Marxismo Rivoluzionario n.9

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Marxismo Rivoluzionario LENIN NOVANT’ANNI DOPO n. 9 - I trimestre 2014 rivista teorica del Partito Comunista dei Lavoratori

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MARXISMO RIVOLUZIONARIO n. 9RIVISTA TEORICA DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

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MarxismoRivoluzionario

LENIN NOVANT’ANNI DOPO

n. 9 - I trimestre 2014

rivista teorica del Partito Comunista dei Lavoratori

Sommario:

pag 1. Torna Marxismo Rivoluzionario

di E. Gemmo e F. Grisolia

pag 3. La politica di Lenin

di Marco Ferrando

pag 6. Una vita per la rivoluzione

di Tiziano Bagarolo

pag 18. Natura e funzione del partito

di Franco Grisolia

pag 23. Coscienza spontanea e coscienza socialista

di V. Lenin

pag 25. Lenin sconosciuto: la rivoluzione

sovietica e l’ecologia

di T. Bagarolo

pag 38. Lenin e la lotta contro Stalin

di Eugenio Gemmo

pag 41. Lettera al Congresso

il Testamento di Lenin

pag 43. Il partito leninista uno strumento ancora attuale

di Piero Nobili

Dopo una lunga interruzione, ri-compare qui, per il momento in forma elettronica (in ogni caso stampabile) Marxismo Rivoluzio-nario, che fu la rivista teorica della sinistra trotskista conseguente del Partito della Rifondazione Comuni-sta, organizzata nella Associazio-ne Marxista Rivoluzionaria (AMR), e poi, sia pure per un solo nume-ro, del Movimento per il Partito Co-munista dei Lavoratori, che visse tra la nostra rottura con il PRC, nel maggio 2006 e il 1º congresso del Pcl, a gennaio del 2008.

La sua mancata pubblicazione, come rivista teorica del PCL, do-vuta prevalentemente a difficolta’ tecnico-organizzative, e’ stata cer-tamente una grave mancanza per il nostro partito.

In parte ad essa ha supplito, inevi-tabilmente, la pubblicazione di ar-ticoli semiteorici sul nostro foglio periodico, il Giornale Comunista dei Lavoratori. Con la ripresa Mar-xismo Rivoluzionario si ritorna ad una più logica strutturazione del-la nostra stampa, con un organo teorico e un giornale prevalente-mente di propaganda e, ove pos-sibile, di agitazione.

E’ vero che nella storia delle or-ganizzazioni marxiste rivoluzio-narie, privilegiando un giornale di propaganda e agitazione, non e’

stata rara l’esistenza di un partito privo della pubblicazione di una rivista teorica. Cosi’ accadde, ad esempio, ai nostri compagni del Partido Obrero argentino, che, alla fine degli anni ‘90, interruppe per alcuni anni la pubblicazione del-la sua rivista teorica “En defensa del Marxismo”. Ma si e’ sempre trattato, al di la’di ogni valutazione specifica, di una scelta discutibile e obiettivamente negativa.

Naturalmente ogni articolo o an-che volantino di una forza conse-guentemente marxista rivoluzio-naria, contiene elementi di teoria; ma uno sviluppo complessivo in articoli privi di limiti di spazio ri-stretti e tesi non a presentare in maniera semplificata e popolare le nostre teorie ma a riesaminar-le, approfondirle e , se necessario aggiornarle; e ad analizzare, in maniera compiuta gli avvenimenti odierni, proprio alla luce della te-oria marxista, e’ certamente cosa molto diversa.

A questo serve dunque Marxismo Rivoluzionario: a chiarire al Partito ( e, nell’ambito di un quadro piu’ vasto, all’Internazionale) le nostre posizioni programmatiche, per formare su di esse in particolare i nuovi militanti e gli aderenti al partito e renderli cosi’ in grado di meglio saper intervenire, da qua-dri marxisti rivoluzionari, nella lot-

Torna Marxismo Rivoluzionariola rivista teorica del Pcl

Senza teoria rivoluzionaria non ci può essere

movimento rivoluzionario!

Lenin

di E. Gemmo e F. Grisolia

pag 1

Marxismo Rivoluzionario n. 9 - I trimestre 2014

Direttore Responsabile

Francesco Moisio

Condirettori Franco Grisolia

Eugenio Gemmo

Progetto grafico

Giacomo Cei

Hanno collaborato

Marco FerrandoPiero Nobili

supplemento al giornale comunista dei lavoratori

ta di classe. Come scriveva Lenin “Senza teoria rivoluzionaria, non c’e’ movimento rivoluzionario”.

Questo numero di ripresa e’ un numero speciale dedicato proprio al grande teorico marxista e diri-gente della rivoluzione russa del 1917, Lenin. Cadono infatti all’inizio di quest’anno, e precisamente il 21 gennaio, 90 anni dalla sua morte.

anniversario della morte, ad ecce-zione dell’articolo sull’attualità del Partito leninista come strumento ri-voluzionario e di quello sull’ultima battaglia di Lenin contro Stalin.

Che si ripubblichino tali articoli e’ logico, in quanto nulla e’ cambia-to della nostra analisi politica del leninismo e di Lenin. D’altro canto

-oltre al fatto che una rivisitazione di un articolo può sempre permet-tere di affinarlo, chiarendo meglio i concetti e i fatti o aggiungendo-ne di trascurati- un articolo teorico marxista non e’ un testo astratto, ma, in larga misura uno strumento di battaglia e formazione politica legata alla situazione in cui ci si trova. In particolare 10 anni fa la AMR era una corrente organizzata all’interno del PRC. Per questo era importante argomentare la difesa e spiegazione del leninismo sia di fronte alle posizioni neo-social-democratiche di sinistra di Fausto Bertinotti, che a quelle neo-stalini-ste dell’ala capeggiata da Gras-

Ricordarne il contributo essenziale, al contempo, appunto, teorico e pratico, al marxismo e’ un dovere per un partito come il no-stro. Cosi’ come ricordare che a partire dal momen-to della sua grave malat-tia, nel 1923, e poi della sua morte, si sviluppo’ il lungo processo della con-trorivoluzione staliniana, che massacrerà la grande maggioranza dei quadri dirigenti della rivoluzione del 1917 e, con un lungo percorso, porterà fino alla restaurazione del capitali-smo in Russia e negli altri stati che, sia pure in forma distorta, erano sfuggiti al controllo del capitalismo, sempre sulla base della “spinta propulsiva” della rivoluzione diretta in pri-

mis da Lenin.

E se alla base della controrivo-luzione staliniana, ci furono fe-nomeni oggettivi ( il fallimento dell’estensione della rivoluzione socialista all’Europa occidentale, l’arretratezza sociale ed economi-ca della Russia, etc.), la sua morte favori’ enormemente l’instaurazio-ne di tale processo contro-rivolu-zionario.

Gli articoli qui presenti sono, in maggioranza rielaborazioni di quelli pubblicati su Marxismo Rivo-luzionario n. 3 pubblicato 10 anni fa, in occasione dell’ottantesimo

si, Sorini, etc, e anche, in questo modo, cercare di educare politi-camente quegli elementi, “cen-tristi” di sinistra , che, con grande confusione teorica e ideologica, per il loro impulso rivoluzionario sostenevano, tra mille dubbi, il no-stro documento nei vari congressi del PRC ( compagni, che in buona misura, salvo alcune importanti maturazioni, si sono poi persi per

strada nel periodo tra il 2006 e il 2008).

Oggi quelle esigenze non sono più presenti e gli articoli, pur restando in larga misura uguali, hanno perso quei rife-rimenti datati.

Nel riprendere la pubblica-zione di Marxismo Rivoluzio-nario, ci sentiamo in grado di prendere un impegno. Que-sto numero non sara’ “una tantum”. Quello che abbiamo afferma-to all’inizio di questa nota in-troduttiva ci obbliga ad essere coerenti. Non sappiamo dire se già il prossimo numero, che usci-rà prima dell’ estate, sara’ stampato o ancora in forma telematica. Ma l’obbiettivo di mantenere questa voce teori-ca del trotskismo conseguen-

te in Italia lo dobbiamo realizzare e, per quanto siano le difficoltà, crediamo proprio che lo realizze-remo.Per contribuire anche con questa rivista a rafforzare l’unico partito in Italia, che si pone realmente , nel-la tradizione di Marx ed Engels , di Lenin e di Trotsky e del Partito Co-munista d’Italia del 1921, la rivolu-zione socialista nel nostro paese, nell’ambito dell’obiettivo strategi-co dei Comunisti fin dal Manifesto del 1848: la rivoluzione socialista internazionale, con la costituzio-ne della repubblica mondiale dei consigli dei lavoratori.

pag 2

LA POLITICA DI LENINPrincipi e tattica per la rivoluzione

pag 3

di Marco Ferrando

Autonomia di classe e battaglia per l’egemonia, intransigenza dei principi e duttilità della tattica: sono questi gli elementi essenziali della politica di Lenin sia sul ver-sante russo, sia sul versante inter-nazionale.

Con una precisa avvertenza: nes-suno di quegli elementi è in qual-che modo “isolabile”, ed anzi ognuno di essi trova il suo stesso significato proprio nella relazione dialettica con l’insieme degli altri fattori. E questa relazione a sua volta è governata dal fine: il ro-vesciamento della borghesia, la conquista proletaria del potere. Tenere presente questo insieme, razionalizzarlo, assimilarlo è con-dizione decisiva per comprendere il leninismo nella sua profondità e attualità. Rimuoverlo o disper-derlo significa fare, fosse pure involontariamente, la caricatura del leninismo; e prestarsi a quelle innumerevoli e interessate defor-mazioni di cui è stato oggetto da parte della socialdemocrazia, del-lo stalinismo, del centrismo.

Luxemburg e Lenin nella bat-taglia internazionale antire-visionista

L’autonomia di classe del movi-mento operaio dalla borghesia è la base stessa del marxismo. Tut-ta la politica di Lenin parte dalla riaffermazione di questo principio basilare. E non in termini astratti, ma nel vivo della battaglia politica all’interno del movimento operaio internazionale e della socialde-mocrazia russa.

Lungo il corso della sua evoluzio-ne storica, già nel primissimo No-vecento la II Internazionale aveva visto riaffacciarsi al proprio interno tendenze apertamente “revisioni-ste”: che mettendo in discussione la prospettiva stessa della rivolu-zione socialista, attaccavano il principio dell’indipendenza politi-ca di classe e legittimavano scel-te di collaborazione con governi borghesi. Se la via “realistica” al socialismo passava ormai attra-verso la progressiva modifica de-gli equilibri parlamentari e istitu-zionali, perché mai continuare ad opporre un’obiezione di principio all’ingresso di propri ministri nei governi borghesi “progressisti”?

Se i socialisti fossero determinan-ti per una più avanzata maggio-ranza politica di governo un loro disimpegno e “isolamento propa-gandistico” non favorirebbe forse le forze reazionarie a tutto danno del movimento operaio?

Eduard Bernstein aveva dato cor-posità teorica a queste sollecita-zioni, ben presenti nel settore par-lamentare della socialdemocrazia tedesca e nelle sue rappresentan-ze istituzionali regionali (lander). E il “caso Millerand” in Francia nel 1900, con l’aperto ingresso di un parlamentare “socialista” in un governo borghese, testimoniava che la questione era tutt’altro che una questione “teorica”.

Queste posizioni furono inizial-mente combattute dalla maggio-ranza delle forze dell’Internaziona-le. Ma in termini e da angolazioni significativamente differenti.

Kautsky e il suo “centro” sviluppa-rono un contrasto debole, segna-to dalla preoccupazione domi-nante di una possibile scissione della destra parlamentare della socialdemocrazia: un contrasto che finiva col ridurre la questione,

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fondamentalmente, alla necessa-ria riaffermazione dell’autorità del partito nei confronti dei suoi grup-pi parlamentari ma che sminuiva il carattere politico e di principio del problema. Era l’esordio storico del centrismo, e il presagio della sua deriva futura.

Fu invece la sinistra rivoluzionaria dell’Internazionale a partire da Rosa Luxemburg a sviluppare con-tro il revisionismo una battaglia politica di fondo e di principio.

Riforma sociale o rivoluzione, scrit-to dalla grande Rosa nel 1898 in diretta risposta a Bernstein, è sotto questo profilo un testo magistrale che demolisce l’intero impianto te-orico del revisionismo e ne svisce-ra impietosamente le implicazioni politiche e pratiche: innanzi tutto l’abbandono dell’indipendenza politica di classe a favore del “mi-nisterialismo”. E non si trattava so-lamente di una risposta “teorica”. Luxemburg denunciò con vigore tutti i sintomi della cancrena che si avvicinava: dalle combinazioni governative tra socialdemocrazia tedesca e centro borghese catto-lico in alcuni lander regionali sino al voto a favore da parte di setto-ri parlamentari socialdemocratici a stanziamenti governativi per la spesa militare. Ed estese la bat-taglia al terreno internazionale: contrastando con due bellissimi articoli il cosiddetto “esperimento belga”, che nel 1902-03 aveva vi-sto il sacrificio delle potenzialità di lotta indipendente del movimen-to operaio ad un “inammissibile” blocco politico, fosse pure transito-rio, tra la socialdemocrazia belga e il liberalismo borghese in nome di una riforma (oltretutto contrad-dittoria) del sistema elettorale.

Fu proprio questa vigorosa batta-glia contro le prime manifestazioni della deriva emergente, a rivelare agli occhi di Rosa la timidezza op-portunistica del centro di Kautsky, il suo rifiuto di una battaglia vera, e quindi ad affrettare la sua rottu-ra col kautskismo nel 1908 (con lo scritto Teoria e prassi).

La tendenza bolscevica della so-cialdemocrazia russa fu parte della battaglia della sinistra rivo-luzionaria della II Internazionale. E’ vero: Lenin comprenderà più tardi di Rosa la natura politica del centrismo kautskiano (e quando la comprenderà la sua contrap-posizione al centrismo kautskiano

sarà semplicemente spietata). Ma la sua opposizione al revisioni-smo fu dall’inizio caratterizzata da un’argomentazione di principio intransigente che andava ben al di là dell’obiezione kautskiana. Valga per tutti l’articolo del 1908 dedicato interamente alla denun-cia del fenomeno revisionista e alla difesa dell’indipendenza po-litica del proletariato internazio-nale: “L’esperienza delle alleanze, degli accordi e dei blocchi col li-beralismo socialriformista in Oc-cidente e col riformismo liberale (cadetti) nella rivoluzione russa ha dimostrato in modo convincente che questi accordi non fanno che annebbiare la coscienza delle masse, non accentuano ma atte-nuano l’importanza effettiva della loro lotta, legando i combattenti agli elementi più inetti alla lotta, più instabili e inclini al tradimento. Il millerandismo francese, che è l’esperienza più notevole di appli-cazione della tattica politica revi-sionista su grande scala, su scala veramente nazionale, ha dato del revisionismo un giudizio pratico che il proletariato di tutto il mondo non dimenticherà mai…

“‘Il fine è nulla, il movimento è tut-to’, queste parole alate di Bernstein esprimono meglio di lunghe dis-sertazioni l’essenza del revisioni-

smo. Determinare la propria condotta caso per caso; adat-tarsi agli avvenimen-ti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici; dimenticare gli inte-ressi vitali del prole-tariato e i tratti fon-damentali di tutto il regime capitalista, di tutta l’evoluzione del capitalismo; sacrifi-care questi interessi vitali a un vantaggio reale o supposto del momento, tale è la politica revisionista.” (Lenin, Marxismo e revisionismo, in Opere scelte, vol. II, p. 10).

E non fu un testo iso-lato. Basti pensare a quanto Lenin scrive-va, ad esempio, già nel 1899: “Che cosa hanno introdotto di

nuovo in questa teoria i chiassosi ‘innovatori’ che hanno al presente sollevato tanto rumore, raggrup-pandosi attorno al socialista tede-sco Bernstein? Assolutamente nul-la: non hanno fatto fare un solo passo avanti ala scienza che Marx ed Engels ci hanno raccomanda-to di sviluppare; non hanno in-segnato al proletariato nessun nuovo metodo di lotta; non han-no che ritirarsi, prendendo a pre-stito frammenti di teorie arretrate e predicando al proletariato non la teoria della lotta, ma la teoria dell’arrendevolezza; dell’arrende-volezza nei confronti dei peggiori nemici del proletariato, dei gover-ni e dei partiti borghesi...” (Lenin, Il nostro programma).

Detto di passata, la riscoperta di questi articoli di Lenin è già di per sé sufficiente a smentire ra-dicalmente la tesi tanto diffusa di una natura esclusivamente “russa” del bolscevismo, di una sua estraniazione dalla storia del movimento operaio europeo. La verità è opposta: nonostante l’in-dubbia specificità delle condizio-ni russe, nonostante le specificità delle condizioni di vita della so-cialdemocrazia russa del primo Novecento, condannata ripetuta-mente alla clandestinità, Lenin e il bolscevismo trovarono naturale partecipare attivamente alla vita

dell’Internazionale e, in essa, alla battaglia per il marxismo rivoluzio-nario e per l’indipendenza politica di classe. Socialdemocrazia e sta-linismo, per ragioni diverse hanno cancellato “questo” Lenin interna-zionalista del primo Novecento. E’ bene che i marxisti rivoluzionari lo riportino oggi alla luce.

Il bolscevismo contro l’alle-anza con la borghesia libe-rale

Ma è soprattutto nella vicenda russa che la battaglia leninista per l’autonomia del movimento operaio si dispiegò in tutta la sua ricchezza come asse centrale del bolscevismo.Tanta parte della vulgata stalinia-na ha teso a “ricostruire” la storia del bolscevismo russo, come sto-ria di una ricerca di blocco con la borghesia liberale in nome della necessità della “rivoluzione de-mocratica”: una ricerca che poi sarebbe naufragata per il disim-pegno della borghesia russa. Non era questo il senso – essi dicono – della vecchia parola d’ordine bol-scevica della “dittatura democrati-ca degli operai e dei contadini”?

Nulla è più lontano dalla verità.

La formula della “dittatura demo-cratica” degli operai e dei contadi-ni, varata da Lenin alla vigilia della rivoluzione del 1905, rivelava – è vero – un problema irrisolto (e non

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secondario) circa la dinamica della rivolu-zione russa e, in essa, circa il rapporto tra misure democratiche e misure socialiste, quindi tra proletariato e masse contadine. Era, per così dire, una formula “algebrica”, non priva di rischi, che solo lo sviluppo della rivoluzione del ’17 e la battaglia di Lenin avrebbero tradotto – come vedremo – in termini conseguente-mente rivoluzionari.

Ma equivocare tra tale questione e il rapporto del bolscevi-smo con la borghesia liberale è una colos-sale mistificazione.

Al di là delle sue contraddizioni irrisolte la formula della “dittatu-ra democratica degli operai e dei contadini” non solo escludeva nel modo più netto ogni blocco politi-co con la borghesia liberale russa ma si basava esattamente sulla rivendicazione della rottura più radicale con quella borghesia .

In definitiva, tutta la concezione leninista della rivoluzione russa, e tutta la battaglia del bolscevi-smo contro il menscevismo – dal 1903-05 sino all’ottobre del ’17 – ruotano attorno a questo nodo strategico cruciale: la lotta per l’in-dipendenza del proletariato russo dal liberalismo borghese “pro-gressista”.

La concezione menscevica della rivoluzione russa, in incubazione dal 1902-03 ma sviluppatasi com-piutamente alla vigilia del 1905, si basava su un assunto molto chia-ro: la prossima rivoluzione russa sarà “una rivoluzione borghese” in virtù dell’arretratezza della Rus-sia feudale e zarista, quindi il com-pito della socialdemocrazia sarà quello di rispettare questa natura-le tappa storica, rispettando l’ege-monia borghese sulla rivoluzione, ed anzi incoraggiandola attiva-mente: perché solo se la borghe-sia si deciderà a prendere la testa della “sua” rivoluzione, superan-do incertezze e tentennamenti, si potrà avviare una vera moderniz-zazione capitalistica e occidentale

della Russia, con il suo parlamen-to e le sue istituzioni liberali; e solo quando questo accadrà potrà ini-ziare la lotta della socialdemocra-zia per il socialismo, che è tappa storica successiva. Questa conce-zione generale – che interpretava il materialismo storico in termini “positivisti”, secondo una visione sempre più dilagante nella II Inter-nazionale – finiva con il teorizzare di fatto una politica di blocco con la borghesia nella “rivoluzione de-mocratica”: quindi una sospensio-ne della lotta contro la borghesia nel quadro di tale rivoluzione.

Ebbene: il bolscevismo si sviluppò contro questa concezione e que-sta politica. A partire da una con-cezione per molti aspetti opposta della rivoluzione russa e della sua prospettiva. Lenin riconosce-va il carattere democratico dei compiti immediati della rivoluzio-ne (riforma agraria e assemblea costituente). Ma non per questo riconosceva un ruolo egemone della borghesia nella rivoluzione. Al contrario. Lenin analizzava me-ticolosamente i mille intrecci tra zarismo e liberalismo russo, tra borghesia industriale e proprie-tà fondiaria, tra borghesia russa e capitale internazionale. Perciò stesso comprendeva che la bor-ghesia russa non solo non si sa-rebbe posta alla testa di una “rivo-luzione democratica” ma temeva la rivoluzione popolare più di ogni altra cosa: il suo obbiettivo massi-mo era il superamento dell’auto-crazia zarista in direzione di una monarchia costituzionale, ma pro-prio per disinnescare la miccia di una possibile esplosione rivolu-zionaria antizarista. Del resto: lo stesso liberalismo borghese nel-la rivoluzione francese del 1789 o nella rivoluzione inglese della metà del Seicento, o nel risorgi-mento nazionale italiano, non si era forse sistematicamente con-trapposto alla trascrescenza po-polare della rivoluzione per non mettere a rischio il proprio ruolo sociale? Il giacobinismo france-se, gli indipendenti di Cromwell, il mazzinianesimo italiano, le ten-denze piccolo borghesi radicali delle rivoluzioni borghesi: non si erano forse scontrate, persino al di là delle loro intenzioni iniziali, con il carattere controrivoluziona-rio della borghesia liberale? E se ciò era accaduto persino in epo-che storiche non ancora segnate prevalentemente dalla contraddi-

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zione di classe tra capitale e lavo-ro e dello sviluppo del movimento operaio, quale ruolo “rivoluziona-rio” avrebbe mai potuto esercitare la borghesia russa a fronte di una classe operaia in rapida espansio-ne e in un contesto internazionale segnato dall’ascesa sociale e po-litica del movimento operaio? La conclusione di Lenin era inequivo-ca: “La borghesia russa è e sarà controrivoluzionaria sullo stesso terreno democratico”.

Il suo modello di riferimento – di-ceva Lenin – sarà la “via prussia-na”: un compromesso politico con lo zarismo attorno a un progetto di modernizzazione autoritaria, controllata, dall’alto, senza la par-tecipazione popolare e contro le rivendicazioni operaie e contadi-ne. Per questo un’autentica rivolu-zione democratica capace di rea-lizzare in modo conseguente una radicale riforma agraria e di con-quistare l’assemblea costituente potrà essere realizzata solamente dagli operai e dai contadini russi contro la borghesia russa. La for-mula della “dittatura democrati-ca operaia e contadina” rifletterà precisamente questa prospettiva di rottura col liberalismo russo in aperta contrapposizione al men-scevismo.Aggiungo che la stessa conce-zione leninista del partito in con-trapposizione alla concezione menscevica – quale fu codificata nel II congresso del Posdr – ave-va una precisa connessione con le diverse concezioni delle due tendenze circa la prospettiva della

rivoluzione russa e il rapporto con la borghesia: il menscevismo rica-vava dall’“inevitabile” egemonia borghese sulla rivoluzione demo-cratica una funzione sussidiaria della socialdemocrazia russa che doveva limitarsi a rappresentare le rivendicazioni economiche de-gli operai lasciando “la politica” alla borghesia. Da qui anche la famosa rivendicazione avanza-ta da Martov di un “partito largo” cui potesse appartenere “ogni scioperante”. Il bolscevismo rica-vava dalla necessaria egemonia operaia e contadina sulla rivolu-zione, in contrapposizione alla borghesia, la necessità di un par-tito d’avanguardia di militanti e di quadri radicato nella classe e tra le masse, capace di esercitare un ruolo rivoluzionario indipendente ed egemone.

Infine la diversa concezione della rivoluzione russa in ordine al rap-porto con la borghesia coinvolge l’intero confronto tra bolscevismo e menscevismo attorno alla tattica elettorale. Il menscevismo rivendi-cava tradizionalmente (e pratica-va) le alleanza politico-elettorali con il liberalismo russo, ciò che nei fatti significava l’adattamento del menscevismo alla piattaforma liberale. Il bolscevismo si oppose ai blocchi elettorali con i liberali ri-vendicando l’autonoma presenza della socialdemocrazia russa alle elezioni (e ammettendo invece la possibilità di accordi elettorali tecnici nelle cosiddette elezioni di secondo livello, riservate ai soli “grandi elettori”).

La politica leninista nella rivoluzione russa: l’oppo-sizione di principio ai go-verni borghesi

Ma fu il 1917 la cartina di tornaso-le decisiva della politica del bol-scevismo.A seguito della rivoluzione di feb-braio, che aveva rovesciato lo za-rismo sotto l’onda d’urto di una gi-gantesca sollevazione popolare, i dirigenti menscevichi e socialrivo-luzionari – largamente maggio-ritari nei soviet – si predisposero a sostenere il governo borghese provvisorio, dominato dal partito borghese dei cadetti e dal partito degli ottobristi. E a partire dal mag-gio ’17 entrarono direttamente in un governo di coalizione con la borghesia. Non era forse “borghe-se” la rivoluzione russa? Non era-no forse “democratiche” le rivendi-cazioni centrali della rivoluzione di febbraio? Occorreva consolidare la tappa democratica della rivolu-zione e “l’unità democratica” con la borghesia, evitando di spaven-tarla con rivendicazioni socialiste “storicamente immature”. Questa era la politica del menscevismo.

La posizione di Lenin fu esatta-mente opposta. In aperto contra-sto con la stessa posizione con-traddittoria e incerta di una parte del gruppo dirigente bolscevico, Lenin sviluppò una battaglia de-cisiva per affermare controcor-rente l’opposizione di classe del proletariato russo nei confronti del nuovo governo borghese. E’ vero, affermava Lenin, le rivendi-

UNA VITA PER LA RIVOLUZIONE1870 Vladimir Ilic Ulianov nasce il 10 aprile a Simbirsk, città sul Volga. Il padre, Ilja Nikoleavic Ulianov, è un coscienzioso funzionario dell’ammi-nistrazione scolastica di idee moderatamente pro-gressiste. La formazione del giovane Lenin è influenzata dal rigore della madre, Marija Aleksandrovna Blank, anch’essa insegnante, e dall’esempio del fratello maggiore Aleksandr (Sasa) che giovanissimo di-venta militante dell’organizzazione populista Na-rodnaja Volja (Volontà del popolo) ed è giustiziato a vent’anni per aver cercato di attentare alla vita dello zar.Vladimir si distingue negli studi che completa bril-lantemente presso il liceo cittadino (presieduto dal F.I. Kerenski, padre del futuro capo del governo provvisorio). Passa spesso l’estate nel villaggio di Kokuskino, nel-la provincia di Kazan, dove ha modo di rendersi conto delle condizioni di vita dei contadini.

1886 Il 12 gennaio muore il padre.

1887 Il 1 marzo viene arrestato Aleksandr, fratello maggiore di Vladimir, che con altri giovani rivoluzionari stava preparando un attentato contro lo zar Alessandro III. Processato, rifiuta il pentimen-to e viene condannato a morte; è giustiziato l’8 mag-gio.A settembre Vladimir si iscrive all’università di Ka-zan. In dicembre è arrestato per aver partecipato alle proteste studentesche ed è espulso dall’univer-sità. E’ costretto a risiedere a Kokuskino.

1888 Inizia privatamente gli studi di legge; intan-to legge i testi dei rivoluzionari della generazione precedente; studia il Capitale di Marx.

1889 In primavera si stabilisce a Samara, dove resterà per quattro anni. E’ un periodo di formazio-ne e di studio, ma anche di incontri e di discussione

di Tiziano Bagarolo

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cazioni di febbraio erano di carat-tere democratico. Ma il governo borghese scaturito da febbraio e sostenuto dal menscevismo si op-poneva – non a caso – alla loro realizzazione: negava la terra ai contadini, rifiutava di convocare l’assemblea costituente, continua-va la guerra imperialista in totale contrapposizione alla rivendica-zione della “pace”. Il problema non era premere sul governo bor-ghese perché rispondesse alle ri-chieste di massa. Il problema era di spiegare alle masse, sulla base della loro stessa esperienza, che nessun governo della borghesia e di coalizione con la borghesia poteva soddisfare le rivendicazio-ni democratiche elementari. E che solo rompendo con la borghe-sia e concentrando nelle proprie mani, cioè nei soviet, tutto il potere era possibile realizzare le rivendi-cazioni di febbraio.

Questa soluzione, a sua volta, avrebbe intrecciato inevitabilmen-te il completamento della rivolu-zione democratica con la rivolu-zione socialista, e la rivoluzione socialista russa con lo sviluppo della rivoluzione socialista interna-zionale. Nelle Tesi di aprile, Lenin sviluppa così sino in fondo quel principio di indipendenza dalla borghesia che già la formula della “dittatura democratica degli ope-rai e dei contadini” conteneva; ma lo sviluppa contro le ambiguità di quella formula e in opposizione a chi si aggrappava ad essa per di-fendere una politica di sostegno, seppure “critico”, verso il governo

borghese provvisorio. La vittoria di Lenin nella battaglia interna al bolscevismo su questo punto cru-ciale fu determinante per la stessa sorte della rivoluzione russa.

Questa politica di indipendenza di classe fu peraltro difesa e afferma-ta da Lenin in un altro passaggio decisivo del processo rivoluziona-rio del 1917: il passaggio dell’ago-sto. E’ un vero passaggio di scuo-la per la politica rivoluzionaria. Nell’agosto ’17 il governo borghe-se di Kerensky, che un mese prima aveva colpito e represso il partito bolscevico schiacciandolo nella clandestinità, fu apertamente at-taccato e insidiato da destra, per opera di una controrivoluzione militare guidata da un generale zarista (Kornilov). Non si doveva dunque dismettere, fosse pure temporaneamente, l’opposizione di classe al governo Kerensky, e passare al sostegno politico del governo democratico contro la reazione zarista? Non era questa la condizione stessa della difesa della rivoluzione di febbraio dal tremendo pericolo della controri-voluzione militare?

La pressione sul bolscevismo fu fortissima e aprì brecce in settori dirigenti del partito. Ma Lenin mo-strò un’intransigenza inflessibile. Certo, si doveva combattere atti-vamente e in prima fila la reazio-ne controrivoluzionaria con la più ampia rivendicazione dell’unità di lotta di tutte le forze operaie e po-polari. Ma questo non significava affatto sostenere politicamente Ke-

rensky. Al contrario, occorreva dire la verità alle masse, nel momento stesso dell’unità d’azione: proprio la politica di Kerensky aveva aper-to le porte a Kornilov, proprio la negazione delle rivendicazioni di febbraio e la repressione antiope-raia e antibolscevica aveva allar-gato il margine di manovra della controrivoluzione. Dunque la lotta per la terra, per l’armamento del popolo, per l’assemblea costituen-te era più che mai attuale proprio per indebolire le basi sociali della controrivoluzione, approfondire le sue contraddizioni e sconfiggerla: ciò che implicava esattamente la continuità dell’opposizione politi-ca al governo, non la sua rimozio-ne: “E anche adesso non dobbia-mo sostenere il governo Kerenski. Verremmo meno ai nostri principi. Come, ci si domanderà, non si deve dunque combattere Korni-lov? Certamente bisogna combat-terlo. Ma non è la stessa cosa. Vi è un limite tra le due posizioni, e questo limite alcuni bolscevichi lo sorpassano, cedendo al ‘concilia-torismo’, lasciandosi trascinare dal corso degli eventi.

“Noi facciamo e faremo la guer-ra a Kornilov come le truppe di Kerenski, ma non sosteniamo Ke-renski, anzi smascheriamo la sua debolezza. Qui sta la differenza. E’ una differenza abbastanza sottile ma essenziale e che non si può dimenticare.” (Lenin, Al comitato centrale del Posdr, pp. 273-74).Questa posizione di principio che riaffermava l’opposizione comuni-sta al governo di “centrosinistra” non ostacolò la battaglia contro

politica nel circolo giovanile locale organizzato at-torno a lui o con esponenti populisti.

1892 Sostiene privatamente a San Pietroburgo l’esame di laurea in legge che consegue a pieni voti. Inizia l’attività di avvocato difendendo i conta-dini poveri di Samara.

1893 Lascia a fine agosto Samara e si stabilisce a San Pietroburgo. In questo periodo sviluppa una battaglia politica in difesa del marxismo e di critica del populismo. E’ in contatto con i circoli operai del quartiere Nevskaja Zastava.

1894 In luglio scrive Che cosa sono gli “Amici del popolo” e come combattono contro i socialdemo-cratici, rivolto contro i populisti e a favore del socia-lismo marxista.

1895 A fine aprile parte per un viaggio in Europa dove incontra i rivoluzionari russi esiliati, fra cui il più noto dei marxisti russi, Georgij Plechanov, lea-

der del gruppo Emancipazione del lavoro.

A dicembre assieme a Martov (Julij Osipovic Ce-derbaum) fonda a San Pietroburgo la Lega di lotta per l’emancipazione della classe operaia, uno dei primi nuclei del Partito operaio marxista in Russia. Conosce Nadezda Kostantinovna Krupskaja. Pro-getta con Martov la pubblicazione della “Rabocaja Gazeta”, giornale operaio illegale, ma l’8 dicembre è arrestato a San Pietroburgo; viene condannato a 15 mesi.

1896 Passa l’intero anno in carcere studiando e scrivendo.

1897 A febbraio è esiliato a Susenskoe in Siberia, dove più tardi è raggiunto da Nadezda Krupskaja.

1898 Nel marzo si svolge a Minsk il congresso di fondazione del Partito operaio socialdemocrati-co russo (Posdr).

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la reazione monarchica che finì sconfitta, col concorso degli stes-si bolscevichi. In compenso creò le migliori condizioni perché un mese dopo il bolscevismo appa-risse l’unico possibile riferimento alternativo per l’avanguardia di massa degli operai, dei contadini, dei soldati a fronte del fallimento del governo di coalizione. Era la premessa decisiva dell’Ottobre.

E’ appena il caso di osservare che la rivoluzione d’Ottobre si realizzò rovesciando un governo di cen-trosinistra, frutto di una rivoluzio-ne democratica e sostenuto dai vecchi partiti di sinistra: è bene ricordarlo ai tanti teorizzatori di un Lenin precursore dei “fronti de-mocratici” e dei “governi progres-sisti”.

La lezione della rivoluzione russa circa la necessaria indipendenza politica dei comunisti fu estesa da Lenin alla III Internazionale comu-nista. Le fondamenta programma-tiche dell’Internazionale, già al pri-mo congresso del 1919, furono al riguardo inequivocabili: il rifiuto di ogni coalizione con la borghesia, di ogni sostegno, diretto o indiret-to, ai governi borghesi fu assunto dall’intero movimento comunista internazionale delle origini come discriminante di fondo nei con-fronti del riformismo e del centri-smo. Peraltro, proprio il rifiuto di ogni sostegno ai “propri” governi di guerra e la rivendicazione del disfattismo rivoluzionario aveva rappresentato il terreno della rottu-ra definitiva col socialsciovinismo

gliere, di passata, l’ampia argo-mentazione di Lenin in replica ai comunisti inglesi su come meglio prepararsi a rovesciare un possibile futuro governo laburista, “governo di furfanti e della borghesia”, entro la più totale indisponibilità a qualsiasi attenuazione della criti-ca dei comunisti nei loro confronti. Così come nel quadro della difesa della politica seguita dalla sezio-ne tedesca (criticata invece dalla sinistra interna) Lenin non mancò di rigettare l’argomento “teorica-mente e politicamente sbagliato” secondo cui sarebbe stato possibi-le entro la democrazia borghese, un governo di sinistra al di sopra delle classi quale passo transitorio verso la dittatura del proletariato: no, diceva Lenin, entro la repubbli-ca borghese ogni governo, quale che sia la sua composizione poli-tica, altro non sarebbe di fatto che

riformista della II Internazionale e della costituzione della III In-ternazionale. Successivamente in occasione del secondo congresso dell’Internazionale, il rifiuto di ogni forma di coalizione o sostegno ai governi della borghesia, anche dei più “democratici”, rientrò tra le 21 condizioni formalmente poste per l’adesione all’Internazionale: e quindi rappresentò in quel con-testo uno dei terreni di demarca-zione di principio da ogni forma di centrismo conciliatore.

La stessa critica dell’“estremismo, malattia infantile del comunismo” (su cui tornerò) – contrariamente al diffuso luogo comune semina-to ad arte dallo stalinismo – non “ammorbidì” affatto l’intransigen-te opposizione ad ogni governo borghese. Al contrario, proprio nell’Estremismo è possibile co-

Il 10 luglio sposa Nadezda Krupskaja.1899 Pubblica il lavoro, composto in gran parte in carcere, Lo sviluppo del capitalismo in Russia, impo-nente studio sulle tendenze dello sviluppo sociale della Russia.

1900 A febbraio, terminato l’esilio in Siberia, si stabilisce a Pskov. A luglio lascia la Russia e inizia la sua attività pubblicistica. A settembre si stabilisce a Monaco, in Germania. Esce a dicembre il primo numero del giornale “Iskra” (scintilla) con cui vuo-le contribuire a organizzare il partito, fortemente colpito e disorganizzato dalla repressione, su basi politiche marxiste e rivoluzionarie. Collaborano al progetto Plechanov, Zasulic, Akselrod, Potresov e Martov (e dalla fine del 1902 anche il giovane Trot-sky).

1901 A maggio la moglie lo raggiunge all’estero dopo aver terminato di scontare il proprio esilio a Ufa, in Siberia. Nel dicembre usa per la prima volta lo pseudonimo “Lenin”, probabilmente ispirato al

fiume siberiano Lena.

1902 Pubblica nel marzo il saggio Che fare? Pro-blemi scottanti del nostro movimento, in cui criti-ca la comune “sottomissione alla spontaneità” del terrorismo e dell’“economismo” e rivendica la co-stituzione di un partito centralizzato e disciplinato, capace di unire le forze e conquistare le masse a un’azione politica rivoluzionaria.

1903 In aprile, dopo un breve soggiorno a Gine-vra, si stabilisce a Londra, dove a fine luglio si riu-nisce il secondo congresso del Posdr. Si verifica in tale occasione la spaccatura fra bolscevichi (mag-gioritari) e menscevichi (minoritari). Perde il control-lo dell’“Iskra”.

1904 Nel maggio pubblica Un passo avanti, due indietro, in cui torna sui problemi politici e organiz-zativi affrontati nel secondo congresso.

A fine dicembre a Ginevra inizia la pubblicazione

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un governo della classe borghese per il quale i comunisti non posso-no portare alcuna responsabilità. E proprio la denuncia di ogni go-verno come comitato d’affari della borghesia “anche nella repubbli-ca più democratica” è al centro dell’elaborazione leninista di Stato e rivoluzione, del Rinnegato Kaut-sky e di centinaia di articoli.

Infine il principio della rottura con la borghesia e il rifiuto di ogni for-ma di governismo borghese fu ri-affermato in relazione al contesto dei paesi coloniali e semicoloniali: dove il Congresso internazionale dei popoli oppressi di Baku (1920) e le Tesi dell’Internazionale sulla questione coloniale distingueva-no nettamente la possibile con-vergenza dei comunisti con mo-vimenti nazionali di liberazione “radicali e rivoluzionari” a guida piccolo borghese (vedi la propo-

sta dei fronti unici antimperialisti) dall’aperto respingimento di ogni blocco con le forze della borghe-sia nazionale indigena, agenzia dell’imperialismo presso il popolo oppresso.

Su ogni terreno e da ogni versante l’antigovernismo bolscevico rap-presentò il recupero più coerente della tradizione rivoluzionaria di Marx e di Engels. Solo la malafe-de o l’ignoranza possono negare o nascondere questa verità.

La conquista della maggio-ranza della classe: la lotta di lenin contro l’estremismo

E tuttavia una lettura del bolscevi-smo semplicemente e solo come “difesa dell’autonomia di classe” e intransigenza dei principi, pur co-gliendo un elemento essenziale di verità, finirebbe anch’essa per

darne un’immagine semplificata e poco formativa della politica di Lenin. Magari un’immagine cara al bordighismo e a qualche setta ultrasinistra, ma semplicemente non vera, non corrispondente alla realtà.

Per Lenin la difesa ostinata e prio-ritaria del principio dell’autonomia di classe e del rifiuto di ogni coali-zione con la borghesia non fu mai un fine a sé, una semplice linea di confine, un puro atto di autode-marcazione. Fu sempre in funzio-ne della prospettiva rivoluzionaria reale. Quindi fu sempre connessa e dialettizzata alla politica di con-quista della maggioranza delle masse politicamente attive, che è condizione decisiva per la conqui-sta proletaria del potere. E, a sua volta, l’azione di conquista della maggioranza è la politica tesa a strapparla all’influenza di quei partiti e direzioni (riformiste, cen-triste, nazionaliste borghesi o pic-colo borghesi) che controllano le masse in funzione della democra-zia borghese e/o imperialista: è la lotta per un’altra direzione, un’al-tra egemonia nella/della lotta di massa.

Questo è un punto davvero essen-ziale della politica di Lenin. Una lunga tradizione, particolarmente forte nel filone togliattiano dello stalinismo, ma soprattutto nella “nuova” sinistra italiana ha teso spesso a contrapporre Gramsci e Lenin nella questione strategica dell’egemonia. Secondo questa lettura, Lenin avrebbe incarnato in buona sostanza una tradizione ri-

di un nuovo giornale, “Vpered” (avanti).

1905 Con la “domenica di sangue” (9 gennaio) a San Pietroburgo comincia la prima rivoluzione rus-sa.

Ad aprile si svolge il terzo congresso del Posdr, a cui i menscevichi non partecipano.

Scrive in giugno Due tattiche della socialdemocra-zia nella rivoluzione democratica, in cui discute in modo sistematico le divergenze con i menscevichi.

In novembre torna a San Pietroburgo dopo l’amni-stia per i prigionieri politici e gli esiliati proclamata dal governo.

1906 In aprile si svolge a Stoccolma il quarto congresso del Posdr, detto “di unificazione” perché vede la partecipazione dei menscevichi. E’ eletto nel presidium.

1907 A gennaio si reca in Finlandia, a Kuokkala, per ragioni di sicurezza.

A maggio si svolge il quinto congresso del Posdr. Lenin è rieletto nel presidium.

Ad agosto partecipa al congresso di Stoccarda dell’Internazionale socialista. Assieme a Rosa Lu-xemburg presenta una risoluzione sulla guerra che viene approvata; vi si sostiene, qualora il proletaria-to non riesca a impedirla, la sua trasformazione in lotta rivoluzionario contro il capitalismo.

1908 A gennaio si stabilisce a Ginevra. Ad apri-le visita Maxim Gorkij a Capri dove incontra anche Bogdanov. In autunno completa lo scritto Materia-lismo ed empiriocriticismo, in difesa del materiali-smo marxista e contro la tendenza “machista” fatta propria da Bogdanov e da altri importanti esponen-ti della sinistra bolscevica come Bazarov e Luna-ciarskij. La polemica filosofica, tuttavia, è solo l’altra faccia della battaglia politica che oppone Lenin alle

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voluzionaria operaista-economici-sta in qualche modo espressione dell’arretratezza russa, del caratte-re semplificato di quella società ci-vile e della particolare debolezza di quello Stato (il tutto secondo un inquadramento esclusivamente “russo” del fenomeno bolscevico). Viceversa Gramsci avrebbe incr-nato un marxismo creativo, vita-le, occidentale, espressione della maggiore complessità della socie-tà civile europea e quindi capace di superare la vecchia rozzezza dell’operaismo e dell’economici-smo russo in direzione del concet-to dell’egemonia.

Questa rappresentazione è falsa da cima a fondo.

Da un lato deforma il pensiero e la politica di Gramsci per avallarne un inesistente antileninismo (tema che non rientra nell’economia di questo scritto). Dall’altro ignora soprattutto un aspetto essenzia-le dell’intera politica di Lenin: che è per l’appunto la battaglia per l’egemonia.

La battaglia per l’egemonia – nel pensiero e nella politica di Lenin – si pone a due livelli distinti e in-trecciati: la battaglia per l’egemo-nia nella classe e la battaglia per l’egemonia della classe sull’insie-me delle masse oppresse e sfrut-tate, sul blocco sociale dell’alter-nativa rivoluzionaria.Sul primo terreno Lenin sviluppò una polemica costante contro le posizioni, generalmente estremi-ste (e spesso settarie) che si atte-

stavano sulla pura e semplice pe-tizione comunista e rivoluzionaria di tipo identitario senza curarsi della conquista delle masse.

Queste posizioni, apparentemente radicali, hanno, secondo Lenin, un risvolto teorico e pratico disastro-so. Sul piano teorico contraddico-no l’essenza stessa del marxismo come “guida per l’azione” rivolu-zionaria, ostile per definizione alla semplice passività propagandisti-ca. Sul piano politico sanciscano la rinuncia alla costruzione di una direzione di massa alternativa e quindi favoriscono la tenuta del controllo burocratico riformista (o centrista) nelle masse stesse. Il bolscevismo si è quindi costruito e affermato contro queste posizioni sul piano nazionale e internazio-nale. E nel corso di tutta la sua storia.

E’ relativamente nota la polemica di Lenin contro il rifiuto di lavorare nei sindacati di massa e contro il rifiuto alla partecipazione ai par-lamenti borghesi. Meno nota è la natura dell’argomentazione di Le-nin e il fatto che quella battaglia sia stata sviluppata nello stesso contesto russo e ben prima della precipitazione rivoluzionaria del ’17.

Dopo la sconfitta della rivoluzio-ne russa del 1905, e in partico-lare negli anni 1908-1910, Lenin fu impegnato nelle fila stesse del bolscevismo in uno scontro politi-co durissimo contro le tendenze dell’“otzovismo” e dell’“ultimati-

smo”. Queste tendenze risponde-vano alla sconfitta della rivoluzio-ne e alla diffusa demoralizzazione con una radicalizzazione formali-stica delle posizioni: “Che senso ha lavorare in sindacati in larga misura controllati da Zubatov e dalla polizia zarista? Che senso ha partecipare ad elezioni truccate, entro regole elettorali vessatorie e umilianti per la socialdemocra-zia russa? Che senso ha puntare a partecipare a una Duma reazio-naria, puntello dello zarismo, frutto della sconfitta della rivoluzione?”

La proposta era semplice: uscita dai sindacati e boicottaggio della Duma. Una proposta che faceva proseliti nel bolscevismo perché appariva pura, intransigente, fron-talmente contrapposta a quel li-quidazionismo menscevico che puntava alla legalizzazione della socialdemocrazia entro una sorta di costituzionalizzazione dello za-rismo. La polemica di Lenin fu du-rissima contro tali posizioni. E non, come potrebbe intendersi, da un versante per così dire “moderato”, di chi si preoccupa semplicemen-te di “salvaguardare” la presenza “istituzionale” del partito. Ma dal versante della prospettiva rivolu-zionaria. Proprio perché la rivolu-zione è stata temporaneamente sconfitta, proprio perché il movi-mento di massa è ripiegato, pro-prio perché i rivoluzionari sono più deboli e isolati tra le masse, pro-prio per questo il problema decisi-vo per i rivoluzionari non è quello di “arrendersi” al proprio isola-mento, costruendovi sopra una

tendenze estremiste del partito che, nella fase di riflusso della rivoluzione, propongono una fuga in avanti (il boicottaggio delle elezioni alla Duma za-rista) che Lenin giudica sterile e pericolosa perché separa il partito dalle masse.

A novembre si reca a Parigi.

1910 Si riunisce a fine gennaio a Parigi il comi-tato centrale del Posdr con lo scopo di cercare una riunificazione delle tendenze, senza risultato.

Conosce la rivoluzionaria franco-russa Inessa Ar-mand, con cui intreccia una relazione sentimentale per il resto della vita.

In agosto partecipa alla conferenza di Copena-ghen dell’Internazionale socialista.

1911 In estate organizza e dirige la scuola di partito di Longjumeau, nei pressi di Parigi.

1912 A gennaio si tiene la conferenza di Praga

del Posdr. I bolscevichi si organizzano di fatto come un partito separato.

Ad aprile esce in Russia il primo numero della “Pra-vda”. All’inizio dell’estate Lenin lascia Parigi per Cracovia, per essere più vicino alla Russia, dove si assiste a un risveglio delle lotte operaie.

1914 Il 4 agosto inizia la prima guerra mondia-le. Si assiste al crollo dell’Internazionale socialista i cui partiti si affrettano a sostenere le rispettive bor-ghesie. Per Lenin il colpo è inaspettato ma la sua reazione è immediata: la seconda Internazionale è morta, c’è bisogno di una terza Internazionale. Lenin è arrestato dalle autorità austriache. Liberato dopo tre settimane per l’intervento di Friedrich Ad-ler, si trasferisce a Berna, in Svizzera.

1915 Ad agosto partecipa alla Conferenza di Zimmerwald dei socialisti che si oppongono alla guerra, sostenendo la necessità di trasformare in rivoluzione la guerra imperialista e battendosi per rifondare l’internazionalismo proletario rivoluzio-

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razionalizzazione teorica e una retorica formalistica ma, all’oppo-sto, è quello di rimontare la china utilizzando tutti i possibili canali di rapporto con le masse, anche i più distorti e deformi, anche quelli offerti dall’odiato zarismo: perché solo così è possibile utilizzare a pieno ogni spazio per sviluppare controcorrente la coscienza dei lavoratori e della masse, contra-stare la sfiducia dilagante, inserirsi in ogni contraddizione e fermento di ripresa, contrastare la presa del menscevismo liquidatore e oppor-tunistico. Tutte condizioni decisive per favorire il rilancio rivoluziona-rio e, in esso, l’egemonia della so-cialdemocrazia rivoluzionaria.E’ utile ricordare che proprio il di-spiegamento di questa politica per-mise ai bolscevichi di conquistare alla lunga posizioni egemoni in

importanti sindacati nel momento della ripresa delle lotte (1912-14) e anche di guadagnare una pre-senza modesta ma preziosa nella Duma, che si rivelerà efficacissima nell’agitazione disfattista contro la guerra. Non a caso nella polemica dell’Estremismo, dieci anni dopo, Lenin richiama questa esperienza del bolscevismo e la sua attuali-tà tanto più nel contesto europeo occidentale. Perché tanto più in un contesto segnato, a differenza che in Russia, da una tradizione storica della democrazia borghese parla-mentare, dalla presenza di forti e radicati sindacati di massa, sareb-be del tutto assurdo, dal punto di vista della politica rivoluzionaria, voltare le spalle “per principio” a questi ambiti di intervento. Tanto più in Occidente, quello sarebbe il più grande regalo alla demo-

crazia borghese, alle burocrazie dirigenti dei sindacati, all’opportu-nismo riformista e centrista.

Larga parte della polemica contro l’estremismo nel 1920 si appoggia proprio sull’argomento della mag-giore complessità della rivoluzio-ne in Occidente rispetto alla vec-chia Russa: e basterebbe questo riferimento semplice per smentire tutta la vulgata ricorrente sulla co-siddetta “angustia nazionale” del bolscevismo russo.

“Ma l’opportunismo parlamentare e sindacale, così diffuso in Occi-dente, non mostra forse il caratte-re corruttivo del parlamento e dei sindacati verso le forme del movi-mento operaio? Non è questa una buona ragione per tenersi fuori da quelle sedi?” Così argomentava con sfumature interne diverse, il grosso dell’estremismo antilenini-sta. Ma la risposta di Lenin (e di Trotsky) demistificava nel metodo l’equivoco di fondo di quella obie-zione.

Certo: il parlamentarismo borghe-se esercita una posizione corrut-trice. Così come l’ambiente della burocrazia sindacale. Più in gene-rale tutta la politica rivoluzionaria e tutti i rivoluzionari, quale che sia il loro ambito d’intervento, sono esposti alla pressione quotidiana della società borghese, delle sue istituzioni, delle sue agenzie nel movimento operaio. Ma pensare di ovviare a questo rischio, sot-traendosi alla politica di massa,

nario. Pubblica a Ginevra Il socialismo e la guerra.

1916 Gennaio-luglio. Scrive L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, in cui traccia la caratteriz-zazione della nuova fase del capitalismo mondiale marcata dall’emergere dei monopoli, dallo svilup-po del capitale finanziario, dall’esportazione del capitale, dalla competizione per la spartizione del mondo in aree di influenza, dalla tendenza interna al parassitismo e alla formazione di una “aristocra-zia operaia” e dalla tendenza alla guerra nelle re-lazioni internazionali.

A febbraio si stabilisce a Zurigo.

Ad aprile partecipa alla seconda “conferenza di Zimmerwald” che si tiene a Kienthal.

1917 L’8 marzo, secondo il calendario europeo, comincia in Russia la “rivoluzione di febbraio”. In pochi giorni essa porta alle dimissioni dello zar e alla formazione del primo governo provvisorio che concentra il potere nella mani della borghesia. In

tutto il paese nascono e si diffondono i soviet, or-gani di organizzazione e di lotta degli operai e dei soldati (e in seguito dei contadini) in cui, tuttavia, i bolscevichi sono inizialmente in netta minoranza.

Il 2 aprile Lenin arriva a Pietrogrado, dopo aver attraversato la Germania in un vagone piomba-to. Presenta immediatamente le cosiddette Tesi di aprile che chiamano al rovesciamento del gover-no provvisorio, rivendicano “tutto il potere ai soviet” e chiede il cambiamento dle nome del partito in “partito comunista”; ingaggia e vince la battaglia per conquistare il partito bolscevico a questa stra-tegia.Ai primi di maggio si svolge il settimo congresso del Posdr (bolscevico) in cui Lenin gioca un ruolo preminente. Confluisce nel partito bolscevico an-che l’organizzazione interrionale di Trotsky e Luna-ciarsky.

A giugno si riunisce a Pietrogrado il primo congres-so panrusso dei soviet degli operai e dei soldati.

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significava semplicemente rinun-ciare alla rivoluzione.

Ben altra doveva essere la rispo-sta: quella di costruire un partito capace di ricondurre il carattere multiforme della propria politica di massa in ogni sede del suo eser-cizio, ai principi della rivoluzione, alla tensione verso il fine. Capace di subordinare il lavoro parlamen-tare alla prospettiva di rovescia-mento del parlamento borghese, contro ogni adattamento alle sue regole del gioco. Capace di su-bordinare il lavoro sindacale alle prospettive della conquista prole-taria del potere, contro ogni logi-ca di puro “sindacalismo” di sini-stra. La risposta di Trotsky a Gorter, dai banchi della III Internaziona-le resta da questo punto di vista esemplare. E mostra una volta di più che per il bolscevismo non esi-steva alcuna questione tattica se-parata a sé stante (la “questione parlamentare”, la “questione sin-dacale”) ma diverse articolazioni tattiche di un’unica politica per la conquista del potere. E che, a sua volta, proprio l’unicità e il rigore della politica rivoluzionaria pote-va governare la molteplicità della tattica evitando la deriva dell’op-portunismo.

La tattica rivoluzionaria del fronte unico e del governo operaio

La tattica del fronte unico e del go-verno operaio rispondeva da un altro versante alla medesima que-stione: la conquista delle masse

per il potere. Anche in questo caso, contro le resistenze dell’estremi-smo e partendo dall’esperienza viva della rivoluzione russa.

Di cosa si trattava? Si trattava in-tanto di un’elaborazione tattica che poggiava sull’analisi marxista della realtà obiettiva e sulle ne-cessità obiettive della lotta di clas-se: quelle della più ampia unità di lotta dei lavoratori contro le classi dominanti. E al tempo stesso della stretta relazione, nella dinamica della lotta, tra gli obiettivi imme-diati della mobilitazione di classe e la necessità di rompere con il capitalismo in crisi. “Uniamoci nel-la lotta comune attorno ad una piattaforma indipendente che ri-sponda alle comuni esigenze del-la nostra classe. Uniamoci nella comune rottura con la borghesia, dentro una lotta comune per il po-tere dei lavoratori. Perché nessu-na delle rivendicazioni elementari della nostra classe è compatibile con questa società: e ognuna di esse richiede una rottura anticapi-talistica.”

Questo approccio, rivolto innanzi-tutto e sempre alle grandi masse, era traducibile in un’impegnativa articolazione tattica. Quella della sfida alle direzioni maggioritarie del movimento operaio, riformiste e/o centriste, perché rompessero con la borghesia, realizzando con i comunisti l’unità d’azione contro di essa sulla base di una piatta-forma di classe. Perché questa articolazione tattica? Perché era quella più funzionale a smasche-

rare e a compromettere le vecchie direzioni agli occhi dei settori più avanzati e combattivi della loro base proletaria e così di allarga-re presso quella base, l’influenza alternativa dei comunisti. Non a caso il terzo congresso dell’Inter-nazionale che varò la tattica del fronte unico indicò la conquista delle masse (“alle masse!”) come motivo ispiratore della politica dei partiti comunisti.Questa innovazione tattica – tanto più suggerita nel ’22 dalle difficol-tà della rivoluzione europea, dalla possibile stabilizzazione capitali-stica, dalla permanente influenza di massa della socialdemocrazia e del centrismo – incontrò la forte resistenza del bordighismo italia-no, del Kapd tedesco, del tribuni-smo olandese. Una resistenza di-versamente motivata: nel caso del borghismo da una visione essen-zialmente passiva e propagandi-stica della politica rivoluzionaria; nel caso del Kapd e del tribunismo da una concezione della politica rivoluzionaria come offensiva li-neare e permanente.Ma, pur partendo da angolazio-ni diverse, gli argomenti finivano spesso col convergere. “Che sen-so ha aver fatto la scissione e aver creato i partiti comunisti se poi si ripropone l’unità d’azione con l’opportunismo? Perché si deve ri-piegare su tatticismi da politicanti quando i comunisti sono gli unici a vantare la nettezza e purezza di una lotta anticapitalistica per il po-tere? Come si può proporre l’unità d’azione a partiti che hanno tradi-to il proletariato e votato i crediti

Hanno luogo a luglio a Pietrogrado manifestazioni seminsurrezionali che passano alla storia come le “giornate di luglio”. Il partito bolscevico giudica l’ini-ziativa prematura ma resta in mezzo alle masse. Si scatena la repressione del governo provvisorio contro i bolscevichi, accusati di aver istigato a ro-vesciare il governo. Molti dirigenti di primo piano, fra cui Trotsky, sono arrestati. Lenin è costretto a nascondersi e a riparare in Finlandia. Comincia a scrivere Stato e rivoluzione in cui recupera le idee di Marx e Engels sulla necessità di distruggere la macchina dello Stato borghese e di sostituirla con la dittatura del proletariato e l’autogoverno dei pro-duttori.

In agosto fallisce per la reazione delle masse il tentativo di colpo di Stato reazionario del genera-le Kornilov. I bolscevichi sono in prima linea nella mobilitazione. Ciò consente loro di conquistare un enorme capitale di fiducia. Il partito ottiene la mag-gioranza alle elezioni municipali delle due capita-li e delle principali città industriali e conquista la maggioranza assoluta nei soviet. Dopo la sconfitta

di Kornilov, Lenin, che coglie la svolta del momen-to, afferma che sono mature le condizioni per una nuova insurrezione che rovesci il governo provvi-sorio e il potere della borghesia e consegni tutto il potere ai soviet degli operai, dei soldati e dei con-tadini e si batte per convincere il partito ad organiz-zarla. Non mancano dissensi e resistenze.

Ai primi di ottobre Lenin ritorna segretamente a Pietrogrado. Si adopera per convincere il comitato centrale del partito ad organizzare un’insurrezione immediata. Nel comitato centrale del 15 ? ottobre che dà il via all’insurrezione Kamenev e Zinoviev si oppongono e portano all’esterno il loro dissenso . Nella notte fra il 24 e il 25 ottobre, sotto la gui-da del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado controllato dal partito bolscevico, comincia l’insurrezione. Il governo provvisorio è arrestato ma Kerensky riesce a fuggire. Il 26 otto-bre si riunisce il secondo congresso panrusso dei soviet degli operai e dei soldati che assume tutti i poteri e approva la costituzione del primo gover-no sovietico. Lenin è il Presidente del consiglio dei

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di guerra?” Tali obiezioni rivelava-no in realtà, dentro l’involucro di un’intransigenza formale, un’in-comprensione profonda della politica rivoluzionaria e della sua complessità, sostituendola con l’altisonanza della frase o con la retorica del sentimento. Il proble-ma – replicarono insieme Lenin e Trotsky – non è semplicemen-te riaffermare la propria fede nel comunismo e nella rivoluzione: il problema è conquistare le masse alla rivoluzione. Il problema non è semplicemente la denuncia del tradimento delle direzioni riformi-ste e centriste: ma distruggere la loro influenza sulle masse quin-di sottrarre la masse alla loro in-fluenza. Non sta qui il senso stes-so della “tattica”?

Ancora una volta fu proprio l’espe-rienza del bolscevismo ad essere indicata come prezioso laborato-rio ed esempio. Nel luglio del ’17 i dirigenti socialrivoluzionari e men-scevichi, che partecipavano ad un governo borghese e di guerra, avevano represso frontalmente l’avanguardia del proletariato rus-so e il partito bolscevico. Ma ciò non aveva impedito ai bolscevi-chi un mese dopo, di fronte alla minaccia controrivoluzionaria di Kornilov, di rilanciare la proposta sfida agli altri partiti operai e con-tadini perché realizzassero con i bolscevichi l’unità d’azione con-tro la reazione, naturalmente nel quadro della propria perdurante opposizione al governo borghe-se. Anche così i bolscevichi usciro-no dall’isolamento, avvicinarono

la base dei partiti riformisti, allar-garono la propria influenza rivolu-zionaria. Del resto: la parola d’ordi-ne “tutto il potere ai soviet” aveva rappresentato la parola d’ordine centrale della politica bolscevica nel ’17. Ma poiché socialrivoluzio-nari e menscevichi detenevano la maggioranza nei soviet sino al settembre, quella parola d’ordine aveva un solo significato: chiede-re pubblicamente a socialrivolu-zionari e menscevichi di rompere con il centro liberale cadetto e di prendere il potere attraverso i so-viet e sulla base dei soviet.

Non era stata proprio questa tat-tica politica sistematica, incalzan-te, ad aver logorato la credibilità delle direzioni riformiste agli occhi della loro base di massa? Ad ave-re dimostrato alle masse non at-traverso la sola denuncia, ma at-

traverso la loro esperienza pratica, che le loro direzioni preferivano perpetuare la coalizione col cen-tro liberale cadetto in opposizio-ne alle rivendicazioni di febbraio, piuttosto che unirsi ai bolscevichi per realizzare quelle rivendicazio-ni rompendo con la borghesia? E a chi obbiettava che quella tattica poteva andar bene in Russia ma non nella moderna Europa, Lenin e Trotsky replicarono che proprio il radicamento infinitamente più sal-do e sperimentato del riformismo occidentale rispetto al riformismo russo chiariva che tanto più in Occidente il problema della con-quista delle masse non poteva essere affrontato semplicemente con la denuncia o con la propa-ganda; ma richiedeva la comples-sità della manovra e della tattica e, quindi, l’assimilazione profonda dell’esperienza vittoriosa del bol-

commissari del popolo. I primi decreti “Sulla pace” e “Sulla terra” proclamano la cessazione della guerra e l’offerta di pace a tutte le parti in causa del nuovo governo degli operai e dei contadini e l’esproprio delle terre dei proprietari fondiari e la loro distribu-zione a coloro che le lavorano. Immediatamente dopo viene avviata la pubblicazione dei trattati se-greti in cui sono descritti i veri scopi delle alleanze e della guerra. Viene stabilito il controllo operaio sulle fabbriche. Il governo di Lenin annuncia infine che non riconoscerà e non pagherà i debiti contratti dal regime precedente.

1918 29 gennaio, su ordine di Lenin, viene sciol-ta l’Assemblea costituente.

Il 5 marzo è firmato per iniziativa di Lenin il trattato di pace di Brest-Litovsk che mette fine alle ostilità con la Germania, al prezzo di pesanti cessioni ter-ritoriali e di una forte discussione nel partito (e nel governo, da cui si dissociano i socialisti rivoluzionari di sinistra).

Il 10 marzo il governo sovietico sposta la sua sede a Mosca.

Il 30 agosto, al termine di un comizio in una fab-brica di Mosca, la socialista rivoluzionaria Fanny Kaplan spara tre colpi di revolver contro Lenin, che rimane seriamente ferito.

Scrive La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kaut-sky.1919 Dal 2 al 6 marzo si riunisce a Mosca il primo congresso della Terza internazionale (Comintern).

1920 Scrive Estremismo, malattia infantile del co-munismo, contro il settarismo di alcuni partiti dell’In-ternazionale. Il 24 settembre a Nalcik, sul Caucaso, muore di tifo Inessa Armand. Sarà sepolta a Mosca presso le mura del Cremlino.

1921 Si sviluppa dal 23 febbraio al 17 marzo la rivolta della fortezza militare di Kronstadt. Dopo

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scevismo russo. Ancora una volta proprio la maggiore complessità della rivoluzione in Occidente ve-niva invocata contro la semplifica-zione dell’estremismo.

L’egemonia proletaria sulle masse oppresse: l’antieco-nomicismo di Lenin

Ma la concezione dell’egemonia, in Lenin non riguardava unica-mente l’aspetto – pur essenziale – della “conquista della maggio-ranza” del proletariato. Riguarda-va anche lo sviluppo dell’egemo-nia del proletariato sul più ampio blocco sociale della rivoluzione. Solo conquistando a un program-ma anticapitalistico l’insieme del-la masse oppresse il proletariato poteva veramente candidarsi al potere: questo era un punto cen-trale della politica di Lenin, contro ogni forma di grettezza operaisti-ca ed economicistica. Il fatto che Lenin sia stato rappresentato lun-gamente come economicista ed operaista dimostra solamente la potenza geometrica dell’incontro tra l’ignoranza e la mistificazione.

Proprio il Che fare? – solitamente indicato come la massima espres-sione del ristretto operaismo le-ninista – è in realtà la più ampia argomentazione leniniana nella necessità di superare ogni econo-micismo operaistico. Alle posizioni dell’economismo – incubatore del menscevismo – che sosteneva la necessità che la socialdemocra-zia si limitasse alla lotta econo-mica, il Che fare? opponeva tutta

la necessaria ampiezza della po-litica rivoluzionaria del proleta-riato. Che per essere tale doveva allargare lo sguardo all’insieme alle masse oppresse, rivolgersi ai contadini oppressi dall’aristocra-zia fondiaria, alle minoranze na-zionali schiacciate dallo zarismo grande russo, alla gioventù stu-dentesca e alle forze intellettuali private dei più elementari diritti di libertà; e ricondurre l’insieme delle oppressioni e delle contraddizioni che investivano la società russa alla necessità del rovesciamento rivoluzionario dello zarismo e del-la conquista del potere da parte degli operai e dei contadini. Solo una classe operaia capace di elevarsi al di sopra della propria spontanea coscienza tradunioni-stica avrebbe potuto ricomporre attorno a sé l’intero blocco delle masse oppresse e guadagnare la testa della rivoluzione russa. Viceversa una classe che si fosse limitata all’angusto economicismo avrebbe affidato alla borghesia liberale l’egemonia della rivolu-zione e dei suoi sbocchi, a tutto danno non solo del proletariato ma dell’insieme delle masse op-presse. Da qui la funzione decisiva della socialdemocrazia rivoluzio-naria, e dell’avanguardia proleta-ria in essa raccolta, per sviluppare la coscienza del proletariato rus-so sul terreno della rivoluzione e, con essa, la sua egemonia alter-nativa.

Peraltro, tutta la politica del bol-scevismo russo per quasi vent’an-ni è stata la testimonianza vivente

di questa ispirazione politica an-tieconomistica ed “egemonistica”. La stessa formula della dittatura democratica degli operai e dei contadini – al di là della sua al-gebricità – non era forse la misu-ra della centralità del rapporto tra proletariato urbano e masse con-tadine? Conquistare al proletaria-to della città i contadini salariati, sottrarre la maggioranza conta-dina piccolo proprietaria e non sfruttatrice all’egemonia della bor-ghesia liberale: questo era per Le-nin il compito strategico centrale della politica bolscevica in Russia. L’egemonia proletaria sulle masse rurali e la rottura con la borghesia erano dunque le due facce della medesima politica, entrambe con-trapposte al menscevismo.

Questa politica dell’egemonia proletaria sul blocco sociale al-ternativo non si limitò al contesto russo ma si estese alla politica in-ternazionale del bolscevismo.

Nell’Occidente avanzato dell’Eu-ropa capitalista la III Internazio-nale contrastò ogni deriva o sug-gestione operaistico-sindacalista. La polemica leninista con l’anar-co-sindacalismo internazionale nei primi anni venti aveva esatta-mente questo segno. Ma benché poco conosciuta, questa battaglia politica di Lenin e di Trotsky pas-sò anche attraverso le fila della stessa III Internazionale, talora intrecciandosi con la battaglia contro l’estremismo. Il tribunismo olandese e il kapdismo, in partico-lare (e in una certa misura anche

inutili tentativi di dialogo, il governo sovietico de-cide per la repressione, per il rischio che la rivolta riaccenda la guerra civile e consenta ai bianchi di rialzare la testa.

Nei giorni della rivolta e della repressione di Kron-stadt si riunisce il decimo congresso del partito che approva l’avvio della Nuova politica economica (Nep); si tratta di una “ritirata” strategica, una par-ziale e provvisoria ripresa delle relazioni di mercato e dell’iniziativa privata a favore dei contadini e del settore del commercio, al fine di consentire una più rapida ripresa economica dopo la fine della guerra civile e del “comunismo di guerra” e per consenti-re al paese di resistere nell’attesa della rivoluzione in Occidente che ritarda. Lenin insiste nel contem-po sul rafforzamento del settore industriale statale, sull’avvio dell’elettrificazione e sullo sviluppo della cooperazione.

1922 Il 3 aprile, all’indomani dell’undicesimo congresso del partito, Stalin è nominato segretario

generale del comitato centrale. Lenin commente-rà successivamente la nomina con queste parole: “Questo cuoco ci cucinerà piatti troppo pepati”.

Il 25 maggio è colpito da una paralisi che riduce seriamente le sue possibilità di lavoro. Malgrado ciò, si impegna nei mesi successivi in diverse batta-glie che lo vedono sempre più contrapposto al segretario generale. I temi principali di questo scontro sono la difesa del monopolio del commercio estero, la lot-ta contro la burocrazia che accresce la sua influen-za nello Stato sovietico e nel partito, la lotta contro lo sciovinismo grande russo, che si evidenzia nel progetto di costituzione dell’Urss elaborato da un organismo sotto la guida di Stalin, e il rispetto dei diritti di autodeterminazione nazionale, violati da Stalin nel caso della Georgia.

Il 20 novembre pronuncia il suo ultimo discorso pubblico.

Il 12 dicembre è informato da Dzerzinkij dell’“affare

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il bordighismo) polemizzarono pubblicamente con la concezio-ne bolscevica della rivoluzione in Occidente rimproverandole una visione eccessivamente estesa del blocco sociale rivoluziona-rio. “In Russia eravate costretti a un blocco sociale con i contadini data l’arretratezza di quella socie-tà. Ma nell’Europa capitalistica la rivoluzione deve essere esclusiva-mente operaia. Perché tutto il re-sto della società, inclusa la piccola borghesia impiegatizia, la piccola borghesia commerciale urbana, la piccola borghesia rurale, è or-ganicamente legata al capitale. Rivolgersi a questi strati significa compromettere la rivoluzione”.

Gorter in particolare si era distinto per questa polemica nella sede del terzo congresso dell’Interna-zionale comunista. E proprio a Gorter giunse la replica di Trotsky, a nome della maggioranza leni-nista dell’Internazionale. Una re-plica teorica e politica. La replica teorica contestava a Gorter l’ope-raismo gretto dell’antico Lassalle, il quale aveva affermato che al di fuori del proletariato il resto del-la società rappresentava “un’uni-ca massa reazionaria”; già Marx aveva polemizzato contro questa concezione, nella sua Critica del programma di Gotha. E questa critica restava attuale, non solo relativamente ai paesi coloniali e semicoloniali, ma anche nel con-testo del capitalismo dell’Euro-pa occidentale. Tanto più in una società capitalistica strutturata e complessa segnata da un domi-

nio plurisecolare della borghesia, il proletariato non potrà realizzare la rivoluzione se non saprà inter-venire in tutte le contraddizioni: sottraendo all’influenza della bor-ghesia capitalistica settori inferiori di classe media, neutralizzandone altri, intercettando fasce di picco-la borghesia impoverita dalla crisi del capitale, sia nella città sia nel-le campagne.

Naturalmente questa posizione non aveva nulla a che spartire con quella che sarà togliattianemente la cosiddetta “politica delle allean-ze” condotta dallo stalinismo. Che cercava, come nell’esperienza del Pci, di legarsi a interessi medio-borghesi privilegiati (vedi il “ceto medio” emiliano) per subordinare ad essi il proletariato e negoziare meglio la collaborazione di classe con la grande borghesia. All’op-posto: la politica dell’egemonia proletaria sugli stati inferiori della classe media per Lenin e per Trot-sky era parte integrante della po-litica di rottura con la borghesia e di costruzione delle condizioni di successo della rivoluzione. Era un caso che proprio Lenin nel 1915, nell’indicare i requisiti di una si-tuazione rivoluzionaria, citasse tra questi lo spostamento a sinistra delle classi medie?

In realtà Lenin dimostrava una volta di più una visione comples-sa della dinamica rivoluzionaria e della linea di frattura di una ri-voluzione proletaria: che non era riducibile semplicemente alla li-nea divisoria, economicamente

intesa, tra capitale e lavoro, ma al processo vivo della lotta di classe, alla costruzione e scomposizione dei blocchi sociali, all’intreccio tra fattori sociali e avvenimenti politi-ci, alla lotta multiforme tra le classi fondamentali sul terreno dell’ege-monia sociale politica, culturale.

Peraltro, proprio la storia euro-pea del Novecento – col feno-meno del fascismo e del nazismo – avrebbe dimostrato, seppur a negativo, il peso della piccola bor-ghesia negli equilibri della lotta di classe nell’Occidente avanzato smentendo ogni economicismo semplificatorio e confermando la necessità di una politica rivolu-zionaria capace della più ampia egemonia di classe.

Socialismo e liberazione na-zionale: la complessità della rivoluzione socialista

Infine, il concetto di egemonia del proletariato sull’insieme del-le masse oppresse trovò in Lenin una espressione di carattere mon-diale. Uno degli sviluppi più pro-fondi del marxismo rivoluzionario da parte di Lenin fu rappresentato dalla comprensione dell’enorme importanza dei grandi sommovi-menti anticoloniali dei popoli op-pressi, a partire dall’Asia, e della sollevazione di tutte le nazionalità oppresse dall’imperialismo ai fini dell’affermazione della rivoluzio-ne socialista internazionale.

Già in Russia la politica di pieno sostegno del bolscevismo al di-

georgiano” e ne rimane sconvolto; subito dopo è colpito da una serie di attacchi che gli paralizzano la gamba e il braccio destro.

Il 24 dicembre il politburò, su richiesta di Stalin, ordina l’isolamento di Lenin, ufficialmente per evi-targli ogni affaticamento, nei fatti per impedirgli di interferire con gli “affari in corso” del segretario ge-nerale.Il 30 dicembre è ufficialmente proclamata l’istitu-zione dell’Unione delle repubbliche socialiste so-vietiche (Urss).

1922-23 Fra il dicembre 1922 e il gennaio 1923 Lenin detta una lettera indirizzata all’imminente congresso del partito e nota come Lettera al con-gresso o anche Testamento, in cui raccomanda la sostituzione di Stalin nel ruolo di segretario gene-rale.

1923 Il 2 marzo Lenin completa l’articolo Me-glio meno, ma meglio, sulla riorganizzazione del

governo sovietico.

Il 5 marzo propone a Trotsky di formare un blocco in comitato centrale con lui per difendere il mono-polio del commercio estero e sollevare la questio-ne georgiana.

Il 9 marzo è colpito da un ulteriore attacco che lo priva della possibilità di muoversi e di parlare.

Il 12 maggio è trasferito nell’ospedale di Gorki.

1924 Il 21 gennaio Lenin è colpito da un ultimo attacco e muore a Gorki. Milioni di semplici russi partecipano alla cerimonia funebre; Stalin vi pro-nuncia una sorta di “giuramento di fedeltà”; non è presente Trotsky, sorpreso dalla morte di Lenin lon-tano da Mosca e al quale viene impedito di rientra-re in tempo da una bugia intenzionale di Stalin. Il corpo di Lenin, contro la sua volontà, viene imbal-samato ed esposto in un mausoleo presso le mura del Cremlino.

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ritto di autodeterminazione delle nazionalità oppresse dall’impero russo aveva concorso alla vittoria dell’Ottobre. E proprio questo sarà uno dei primi punti d’attacco di Stalin alla tradizione politica del bolscevismo, come rivela il durissi-mo contrasto tra Stalin da un lato e Lenin (e Trotsky) dall’altro, attor-no alla questione georgiana.

Ma è sul terreno mondiale che la questione assumeva un carat-tere rilevantissimo, in particolare dopo l’Ottobre. La vittoria della rivoluzione, congiunta agli effetti della prima guerra imperialista, e alla spartizione coloniale che ne seguì, fu un potente impulso allo sviluppo del movimento antico-loniale su scala internazionale: in Asia, a partire dall’India e dalla Cina, in Medioriente e nell’intera nazione araba, nel cuore stesso dell’Europa, a partire dall’Irlanda e dai Balcani.

Il marxismo rivoluzionario – secon-do Lenin – doveva assumere quel vasto moto come un riferimento essenziale. I comunisti rivoluzio-nari dei paesi delle nazionalità oppresse dovevano prender parte attiva al sommovimento anticolo-niale evitando ogni ripiegamen-to propagandistico e attendista, e battendosi apertamente al suo interno per uno sbocco coeren-te antimperialista e socialista, in contrasto aperto col nazionalismo borghese e incalzando le con-traddizioni delle forze nazionaliste piccolo borghesi più radicali. Ogni rinuncia alla battaglia per l’ege-monia proletaria nel movimento anticoloniale, magari in nome dell’arretratezza economica so-ciale di quei paesi, avrebbe signi-ficato riproporre, nella sostanza, l’impostazione del menscevismo

russo. Proprio la rivoluzione d’Ot-tobre aveva dimostrato, contro ogni lettura positivistica del marxi-smo, che un paese arretrato può essere più maturo per la rivoluzio-ne proletaria di un paese avanza-to. E che la rivoluzione socialista in quel paese arretrato poteva a sua volta sospingere l’intero processo rivoluzionario mondiale.

Analogamente, i partiti comunisti dell’Occidente capitalistico e dei paesi imperialisti erano chiamati dalla III Internazionale ad un pie-no e incondizionato sostegno ai sommovimenti anticoloniali delle nazioni oppresse. E quindi a com-battere non solo ogni socialscio-vinismo a sostegno del “proprio” imperialismo contro la nazione che esso opprimeva, ma anche qualsiasi neutralità pacifista tra na-zioni dominanti e nazioni domina-te. Costruire nel proletariato delle metropoli d’Occidente la coscien-za della convergenza di fondo con le ragioni dei popoli oppressi dal proprio imperialismo, sostenere la loro rivolta contro il proprio impe-rialismo, era per Lenin, un compi-to prioritario dei partiti comunisti d’Europa e d’America. Anche per favorire nei movimenti coloniali una cosciente indentificazione nel comunismo e quindi la battaglia di egemonia dei comunisti delle nazioni oppresse.

In questo quadro, e in questo spiri-to, la III Internazionale assunse la rivendicazione del diritto all’auto-determinazione di tutte le nazioni oppresse (ivi incluso il diritto alla separazione). Un diritto già riven-dicato dal movimento per la III Internazionale, e in primo luogo dal bolscevismo russo, nel pieno corso della guerra imperialista.Questa impostazione incontrò

obiezioni e resistenze lungo il pro-cesso della sua maturazione. Non solo da parte del riformismo e del centrismo, com’è naturale, ma an-che nel campo del marxismo ri-voluzionario. “Se i comunisti sono per il superamento delle nazioni, come possono sostenere i diritti nazionali, sia pure di nazioni op-presse? Se i comunisti sono i rap-presentanti coerenti della classe operaia ‘che non ha patria’ come possono combinare l’indipenden-za di classe col sostegno a movi-menti nazionali non proletari per di più guidati da forze nazionali-ste?” E ancora: “Il concetto di au-todeterminazione nazionale non è forse contraddetto dalla natura stessa dell’imperialismo che nega ogni possibile indipendenza reale delle nazioni soggiogate? L’unica risposta vera alle istanze nazionali dei popoli oppressi è la rivoluzione proletaria e non la rivendicazione di ‘diritti nazionali’ esclusivamente formali”. Queste e altre obiezioni schematicamente riassunte – ve-nivano poste alternativamente o da tendenze diverse dell’“estre-mismo” o da tendenze che incli-navano verso posizioni centriste. In un caso, autorevolissimo, dalla marxista rivoluzionaria Rosa Lu-xemburg, seppur negli anni relati-vamente lontani del dibattito sulla questione polacca.

Lenin (come la maggioranza dell’Internazionale) replicò ener-gicamente a questi argomenti cri-tici con un vigore proporzionale all’importanza cruciale che tale questione a suo avviso rivestiva per i destini stessi della rivoluzione socialista internazionale. Il testo di Lenin Contro l’economicismo im-perialista è, tra gli altri, un efficace compendio di tale replica. “E’ vero”, diceva Lenin, “i comunisti sono i veri custodi dell’indipendenza pro-letaria ma, proprio in ragione della propria prospettiva indipendente, devono far proprie tutte le ragio-ni di emancipazione delle masse opresse, ivi inclusa l’emancipazio-ne nazionale dal giogo coloniale. Non farlo sarebbe – questo sì – la rinuncia alla propria prospettiva, a unico vantaggio dell’imperialismo e delle stesse borghesie nazionali dei popoli oppressi, votate al com-promesso subalterno con l’impe-rialismo”.

“E’ vero”, diceva Lenin, “i comunisti rivendicano il superamento stori-co delle frontiere nazionali den-tro la prospettiva della repubblica

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proletaria mondiale. Ma questa prospettiva di libera federazione dei popoli del mondo implica la rottura di ogni sudditanza coatta delle nazioni oppresse alla domi-nazione imperialista. A sua volta, nessun popolo può essere libero se opprime altri popoli.”

E ancora, in risposta alla Luxem-burg: “E’ vero, l’autodetermina-zione nazionale piena e stabile delle nazioni oppresse è incom-patibile con la natura economica dell’imperialismo. Ma proprio per questo, come altre rivendicazioni democratiche, il principio di au-todeterminazione nazionale va connesso alla prospettiva prole-taria socialista: e può contribuire ad avvicinare a tale prospettiva, proprio sulla base dell’esperienza concreta della sua incompatibilità con il capitalismo mondiale, mas-se grandi dell’umanità. Viceversa, il rifiuto di quella rivendicazione si-gnificherebbe voltare le spalle alle aspirazioni di emancipazione e di libertà di quelle masse oppresse e per di più proprio nel momen-to del loro levarsi di fatto contro il giogo coloniale”.

Ma al di là di ogni replica specifi-ca, Lenin trae spunto dal confron-to sulla questione nazionale per riproporre una lezione di fondo sui caratteri stessi della rivoluzione proletaria. La rivoluzione proleta-ria internazionale secondo Lenin (e Trotsky) non poteva che riflette-re il carattere ineguale e combina-to del capitalismo mondiale. Chi pensa alla rivoluzione socialista come a una linea retta e unifor-me, semplicemente e unicamente

“proletaria”, scambia la realtà con la propria immaginazione. Tanto più nel quadro internazionale.Ecco cosa scriveva Lenin a com-mento dell’insurrezione irlandese del 1916 e contro la sottovaluta-zione della sua importanza: “Cre-dere che la rivoluzione sociale sia immaginabile senza le insur-rezioni delle piccole nazioni nel-le colonie e in Europa, senza le esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia, con tutti i suoi pregiudizi, senza il mo-vimento delle masse proletarie e semiproletarie arretrate contro il giogo dei grandi proprietari fon-diari, della Chiesa, contro il gio-go monarchico, nazionale, ecc. significa rinnegare la rivoluzione sociale. Ecco: da un lato si schiera un esercito e dice: ‘Siamo per il so-cialismo’, da un altro lato si schie-ra un altro esercito e dice: ‘Siamo per l’imperialismo’, e questa sarà la rivoluzione sociale! Soltanto da un punto di vista così pedantesco e ridicolo sarebbe possibile affer-mare che l’insurrezione irlandese e un ‘putsch’.

“Colui che attende una rivoluzio-ne sociale ‘pura’, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a pa-role che non capisce la vera rivo-luzione…“La rivoluzione socialista in Euro-pa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i mal-contenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente – senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di mas-sa, non è possibile nessuna rivo-

luzione – e porteranno nel movi-mento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della ri-voluzione, il proletariato avanza-to, esprimendo questa verità og-gettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esterior-mente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere….” (Lenin, Risultati della discussine sull’autodecisione, p. 353).

Conclusione

Riscoprire la verità del bolscevi-smo, liberandolo dalle sue carica-ture, non significa solo onorare la sua storia ma investirlo nel futuro del movimento operaio e dalla sua giovane generazione.Anche oggi, come un secolo fa, si dischiude una svolta d’epoca profonda, segnata dalla crisi del capitalismo internazionale, dalla rottura dei vecchi equilibri sociali e politici, dalla ripresa delle contese imperialistiche e delle corse colo-niali, dall’acutizzarsi della lotta di classe e dello scontro tra imperia-lismo e popoli oppressi.

Anche oggi, come un secolo fa, le vecchie direzioni del movimento operaio consumano la crisi del proprio riformismo, si associano sempre più strettamente ai gover-ni liberali controriformatori e colo-niali, moltiplicano le contraddizio-ni con la propria base sociale.

Anche oggi, come un secolo fa, è necessaria una battaglia interna-zionale per una nuova direzione del movimento operaio e per il rilancio della prospettiva rivolu-zionaria e socialista, quale unica vera alternativa alla barbarie del capitalismo.

E così, come un secolo fa, la risco-perta da parte di Lenin del “vero” Marx, riscattato dalle deformazio-ni riformiste, fu decisivo per il rilan-cio della prospettiva rivoluziona-ria, così oggi il recupero del “vero” Lenin, liberato dalle deformazioni staliniane, socialdemocratiche e centriste, è decisivo per la rifonda-zione di un partito rivoluzionario. Perché, tanto più oggi, solo il recu-pero dell’intransigenza dei principi e, insieme, della complessità della rivoluzione, può armare la lotta per la conquista del potere.

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NATURA E FUNZIONE DEL PARTITOLo strumento della soggettività cosciente

Dateci un’organizzazione di rivoluzionari e rovesceremo

la Russia!

Lenin, Che fare? 1902

di Franco Grisollia

“Senza il partito, al di fuori del par-tito, aggirando il partito, con un surrogato di partito, la rivoluzione proletaria non può vincere”, così afferma Trotsky nel suo scritto Le lezioni dell’Ottobre pubblicato nel 1924. Senza il partito bolscevico la rivoluzione russa sarebbe stata inimmaginabile. Per oltre due de-cenni (un periodo relativamente breve ma intensissimo) una lotta politica e teorica forgiò lo stru-mento che fu capace di dirigere le masse operaie e, sotto la loro egemonia, quelle contadine alla presa del potere e all’avvio di un processo di trasformazione socia-lista.

Questi dati storico-politici elemen-tari vanno tuttavia compresi e ri-portati ad elemento di strategia politica per l’oggi. Perchè la co-struzione odierna di un partito co-munista e rivoluzionario non può prescindere dallo studio e com-prensione dell’esperienza bolsce-vica.

Una tradizione di lotte di fra-zioni

Occorre, innanzitutto, ricordare che il partito bolscevico nacque nel quadro di una costante e aspra lotta politica all’interno delle forze che si richiamavano alla prospet-tiva del socialismo e della rivolu-zione sulla base del marxismo. Le ripetute critiche al “frazionismo”, alle discussioni “astratte”, tanto frequenti anche nel Partito della ri-fondazione comunista esprimono di per sè stesse un approccio an-tirivoluzionario e anti comunista. Esse riflettono le tradizioni stalini-ste e semistaliniste della sinistra italiana e anche dell’estrema sini-stra sviluppatasi a partire dal ’68. La storia del movimento “social-democratico” (cioè marxista nei termini precedenti alla rivoluzione d’Ottobre) russo fu infatti storia di una continua lotta di frazione, che sola permise alla frazione bolsce-vica di diventare, raccogliendo fi-nalmente in sè tutto il meglio della social democrazia il partito della ri-voluzione ([1]).

Lenin teorizzò la necessità della chiara battaglia politica di frazio-ne in quello che è uno dei suoi te-sti più importanti e quello fonda-mentale rispetto alle concezioni sul partito: il Che fare?, scritto nel 1902 e di cui riproduciamo, a se-guito di questo articolo alcuni bra-ni. In esso Lenin afferma: “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluziona-rio. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica… biso-gna essere ben miopi per giudica-re inopportune e superflue le di-scussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal consolidarsi dell’una piuttosto che dell’altra “tendenza” può di-pendere per lunghi anni l’avvenire della sociademocrazia russa.”

L’esigenza di chiarezza teo-rica

Per Lenin il partito che avrebbe dovuto e potuto sviluppare il pro-cesso rivoluzionario in Russia non poteva che essere marxista rivolu-zionario. In effetti il partito bolscevi-co, e prima di esso la socialdemo-crazia rivoluzionaria — ricordiamo che i bolscevichi furono dal 1903 al 1912 una frazione, sia pure lar-gamente autonoma, all’interno del Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr), fondato nel 1898, ed in cui Lenin aveva gia iniziato, in particolare con il Che fare?, la battaglia contro l’opportunismo — si sviluppò in opposizione e criti-ca alle correnti rivoluzionarie non marxiste. Cosi nel Che fare? Lenin lega la necessità della chiarezza teorica anche al pericolo rappre-

sentato dalla “reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non so-cialdemocratiche”. Tendenze che furono importanti nel movimento popolare russo e, in realtà, dotate di un sostegno di massa (in primo luogo tra i contadini) superiore a quella dei bolscevichi. La loro rap-presentanza politica essenziale fu il Partito socialista rivoluzionario (che aderì anche alla Seconda Internazionale), spesso diviso in correnti, di cui quelle più radicali si situarono spesso, insieme agli anarchici — come ricordano sia Trotsky nella sua Storia della rivo-luzione russa sia Zinoviev nella sua Storia del Partito bolscevico ([2]) — a “sinistra” (almeno nei me-todi) dei bolscevichi, rivendicando insurrezioni immediate, organiz-zando guerriglie e attentati. Tutta-via, benché col loro radicalismo attirassero anche militanti operai e studenteschi precedentemente aderenti alla socialdemocrazia, il loro rivoluzionarismo restava pic-colo borghese e incapace di svi-luppare positivamente un proget-to di trasformazione socialista.

Una delle caratteristiche della co-struzione del partito che guidò la rivoluzione russa fu dunque il rifiuto di quel deleterio concetto della “unità dei rivoluzionari” che anche oggi viene così spesso in-genuamente ripreso. L’unità che Lenin realizzò fu quella dell’avan-guardia che si riconosceva nella teoria e nella prassi nel marxismo rivoluzionario. E’ da notare ciò che ricorda Trotsky nel capitolo "L’arte dell’insurrezione" della sua Storia della rivoluzione russa: “Più di una volta gli opportunisti della social-democrazia internazionale prese-ro le difese della vecchia tattica socialrivoluzionaria… mentre… era sottoposta ad una critica spietata

Partito e coscienza esterna

Un altro elemento centrale della teoria e prassi leninista del partito è il concetto della lotta contro la “co-scienza spontanea” delle masse e contro quello che oggi si chiama “spontaneismo” e/o “movimenti-smo”. Quante volte ci si sente ripe-tere anche da compagni/e che si ritengono rivoluzionari, marxisti o leninisti (e che seguono in partico-lare le tradizioni che discendono dall’estrema sinistra spontaneista italiana del ’68) che i rivoluzionari devonto rappresentare “la volontà delle masse” o che “le idee giuste vengono dalla classe”. Se i bolsce-vichi si fossero basati su concetti di questo tipo la rivoluzione russa non si sarebbe mai realizzata. Al contrario, essi basarono la propria azione sulla lotta contro tali con-cezioni.

L’origine del Che fare? leninia-no è esattamente questa. Il libro nacque per sconfiggere l’influen-za — sviluppatasi in seno alla so-cialdemocrazia marxista russa

— dei cosiddetti “economisti” (o “economicisti”). Questi sosteneva-no che al centro dell’azione della classe operaia dovesse essere la lotta per le proprie rivendicazioni specifiche (di “fabbrica”) e che la socialdemocrazia dovesse rap-presentare la coscienza sponta-nea dei lavoratori, espressa negli scioperi e nella lotta economica in generale, che, a loro giudizio, aveva per sua natura un carattere socialista.

Lenin sviluppò contro l’“econo-mismo” una fortissima polemica, argomentando che (si vedano i brani del Che fare? riprodotti in seguito):

• la coscienza spontanea della classe operaia, come prodotto diretto della sua lotta sul terreno economico, non è coscienza so-cialista e rivoluzionaria, ma solo coscienza “tradeunionistica”, che cioè mira ad ottenere migliori condizioni nel quadro dell’attuale società e dell’attuale ordinamen-to politico (“La storia di tutti i paesi attesta che con le sue sole forze la classe operaia è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista, cioè la convinzio-ne della necessità di unirsi in sin-dacati, di condurre la lotta contro i padroni, di cercar di ottenere dal governo determinate leggi ne-cessarie agli operai, ecc.”, in Che fare? iI capitolo, "La spontaneità delle masse");

• pertanto compito dei marxisti è

quello di portare nella classe ope-raia “dall’esterno” la coscienza so-cialista tramite il loro intervento.

Questa concezione leniniana — la più contestata e rimossa non solo da riformisti, populisti, “centristi” (cioè né riformisti né veri rivoluzio-nari ma intermedi), ma anche da molti di coloro che si richiamano al marxismo rivoluzionario — va in-tesa chiaramente nel suo duplice significato. Essa implica sia il fat-to che la coscienza rivoluzionaria sia portata nella classe attraver-so l’azione e l’isegnamento dei militanti di avanguardia marxisti, sia il fatto che essa sia portata “dall’esterno della lotta economi-ca”, e cioè educando le masse ad agire sul terreno della lotta politi-ca contro il regime politico e ogni tipo di oppressione.

E’ dalla congiunzione di questi due aspetti che nasce un approc-cio rivoluzionario all’intervento nelle masse. Lenin afferma, sem-pre nel Che fare?: “Non si ripeterà mai troppo che l’ideale del social-democratico non deve essere il segretario di una trade-union, ma il tribuno popolare, il quale sa rea-gire contro ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione… sa ge-neralizzare tutti questi fatti e trarne il quadro completo della violenza poliziesca e dello sfruttamento ca-pitalistico; sa… approfittare di ogni minima occasione per esporre di-nanzi a tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendica-zioni democratiche, per spiegare

nella foto: la riunione del comitato cen-trale bolsce-vico del 20 Ottobre 1917 che pianificò l’insurrezione di Ottobre

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da parte dei bolscevichi.” L’adat-tamento alla propria borghesia non è contraddetto dal richiamo al rivoluzionarismo generico e po-pulista di altri paesi (specie lontani e totalmente o parzialmente non “democratici”). Così oggi in Italia Fausto Bertinotti e Paolo Ferrero utilizzarono il “sostegno” all’allora rivoluzionario non marxista Mar-cos per difendere la loro politica opportunista e lottare meglio con-tro il marxismo rivoluzionario.

a tutti l’importanza storica mon-diale della lotta emancipatrice del proletariato.”

Ecco il militante rivoluzionario che il partito deve costruire, così di-verso da quello della tradizione dell’estrema sinistra italiana del ’68 e anche dei “marxisti rivolu-zionari” inconseguenti, che il più delle volte si limita ad unire il ra-dicalismo sul terreno economico-sindacale con la discussione po-litica tra soli comunisti, invece di cercare di presentare alle masse non solo il proprio impegno sul terreno immediato ma anche la propria prospettiva politica alter-nativa socialista e rivoluzionaria.

Dal concetto leninista del partito su cui si costruì il bolscevismo appa-re evidente la vacuità delle ricor-renti affermazioni della tradizione “centrista” italiana sulla necessi-tà di costruire “un partito che sia espressione dei movimenti” oppu-re per usare una formula cara ai compagni (trotskisti molto incon-seguenti) di “Bandiera rossa” (e della loro corrente internazionale) “un partito che rispetti l’autonomia dei movimenti”. “Rispettare l’auto-nomia dei movimenti” significa o lasciarli in mano a demagoghi opportunisti o, al meglio, tollera-re senza lotta che essi rimanga-no sul loro terreno spontaneo del tradeunionismo (o equivalente economicismo per altri settori di-versi dalla classe operaia), cioè, per usare le parole di Lenin, della loro “coscienza borghese”. Invece il partito della rivoluzione sociali-sta è il partito che interviene nei movimenti di massa con le pro-prie proposte, per realizzare la propria egemonia politica e co-struirsi come direzione e punto di riferimento, lottando per l’organiz-zazione democratica (due termini inseparabili) contro spontaneismo e movi mentismo, proprio perché questa è la migliore condizione per lo sviluppo della coscienza e per la lotta per l’egemonia rivolu-zionaria.E’ in questo quadro che si crea un rapporto fecondo tra spontaneità e direzione politica di classe, rap-porto che è l’elemento chiave per lo sviluppo positivo della situa-zione rivoluzionaria (che il partito non “crea” — Lenin, Trotsky e tutti i marxisti russi restarono sorpresi dallo scoppio delle rivoluzioni sia

del 1905 che del febbraio ’17 — ma che può favorire nel suo sviluppo con la propria azione). E’ questa la grande lezione della rivoluzione dell’Ottobre ’17, nel legame dia-lettico tra il movimento di massa organizzato nei soviet e il partito bolscevico.

Un partito di militanti attivi

Dalla concezione del rapporto ricorrente tra spontaneità e dire-zione deriva anche la concezione della composizione del partito ri-voluzionario. Il concetto, cioè, del partito d’avanguardia formato da “rivoluzionari di professione”. Se “senza teoria rivoluzionaria non esiste movimento rivoluzionario”, se compito del partito è quello di “permeare il proletariato” della coscienza rivoluzionaria, è chia-ro che esso dovrà essere forma-to da militanti che si pongano sul terreno di quella teoria e che si propongano questo compito. “Per “teste forti” in materia di organiz-zazione bisogna intendere come ho già detto più di una volta solo i “rivoluzionari di professione” poco importa se studenti o operai di ori-gine.” (Lenin, Che fare?).

Naturalmente si tratta di compren-dere bene il significato del concet-to leninista e dialettizzarlo. Esso infatti ha un determinato senso nel quadro di una situazione di clandestinità, un altro in quella di un regime di democrazia bor-ghese. Ma l’elemento essenziale rimane: il partito rivoluzionario è stato nell’esperienza bolscevica, e dovrà essere in ogni caso, un partito composto da militanti at-tivi — e solo da essi — che fanno coscientemente della rivoluzione lo scopo e l’attività prioritaria della propria vita (da ciò il termine di “ri-voluzionari di professione”). Ed è anzi il partito in quanto tale che deve porsi il compito di trasforma-re in “rivoluzionari di professione” i militanti, in particolare giovani, che vi aderiscono.

Aggiungiamo che il partito forma-to da militanti attivi è il più demo-cratico, perché è quello che tende a rendere più maturo, approfondi-to, concreto e non personalistico il dibattito. Sia pure con molte ec-cezioni, i militanti tendono mag-giormente a decidere in base alle proposte così come le interpreta-no alla luce delle loro conoscen-

ze teoriche e della loro esperien-za pratica. (Si confronti invece il quadro totalmente diverso in cui si è svolto il terzo congresso del Prc: le posizioni rivoluzionarie tro-varono ampio sostegno, sia pure di minoranza, tra i militanti attivi del partito, mentre la quasi totalità degli iscritti inattivi che partecipò alle votazioni si espresse — senza reale conoscenza delle posizioni a confronto — “per Bertinotti e Cos-sutta.”)

Un partito proletario

Il partito che Lenin e i suoi com-pagni costituirono non fu, però, un generico partito d’avanguardia. Fu un partito proletario. Anche qui si tratta di comprendere questo con-cetto. Nella sua Storia Zinoviev racconta come nei primi anni del secolo la maggioranza dei militan-ti bolscevichi non fossero operai. Solo successivamente — in partico-lare con la rivoluzione del 1905 — questa situazione si trasformò portando il partito bolscevico ad avere una maggioranza assoluta di aderenti operai industriali. Ma la questione dell’orientamento verso il proletariato venne posta come elemento centrale fin dal-la nascita della corrente marxista nel movimento popolare russo e su questo essa si differenziò dal movimento populista. “Il conflitto tra marxisti e populisti, che pren-deva forme diverse da un punto di vista dottrinale, si riduceva alla questione del ruolo della classe operaia… Nel 1889, a Parigi, in occasione del primo congresso della II Internazionale, Plechanov, allora capo indiscusso dei marxi-sti rivoluzionari russi, dichiarò: “La rivoluzione russa vincerà come ri-voluzione della classe operaia o non vincerà”.” (Zinoviev, Storia del partito bolscevico).

Questi concetti non rimasero astrazione e si collegarono dia-letticamente con quello della “co-scienza portata dall’esterno”. Fin dall’inizio i quadri marxisti rivolu-zionari, anche se in maggioranza studenti o intellettuali, indirizzaro-no la loro azione verso le fabbri-che per costruire in esse i quadri operai rivoluzionari, per dare in-sime a loro “coscienza socialista” al nascente proletariato russo, per sviluppare le sue lotte economi-che e soprattutto — come detto — il suo intervento nell’arena politica.

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Con l’obbiettivo quindi di costruire un partito non solo programma-ticamente ma anche organizzati-vamente proletario. Un partito che lottasse per “l’egemonia del pro-letariato” nella rivoluzione ([3]), dopo aver realizzato la conquista della sua maggioranza al partito rivoluzionario stesso. Maggioran-za che effettivamente il partito bolscevico riuscì a conquistare nel periodo precedente la prima guerra mondiale. Infatti, nel 1912 tutti i sei deputati operai eletti al parlamento nazionale (sulla base di antidemocratiche elezioni per circoscrizioni uninominali e classi sociali in cui il voto di 1 proprie-tario terriero equivaleva a quello di 45 operai!) furono bolscevichi, mentre nel partito la maggioran-za assoluta degli aderenti era or-mai costituita da operai e operaie dell’industria.

Tuttavia i bolscevichi persero que-sta maggioranza nel corso del-la guerra mondiale, anche per il massiccio afflusso di nuova classe operaia dalle campagne, nel qua-dro dello sviluppo della produzio-ne di guerra. Ma essi la seppero riguadagnare nel periodo tumul-tuoso tra il febbraio e l’ottobre ’17 e portarla all’alleanza egemonica con i contadini e alla vittoria. Come scrive Zinoviev nella sua Storia: “Il nostro partito non ha svolto un ruolo decisivo nella rivoluzione di Febbraio, e non avrebbe potuto svolgerlo, visto che la classe ope-ria era per la difesa nazionale. In cambio, nei mesi seguenti esso ha realizzato il “capitale” investito nel movimento operaio per un quar-

to di secolo e, sulla base dell’idea dell’egemonia del proletariato, ha liberato la classe operaia russa dall’influenza dei menscevichi e degli s-r [social-rivoluzionari ndr], portandola alla vittoria definitiva sulla borghesia”.

Nessun feticismo della for-ma-partito

La teoria leninista del partito, qua-le sopra esposta, configura forse un “feticismo” della “forma parti-to”? Per nulla; è anzi esattamente il contrario. “Non c’è movimento rivoluzionario senza teoria rivo-luzionaria”. Il partito è necessario ma solo se mantiene chiaramente il suo carattere marxista e rivolu-zionario. Esso è uno strumento, non un fine. Lenin dimostrò nel concreto il contenuto della sua concezione del partito durante tutta la sua vita.

Si dimentica quasi sempre, in pri-mo luogo, che egli costruì il par-tito della rivoluzione proprio “di-struggendo”, con un’aspra lotta di frazione, il “suo” partito originario, cioè il Posdr, e che per questo egli fu condannato come “settario”, “dogmatico”, “distruttore” e “fra-zionista” non solo dai suoi avver-sari in Russia, ma anche dalla lar-ga maggioranza del movimento socialista internazionale.

Ma anche rispetto alla frazione bolscevica Lenin subordinò sem-pre l’unità alla chiarezza politica. La storia della frazione bolscevi-ca è essa stessa storia di lotte di tendenze. Essa fu particolarmente

acuta nel 1907-1909, quando Le-nin fu in aspro contrasto (mentre lottava nell’insieme del movimen-to operaio russo contro l’opportu-nismo di destra) con larghi settori “ultrasinistri”, in particolare sulla questione della partecipazione alle elezioni per il parlamento za-rista e anche della partecipazione ai sindacati, diretti da riformisti (o peggio). Così noi vediamo Lenin ad una conferenza nazionale del partito nel 1907 (allora ancora uni-ficato; la rottura finale e formale sarà nel 1912) che vota, unico tra i delegati bolscevichi, insieme ai menscevichi per la partecipazione alla terza duma (parlamento zari-sta), eletto con i criteri reazionari già ricordati (anzi con alcune altre clausole negative).

Nella sua Storia Zinoviev raccon-ta: “Lenin, con alcuni altri, difese la partecipazione, ma la maggioran-za [dei bolscevichi, ndr] era contro di lui. Gli si rimproverava di evol-vere verso la destra consigliando agli operai di entrare in quella che sarebbe stata un’assemblea arci-rea zio naria… Per un certo periodo la tendenza antisindacale ebbe la meglio nella frazione bolscevica… Lenin pensava che dovessimo ri-manere legati alla massa opera-ia… Se gli operai stavano nei sinda-cati, lo do vevamo fare anche noi. Se potevano inviare alla duma za-rista anche un sol uomo, bisogna-va farlo: avrebbe detto agli operai la verità e noi avremmo stampa-to e diffuso il suo discorso… Se in quel momento la tendenza antile-ninista avesse riportato una vitto-ria, il partito [la frazione bolscevi-ca, ndr] si sarebbe trasformato in una setta.” Ed è di fronte a questo rischio che nel 1908 Lenin proget-tò addirittura di abbandonare la frazione bolscevica e di costruirne una nuova, ciò che non accadde perchè finalmente riuscì vincitore nello scontro interno.

Ugualmente nella primavera del 1917, rientrando dall’esilio, Lenin dovette sviluppare una battaglia controcorrente nel partito, non solo contro il gruppo dirigente Ka-menev-Stalin che teneva un atteg-giamento ambiguo (né sostegno né opposizione) verso il governo prov vi sorio di “centro-sinistra”, ma anche verso quei quadri dirigen-ti più radicali che proponevano l’opposizione al governo ma sen-za trarne tutte le conseguenze

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di progetto rivoluzionario imme-diato. E fu solo questo riorienta-mento del partito che permise ad esso di svolgere il ruolo che svol-se nell’Ottobre. Non fosse riuscito nel riorientamento Lenin avrebbe certamente cercato di raggruppa-re su un nuovo asse organizzativo le forze conseguentemente rivolu-zionarie.

Sono dunque la socialdemocra-zia “classica” e lo stalinismo che fanno del “partito della classe operaia” un feticcio, un fine in sé a cui tutto subordinare. La lezione di Lenin è al contrario che il parti-to proletario d’avanguardia è uno strumento indispensabile ma pur sempre uno strumento in vista del fine: la presa del potere da parte del proletariato.

Ma se così è, e se Lenin dovette riorientare il partito addirittura nel ’17, non si deve concludere che la questione centrale non è tanto il partito proletario quanto il suo gruppo dirigente, o addirittura il suo o i suoi leader? Porre la que-stione in questo modo significhe-rebbe non cogliere la dialettica che permise il trionfo dell’Ottobre. Lenin dovette sì ri orientare il par-tito ma riuscì a farlo perché esso era “quel partito”, e per questo, d’altra parte, esso riuscì a dirigere le masse.

Il ruolo di Lenin e quello del suo partito nell’Ottobre

Come ricorda in varie occasioni Trotsky, senza Lenin non ci sareb-be stato il trionfo dell’Ottobre, ma senza il partito — cioè un corpo formato da migliaia di quadri e militanti operai, forgiato in anni di lotte politiche interne ed esterne ([4]) — Lenin non sarebbe stato in grado di dirigere la classe operaia alla vittoria. Ecco come Trotsky rias-sume tutto ciò due decenni dopo il ’17 nel suo scritto Classe, partito e direzione: “Che vi era all’“attivo” del bolscevismo? All’inizio della rivoluzione, solo Lenin mantene-va una concezione rivoluzionaria chiara e profonda. I quadri russi del partito erano dispersi e no-tevolmente confusi. Ma il partito godeva di autorità tra gli operai d’avanguardia. Lenin godeva di autorità tra i quadri del partito. La concezione politica di Lenin corrispondeva allo sviluppo reale della rivoluzione, ed era convali-

data da ogni nuovo avvenimento. Questi elementi dell’“attivo” fanno meravi glie in una situazione rivo-luzionaria, cioè in circostanze di acutizzazio ne della lotta di classe. Il partito allineò la sua politica in accordo alla concezione di Lenin, che armonizzava con l’autentico corso della rivoluzione — e perciò trovò saldo appoggio in decine di migliaia di operai d’avanguar-dia. In pochi mesi, basandosi sullo sviluppo della rivoluzione, il par-tito fu in grado di convincere la maggioranza della classe operaia della correttezza della propria im-postazione: questa maggioranza, organizzata in soviet, potè a sua volta attrarre soldati e contadini.”.

Questa la grande lezione del bol-scevismo da studiare e di cui riap-pro priarsi dopo tanti decenni di tradimenti, errori e confusioni an-che nel seno dell’avanguardia del

movimento operaio.

Per costruire in una inevitabilmen-te lunga lotta, sulle basi conse-guenti del marxismo rivoluziona-rio — contro ogni opportunismo ma anche contro le spinte settarie dell’autoisolamento dalla classe quale è nella realtà — un corpo organizzato — coeso ma in conti-nuo dibattito e confronto interno — di migliaia di quadri rivoluzio-nari inseriti profondamente nel movimento operaio, in lotta con-tro l’influenza del riformismo ma anche del puro “economismo” e “spontaneismo”; un partito in lotta costante per guadagnare la mag-gioranza politica della classe ad una prospettiva anticapitalistica e portarla, al maturare delle condi-zioni obiettive, alla conquista del potere.

Note

1) Basti pensare che nel 1912 il Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr) si divideva, secondo un elenco steso da Rosa Luxen-burg, in 12 frazioni. Quella bolscevica era la più importante ma lungi dall’essere egemone. Il partito che diresse la rivoluzione nel 1917 fu in realtà il prodotto della congiunzione ai bolscevichi di cin-que altre frazioni (tra cui quella diretta da Trotsky) e di minoranze significative di ulteriori tre.

2) La storia del partito bolscevico di Zinoviev, edita in volume nel 1923, è stata recentemente pubblicata in edizione italiana dalla Graphos con il titolo La formazione del partito bolscevico 1898-1917. Il testo è basato su un ciclo di conferenze tenuto da Zinoviev, allora segretario dell’Internazionale Comunista, nello stesso 1923 in occasione del XXV anniversario del Partito operaio socialdemo-cratico russo. E’ un ottimo testo popolare sulla storia del partito bolscevico e sui problemi politici legati al suo sviluppo che consi-gliamo ad ogni compagno di leggere e su cui pensiamo di tornare in un prossimo futuro con una recensione.

3) E’ diffuso in Italia un mito secondo cui il concetto di egemo-nia è una inno vazione teorica peculiare del pensiero di Antonio Gramsci, che lo distaccherebbe dal rigido “dogmatismo” della III Internazionale leninista. In realtà il grande rivoluzionario italiano non ha fatto che riprendere un concetto proprio da decenni del marxismo rivoluzionario russo (“I promotori dell’idea dell’egemo-nia del proletariato nella rivoluzione sono Plechanov e Lenin”: così Zinoviev nella sua Storia, 1923); Gramsci, con grande brillantezza, ripropone questa tematica centrale in Italia. Per altro, l’utilizzo del termine “egemonia” — più vago, a prima vista, di altri — nel periodo del carcere costituiva per Gramsci anche un elemento di prudenza rispetto ad ulteriori misure repressive dei suoi carcerieri fascisti.

4) Ecco cosa afferma Trotsky in una lettera del ’21 allo storico comunista Olminsky: “Soltanto il bolscevismo, con la fermezza ir-riducibile della sua linea, ha raccolto nelle sue file gli elementi veramente rivoluzionari dei vecchi intellettuali e dell’avanguardia della classe operaia”.

Coscienza spontanea e coscienza socialista

Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzio-nario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportuni-stica venuta di moda è accompa-gnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica.

Ma per la socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un’importanza ancora maggiore… Innanzi tutto, il nostro partito è an-cora in via di formazione, sta an-cora definendo la sua fisionomia ed è ben lungi dall’aver saldato i conti con le altre correnti del pen-siero rivoluzionario, che minaccia-no di far deviare il movimento dal-la giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni… ci troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tenden-ze rivoluzionarie non socialdemo-cratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista sembra “senza importanza”, può avere le più deplorevoli conseguenze;

e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le discussioni di frazione e la rigo-rosa definizione delle varie ten-denze. Dal consolidarsi dell’una piuttosto che dell’altra “tendenza” può dipendere per lunghi anni l’avvenire della socialdemocrazia russa… Ricordiamo le osservazio-ni di Engels (1874) sull’importan-za della teoria nel movimento socialdemocra tico. Secondo En-gels, esistono non due forme del-la grande lotta socialdemo cratica (politica ed economica) — come si pensa abitualmente fra noi —, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica. […]

L’esperienza rivoluzionaria e la capacità organizzativa sono cose che si acquistano. Basta voler svi-luppare in sé le qualità necessarie! Basta aver coscienza dei propri er-rori, coscienza che, nelle questio-ni rivoluzionarie, equivale già ad una mezza correzione! Ma il mez-zo male diventa un male effettivo quando questa coscienza comin-cia ad oscurarsi… quando c’è della

gente… che è pronta a presentare le deficienze come virtù e persino a tentare di giustificare teorica-mente la propria sottomissione servile alla spontaneità. E’ tempo di fare il bilancio di questa tenden-za, molto inesattamente definita col termine di “economismo”, che è troppo ristretto per esprimerne tutto il contenuto. […]

Ogni sottomissione del movimen-to operaio alla spontaneità, ogni meno ma zione della funzione dell’“elemento cosciente”, della funzione della social democrazia significa di per sé — non importa lo si voglia o no — un raffor zamento dell’influenza dell’ideologia bor-ghese sugli operai. Tutti coloro che parlano di “sopravvalutazio-ne della ideologia”, di esagerazio-ne della funzione dell’ele mento cosciente, ecc., immaginano che il movimento puramente operaio sia di per sé in grado di elaborare — ed elabori in realtà — una ideolo-gia indipendente; che ciò che più conta sia che gli operai “strappi-no dalle mani dei dirigenti le loro

di Vladimir Ilic Lenin

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sorti”. Ma questo è un profondo errore… Per completare quanto abbiamo detto sopra, riportiamo anche le seguenti parole di K. Kautsky, pro-fondamente giuste e importanti… “La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’ester-no [von aussen hineingetragenes], e non qualche cosa che ne sor-ge spontaneamente [urwüchsig]. Il vecchio programma… diceva dunque molto giustamente che il compito della socialdemocra-zia è di introdurre nel proletariato [letteralmente: di permeare il pro-letariato] la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe”…

Dal momento che non si può par-lare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse masse ope-raie nel corso stesso del loro mo-vimento, la questione si può porre solamente cosí: o ideologia bor-ghese o ideologia socialista. Non c’è via di mezzo (poiché l’umanità non ha creato una “terza” ideo-logia, e, d’altronde, in una socie-tà dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere

una ideologia al di fuori o al di so-pra delle classi). Ecco perché ogni menomazione dell’ideologia so-cialista, ogni allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento dell’ideologia bor-ghese. Si parla della spontanei-tà; ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa sí che esso si subordini all’ideologia borghe-se… perché il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo, la Nur-Ge werk schaftlerei [puro eco-nomicismo], e il tradunionismo è l’asservimento ideo lo gico degli operai alla borghesia. Perciò il nostro compito, il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità, nell’al-lontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tra-dunionismo a rifugiarsi sotto l’ala della borghesia; il nostro compito consiste nell’attirare il movimento operaio sotto l’ala della socialde-mocrazia rivoluzionaria. […]

La coscienza della classe ope-raia non può diventare vera co-scienza politica se gli operai non si abituano a reagire contro ogni abuso, contro ogni manifestazio-ne dell’arbitrio e dell’oppres sione, della violenza e della soperchieria, qualunque sia la classe che ne è

colpita, e a reagire da un punto di vista socialdemocratico e non da un punto di vista qualsiasi. La co-scienza delle masse operaie non può essere una vera coscienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna delle altre clas-si sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale, morale e politica; se non imparano ad ap-plicare in pratica l’analisi e il crite-rio materialistico a tutte le forme d’attività e di vita di tutte le classi, strati e gruppi della popolazione.

Chi induce la classe operaia a ri-volgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua co-scienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico, perché per la classe operaia la conoscen-za di se stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le clas-si della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l’esperienza della vita politica. Ecco perché la predicazione dei nostri economi-sti, i quali sostengono che la lotta economica è il mezzo più larga-mente applicabile per trascinare le masse nel movimento politico, è cosí profondamente reazionaria nei risultati pratici. […]

La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno del-la lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal qua-le è possibile attingere questa co-scienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati del-la popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi.

(tratto da Vladimir I. Le-nin, Che fare?, Editori riuni-ti, Roma 1974, pp. 55, 61, 71, 74, 105-106, 115-116.)

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C’è un aspetto, certo non dei mag-giori ma neppure trascurabile, del pensiero e dell’opera di Lenin che resta sostanzialmente sconosciuto ai militanti, e anche alla maggio-ranza degli studiosi, e che invece merita di essere recuperato e co-nosciuto, non per mero scrupolo storico ma per ragioni sostanziali. Si tratta del contributo teorico e soprattutto pratico che il rivolu-zionario russo ha dato nel campo della politica dell’ambiente.Questo “Lenin sconosciuto” è una smentita di una certa rappresen-tazione convenzionale che è stata data molte volte dell’uomo e del dirigente rivoluzionario come in-sensibile a tutto ciò che non fosse lotta ideologica e azione imme-diata per il potere.Rappresenta anche la rivelazione di una precoce e insospettata at-tenzione del potere dei soviet per i problemi ecologici, che proprio da Lenin ebbe un significativo inco-raggiamento, e la confutazione di diffusi luoghi comuni quali la ceci-tà del marxismo nei confronti del-la natura o l’inevitabile “fallimento ecologico” del socialismo.La ricostruzione di questa dimen-sione inedita del grande rivoluzio-nario russo ci consente inoltre di rispondere, con solidi argomenti e precisi riferimenti ai fatti storici, all’imputazione rivolta in anni re-centi ai padri del marxismo, e se-gnatamente a Lenin, per il preteso “divorzio” fra il marxismo (e il so-cialismo) e l’ecologia, divorzio che avrebbe contribuito agli esiti disa-strosi sul terreno ambientale delle prime società post-capitalistiche e che più in generale avrebbe pro-vocato il ritardo con cui il movi-mento operaio è arrivato a fare i conti teorici e pratici con la que-stione dell’ambiente.Come vedremo, è vero esattamen-te il contrario. Non solo Lenin, nel suo sforzo di analisi delle contrad-dizioni del capitalismo, manifestò fin dai primi anni del Novecento un’attenzione non comune per temi che oggi diremmo ecologici ma, una volta alla guida del po-

Lenin sconosciutoLa rivoluzione sovietica e l’energia

Lenin fu l’ispiratore delle prime iniziative del potere sovietico in campo ambientale. E non per caso. Le prove della sua at-tenzione per i problemi della natura si possono rintracciare in diversi scritti. E’ questo un lato inedito del suo pensiero e della sua opera e la conferma che un’altra via di sviluppo era pos-sibile per l’Urss e per il socialismo. Anche in campo ecologico, lo stalinismo fu la negazione dell’eredità leniniana e delle potenzialità rivoluzionarie dischiuse dall’Ottobre.

di Tiziano Bagarolo

tere sovietico, pur nelle condizioni estremamente sfavorevoli della guerra civile, si preoccupò di im-postare una strategia di protezio-ne della natura e di gestione ra-zionale delle risorse naturali che avrebbe dato per oltre un decen-nio risultati più che positivi. E che prefigurava la possibilità di un “so-cialismo ecologico” che non si è tradotto nella realtà non per con-geniti vizi ideologici del marxismo o del “leninismo”, come alcuni pretendono, ma per l’involuzione staliniana della Russia post-rivolu-zionaria, nelle condizioni tremen-de create dalla degenerazione burocratica, dalla sconfitta della rivoluzione in Occidente e dall’iso-lamento internazionale del primo Stato operaio. Lenin e la politica sovietica di protezione della natura Fino a una ventina d’anni fa, in Occidente si conosceva ben poco della politica di protezione della natura attuata nei primi anni del potere sovietico e gli studiosi oc-cidentali giudicavano pura propa-ganda le affermazioni degli storici sovietici che attribuivano a Lenin l’ispirazione di tale politica. Va ag-giunto che la disastrosa situazione dell’ambiente in Urss, venuta alla luce con l’incidente di Chernobyl e con la crisi del regime burocratico, nonché note vicende di repressio-ne politica contro studiosi di primo piano, come il famigerato caso Ly-senko-Vavilov negli anni quaranta, non incoraggiavano certo a pen-sare all’Urss come a un modello nel campo dell’ecologia e delle politiche ambientali.Un quadro affatto diverso e una vi-

cenda storica di estremo interesse, invece, è stata rivelata dagli studi dello storico americano Douglas Robert Weiner che, approfittando delle aperture del periodo gorba-cioviano, ha potuto condurre una ricerca approfondita negli archivi sovietici riportando alla luce do-cumenti originali da decenni inter-detti anche agli studiosi sovietici (1). La ricerca di Weiner non solo ha confermato il ruolo diretto svol-to da Lenin nella promozione del-le politiche ambientali del potere sovietico ma ha altresì consentito di apprezzarne il valore intrinseco e di comprendere un dato storico fondamentale: l’impulso e l’ispira-zione di Lenin hanno consentito all’ecologia e alla conservazione della natura di sperimentare in Urss un periodo di progressi e di ri-sultati straordinari, all’avanguardia a livello mondiale, per tutti gli anni venti. In seguito, il rovesciamento di quella ispirazione, che comin-cia bruscamente all’inizio degli anni trenta nel quadro delle com-plessiva staliniz zazione del paese, ha comportato un drammatico ar-retramento dell’autonomia degli studiosi, l’emarginazione di idee e impostazioni d’avanguardia sul terreno delle relazioni economia-ambiente e una drastica perdita di efficacia delle politiche ambientali. Di qui il disastro ecologico che ac-compagna nei decenni successivi l’impetuoso ma irrazionale svilup-po industriale dell’Urss staliniana e che prolunga le sue conseguenze fino alla crisi del regime burocrati-co negli anni ottanta.Il movimento per la protezione della natura aveva mosso i primi passi in Russia già prima della guerra, sulla scia dei paesi oc-cidentali più avanzati in questo

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campo, Stati Uniti e Germania in particolare. Gli studiosi russi ave-vano avanzato idee d’avanguar-dia sulla protezione della natura (2) e proposto un piano di parchi naturali, rimasto ovviamente sen-za seguito. Non c’è dunque da stupirsi se anche fra i conservazio-nisti prevaleva l’opinione che la Russia avesse bisogno di urgenti e radicali mutamenti politici e sociali (3) . La caduta dello zar fu perciò accolta con favore e nei mesi che seguirono la rivoluzione del feb-braio 1917 sorsero nei maggiori centri del paese nuove società ge-ografiche e naturalistiche (4) .Tuttavia, al momento della presa del potere da parte dei bolscevi-chi, le simpatie nei loro confronti erano scarse. Osserva Weiner che

l’approccio del partito di Lenin nei confronti della conservazione era un’“incognita politica”. In effetti, il partito bol-scevico non aveva mai discusso in precedenza e adottato una chiara posizione in materia.Anche per questo la po-sizione personale di Le-nin assumeva un’impor-tanza decisiva. Benché anch’egli non avesse mai affrontato in modo organico e complessi-vo i temi dell’ambiente,

fra i dirigenti bolscevichi Lenin era uno dei più consapevoli in ma-teria (vedremo più avanti alcuni suoi scritti degli inizi del secolo). In lui la convinzione circa l’urgenza di incrementare le forze produtti-ve del paese si accompagnava a una chiara consapevolezza del-la necessità di rispettare le leggi naturali. L’obiettivo dell’efficienza nella gestione dell’economia so-cialista includeva, e non ignorava, l’esigenza di una gestione accorta delle risorse naturali e della loro preservazione e quella del rispet-to delle leggi ecologiche, come si può vedere in questo passo tratto dall’indirizzo ai delegati comunisti del Consiglio centrale panrusso dei sindacati dell’aprile 1919: “Per proteggere le fonti delle nostre ri-sorse dobbiamo agire in accordo con le leggi scientifico-tecniche. Per esempio, trattando del rendimen-to delle nostre foreste, dobbiamo stare attenti che l’industria foresta-le agisca correttamente. Trattando del petrolio, dobbiamo attrezzarci per prevenire gli sprechi. E’ neces-

sario insomma sforzarsi di appli-care le leggi scientifico-tecniche e un criterio di sfruttamento raziona-le.” (5) Questa consapevolezza – e la percezione realistica dell’arre-tratezza storica della Russia in cui, all’indomani della conquista del potere da parte degli operai, prevalevano le sterminate masse contadine e la gretta burocrazia statale ereditata dallo zarismo (6) – rafforzavano in Lenin la radicata convinzione che la nuova Russia doveva far tesoro della migliore eredità culturale e scientifica della borghesia, per cui era necessario cercare un’intesa con il mondo accademico e con gli “specialisti” borghesi disponibili a collabora-re e, più in generale, promuovere

con ogni mezzo lo sviluppo delle scienze teoriche e applicate per elevare il livello culturale e quel-lo tecnologico del paese e creare le condizioni per un rapido incre-mento della produttività (7).Guidato da queste convinzioni, nell’aprile del 1918 Lenin conclu-deva l’accordo con l’Accademia delle scienze: il governo sovietico riconosceva l’autonomia delle isti-tuzioni scientifiche e universitarie in cambio della loro leale collabo-razione con il nuovo potere. Con lo stesso spirito, ma forse con la percezione di un’urgenza partico-lare, lavorava per la collaborazio-ne con gli esponenti delle scienze della natura e dei circoli conser-vazionisti.Sono molte le testimonianze di contemporanei che attestano una particolare sensibilità di Lenin per i problemi di protezione della na-tura (8). Sappiamo che nelle set-timane trascorse a nascondersi dopo “le giornate di luglio” del 1917, egli lesse alcune opere di argomento ecologico (9). Weiner

ricorda anche qualche aneddoto della vita privata di Lenin che te-stimonia la sua sensibilità natura-listica: la passione giovanile per la pesca e le escursioni lungo il fiu-me Svijaga presso Simbirsk e, più tardi, sulle alture lungo il Volga a Zhiguli; le escursioni con la moglie Krupskaja sulle Alpi, sui Giura e sui Tatra, durante l’esilio in Europa oc-cidentale; la sua netta preferenza, in materia di tempo libero, per il partito dei “progulisty” (i naturali-sti) contro i “kinemasty” (i cinefili). Abitudini conservate, per quanto possibile, anche durante gli anni frenetici del potere (10).Ben più importanti sono, natural-mente, le azioni politiche concrete. E qui è significativo il fatto che le prime leggi sovietiche di protezio-

ne della natura portano tutte la firma di Lenin, e non certo per un mero fatto burocratico (11).Dopo il decreto “sulla terra”, dei primi giorni della rivoluzione, che mise nelle mani dello Stato tutte le risorse na-turali, sottraendole allo sfruttamento dei privati e creando le premesse per una loro gestione razionale, due sono i momenti salienti dell’av-vio della politica sovie-

tica nel campo dell’ambiente. Ed entrambi portano l’impronta di Lenin.Il primo, già menzionato, fu l’ac-cordo fra il governo sovietico, nel-la persona del Commissario del popolo all’istruzione Anatolij Va-silevic Lunaciarskij, e l’Accademia delle scienze, con il quale il potere sovietico riconosceva l’autonomia delle istituzioni accademiche e scientifiche in cambio dell’impe-gno a una leale collaborazione. Si tenga presente che l’orientamento ideologico dei leader dell’Accade-mia era tutt’altro che favorevole ai bolscevichi (e alle tendenze socia-liste in generale). Ciò nondimeno, l’accordo ridusse la conflittualità e rese possibile una collaborazione che diede nel tempo frutti impor-tantissimi, soprattutto dopo la fine della guerra civile. Come vedremo più avanti, l’ecologia e le scienze naturali in generale beneficeran-no in modo particolare di questo quadro favorevole.Il secondo evento è meno noto. Si tratta dell’incontro del gennaio 1919 fra Lenin e Nikolaj Nikolaevic

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Podiapolskij, agronomo bolscevico di Astrakan, città nella regione del Volga, incontro che segna il punto di partenza della politica sovietica di tutela della natura. Vale la pena di riferire estesamente l’episodio così come lo racconta Douglas Weiner.In quei giorni il governo sovietico era impegnato in una battaglia di vita o di morte contro l’armata del generale “bianco” Kolciak che aveva superato gli Urali e minac-ciava il cuore del territorio “rosso”. Malgrado la difficile situazione, il 16 gennaio Lenin trova il tempo, su sollecitazione di Lunaciarskij, di ricevere al Cremlino Nikolaj Podia-polskij, responsabile del Commis-sariato del popolo all’istruzione ad Astrakan, giunto a Mosca per perorare due proposte: aprire una università nella sua città e istituire una riserva naturale (zapovednik, in russo) nel delta del Volga (essa sarà in effetti la prima area natu-rale protetta istituita dal potere so-vietico, l’11 aprile 1919).Racconterà più tardi Podiapolskij che, dopo averlo ascoltato e “dopo avermi fatto qualche domanda sulla situazione militare e politica della regione di Astrakan, Vladimir Ilic diede la sua approvazione a tutte le nostre iniziative e in parti-colare a quella che riguardava il progetto di zapovednik. Dichiarò che la causa della conservazione era importante non solo per la re-gione di Astrakan, ma altrettanto per l’intera repubblica, e che egli la considerava una priorità urgen-te.” Lenin propose pertanto a Po-diapolskij di elaborare subito un progetto di legge sulla conserva-zione da applicare a tutto il pae-se. Costui, già il giorno successivo, dopo aver lavorato freneticamen-te con l’aiuto di alcuni legali e di alcuni attivisti di Mosca, consegnò il testo per il parere di Lenin e, con sua grande sorpresa, lo ricevette indietro nella giornata stessa cor-redato dalle osservazioni del capo del governo.Successivamente il provvedimen-to venne inviato per l’approvazio-ne definitiva al Commissariato del popolo all’istruzione. Non si trattò di una scelta casuale. Con acuta lungimiranza, Lenin voleva che la responsabilità per la protezione della natura fosse affidata a un organismo senza interessi diret-ti nello sfruttamento delle risorse naturali per garantirgli il massi-mo di autonomia e di efficacia nell’espletamento dei suoi sco-

pi istituzionali. “Una scelta molto oculata”, osserva Weiner, carica di conseguenze positive (12). Dopo aver superato vari ostacoli buro-cratici, sollevati non a caso dai “mi-nisteri” economici, con un ritardo di due anni, il 16 settembre 1921 il decreto “Sulla protezione dei mo-numenti della natura, i giardini e i parchi”, firmato personalmente da Lenin, divenne legge dello Stato. Punto qualificante: l’attribuzione al Commissariato all’istruzione delle competenze in materia di protezione della natura e della facoltà di istituire parchi nazionali (zapovedniki) in qualsiasi parte del territorio della nazione giudicato di particolare valore ambientale, scientifico o storico-culturale. Nei parchi nazionali, inoltre, veniva proibita ogni attività economica (caccia, pesca, prelievo di uova o di piante, ecc.) non espressamen-te autorizzata.Un secondo risultato dell’incontro del gennaio 1919 fu la creazione nella primavera dello stesso anno della Commissione provvisoria per la conservazione, in seguito ribattezzata Comitato scientifico o Comitato statale per la protezione dei monumenti della natura, con alcuni tra i più noti accademici e scienziati russi, come il geografo Anuchin, il mineralogista Fersman, gli zoologi Kots e Ognev, gli eco-logi Severtsov, Kozhevnikov e Zhi-tkov. A capo della Commissione venne posto l’astronomo bolsce-vico Vagran Tigran Ter-Oganesov. Una delle prime realizzazioni di questo organismo fu l’istituzione del primo parco nazionale della Russia sovietica, l’Ilmenskij zapo-vednik, nella regione di Miass ne-gli Urali meridionali (13). Il decreto istitutivo venne firmato da Lenin il 4 maggio 1920.In conclusione, la presenza e l’in-tervento di Lenin nell’avvio della politica sovietica di protezione della natura rivestirono un ruolo molto importante se non decisivo. Il punto qualificante degli atti le-gislativi che si susseguirono fra il ’19 e il ’21 fu l’attribuzione al Com-missariato del popolo all’istruzio-ne (Narkom pros) delle compe-tenze non solo della gestione dei parchi nazionali ma dell’intera po-litica di conservazione. Questa at-tribuzione fu tutt’altro che sconta-ta e tranquilla. Viceversa, fu fonte di ricorrenti conflitti interbu rocratici con il Commissariato all’agricoltu-ra (Narkomzem) che a più riprese reclamerà a sé la gestione delle aree protette per poterle sfruttare

economicamente. Senza riuscirci, almeno fino al 1934. Poi, come per il resto dell’Unione sovietica, la musica cambierà. “Fortunata-mente, il periodo di Lenin aveva lasciato solide fondamenta su cui costruire”, è il giudizio finale di Weiner, con cui non si può non consentire (14). Lenin, Bogdanov e l’ecologia Anche se il ruolo di Lenin nell’av-vio di una avanzata politica sovie-tica dell’ambiente è ormai, dopo le ricerche di Weiner, un fatto sto-ricamente accertato, non è man-cato chi in anni recenti ha voluto interpretare in modo affatto diver-so non tanto l’opera (che è fuori discussione) quanto la “filosofia” di Lenin in relazione alla ricezione dell’ambientalismo in Urss e più in generale nel marxismo. Si se-gnalano in questo senso i saggi di due studiosi che hanno la prete-sa di definirsi “ecosocialisti”: Juan Martinez-Alier, che non era al cor-rente dell’opera di Weiner quando ha formulato la sua tesi; e Arran Gare, che invece utilizza in modo a dir poco discutibile, parziale e tendenzioso le ricerche di Weiner (15).Juan Martinez-Alier (16) in Eco-logical Eco no mics, un lavoro del 1987 per altri aspetti originale e pregevole, mette sotto accusa Le-nin per la polemica filosofica con-dotta in Materialismo e empirio-criticismo (17) contro Alek sander Bogdanov (18) e i “machisti” russi. Egli vede un rappor to di causali-tà fra la posizione critica di Lenin nei confronti dell’“ener getismo” di Wilhelm Ostwald e della sua versione russa e “marxista” di Bogdanov e l’as serita “insensi-bilità” del marxismo nei riguardi delle problematiche ecologiche e in particolare della dimensione energetico-entropica dei processi produttivi (19). Arriva ad afferma-re che, attaccando Bogdanov, che aveva suggerito una connessione fra disponibilità di energia e forze produttive, Lenin si sarebbe spinto “quasi a respingere lo stesso con-cetto di energia”. La critica di Lenin a Bogdanov e a Ostwald, inoltre, sarebbe stata una vera “iattura” perché con essa “la nube del so-spetto leniniano... si addensò intor-no al concetto di energia, e ancor più all’energetica sociale” (20).Di queste pesanti affermazioni di Martinez-Alier c’è sostanzialmente

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una sola cosa da dire: sono l’op-posto della realtà. Per un verso egli travisa malamente la posizio-ne di Lenin sull’energia e sull’ener-getismo. Per un altro, il suo giu-dizio sul valore e il significato di quest’ultima corrente filosofica è fortemente squilibrato. In ogni caso, è storicamente infondato il ruolo che egli attribuisce a questo scritto di Lenin e alle posizioni in esso sostenute. In Materialismo ed empiriocriticismo Lenin non si sogna affatto di negare il concet-to di energia; anzi, in via d’ipotesi egli non rifiuta neppure la possi-

bilità di fare dell’energia, invece che degli atomi, il concetto base per l’interpretazione del mondo fisico; per Lenin questo è un pro-blema empirico che va lasciato interamente agli sviluppi della ricerca scientifica. Ciò a cui si oppone è l’interpretazione in chiave idealistica di questa sosti-tuzione, come se la “scomparsa della materia” (ossia la crisi del-la nozione meccanicistica di ma-teria invalsa fino ad allora nella fisica) comportasse la scompar-sa del mondo oggettivo; e come se quello di energia non fosse anch’esso un concetto materia-listico. La questione è discussa con chiarezza nel quinto capi-tolo intitolato “La rivoluzione moderna nelle scienze naturali e l’idealismo filosofico”, dove si esamina l’affermazione di alcuni fisici secondo cui le ultime sco-perte della fisica (in particolare

contribuisce a confondere le idee piuttosto che a portare un arricchi-mento analitico reale (22).Partendo dalle tesi di Martinez-Al-lier, Arran Gare, ha cercato di trova-re la chiave di spiegazione storica della vicenda dell’ambienta lismo sovietico (23). Egli collega lo svi-luppo dell’ambientalismo a Bog-danov e alle sue idee in campo filosofico (l’energetismo) e sociale (il Proletkult) e stabilisce invece un nesso di continuità fra Lenin e Stalin. Mentre il materialismo e il centralismo di Lenin sono re-sponsabili, per Gare, del modello

di socialismo ultra-industrialista e antiecologico prevalso sotto Sta-lin, all’approccio di Bogdanov vie-ne invece attribuita la paternità di una “via alternativa” la cui sconfit-ta avrebbe avuto per l’Urss e per il socialismo le ben note conse-guenze.L’esposizione fatta da Gare di alcuni aspetti poco noti del pen-siero e dell’opera di Bogdanov è interessante ma non dimostra af-fatto la sua tesi. Il procedimento di Gare consiste nel sovrapporre alla vicenda storica una lettura ideologica precostituita volta a “dimostrare” una causalità ideale che, per il resto, non è confortata da nessun elemento di fatto (24). In Gare, l’unica parvenza di un ar-gomento storico è la concomitan-za fra la fioritura dell’ecologia e la parallela esistenza del Proletkult, il

movimento di “cultura proletaria” ispirato da Bogdanov. Ma è diffi-cile, o meglio impossibile, vedere una qualsiasi affinità, per non dire un rapporto di causalità, fra i due fenomeni (25).In breve, le interpretazioni di Juan Martinez-Alier e di Arran Gare non stanno in piedi. Se da un lato travi-sano completamente il senso del-la posizione di Lenin, attribuendo invece a quella di Bogdanov un significato che storicamente non ha avuto, dall’altro sono smentite in concreto dalla verifica storica a cui, dopo l’Ottobre 1917, vennero

sottoposti tanto gli uomini quan-to le idee che furono al centro di quella polemica filosofica.Il “materialismo” non solo non impedì ma semmai motivò l’im-pegno di Lenin a favore delle scienze naturali, dell’ecologia e di una politica di conservazione della natura. Il rifiuto dell’“ener-getismo” filosofico, d’altra par-te, non gli impedì di giudicare fondamentale e prioritario per lo sviluppo economico e so-cialista del paese lo sforzo per l’elettrificazione (sintetizzato anche in uno slogan famoso: “Il socialismo è uguale ai soviet più l’elettrificazione”).Per altro, il già “bogdanoviano” Lunaciarskij – ma “trotskista” nel 1917 – ebbe dal “materia-lista” Lenin non solo l’incarico di Commissario del popolo all’istruzione ma, proprio in vir-tù di quel ruolo, ebbe anche il compito di occuparsi della pro-

tezione della natura che Lenin volle, con sguardo lungimirante, sottratta all’influenza dei dica-steri coinvolti direttamente nel-lo sforzo economico. In questo compito delicato Lunaciarskij ri-cevette da Lenin il massimo ap-poggio per l’adozione di misure d’avanguardia a favore della conservazione e della ricerca ecologica.Ancora: nei conflitti ideologici che presero forma nella secon-da metà degli anni venti furono i “materialisti dialettici” del grup-po di Deborin coloro che sep-pero meglio dialogare in modo fecondo con le scienze naturali e con l’ecologia (26). Viceversa, un motivo tipicamente “bogda-noviano” – la contrapposizione di una pretesa “scienza proleta-ria” alla “scienza borghese”– di-venne all’inizio degli anni trenta il tema portante dei normalizza-

la scoperta dell’elettrone e della divisibilità dell’atomo) avrebbero comportato la “scomparsa della materia”. Lenin non ha problemi ad ammettere tale affermazione, se essa riguarda i modelli di in-terpretazione del mondo fisico. Cosa diversa è attribuire ad essa un valore ontologico per nega-re la realtà del mondo obietti-vo, come fanno invece Mach e Avenarius, più confusamente Ostwald e, più ambiguamente, Bog danov (21).Nel sesto capitolo, “Empiriocritici-smo e materialismo storico”, Le-nin prende in esame l’e ner getica sociale, o per dir meglio la revi-sione bogdanoviana del mate-rialismo storico. Anche qui, la sua critica non è rivolta all’ener getica come tale, ma all’applicazione esteriore, pasticciata e confusa della terminologia “energetica” al materialismo storico, ciò che

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nella foto: Alexander Bogdanov

tori staliniani, protagonisti prima dell’attacco all’ecologia e alla con-servazione e, più tardi, dell’assalto alla genetica mendelliana (27).In conclusione: le posizioni filoso-fiche che si scontrarono nel dibat-tito del primo decennio del secolo sull’empiriocriticismo non solo non offrono una chiave di spiegazione della liquidazione da parte di Sta-lin, due decenni dopo, dell’ecolo-gia e dell’ambientalismo in Urss, ma neppure gettano una qualsia-si luce sul tema sollevato da Mar-tinez-Alier, ossia le ragioni del “di-vorzio” intercorso fra il marxismo e l’ecologia. Nello specifico, è del tutto infondata l’individuazione di una responsabilità “filosofica” di Lenin in tal senso. Occorre cercare in tutt’altra direzione.Al contrario di quanto pretendo-no Juan Martinez-Alier e Arran Gare, è lecito affermare invece che, non solo Lenin possedeva una chiara percezione dell’esi-stenza di problemi ecologici, ma la sua posizione politico-filosofica lo predisponeva a comprender-ne la rilevanza. Lo si può ricavare da un esame più ampio dei suoi scritti filosofici, esteso ad esempio ai Quaderni filosofici (28), e so-prattutto da alcuni saggi dei primi anni del Novecento, raccolti in vo-lume col titolo La questione agra-ria e i “critici di Marx”, in cui sono esplicitamente trattati alcuni temi ecologici di rilievo, come il degra-do dei suoli ad opera delle tecni-che capitalistiche di coltivazione o l’antagonismo fra città e campa-gna, e dove Lenin ci ha lascia to le sue opinioni sul modo in cui il socialismo avrebbe dovuto affron-tare tali questioni (29). L’immagine della natura nel materialismo dialettico leniniano Negli appunti sparsi e discontinui dei Quaderni filosofici non pos-siamo trovare una elaborazione originale e sistematica; possiamo tuttavia rintracciare, nelle sottoli-neature e nelle osservazioni di as-senso o di dissenso annotate da Lenin in margine alle sue letture filosofiche, molti elementi del suo pensiero sulla natura e sul rappor-to uomo-natura. Essi non ci offro-no nuove scoperte: ci confermano semmai il particolare debito del materialismo dialettico leniniano verso Engels (e verso Feuerbach e Hegel) per ciò che riguarda la concezione dell’uomo come parte

del mondo naturale, o quella dei processi spirituali come prodotto della materia organica e non di una Ragione o di uno Spirito di-sincarnati. Non occorre fare qui un’analisi approfondita di questi materiali. Ci limitiamo a richiama-re alcuni passaggi più significativi.Negli appunti (redatti dopo il 1909) sulle Lezioni sull’essenza della religione di Feuerbach, Le-nin riporta numerosi passi del fi-losofo materialista tedesco in cui è affermato il carattere originario e onnicomprensivo della natura, il suo essere corporea, materiale, fondamento della vita dell’uomo, complesso di forze ed enti sensi-bili in costante rapporto di intera-zione (30). Si veda, ad esempio, questa citazione da Feuerbach dal forte sapore “olistico”, sorta di anticipazione filosofica del punto di vista ecologico: “Ciò che infatti l’uomo chiama finalità della natu-ra non è altro che l’unità del mon-do, l’armonia delle cause e degli effetti, la connessione generale in cui esiste e opera ogni cosa della natura.” (31)Osservazioni interessanti sulla na-tura e la conoscenza umana del-la stessa intessono gli appunti di lettura (del 1914-15) della Scienza della logica di Hegel. Riassumen-do alcuni passaggi della “filosofia dell’essenza”, secondo la sua pre-cipua lettura “materialistica” di He-gel, Lenin fa in realtà la sintesi del proprio punto di vista in termini che meritano di essere qui riferiti perché consentono di apprezza-re le affinità esistenti fra la visione filosofica dell’essere proprio del

materialismo dialettico e la visio-ne della natura propria dell’eco-logia scientifica: “Se non sbaglio, c’è molto misticismo e vuota pe-danteria in questi ragionamenti di Hegel, ma è geniale l’idea fonda-mentale: dell’universale, onnilate-rale e vivente connessione di tutto con tutto e del rispecchiamento di questa connessione… nei concetti dell’uomo, che devono essere al-tresì affinati, elaborati, duttili, mobi-li, relativi, reciprocamente connes-si, essere uno nelle opposizioni, per poter abbracciare il mondo. La prosecuzione dell’opera di Hegel e di Marx deve consistere nell’elaborazione dialettica della storia del pensiero umano, della scienza e della tecnica.” (32) Più avanti un passo che riassume il valore e i limiti della conoscen-za umana della natura: “L’uomo non può afferrare = rispecchiare = riflettere la natura intera, com-pletamente, nella sua ‘totalità im-mediata’, ma può solo avvicinar-si eternamente a questo, creando astrazioni, concetti, leggi, un’im-magine scientifica del mondo…” (33)Ma Hegel fornisce a Lenin spun-ti significativi anche sul rapporto uomo-natura, e in particolare sul ruolo della tecnica in relazione alle leggi di natura. A tal proposito Lenin è estremamente chiaro nel porre le leggi di natura come fon-damento e limite dell’attività uma-na: “Le leggi del mondo esterno, della natura… sono il fondamento dell’attività finalistica umana. Nella sua attività pratica l’uomo ha din-nanzi a sé il mondo oggettivo, di-

pag 29nella foto: Lenin gioca a scacchi con Bogdanov

pende da esso, determina per suo tramite la propria attività… Due for-me del processo oggettivo: la na-tura… e l’attività ponentesi un fine. Correlazione di queste due forme. I fini dell’uomo sembrano dap-prima estranei (‘altri’) rispetto alla natura. La coscienza dell’uomo, la scienza… rispecchia l’essenza, la sostanza della natura, ma è al tempo stesso un che di esteriore rispetto alla natura (non coincide con essa immediatamente, sempli-cemente). La tecnica… serve ai fini dell’uomo appunto perché il suo carattere (essenza) consiste nella sua determinazione da parte del-le condizioni esterne (leggi della natura)… In realtà i fini dell’uomo sono generati dal mondo oggetti-vo e lo presuppongono: lo trova-no come un dato, come presente. Ma all’uomo sembra che i suoi fini siano fuori del mondo e da esso indipendenti (‘libertà’).” (34) Sui problemi ecologici dell’agricoltura capitalistica Troviamo invece le prove dell’at-tenzione precoce di Lenin per i temi ambientali in alcuni saggi degli inizi del Novecento, com-posti e pubblicati fra il 1901 e il 1907 e successivamente raccolti in volume col titolo La questione agraria e i “critici di Marx”. In que-sti scritti – occasionati dalle pole-miche seguite alla pubblicazione nel 1898 del voluminoso saggio di Karl Kautsky Die Agrarfrage (la questione agraria), che ripropone-va e aggiornava autorevolmente le posizioni marxiste in materia (35) – Lenin esamina criticamen-te le posizioni dei “revisionisti” tedeschi (David, Hertz, ecc.) e dei critici russi di Kautsky (Bulgakov e Cernov). Questi, sulla scia degli economisti borghesi, tendevano a negare lo sviluppo capitalistico dell’agricoltura e ad attribuire al carattere conservatore delle “for-ze della natura” e alla cosiddetta “legge della fertilità decrescente della terra” l’arretratezza dell’eco-nomia agricola e l’impoverimento dei contadini, cioè ad eludere o a negare le vere cause sociali e sto-riche di questi fenomeni.Lenin, in effetti, non si limita a una difesa d’ufficio di Kautsky o della teoria marxista, compito che co-munque porta a termine con la ben nota implacabilità, demolen-do i critici nel me rito e nel metodo e dimostrando ad abun dan tiam la loro inattendibilità scientifica. Ri-

prendendo spunti e idee della sua opera precedente Lo sviluppo del capitalismo in Russia, egli ripropo-ne proprio alla luce delle novità introdotte dallo sviluppo storico e dall’avanzamento delle scien-ze naturali, l’intatta validità delle posizioni di Marx e di Engels sul-la rendita, sulla penetrazione dei metodi capitalistici nelle campa-gne, sulle tendenze alla concen-trazione della proprietà agraria e alla rovina dei piccoli produttori indipendenti e così via. Su due temi in particolare Lenin difende appassionatamente Kautsky e le posizioni dei “classici”: 1) l’analisi delle conseguenze antiecologiche dei metodi della moderna agricol-tura capitalistica, che provocano il depauperamento del suolo, com-promettono la salute dei lavora-tori e comportano l’inquinamento delle città e dei fiumi; 2) la solu-zione socialista di questi problemi, che passa necessariamente per l’eliminazione progressiva dell’an-tagonismo fra città e campagna da un lato e dall’altro per l’utilizzo di tecniche di coltivazione attente a preservare la fertilità dei suoli (“sostenibili”, diremmo oggi).Nel quarto dei saggi che compon-gono il volume – significativamen-te intitolato L’eliminazione dell’an-tagonismo fra città e campagna. Questioni particolari sollevate dai “critici” – dopo aver duramente re-plicato a Cernov e alle accuse da questi rivolte a Kautsky di ignorare i risultati delle più recenti ricerche scientifiche (36), Lenin ribadisce il punto di vista già espresso negli scritti di Marx e di Engels. Osser-va in particolare che l’utilizzo dei fertilizzanti artificiali “sarebbe un palliativo in confronto allo sper-pero degli escrementi umani do-vuto all’attuale sistema di fogna-tura delle città... E’ chiaro che la possibilità di sostituire i concimi naturali con fertilizzanti artificiali e il fatto che questa sostituzione venga (parzialmente) già pratica-ta non intaccano minimamente la verità che è irrazionale sperperare senza utilizzarli i concimi naturali, infettando tra l’altro coi rifiuti i fiu-mi e l’aria nelle zone suburbane e vicine ai centri industriali... I fer-tilizzanti artificiali – dice Kautsky ... – ‘permettono di far fronte alla diminuzione della fertilità del ter-reno; ma la necessità di impiegarli in quantità sempre maggiori signi-fica soltanto che nuovi pesi si ag-giungono ai molti altri che già gra-vano sull’agricoltura, pesi che non sono una necessità naturale, ma

derivano dai rapporti sociali esi-stenti’.” (37)Si noti che Lenin difende “la conce-zione socialista dell’eliminazione dell’antagonismo tra città e cam-pagna” contro i critici (Bulgacov e Hertz) che l’avevano definita “pura fantasia” e “utopistica”, per motivi fondamentalmente ecologici: “Ma l’aperto riconoscimento della fun-zione progressiva delle grandi cit-tà nella società capitalistica non ci impedisce affatto d’includere nel nostro ideale (e nel nostro pro-gramma d’azione…) l’eliminazione dell’antagonismo tra città e cam-pagna. Non è vero che ciò equi-valga a rinunciare ai tesori della scienza e dell’arte. Al contrario: ciò è indispensabile per rendere que-sti tesori accessibili a tutto il popo-lo, per eliminare quell’isolamento dalla civiltà di milioni di abitanti della campagna che Marx ha giu-stamente definito ‘idiotismo della vita rustica’. E oggi che l’energia elettrica può essere trasmessa a grandi distanze, che la tecnica dei trasporti è giunta fino a permet-tere di trasportare i viaggiatori, e con minori spese (di quelle attua-li), a più di 200 verste all’ora [una versta è pari a km 1,07; ndr], non esiste assolutamente nessun osta-colo tecnico a che tutta la popola-zione, disseminata in modo più o meno uniforme per tutto il paese, approfitti dei tesori della scienza e dell’arte accumulati in alcuni cen-tri nel corso dei secoli.“E, se nulla si oppone all’elimina-zione dell’antagonismo tra città e campagna (e non si deve certo im-maginarla nella forma di un unico atto, ma in quella di tutta una se-rie di misure), non è certo il solo ‘sentimento estetico’ a richiederla. Nelle grandi città gli uomini sono soffocati, secondo l’espressione di Engels, dal fetore dei loro propri ri-fiuti [Lenin fa qui riferimento a un passo di Engels ne La questione delle abitazioni, ndr], e tutti colo-ro che possono fuggono periodi-camente dalla città alla ricerca di aria fresca e di acqua pura. Anche l’industria si dissemina per tutto il paese, perché anch’essa ha biso-gno di acqua pura. Lo sfruttamen-to delle cascate, dei canali e dei fiumi per produrre energia elettri-ca darà nuovo impulso a questa ‘dispersione dell’industria’. Infine, last but not least, l’utilizzazione razionale dei rifiuti della città in generale, e degli escrementi uma-ni in particolare, tanto importanti per l’agricoltura, esige anch’essa la soppressione dell’antagonismo

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tra città e campagna.” (38)Infine – e chiudiamo con questo l’esame di questi scritti, che in ve-rità presentano molti altri spunti di attualità (39) – meritano di esse-re riferite alcune osservazioni di portata generale relative al rap-porto uomo-natura che Lenin in-serisce en passant nella trama del suo ragionamento perché, fra l’al-tro, smentiscono il luogo comune che accusa il marxismo e i mar-xisti di disconoscere il posto della natura nei processi produttivi in virtù di un’errata valutazione del lavoro umano come unica forza produttiva. Questo, invece, è pro-prio l’errore che Lenin, sulla scia di Marx, contesta a Bulgakov che “ .scade al livello dell’economia volgare, chiacchierando di sosti-tuzione del lavoro umano alle forze della natura, ecc. Sostituire il lavoro umano alle forze della natura è, generalmente parlando, altrettanto impossibile quanto so-stituire i pud agli arsin [la prima è una misura russa di lunghezza, la seconda di peso, ndr]. Nell’indu-stria come nell’agricoltura l’uomo può soltanto utilizzare l’azione, se la conosce, delle forze della natu-ra e rendere più facile a sé stesso questa utilizzazione per mezzo di macchine, attrezzi, ecc.” (40)Questa osservazione, apparente-mente marginale, ci dice in verità due cose importanti: 1) che sul ter-reno analitico Lenin presta grande attenzione alla dimensione fisica, concreta, dei processi produttivi (che è quella nella quale si mani-festano in prima istanza i proble-mi ecologici, perché questi sono per l’essenziale problemi del ri-cambio materiale organico fra le società umane e il loro ambiente naturale); 2) che sul terreno filoso-fico più generale Lenin riconosce nella natura un ordine predeter-minato e irriducibile alla volon-tà umana, un ordine che l’uomo non può pensare di alterare. Si tratta di una posizione, come per altro quelle di Marx e di Engels, che rientra indubbiamente nella tradizione dell’antro pocen trismo che convenzionalmente si fa risa-lire a Francesco Bacone, ma di un antropocen trismo prudente e sag-gio, consapevole delle relazioni, e delle responsabilità, che connet-tono le società umane al proprio ambiente naturale (41).Si potrebbe osservare a questo punto che la posizione di Lenin che scaturisce dal nostro esame non è particolarmente origina-le: egli, in fin dei conti, si limita a

ribadire concetti e orientamenti già proposti da Marx e da Engels e riproposti da Kautsky. Questo è vero, ma il punto che ci premeva sottolineare qui non era l’origina-lità di Lenin in relazione all’elabo-razione marxista, ma piuttosto il fatto che, ben prima dell’Ottobre 1917, egli aveva assimilato e riela-borato personalmente questi temi così da possedere di questa ma-teria una chiara consapevolezza politico-teorica. Ciò significa, in altre parole, che l’interesse con cui Lenin accolse Podiapolskij al Cremlino ed esaminò le sue idee in materia di protezione della na-tura, in quelle convulse giornate di guerra civile del gennaio 1919, non fu un fatto casuale e neppure il frutto di una mera sensibilità di indole personale. Quell’interesse nasceva da un’acuta consapevo-lezza dei problemi da affrontare, che a sua volta aveva una soli-da base teorica e filosofica. Que-sta base era il marxismo o, se si vuole, lo specifico “marxismo di Lenin”, alieno tanto da interpreta-zioni economicistiche quanto da letture idealistiche, rafforzato dal-la frequentazione delle medesime “fonti filosofiche” di Marx e di En-gels e forse reso più avvertito nei confronti della natura dalla pas-sione per le scienze naturali ap-presa dal giovane Vladimir sui libri del fratello maggiore Aleksandr.L’esame storico e teorico qui con-dotto, ci ha consentito di delineare la figura, per certi aspetti inattesa, di un dirigente marxista rivolu-zionario in possesso di una non comune percezione dei problemi ecologici e delle loro cause, non-ché di idee ben precise sul modo di affrontarli e di un raro senso dell’opportunità sui passi concreti da intraprendere, stante il diffici-le contesto generale, obiettivo e soggettivo, per inserire la conser-vazione nel disegno della trasfor-mazione socialista. Questo, anche se misconosciuto, è il contributo prezioso che Lenin ha lasciato in un campo in cui allora tutti, non solo il giovane potere sovietico, muovevano i primi passi.Nella tragedia complessiva dell’in-voluzione staliniana della rivolu-zione sovietica, rientra anche il ca-pitolo della tragedia dell’ecologia sovietica. L’impulso geniale dato da Lenin in questo campo fu non solo soffocato e tradito nella prati-ca, ma anche pressoché cancella-to dalla memoria. E’ a questo tra-dimento e a questo oblio, in verità,

che dobbiamo imputare, almeno per quello che riguarda la sua causa zione ideale, il “divorzio” durato a lungo fra il movimento operaio e l’ambientalismo.Anche se questo non è il luogo per ricostruire l’intera vicenda dell’ecologia sovietica, è utile rife-rire qui sommariamente il seguito della sua storia e in particolare il modo in cui lo stalinismo, anche in questo campo, ha rovesciato e negato l’eredità di Lenin. L’eredità di Lenin e la trage-dia dell’ecologia sovietica sotto Stalin Abbiamo già visto il giudizio di Weiner sull’azione di Lenin: “Per fortuna, il periodo di Lenin ha la-sciato solide fondamenta sulle quali costruire”. I provvedimenti degli anni 1918-1923, per quanto in parte inapplicati, costituirono infatti la base per le significative realizzazioni della seconda metà degli anni venti, quando l’econo-mia sovietica riprese rapidamente slancio. Fu questo il periodo d’oro dell’ecologia e della conservazio-ne in Urss. Vennero creati varie decine di zapovedniki, la cui area totale raggiunse i quattro milioni di ettari nel 1929. Cattedre di eco-logia vennero istituite nelle prin-cipali università. Nacque un vero e proprio movimento per la con-servazione della natura, dotato di larga autonomia dal governo, dal quale riceveva comunque inco-raggiamenti ed appoggi attraver-so il Commissariato all’istruzione e il suo titolare, Lunaciarskij.Nel 1924 venne creato dal Com-missariato all’istruzione la Società panrussa di conservazione con lo scopo di “promuovere con tutti i mezzi l’attuazione pratica della conservazione... e di risvegliare l’interesse della società”. La prote-zione della natura divenne parte dei programmi scolastici e vide la luce la rivista “Okrana Prirodi” (Conservazione della natura) dedi-cata a questi temi con un’apertura internazionale. Nel 1925 presso il medesimo Commissariato ven-ne istituito il Goskomitet, comitato statale incaricato di sovrintendere e coordinare la politica di prote-zione e la gestione dei parchi na-zionali.Negli stessi anni si sviluppa il ruo-lo in questo campo di un’associa-zione creata nel 1922 sotto l’egi-da dell’Accademia delle scienze,

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l’Ufficio centrale per lo studio del-le tradizioni locali, vera e propria organizzazione di massa diretta da scienziati, giunta alla fine degli anni venti a contare sessantamila iscritti e più di duemila circoli lo-cali.Secondo Weiner, ebbe successo in questo periodo il dialogo fra gli esponenti più attenti e aperti del nuovo potere sovietico (oltre a Lenin e i già citati Lunaciarskij e Podiapolskij, vanno ricordati Smi-dovic e Ter-Oganesov, che ricopri-rono a lungo posizioni di vertice in organismi legati alla conservazio-ne), e l’ala avanzata degli ecologi e del movimento conserva zionista (Kozhevnikov, Severstov, Shillin-ger, Alechin, Stanchiskij, Kashka-rov, Makarov…). I primi, sulla scia dell’insegnamento di Lenin, giu-dicavano importante una saggia gestione delle attività produttive e delle risorse naturali ai fini di un’ar-monica edificazione socialista, e facevano conto per questo sulla collaborazione con gli ambienti scientifici. I secondi, che rappre-sentavano la giovane generazio-ne di studiosi, molti dei quali prima della guerra avevano avuto modo di viaggiare e studiare all’estero e di partecipare ai dibattiti interna-zionali, condividevano l’ispirazio-ne moder nizzatrice del regime e in materia di protezione della na-tura non partivano da pregiudizi anti-industriali, presenti forse nella precedente generazione, ma da un approccio scien tifico.Questa collaborazione diede ri-sultati straordinari sia in campo scientifico (42), sia, come abbiano detto sopra, in campo realizzati-vo.

Ma questo quadro favorevole cambiò radicalmente tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, in coincidenza con l’avvio dei piani quinquennali e la definitiva affermazione del potere di Stalin ai vertici della burocrazia. Erano gli anni terribili dell’indu-strializzazione “a tappe forzate”, della crisi dei rapporti con le cam-pagne e della collettivizza zione coatta. Sul piano politico furono gli anni dell’espulsione di Trotsky dal paese, della liquidazione di tutte le opposizioni, dell’avvio del-le grandi purghe.Il rapporto dialettico fra il regime e gli studiosi, instaurato da Lenin e garantito da Luna ciar skij, venne meno. Al dibattito relativamente libero fra diverse posizioni scien-tifiche e filosofiche, che aveva ca-ratterizzato gli anni venti, subentrò la “bolscevizzazione” delle scien-ze e della cultura, ossia l’obbligo per artisti e studiosi di uniformarsi ai criteri ideologici imposti dall’al-to, senza molto rispetto per le re-gole dell’arte, della ricerca e della verità (43). Agli ecologi, in parti-colare, venne chiesto di smetterla di discutere gli obiettivi dei piani quinquennali e di assoggettarsi agli imperativi di crescita fissati dai burocrati dei ministeri econo-mici. Di fronte agli effetti negativi sull’ambiente dello sviluppo indu-striale accelerato (inquinamento e degrado del territorio, sfruttamen-to eccessivo delle risorse naturali, ecc.), gli ecologi avevano infatti reagito denunciando gli obiettivi irrealistici, reclamando attenzione per i limiti naturali e avanzando idee innovative come quella di valutare anticipatamente l’impat-

to ambientale delle scelte econo-miche (44). Ancora nel 1931, nel primo manuale sovietico di eco-logia scritto da Danijl Kashkarov, uno stretto collaboratore di Stan-chinskij, si poteva leggere un’intel-ligente difesa dell’ecologia come guida essenziale per una pianifi-cazione razionale dello sviluppo economico socialista (45).Ma l’affermarsi della dittatura tota-litaria di Stalin al vertice dello Sta-to e il potere dei suoi scherani nel mondo accademico (nel 1929 Lu-naciarckij lasciò la guida del Com-missariato all’istruzione) lascia-rono pochi spiragli agli ecologi. Fra il 1932 e il 1934, Isai Izrailovic Prezent e Trofim Denisovic Lysenko (che più tardi diventeranno famosi per la persecuzione contro Nico-laj Vavilov a la genetica mendel-liana in nome di una improbabile scienza “proletaria” (46)) fecero le prove generali della “nor ma-lizzazione” proprio con l’ecologia. I recal citranti furono rimossi dai loro incarichi, molti arrestati. Sor-te che nel 1934 toccò anche a Vladimir Vladimirovic Stanchinskij, in quel momento il più originale teorico russo dell’ecologia e il più tenace difensore della politica di conservazione. Finì così lo straor-dinario esperimento che aveva visto per tre lustri la feconda col-laborazione fra il regime sovietico e un settore di nuova intelligent-sija e che aveva prodotto risultati di grande portata il cui significato storico andava oltre la Russia e gli anni venti per investire una delle questioni vitali della nostra epo-ca.Col prevalere dello schema stali-niano del “socialismo in un pae-se solo”, finì per prevalere anche un’idea dello sviluppo e del rap-porto con la natura di marca gret-tamente economi cistica. I passi in avanti del “socialismo” vennero misurati in base ai milioni di ton-nellate di carbone e di acciaio prodotti o alle dimensioni ciclopi-che delle realizzazioni industriali. Simbolo del periodo divenne l’Hi-droproject, l’ente di Stato incari-cato di realizzare in tutto il paese canali, dighe e impianti idroelet-trici, che forse favorirono a breve termine la rapidissima trasforma-zione industriale del paese, ma al prezzo di un’ingente devastazione ambientale.Alla preoccupazione di una pru-dente gestione dell’ambiente na-turale ispirata a criteri scientifici, subentrò la pretesa di “trasforma-re la natura” e di “correggerne gli

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errori millenari”, come suonavano le affermazioni di Stalin. Più gra-ve ancora, l’annullamento di ogni dialettica democratica all’interno della società sovietica lasciò alla burocrazia dominante le mani libere per ogni arbitrio. La stes-sa normativa ambientale molto avanzata, varata nei primi anni del potere sovietico, finì per resta-re lettera morta e le istanze della protezione dell’ambiente vennero emarginate e soffocate per alme-no un ventennio (47).In queste condizioni, la soppres-sione della proprietà privata del-la terra e delle risorse naturali, che aveva reso possibili le rea-lizzazioni degli anni venti, non fu sufficiente per impedire lo sfrut-tamento irrazionale delle risorse e del territorio, la devastazione delle aree vergini, gli effetti nefasti di uno sviluppo economico la cui logica rifletteva le miopi priorità dei gruppi burocratici dominanti a livello centrale e locale. E’ questo il quadro che produrrà in seguito misfatti come l’inquinamento del Lago Bajkal, la morte del Mare d’Aral, il progetto di invertire il cor-so dei fiumi siberiani, la catastrofe nucleare di Chernobyl ...E’ in questi sviluppi politici, non certo nella polemica filosofica fra Lenin e Bogdanov dei primi del Novecento, che vanno cercate le radici reali del disastro ecologico del “socialismo reale”, ossia nella perversione dell’idea di socialismo che storicamente porta il nome di “stalinismo”. Anche in questo campo, dunque, Stalin ha rappre-sentato la negazione, non certo la continuità, dell’eredità di Lenin. Note al testo (1) Oltre a numerosi saggi pub-blicati su varie riviste, sulla storia dell’ecologia in Urss dalla rivolu-zione a Gorbaciov D. R. Weiner ha scritto due fondamentali vo-lumi: Models of Nature. Ecology, Conservation, and Cultural Re-volution in Soviet Russia, Indiana University Press, 1988; e: A Little Corner of Freedom. Russian Natu-re Protection from Stalin to Gorba-chev, University of California Press, 1999. I lavori di Weiner hanno sti-molato l’interesse degli studiosi in Ucraina e in Russia e nuove ricer-che su aspetti particolari hanno visto la luce nell’ultimo decennio. Purtroppo nulla di tutto questo è disponibile in italiano.

(2) Nel 1909 lo zoologo russo Gri-gorij Aleksandrovic Kozhevnikov aveva proposto l’idea, del tutto nuova nell’ambito del movimento conservazionista internazionale, di istituire riserve naturali comple-tamente isolate da ogni attività umana (zapovedniki), non solo per motivi protezionistici ma an-che per scopi scientifici, per poter disporre di modelli (etaloni) del funzionamento della natura vergi-ne. La sua sensibilità d’avanguar-dia si rivela anche nel seguente episodio: nel 1913, alla Conferen-za internazionale per la protezio-ne della natura di Berna, Kozhev-nikov si battè quasi isolato per la protezione non solo della natura ma anche dei popoli primitivi. (3) “Questo appoggio [ai cam-biamenti, ndr] si sarebbe più tar-di trasformato in collaborazione col nuovo regime sovietico” scrive Weiner con riferimento in partico-lare a Kozhevnikov, esponente di punta del movimento (op. cit., p. 21). (4) La Commissione permanente per la conservazione della Socie-tà geografica organizzò un’im-portante Conferenza della con-servazione a Pietrogrado dal 30 ottobre al 2 novembre, dove si incontrarono alcuni dei più impor-tanti naturalisti russi del periodo prerivoluzionario, come Borodin, Kozhevnikov, Taliev, Andrei e Ve-niamin Petrovic Semenov-tian-shanskij. Nel corso della conferen-za fu presentato da Zavadskij un disegno di legge per la creazione di un’autorità governativa centrale preposta alla conservazione con ampi poteri di esproprio. Nella stessa occasione V. P. Semenov-tian-shanskij presentò il primo piano per una rete nazionale di zapovedniki concepiti sul model-lo dei parchi nazionali americani. Nel tardo autunno avrebbe dovu-to riunirsi a Mosca anche la prima assemblea della Società mosco-vita di conservazione (il 12 no-vembre, secondo il nuovo calen-dario), ma l’appuntamento venne annullato perché le strade erano insicure per i combattimenti. D’al-tra parte la guerra e i rivolgimenti sociali nelle campagne aveva-no avuto un impatto devastante sull’ambiente naturale e ciò non preoccupava solo i conservazio-nisti. Weiner riferisce un episodio significativo. Nell’estate del 1917, il soviet di Kronstadt, preoccupato

per la possibilità che venisse de-vastata la famosa riserva naturale di Askania-Nova in Ucraina meri-dionale, votò una risoluzione per chiedere al governo provvisorio di intervenire e quest’ultimo inviò ad Askania-Nova il botanico Pacho-skij (che vi sarebbe rimasto fino al 1923) e il generale Kozlov. (5) Weiner, op. cit., p. 23, nota 24. (6) Su queste questioni si veda il rapporto al VII congresso del parti-to (marzo 1918) I compiti immedia-ti del potere sovietico: “L’aumento della produttività del lavoro esige anzi tutto che siano garantite le basi materiali della grande indu-stria… Un’altra condizione per ele-vare la produttività del lavoro è in primo luogo lo sviluppo educativo e culturale della massa della po-polazione.” in Opere scelte, vol. IV, p. 671; si veda pure il Rapporto sul programma del partito all’VIII congresso (vedi nota successiva). Si confronti con lo scritto di quattro anni dopo Meglio meno, ma me-glio (marzo 1923), in Opere scelte, vol. VI, pp. 745-757. (7) “Pensare di poter edificare il comunismo soltanto con le mani dei comunisti puri, senza l’aiuto degli specialisti borghesi, è un’idea puerile… Questi ultimi hanno fatto progredire la cultura nel quadro del regime borghese; arricchiva-no cioè la borghesia d’immense conquiste materiali, delle quali al proletariato non riservavano che un’infima parte. Ma essi hanno fatto progredire la cultura. Era que-sta la loro professione. Nella misu-ra in cui vedono che nella classe operaia emergono strati organiz-zati e progrediti che non soltanto apprezzano la cultura, ma aiuta-no a diffonderla tra le masse, essi cambiano il loro atteggiamento verso di noi.” (Lenin, Rapporto all’VIII congresso del Pc(b)r (mar-zo 1919), in Opere scelte, vol. V. p. 240 e 259). Sulla stessa linea Trot-sky: “[Occorre] trarre dalle vecchie istituzioni tutto quello che hanno di buono e utile per adattarlo alle nuove esigenze… In fondo [non farlo] sarebbe come rinunziare alle macchine che sono servite fino ad oggi a sfruttare gli operai. Sarebbe una vera follia. Reclutare specialisti competenti è tanto indi-spensabile quanto avere al nostro attivo tutti i mezzi di produzione e di trasporto e, in generale, tutte le ricchezze del paese.” (Rappor-to alla Conferenza di Mosca del

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marzo 1918). (8) In parte, probabilmente, ere-dità dell’ambiente famigliare e dell’influenza ricevuta in gioventù dal fratello, Aleksandr Uljanov, stu-dente di scienze naturali. (9) Fra questi M. N. Bogdanov, Dal-la vita della natura russa, che fa-ceva parte della vasta collezione di testi di biologia, agronomia e agricoltura appartenente alla sua ospite e futura segretaria, Maria Fofanova, e Vasilij Sukachev, Palu-di, formazione, sviluppo e caratte-ristiche. Si sa che egli commentò il libro con la Fofanova, rimarcando in particolare la possibilità di uti-lizzare la torba delle paludi russe come combustibile per l’elettrifica-zione del paese, “ma possiamo supporre”, osserva Weiner, “che Lenin rimanesse pure colpito dal-lo spirito olistico ed ecologico del testo di Sukachev, un’opera pio-nieristica nel campo delle comu-nità ecologiche”. (10) Tutte queste infor–mazioni in Weiner, op. cit. p. 23. Del suo amo-re per la natura ha scritto anche la sorella Anna: “Durante l’estate, specialmente dopo i congressi, le conferenze o le grosse polemiche in seno al comitato direttivo, cerca-va di andare a riposarsi a contatto con la natura, sulle rive del mare o in montagna. Sceglieva sempre un luogo solitario e selvaggio, la pensione più semplice e più eco-nomica. Questo amore per la na-tura, a contatto della quale ritrova-va la serenità, lo accompagnerà per tutta la vita.” (da Autobiografie di bolscevichi, a cura di G. Haupt e J.J. Marie, Samonà e Savelli, Roma 1970, p. 49). (11) I provvedimenti principali, ol-tre a quelli di cui si parla nel te-sto, sono la legge “Sulle foreste” e quella “Sulla caccia”. In proposito si veda la scheda in queste stesse pagine. (12) Weiner, op. cit., pp. 26-27. (13) Si tratta di un parco mineralo-gico interamente dedicato all’atti-vità scientifica, il primo del suo ge-nere in tutto il mondo, creato sulla base di un progetto avanzato già prima della guerra e caldeggia-to dai maggiori geologi russi dell’epoca, fra i quali Fersman, Vernadskij e Fedorovskij.

(14) Weiner, op. cit., p. 39. (15) Negli ultimi quindici anni, si è avuta un’attenzione crescente di studiosi di orientamento in senso lato “marxista” per le questioni ecologiche. Si sono avuti anche numerosi tentativi di “nuova” let-tura e “nuova” valutazione delle posizioni dei “classici”, se non di vera e propria riformulazione teo-rica di alcune categorie fondanti del marxi smo. Non c’è qui lo spa-zio per fare un quadro esauriente di questi sviluppi. Elenchiamo sol-tanto alcune opere di riferimento: James O’Connor, L’ecomarxismo. Introduzione a una teoria, Data-news, Roma, 1989 (ed. orig. Ca-pitalism, Nature, Socialism: A Theoretical Introduction, 1988); Juan Martinez-Alier, Economia ecologica. Energia, ambiente, so-cietà, Garzanti, Milano, 1991 (ed. orig. Ecological Economics. Ener-gy, Environment and Society, Basil Blackwell, Oxford, 1987); Reiner Grundman, Marxism and Ecolo-gy, Oxford University Press 1991; Elmar Alvater, The Future of the Market, Verso, New York 1993; Ted Benton (a cura di), The Greening of Marxism, The Guilford Press, New York London, 1996; Paul Bur-kett, Marx and Nature: A Red and Green Perspective, St. Martin Press, New York, 1999; John Bellamy Fo-ster, Marx’s Ecology: Materialism and Nature, Montly Review Press, New York, 2000; e Ecology Against Capitalism, Montly Review Press, New York, 2002. Merita una se-gnalazione lo scritto dello studio-so italiano Michele Nobile, Merce-natura ed ecosocialismo. Per una critica del “capitalismo reale”, Erre emme edizioni, Roma, 1993. Ci permettiamo di segnalare anche alcuni nostri contributi: Tiziano Ba-garolo, Marxismo ed ecologia, Nei 1989; Marx-Engels-Podolinskij: una traccia teori ca perduta?, in “Giano. Ricerche per la pace”, n. 10, Roma, 1992; Marxismo e questione eco-logica, Edizioni Punto rosso, Mila-no, 1993. Molti di questi tentativi, però, presentano, a parere di chi scrive, due seri limiti: il prevalere di tentazioni reinterpretative in chia-ve ideologica, a scapito di uno sforzo di ricostruzione analitica e di verifica scientifica del pensiero dei “classici”; lo scarso interesse per la storia del movimento reale dell’ultimo secolo e mezzo, spesso liquidata secondo schemi ideolo-gici aprioristici. Due difetti presenti anche nei lavori di Martinez-Alier e di Gare.

(16) Juan Martimez Alier è un’eco-nomista catalano; dirige la ri-vista “Ecologìa politica” sorella in lingua spagnola della rivista “ecosocialista” di O’Connor “Ca-pitalism Nature Socialism”; ha il merito nello scritto citato di aver richiamato l’attenzione su una galleria di precursori pressoché dimenticati della moderna criti-ca ecologica, studiosi che hanno scritto con approcci diversi sulle relazioni fra società e ambiente tra la fine dell’Ottocento a la metà del Novecento; il personale punto di vista di Martinez-Alier, però – egli condivide fondamentalmente l’approccio “energetista” –, falsa completamente molti suoi giudizi; ne fanno le spese, ingiustamente, anche Engels e Lenin. (17) L’opera fu scritta da Lenin nel 1908, durante l’esilio, e fu pubbli-cata l’anno seguente in Russia. (18) Su Bogdanov vedi la scheda biografica in queste stesse pagi-ne. (19) Secondo Martinez-Alier, Le-nin sarebbe stato la causa di un “secondo” passo falso nella “falsa partenza” tra marxismo ed eco-logia, essendo stato il primo la reazione negativa di Engels a un saggio del socialista ucraino Po-dolinskij che nel 1880 aveva pro-posto di riformulare la teoria del plusvalore in termini fisici (Juan Martinez-Alier,Economia ecolo-gica, Garzanti, Milano, 1991, pp. 304-305). La nostra ricostruzione del “caso Podolinskij” in Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia: un’occasione perduta?, nel “Calen-dario del popolo”, nn. 547 e 548, 1991; e in Marx-Engels-Podolinskij: una “traccia teorica” perduta?, in “Giano”, n. 10, aprile 1992. (20) Ivi, p. 305. (21) “Quando i fisici dicono che ‘la materia scompare’, vogliono dire che finora le scienze naturali ridu-cevano tutte le ricerche sul mondo fisico a tre nozioni ultime: la ma-teria, l’etere, l’elettricità; oggi inve-ce restano soltanto le due ultime nozioni perché si può ridurre la materia all’elettricità e si può rap-presentare l’atomo come un qual-cosa di simile a un sistema solare infinitamente piccolo, nel quale gli elettroni negativi e positivi gravita-no a una velocità determinata… Le

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scienze naturali conducono dun-que all’‘unità della materia’…: tale è il significato effettivo dell’affer-mazione che la materia scompare o che l’elettricità si sostituisce alla materia, ecc. affermazione che di-sorienta così tanta gente. ‘La ma-teria scompare’: ciò significa che scompare il limite al quale finora si arrestava la nostra conoscenza della materia, significa che la no-stra conoscenza della materia si approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immuta-bili, primordiali (impenetrabilità, inerzia, massa, ecc,) e che ora si dimostrano relative, inerenti sol-tanto a certi stati della materia. Poiché l’unica ‘proprietà’ della ma-teria, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una real-tà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza.” (Lenin, Opere scelte, v. III, pp. 213-214); “Ostwald ha tentato di schivare quest’ine-vitabile alternativa filosofica (ma-terialismo o idealismo), adope-rando in modo indeterminato la parola ‘energia’… Se l’energia è movimento, voi… non avete fatto altro che trasferire la questione: si muove la materia? nella questio-ne: l’energia è materiale? Avviene una trasformazione dell’energia fuori dalla mia coscienza, indi-pendentemente dall’uomo e dal genere umano, o si tratta soltanto di idee, di simboli, di segni con-venzionali, ecc.? La filosofia ‘ener-getica’ si è rotta la testa appunto su questo problema, su questo tentativo di rimediare vecchi erro-ri gnoseologici ricorrendo a una ‘nuova’ terminologia.” (ivi, p. 222); “La trasformazione dell’energia è considerata, nelle scienze naturali, come un processo obiettivo, indi-pendente dalla coscienza dell’uo-mo e dall’esperienza umana; in altre parole, essa è considerata materialisticamente. In molti casi, e probabilmente nella grandissi-ma maggioranza dei casi, lo stes-so Ostwald intende per energia il movimento materiale.” (ivi, p. 223); “L’energetica di Ostwald ci offre un bell’esempio della rapidità con la quale una ‘nuova’ terminologia diviene di moda e della rapidità con la quale ci si rende conto che qualche modificazione del modo di esprimersi non elimina affatto le questioni filosofiche fondamen-tali e le tendenze fondamentali della filosofia. Il materialismo fi-losofico e l’idealismo possono

essere espressi (più o meno coe-rentemente, beninteso) nei termini dell’‘energetica’… La fisica energe-tica è la sorgente dei nuovi tenta-tivi idealistici di concepire il movi-mento senza la materia, in seguito alla scomposizione di particelle di materia finora ritenute non scom-ponibili e alla scoperta di nuove forme finora sconosciute di movi-mento materiale.” (ivi, p. 225). (22) A Bogdanov Lenin rimprove-ra innanzitutto di ridurre l’essere sociale a mera coscienza sociale: questo è “idealismo”, non mate-rialismo, osserva Lenin; in secon-do luogo lo accusa di usare come “vuote frasi” i riferimenti alla biolo-gia e alla selezione naturale ap-plicati alla società; in conclusione gli rimprovera di aver operato un travisamento idealistico del marxi-smo assorbendo l’influenza di una corrente antimaterialistica borghe-se, il machismo. “Bogdanov non si impegna affatto in un’analisi marxista, ma travisa, con una ter-minologia biologica ed energeti-ca, i risultati precedentemente già ottenuti per mezzo di quest’anali-si. Questo tentativo, dal principio alla fine, è completamente inutile, poiché l’applicazione dei concetti di ‘selezione’, di ‘assimilazione’ e di ‘disassimilazione’ dell’energia, di bilancia energetica e così di seguito, al campo delle scienze sociali, è vuota fraseologia… il tra-sferimento di concetti biologici, in generale, nel campo delle scien-ze sociali, è solo una frase. Che questo trasferimento venga ef-fettuato con ‘buone’ intenzioni, o nell’intento di convalidare conclu-sioni sociologiche false, la frase rimane tuttavia sempre vuota. E l’‘energetica sociale’ di Bogdanov, la dottrina della selezione socia-le da lui associata al marxismo, è per l’appunto una frase di questo genere.” (ivi, pp. 271-272). Per chi fosse interessato: un buon testo sul ruolo dell’energia nelle società umane e sulla connessione fra si-stemi energetici e forze produttive è il seguente: Jean-Claude Debeir, Jean-Paul Deléage, Daniel Heme-ry, Sto ria dell’energia. Dal fuoco al nucleare, Edizioni del Sole-24 ore, Milano,1987 (ed. orig. Les servitu-des de la puissance. Une histoi-re de l’énergie, Flamarion, Paris, 1986. Il testo contiene anche una trattazione della politica energeti-ca dell’Urss. (23) Arran Gare, Soviet environ-

mentalism. The Path Not Taken, in “Capitalism Nature Socialism”, vol. 4. n. 4, 1994, ora in Ted Benton (a cura di), The Greening of Marxism, Guilford Press, New York London 1996, pp. 111-128. (24) Per comprendere l’affidabili-tà dei giudizi storici di Gare, basti questo passaggio dedicato alla liquidazione della Nep da par-te di Stalin: “Stalin abbracciò la causa degli operai i quali, delusi dal contrasto fra il declino del-le proprie condizioni di vita e la crescente prosperità dei contadi-ni, guardavano alla Nep come a un tradimento della rivoluzione. Rispondendo alle richieste di que-sti operai, egli diede inizio a una rivoluzione culturale per purgare la società delle forme borghesi di pensiero.” (p. 119)! (25) Weiner, che ha studiato lo svi-luppo dell’ecologia in Urss negli anni Venti sui documenti origina-li, non solo non fa parola di una possibile rapporto fra il Proletkult e l’ecologia o l’ambientalismo, ma anzi presenta le posizioni del Proletkult sulla “scienza borghese” come una minaccia per l’ecologia scientifica (Models of Nature, p. 19). (26) Vale la pena riferire quello che si scrive in proposito uno stu-dioso che ha dedicato molte fati-che e notevole acume a indagare i rapporti fra scienza, ideologia e potere sovietico, Silvano Taglia-gambe. Confrontando l’atteggia-mento dei “dialettici” e dei “mec-canicisti” osserva: “Al sostanziale rispetto dell’autonomia della ri-cerca scientifica e alla difesa delle sue acquisizioni da troppo marca-te e vincolanti valutazioni di natu-ra ideologica, a cui si attennero i ‘dialettici’, fa infatti riscontro, da parte dei ‘meccanicisti’, una de-cisa condanna delle teorie sopra ricordate [la teoria della relatività, la meccanica quantistica, le gene-tica ecc., ndtb], che vengono bol-late come espressioni degenerati-ve della cultura borghese e quindi presentate come contrarie agli interessi del proletariato. Mentre cioè in Deborin e nei suoi segua-ci riscontriamo un netto rifiuto di ogni accezione della filosofia, e della dialettica in particolare, nel-la quale quest’ultima ‘somigli ad una concezione aprioristica che, sulla base esclusiva di ragiona-menti logici, pretenda di rendere

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possibili scoperte scientifiche ed escluda così ricerche concrete, o si sostituisca completamente ad esse’ (Deborin, 1930), Timiriazev, e con lui altri meccanicisti, si fa portavoce di una violenta campa-gna contro le fondamentali ac-quisizioni della fisica dei primi due decenni del XX secolo.” (Silvano Tagliagambe,Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino 1979, pp. 46-47). Aggiunge Tagliagambe qualcosa di molto significativo sul rapporto fra “meccanicisti” e Proletkult: “Le radici di questo at-teggiamento negativo del gruppo capeggiato da Timiriazev nei con-fronti della teoria dei quanti e del-la teoria della relatività ristretta di Einstein stanno in un aspetto, già da noi segnalato e posto in rilievo a proposito del programma del Proletkult. I meccanicisti, infatti, si pongono in linea di continuità con tale programma in ordine all’istan-za riduzionistica generale… Degli strumenti e delle elaborazioni teo-riche di Bogdanov e del Proletkult potè valersi, con il massimo profit-to, proprio chi, in opposizione al piano leniniano di modernizzazio-ne culturale e all’apertura, da esso prospettata, nei confronti degli ap-porti più significativi della cultura occidentale, spingeva invece in direzione di una chiusura sempre piùnetta entro i confini della tradi-zione e dell’eredità culturale rus-sa.” (ivi, pp. 47 e 48). (27) La polemica contro la geneti-ca classica, il cui principale espo-nente in Urss era Nikolaj Vavilov, si sviluppò tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni quaran-ta. Essa contrappose a Vavilov il giovane agronomo Trofim Lysen-ko (spalleggiato dallo storico del-la scienza Isai Prezent e dall’ap-parato del partito), balzato alla notorietà per aver scoperto (ca-sualmente) la tecnica di “vernaliz-zazione” del grano (tecnica utile a ottenere un’elevata produttività in climi freddi), sostenitore di una visione “lamarckiana” dell’evolu-zione (ossia l’ereditarietà dei ca-ratteri acquisiti). Lysenko venne esaltato per oltre un decennio in modo grottesco come rappresen-tante luminoso della nuova biolo-gia “proletaria” in contrapposizio-ne alla “sterile” scienza borghese. Nel 1940 Vavilov fu rimosso dai suoi incarichi e deportato in Sibe-ria. L’episodio lasciò pesanti con-seguenze negative sulla genetica e sull’agricoltura sovietiche (cfr. Zhores A. Medvedev, L’ascesa e

la caduta di T. D. Lysenko, Mon -da dori, Milano, 1971; e David Jo-ravsky, The Lysenko Affair, Harvard University Press, Harvard, 1970). (28) Con questa denominazione sono stati pubblicati una serie di scritti inediti che coprono un arco di vent’anni (1895-1915) e sono costituiti essenzialmente da ap-punti di lettura. In Lenin, Opere scelte, vol. III, pp: 301-900. (29) Lenin, La questione agraria e i “critici di Marx”, Editori riuniti, Roma 1976. (30) “La natura non ha né princi-pio né fine. Tutto in essa è in rap-porto di interazione, tutto è relati-vo, tutto è insieme effetto e causa, tutto è onnilaterale e onnicom-prensivo.”; in Lenin, Opere scelte, v. III, p. 352. (31) Ivi, p. 354. (32) Ivi, p. 417. Il tema dell’interdi-pendenza universale della natura torna in connessione alla causa-lità: “…causa ed effetto sono solo momenti dell’interdipendenza universale, della connessione (universale), della reciproca con-catenazione degli eventi, sono solo anelli della catena dello svi-luppo della materia.” (ivi, p. 428). Il tema dell’unità e della connes-sione reciproca di tutti i fenomeni della natura torna frequentemen-te: ad esempio nelle note di let-tura degli Scritti filosofici di Joseh Dietzen, redatte nel 1908 durante la preparazione di Materialismo ed empiriocriticismo (ivi, pp. 659 e 671), o negli appunti sulla Filoso-fia moderna del francese Abel Rey dell’anno successivo (ivi, pp. 779 e 793), autore apprezzato da Lenin per la sua capacità di interpretare le implicazioni filosofiche dei di-battiti scientifici contemporanei. (33) Ivi, p. 447. (34) Ivi, pp. 451-52. Più avan-ti Lenin commenta con un “nota bene” e con l’espressione “germi di materialismo storico in Hegel” la trattazione che il filosofo tede-sco fa del lavoro e dei suoi scopi e che si chiude con queste parole “Mediante i suoi strumenti l’uomo domina la natura esterna, mentre per i suoi scopi le rimane invece subordinato.” (ivi, p. 453). (35) Già lo studio di Karl Kautsky

considerava en passant alcuni problemi che oggi definiremmo “ecologici”. Affrontava in partico-lare i problemi dell’esaurimento della fertilità del suolo e dell’uso dei fertilizzanti chimici. A tal pro-posito Kautsky riprendeva ciò che avevano scritto Marx nel Capita-le e Engels nell’Antiduring e, pur valutando importanti ed utili le scoperte della chimica agraria che avevano portato all’introdu-zione dei fertilizzati azotati, face-va presente che il loro utilizzo si rendeva necessario perchè l’agri-coltura capitalistica tendeva a de-pauperare la fertilità naturale del terreno; sarebbe stata preferibile invece una riorganizzazione so-cialista dei rapporti fra città e cam-pagna che consentisse un’agricol-tura “sostenibile” (diremmo oggi). Una verifica dell’attualità di questa linea di analisi in John Bellamy Fo-ster e Fred Magdoff, Liebig, Marx, and the Depletion of Soil Fertility, in J.B.Foster, Ecology Against Capi-talism, Verso 2002, pp. 155-170. (36) A questo proposito Lenin cita per esteso un passo dell’Agrar-frage che smentisce Cernov. Vale la pena di riportare qui questo passo perché illustra gli sviluppi dell’agrobiologia alla fine dell’Ot-tocento e dimostra l’attenzione dei teorici marxisti per questi temi: “Nella seconda metà dell’ultimo secolo si è scoperto che le legu-minose..., al contrario delle altre piante coltivate, prendono quasi tutto l’azoto che è loro necessa-rio non dal terreno, ma dall’aria, e che invece di rendere il terreno più povero d’azoto, al contrario, lo arricchiscono. Ma queste piante possiedono tale proprietà soltan-to se nel terreno sono presenti certi microrganismi che si fissano alle loro radici. Là dove mancano, è possibile, mediante un’appro-priata inoculazione operata nel terreno, mettere le leguminose in condizione di arricchire il terreno dell’azoto, cioè in certo qual modo di concimarlo sì da renderlo adat-to alla coltivazione di altre piante. Di solito combinate con fertilizzan-ti minerali adatti (fosfati e conci-mi potassici), esse aumentano al massimo, e in modo durevole, il rendimento del terreno senza bi-sogno di ricorrere ai concimi ani-mali. Soltanto con questa scoper-ta l’agricoltura libera ha avuto una base completamente sicura.” (K. Kausty, La questione agraria, Feltri-nelli, Milano 1959, p. 66).

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(37) Lenin, La questione agraria ecc., p. 65. Lenin aggiunge in nota che Kautsky non pensa che i fer-tilizzanti artifi ciali debbano scom-parire del tutto in un’agricoltura socialista; ritiene però che, invece di servire per reintegrare la fertilità depauperata del suolo, essi saran-no utilizzati per migliorare i terreni là dove ce ne sia bisogno. (38) Lenin, ivi, pp. 63-64. (39) Ad esempio l’esa me degli ef-fetti sociali della penetrazione ca-pitalistica nelle campagne. (40) Lenin, ivi, pp. 13-14. (41) A differenza da quello che pensa una certa vulgata ecologi-sta, Francesco Bacone nutriva un profondo rispetto per la na-tura che considerava a ra gione ontologica men te superiore all’es-sere uma no. Bacone, è vero, giu-dicava che la scien za conferisse all’uomo un grande potere sulla natura, ma questo po tere pote-va esercitarsi solo nei limiti delle leggi della natura stessa e l’uo-mo, per lui, poteva “comandare” alla natura solo “ubbidendo” ad essa. Engels riprende questa idea in un famoso passo della Dialetti-ca della natura (passo pubblicato da Kautsky nel 1896 nella rivista teorica della socialdemocrazia te-desca “Die Neue Zeit”, e dunque probabilmente noto a Lenin): “Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquista tore domina un popolo straniero soggiogato, che non la do mi niamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e san-gue e cervello e vi viamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capaci-tà, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impie garle nel modo più appropriato.” (F. Engels, Dia-lettica della natura, Editori riuniti, Roma 1971, pp. 192-193). Si tratta di un approccio ben diverso dalle pretese di “trasformare la natura”, che divenne un leit motiv corrente dell’ideologia staliniana, allorché la burocrazia si prefiggeva di usa-re la natura e gli uomini come fos-sero “cera molle” nelle sue mani in vista dei suoi progetti megalo-mani. (42) Tra la metà degli anni venti e i

primi anni trenta, gli ecologi sovie-tici partecipano al rinnovamento delle scienze ecologiche con con-tributi di primo piano: Vladimir Ver-nadskij pubblica nel 1926 i saggi in cui propone il moderno con-cetto di biosfera; Georgij Gauze, all’inizio degli anni trenta, propone il principio di esclusione competi-tiva che sviluppa le intuizioni pro-poste pochi anni prima dall’italia-no Vito Volterra e dall’americano Alfred Lotka; Vladimir Stanchinskij, tra il 1929 e il 1933, propone un nuovo modo di rappresentare i si-stemi ecologici, fondato sui livelli trofici e sui flussi energetici che le-gano gli organismi viventi fra loro e con l’ambiente; un punto di vi-sta che anticipa di un decennio il modello dell’ecosistema che sarà formulato nel 1942 dall’america-no Raymond Lindeman… (43) “Tra il 1930 e il 1932 si regi-strò, sul terreno filosofico e cul-turale, una ‘svolta’ che portò alla liquidazione dei responsabili delle principali riviste teoriche e scienti-fiche del paese, in gran parte se-lezionati e scelti da Lenin, e alla loro sostituzione con una nuova leva di quadri, fedeli interpreti ed esecutori della linea del segreta-rio generale[Stalin, ndr]. Ne seguì un ribaltamento della linea che lo stesso Lenin aveva tracciato e del programma culturale che egli ave-va contribuito a elaborare.” (Silva-no Tagliagambe, “Introduzione” a Georges Labica, Dopo il marxi-smo-leninismo (tra ieri e domani), Edizioni Associate, Roma 1992). (44) Il primo congresso panrusso per la conservazione della natura, tenutosi a Mosca nel 1929, così si espresse: “L’attività economica dell’uomo è sempre in un modo o nell’altro uno sfruttamento delle ri-sorse naturali… La natura e il ritmo della crescita economica possono essere correttamente determinate soltanto dopo uno studio detta-gliato dell’ambiente e una valuta-zione delle sue capacità produtti-ve al fine della sua conservazione, sviluppo e arricchimento. Questo è ciò di cui si occupa [il movimen-to per] la conservazione [della na-tura].” (citato da Weiner, in Gare, p. 124). (45) Daniil Nikolaevic Kashkarov fu dal 1931 direttore con Stanchinskij della prima rivista sovietica di eco-logia teorica, “Zhurnal ekologii i biotsenologii” (giornale di ecolo-

gia e biocenotica). Il suo manua-le Sreda i soobshchenstvo (am-biente e comunità) fu tradotto nel 1935 in inglese sotto gli auspici dello State Museum di New York diretto dal grande ecologo Char-les Adams. (46) Nicolaj Ivanovic Vavilov (1887-1943), botanico e genetista russo di fama mondiale, principale esponente del darwinismo in Urss, fondatore dell’Accademica Lenin di scienze agrarie, autore di ricer-che pionieristiche nel campo delle varietà vegetali (porta il suo nome l’istituzione dell’Unesco incarica-ta dello studio e della protezione della fitodiversità), fu attaccato da Trofim Lysenko in quanto espo-nente di una corrente “borghese” in genetica e deportato in Siberia. (47) La stessa memoria della stra-ordinaria esperienza dei primi anni del potere sovietico finì per essere quasi cancellata. Tuttavia la tradizione di studi ecologici non andò del tutto perduta e singole personalità, come l’ecologo Vla-dimir Nicolaevic Sukacev, si batte-rono controcorrente anche negli anni successivi, specie dopo la morte di Stalin. Nel 1959, interve-nendo al congresso dell’Associa-zione per la protezione della na-tura dell’Urss, Vera Aleksandrovna Varsonofeva, che vi aveva lavo-rato fin dai primi anni venti, così ricordò l’impegno di Lenin a fa-vore della protezione della natu-ra: “Lenin sapeva bene” affermò, “che con lo sviluppo del giovane Stato socialista sarebbe stato ne-cessario un gigantesco sfrutta-mento delle risorse naturali” ma egli sapeva altrettanto bene “che per uno sfruttamento appropriato era essenziale comprendere tutte le complicate interrelazioni che esistono fra le varie parti della na-tura… Sulla base di questa com-prensione si sviluppò il grande programma scientifico che venne attuato negli zapovedniki. L’asso-ciazione per la protezione della natura, nella sua forma originaria, partecipava largamente al lavo-ro scientifico.” (D.R. Weiner, A Little Corner of Freedom, p. 197).

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Lenin e la lotta contro Stalin

di Eugenio Gemmo

Sin nel primo periodo rivoluziona-rio Lenin aveva duramente pole-mizzato con Stalin riguardo alla posizione assunta da quest'ultimo come responsabile, insieme a Ka-menev, della Pravda nei confronti del governo Borghese di Kerenskij: "La nostra tattica è completamen-te suicida, nessun appoggio al go-verno Kerenskij..." [1]. La Pravda di Stalin pubblicava articoli dal chia-ro contenuto collaborazionista con il governo borghese: "fintanto che continua sulla strada di soddi-sfare le rivendicazioni operaie" e a "difendere le recenti conquiste democratiche... "[2]. La "Pravda", diretta da Stalin, si era rifiutata nei primi mesi del ’17 (si potevano già intravedere i metodi che in futuro caratterizzeranno Stalin) di pubbli-care tre delle quattro "lettere da lontano" scritte da Lenin in esilio. In questi testi Lenin sosteneva che non bisognava appoggiare il go-verno provvisorio, ma occorreva preparare la rivoluzione proleta-ria, trasformare la guerra imperia-lista in guerra civile e rifiutarsi di cadere in un atteggiamento "so-cialpatriottico".

Lo stesso Molotov, uno dei pochi sopravvissuti alle purghe stalini-ste, racconta: "Tu (Stalin si riferisce a Molotov) nel periodo iniziale di aprile sei stato più di tutti vicino a Lenin". Insomma un'implicita am-missione da parte di Stalin della sua politica conciliazionista a so-stegno di Kerenskij[3].Nelle sue memorie Suchanov scri-ve: “Nei bolscevichi in questo pe-riodo, oltre a Kamenev, compare Stalin. Durante il tempo della sua modestia attività nel comitato ese-cutivo (egli) produceva, non su me solo, l'impressione di una macchi-na grigia, che a volte dava una luce smorta senza conseguenze. Di lui in sostanza non c'è più nulla da dire”.In più, riguardo al ruolo di Stalin nella Rivoluzione Russa, en pas-sant è interessante ricordare la do-cumentazione del testo di J.Reed (I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Nel libro, vidimato da Le-

nin, si dipinge in modo corretto la figura di Stalin durante la Rivolu-zione Russa; Stalin viene appena citato...

La lotta contro la burocrazia.

Sin dal 1919, il partito bolscevico, per evitare il crescente lievitare d’uomini d’apparato, burocra-ti all'interno del partito, istituì il Rabkrin (Commissariato del Popo-lo per l'ispezione operaia e conta-dina). Al vertice di questo commis-sariato il Partito Bolscevico mise Stalin per le sue capacità organiz-zative mostrate in passato.Lenin quindi già dal 1919, a meno di due anni dalla Rivoluzione, av-vertiva un pericolo di burocratizza-zione del Partito. Uomini estranei alla rivoluzione, molti di essi senza principi, perfetti aspiranti burocrati, si stavano attrezzando per salire sul carro dei vincitori.Nel 1922, il pericolo di deviazio-ne burocratica agli occhi dei Lenin si fa più pressante: "IL nostro pro-gramma di partito, un documento che l'autore dell’ABC del comuni-smo conosce bene (riferito a N. Bucharin), dimostra che il nostro stato è uno stato operaio con di-storsioni burocratiche"[4].Lenin nota, anche prima di Trotsky, il pericolo d’involuzione del parti-to. Si avvicina a Trotsky e propone a lui di formare un blocco politi-

co contro Stalin. Trostky racconta: “Lei (Lenin a Trotsky) propone di iniziare una lotta non solo contro la burocrazia di Stato, ma anche contro l'Ufficio organizzativo del Comitato Centrale?” Io mi misi a ri-dere, sorpreso. L'ufficio organizza-tivo era l'anima dell'organizzazio-ne staliniana. “Può darsi”. “Ebbene (continuò Lenin), io le propongo un blocco contro la burocrazia in genere e, in particolare, contro l'ufficio organizzativo”. “È un onore (risposi) formare un blocco buono con una buona persona"[5].

Così ha inizio l'ultima lotta di Le-nin.Uno dei primi scontri con Stalin Lenin lo ebbe sulla questione del monopolio del commercio estero.La maggioranza dei massimi diri-genti del Partito, con Stalin in testa, erano favorevoli all'abolizione o al forte ridimensionamento del mo-nopolio del commercio estero. La politica del gruppo dirigente gui-data Stalin supponeva che una ri-presa degli scambi economici con l'estero avrebbero favorito la NEP (New Economic Policy: fu l'ingres-so dell'economia capitalistico sta-tale nella società sovietica). Trotsky si espresse contro questa politica. Secondo Trostky questa scelta non avrebbe fatto che indebolire lo stato operaio sovietico nei con-fronti degli avversari di classe. Le-

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nin concorda con le posizioni di Trotsky.Ma gli avvenimenti precipitano. Durante la riunione del comitato centrale del 6 ottobre del 1922 (Lenin assente) si scelse di adotta-re, sotto la spinta del Commissario del Popolo alle finanze Sokolnikov, delle deroghe al monopolio del commercio estero. Lenin rimase di stucco. Secondo la testimonian-za di M. Lewin, "considerò il fatto come un vero e proprio colpo contro di lui"[6]. Lenin, per reagire a questo duro colpo, si mise pri-ma a discutere con alcuni membri del partito, tra cui Trotsky, poi inviò una lettera di protesta a Stalin in cui "proponeva di aggiornare tale scelta alla prossima riunione del Plenum del Comitato Centrale"[7]. Ma la resistenza di Stalin si fece più dura del previsto. Stalin scris-se: "La lettera del compagno Lenin non mi ha fatto mutare idea sulla giustezza della decisione del Co-mitato Centrale del 6 ottobre in merito al monopolio del commer-cio estero"[8]. Tuttavia la questione non fu liquidata così. La questio-ne del commercio estero sarebbe stata discussa nel successivo co-mitato centrale. La battaglia si av-via e Lenin si prepara allo scontro e discute con Trotsky la linea poli-tica da adottare. I due concorda-no sull'importanza del monopolio del commercio estero. Lenin scri-ve a Trotskij: "Penso che ci siamo messi pienamente d'accordo. Vi prego di dichiarare all'assemblea plenaria la nostra solidarietà. Spe-ro che la nostra decisione sarà approvata. Se contrariamente alle nostre aspettative la nostra deci-sione sarà respinta, ci rivolgeremo alla frazione del congresso dei Soviet e dichiareremo di sottopor-re la questione al congresso del partito"[8a]. Allo stesso tempo Le-nin scrisse una lettera a Stalin e ai membri del comitato centrale: "Mi sono anche accordato con Trotsky per la difesa delle mie opinioni sul monopolio del commercio estero. Sono convinto che Trotsky soster-rà le mie opinioni non peggio di me[9].Lenin e Trotsky vinsero la loro pri-ma battaglia contro Stalin. Il 18 dicembre il Comitato Centrale annullò la precedente decisione. Lenin scrisse a Trotsky : "Sembra che siamo riusciti senza colpo feri-re, con un semplice movimento di manovra. Propongo di fermarsi e continuare l'offensiva"[10].

Stalin come commissario del Rabrikim stava praticando una politica completamente diversa dall'idea che Lenin aveva di esso. IL georgiano invece di porre un freno all'ingresso dei nuovi uomini di apparato, rimosse e promosse personale a suo gradimento. Mise nei posti chiavi del Partito "comu-nisti" a lui devoti per aver ricevuto un avanzamento di carriera.Nel 1920 Trotsky aveva notato e evidenziato i "difetti" del Rabkrim e le sue pericolose oscillazioni bu-rocratiche. Lenin, nel primo perio-do della "reggenza" di Stalin, non comprese subito l'entità del pro-blema che si sviluppava nel Ra-brikim, ma poi muta idea e si fece avanti per dare battaglia anche su questo punto: "Questa idea fu sug-gerita dal compagno Trotskij, sem-bra un bel po' di tempo fa. Allora io ero contrario, ma dopo aver os-servato la questione in modo più approfondito trovo in sostanza che sia un'idea sensata"[11].Ancora Lenin sempre sul Rabrikin: "Diciamolo pure, il Commissariato per il popolo e l'ispezione con-tadina e operaia non gode ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esiste peggior organiz-zazione dell'ispezione operaia e contadina e che, nelle condizio-ni attuali, è inutile pretendere da questo commissariato del popolo qualcosa."[12].Ora il terreno di lotta si sposta sulla questione "georgiana". Lenin indi-rizzava le sue dure critiche a Stalin riguardanti il suo metodo di dire-zione. La questione "georgiana" fu una sorta di catalizzatore per Lenin, il quale aveva capito che con Stalin non avrebbe "combat-tuto" di "fioretto". Decise di scrivere quello che fu soprannominato il "Testamento".IL 30 dicembre del 1922 Lenin scrive: “L'apparato che diciamo nostro ci è di fatto alquanto estra-neo; è un guazzabuglio borghese e zarista e in mancanza dell'aiuto degli altri paesi non c'è possibilità di disfarsene”[13].Lenin si rese conto con chi aveva a che fare solo verso la fine del 1922, quando ebbe chiaro i meto-di che Stalin usava per silenziare il dissenso dei compagni georgia-ni. IL ruolo di regista di Stalin, in questo puzzle burocratico, diven-ne chiaro. Senza che Lenin e, an-cor peggio, il Politburo ne fossero a conoscenza, Stalin, insieme a Dzergenskij e Orgionkidze, aveva

realizzato un vero e proprio colpo di Stato nel partito georgiano. Le-nin dettò, dal suo letto, una serie di note riguardanti questa vicen-da, ma non si limitò a definire la politica di Stalin come un errore di percorso, bensì come una scelta frutto del peggior nazionalismo grande russo: "Non c'è dubbio che la percentuale infinitesimale dei lavoratori russi affogherà in quella marea di gentaglia sciovi-nista grande-russa come una mo-sca nel latte"[14].

La lotta per la rimozione di Stalin.

La "destalinizzazione" Krusceviana in realtà ha rivelato quello che i marxisti rivoluzionari sapevano già. IL fatto importante delle "ri-velazioni" di Krusciov è che esse hanno costituito, involontariamen-te, una conferma sulla veridicità delle documentazioni di Trotsky. Alla fine degli anni ’60 M. Lewin affermò che quanto Mosca stava pubblicando era la garanzia delle corrette testimonianze lasciate da Trotskij.Tra questi testi "scoperti" da Kru-sciov vi sono quelle lettere inviate dal Lenin, soprannominate il "Te-stamento", tra il dicembre 1922 e i primi di gennaio del 1923.Lenin è preoccupato del rischio della scissione del Partito e della coesione del Comitato Centrale. "Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questio-ne della stabilità siano certi mem-bri del CC come Stalin e Trotsky. I rapporti tra loro, secondo me, rap-presentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata ".Passa poi ad una breve caratte-rizzazione dei due: “Il compagno Stalin, divenuto segretario genera-le, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro canto, il compagno Trotsky, come ha già dimostrato la sua lot-ta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Perso-nalmente egli è forse il più capa-ce tra i membri dell'attuale CC, ma ha anche un’eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramen-te amministrativo dei problemi. Queste due qualità dei due capi

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più eminenti dell'attuale CC pos-sono eventualmente portare alla scissione, e se il nostro partito non prenderà misure per impedirlo, la scissione può avvenire improvvi-samente. Non continuerò a carat-terizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l'episodio di cui sono stati protagonisti nell'ot-tobre Zinoviev e Kamenev non fu certamente casuale, ma che d'al-tra parte non glielo si può ascri-vere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trotsky. Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bukharin e Piatakov. Sono queste, secondo me, le forze più eminenti (tra quel-le più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bukharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teo-rico del partito, ma è considerato anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue con-cezioni teoriche solo con grandis-sima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di sco-lastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialettica). Ed ora Piatakov: è un uomo indubbiamente di grandis-sima volontà e di grandissime ca-pacità, ma troppo attratto dal me-todo amministrativo e dall'aspetto amministrativo dei problemi per-ché si possa contare su di lui per una seria questione politica. Na-turalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presupposto che ambedue questi eminenti e de-voti militanti trovino l'occasione di completare le proprie conoscenze e di eliminare la propria unilate-ralità”.La prima riflessione che scaturisce questo testo è che Lenin conside-rava sullo stesso piano Trostky e Stalin con buona pace di Ziono-viev, Kamenev, Bucharin, Radek, ecc. Lo stesso Lewin afferma: "Per il posto riconosciuto da Stalin, aveva di che stupire il paese, fe-rire Trotsky, sorprendere sgrade-volmente Zinoviev e Kamenev." Probabilmente, come lo stesso Lewin afferma, Lenin aveva intuito il grande potere che Stalin si era creato.Dunque Lenin evidenza da un lato le capacità superiori di Trotsky e dall'altro le incapacità di Stalin di saper gestire il potere. Ma è anche vero che Lenin critica a Trotsky il

suo passato di "menscevico" e le sue posizioni assunte durante il dibattito sul sindacato.Ma questa sorta di giudizio di equilibrio, tra i due (Trotsky e Sta-lin), in Lenin si rompe. Lenin pensa oramai solamente alla rimozione di Stalin: "Stalin è troppo grossola-no, e questo difetto, del tutto tolle-rabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intolle-rabile nella funzione di segreta-rio generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla ma-niera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a par-te tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di es-sere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedimento di una scissio-ne e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotsky, non è una piccolezza, ovvero è una pic-colezza che può avere un'impor-tanza decisiva".Ecco cosa è successo tra il 24 di-cembre del 1922 e il 4 gennaio del 1923. Siamo certi che Stalin non sia stato disposto ad accetta-re le critiche, siamo altrettanto cer-ti che il blocco politico formato da Lenin con Trotsky lo spaventava. Stalin, dunque, perde il controllo e chiama la moglie di Lenin, la Krup-skaija. La riempie d’insulti la colpa della compagna di Lenin sarebbe stata quella di non aver rispetta-to le indicazione mediche riguar-danti il marito. Secondo Stalin, Lenin avrebbe lavorato (scrivendo le "bombe" contro di lui) quando non avrebbe dovuto e questo per la negligenza della moglie. La Krupskaija lo stesso giorno av-verte Kamenev, vicepresidente del governo, chiedendo protezione contro le volgarità mosse da Sta-lin nei suoi confronti. Lenin poco giorni dopo scopre l'accaduto e scrive a Stalin: "Ciò che ha fatto, con la sua grossolanità, verso mia moglie, lo considero fatto contro di me". Come sostiene Lewin, l'au-tore dell'Ultima battaglia di Lenin, è da escludere che l'incidente av-venuto tra Stalin e la Krupskaija abbia potuto indurre Lenin ad un atto politico per modificare i rap-porti di forza nel Comitato Cen-trale del Partito. Lenin aveva altre

ragioni. Era una persona che sop-pesava le parole, sapeva vede-re gli aspetti più importanti delle questione politiche. Era un genio della strategia politica. Aveva fin troppo chiaro che Stalin andava rimosso.Solo il tempo fece precipitare il tutto in modo negativo: Lenin si ammalò di nuovo poco prima di morire e fu incapace di proseguire la sua lotta contro Stalin.Rimane convincente la testimo-nianza di Trotsky nella sua auto-biografia riguardo agli ultimi gior-ni di Lenin: “Lenin si preparava ora (dopo il 4 gennaio) non solo a de-porre Stalin dalla Segreteria Ge-nerale, ma anche squalificandolo davanti al partito. A proposito del monopolio del commercio estero, nella questione nazionale, nella questione del regime di partito, dell'Ispezione degli operai e dei contadini e della commissione di controllo, Lenin impiantò le cose in modo da dare al XII congresso il colpo di grazia a Stalin e, insie-me a lui, alla burocrazia, alle con-sorterie, all'arbitrio”.

Note:

1. ^ Lenin - Lettere da lontano2. ^ Pravda3. ^ Cuev - Centoquaranta col-loqui con Molotov4. ^ Lenin - Opere complete Volume 325. ^ Trotsky - La mia vita6. ^ M. Lewin - L’ultima batta-glia di Lenin7. ^ Lenin - Opere complete Volume 338. ^ Fotieva Iz Vospominjiamij8a. ^ Lenin - Opere complete Volume 459. ^ Lenin - Opere complete Volume 4510. ^ Trotsky - La mia vita11. ^ Lenin - Opere complete Volume 3612. ^ Lenin - Opere complete Volume 3613. ^ Lenin - Opere complete Volume 3614. ^ Lenin - Opere complete Volume 36

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Lettera al CongressoIl Testamento di Lenin

La Lettera al congresso, conosciuta sotto il nome di Testamento, fu dettata da Lenin fra il 23 e il 26 dicembre 1922; un’aggiunta fu dettata il 4 gennaio 1923. Per evidenti motivi, Lenin riteneva im-portante che la lettera fosse portata a conoscenza dell’imminente congresso del partito. Fu fatta leggere ai membri del comitato cen-trale che decisero di mantenere il documento riservato, portando-lo a conoscenza dei dirigenti del partito ma non di pubblicarlo. Così le ultime riflessioni di Lenin rimasero celate per decenni ai lavoratori e ai comunisti dell’Urss e di tutto il mondo.

Stralci del Testamento furono resi noti negli anni trenta da Trotsky, ma era facile gioco per gli staliniani parlare di un falso. Del Testa-mento si tornò a parlare in occasione del XX congresso del Pcus (1956), quello della denuncia kruscioviana del “culto della per-sonalità” di Stalin. In tale occasione, per decisione del comitato centrale del Pcus, la lettera di Lenin fu portata a conoscenza dei delegati e poi pubblicata nel “Kommunist”. (Il testo è disponibile su Internet all’Url: www.marxists.org/italiano/lenin/1922/12/testa-mento.htm).

di V.I. Lenin

Consiglierei vivamente di intra-prendere a questo congresso una serie di mutamenti nella nostra struttura politica.Vorrei sottoporvi le considerazioni che ritengo più importanti.In primo luogo propongo di ele-vare il numero dei membri del CC portandolo ad alcune decine o anche a un centinaio. Penso che, se non intraprendessimo una tale riforma, grandi pericoli minacce-rebbero il nostro CC nel caso in cui il corso degli avvenimenti non ci fosse del tutto favorevole (cosa di cui non possiamo non tener conto).Penso poi di sottoporre all'atten-zione del congresso la proposta di dare, a certe condizioni, un carattere legislativo alle decisioni dei Gosplan, andando così incon-tro, fino a un certo punto e a certe condizioni, al compagno Trotsky.Per quel che riguarda il primo pun-to, cioè l'aumento del numero dei membri del CC, penso che ciò sia necessario e per elevare l'autorità del CC, e per lavorare seriamente al miglioramento del nostro ap-parato, e per evitare che conflitti di piccoli gruppi del CC possano avere una importanza troppo sproporzionata per le sorti di tutto il partito.Io penso che il nostro partito ab-bia il diritto di esigere dalla classe operaia 50-100 membri del CC e che possa ottenerli senza un ec-cessivo sforzo da parte di essa.Una tale riforma aumenterebbe notevolmente la solidità del no-stro partito e faciliterebbe la lotta che esso deve condurre in mezzo a Stati nemici e che, a mio parere, potrà e dovrà acuirsi fortemente nei prossimi anni. Io penso che la stabilità del nostro partito gua-dagnerebbe enormemente da un tale provvedimento.Per stabilità del Comitato centrale, di cui ho parlato sopra, intendo provvedimenti contro la scissione, nella misura in cui tali provvedi-menti possano in generale esse-re presi. Perché, certo, la guardia bianca della Russkaia MysI (mi pare fosse S. F. Oldenburg) (1) aveva ragione quando, in primo luogo, faceva assegnamento, per quanto riguarda il loro gioco con-tro la Russia sovietica, sulla scissio-

ne del nostro partito, e quando, in secondo luogo, faceva assegna-mento, per l'avverarsi di questa scissione, sui gravissimi dissensi nel partito.Il nostro partito si fonda su due classi, e sarebbe perciò possibile la sua instabilità, e inevitabile il suo crollo, se tra queste due clas-si non potesse sussistere un'inte-sa. In questo caso sarebbe inutile prendere questi o quel provvedi-menti e in generale discutere sulla stabilità del nostro comitato cen-trale. Non ci sono provvedimenti, in questo caso, capaci di evitare la scissione. Ma spero che questo sia un avvenimento di un futuro trop-po lontano e troppo inverosimile perché se ne debba parlare.Intendo stabilità come garanzia contro la scissione nel prossi-mo avvenire, e ho l'intenzione di esporre qui una serie di conside-razioni di natura puramente per-sonale.Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questio-ne della stabilità siano certi mem-bri del CC come Stalin e Trotsky.I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio parere, do-vrebbe servire, tra l'altro, l'aumen-to del numero dei membri del CC a 50 o a 100 persone.Il compagno Stalin, divenuto se-gretario generale, ha concentra-to nelle sue mani un immenso

potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro can-to, il compagno Trotsky come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commis-sariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue emi-nenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell'attuale CC, ma ha anche una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi.Queste due qualità dei due capi più eminenti dell'attuale CC pos-sono eventualmente portare alla scissione, e se il nostro partito non prenderà misure per impedirlo, la scissione può avvenire improvvi-samente.Non continuerò a caratterizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l'episodio di cui sono stati protagonisti nell'ottobre Zi-noviev e Kamenev (2) non fu cer-tamente casuale, ma che d'altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trotsky.Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bukharin e Piatakov. Sono queste, secondo me, le forze più eminenti (tra quel-le più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bukharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teo-rico del partito, ma è considerato

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anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue con-cezioni teoriche solo con grandis-sima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di sco-lastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialetticaEd ora Piatakov: è un uomo in-dubbiamente di grandissima vo-lontà e di grandissime capacità, ma troppo attratto dal metodo amministrativo e dall'aspetto am-ministrativo dei problemi perché si possa contare su di lui per una seria questione politica.Naturalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presup-posto che ambedue questi emi-nenti e devoti militanti trovino l'oc-casione di completare le proprie conoscenze e di eliminare la pro-pria unilateralità.

Aggiunta alla lettera del 24 dicembre 1922

Stalin è troppo grossolano, e que-sto difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nel rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabi-le nella funzione di segretario ge-nerale. Perciò propongo ai com-pagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli al-tri aspetti, si distingua dal compa-gno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa cir-costanza può apparire una picco-lezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedi-mento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Sta-lin e Trotsky, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un'importanza decisiva.

Lenin

4 gennaio 1923

Continuazione degli appunti

L’aumento del numero dei mem-bri del CC a 50 o anche a 100 persone deve servire, secondo me, a un duplice, o, anzi, a un tri-plice scopo: quanto più saranno i membri del CC, tanto più saranno quelli che impareranno a lavorare nel CC e tanto minore sarà il pe-ricolo di una scissione derivante da una qualsiasi imprudenza. La

partecipazione di molti operai al CC aiuterà gli operai a migliorare il nostro apparato, che è piuttosto cattivo. Esso, in sostanza, c’è stato tramandato dal vecchio regime, poiché trasformarlo in così breve tempo, soprattutto con la guerra, la fame, ecc., era assolutamente im-possibile. Perciò a quei “critici” che, con un sorrisetto o con cattiveria, ci fanno notare i difetti del nostro apparato, si può tranquillamente rispondere che essi assolutamen-te non comprendono le condizioni della rivoluzione contemporanea. Non si può assolutamente trasfor-mare a sufficienza un apparato in cinque anni, soprattutto nelle con-dizioni in cui è avvenuta da noi la rivoluzione. E’ già abbastanza che in cinque anni abbiamo creato un nuovo tipo di Stato in cui gli ope-rai marciano alla testa dei con-tadini contro la borghesia; e ciò, con una situazione internazionale avversa, rappresenta di per sé un fatto enorme. Ma la coscienza di questo non ci deve assolutamen-te far chiudere gli occhi sul fatto che noi abbiamo ereditato, in so-stanza, il vecchio apparato dello zar e della borghesia, e che ora, sopravvenuta la pace e assicura-to il minimo necessario contro la fame, tutto il lavoro dev’essere di-retto al suo miglioramento .La mia idea è che alcune decine di operai, entrando a far parte del CC, possono accingersi meglio di qualsiasi altro alla verifica, al mi-glioramento e al rinnovamento del nostro apparato. L’Ispezione operaia e contadina, cui prima spettava questa funzione, si è rive-lata incapace di adempierla e può essere utilizzata solo come “ap-pendice” o come aiuto, in determi-nate condizioni, a questi membri del CC. Gli operai che entrano a far parte del CC debbono essere, a mio parere, in modo prevalente non di quegli operai che hanno compiuto un lungo servizio nelle organizzazioni dei soviet (dicendo operai, in questa parte della mia lettera intendo sempre anche i contadini), poiché in questi operai si sono già create certe tradizioni e certi pregiudizi contro i quali ap-punto noi vogliamo lottare.

Gli operai che devono entrare nel CC debbono essere in prevalen-za operai che stiano più in basso di quello strato che è entrato a far parte da noi, in questi cinque anni, della schiera degli impiega-ti sovietici, e che appartengano piuttosto al numero degli operai e dei contadini di base, che tuttavia

non rientrino direttamente o indi-rettamente nella categoria degli sfruttatori. Io penso che tali operai, assistendo a tutte le sedute del CC, a tutte le sedute dell’Ufficio politi-co, leggendo tutti i documenti del CC, possano costituire un nucleo di devoti partigiani del regime so-vietico, capaci, in primo luogo, di dare stabilità allo stesso CC e, in secondo luogo, capaci di lavorare effettivamente al rinnovamento e al miglioramento dell’apparato.Aumentando il numero dei mem-bri del CC, ci si deve a mio parere, preoccupare anche e, forse, so-prattutto, di controllare e migliora-re il nostro apparato, che non va affatto. A questo scopo dobbia-mo utilizzare l’opera di specialisti altamente qualificati, e la ricerca di questi specialisti deve essere compito della Ispezione operaia e contadina.Come combinare questi speciali-sti-controllori, - dotati delle neces-sarie conoscenze - e questi nuovi membri del CC? E’ questo un pro-blema che deve essere risolto pra-ticamente.A me pare che l’Ispezione opera-ia e contadina (per effetto del suo sviluppo nonché delle nostre per-plessità a proposito del suo svilup-po) ha dato in ultima analisi ciò che ora osserviamo, e cioè uno stato di transizione da un partico-lare commissariato del popolo a una particolare funzione dei mem-bri del CC; da una istituzione che revisiona tutto e tutti, a un insieme di revisori non numerosi, ma di prim’ordine, che debbono essere ben pagati (questo è soprattutto necessario nella nostra epoca, in cui tutto va pagato, e dato che i revisori si pongono direttamente al servizio di quelle istituzioni che meglio li pagano).Se il numero dei membri del CC sarà opportunamente aumentato e se essi svolgeranno di anno in anno un corso di amministrazione statale con l’aiuto di tali specialisti altamente qualificati e di membri della Ispezione operaia e contadi-na dotati di grande autorità in tutti i settori, allora, io penso, adempi-remo felicemente questo compito che per tanto tempo non siamo riusciti ad assolvere.Insomma, fino a 100 membri del CC e non più di 400-500 loro col-laboratori, membri dell’Ispezione operaia e contadina, che svolga-no funzioni di revisione per loro incarico.

26 dicembre 1923

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Il Partito leninistauno strumento ancora attuale

di Piero Nobili

Lenin viene ancora oggi attaccato e deni-grato. “Imbecille con-genito, di un’intelligen-za pedante, psicotica, nichilista che fa venire i brividi. Non aveva nessun senso morale”, così si esprime Martim Amis, lo scrittore ingle-se sodale di Tony Blair, in un’intervista rilascia-ta alcuni anni fa a un importante quotidiano italiano (1). Nei suoi confronti si è sferrato un attacco si-stematico teso a dele-gittimare l’idea di rivo-luzione e la possibilità

servibile, da consegnare al museo delle cere di madame Tussauds. Noi crediamo invece, che la sua teoria e il suo insegnamento siano ancora attuali e che possano nel contesto odierno illuminare l’azio-ne politica di chi si batte contro il sistema capitalistico. Per questo è di una qualche utilità mettere in evidenza gli elemen-ti essenziali che portarono Lenin a scrivere il “Che fare?”, il saggio pubblicato nel marzo del 1902, dove le sue idee sul partito rivo-luzionario trovano la loro prima esposizione sistematica.

La lotta contro le deviazioni.

All’inizio del 1900, quando Lenin torna dall’esilio in Siberia, il Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr) si trovava in condizioni or-ganizzative disastrose (2). I circoli locali sparsi per tutta la Russia erano in difficoltà, faceva-no fatica a coordinarsi tra loro e a resistere all’urto della formidabile macchina repressiva dell’autocra-zia zarista. “In quel periodo, la re-

altà russa è dominata da due ele-menti: la presenza di un processo ormai irreversibile di sviluppo ca-pitalistico e il ritardo e le contrad-dizioni di questo sviluppo. Di qui una tendenza, nel movimen-to operaio, a restar chiuso nel par-ticolarismo dei circoli, nelle riven-dicazioni parziali, e nell’astratto teorizzare, ma di qui anche l’impe-rioso bisogno di superare questa mentalità particolaristica per attin-gere alla visione politica unitaria che è propria del partito”(2). In questo contesto prendono pie-de le posizioni di alcuni giovani socialdemocratici russi, detti gli “Economisti”, i quali sostengono la separazione tra la lotta politica e quella economica. Agli operai compete lo sviluppo delle lotte per il miglioramento delle proprie condizioni, mentre ai liberali spetta il compito di battersi contro l’assolutismo di Nicola II. In tal modo, mentre le rivendica-zioni economiche della classe operaia vengono affidate al moto spontaneo delle agitazioni, il mo-vimento socialdemocratico viene

stessa di trasformare radicalmen-te la società esistente.Anche a sinistra e nel movimento operaio, Lenin è stato rimosso e dimenticato. Imbalsamato e de-formato dallo stalinismo, svilito e demonizzato dalla socialdemo-crazia, le sue concezioni sono sta-te sistematicamente rovesciate nel suo contrario. Il suo lascito teorico e il suo inse-gnamento politico sono stati così dispersi, distorti e travisati al punto che, per anni, la politica ufficiale e il circo mediatico hanno con-siderato la Lega Nord un partito leninista ed hanno equiparato il “cerchio magico” bossiano a una sorta di cenacolo tardo bolscevi-co. Anche nel movimento antiliberista il nome di Lenin è impronunciabi-le. In questi ambiti, spesso attraver-sati dallo stucchevole dibattito tra chi vuole andare al governo con la cosiddetta borghesia progressi-sta, e chi vuole cambiare il mondo senza prendere il potere, il lenini-smo viene dai più considerato un reperto archeologico, datato e in-

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sospinto verso un’alleanza con l’opposizione liberale. Altro elemento importante del “Che fare?” è la critica delle idee di Eduard Bernstein e dei parti-ti socialdemocratici occidentali, i quali, iniziando a revisionare il Marxismo, si limitavano alla lotta parlamentare secondo l’andante: “Il Movimento è tutto, il fine ultimo è nulla”. “In che cosa consista la nuova ten-denza che critica il marxismo, vec-chio, dogmatico, Bernstein lo ha detto, e Millerand lo ha dimostrato con sufficiente precisione”, scrive Lenin nel “Che fare?”, riferendosi al socialista francese che tre anni prima era entrato in un governo borghese assieme a Galliffet, il generale che aveva represso nel sangue la Comune di Parigi. Per rimontare questa difficile situa-zione, Lenin criticando con forza le tendenze opportuniste emergenti, si batte per impostare un lavoro organizzativo sistematico, teso a costruire il partito indipendente della classe operaia. Quale deve essere il programma del partito? Quale deve essere il carattere di questo partito che so-stanzia e informa il programma? Sono queste le due domande fon-damentali e inscindibili alle quali Lenin dà una risposta coerente.

La lotta per il Partito.

Il partito di cui parla Lenin nel “Che fare?” non è un partito qualsiasi, ma è il reparto d’avanguardia del proletariato. Un partito che si organizza e agi-sce in relazione dialettica con il fine che si propone: il rovescia-mento delle classi dominanti e la conquista proletaria del potere. Un partito di quadri e di militanti che, basandosi su un programma rivoluzionario, raggruppa gli ele-menti più avanzati e consapevo-li della classe operaia: quelli che mantengono permanentemente un livello costante d’iniziativa po-litica, coloro i quali hanno sempre presenti, nel pensiero e nell’azio-ne, gli interessi storici della loro classe di appartenenza. In questo senso, la coscienza so-cialista dev’essere portata nel-

la classe operaia “dall’esterno” della lotta economica, “e cioè educando le masse ad agire sul terreno della lotta politica contro il regime politico e ogni tipo di oppressione”(4). Per Lenin il partito dev’essere deli-mitato, centralizzato, fermamente ancorato ai principi del Marxismo rivoluzionario. Ma questi criteri di costruzione si combinano con la massima aper-tura verso l’iniziativa esterna tra le larghe masse, nei confronti di ciò che si agita nella società. Uno strumento per la conquista dell’egemonia, e non certo com’è stato spesso dipinto come il rifu-gio di pochi settari che chiudendo il ponte levatoio se ne stanno se-duti sulla torre propagandando le loro teorie e compiacendosi degli errori del mondo. La concezione di Lenin è quella di un partito profondamente inserito nella vita della classe, senza però stemperare in essa il carattere pe-culiare del proprio agire come for-za rivoluzionaria. La stessa proposta centrale del “Che fare?” consiste in un’attività di partito tesa ad avvicinare e a inte-grare tutte le rivendicazioni sociali, tutti i movimenti che scaturiscono tra gli strati oppressi della società, anche quelli più spontanei o set-torialmente limitati.

L’attualità di una concezione.

Sapendo distinguere gli elementi essenziali e gli elementi provvisori resi necessari da particolari situa-zioni storiche oggettive (il “Che fare?” venne scritto mentre il Posdr era illegale e perseguitato dall’au-tocrazia), le concezioni leniniste della costruzione del partito ri-mangono tuttora valide. Una concezione di partito che, nonostante da decenni sia pun-tualmente sbeffeggiato da una vastissima e variegata schiera di soloni, è destinato- sullo sfondo del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo- a ritornare di pie-na attualità. Le stesse ventate di ribellione sociale che si sollevano ad ogni latitudine e le potenzialità rivolu-

zionarie che sono iscritte in questa fase di prolungata crisi economi-ca del capitalismo ci restituiscono appieno il senso e l’urgenza della costruzione di un tale partito. Un partito capace di annullare lo iato esistente tra la maturità del-le condizioni oggettive, per affer-mare un’alternativa socialista, e la profonda immaturità del fattore consapevolmente soggettivo che dovrebbe favorire, innescare e guidare quest’alternativa. Oggi come ieri, il problema dei problemi è quello di riuscire ad affermare una direzione alterna-tiva capace di dare uno sbocco politico vincente alle lotte del mo-vimento operaio e dei movimenti anticapitalisti. Una direzione che si può afferma-re solo a partire dalla consapevo-le costruzione di un partito solido e organizzato, programmatica-mente definito e radicato laddove si concentrano le contraddizioni di classe. Un partito basato su un funziona-mento democratico e centralizza-to: massima libertà di discussione interna, massima unità nell’azione esterna.Un partito, cioè, capace di ripren-dere e attualizzare nel contesto contemporaneo i principi e la tatti-ca del partito di Lenin.

Note:

1)“La Repubblica” del 21.01.2004.

2)Com’è noto i partiti comuni-sti d’allora, seguendo l’esem-pio tedesco, si chiamavano socialdemocratici. Questa de-nominazione rimarrà in voga fino al 1917)

3)Storia del Marxismo con-temporaneo. AAVV. Feltrinelli 1978

4)“Natura e funzione del par-tito”. Franco Grisolia da “Mar-xismo Rivoluzionario” del 06.2004

pag 44

Marxismo Rivoluzionario n. 9

primo trimestre 2014

rivista teorica del

Partito Comunista dei Lavoratori

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