-politici da noi analizzati nel testo sugge-riscono una stabilizzazione dei prezzidell’oro nero poco al di sopra dei $50/b nelcorso della prima parte del 2017. La presenza di fattori rialzisti sussiste epare prevalere rispetto ai fattori ribassisti.Detto ciò, quandanche tali condizioni si ve-rificassero, l’ammontare di tale aumentonon sembra al momento sufficiente al finedi determinare una significativa ripresa del-l’output da parte dei produttori ad alto co-sto, a partire dai non convenzionali.

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EQUILIBRIO TRA DOMANDA E OFFERTA OPEC/NON-OPECNel 2017 è previsto che il tasso di crescita della domanda globalescenda sotto 1,3 mb/g, sebbeneleggermente al di sopra del valoremedio (1,2 mb/g) registrato inquesto secolo. Fermo restando che il costo del greggio èaumentato nel 2017, la prospettivadi prezzi dei prodotti più elevatiinsieme alla possibilità di un dollaro USA più forterappresentano i fattorideterminanti dietro le prospettivedi una ridotta crescita delladomanda per quest’anno.

WHAT’S NEXT

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Un anno interessante

PEC non-OPEC non è necessaria-mente un disgiuntivo, se consideria-mo il lavoro fatto per giungere a unaccordo a novembre all’interno del-l’Organizzazione intergovernativabasata a Vienna, seguito poi dagli im-pegni di dicembre dei produttori dipetrolio non-OPEC, con in testa laRussia. L’accordo, che verrà messo aregime in questo 2017, potrà dimo-strarci se c’è davvero una ripresa diprestigio e di reale presenza politicadell’Organizzazione. Già su questepagine abbiamo avuto modo di ra-gionare, nei passati numeri di Oil, sul-le difficoltà che incontra un’Orga-nizzazione che ha avuto un forteprotagonismo negli anni ’70-’80 del-lo scorso secolo e che, però, stenta aricostruire la sua immagine soprat-tutto in questo inizio di XXI secolo.Tanti sono i fattori della sua difficol-tà: intanto il ruolo stesso del petrolioe di conseguenza quello dei Paesi pro-duttori che soffrono – e non solo a li-vello di immagine – a livello inter-nazionale, di fronte ad una culturadell’approvvigionamento energetico

totalmente cambiata. E poi non bi-sogna dimenticare le difficoltà inter-ne, soprattutto nei Paesi arabi ma nonsolo, se consideriamo anche il Vene-zuela per esempio, e i cambiamentiavvenuti anche in sud America e in al-cuni Paesi africani. In ogni caso fa pre-mio su tutto, ovviamente, il confrontocon i radicali fondamentalisti, che uti-lizzano la religione islamica per com-battere le loro battaglie di leadership,economiche e sociali. E in cui gli esta-blishment dei Paesi arabi produtto-ri di petrolio sono pienamente im-mersi, a volte anche più dei Paesi oc-cidentali colpiti dal terrorismo: lìsono in gioco dinastie ed equilibriconsolidati non da decenni ma talvoltada secoli.

Il trionfo evidenzia la perditadi influenzaLa perdita di influenza dell’OPEC èsotto gli occhi di tutti: lo dimostraproprio il tono “trionfalistico” con cuia novembre, dopo mesi di trattative,ha annunciato l’accordo interno,compresi perfino Iraq e Iran, per ta-

gliare la produzione di ben 1,2 mi-lioni di barili al giorno, al fine di farrisalire il prezzo in un sistema stabi-le e controllato. Non è stato un ac-cordo da poco, se consideriamo chequest’intesa ha, di fatto, sacrificato lapresenza dell’Indonesia nell’OPEC,dove era rientrata da pochissimotempo dopo essere stata per moltotempo fuori dall’Organizzazione:per non partecipare a una decisioneche risultava insperatamente unani-me, l’Indonesia ha deciso di autoso-spendersi. Tuttavia il tono trionfalistico (quel-lo dei comunicati e della rivista uffi-ciale dell’OPEC) ha un senso se lo sicollega al fatto che nei giorni suc-cessivi all’accordo di novembre, ef-fettivamente, le quotazioni del bari-le sono arrivate già a guadagnare qua-si il 9 percento raggiungendo perfi-no il picco di 51 dollari nel caso delBrent. L’ottimismo del giudizio, ol-tre che per un risultato immediato, sifondava sul fatto che l’accordo di no-vembre era prodromico a colloqui ri-servati già in corso. A tal fine, lo sfor-

ROBERTO DI GIOVAN PAOLO

È giornalista, ha collaborato, tra gli altri,con ANSA, Avvenire e FamigliaCristiana. È stato segretario generaledell’Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regionid’Europa. È docente presso l’Universitàinternazionale di Roma.

In questo 2017 non è escluso che i Paesi più accorti diplomaticamentee più flessibili su un piano economico si avvarranno sia dei tagli di produzione fissati dal Cartello sia delle linee dettate dalla COP21

Riflessioni/L’OPEC fa la storia a Vienna

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zo da parte dell’OPEC è stato effet-tivamente ingente al punto di torna-re a rendere pubbliche – cosa che nonaccadeva da oltre 10 anni – le quotedi produzione di ogni singolo Paesee istituendo anche un comitato di mo-nitoraggio che vigilerà sulla effettivaattuazione dei tagli di produzione.Immediatamente dopo sono partiti imessaggi pubblici di stima e invito alconfronto nei confronti della Russiae dei Paesi produttori che non fannoparte dell’OPEC. Un buon lavoro de-gli “sherpa” ha garantito l’obiettivo,raggiunto poche settimane dopo conl’accordo del dicembre 2016 che,dopo circa 15 anni, ha vincolato lamaggioranza dei Paesi produttorialla limitazione della produzione, alfine comune di rilanciare ma so-prattutto di stabilizzare in alto ilprezzo. Questa scelta è stata saluta-ta dalla rivista ufficiale dell’OPEC conun titolo molto significativo:“L’OPEC fa la storia a Vienna,OPEC makes history in Vienna”, chedà il senso di una riconquistata pre-senza in campo mondiale. L’accordoinfatti vincola 24 dei maggiori Pae-si produttori di petrolio a rimuove-re circa 1,8 milioni di barili per gior-no dall’inizio del 2017 per un perio-do iniziale di sei mesi, che può esse-re esteso per altri sei mesi. Sinora,non siamo ancora che al limitare delprimo trimestre, i risultati sembranodare ragione alla scelta: se conside-riamo semplicemente il problemadel prezzo, si è passati da un depres-sivo 31,79 dollari per barile a gennaiodel 2016 a 53 dollari nel gennaio2017, con un aumento certamente trai più alti degli ultimi anni e una cre-scita del 45 percento in valore: la piùgrande crescita dall’inizio della crisiglobale del 2009. Ovviamente non ètutto rose e fiori e abbiamo raccon-tato in breve una trattativa molto dif-ficile, innanzitutto al proprio inter-no (dell’OPEC), perché la storia èquella di una compagine che ha sem-pre sofferto di relazioni difficili più alproprio interno che rispetto ai Pae-si non produttori o non iscritti.

Tutto nasce dal superamentodi una questione interna In questo caso l’esempio della volontàdi accordo generale nasce davvero dalsuperamento (momentaneo? Non losappiamo ma per ora è così) di vec-chie e irrisolte questioni interne al-l’OPEC: si pensi solo alla disponibi-lità dell’Arabia Saudita nei confron-ti dell’Iran – che dopo gli anni del-l’embargo sta correndo per cercare direcuperare in tutti gli spazi politico-diplomatici internazionali – che, in viaeccezionale, può non solo non aderireai tagli ma anzi far salire la sua pro-duzione fino a circa 3,9 milioni di ba-rili al giorno. Lo scopo, secondo il mi-nistro saudita Khalid Al Falih, che èstato uno dei maggiori tessitori di

questo accordo prima internamenteall’OPEC e poi con i paesi non-OPEC, è soprattutto quello di co-struire una collaborazione di lungotermine, con possibilità di consulta-zioni e interventi coordinati sul mer-cato, evitando lo shock degli ultimidue anni in cui l’OPEC è stato spes-so tenuto ai margini sostanzialmen-te di tutte quante le scelte energeti-che mentre il prezzo del barile crol-lava. Oggi, è certificato anche daquesti accordi, l’OPEC controllasolo una parte dell’offerta di petrolioe quindi, per certi versi, non può pre-tendere di tornare a essere protago-nista come un tempo, ma non hanemmeno più la necessità di assumersiil 100 percento degli oneri avendomesso “in trasparenza” un accordo eun confronto davanti al mondo congli altri produttori che, spesso, si sot-traevano alle discussioni energetiche,ambientali e sociali di carattere in-ternazionale. Questo è certamente unbuon risultato politico per l’OPEC.In termini di previsione politica, vaanche considerato che, mentre i Pae-si dell’Organizzazione sono tradi-zionalmente ormai conosciuti per leloro dinamiche interne e le difficol-tà che vivono, specie a causa della ra-dicalizzazione islamica, con alcunipaesi non-OPEC, con cui sono sce-si a patti, restano problemi di stabi-lità politica. Gli analisti economicimeno ottimisti infatti prevedono chepresto, nell’opacità delle relazionidei paesi non-OPEC, possa esserci ilrischio di una ripresa di produzione,un’impennata, che favorirebbe laspinta ribassista sul prezzo del pe-trolio. C’è poi da mettere in contol’effetto che tutto questo avrà, incombinato disposto, con la presi-denza di Donald Trump.

Cosa succederà in USA e Arabia SauditaDa un lato, come sappiamo, certa-mente per affinità elettiva Trump rap-presenta tutti i maggiori produttoridi petrolio del suo Paese ma, dall’al-tro lato, non può che vedere di buonocchio una misura che rischia certa-mente di fare un favore agli Stati Uni-ti: per gli analisti economici finanziari,la risalita del prezzo del petrolio, difatto, può resuscitare i produttoriamericani dello shale. Proprio a finedicembre l’agenzia finanziaria Blo-omberg metteva in risalto come unarisalita dei prezzi avrebbe potutopermettere ai produttori che usano lacomplicata tecnologia americana diriaffacciarsi con fiducia sul mercato.Gli Stati Uniti infatti produconocirca 8,8 milioni di barili al giorno esono tornati i livelli di produzione didue anni fa, anche se soltanto con unterzo di pozzi attivi rispetto al possi-bile punto di massima raccolta. Sem-pre secondo l’agenzia, dal maggio del2016 sono rinati quasi 200 punti di

estrazione proprio per agire in anti-cipo sia sulla sfida elettorale presi-denziale sia perché si immaginava unapossibile intesa all’interno del cartellodell’OPEC. Oggi la produzione dishale è 4,5 milioni di barili, secondovari analisti, e con un balzo ulterio-re di una decina di dollari si potreb-be arrivare alla produzione di 5,5 mi-lioni di barili al giorno, il che non sa-rebbe certo un bel risultato perl’OPEC. Di certo non sarà DonaldTrump a sfavorire questa situazione.Si tratta di chiedersi, allora, se siamodi fronte a un gioco “win win” oppurese l’accordo metterà semplicementein luce l’OPEC solo per poi farla di-ventare un bersaglio nei mesi a venire.Il che fa riferimento, di nuovo, ad unapartita politica a più mani: l’accordoha messo insieme, per la prima vol-ta da anni, Arabia Saudita, Iran, Iraqe ha permesso anche a Paesi in diffi-coltà di alleviare la tensione nei mer-cati. Nello stesso tempo la Russia, sa-pendo che questa nuova situazione fa-vorirà gli Stati Uniti, utilizzerà unconfronto nuovo per raggiungereun accordo di stabilizzazione. Laverità è che chi sta facendo la sceltapiù forte, in termini di scommessa po-litica, è l’Arabia Saudita, che ha ac-cettato di farsi carico di quasi lametà del taglio ponendo fine allaguerra commerciale iniziata a fine2014 con l’Iran, forse anche nel-l’ipotesi di una collaborazione nelcampo dell’energia nucleare. Il Ve-nezuela si rimette in gioco avendo su-bito, più degli altri, danni economi-ci dalla caduta del prezzo del greggioe la Russia di Putin ha un ulterioreelemento di confronto, un’occasioneche sfrutterà a dovere. L’Europa do-vrà continuare la diversificazionedelle fonti di energia e mantenere unacerta forza politica se vorrà con-trapporsi ad un’ipotesi di accordoUSA-Russia che potrebbe tagliarlafuori dal tema dei prezzi delle fontidi energia. Tuttavia non bisogna far-si ingannare dalle apparenze: il fattoche l’Arabia Saudita abbia puntatocosì tanto sull’accordo è dato dal fat-to che nel suo establishment si è fat-ta strada una forte spinta per diver-sificare le fonti e per avere un futu-ro anche con meno o addiritturasenza petrolio. In questo 2017 sono ormai operati-vi sia l’accordo OPEC che le sceltedella COP21, confermate nellaCOP22. Si può scommettere chequeste strade non saranno necessa-riamente diverse e divergenti. Anzi,non è escluso che siano, alla lunga, in-terdipendenti e che i Paesi più accortidiplomaticamente e più flessibili eco-nomicamente si avvarranno di en-trambe le opportunità. Per questomotivo, dunque, questo sarà un annointeressante.

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VERSO UNACOLLABORAZIONEL’accordo è nato grazie al superamento di vecchie e irrisolte questioni interneall’OPEC: si pensi solo alla disponibilità dell’ArabiaSaudita nei confronti dell’Iran.Lo scopo, secondo il ministrosaudita Khalid Al Falih, èsoprattutto quello di costruireuna collaborazione di lungotermine, con possibilità di consultazioni e interventicoordinati sul mercato.

A FAVORE DELLO SHALEDonald Trump non può chevedere di buon occhiol’accordo OPEC: si tratta di una misura che rischiacertamente di fare un favoreagli Stati Uniti. Per gli analistieconomici finanziari, la risalitadel prezzo del petrolio, di fatto, può resuscitare i produttori americani dello shale.

DIVERSIFICAZIONEENERGETICAL’Europa dovrà continuare la diversificazione delle fonti di energia e mantenere una certa forza politica se vorrà contrapporsi ad un’ipotesi di accordo USA-Russia, che potrebbetagliarla fuori dal tema deiprezzi delle fonti di energia.

Interessiincrociati

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Sergio RamazzottiNato a Milano nel 1965, ha scritto e fotografato

centinaia di storie per le rivistepiù importanti del mondo.

Ha esposto le sue fotografiein numerose mostre personali

in Italia e all’estero. È statouno degli otto fotogiornalisti

italiani protagonisti della seriedi documentari “Fotografi”,

prodotti e trasmessi nel 2012-2013 dal canale

televisivo Sky Arte. Ha vinto il Premio Internazionale

di Fotografia (Los Angeles)nella categoria ‘editoriale’ nel2005; il Premio Enzo Baldoni

per il giornalismo dellaProvincia di Milano (nel 2005

e 2010), e il prestigiosoMagna Grecia Awards per la letteratura, patrocinato dal Ministero della cultura

e l’istruzione, nel 2015.

Abu Dhabi: miracolo arabo

Prima della scoperta delpetrolio nel 1970, AbuDhabi era un modestovillaggio di pescatori,

circondato dalle dune deldeserto. In poco più di 40

anni, è diventata una dellecittà più moderne della

penisola araba, con la piùalta percentuale di verdepubblico, ottenuta grazie

alla dissalazione diincredibili quantità diacqua di mare e alla

manodopera a bassocosto di migliaia di

immigrati. Sheikh Zayed,l’emiro visionario che ha

iniziato a costruire la città,non ha ceduto alla

tentazione di realizzare lesolite cattedrali nel

deserto. Nei prossimi 20anni, un progetto multimiliardario prevede lacostruzione di grandialberghi, grattacieli e

dell’immancabile parcodivertimenti, ma anche diun distretto culturale conquattro importanti musei,tra cui il nuovo Louvre, e

soprattutto un modello dicittà destinato a ospitare

la prima zero-carbon-emission

community del mondo.

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1 | La hall dell’hotel Emirates Palace. 2 | Lo straordinario pavimento del cortile interno della moschea Sheikh Zayed.3 | Due donne fanno shopping al Marina Mall. 4 | Le decorazioni floreali che caratterizzano l’interno della moschea Sheikh Zayed. 5 | Lavoratori pakistani impegnati nei lavori di manutenzione della moschea Sheikh Zayed.6 | L’ammainabandiera nel breakwater district, lungo la Corniche. 7 | L’interno del Marina Mall, il centro commerciale più grande e lussuoso della capitale. 8 | Un ragazzo mentre fa pratica di “parkour” nella Corniche.

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Nuovi equilibri nell’era dell’incertezza

Dopo l’accordodello scorso 30 novembre,l’OPEC sembraaver finalmente

ritrovato l’unità perduta. Eradal 2008 infatti che il Cartello– diviso tra i falchi guidati daIran e Venezuela e le colombeallineate con il governosaudita – non raggiungevauna linea comune in materiadi tagli alla produzione. A conferma dell’efficaciadell’intesa, il 22 gennaio si èriunito un comitato compostoda membri OPEC e paesinon-OPEC con l’obiettivo di definire i meccanismi per monitorare l’accordo.Nonostante la straordinarietàdei recenti eventi e i fortimessaggi mandati ai mercati,il prezzo del greggio non haperò reagito come auspicatoa Vienna. A rendere ancoraincerto il destino del greggiovi è infatti una situazione di fluidità nello scacchierepolitico globale che rischia, in qualche modo, dineutralizzare i progressiregistrati fino ad ora dalCartello.

Basta la guida saudita?L’Arabia Saudita – primoproduttore sia in ambitoOPEC che a livello globale –ha chiaramente virato rispettoalla strategia adottata nelbiennio precedente. Riad,infatti, sembrerebbe ormaiorientata a farsi carico di gran parte dei costi del compromesso, comedimostrano i tagli allaproduzione, scesa sotto i 10 milioni di barili al giorno, a livelli addirittura più bassirispetto a quanto previstodall’accordo di novembre.Nonostante gli sforzi sauditi,rimangono elementi diincertezza sull’impegno dialcuni Paesi a procedere con i tagli. La situazione apparecomplessa in Iraq, dove il grosso della produzione è concentrata nelle mani delle major internazionali.Nonostante queste si siano

dette disposte a cooperarecon il governo di Baghdad,come dimostrato dallariduzione delle esportazioni di gennaio dopo il picco didicembre, resta da verificarela disponibilità delle autoritàirachene a compensarefinanziariamente le major per le perdite determinate dai tagli. Anche le situazioni di Libia e Nigeria mettono a repentaglio la stabilitàdell’intesa tra i produttori.Tuttavia, un match importantedella partita si giocherà tra lemura del Cremlino. La Russia,messa in ginocchio dal crollodei prezzi e dalla pressionedelle sanzioni internazionali, siè dimostrata attore chiave peril raggiungimento dell’accordodi novembre, e sembraintenzionata a proseguirenegli sforzi cooperativi, comedimostrato dai tagli dei primidi gennaio. Nonostantequesto, alcuni cambiamenti in atto a livello internazionalepotrebbero rendere ledinamiche collaborative menourgenti per Mosca, rispetto a qualche mese fa.

Trump spariglia le carteL’elezione di Trump aPresidente degli Stati Uniti ècertamente uno dei fattori dicambiamento che influenzeràle decisioni russe: se sul pianointerno la nuovaAmministrazione cercherà di favorire una rapida ripresadel settore petrolifero,l’imprevedibilità delle suescelte di politica esterapotrebbe avere effettidestabilizzanti (in un senso o nell’altro) su un mercato del petrolio ancora in flebileripresa. In ambito energetico,

il motto trumpiano AmericaFirst si declina nell’obiettivo – a prima vista utopico –di rendere gli Stati Unitiindipendenti dagliapprovvigionamenti stranieri.Per quanto irrealistico, il messaggio pare esserearrivato forte e chiaro aiproduttori nazionali, che nelle ultime settimane hannoaccelerato le attività neigiacimenti non convenzionali.In gennaio la produzioneamericana ha registrato unacrescita di oltre 170 mila barilial giorno, miglior dato dalmaggio 2015, e anche laproposta di riforma fiscaleipotizzata dalla Casa Bianca,che ha fatto schizzarerapidamente i prezzi del WTI,potrebbe creare forti squilibrisul mercato.Nello scacchiereinternazionale l’azione di Trump può avere effettiambivalenti. Se gli attacchifrontali all’Iran e il possibileacuirsi delle tensioni nel GolfoPersico potrebbero spingereal rialzo il prezzo del greggio,tuttavia, gli ammiccamenti con Putin e un eventualeallentamento del regimesanzionatorio internazionalepotrebbero spingere Mosca a riconsiderare l’allineamento(costoso e forzoso) con glistorici rivali dell’OPEC. Senzaconsiderare i potenziali effettidelle politiche protezionistedella Casa Bianca, soprattuttonei confronti della Cina: unpossibile rallentamento dellacrescita economica globalecon chiare ripercussionisull’andamento del petrolio.

La Cina e la lotta al climate changeEd è proprio dalla Cina che,nel medio-lungo periodo,arrivano le principali minaccealla stabilità del Cartello. Allaluce dell’approccio revisionistaadottato dalla PresidenzaTrump, Pechino si staproponendo con forza comenuovo leader globale (al fiancodi un’Europa sempre piùgreen) delle politiche di

decarbonizzazione. A causadei livelli di inquinamento chehanno raggiunto picchi diinsostenibilità, e che rischianodi danneggiare soprattuttouna classe media urbanasempre più esigente ecentrale nelle dinamiche dipotere cinese, il governo haintrapreso ambiziose misureper velocizzare la transizioneenergetica. Nel 2016, Pechinonon ha soltanto raddoppiatola sua capacità di generazioneda energia solare per limitarel’impatto delle centrali acarbone sull’ambiente: ancorpiù impressionanti sono i datinel settore dei trasporti, doveil numero delle auto elettricheè cresciuto di oltre due volterispetto all’anno precedente.Oggi questo mercato ha giàsuperato le dimensioni diquelli americano ed europeomessi insieme, el’introduzione di sussidigovernativi nel settore nonfarà altro che accelerarequesta tendenza. In questocontesto, una rapidatransizione dal tradizionalemodello basato su carbone e petrolio a uno incentrato sul combinato rinnovabili+gased elettrico, rispettivamentenei settori della generazione e dei trasporti, potrebbe avereeffetti significativi sul futurodella domanda globale digreggio, e di riflesso, suldestino dei Paesi produttori.

NICOLÒSARTORI

Nicolò Sartori è Senior Fellow e Responsabile del ProgrammaEnergia dello IAI, dovecoordina progetti sui temidella sicurezza energetica, con particolare attenzionesulla dimensione esterna della politica energeticaitaliana ed europea.

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Un’amicizia fondata sul petrolio?

Èimprobabile chel’approvazione di Donald Trumpper Putinprescinda dal

tornaconto che potrebberoricavarne gli Stati Uniti.Raramente le simpatie di un riccone prescindonodal calcolo, da qualchevantaggio economico, che potrebbe essererappresentato proprio dalpetrolio. NATO e Ucraina,minaccia dell’ISIS,avversione per ilpoliticamente corretto, sonotutti argomenti seri d’intesatra i due, ma di non univocasoluzione, dunque monchi,troppo complicati. Il petroliopotrebbe essere perciò ilnodo cruciale di un accordo.Come lascia sospettare purela nomina a segretario distato di Rex Tillerson che hapiù esperienza dell’industriapetrolifera russa di ogni altro,avendo negoziato una jointventure di 500 miliardi didollari con il Cremlino perRosneft nel 2011. E si èverificato dall’inizio di questapresidenza: dietro Trump non ci sono le multinazionalid’internet, piuttosto èl’industria tutta, compresaquella petrolifera, asostenerlo. Dunque, per dareconcretezza al desiderio di amicizia con Putin, cosa ci sarebbe di meglio di unastabilizzazione dei prezzi? Unprezzo tra i 60 e gli 80 dollarial barile potrebbe servire alCremlino per sanare il suobilancio pubblico e il difettodi crescita e, però,servirebbe anche ai frackersdegli Stati Uniti per investirein altri progetti; il tutto senzache gli automobilistiamericani ne sentano troppodanno.

Tutto nacquedall’industria petroliferaE del resto anche a GeorgeW. Bush, nei primi anniduemila, quando avevadeciso che le relazioni con la Russia dovevano diventare

più strette, era sembrato cheil terreno migliore per iniziarea farlo fosse quellodell’industria petrolifera. Manel 2004, le nazionalizzazionirusse del settore energeticoe lo sviluppo delle tecniche di fracking da parte degli americani mutarono il quadro. Gli Stati Unitidiventarono più diffidenti epersero intenzioni e interessea dividere la loro tecnologia e i loro investimenti con i russi. Certo, nel prossimodecennio, gli Stati Uniti si avvieranno a divenireesportatori netti, e dunque a dare al mercato del petrolioun impulso alla lungadeflattivo. Ma per ora prezzimigliori servono sia ai russi e sia agli americani: ecco un argomento che potrebbeevitare di ripetere il fallimentoseguito all’Energy Summit di Houston nel 2002. Se proseguiamo nelragionamento va, inoltre,constatato che entrambe le potenze si sono bilanciatefinora nell’area più crucialeper il petrolio, il MedioOriente, sostenendo unalleato locale: l’ArabiaSaudita, da decenni

strategica per gli interessidegli Stati Uniti, e l’Iran,evoluta ad alleanza tatticatotale con la Russia di Putin.Ma se davvero le relazionirusse americane si dessero il petrolio come riferimentocentrale, questa dialetticamediorientale potrebbemutare e di molto.S’indebolirebbe il ruologiocato dai due alleati perentrambe le potenze, le qualipotrebbero, meglio diqualunque accordo OPECe non-OPEC, ostacolare la politica di calmieramento al ribasso dell’Arabia Saudita.E inoltre, per mantenereequilibrato il gioco, isolare e complicare la vita all’Iran.

Le recenti posizioniamericaneA fine gennaio Trump, nella visita alla CIA, si èrammaricato che gli americaninon si siano presi il petroliodell’Iraq nel 2003,aggiungendo che forse ci sarà un’altra possibilità. Maè dalla campagna elettoraleche Trump biasima l’influenzadell’Iran in Iraq. Ai primi di febbraio, quindi, è arrivato il generale Flynn che ha

condannato il test balisticoiraniano e inoltre l’attacco dei ribelli Houti, sostenutidall’Iran, al naviglio saudita;facendo guadagnare tra l’altroa Trump una volta tanto il consenso del partitorepubblicano. Insomma, la questione di una risalita delprezzo del petrolio si contorcein una partita geopolitica traRussia e Stati Uniti non pococomplicata. Vi rientra peresempio la spartizione dellaSiria, né potrebbe escludersila destabilizzazione dell’Iran.Ed è difficile pensare che a vincere sarebbe alla finel’Arabia Saudita.

Alla fine si può parlaredi accordo storicoIn conclusione l’accordo di Vienna deve essere vistocome un sintomo che la percezione del pericolo dei prezzi troppo bassi per i bilanci pubblici e la stabilitàpolitica degli stati produttori, è diventata unanime. Conl’amministrazione Trump,aumentano le probabilità di uno scenario sovvertito in tutta l’area, con unricombinarsi degli interessirussi e americani, di cui dicerto beneficerà Israele. Manon può dirsi altrettanto perl’Arabia Saudita e gli altri Statisunniti del Golfo. Le difficoltàdell’Iran e i prezzi più alti del petrolio renderebberosuperflua e meno strategical’Arabia Saudita. Tanto più chenel nostro breve scenarioabbiamo trascurato che lapartita non sarà giocata soloda Trump, ma anche e connon minore abilità da Putin.

Geminello Alvi ha lavoratopresso la Banca deiRegolamenti Internazionali di Basilea, è stato assistente di Paolo Baffi, ha collaboratocon il Gruppo Espresso, con il Corriere della Sera, e collabora attualmente con l’AGI.

GEMINELLO ALVI

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Nel quarto trimestre 2016 ladomanda mondiale di petroliocresce di 1,6 Mb/g, portando

l’incremento complessivo dell’anno a 1,5 Mb/g. Nonostante la domandarallenti rispetto al 2015, anno con la crescita più elevata dal 2010 (+2Mb/g vs 2014), i tassi si mantengonoben al di sopra della media dell’ultimadecade. Temperature più rigide nelnord Europa e una ripresa deiconsumi dell’industria nelle economieemergenti in Asia sostengonol’accelerazione dei consumi nell’ultimotrimestre. In termini di prodotti, se nei primi 3 trimestri la benzina hafatto da traino alla crescita, nell’ultimoi prodotti maggiormente legatiall’attività economica (gasolio/diesel,GPL e olio combustibile) hannoripreso ad assumere un ruolo di primopiano. Nell’area OCSE, l’Europaaumenta per il secondo annoconsecutivo, dopo nove anni di calostrutturale. Alla base un miglioramentodelle prospettive economiche incorso, come rivelano l’indice PMI e del sentimento economico che a novembre hanno raggiunto il livellopiù alto dell’anno. Gli USA invecerimangono sostanzialmente stabilinonostante la benzina abbia superato

il picco storico del 2007. Il 2016 siconferma infatti l’anno record dellepercorrenze e delle immatricolazioni di SUV (oltre 60% del totale), autospesso caratterizzate da maggioriconsumi medi. Determinante per iconsumatori americani è lo stimolodel basso prezzo alla pompa dellabenzina. Nel non OCSE i consumiaccelerano nel quarto trimestrerispetto al terzo (+1,4 Mb/g vs +0,9

Mb/g) in particolare quelli di GPL, chegrazie al sostegno della petrolchimicain Cina e del settore civile in India,contribuiscono per quasi la metàdell’incremento totale dell’area (+0,6Mb/g). In Cina a novembre sette tra i maggiori impianti di deidrogenazionedel propano riportano aumenti nei tassi di utilizzo e tra ottobre e novembre entrano in marcia nuoviimpianti (Oriental Energy; Hebei

Haiwei). In India il governo staampliando la rete di distribuzione del GPL per usi civili per garantirel’accesso all’energia a oltre 15 milionidi case nel corso del 2016-2017.Complessivamente nel 2016 la Cinacontinua a crescere, seppur inridimensionamento rispetto al 2015(+0,4 Mb/g vs +0,7 Mb/g), mentrel’India quasi raddoppia il passo (+0,29Mb/g vs +0,15 Mb/g).

L’offerta mondiale di petrolio chiudeil 2016 in crescita di appena 0,3Mb/g vs 2015 (96,9 Mb/g):

il non OPEC è in flessione per effettosoprattutto dei tagli capex degli ultimidue anni, di contro l’OPECcontrobilancia il calo registrando unpicco storico. Negli ultimi mesi del 2016si arresta il declino della produzione di greggio USA che torna a 8,8 Mb/g (-0,5 Mb/g vs 2015). La Cina, invece,continua a flettere, perdendo 0,3 Mb/grispetto al 2015, in conseguenza deltaglio allo spending dei campi maturi,più costosi. La produzione di greggiorusso continua a salire e nel 4Q siconferma sopra 11,2 Mb/g (+0,4 Mb/gvs 4Q 2015): nel 2016 la Russia restaprimo produttore di greggio con 11Mb/g (+0,3 Mb/g vs 2015) grazieall’accelerazione nell’attività di drilling (in particolare di Gazprom Neft,Bashneft e Novatek) per fermare ildeclino. Cresce ancora il Brasile graziealla produzione di Lula e allo start up nelcampo offshore di Lapa (Santos Basin).Nel 2016 la produzione di greggioOPEC cresce per il secondo annoconsecutivo di circa 1 Mb/g, in seguitoall’aumento dell’output dei grandi

produttori del Golfo nel 4Q (+1,8 Mb/g):nel mese di novembre il Cartello tocca il valore record di 33,4 Mb/g. In testal’Arabia Saudita che nell’intento direcuperare quota di mercato raggiungeil massimo storico di 10,6 Mb/g.Inarrestabile la crescita dell’Iraq che chiude l’anno a 4,6 Mb/g e sorprendente la ripresa dell’Iran

che negli ultimi mesi torna ai livelli pre-embargo. La Libia recupera, dopola riapertura di alcuni terminali strategicisuperando a dicembre 0,6 Mb/g, il valore più alto degli ultimi due anni.Un’ulteriore crescita dell’output libiconel breve è tuttavia vincolata allastabilità politica e allo sblocco di diversifondi da parte della Banca Centrale.

Resta critica la situazione in Nigeria che chiude l’anno al livello più basso dal 1988. Strutturale la crisi del Venezuela che nell’anno vede la produzione ai minimi dal 1990.Il 2017 si apre con la grande incognitadella compliance al taglio congiuntoconcordato a fine anno (-1,8 Mb/g, di cui -1,2 Mb/g OPEC).

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VARIAZIONE ANNUALE DELLA DOMANDA MONDIALE E PER AREE

VARIAZIONE ANNUALE DELL’OFFERTA DI GREGGIOFonte: elaborazioni Eni su dati IEA, variazione annuale

Fonte: elaborazioni Eni su dati IEA, variazione annuale

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Happy new swing (producer)GLI ANDAMENTI DEL MERCATO

Il 2016 è stato il secondo annushorribilis per il Brent che raggiungeil valore minimo degli ultimi 13 anni

(44 $/b). A gennaio la quotazione più bassa (30,7 $/b), e nel corsodell’anno il greggio recuperasostenuto dalle aspettative di unritorno dell’OPEC come Cartello. A febbraio il meeting di Doha è la prima tappa di un lungopercorso a ostacoli che porta a fineanno all’accordo trasversale, il primodal 2001, sui tagli congiunti OPEC e non-OPEC. Fallito il meeting diaprile l’OPEC continua a crescere,con Arabia Saudita e Iraq ai massimie con il rientro più rapido del previstodell’Iran. Le disruption nel frattemposostengono il prezzo e a maggioarrivano a sottrarre circa 2 Mb/g di offerta. Ad Algeri a fine settembrel’annuncio di un possibile taglioriporta il Cartello al suo ruolo centralee il prezzo raggiunge i 50 $/b per la prima volta da luglio 2015. Nel meeting del 30 novembrefinalmente l’accordo: da gennaio eper sei mesi un taglio di 1,2 Mb/g (dicui Arabia Saudita -0,5 Mb/g). Ancheil non-OPEC partecipa e prometteun’ulteriore riduzione di 0,6 Mb/g (dicui Russia -0,3 Mb/g). Il 2016 chiudecon un surplus decisamente inferiorerispetto al 2015 (0,5 Mb/g vs 1,6Mb/g) mostrando i primi segnali di ribilanciamento del mercato. Le scorte industriali OCSE, anche seancora elevate, iniziano a scendere a fine anno. L’esposizione in acquistodegli operatori finanziari sui mercati a futuri è ai massimi di sempre,riflettendo un deciso ottimismo sulla risalita dei prezzi. A inizio 2017l’attenzione è puntata sull’effettivitàdei tagli. I primi dati sono positivi: la compliance OPEC è all’82% e,soprattutto, l’Arabia Saudita ritornaswing producer e taglia oltre il 100%del suo target. Il Ministro Sauditacomunque, confidente nelribilanciamento dei fondamentali e in uno scarso recupero degli USA,vede improbabile una prorogadell’accordo nella seconda partedell’anno. A contenere il prezzo il timore del recupero della Libia e di una rapida ripresa delleproduzioni negli USA, dovel’aumento dei rig a partire dallaseconda parte del 2016 inverte iltrend in declino e profila un recupero.

L’accordo piace ad analisti e investitori ma deve ancora riportare l’equilibrio sul mercato� IL PREZZO

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QUOTAZIONE DEL GREGGIO BRENT

BILANCIO OFFERTA/DOMANDA

Fonte: EIA-DoE, Europe Brent Spot FOB mensili

Fonte: elaborazioni Eni su dati IEA

A cura di Scenari di Mercato e Opzioni Strategiche di Lungo Periodo Oil (SMOS/OIL) - Eni

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