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MARKETING INTRODUZIONE: MARKETING ORIENTATO ALLA FIDUCIA Il crescente bisogno di fiducia da parte dei consumatori è evidente nella nostra economia. La crisi ha investito anche il campo della fiducia e per uscirne rafforzati si è bisogno di certezze: dunque le aziende, per soddisfare le esigenze dei clienti, devono ottenere nel tempo la loro fiducia. Emerge così l’esigenza di un marketing orientato alla fiducia, ovvero finalizzato a conquistare la massima fiducia nel cliente nel lungo periodo. E la fiducia è tangibile, tanto che i suoi indici sono studiati anche dalle società di statistiche. Allo stesso modo è possibile misurare l’impatto della fiducia sulle performance aziendali: le aziende che hanno creduto e investito sul tema della fiducia vantano infatti esperienze capaci di costituire un vantaggio competitivo difficilmente imitabile, che si traduce nel tempo in migliori performance economiche. Di solito si parla di marketing in riferimento ai diversi orientamenti imprenditoriali di un’impresa. E si pone tra quelli più tradizionali: Orientamento al prodotto (e alla produzione): identifica quelle imprese che concentrano la propria attività prevalentemente sulla progettazione e sullo sviluppo tecnico del prodotto. Queste imprese si concentrano in modo prioritario sulla propria capacità tecnica di realizzare prodotti integri sul piano della qualità, senza badare però alle specifiche della domanda finale che vanno a soddisfare. Queste imprese puntano sulle conoscenze detenute dal personale tecnico e sulla capacità di sviluppo di nuovi prodotti. L’orientamento alla produzione si concentra più che sul prodotto in sé sui processi che permettono di realizzarlo. Impresa molto attenta all’efficienza (costi) e all’efficacia (qualità e integrità) dei propri processi produttivi per realizzare il prodotto migliore. Orientamento alle vendite: caratterizza quelle imprese che pongono enfasi sul processo di vendita e sulle capacità di imporre al mercato i prodotti o i servizi. In questo caso l’impresa è molto attenta alle esigenze del venditore e pone al centro della sua attività il target o budget di vendita. L’interesse è di massimizzare le vendite, e dunque il fatturato, offrendo ai loro venditori i più efficaci strumenti promozionali per convincere il cliente a effettuare gli acquisti. Aziende del genere sono poco sensibili alle istanze del mercato, quindi in momenti di congiunture sfavorevoli avranno notevoli difficoltà a piazzare il prodotto, attuando così politiche commerciali aggressive. Orientamento al marketing: caratteristico di quelle imprese che partono dai bisogni del cliente e non semplicemente dalle competenze tecniche detenute al proprio interno. Se nell’orientamento al prodotto al centro c’è l’attività tecnica dell’azienda, nel caso dell’orientamento al marketing al centro c’è il cliente. L’approccio in questo senso è stato 1

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MARKETINGINTRODUZIONE: MARKETING ORIENTATO ALLA FIDUCIA

Il crescente bisogno di fiducia da parte dei consumatori è evidente nella nostra economia. La crisi ha investito anche il campo della fiducia e per uscirne rafforzati si è bisogno di certezze: dunque le aziende, per soddisfare le esigenze dei clienti, devono ottenere nel tempo la loro fiducia. Emerge così l’esigenza di un marketing orientato alla fiducia, ovvero finalizzato a conquistare la massima fiducia nel cliente nel lungo periodo. E la fiducia è tangibile, tanto che i suoi indici sono studiati anche dalle società di statistiche. Allo stesso modo è possibile misurare l’impatto della fiducia sulle performance aziendali: le aziende che hanno creduto e investito sul tema della fiducia vantano infatti esperienze capaci di costituire un vantaggio competitivo difficilmente imitabile, che si traduce nel tempo in migliori performance economiche. Di solito si parla di marketing in riferimento ai diversi orientamenti imprenditoriali di un’impresa. E si pone tra quelli più tradizionali:

• Orientamento al prodotto (e alla produzione): identifica quelle imprese che concentrano la propria attività prevalentemente sulla progettazione e sullo sviluppo tecnico del prodotto. Queste imprese si concentrano in modo prioritario sulla propria capacità tecnica di realizzare prodotti integri sul piano della qualità, senza badare però alle specifiche della domanda finale che vanno a soddisfare. Queste imprese puntano sulle conoscenze detenute dal personale tecnico e sulla capacità di sviluppo di nuovi prodotti. L’orientamento alla produzione si concentra più che sul prodotto in sé sui processi che permettono di realizzarlo. Impresa molto attenta all’efficienza (costi) e all’efficacia (qualità e integrità) dei propri processi produttivi per realizzare il prodotto migliore.

• Orientamento alle vendite: caratterizza quelle imprese che pongono enfasi sul processo di vendita e sulle capacità di imporre al mercato i prodotti o i servizi. In questo caso l’impresa è molto attenta alle esigenze del venditore e pone al centro della sua attività il target o budget di vendita. L’interesse è di massimizzare le vendite, e dunque il fatturato, offrendo ai loro venditori i più efficaci strumenti promozionali per convincere il cliente a effettuare gli acquisti. Aziende del genere sono poco sensibili alle istanze del mercato, quindi in momenti di congiunture sfavorevoli avranno notevoli difficoltà a piazzare il prodotto, attuando così politiche commerciali aggressive.

• Orientamento al marketing: caratteristico di quelle imprese che partono dai bisogni del cliente e non semplicemente dalle competenze tecniche detenute al proprio interno. Se nell’orientamento al prodotto al centro c’è l’attività tecnica dell’azienda, nel caso dell’orientamento al marketing al centro c’è il cliente. L’approccio in questo senso è stato mutato dopo le crisi economiche: si è deciso di partire dalle esigenze del consumatore insoddisfatto usando la tecnologia migliore per realizzare il prodotto finito destinato alla domanda.

L’impresa orientata al marketing e alla fiducia è particolarmente attenta a:

• Singoli clienti: il management deve cercare di comprenderne le esigenze e poi soddisfarle in modo compiuto.

• Concorrenza: orientarsi al marketing vuol dire conquistare la fiducia del cliente, agendo in modo da essere percepiti in assoluto come i migliori fornitori sul mercato.

La fiducia che il cliente ripone nell’impresa, nel brand o nel punto vendita, genera una serie di conseguenze interessanti per l’impresa stessa:

• Accrescimento della frequenza di acquisto da parte del cliente;• Attivazione di un passaparola favorevole;• Disponibilità da parte del cliente all’acquisto di beni di maggiore qualità o valore più elevato

(trading up);• Consumatore meno sensibile a variazioni di prezzo;• Maggiore propensione al consumo da parte dei clienti;• Riduzione costi associati alle attività di vendita e di assistenza del cliente;

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• Maggiore disponibilità alla cessione, da parte del cliente, di informazioni e conoscenze all’impresa (knowledge sharing), che è così in grado di progettare offerte più in linea con esigenze.

In seguito al consolidamento della relazione fiduciaria con i propri clienti, questi sono infatti disponibili a:

• Accrescere prima di tutto il valore del singolo acquisto;• Stabilizzare la serie dei propri acquisti nel tempo, minimizzando così le probabilità di passaggio

alla concorrenza;• Prolungare la durata della relazione, ampliando così l’orizzonte temporale in cui possono

manifestarsi occasioni di acquisto presso fornitore di fiducia.

In definitiva, la fiducia esercita un impatto positivo sulla customer equity, ovvero sul valore generato da un singolo cliente calcolato in base ai flussi netti di cassa che egli è in grado di produrre nell’arco della sua relazione con l’azienda. Una volta condivisi gli effetti della fiducia, diventa fondamentale comprendere prima di tutto in che cosa consiste e poi quali sono le modalità per svilupparla. La fiducia è infatti espressione della capacità dell’impresa di mantenere le promesse e di far fronte agli impegni assunti col cliente. Di solito ci fidiamo di un’impresa o una marca quando è nostra convinzione che essa sarà effettivamente in grado di soddisfare le aspettative che ha creato in noi. Soprattutto nei beni che richiedono grande aspettativa (cibi, tecnologici, gioielli etc) è necessaria grande quantità di fiducia nei confronti della marca, e ciò fa la differenza tra successo e flop: infatti si definiscono beni-trust.

Nella mente del cliente la fiducia rappresenta una sintesi cognitiva, una specie di scorciatoia utilizzata a livello individuale per semplificare i sempre più complessi processi decisionali connessi con l’attività di scelta dei beni/servizi. Ma da cosa dipende la fiducia, e cosa possiamo fare per produrla? Da una serie di antecedenti riconducibili a:

• Passate esperienze e livello di soddisfazione prodotto in tali occasioni;• Abilità e competenze percepite che permettono all’impresa di porre in essere comportamenti in

linea con le aspettative;• Motivazioni a perseguire gli obiettivi della controparte senza ricorrere a comportamenti

opportunistici;• Frequenza delle relazioni tra le parti e soprattuto frequenza della comunicazione tra cliente e

fornitore;• Integrità dell’impresa e valori associati alle sue marche.

Per sviluppare fiducia nel cliente, l’impresa deve agire su tali determinanti. La sfida futura si gioca proprio sulle nuove frontiere del trust management. Le sempre più numerose customer advocacy, cioè situazioni in cui l’impresa diventa difensore del cliente, stanno inoltre cambiando le relazioni di mercato.

Il marketing è definito come un processo, che parte dalla pianificazione e si conclude con l’implementazione. L’obiettivo è quello di rendere possibili transazioni in grado di produrre la soddisfazione di bisogni individuali o organizzativi. Il processo di marketing management è tradizionalmente costituito da quattro fondamentali step:

1. Primo quello del marketing analitico, che prevede l’analisi dell’ambiente in senso ampio (tecnologia, economia, normativa etc) e l’analisi della concorrenza, della domanda e degli intermediari. Nella fase analitica il marketing manager assume tutte le info utili a impostare i successivi due step.

2. Secondo è il marketing strategico, che prevede le fondamentali deciso i di segmentazione della domanda e posizionamento dell’offerta. Si identificano in questa fase i segmenti a cui rivolgere in via prioritaria l’offerta aziendale (i cosiddetti target).

3. Terzo è il marketing gestionale, che si concretizza nella progettazione e implementazione delle decisioni relative alle tipiche leve gestionali del marketing, tradizionalmente sintetizzate

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nel concetto di marketing mix, detto anche delle 4P. Esso infatti si compone delle politiche di prodotto (product), prezzo (price), comunicazione (promotion) e distribuzione (place).

4. Quarto è la fase di controllo, volta a verificare i risultati delle politiche di marketing e l’effettivo raggiungimento degli obiettivi quantitativi e qualitativi definiti nelle prime fasi. A questa fase di controllo può seguire la decisione di riconfermare o eventualmente rivedere le scelte della fase strategica e di quella gestionale.

COGLIERE I TREND AMBIENTALE E L’EVOLUZIONE DELLA CONCORRENZA

I mutamenti sociali e demografici hanno un impatto non trascurabile sull’offerta delle imprese. Sono pertanto nate linee di prodotto dedicate a determinati target. Tali cambiamenti, dovuti ad abitudini differenti, hanno determinato una trasformazione strutturale della domanda, ma anche dell’offerta commerciale, costretta a innovare per rivolgersi a questi nuovi target con nuovi prodotti e servizi, ma anche con formule distributive innovative. Ciò spinge naturalmente all’ampliamento dell’offerta delle imprese di distribuzione e alla formazioni di estere aggregazioni commerciali (centri commerciali), che hanno dato adito a nuove attività come lo shopping ricreativo. Anche la recenti crisi economica determina cambiamenti non trascurabili nel comportamento d’acquisto dei clienti che, per specifiche categorie di prodotti, privilegiano alternative tipo discount o factory outlet center. Questi argomenti rientrano nel tema dell’analisi ambientale del marketing.

Il macro-ambiente dell’impresa è rappresentato da tutto ciò che la circonda, a esclusione di concorrenti, domanda finale e intermedia, che rappresentano i fondamentali soggetti del micro-ambiente di marketing. Il macro-ambiente è definito da alcune fondamentali categorie di variabili (strati), che determinano un impatto non trascurabile sui clienti e sui loro comportamenti di consumo e processi d’acquisto. Sono cinque gli strati del macro-ambiente:

• Territorio e demografia: è fondamentale isolare i principali fattori relativi alla struttura del territorio, all’articolazione e ai trend della popolazione che incidono sui costumi e sul comportamento d’acquisto dei clienti.

• Cultura e società: alcune variabili di tipo culturale e sociale condizionano le decisioni d’acquisto e di consumo e devono essere dunque valutate. Si pensa alle mode, al ruolo che di condizionatori che assumono gli opinion leader e i pionieri. Non è un caso che le aziende facciano esplicitamente ricorso a testimonial per promuovere i prodotti.

• Economia e imprese: a guidare il comportamento dei clienti e degli attori del mercato sono anche variabili economiche. La recente crisi ha per esempio inciso sul consumo e i comportamenti d’acquisto. Per le imprese che operano nei mercati business to business, inoltre, che si rivolgono cioè a una clientela composta non da individui ma da altre imprese, è importante conoscere l’evoluzione strutturale della domanda che intendono soddisfare.

• Scienza e tecnologia: esercitano entrambi impatto non trascurabile su comportamento di imprese e domanda. Si pensi solo all’impatto delle innovazioni tecnologiche sulla società nel campo della comunicazione.

• Politica e normativa: gli orientamenti politici di un paese, la tendenza alla liberalizzazione delle attività economiche e i vincoli dettati dalla normativa sono tutti elementi assai rilevanti per la progettazione delle politiche commerciali delle imprese.

Analizzare il macro-ambiente risulta fondamentale per l’impresa che deve progettare le sue strategie di marketing. È opportuno analizzare tutti i segnali ambientali e valutare in prima istanza la probabilità con cui i fenomeni rilevati potrebbero verificarsi in futuro, isolando gli eventi caratterizzati da una più elevata probabilità di manifestazione. I segnali e gli eventi relativi al macro-ambiente vanno classificati poi anche in base all’impatto che essi sono potenzialmente in grado di esercitare sull’impresa e sul suo business.

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Successivamente all’analisi del macro-ambiente, è opportuno indagare il micro-ambiente competitivo in cui è posta un’impresa. Fondamentale è svolgere uno studio approfondito del settore e dei suoi attori principali, comprendendo gli elementi essenziali della struttura settoriale. Questo è essenziale per le imprese per dedurre comportamenti e performance delle concorrenti. Per comprendere la struttura di un settore (sotto, il modello SCP) occorre approfondire soprattutto:

• Il livello di concentrazione settoriale• Le barriere all’entrata• La differenziazione del prodotto

Il paradigma SCP trascura però di considerare l’impatto che le caratteristiche degli acquirenti e quelle della struttura del settore commerciale hanno sulla performance dei settori industriali. Porter (1976) ha dimostrato come l’influsso della struttura del sistema distributivo sulla performance dell’industria dipenda soprattutto da due fattori: il primo rappresentato dal grado di concentrazione (A) del settore commerciale al dettaglio. Quanto più esso è elevato tanto più la performance dell’industria ne risentirà. In molti settori si sviluppano gruppi e centrali d’acquisto fra imprese di distribuzione: tale fenomeno incide in inevitabilmente sull’entità delle performance delle imprese industriali. Ma dipende anche dalla capacità che le stesse imprese hanno di influire sulla differenziazione del prodotto industriale (B). C’è dunque interdipendenza tra i comportamenti dell’industria e quelli delle imprese commerciali ed è chiaro che i comportamenti dei concorrenti e le loro performance non dipendano solo dalla struttura del settore di appartenenza dell’impresa, ma anche da quelli immediatamente confinanti nella filiera produttiva e nella supply chain.

Chiariamo il concetto di settore e apriamo al concetto di concorrenza allargata. Dallo studio dei canali distributivi (sopra, Porter 1980) si analizza l’effetto dei comportamenti di altri soggetti che potenzialmente possono influire sulle performance dell’impresa: non solo distributori e clienti, ma

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anche fornitori, potenziali entranti e prodotti sostitutivi. Questi confluiscono nelle cosiddette cinque forze del settore. La concorrenza all’interno di un settore non dipende dunque solo esclusivamente dai comportamenti dei concorrenti che appartengono al medesimo settore, ma anche da altre forze competitive così classificabili:

• Comportamenti e struttura della distribuzione che può decidere di integrarsi a monte, introducendo le cosiddette marche commerciali, potenziale competitor per marche industriali;

• Fornitori che possono decidere di integrarsi a valle, come accade per alcune imprese industriali che decidono di acquisire alcune catene di distribuzione a livello internazionale;

• Prodotti sostitutivi, come accade alle imprese presenti nel settore telefonia in seguito a sviluppo di internet e introduzione di Skype;

• Potenziali entranti nel settore, come successo all’editoria musicale dopo l’ingresso della musica digitale trasmessa da iPod.

Il concetto di settore ampliato determina l’emergere di nuovi prospettive nell’analisi settoriale, come quelle della concorrenza trasversale e della convergenza intersettoriale (come ha fatto Apple, capace di unire in un telefono anche musica e video; oppure Danone con Activia, unito settore farmaceutico col bifidus a quello della nutrizione). Il concetto di settore tradizionale perde dunque oggi la sua forza interpretativa e diventa fondamentale analizzare la concorrenza in una prospettiva customer-based.

Nell’ambito di ciascun settore non tutte le imprese sono direttamente concorrenti fra loro, soprattutto quando prodotti sono differenziati. Necessario allora individuare gli ambiti competitivi rilevanti per l’impresa. Le imprese operanti in un settore non sono tutte identiche, ma è possibile isolarle in insiemi chiamati gruppi strategici, che perseguono strategie simili. I gruppi vengono solitamente costruiti facendo riferimento alle variabili competitive critiche di successo in un settore, come ampiezza assortimento, qualità canale utilizzato etc. La mappa dei raggruppamenti strategici (esempio sotto) permette di isolare cluster di imprese in diretta concorrenza fra loro.

Per comprendere la modalità con cui i clienti percepiscono le diverse alternative d’offerta sul mercato si possono adottare diversi approcci analitici. I più diffusi sono rappresentati dal modello

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basato sugli attributi (à la Fishbein) e dalle mappe percettive. Passi per comprendere come clienti percepiscono prodotti sul mercato:

• Scomporre prodotto o offerta del prodotto in attributi elementari (se telefono: durata batteria, dimensione etc);

• Comprendere, mediante ricerche di mercato, quali siano gli attributi più importanti per i clienti;• Valutare come i vari concorrenti sul mercato siano percepiti rispetto a questi attributi.

È possibile poi trasformare la valutazione di ogni singolo attributo dell’offerta in utilità parziali; sommando le unità parziali di ciascun attributo otteniamo un’utilità totale del singolo prodotto nella prospettiva del cliente. Confrontando tra loro utilità totali di ciascuna alternativa d’offerta si può calcolare l’indice di competitività di un prodotto. Se indice è superiore a 1 allora situazione è di vantaggio competitivo; nel caso di indici inferiori a 1 la situazione si configura come negativa; se uguale a 1 vuol dire allineamento competitivo. Il prodotto migliore sarà quello che riesce a offrire la combinazione di benefici più vicina all’idea dei clienti.

ANALIZZARE LA DOMANDA FINALE

L’analisi della domanda rappresenta il principale elemento conoscitivo su cui devono fondarsi le decisioni strategiche e operative del marketing. Può essere articolata in due blocchi analitici:

• Analisi quantitativa: si fonda sulla misurazione e sull’approfondimento di tre concetti fondamentali:

- Potenziale di mercato: massima quantità vendibile di un prodotto, in un certo arco temporale e ambito geografico (dato ipotetico);- Domanda primaria: quantità vendute da tutte le imprese appartenenti a un determinato mercato e costituisce la qualità effettivamente venduta di una certa categoria di prodotto;- Domanda secondaria: si riferisce alle vendite della sigla imprese e rappresenta quindi la domanda effettiva che si rivolge a una specifica marca o impresa.

Il divario fra potenziale di mercato e domanda primaria esprime il cosiddetto gap di potenziale, che costituisce un’informazione importante, poiché la presenza di un elevato gap indica l’esistenza di significative opportunità di mercato. Al contrario, con un basso gap si configura una situazione di maggiore maturità del mercato, in cui le opzioni di crescita a disposizione delle imprese non possono che essere perseguite a spese dei rivali, sottraendo loro una quota della domanda. In questo caso il gioco competitivo è a somma zero (“io vinco, tu perdi”), mentre quando c’è elevato gap è del tipo win, win (“io vinco, tu vinci”).

La differenza tra domanda primaria e quella soddisfatta dalla singola impresa delinea invece il cosiddetto gap concorrenziale, che esprime la capacità della specifica impresa di controllare il proprio mercato di riferimento. Si intuisce che un’impresa leader farà segnare un gap concorrenziale inferiore rispetto a un’impresa con posizioni marginali. La quota di mercato (QMi) di un’impresa si può calcolare dividendo le vendite della marca (Qi) per le vendite totali del mercato di riferimento (Q). Dunque: QMi = Qi/Q. Una quota di mercato elevata e stabile ne tempo rappresenta indicatore della capacità dell’impresa, efficace dunque nelle azioni di marketing. Uno dei problemi principali che si pone nell’analisi quantitativa della domanda è quello di definire i confini del mercato di riferimento di un’impresa. Analisi che non può essere sempre condotta in maniera univoca per tutte le imprese.

• Analisi qualitativa: del consumatore e dei suoi criteri valutativi. Presupposto imprescindibile per la progettazione delle strategie e delle politiche di marketing. Il cliente, nel momento in cui approccia l’acquisto di un prodotto, in genere svolge delle fasi fondamentali di tipo cognitivo. Le principali:

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- Percezione del bisogno: percepisce esistenza del problema (bisogno) e esigenza di rinvenire le migliori soluzioni utili per risolverlo. Percezione del bisogno cliente la ha quando valuta ciò che ha e ciò che potrebbe avere.- Ricerca di informazioni: una volta percepito il bisogno, si attiva per rinvenire modalità per soddisfarlo. L’obiettivo del processo di ricerca delle informazioni è individuare le migliori soluzioni per soddisfare il bisogno. Consultate varie fonti informative: istituzioni (altroconsumo), amici, prove empiriche del prodotto, ciascuna con diversa credibilità.- Valutazione delle alternative pre-acquisto: dopo aver ricercato informazioni, il cliente procede a una loro valutazione. Tra le alternative considerate idonee, generalmente si fa una gerarchia, determinata in base a criteri valutativi che rappresentano gli elementi dell’offerta.- Acquisto del prodotto: l’alternativa di offerta posta in cima alla gerarchia di preferenza è quella che il cliente tenta per prima di acquistare. In questa fase si passa dal pensiero all’azione: in una situazione ideale il cliente acquisterà quel prodotto considerato più idoneo a soddisfare il proprio bisogno. Anche se in alcuni casi ci sono eventi inattesi che ne cambiano il parere, tipo l’assenza del prodotto, o presenza di promozioni dai concorrenti. - Utilizzo del prodotto: il consumo del bene.- Valutazione post acquisto: il processo non termina con il consumo, ma raggiunge il culmine proprio con la valutazione dopo l’acquisto, da molti considerata il vero momento della verità per l’impresa, che genera soddisfazione o insoddisfazione nei confronti della marca. - Fedeltà (Customer Loyalty): in presenza di buon livello di soddisfazione si scaturisce fiducia, che si traduce poi in acquisto ripetuto.

Secondo studi esiste una correlazione positiva fra il livello di coinvolgimento e il grado di approfondimento dei processi informativi e valutativi che precedono l’acquisto. Nel caso di situazioni a elevato coinvolgimento psicologico, il consumatore tende a fondare le proprie valutazioni su un processo di apprendimento intenzionale, invece per le situazioni a scarso coinvolgimento privilegia l’apprendimento fondato sulla sperimentazione diretta del bene. Fra i fattori suscettibili a influenzare il coinvolgimento i più significativi sono:

• Interesse verso la categoria: dipende soprattutto da elementi soggettivi difficilmente generalizzabili, come il valore emotivo annesso al processo di consumo in cui il prodotto acquistato troverà impiego. Ciò implica che anche categorie “banali” possono suscitare elevato coinvolgimento.

• Grado di rischio percepito: è direttamente connesso all’incertezza sull’esito della decisione di acquisto e alla rilevanza di eventuali conseguenze negative sul piano dell’integrità fisica, economica psicologica e sociale del consumatore. L’intenzione di rischio è collegata a fattori individuali (esperienza) e ambientali (situazione di utilizzo) e incide su criteri valutativi. Nell’attività di scelta e comparazione, l’importanza attribuita alla marca è spesso interpretabile alla luce delle diverse tipologie di rischio. Riconducibili a:

- Rischio economico-finanziario, di solito correlato a conseguenza che scelta errata ha sul piano patrimoniale;- Rischio funzionale, connesso al timore di performance inadeguata del prodotto;- Rischio fisico, relativo a minacce del prodotto per incolumità o salute del consumatore;- Rischio psico-sociale, derivante dal possibile impatto negativo del bene sull’autostima.

Di fronte al rischio, il cliente prende in considerazione tutti i vati aspetti legati al prodotto, dalla pubblicità alla fedeltà etc.

• Visibilità sociale dei processi d’acquisto e di consumo: esercita influenza diretta sul livello di coinvolgimento, amplificando il rischio psico-sociale percepito e la rilevanza del prodotto sul piano simbolico. Si verifica in presenza di beni a elevata potenzialità segnica (abbigliamento, accessori, auto etc).

• Contesto in cui avviene l’utilizzo: al variare della situazione d’uso possono modificarsi in modo sostanziale i sistemi motivante, percettivo e valutativo del consumatore. Il collegamento tra prodotto e specifici contesti di utilizzo può modificare i criteri di scelta di un cliente.

Un consistente livello di coinvolgimento consente dunque al marketing manager di cercare nuove fonti di differenziazione, relazionandosi al contempo con un cliente attento e sensibile al contenuto informativo dell’offerta. Per questo è fondamentale importare l’intero processo di marketing

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management in modo coerente, essendo consapevoli dell’effettivo livello di coinvolgimento sperimentato dalla clientela nell’acquisto di un bene. Un eccessivo rischio percepito nell’acquisto di un prodotto può infatti indurre un’elevata incertezza nel cliente.

Analizziamo ora la in store experience, quello stadio del processo di acquisto connesso alla visita del punto vendita. La ricerca sul contenuto e sul ruolo della motivazione all’acquisto si è concentrata su due obiettivi: definire il contenuto e la natura (1) delle motivazioni che determinano la decisione di attivare processo d’acquisto; e segmentare la domanda (2), ovvero classificare in base alle motivazioni d’acquisto gli acquirenti caratterizzati da un diverso orientamento allo shopping. È possibile sintetizzare le principali motivazioni di shopping in quattro categorie di esigenze di natura simbolico-esperienziale:

• Bisogno di identificazione, come essere riconosciuti a livello individuale e assumere uno status;• Bisogno di affiliazione, come combattere solitudine, ricerca di contatti sociali, appartenere a

comunità di un certo brand etc;• Bisogno di affermazione, come mercanteggiare, acquisire stato di superiorità rispetto al

personale di vendita etc;• Bisogno di rinvenire nuovi stimoli, come uscire dalla monotonia e dalla routine.

I soggetti che manifestano una differente predisposizione verso l’attività di acquisto in generale mostrano anche un diverso comportamento in tutte le fasi del processo decisionale e una diversa sensibilità alle singole azioni di marketing proposte dalle imprese Piuttosto chiara l’esistenza di due gruppi opposti di acquirenti: coloro che vivono il processo di acquisto e la raccolta di informazioni come esperienza coinvolgente (acquirenti ricreativi, 1); coloro che considerano l’acquisto una prospettiva esclusivamente funzionare (acquirente funzionale, 2). In definitiva, dunque, il consumatore durante una spedizione di acquisto assolve a due compiti: completa il processo di acquisto per un certo numero di prodotti (1); ottiene informazioni (sia pur passivamente) su altri beni per eventuali futuri acquisti (2). Ma, nei termini delle modalità di ricerca, quanto influisce il tipo di bene che si vuole acquistare? È un fattore tutt’altro che trascurabile: l’acquirente di beni a scarso coinvolgimento psicologico dispongono in genere di informazioni sufficienti sulle caratteristiche dell’offerta nei vari punti vendite e dei relativi prezzi; mentre nel caso acquisto di beni ad alto coinvolgimento psicologico questo bagaglio informativo è assente.

Come si valutano le alternative di acquisto? Il presupposto teorico che sottosta a questi modelli consiste nell’ipotesi che l’acquirente ricerchi la soddisfazione. Il processo valutativo produce dunque una struttura di preferenze, in cui le alternative vengono ordinate in rapporto alla valutazione globale ottenuta. L’attenzione del marketing manager deve pertanto concentrarsi su: individuazione delle caratteristiche sulle quali attuare il confronto tra le alternative d’acquisto (1); le regole attraverso le quali l’acquirente passa al vaglio gli attributi dell’offerta commerciale per formarsi struttura preferenze (2).

Comportamento in shop. La ricerca sull’analisi del consumatore si è concentrata sulla comprensione dei processi cognitivi sottostanti al comportamento individuale, spesso trascurando ciò che accade durante la fase di acquisto vera e propria. L’ambiente di vendita è infatti oggi qualcosa di più di un semplice luogo di approvvigionamento, in molti casi è divenuto una fonte continua di stimoli (suoni, colori, odori, messaggi) in grande di agire sul sistema percettivo dei clienti. Studi che hanno approfondito la dimensione comportamentale si sono proposti di analizzare la connessione tra l’in-store marketing e il comportamento dell’acquirente, analizzando soprattutto la relazione del visitatore a fronte dell’utilizzo delle singole leve del retailing mix (marketing mix dell’impresa commerciale):

• Display: l’espansione della formula self-service ha fatto si che i display (esposizione dei prodotti a scaffale) costituiscano uno dei più rilevanti strumenti di comunicazione a disposizione di un’impresa. Il modello che ha ispirato gli studi empirici di quest’area ipotizza che all’aumentare dello spazio destinato a un prodotto “a scaffale” le vendite si accrescono a un tasso decrescente, fino al raggiungimento di un limite superiore. Ciò si spiega dicendo che il cliente, sensibile

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all’impatto visivo dei display, è molto più propenso ad acquistare un prodotto esposto in maniera consistente.

• Assortimento: argomento importante quello della relazione del consumatore a fronte delle rotture di stock. Le conseguenze derivanti dalla mancanza della marca desiderata nell’assortimento possono comportare una riduzione dell’ammontare della spesa effettuata o una modifica dello schema di preferenze individuale. Gli effetti della rottura di stock possono verificarsi anche nel lungo periodo, erodendo così pericolosamente il patrimonio di fiducia accumulata nell’impresa.

• Promozioni: uso sempre più intenso di questa leva da parte delle imprese. Duplice effetto sui clienti: sostituzione delle marche (brand switching) e sostituzione dei punti vendita (stores switching); incentivano acquisto di prodotti complementari non in promozione, determinando un effetto di trascinamento.

• Prezzo: Contrariamente a quanto si pensa, gli studi hanno concluso che la maggioranza degli acquirenti possiede solo un’idea approssimativa del prezzo pagato. Ma su questo specifico le casistiche vanno ampliate.

ANALIZZARE LA DOMANDA INTERMEDIA: LA DISTRIBUZIONE

Le imprese commerciali (buy&sell) sono anello di congiunzione tra i mercati di produzione e consumo. In passato i distributori si limitavano a svolgere attività di tipo logistico (connesse al trasporto), oggi invece si sono sviluppate notevolmente sul piano dimensionale sia con riferimento alla capacità di governo dei mercati. Grazie all’introduzione di formule moderne come il supermercato, l’ipermercato, le grandi superfici specializzate, i convenience stores e discount, la grande distribuzione si è imposta in molti comparti del settore dei beni di consumo, spesso diventano players superiori a i maggiori di produzione di beni. Non è un caso che la prima azienda per fatturato al mondo sia Wal-Mart, un distributore USA che ha superato anche i colossi del petrolio.

Le posizioni di forza tra industria e grande distribuzione si sono dunque invertite, costringendo le imprese industriali a progettare nuove modalità gestionali. Inizia così a svilupparsi il trade marketing, quella parte di attività commerciali che le imprese dedicano alla gestione della relazione con il distributore. Opportuno approfondire le esigenze, i comportamenti i trend evolutivi che caratterizzano le imprese commerciali: la gestione della domanda intermedia (ovvero della distribuzione) da parte delle imprese è infatti un’attività prioritaria perchè consente il raggiungimento della propria clientela finale su un ampio territorio.

• Il settore commerciale della distribuzione ha vissuto negli ultimi anni un processo di modernizzazione (1), a partire dagli USA. Una peculiarità del settore commerciale italiano, evolutosi negli anni 90, è rappresentata dalle forme aziendali più diffuse: a differenza di altri paesi, infatti, per via dei vinili normativi esistenti fino a qualche anno fa, cooperazione (con impese come Coop) e associazionismo (la cosiddetta DO = distribuzione organizzata)hanno assunto fondamentale ruolo di traino nel processo di modernizzazione del settore commerciale.

• Di pari passi con la modernizzazione è cresciuto il livello di concentrazione (2) del settore, che si è tradotto soprattutto all’estero in sviluppo di imprese di grandi dimensioni. In Italia questo fenomeno è stato sensibilmente inferiore ai paesi del nord Europa, comunque.

• Modernizzazione e concentrazione rappresentano in Italia due fenomeni indotti dal processo di liberalizzazione e internazionalizzazione (3) del comparto distributivo.

• Competenze di marketing (4) migliorate e merchandising dei prodotti.

Lo sviluppo della distribuzione ha posto le imprese di fronte alla necessità di conoscere il comportamento dei suoi attori. Quali sono le attività svolte dai distributori? Il servizio commerciale costituisce il prodotto dell’impresa commerciale e può essere definito come mix di attributi e servizi combinati in modo da appagare il bisogno della domanda. I servizi centrali sono quelli che soddisfano direttamente il bisogno per cui viene richiesto il servizio, quelli periferici sono da supporto all’attività principale (ma fanno la differenza sulla concorrenza). La dimensione logistica del servizio commerciale si articola così:

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• Servizio di prossimità: configura una delle principali funzioni delle imprese commerciali, ovvero quella di portare il prodotto il più vicino possibile alla disponibilità dell’acquirente.

• Servizio di stoccaggio: le imprese commerciali, in funzione della loro vicinanza a luoghi di consumo, evitano gli acquirenti di sostenere oneri di stoccaggio.

• Estensione dell’orario di apertura: consiste nella riduzione del costo soggettivo del tempo degli acquirenti e offre pertanto l’opportunità di effettuare propri acquisti in orari ai quali corrisponde un minor costo di tempo.

• Ampiezza dell’assortimento: cioè il numero di categorie merceologiche offerte da un’impresa commerciale.

La dimensione informativa si compone invece delle seguenti dimensioni:

• La preselezione: impresa commerciale riduce i costi di ricerca delle info per il consumatore selezionando un set di prodotti limitato che va a comporre l’assortimento;

• La profondità dell’assortimento: il numero di varianti e referenze per singola marca;• L’informazione diretta: comprende quei supporti informativi necessari al consumatore per portare a compimento il

proprio processo di scelta.

Una delle peculiarità dell’innovazione commerciale rispetto a quella di tipo industriale è l’impossibilità di ottenere una copertura brevettuale e di manette riservato il contenuto innovativo del prodotto distribuito: ciò quindi rende possibile l’immediata imitazione da parte dei competitor. Anche dal punto di vista del marketing le imprese commerciali si sono innovate, arrivando addirittura a sviluppare linee di prodotti propri, le marche commerciali (o private label), e gestire sempre in modo più personalizzato la relazione con la clientela, creando programmi di store loyalty via via più articolati. Si definiscono marche commerciali tutti quei prodotti che, anziché col nome del fabbricante, vengono proposti al consumatore con un marchio di un distributore che ne garantisce direttamente il livello qualitativo. Alcuni distributori riescono pure a vendere di più di molti dei loro fornitori. Tipologie di marche commerciali, che si distinguono in:

• Marca in esclusiva: prodotto che presenta marca di proprietà del produttore, ma viene distribuito da una catena in esclusiva;

• Prodotto generico: prodotto di base con confezione semplice e privati marca, che presenta solo riferimento alla catena;

• Generici garantiti o prodotti bandiera: simili ai generici ma caratterizzati da rapporto qualità prezzo superiore.

• Marca fantasia non riconoscibile: marchi specializzati per tipologia merceologica che, pur essendo nomi di fantasia, consentono l’identificazione del distributore;

• Marca insegna: prodotto simile a un prodotto di marca, dove la marca coincide con l’insegna della catena;

• Marchi insegna per tipo di segmento o marchio ombrello: stadio successivo di sviluppo dei marchi insegna, per cui il distributore, volendosi contrapporre all’offerta industriale, ne adotta pienamente le logiche di innovazione e differenziazione del prodotto, segmentando così i mercati finali e definendo per ciascuno una precisa politica di posizionamento e collocazione per fascia di prezzo.

La marca commerciale determina una concorrenza verticale (per spuntare condizioni di acquisto favorevoli e mantenere quindi margini adeguati) ma anche orizzontale, tra imprese commerciali e industriali i cui brand competono per conquistare preferenze della clientela finale. Spesso inoltre i prodotti a marca commerciale vengono favoriti nell’esposizione e negli investimenti promozionali (perlopiù nei prodotti freschi e freschissimi). Marche commerciali e industriali possono comunque coesistere, ritagliandosi spazi propri in segmenti diversi o nello stesso.

SEGMENTARE LA DOMANDA E POSIZIONARE L’OFFERTA

Dopo aver passato in rassegna la fase analitica, viriamo ora sulla fase strategica. Che si compone di molte decisioni, ma verte soprattutto sulle scelte in merito ai segmenti di domanda da servire e sulla definizione del posizionamento dell’offerta. Una volta definito quest’ultimo, sarà immediato tradurre tali decisioni nelle scelte relative a ciascuna delle variabili del marketing mix. Il percorso del marketing pone dunque in sequenza tre fasi: segmentazione della domanda (1); selezione dei segmenti target (targeting, 2), e posizionamento del prodotto (3).

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1. Da un punto di vista puramente tecnico, la segmentazione consiste nel dividere in gruppi la totalità dei clienti, usando più parametri di analisi (criteri di segmentazione), in modo da massimizzare al contempo l’omogeneità tra i soggetti di ciascun gruppo e la disomogeneità tra soggetti di gruppi diversi. L’insieme dei soggetti è costituito dal mercato, i singoli soggetti sono gli acquirenti e i gruppi sono i cluster (o segmenti). Il criterio utilizzato per segmentare un mercato è il sistema di preferenze degli individui. Due le modalità per effettuare la segmentazione:

• Ex ante: ovvero a priori, in cui i criteri di segmentazione fanno riferimento a specifiche caratteristi che soggetto (stili di vita, età etc);• Ex post: detta anche benefit segmentation, in quanto permette di costruire segmenti sulla base della comunanza di esigenze espresse dai clienti.

2. La segmentazione agisce come un prisma attraverso cui interpretare le esigenze di mercato. Il targeting rappresenta la scelta del dove puntare l’attenzione e più in generale gli sforzi di marketing condotti dall’impresa. Per scegliere i segmenti è fondamentale valutare l’interesse per l’azienda di tali segmenti e la loro effettiva raggiungibilità, valutata anche in funzione ai media e ai canali esistenti.

3. Il posizionamento indica la collocazione del prodotto in un definito sistema di percezioni, riguardi l’offerta complessiva al consumatore. Tale collocazione si raggiunge attraverso l’attuazione delle politiche di mercato dell’impresa, che implementando alcune opportune azioni commerciali, riesce a collocarsi in una posizione ben definita nello spazio percettivo della domanda. È quindi questo il driver fondamentale per la definizione delle strategie e delle politiche di mercato aziendali. Il posizionamento dell’offerta viene espresso in termini relativi rispetto a due segni di riferimento (benchmark): da un lato il prodotto ideale espresso dal segmento di consumatori target, dall’altro, rispetto alla concorrenza, con i diversi caratteri di differenziazione che la domanda può presentare. Il concetto di posizionamento di una marca è dunque relativo, perchè assume un valore analitico non assoluto ma rispetto alla distanza percettiva che separa la marca dal profilo ideale espresso dalla domanda.

Lo strumento per comprendere il posizionamento degli stimoli dei clienti è la mappa delle percezioni (sx): rappresenta su un piano sia gli oggetti di valutazione esistenti sia i vettori relativi agli attributi. La mappa delle preferenze (dx) rappresenta invece la posizione, rispetto agli attributi, dei profili idea di offerta espressi dal consumatore: aggregando punti ideali tra loro

vicini si definiscono segmenti di consumatori con preferenze omogenee. Sovrapponendo le due mappe risulta possibile determinare il gap assistente tra il modo in cui sono percepiti i prodotti e i punti ideali. Si formeranno cluster composti da clienti che cercano determinate qualità in dati prodotti.

Le mappe di posizionamento sono sia strumenti di diagnosi che di decisione. L’immagine della marca può essere definita come la personalità dell’offerta così come viene percepita da parte della

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domanda. Le imprese più avanzate sotto il profilo del marketing conducono sistematicamente ricerche relative alla brand image per determinare gli attributi centrali che contribuiscono a definirla. Una volta definito il processo di creazione dell’immagine a livello cognitivo nella prospettiva del cliente, è possibile passare alla progettazione delle strategie di posizionamento. Le decisioni attengono a due aspetti: le azioni da intraprendere per migliorare il posizionamento (1) e la scelta del tipo di posizionamento (2). Per il punto (1), le strategie possibili sono:

• Modificare l’offerta dell’impresa, soprattutto quando non raggiunge livello desiderato;• Intervenire sui pesi relativi degli attributi-benefici, cercando di convincere i consumatori della

maggiore importanza degli attributi che costituiscono i punti di forza non rilevanti dall’impresa;• Modificare le opinioni dei consumatori nei confronti dell’impresa (riposizionamento psicologico);• Modificare le opinioni dei consumatori nei confronti dei concorrenti, soprattutto se si ritiene che il

mercato ne sovrasti alcune caratteristiche (si può ricorrere alla pubblicità comparativa);• Attirare l’attenzione dei consumatori su attributi che al momento non rientrano nel processo di

valutazione delle alternative d’offerta;• Modificare la posizione percepita del prodotto ideale per avvicinarlo al proprio;• Introdurre un nuovo prodotto o marchio rivolto a un segmento di consumatori che apprezza il

prodotto ideale non presidiato da nessun concorrente (strategia di affiancamento);• Introdurre un’offerta fortemente innovativa, in grado di cambiare completamente dimensioni e

percezioni della struttura stessa del mercato (Ikea).

Per quanto riguarda la scelta del tipo di posizionamento (2). Posizionamento può essere riferito a:

• Attributi dell’offerta (dimensione e altre caratteristiche);• Benefici ricercati (economicità dell’acquisto, personale particolare etc);• Funzioni e occasioni d’uso (se articoli da regalo o per occasioni, oppure prodotti tempo libero

etc);• Utilizzatori (destinato a un pubblico particolare, che siano adulti, bambini, mamme etc);• Rispetto a un altro settore;• Caratteristiche dell’impresa: aziende vantano nel payoff le origini lontane (Dal …) che assicurano

affidabilità;• Rispetto alla concorrenza;• Su base ibrida, quando combinano due o più argomenti diversi.

La distanza cognitiva esistente tra l’immagine della marca e la configurazione del profilo ideale espresso dal consumare costituisce una preziosa informazione per il management. Una metodologia spesso utilizzata ai fini della misurazione è quella proposta da Jacoby e Chestnut, finalizzata a classificare le marche alternative in base a una scala di preferenza. Secondo la valutazione dei clienti si determinano poi tre aree di posizionamento: quella di accettazione, quella di comportamento neutrale e quella di rifiuto. Maggiore è area cognitiva tra accettazione e rifiuto con riferimento a singolo consumatore maggiore si configura il grado di preferenza. Per comprendere come avviene la rilevazione del posizionamento serve soffermarsi sul alcune delle principali metodologie adottate per la rilevazione del profilo di immagine. Metodologie divise in due categorie: quelle che si fondano sugli attributi che compongono l’offerta (attribute-based, 1), e quelle che si basano su valutazioni sintetiche (non-attribute based, 2).

1. Le attribute-based si basano sulla valutazione espressa dal consumatore con riferimento a una serie di caratteristiche dell’offerta predeterminate. Per rilevare i giudizi si usano diversi tipi di scale di valutazione:

- Unipolari: finalizzate a definire la quantità di un certo attributo che viene offerto da una determinata marca;- Stapel scale: tipi di scale che si propongono di definire il profilo di immagine di una marca in base alla valutazione dei consumatori riferite ai singoli attributi su una scala numerata;- Differenziale semantico: rappresenta una sorta di Stapel scale, ma ti tipo bipolare, perchè al consumatore viene chiesto di esprimere un giudizio tra due opposte modalità con cui può manifestarsi un attributo;

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- Likert scale: tipi di scale che rappresentano una modalità indiretta per rilevare le percezioni dei consumatori, fondata sulla richiesta di giudizio di accordo/disaccordo rispetto ad alcune affermazioni.

Come si nota, i singoli attributi per rilevare i dei sono pre-determinati dal ricercatore. Procedendo un questo modo possono dunque venir trascurati alcuni attributi rilevanti ai fini delle scelte dell’acquirente. Così si può decidere di effettuare ricerche più rigorose, spesso in alcuni istituti di ricerca condotte mediante sistemi di content analysis.

2. Le non-attribute based prevedono la rilevazione presso la domanda di una valutazione globale, che prescinde dal giudizio relativo ai singoli attributi mediante un naturale processo di sintesi cognitiva, nella valutazione overall del consumatore. Tali metodologie sono utili nei casi in cui risulti arduo identificare gli attributi alla base dell’immagine. La tecnica più comune e più semplice tra le modalità di rilevazione è quella che si propone di rilevare rispettivamente il prodotto maggiormente preferito e quello meno gradito dal consumatore, in relazione al suo profilo socio-demografico. Incrociando così i dati identificativi della clientela con le valutazioni che essa esprime è possibile rilevare i lineamenti del profilo d’immagine.

Altre metodologie più articolare sono la Multidimensional Scaling (MDS), che si propone di rilevare i giudizi sintetici del consumatore, basata sulla valutazione del grado di similitudine esistente tra le diverse marche; o anche la open-ended question, metodologia di valutazione che si fonda su questionari a domande semi-aperte; o ancora il laddering, tipologia di tecnica destrutturata per la rilevazione dell’immagine. La complessità di quest’ultima richiede l’intervento di intervistatori esperti che, con tecniche destrutturate, cercano di scoprire i motivi che inducono un soggetto a preferire un certo prodotto o una categoria di punti vendita rispetto ad altre.

Un’ultima area rilevante ai fini della rilevazione del posizionamento si riferisce alla misurazione della customer satisfaction e della fiducia riposta dalla domanda nell’impresa. La customer satisfaction viene normalmente definita come la capacità dell’impresa di offrire prodotti e servizi in linea con le aspettative della domanda. Un consumatore soddisfatto è colui che sperimenta valutazioni post acquisto in merito al prodotto in linea o addirittura superiori rispetto alle aspettative. Per quantificare il livello di soddisfazione vengono adottate numerose modalità di ricerca. Uno degli iter logici percorribili è:

1. Ricostruzione dei nessi attributi-benefici;2. Costruzione della mappa delle percezioni;3. Costruzione della mappa delle preferenze e individuazione della posizione occupata nello

spazio percettivo dal profilo d’offerta ideale per il cliente;4. Sovrapposizione delle due mappe;5. Quantificazione del gap di valore, pari alla distanza citata.

PRODOTTI E PREZZI

L’insieme dei prodotti offerti dall’impresa al mercato è definito come assortimento (raro che impresa si presenti sul mercato con un unico prodotto). L’impresa industriale offre al mercato una varietà di prodotti. La decisione in termine di politica di prodotto viene assunta a tre livelli di organizzazione:

• Quello del singolo articolo, ovvero l’unità elementare dell’assortimento;• Quello di linea di prodotto, ovvero un gruppo di articoli caratterizzato da affinità di utilizzo etc;• Quello dell’assortimento complessivo (product mix), che rappresenta l’insieme dei prodotti offerti

da un’impresa o da una sua singola divisione o unità di affari.

Una volta definite le componenti, è possibile classificare l’assortimento di un’impresa in fase a due dimensioni: l’ampiezza, che si riferisce alla numerosità delle linee di prodotto offerte; e la profondità, che riguarda la numerosità degli articoli che, in media, compongono ciascuna linea di prodotto. La decisione circa l’ampiezza dell’assortimento costituisce una delle aree chiave che

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definiscono la politica di prodotto e le strategie di brand extension. Una seconda scelta è quella che riguarda la varietà da offrire nell’ambito di ciascuna linea di prodotto, ovvero decidere grado di profondità dell’assortimento. Decisione che dipende da fattori quali:

• L’articolazione dei bisogni della domanda; • L’intensità della pressione competitiva;• Il comportamento dei concorrenti; • Gli obiettivi dell’impresa

L’offerta di assortimenti ampi risponde anche all’orientamento della domanda, che tende a preferire un unico fornitore per soddisfare una serie di bisogni tra loro connessi, fenomeno chiamato integrazione di grappoli di bisogni. Le modalità che le imprese adottano per fronteggiare queste esigenze sono: l’allargamento dell’assortimento a prodotti complementari; e l’offerta di pacchetti integrati di prodotti e servizi. L’attività di commercializzazione di questi assortimenti combinati è detta bundling. Una seconda possibilità è invece costituita dall’offrire un prodotto standard per ciascuna linea, fatto che riduce i costi di produzione e perseguibile quando la varietà dell’offerta non genera apprezzabili utilità aggiuntive per il consumatore.

Nell’ambito delle decisioni relative all’assortimento grande rilevanza ha la scelta del tipo di marchio con cui proporre al mercato la gamma offerta. Le alternative più comuni sono rappresentate da:

• Famiglia di marche: soluzione detta anche branded house, consiste nell’offrire tutte le linee di prodotti comprese nell’assortimento aziendale con un unico marchio;

• Marchi separati: detta house of brands, consiste nell’associare a prodotti differenti marchi diversi, opzione spesso utilizzata per i beni di largo consumo (Nestle -> Buitoni, Perugina, Nescafe etc).

• Marchio ombrello: alternativa intermedia, consiste nell’associare a ciascuna linea, caratterizzata da un proprio marchio, un ulteriore brand comune, distintivo dell’impresa.

Per determinare la performance reddituale e competitiva dei prodotti e delle linee dell’assortimento è opportuno ricorrere all’analisi del portafoglio prodotti. Serve a monitorare, nel tempo, la posizione competitiva e i risultati di ciascun prodotto. A questo scopo vengono utilizzate le matrici di portafoglio prodotti, che si propongono di suddividere l’assortimento in diverse categorie, in base ai risultati e alle prospettive di mercato. In questo modo si riesce a valutare il bilanciamento o meno del portafoglio prodotti e di conseguenza l’opportunità di ridefinire l’assortimento. Con l’uso della Matrice BCG, si posizionano i vari prodotti su due dimensioni fondamentali: il tasso di sviluppo del mercato e la quota di mercato relativa. L’incrocio fra le due dimensioni permette di isolare quattro tipi di prodotti:

• Question mark: prodotti che si trovano generalmente in fase di introduzione, caratterizzati da ampie possibilità di crescita ma con quote di mercato relative ancora contenute;

• Star: i prodotti ideali, che si trovano al culmine della crescita con quote di mercato elevate e posizioni competitive dominanti.

• Cash cow: sono tipicamente le referenze che si trovano sin mercati maturi, con livello di crescita molto contenuti o nulli, che nel contempo possono generare però ingenti flussi finanziari.

• Dog: prodotti destinati all’uscita dal portafoglio prodotti, caratterizzati da mercati in declino e posizioni competitive marginali.

Come avviene la scelta dell’assortimento? Secondo una successione gerarchica di scelte, che parte da quelle relative dell’assortimento complessivo fino agli aspetti più operativi. Il primo passo (1) consiste nella scelta delle famiglie e delle categorie da commercializzare (valenza strategica). Dopo aver definito i limiti in termini di ampiezza dell’assortimento, la seconda fase (2) consiste nella scelta delle tipologie di prodotti per ciascuna linea. In particolare va definita la struttura dell’assortimento in termini di marche leader, lower o premium price (primi prezzi) e private. La terza fase (3) consiste nella scelta delle marche e delle referenze per ciascuna tipologia di prodotto, mossa che occorre per determinare anche il posizionamento del punto vendita, oltre a orientare le politiche di acquisto. La quarta e ultima scelta (4) concerne l’allocazione dello spazio espositivo per ciascuna referenza. Decisione presa in base a certi elementi:

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• Quantità di spazio espositivo disponibili presso le strutture di vendita dell’impresa commerciale;• La redditività lorda e la rotazione; due elementi spesso definiti mediante un indice sintetico;• La frequenza con cui si desidera rifornire le strutture espositive:

Una volta definito l’assortimento di prodotto, una delle principali attività dell’azienda commerciale è quella della sua manutenzione, ovvero l’eliminazione di referenze obsolete o caratterizzata da scarse performance. Le caratteristiche dell’impresa industriale, sono classificabili come segue:

• Condizioni economiche: prezzi d’acquisto dei prodotti, politiche di sconto, premi di fine anno, condizioni di pagamento etc;

• Servizio logistico: frequenza e puntualità delle consegne, dimensione dei carichi etc;• Politiche promozionali connesse al lancio: investimento in promozione e comunicazione;• Potenziale di vendita del nuovo prodotto;• Valore del prodotto nelle percezioni del consumatore;• Caratteristiche del produttore: tipi di relazioni esistenti tra distributore e produttore;• Considerazioni di natura competitiva.

Nell’attuale situazione c’è bisogno disperatamente di innovazione, unica cosa in grado di rilanciare i consumi e lo sviluppo delle imprese. L’attività innovativa è generalmente alla base della costituzione del vantaggio competitivo e consente alle imprese di conseguire quello stato di isolamento competitivo fondamentale ai fini della sopravvivenza.

• Tecnologia: primo parametro a cui rapportare il contenuto di novità di un prodotto/servizio;• Mercato: assumendo il mercato quale parametro di confronto per valutare il grado di novità del

prodotto, le categorizzazioni che ne derivano assumono configurazioni differenti. In questo senso un prodotto è nuovo se consente di soddisfare vecchi bisogni in modo nuovo o bisogni nuovi. Il grado di novità oscilla dai prodotti radicalmente nuovi, che creano nuove categorie nelle percezioni ddi clienti, a quelli riposizionati, che il cliente percepisce come distinti ma comunque all’interno di categorie di prodotto pre-esistenti.

• Bidimensionalità: fra tecnologia e mercato: un’impresa innovativa deve presidiare in modo opportuno la tecnologia a monte, il mercato a valle e svolgere quel fondamentale ruolo di medium di collegamento fra scienza e bisogni del cliente, sfruttando anche l’opportunità offerte da canali informativi e distributivi.

L’innovazione viene tradizionalmente interpretata come un processo da svolgersi seguendo un insieme di fasi sequenziali sotto il profilo temporale. Le più rilevanti:

• La creazione delle idee, basata su analisi risorse a disposizione dell’impresa e dell’ambiente di riferimento;

• La selezione delle idee, in cui le idee create vengono ridotte a set più limitato, sulla base della potenziale accettazione da parte del mercato;

• Lo sviluppo del prototipo, relativo alla creazione fisica del prototipo di prodotto o del servizio;• Lo sviluppo del prodotto, relativo alla creazione definitiva del prodotto, per poter verificare con

product test o market test la sua accettabilità e potenzialità;• Il lancio sul mercato, che normalmente prevede una fase di test finale del prodotto e un

eventuale fine tuning.

Parliamo ora di pricing. Come mai i prezzi variano così tanto per uno stesso prodotto? Un primo ordine di motivazioni è riconducibile al tema dei costi. Infatti per determinare il prezzo di un bene non si devono considerare solo i costi delle materie prime, ma anche quelli del personale, dell’affitto e della gestione di un locale. Tutte le volte che si introduce il tema del prezzo è necessario analizzare sempre tre aspetti:

• Considerare i costi totali di produzione del bene;• Valutare i prezzi praticati dalla concorrenza e verificare che siano allineati a quelli degli altri

competitor a parità di qualità;

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• Quantificare il valore creato per la domanda e il prezzo che il cliente è disponibile a riconoscersi per quel prodotto.

A) L’orientamento ai costi. Nel definire il prezzo la prima valutazione da compiere è solitamente quella relativa ai coti necessari per produrre prodotto/servizio. Nel valutare i costi bisogna considerare sia i costi variabili che quelli fissi. Tutte le volte in cui il costo rappresenta il riferimento per la definizione del prezzo di vendita, le metodologie adottate per fissare il prezzo tendono ad aggiungersi a un cosiddetto costo-base del prodotto, sufficiente a comprare tutti i costi non ricompresi nel costo-base e ad assicurare un certo livello di profitto (surplus).

B) L’orientamento alla concorrenza. Tale metodo è quello prevalentemente utilizzato in tutte quelle imprese che operazione in condizioni di mercato assai competitive. I metodi più spesso adottati sono:

• Il metodo della parità della concorrenza, che definisce una politica di prezzo simile a quella adottata dai principali concorrenti;

• Il metodo del discount price, che definisce un prezzo al di sotto della concorrenza;• Il metodo del premium price, che suggerisce la definizione di un prezzo più elevato giustificato

da un valore differente apportato dal prodotto al cliente.

C) L’orientamento alla domanda. Approccio che rappresenta l’orientamento prevalente nelle imprese marketing oriented, poiché assume il lavoro attribuito dal cliente all’offerta dell’azienda, Tale valore rappresenta il livello massimo di prezzo praticabile sul mercato. L’impresa dovrebbe costantemente verificare la coerenza della propria politica avendo come riferimento tutti e tre questi orientamenti:

• Sempre assicurarsi che il prezzo sia al di sopra dei costi necessari per produrre prodotto/servizio;

• Sempre necessario verificare che il prezzo sia compatibile con quello proposto dalla concorrenza;

• Opportuno verificare che prezzo sia coerente rispetto al valore percepito dalla domanda.

LA COMUNICAZIONE

Dopo aver definito il contenuto dell’offerta in termini di assortimento e prezzi, l’impresa può passare a comunicare e distribuire tale contenuto al mercato. La comunicazione dell’offerta al mercato può essere realizzata in vari modi e adottando diversi mezzi di comunicazione, dai più tradizionali fino alla rete digitale. Il principale target group che la comunicazione esterna aziendale intende raggiungere con il suo messaggio è rappresentato dalla domanda finale (consumatori) e dalla domanda intermedia (distributori): a loro di solito è destinato la maggior parte dell’investimento delle imprese. Il principale pubblico obiettivo della comunicazione interna è invece generalmente il personale e, principalmente, il personale periferico presente nei punti vendita. Altro target critico è rappresentato dai fornitori, che costituiscono categoria rilevante in termini di comunicazione dato che possono configurarsi non poche opportunità di integrazione della comunicazione e delle azioni di marketing dirette al mercato finale. Tra gli altri destinatari ci sono la pubblica amministrazione locale e i concorrenti.

Tra le modalità di esposizione delle imprese per comunicare al proprio mercato, le più utilizzate sono la pubblicità, la promozione e le numero forme di comunicazione sul punto vendita. La pubblicità è definita generalmente come una foca di comunicazione di massa a carattere persuasorio. Si distingue dalle altre forme forme di comunicazione per vari elementi:

• Tipologia mezzi impiegati (generalmente id massa); • Intento persuasivo;• Onerosità per l’impresa, sostiene tutti i costi; • Fonte del messaggio (individuabile dell’impresa).

Con l’obiettivo di fornire una panoramica non esaustiva delle diverse forme di pubblicità, è utile classificarne le tipologie in base al contenuto del messaggio inviato al mercato:

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• Pubblicità istituzionale: si concentra sull’obiettivo di comunicare l’impresa, la sua immagine complessiva, senza riferimento a marche dei prodotti;

• Pubblicità di prodotto: si propone di comunicare le caratteristiche, contenuti e performance di uno specifico prodotto o marca;

• Pubblicità comparativa: prodotto confrontato con prodotti concorrenti;• Pubblicità di concorsi: comunicati commerciali che hanno come contenuto principale del

messaggio azioni promozionali a premio (concorsi, raccolte bollini etc);• Pubblicità promozionale: si caratterizza per messaggi centrati su promozioni di prezzo;• Pubblicità a tema: ha come contenuto principale un particolare evento o periodo (Natale) o un

tema a cui è associata un’azione promozionale;• Pubblicità abbinata: prevede l’associazione di due o più marchi, che veicolano come contenuto

del loro messaggio sia le specificità dell’insegna commerciale sia quelle della marca di una o più aziende industriali;

• Pubblicità collettiva: realizzata da associazioni di categoria o consorzi d’imprese con l’obiettivo di sviluppare i consumi di una categoria di prodotti.

Per stabilire le modalità e i canali più impattanti e poi veicolare il contenuto dei messaggi pubblicitari si segue un processo che parte dalla definizione della strategia di comunicazione. questa viene generalmente tradotta dall’impresa del cosiddetto brief, un documento che descrive nel complesso la politica pubblicitaria dell’azienda e i suoi obiettivi. Il brief viene realizzato per stabilire i paletti fondamentali entro cui l’agenzia di pubblicità dovrà muoversi evitando che la vena creativa dei pubblicitari prenda il sopravvento sugli obiettivi aziendali. Il brief risponde ai seguenti quesiti:

• A chi comunicare (target); • Che cosa comunicare (fondamentali contenuti nel messaggio);• Come comunicare (modalità adottate per veicolare mess); • Con quali canali.

In base a questi elementi l’agenzia di pubblicità è in grado di progettare il messaggio pubblicitario più efficace e impattante. Il messaggio può far riferimento ai suoi quattro componenti fondamentali:

• La promessa di base (o beneficio principale): l’elemento centrale del messaggio che l’impresa intende indirizzare al pubblico; può essere rappresentato da elementi concreti o astratti.

• La reason why: ovvero come la marca riesce a sostenere tangibilmente e rendere credibile la sua promessa di base.

• La supporting evidence: cioè l’insieme di tutti quei contenuti funzionali a rinforzare e supportare l’attendibilità della promessa o della reason why.

• Il tone of the voice: racchiude la modalità di presentazione di benefici e degli argomenti di sostegno in termini di linguaggio, stile etc.

Una volta avviata la progettazione del messaggio, si passa alla progettazione della strategia media, che si propone di stabilire il mix e l’intensità dei canali di comunicazione con cui il messaggio verrà veicolato al target group. Si propone pertanto di selezionare i mezzi di comunicazione più idonei, con l’obiettivo di ottimizzare l’investimento dell’azienda. Si pone i seguenti obiettivi:

• Selezionare mezzi di comunicazione;• Scegliere i singoli veicoli dentro il mezzo: se si optasse per la stampa, si andrebbe a capire il

giornale migliore a seconda del pubblico etc;• Definizione delle più efficaci modalità di distribuzione temporale e spaziale dei messaggi.

Le promozioni, pur presentandosi sotto forma di tecniche molto differenziate tra loro, possono essere definite in generale come azioni di marketing consistenti nella temporanea offerta di un vantaggio a un definito gruppo di destinatari. Le promozioni sono suddivisibili in:

• Promozioni di prezzo (cut price): propongono uno sconto pari almeno al 10% del listino;

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• Raccolte punti: promozioni continuative, che non si esauriscono e prevedono l’assegnazione di un beneficio o premio di valore proporzionale ai punti raccolti;

• Omaggi o regali immediati: prevedono per ogni acquisto un regalo che può essere presente dentro (in-pack gift) o fuori (out-of-pack gift), modificando così il packaging.

• Concorsi e lotterie; • Coupon; • Sampling (offerta di un campione); • Promozioni in-store.Altri strumenti di comunicazione esterna:

• Direct marketing: rappresenta la modalità di comunicazione diretta al singolo cliente tramite diverse modalità: postale, email etc. Con questa è possibile misurare con precisione il ritorno della comunicazione, dopo l’invio di newsletter personalizzate e materiale promozionale ai consumatori;

• Sponsorizzazioni;• Relazioni pubbliche;

LA DISTRIBUZIONE

Il cambiamento che si è verificato nel settore commerciale, insieme all’evoluzione che ha caratterizzato le relazioni tra industria e distribuzione, rappresentano gli elementi alla base di una radicale trasformazione delle politiche di canale. Nei sistemi competitivi più evoluti la relazione non è più di tipo unilaterale e il controllo della distribuzione è sfuggito dalla logica del marketing mix industriale. Il distributore rappresenta dunque un cliente da attrarre, soddisfare e gestire in modo pro-attivo. Esso non acquista solo il prodotto, ma diventa responsabile anche della sua promozione, posizionamento a scaffale e commercializzazione. Le decisioni relative ai canali distributivi interessante essenzialmente tre aree, che costituiscono anche tre step evolutivi: l’architettura generale dei canali distributivi (1); la gestione delle relazioni distributive in una prospettiva di trade marketing (2); la progettazione di partnership per la co-generazione di valore (3).

Le scelte in merito all’architettura dei canali riguardano prima di tutto la decisione tra l’attivazione di un canale diretto o indiretto. Questi canali possono convivere, e nel caso in cui si opti per il secondo è necessario definire anche una serie di aspetti riferiti alla dimensione orizzontale e verticale di ciascun canale. Va stabilita relativamente alla dimensione verticale: la quantità degli stadi di intermediazione (1); e il livello d’integrazione contrattuale del canale (2). Per la dimensione orizzontale, invece: varietà e tipologia dei canali e degli sbocchi più opportuni; e numerosità e tipologia degli intermediari commerciali per ciascun sbocco distributivo.

Le alternative fra cui un’impresa può scegliere sono essenzialmente il canale diretto e il canale indiretto.

• Diretto: si prevede un unico stadio di intermediazione con passaggio diretto dalla proprietà del bene dal produttore al consumatore. È una scelta molto impegnativa per l’impresa, perchè costi e investimenti non possono garantire significativi livelli di capillarità. Questa è però idonea per beni complessi, connotati da un elevato coinvolgimento psicologico. Il canale di retto si manifesta sotto varie forme, la più nota è quella di Apple, che commercializza il 50% dei propri prodotti tramite il canale Apple Store. O ancora esempi sono Avon e Olio Carli, che producono beni da distribuire door to door.

• Indiretto: cane per il quale è prevista l’intermediazione di un’impresa commerciale. Può manifestarsi sotto varie forme:

- Il canale breve prevede la presenza di un singolo intermediario, grossista o dettagliante. Richiede costi ingenti, ma nettamente inferiori al canale diretto. - Il canale lungo prevede la presenza di un numero maggiore di intermediari, con tre o più passaggi di proprietà del bene. Costi minori rispetto al canale breve ma è più sicuro, anche se ha meno possibilità di profitto. Con il lungo viene a crescere per l’impresa il rischio connesso alla difficoltà di controllare il prodotto e le politiche commerciali dei brand sui mercati finali.

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Resta comunque aperta la possibilità di utilizzare una multicanalità, ma è opportuno gestirla con attenzione per i suoi conflitti con le diverse categorie. Un eccessivo conflitto fra canali determina infatti ripercussioni negative sulle performance delle imprese che appartengono al canale.

Rispetto alla scelta del tipo d’integrazione tra i canali, seguendo i principi della teoria dei costi transizionali, si configurano tre alternative:

• Integrazione proprietaria: l’impresa controlla direttamente la funzione di intermediazione. È la più dispendiosa e rischiosa dal punto di vista economico.

• Integrazione contrattuale: tramite accordi di distribuzione in esclusiva contratti di franchising. Permettono di ottenere un adeguato controllo dei mercati finali con investimenti più contenuti rispetto alla rete diretta propria. Il franchising è una formula contrattuale che permette di sviluppare velocemente reti anche molto estese e capillari.

• Arm’s Length: può manifestarsi con un controllo unilaterale da parte di uno dei membri del canale, configurando pertanto un cane controllato oppure una situazione di canale individualistico.

Ultimo tema di grande rilievo nell’ambito delle politiche di mercato è quello relativo agli approcci di marketing adottati per gestire la relazione con gli intermediari commerciali. Classicamente si distinguono politiche distributive push e pull:

• Politiche push: il driver del prodotto è rappresentato dal sell-in (flusso di acquisto in entrata presso il distributore) e la capacità degli investimenti di trade marketing sono quelli che condizionano il sell-out (flusso di vendita in uscita dal distributore verso cliente finale). Sarà dunque l’intermediario a “spingere” le vendite del prodotto sui mercati a valle

• Politiche pull: la chiave di volta del marketing è rappresentata dagli investimenti sui mercati finali (consumer marketing). In questo caso è il sell-out a determinare il sell-in. La richiesta del prodotto viene infatti stimolata direttamente dal cliente finale che richiede il prodotto al suo intermediario di fiducia.

L’evoluzione subita dalle imprese commerciali sul piano della capacità di gestione della relazione con il consumatore finale ha ridotto la capacità di controllo dell’industria su tutti gli elementi di marketing. Emerge così l’esigenza di coordinare politiche di mercato attuate dal canale per rendere compatibile le azioni svolte dai produttori e con quelle dei distributori. Il trade marketing rappresenta l’approccio gestionale cheti propone di contribuire all’efficacia dell’azione di marketing aziendale attraverso il completo soddisfacimento delle specifiche esigenze dei clienti commerciali. Per trade marketing si intende l’insieme di strategie e attività di marketing specifiche attraverso le quali le imprese produttrici tendono a pianificare e gestire i loro rapporti con le imprese distributrici. Il TM rappresenta un processo decisionale basato sul concetto di cliente e articolato in 4 step:

1. Approfondire i processi distributivi, le esigenze della domanda intermedia e le dinamiche competitive che si verificano fra le imprese commerciali. È il momento analitico del trade marketing;

2. Momento strategico, volto a pianificare le attività rispetto ai singoli canali/clienti; definisce il posizionamento ricercato presso il trade e sui mercati finali;

3. Momento operativo-gestionale, riguarda la definizione di politiche di mix, riferite a decisioni di assortimento etc.

4. Momento di controllo, verifica dei risultati delle singoli azioni commerciali nonché monitoraggio costante delle performance distributive.

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