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MARKETING PROGREDITO Stefania Aiello appunti

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MARKETING

PROGREDITO

Stefania Aiello

→ appunti

Le discipline economico-aziendali, tra cui il marketing, si evolvono. In particolare il marketing,

prima di essere una disciplina aziendale, è una scienza umanistica, quindi non una scienza

esatta fatta solo di numeri, in cui vi è un‟interazione tra diversi attori:

→ approccio critico: capacità critica costruttiva.

In tale sistema mancano le protagoniste degli ultimi tempi, le quali sono le società di

consulenza, le quali hanno il compito di essere degli osservatori che raccolgono i dati, e tra i

diversi dati raccolti fanno delle osservazioni e stilano delle anali di mercato.

Definizioni di marketing

Marketing =

insieme di processi volti all‟identificazione e alla soddisfazione dei bisogni sociali e

umani;

funzione organizzativa per creare, comunicare e trasmettere valore ai clienti e per

gestire le relazioni con essi, in modo che possa risultare vantaggioso per

l‟organizzazione e per i suoi stakeholder;

obiettivo del marketing è capire, conoscere il cliente così bene in modo tale che il

prodotto, il servizio gli vada a pennello, e quindi in grado di vendersi da solo, il cliente è

già pronto ad acquistare.

Per Kotler marketing vuol dire significare il giusto prodotto.

studiosi

imprese ambiente

studenti

atteggiamento di

adattamento, è

l‟atteggiamento con cui si

dovrebbe porre lo studioso più

che di adattamento dovrebbe

essere quello che punta allo

sviluppo;

prospettiva strategica di

adattamento all‟ambiente;

partecipazione attiva e/o

passiva degli studenti al sistema

→ ricettori.

l‟impresa dovrebbe avere un

atteggiamento anticipatorio, per lo

sviluppo della stessa;

Differenza tra:

marketing strategico: basato sulle 5 forze competitive di

Porter: concorrenti diretti, fornitori, clienti, potenziali

entranti, produttori di beni sostitutivi;

marketing operativo: basato sulle 4 p del marketing mix:

product, place, price e promotion.

In base a tali definizioni il marketing è tutto focalizzato sul cliente (anche quello potenziale)

al fine di captare i bisogni (anche quelli inespressi). Ancora da queste affermazioni si evince

che esso risulti solo a valle del processo decisionale (più che altro nella distribuzione) → ruolo

sottovalutato del marketing.

Storia

Il marketing si sviluppa negli USA dopo la II rivoluzione industriale, subito in seguito alla

grande crisi degli anni ‟30, quando i processi produttivi cominciavano a necessitare dei

processi decisionali. Infatti si operava in un contesto storico particolare. In seguito si parla di

ordine neoliberale: il contesto liberale è un ambiente in cui le istituzioni erano date, con delle

regole le quali vanno rispettate (si tratta di una libertà condizionata). In tale ambiente si sono

sviluppate le discipline economico-aziendali studiate ancora attualmente: occorre considerare

però che allora le imprese operavano in un contesto nazionale. Dagli anni ‟70 in avanti, infatti,

le organizzazioni hanno cominciato a internazionalizzarsi, dando avvio a quella che oggi viene

denominata globalizzazione. In tal modo si sono spezzati gli equilibri della ricchezza Stato-

mercato: l‟impresa ha considerato come suo mercato di riferimento il mondo, sfruttando così

gli svantaggi altrui (ma in tal modo non vi è alcuno sviluppo). Anche la rivoluzione informatica è

stata protagonista assoluta degli ultimi tempi, infatti essa ha ampliato ulteriormente il

concetto di globalizzazione.

Problema: sì a un mercato globale, ma non vi è ancora un governo globale: ciò non è facile, si

pensi al caso della UE, nata con l‟intento di sviluppare un sistema monetario europeo da

contrapporsi a quello americano. Nel contesto attuale si parla di liberismo: si tratta di una

sorta di giungla in cui non vi sono delle regole, proprio per il fatto che non esiste un‟istituzione

o un ordine economico che imposti tali regole. Quindi il marketing viene definito in un

determinato modo, e tale modo è figlio dell‟ottica liberista: in pratica ritrovandosi in fase di

crisi non vi è più un ordine economico in grado di governare. L‟obiettivo è quello di tentare di

ricomporre il sistema per trovare la soluzione e gli strumenti di marketing più adatti (quelli

finora elencati dalle dottrine del marketing sono obsoleti, questo perché sono stati studiati in

un contesto di verso da quello attuale).

Ordine liberale di Smith ↓

Ordine neo-liberale di Roosvelt

Smith fu il padre del pensiero liberale. Per lo studioso, infatti, il mercato era un luogo in cui

si generava valore, e in generale non esistevano problemi, infatti il soggetto economico

operava all‟interno dello Stato che dettava le regole. Dall‟altro lato le imprese private erano

atte a creare ricchezza.

Nel 1929 si è verificata la grande crisi, la quale è stata attribuita a politiche di lasseiz-faire.

Roosvelt invento, invece, la logica neo-liberale dell’impresa pubblica, secondo la quale il

soggetto pubblico, oltre che regolatore divenne anche soggetto economico (durante gli anni

‟50) → l‟impresa privata e pubblica operano all‟interno di regole fissate dallo Stato.

Da qui si sviluppa il marketing: il mercato è un luogo di sviluppo regolato da istituzioni

pubbliche in cui opera l‟impresa. Quindi il compito del marketing è quello di aiutare le imprese

a crescere inserendosi in tale contesto storico (anni ‟50-‟60), sviluppando determinati

strumenti. Il marketing management, negli anni ‟60 era fondato su un approccio transazionale,

in cui la transazione veniva considerata come uno scambio in cui il potere contrattuale tendeva

a essere in mano all‟offerta, la quale era caratterizzata da poca concorrenza visto che

nasceva da una logica più distributiva.

A questo punto viene coniato il marketing mix, secondo cui:

domanda > offerta = tutto viene venduto → problemi in termini di efficienza anche

distributiva, problema di arrivare per primi;

domanda < offerta = il consumatore ha maggiore potere contrattuale (da parte della

domanda) → problemi di differenziazione, ricerca della qualità.

Tali due considerazioni giustificano le due strategie di Porter (anni ‟80): la leadership di costo

e la differenziazione (attualmente le due strategie sono utilizzate in maniera complementare,

mediante lo strumento della catena del valore si possono individuare le attività in cui è

possibile raggiungere dei vantaggi interni di costo) → evoluzione della relazione domanda-

offerta, ciclo di vita del prodotto:

tempo

vendite

introduzione

promotion

sviluppo

distribuzione

maturità prezzo

declino

prodotto

A seconda della fase in cui ci si trova vengono azionate leve del marketing mix diverse.

Il marketing nasce in un‟epoca in cui erano le politiche distributive, quelle che dovevano

essere soddisfatte. Negli anni ‟70 l‟imprenditore agisce in modo da adattarsi ai mutamenti

esterni e il contributo di marketing è un contributo di breve termine (ultimamente ciò accade

per tutte le politiche inerenti le imprese). La logica ai tempi era troppo centrata sulla

produzione di massa e sui prodotti tangibili, inoltre vi era una scarsa integrazione del

marketing rispetto alla strategia aziendale, e si poneva poca attenzione al fattore innovazione

→ così nascono i problemi e le esigenze di sviluppo di nuovi approcci (dagli anni ‟70 in poi).

Contemporaneamente cambia il contesto economico, infatti proprio negli anni ‟70 si cominciano

a porre le basi della globalizzazione, la quale spezza l‟equilibrio impresa-mercato:

ordine liberale ↓

ordine liberista: contesto diverso da quello precedente, sostanzialmente senza regole.

All‟interno dell‟ordine liberista, si è verificata una globalizzazione senza mondializzazione: il

marketing in quest‟ottica è andato un po‟ perduto.

Globalizzazione = allargamento dei mercati.

Mondializzazione = non vi è la presenza di un Governo che regolamenta il mondo, manca un

ordine politico-economico che regola l‟economia globale.

Si può parlare allora di III rivoluzione industriale (epoca attuale), la quale ha modificato

profondamente il contesto economico-sociale. Caratteristica: si dà un grande peso

all‟individuale (l‟approccio è meno sociale), al singolo soggetto → fase individualistica: focus

sul consumatore individuale che finisce per essere posto al centro delle strategie, perdendo il

focus sull‟impresa.

Mass customization = personalizzazione di massa, offrendo un prodotto percepito come unico

dal consumatore che riesce a sfruttare l‟efficienza derivante dalla produzione di massa.

L‟ottica del marketing relazionale, tipico della III rivoluzione industriale (= postmodernità)

(= postmodernità) → piramide rovesciata, in cui viene posto al centro dell‟attenzione il

cliente; essa è così rappresentata:

clienti

personale di contatto

management

intermedio

top

management

Obiettivo del marketing: rimettere al centro l‟impresa, infatti il marketing sta attraversando

una crisi profonda, soprattutto si tratta di una crisi reputazionale. Kotler (considerato il

guru del marketing) sostiene che le politiche di marketing si limitino a influenzare i bisogni, e

che esse non possano creare il bisogno dell‟individuo di sentire la necessità di appartenere a

un determinato status.

Strategie

Le strategie sono le seguenti:

Il marketing si dovrebbe collocare ai vertici per poter avere valenza strategica.

strategia

di

corporate

strategie

competitive, di

business

strategie funzionali

strategie che corrispondono

alla logica del marketing mix

appartengono alle

strategie funzionali, le

strategie di marketing

che stanno a valle e

che dipendono da tutto

il resto.

Declino del marketing

Il declino del marketing può essere così suddiviso:

Nell‟individuazione dei bisogni nel marketing viene utilizzata la scala dei bisogni di Maslow

del 1954, la quale è così rappresentata:

Tale scala è uno strumento utile per definire la strategia di marketing, la quale deve adattarsi

in funzione dei bisogni che il prodotto è chiamato a soddisfare. La domanda è elastica per i

beni primari. Attualmente però sono cambiati i modelli di consumo:

per i bisogni fisiologici → strategie di vantaggio di costo; la leva su cui agire è il

prezzo;

per gli altri bisogni → strategie di differenziazione.

declino del marketing, motivi:

1. si parla di declino del marketing

perché per il ciclo di vita del

prodotto è prevista la fase della

maturità come quella in cui si gioca

sul prezzo e sulla modificazione del

prodotto cosicché si avrà a

disposizione non solo i consumatori,

ma anche il mantenimento del

prodotto;

2. i manager del marketing sono

lontani dai processi decisionali;

3. crisi reputazionale del marketing.

l‟approccio strategico del

marketing può essere visto in una

logica adattativa. L‟impresa

influenza l‟ambiente con la capacità

di innovazione (non sempre

collegata alla creazione/nascita dei

bisogni) e il fenomeno della

globalizzazione.

bisogni di autorealizzazione:

sentirsi appagati di sé stessi

bisogni di riconoscimento e di rendimento;

bisogni di appartenenza e amore:

riconoscimento da parte della società a cui si appartiene;

bisogni di sicurezza;

bisogni primari.

Bisogni del sè

Bisogni

sociali

Bisogni fisiologici

Spesso le imprese, attraverso la pubblicità, cercano di rafforzare il proprio marchio e

utilizzano strategie di differenziazione (come ad es. nel settore agroalimentare). In effetti

anche a livello attuale risulta utile la scala di Maslow, ma essa non deve più essere usata nella

logica degli anni ‟60, deve essere quindi riattualizzata.

Distinzione di beni

E‟ utile distinguere tra beni:

beni banali: beni non durevoli, consumati di frequente e di basso valore unitario →

strategia di costo;

beni problematici: beni durevoli o semidurevoli, di minore frequenza di acquisto, i quali

necessitano di informazioni e caratterizzati da un maggior contenuto di

specializzazione → strategia di differenziazione.

Questa distinzione si basa sulla scala di Maslow mediante l‟applicazione automatica di

soddisfacimento dei bisogni (ad es. il settore sanitario).

Il marketing è diventato per le imprese quasi solo una disciplina per affrontare il mondo

esterno; esso deve comprendere il loro punto di vista e il contesto in cui le stesse operano e

lavorano secondo una logica culturale-strategica, secondo la quale:

analisi di mercato ↓

programmazione dei prodotti ↓

promozione della domanda ↓

esecuzione della vendita.

Si possono utilizzare due distinzioni per individuare il mercato in cui l‟impresa va a operare:

consumatore finale

↓ business to customer, Btc

↓ mercati dei beni di consumo

cliente-impresa ↓

business to business, Btb ↓

mercati dei beni industriali

→ relazione con il consumatore finale → relazione con l’impresa-cliente e il

consumatore finale

Vi è meno asimmetria informativa perché i

prodotti venduti sono caratterizzati da maggiore

specializzazione, quindi generatori di maggior

potere contrattuale.

Tale schema serve per capire il potere che il consumatore ha sul prodotto.

beni tangibili (fisici)

↓ mercato dei beni

servizi (effetto dell‟evoluzione della società) ↓

mercato dei servizi

Si parla, in tal caso, di marketing dei servizi, e

non si tratta di un processo di produzione.

Atteggiamento

adattativo

La produzione è contemporanea al servizio; si

organizza tale sistema produttivo erogando

appunto il servizio, nel momento stesso in cui

viene erogato, quindi il consumatore è legato alla

produzione dello stesso → marketing dei servizi.

Il mercato dei beni industriali, Btb

I prodotti distribuiti su tale mercato sono i seguenti:

output destinato al consumatore finale;

output utilizzato dall‟impresa nei propri processi di trasformazione (il consumatore

interagisce nel processo);

output utilizzato dall‟impresa nei propri processi di trasformazione (il consumatore non

interagisce nel processo).

Output destinato al consumatore finale

L‟interlocutore dell‟impresa industriale è un‟impresa commerciale (ad es. di distribuzione). La

strategia di marketing deve essere formulata dall‟industria considerando:

la relazione con l‟impresa commerciale → logica verticale;

la relazione con le imprese concorrenti → logica orizzontale;

la relazione con il consumatore finale → logica orizzontale.

Specificità dei mercati industriali

I mercati industriali sono caratterizzati da:

1. pochi acquirenti di grandi

dimensioni:

vi è un minor giro di clienti,

anche se ognuno di essi è di

grandi dimensioni, soprattutto

rispetto a quelli del mercato dei

beni di consumo;

2. stretta relazione fornitore-

cliente:

la base della clientela è più

piccola, ma con più elevata

importanza, e quindi di

conseguenza con più elevato

potere dei clienti. I fornitori

devono personalizzare l‟offerta

per adattarle meglio alle

esigenze delle aziende-clienti;

3. procedure di acquisto

professionalizzate:

i responsabili degli acquisti

garantiscono il rispetto di

determinate procedure e

requisiti;

4. più visite da parte dei fornitori: l‟impresa industriale non ha

alcun dato rispetto ai consumi

dei clienti, ma ha solo

disposizione il proprio fatturato.

Tali dati vengono così reperiti

da società apposite che si

occupano di tale aspetto,

acquistando i dati dalle imprese

della grande distribuzione (in

modo da conoscere le quote di

mercato);

5. domanda derivata: la domanda di beni industriali è

derivata dalla domanda dei beni

di consumo, per cui è necessario

monitorare anche i modelli di

acquisto dei consumatori finali;

6. domanda potenzialmente

inelastica:

la domanda di molti beni per le

imprese è inelastica, specie nel

breve periodo, perché i

produttori non hanno tempo di

effettuare rapidi cambiamenti

nelle scelte afferenti la

produzione;

7. domanda fluttuante: la domanda dei prodotti per le

imprese cresce tendenzialmente

in misura maggiore.

Ad es.: la GDO è la grande distribuzione, ossia il luogo in cui acquistano i consumatori finali,

mentre l‟HORECA rappresenta un canale distributivo presso il quale il prodotto viene

acquistato.

L‟impresa industriale è scollata dai beni di consumo perché

non è a contatto con i consumatori finali, e non conosce i dati

su di essi, ma li acquista dalla GDO.

L‟impresa industriale che si relaziona a un‟altra impresa per un bene destinato al consumatore

finale → caso dell‟intermediazione.

Rapporto tra industria e impresa di distribuzione

Industria (= domanda) ↓

distributore-intermediario ↓

cliente (= offerta).

Il rapporto tra domanda e offerta si spezza facendo sì che altri soggetti si inseriscano, come

ad es. un intermediario, un distributore, un‟impresa commerciale, ecc..

Canale distributivo = canale che collega il produttore al consumatore, caratteristiche:

quanti sono gli attori → logica orizzontale del settore: l‟insieme dei produttori che

producono dei prodotti tra di loro sostituibili per il consumatori (= concorrenza);

il numero dei passaggi → logica verticale della filiera produttiva: l‟insieme di imprese

che dalla produzione alla distribuzione producono un output finale che diventa l‟input di

imprese situate a valle della filiera;

la modalità organizzativa del canale.

A seconda del numero di attori si capisce se vi è concentrazione o meno (se la concentrazione

è alta, vi sono pochi operatori di offerta con un elevato potere contrattuale).

Il canale può essere di diversi tipi:

canale diretto: produttore → consumatore;

canale corto: produttore → dettagliante → consumatore;

canale lungo: produttore → grossista → dettagliante → consumatore.

Attualmente vi è la tendenza a tornare alla logica del canale diretto, nell‟ottica della strategia

di differenziazione.

Canale distributivo indipendente = quando tutti i soggetti sono economicamente autonomi.

Canale distributivo amministrato = un soggetto influenza le decisioni degli altri operatori (ad

es. la FIAT ha un influenza sugli altri attori della filiera, tipicamente su quelli della fornitura

di componentistica).

Canale distributivo contrattuale = usato molto dalle imprese di produzione per la

distribuzione dei loro prodotti.

Canale distributivo integrato = vi è la condivisione del soggetto economico che gestisce non

solo la produzione, ma anche la distribuzione (mediante l‟utilizzo di una strategia di

integrazione verticale). Si possono presentare due casi:

1. impresa a monte che si integra con quella a valle;

2. impresa a valle che si integra con quella a monte.

Occorre capire quanto potere contrattuale possiede il distributore, senza che questo sia

troppo orientato verso l‟industria di produzione (come si è sempre disposto nelle discipline

economiche → si sono modificati i rapporti tra i due soggetti, i quali sono maggiormente

dipendenti, a livello di grado di controllo, del distributore sul canale distributivo, e quindi il

produttore avrà costi più elevati). La visione del canale distributivo è cambiata:

insieme di singoli mercati indipendenti ↓

sistema di relazioni da governare

(in logica verticale) ↓

Interrelazione tra gli attori.

Escursus storico

Periodo storico: dal pdv della produzione: dal punto di vista della

distribuzione:

anni ‟60:

fedeltà alla marca,

sponsorizzata attraverso

massicce campagne pubblicitarie

→ brand loyalty;

la produzione è la funzione

dominante, e il produttore

rappresenta il leader che deve

vendere il più possibile,

mediante la massimizzazione

delle vendite;

la distribuzione risulta assai

frammentata;

anni ‟70:

si verifica una prima crisi con

conseguente calo della crescita

dei consumi → aumenta il potere

contrattuale del consumatore

(perché aumenta l‟offerta, ossia:

offerta > domanda), il quale

sviluppa una sua capacità di

valutazione autonoma;

vengono consolidate le strategie

di brand loyalty;

la distribuzione comincia a

organizzarsi, ma è ancora in

fase embrionale → avvio del

processo di crescita del potere

contrattuale della distribuzione;

anni ‟80:

anni di crescita (forzata) a

livello di reddito, di PIL;

processo organizzativo della

distribuzione in logica moderna,

così si spiazza la distribuzione

frammentata → strategie di

marketing adottate ad hoc per il

grosso vantaggio competitivo

posseduto, rispetto agli attori

della produzione. Tale vantaggio

deriva dal fatto di essere a

contatto con i consumatori;

sempre nel corso degli anni ‟80: l‟aumento del potere

contrattuale viene letto in

chiave di trade marketing (=

elaborato dall‟impresa di

produzione, e destinato per il

distributore, oltre che per il

cliente). Il produttore si pone il

problema di come relazionarsi

con il distributore;

il potere contrattuale dei

distributori aumenta, ma

diminuisce il loro numero e di

conseguenza la loro sostituibilità

da parte dei produttori. Oltre a

elaborare strategie di

marketing, quindi, essi

cominciano a imporre anche le

condizioni di acquisto ai

produttori;

anni ‟90: il settore distributivo risulta

maturo, come quello produttivo

→ aumenta così la concorrenza

all‟interno dei distributori,

infatti aumentano le strategie

competitive, le quali diventano

più aggressive tra i medesimi

distributori. La distribuzione si

concentra ulteriormente così da

erodere potere altrui → fase di

maturità distributiva.

Il tutto può essere sintetizzato nel successivo schema:

Con la rivoluzione contrattuale, avvenuta negli anni ‟70 in Italia, vi è un aumento contrattuale

da parte del distributore, il quale si trasforma da un‟organizzazione frammentata a una più

concentrata. Il sistema distributivo italiano si sviluppa più tardi, infatti, rispetto agli altri

paesi, e ciò ha fatto sì che abbia ritardato anche nell‟ottica della globalizzazione → mercato

distributivo italiano fragile: i distributori stranieri hanno maggior potere contrattuale, al

contrario quelli italiani non sono presenti all‟estero.

Le fasi della relazione industria-distribuzione sono le seguenti:

fase di leadership del grossista: alla prima metà del XX secolo, il grossista ha un

grande potere contrattuale, anche perché i dettaglianti sono tanti e frammentati. Egli

è quello che meglio conosce il mercato di vendita, e ha un ruolo d‟intermediazione che è

fondamentale;

fase di leadership dell’impresa industriale: alla seconda metà del XX secolo, sono

necessari degli investimenti produttivi massicci per far fronte al mercato di massa.

Occorre enfatizzare il ruolo della marca (= brand loyalty) all‟interno del mercato

perché gli investimenti produttivi rappresentano dei costi fissi, così è necessario

vendere il più possibile per raggiungere delle economie di scala. Ancora è necessario

potere

contrattuale del

distributore

debole

forte

potere contrattuale

del distributore

forte debole

leadership contesa,

conflittualità elevata,

sviluppo di partnership

contesto attuale

leadership del distributore →

relazione contrattuale

unidirezionale, sviluppo della

strategia a senso unico

anni „80

leadership del produttore

→ relazione contrattuale

unilaterale

anni „60

fase di transizione in cui

non vi è un leader →

relazione negoziale

anni „70

intraprendere strategie di marketing orientate al prodotto (= primo orientamento di

marketing per cui un‟impresa si focalizza sulle caratteristiche del prodotto). Problema:

vendere il prodotto. Il produttore mediante la pubblicità spiazza il grossista perché si

fa conoscere dal cliente (= cliente-distributore). Logica del sell-in = gli obiettivi

vengono fissati rispetto al distributore e non rispetto al consumatore. Il produttore fa

gravare i costi e i rischi del mercato commerciale sul distributore, erigendo delle

barriere all‟entrata sul mercato distributivo: per poter raggiungere livelli di redditività

accettabili, bisogna aumentare la propria dimensione, così da essere in grado di

sostenere elevati costi fissi. In tale fase, quindi, i distributori risultano deboli, ma allo

stesso tempo vengono spinti dai produttori a concentrarsi (così facendo aumentano la

propria dimensione).

Fasi dell‟approccio al marketing:

orientamento al prodotto: facendo marketing l‟impresa di concentra sulle

caratteristiche del prodotto per trovare le soluzioni organizzative migliori → porre

l‟accento sull‟efficienza (beni commodity che vanno a soddisfare un‟esigenza che prima

della loro produzione, non veniva soddisfatta). In tale frangente non si studia il

mercato, ma tutt‟al più la concorrenza;

orientamento al mercato: attenzione alle vendite, l‟impresa non può più permettersi di

pensare solo all‟efficienza, ma comincia a dipendere dal mercato attraverso azioni

push, in cui l‟impresa ha ancora l‟illusione di spingere le scelte dei consumatori

(indicatori di efficienza: output/input; indicatori di efficacia: output

programmato/output effettivamente prodotto-venduto, l‟impresa è efficace quando

raggiunge gli obiettivi);

orientamento al cliente: a volte tale orientamento è considerato uguale

all‟orientamento al mercato, ma in realtà l‟orientamento al cliente deve comprendere i

bisogni del medesimo cliente, producendo prodotti atto a soddisfarlo, mediante azioni

pull per attrarlo;

market-driven management: il mercato viene posto al centro del management, perciò

non si possono definire strategie senza conoscere le caratteristiche del mercato (sono

gli stessi passaggi dell‟approccio alla qualità). Tale approccio ha valorizzato il

marketing?

Leadership dell‟impresa industriale → marketing orientato al prodotto in cui vi è la

valorizzazione della marca; la pubblicità consente di aumentare le vendite in una logica di

economie di scale (agendo sull‟efficienza).

Leadership del distributore → negli anni ‟70 il distributore aumenta il suo potere di mercato

grazie alla spinta competitiva forte. La situazione economica cresce, e cambiano i modelli di

consumo. Cresce l‟importanza del valore edonistico del prodotto interno, in cui viene aggiunto

un contenuto di servizio al prodotto tangibile (ad es. i servizi post vendita abbinati a un

elettrodomestico). A fronte di tali cambiamenti il distributore assume un controllo sul

consumatore e si differenzia sfruttando il vantaggio competitivo, che è quello della vicinanza

al consumatore (conoscendolo meglio).

Partnership

Gli anni ‟90 sono caratterizzati da una maturità distributiva che comincia a svilupparsi da una

competizione tra loro perché si concentrano. I distributori si concentrano e aumenta la

conflittualità tra i distributori-consumatori. Di fronte alla forte conflittualità → strategia di

partnership per sviluppare delle sinergie, così a recuperare redditività → orientamento come

un insieme di operatori che devono agire in modo integrato. Quindi: passaggio:

insieme dei singoli mercati indipendenti → sistema di relazioni da governare.

La fase attuale è la fase della partnership, ma è ancora lontana dalla leadership in senso

assoluto, infatti è ancora alta la conflittualità.

Gli attori della distribuzione moderna sono rappresentati dalla grande distribuzione

organizzata, GDO: essa è composta da imprese rilevanti le quali gestiscono i propri punti

vendita. Anche la distribuzione organizzata, DO rappresenta un soggetto commerciale

composto di tante piccole imprese che si associano per mettere in comune la piena gestione

aziendale (vi sono diverse modalità di associazione) per la realizzazione di obiettivi specifici

comuni, come la centralizzazione degli acquisti. La DO è molto più frammentata rispetto la

GDO. Classificazione dei punti vendita:

ipermercati: più di 12.500 mq;

supermercati: 400-2500 mq;

libero servizio: 100-400 mq.

Vi sono anche i tradizionali, ossia quelle attività di dimensione sotto i 100 mq: essi restano

esclusi dalle indagini di mercato (tanto più vi sono punti vendita tradizionali, e tanto meno

veritiere risulteranno le statistiche sulle vendite).

Per conoscere la quota di mercato di un‟azienda si acquistano i dati primari di vendita

(mediante i codici a barre) i quali verranno rielaborati ad hoc.

Gli attori della distribuzione italiani risultano più deboli, soprattutto per quanto riguarda

l‟internazionalizzazione all‟estero: gli operatori esteri sono venuti a operare in Italia. Notevoli

sono anche le differenze evidenziate tra le aree all‟interno del nostro paese (ad es. tra nord e

sud, al sud è molto più presenta la distribuzione tradizionale).

Esempi della distribuzione moderna, oggetto di studi specifici, sono il discount, il cash &

carry, il self service, gli specialisti drug (come la vendita dei prodotti per la cura della

persona e della casa).

DO

Si tratta di imprese che sono originate da rapporti di collaborazione che operano nello stesso

business, o che operano nella stessa filiera produttiva (in logica verticale) → associazionismo

(nella GDO, invece, si tratta di vere e proprie imprese, e non di mere associazioni). Un esempio

di associazionismo orizzontale è il gruppo di acquisto, per acquisire appunto maggior potere

contrattuale nei confronti dei fornitori. Mentre un esempio di associazione verticale sono le

unioni volontarie. La DO è una tipicità italiana, si tratta di un processo di sviluppo a rete

finalizzato a ottenere quei vantaggi propri delle imprese di grandi dimensioni. Questo perché

la DO deve competere con la GDO, in modo da poter avvalersi dei medesimi vantaggi, i quali:

sostenere costi di acquisto più bassi, attraverso la centralizzazione degli acquisti: la

conseguenza sarà quella di riuscire a vendere a prezzi più bassi;

utilizzare la stessa insegna, così la DO ha la possibilità di presentarsi al consumatore

finale come lo stesso soggetto della GDO.

Gruppo di acquisto (logica orizzontale)

La struttura organizzativa è caratterizzata dalla presenza di una centrale, la quale ha una

funzione di coordinamento, e dalla presenza di uno o più centri di distribuzione. A valle,

invece, vi sono tanti punti vendita,le quali sono rappresentate dalle singole imprese, spesso si

tratta di dettaglianti associati. Il produttore fornisce ai centri di distribuzione, i quali a loro

volta riforniscono i vari punti vendita; tali centri di distribuzione, in realtà, sono nati come

magazzini volti a smistare la merce, attualmente offrono anche servizi aggiuntivi.

Unione volontaria

imprese che partecipano ai dati di

vendita (anche se a volte sono escluse

le imprese di libero servizio).

Struttura che nasce dai grossisti, anch‟essi forniti di una centrale (= centro di distribuzione

di proprietà del grossista). Si tratta di grandi magazzini in cui viene raccolta una grande

quantità di prodotti, i quali saranno poi distribuiti ai vari dettaglianti.

Il punto in comune tra il gruppo di acquisto e l‟unione volontaria è la centrale di acquisto

(tipica realtà italiana) e inoltre sono entrambi caratterizzati:

nati per aumentare il potere contrattuale dell‟acquirente;

man mano diventano sempre più importanti nel sistema distributivo, poiché offrono un

maggior coordinamento delle nuove formule distributive, un rafforzamento delle

marche e un controllo dei prezzi al consumo;

→ intermediari: soggetto che si colloca tra le aziende di produzione e i punti vendita (il 97%

degli acquisti passa attraverso tali centrali).

Supercentrali = si tratta di alleanze tra diverse centrali di acquisto (anche queste sono delle

tipicità italiane); non bastava allearsi con i centri di distribuzione, è stato necessario anche

collaborare con le altre centrali. Infatti, in precedenza, il sistema risultava estremamente

frammentato. La centrale italiana è la supercentrale della COOP.

Gli attori più importanti della GDO e della DO sono la Coop, la Conad, la Selex, l‟Auchan, l‟Esselunga e la Carrefour. Il cambiamento dell‟ambiente competitivo distributivo deriva dall‟aumento del suo potere

contrattuale → strumento principale: offerta di prodotti a marchio proprio ai consumatori

finali (apponendo sui prodotti, prima del produttore, il proprio marchio). Tale pratica è

denominata politica di private label, PL.

I distributori italiani, essendosi sviluppati più tardi di quelli esteri, fanno fatica a

intraprendere strategie di internazionalizzazione. I distributori, attuando le politiche di PL,

sfruttano un vantaggio di costo (rispetto al produttore), di risparmiare in termini di costi

sulla distribuzione, e in termini di pubblicità: tali politiche, infatti non solo consentono di

fissare prezzi inferiori, ma permettono anche di aumentare il volume di vendita (= il

fatturato). La PL usa anche una strategia di differenziazione sul prodotto al fine di

sponsorizzare il marchio del distributore. L‟Italia, anche in questo caso, resta piuttosto

indietro (sebbene anche nel bel paese le PL siano in crescita) rispetto agli altri paesi europei

(e non europei). Tra il marchio industriale, MI e le PI resistono, comunque meglio a un

contesto di crisi le PL (fatto importante considerata la fase di partnership in cui ci si trova

attualmente; la fase attuale è caratterizzata da un‟alta conflittualità, e da un contesto in cui

si aprono più spazi per eventuali collaborazioni). Laddove il nome venga percepito come molto

forte (soprattutto per quanto riguarda il MI viene fortemente percepito in termini

qualitativi), la PL rimane ancora debole (infatti agisce soprattutto sulla leva del prezzo). Al

contrario il MI risulta debole quando risulta troppo frammentato. Il distributore come

intermediario tra produttore e consumatore finale funge anche da garante dei prodotti

venduti.

Evoluzione delle PL

In origine le PL nascevano per offrire un prodotto standardizzato (della stessa qualità del

prodotto similare marchiato con un MI), ma a più basso prezzo → PL di I generazione. In

seguito i distributori hanno cominciato a entrare in determinate aree, offrendo prodotti a

maggior valore aggiunto (ad es. a contenuto tecnologico) → PL di II generazione,ad es. i

fornitori di benzina, di farmaci: la correlazione sta nel fatto di acquistare tali beni nel

momento in cui ci si rivolge al distributore. In alcuni paesi, in particolare, ci si trova di già in

Impresa di

produzione Centri di

distribuzione

Piattaforme

secondarie

distributive:

normal trade

(= commercio

tradizionale);

HORECA;

trade

marketing.

Iper

Super

Superette

Hard

discount

Consumatore

finale

Centri di

distribuzione

Attività

distributiva

fase di maturità, e quindi si cercano nuovi spazi per crescere: esempio è divenire da

distributori a produttori di beni e/o servizi.

In generale i prodotti di PL sono suddivisi in 4 segmenti:

1. marca-insegna: prodotto PL offerto a un prezzo più basso rispetto a quello della

marca-leader (i costi minori derivano dal fatto di non sostenere i costi distributivi). Si

tratta comunque di beni prodotti dal produttore (in veste di terzista) e venduti non al

cliente finale tramite un distributore-intermediario, ma destinati all‟intermediario;

2. I prezzo: prodotti caratterizzati da un prezzo molto basso i quali non vengono

nemmeno associati all‟insegna del distributore, ma venduti con un marchio diverso,

oppure senza nome. Si tratta comunque di un marchio di proprietà del distributore, che

però, non appone la propria denominazione, per il fatto che il prezzo troppo basso

possa essere percepito dal cliente come un prodotto qualitativamente scadente;

3. prodotto premium: prodotto con un prezzo superiore rispetto a quello della marca-

leader, di qualità più elevata (utilizzata, quindi, la leva della differenziazione a cui il

cliente associa un livello di prezzo più elevato);

4. altre: prodotti particolari come la linea verde, i prodotti biologici o eco-solidali ad es..

In Italia la marca-insegna delle PL sono molto in voga: addirittura alcuni prodotti vengono

tipicamente associati alle PL. Ciò vuol dire, che in linea generale, il consumatore finale si fida

molto dell‟insegna del distributore.

Il mercato della pasta in Europa

Il settore pasta è molto particolare poiché il produttore ha un ruolo rilevante, e vi è un‟alta

conflittualità tra industria e distribuzione. I dati riguardano:

la dimensione del mercato, (l‟Italia è il paese che ne consuma di più) in termini di

volume (= quantità) e valore (= fatturato complessivo legato ai prezzi di vendita);

il trend.

La distribuzione del prodotto-pasta avviene secondo due canali:

1. cliente-distributore;

2. cliente HORECA: l‟HORECA trasforma il prodotto per offrire il servizio di

ristorazione.

Nel mercato della pasta, in generale, vi è la tendenza, tra i consumatori, di acquistare il

prodotto più semplice possibile → in tal caso occorre tenere in considerazione la leva del

prezzo. In realtà, però, crescono anche busines particolari, quali quello salutistico e biologico

ad es.. I concorrenti non sono più solo quelli tradizionalmente intesi, ma entrano a far parte di

questa categoria che chi offre prodotti, in termini tecnologici, completamente diversi, come

ad es. chi vende i piatti pronti. Le due tipiche leve di marketing utilizzate in questo settore

sono il prezzo e la promozione (tenendo presente che con l‟aumento delle vendite promozionali

diminuisce il prezzo di vendita) → tentativo dei competitors di mantenere le proprie quote di

mercato, soprattutto in un settore in cui le caratteristiche sono le seguenti:

prodotto standardizzato;

grado d‟innovazione basso;

i prodotti dei diversi concorrenti (proposti dalle svariate marche) sono percepiti come

sostituibili → infedeltà alla singola marca, ecco perché gli attori più importanti fanno

tanta pubblicità.

Il mercato risulta relativamente concentrato (con leader Barilla che possiede il 40% circa

della quota di mercato). Le imprese più piccole adottano le seguenti strategie:

strategie di prezzo: le imprese divengono estremamente efficienti e cercano di

raggiungere delle adeguate economie di scala, le quali permetterebbero di costituire

delle barriere all‟ingresso del mercato;

strategie di internazionalizzazione: le imprese vanno ad aggredire i mercati esteri;

strategie di localizzazione territoriale: le imprese si specializzano nella distribuzione

locale, in segno di differenziazione.

Le PL del settore-pasta sono caratterizzate da dati particolarmente significativi, i quali

crescono dal 2007-2008, ma sono anche segnati da una concentrazione più alta rispetto al

business in generale e in termini di volume, ma la stessa concentrazione diviene più bassa in

Diversificazione correlata tra business, come ad

es.: pasta normale ↔ pasta senza glutine.

termini di prezzo. Infatti la diminuzione del prezzo di vendita risulta più contenuta rispetto

ai prodotti di marca: la GDO ha giocato meno sulla competizione per quanto riguarda la leva

del prezzo. Le PL riducono di meno il prezzo, perché i prodotti della GDO si fondano già su un

minor prezzo rispetto al similare prodotto di marca.

La pasta fresca è un business diverso, ma comunque rappresenta la principale alternativa

rispetto alla pasta secca. Tale business contiene un contenuto di piacere e di servizio, il quale

è inglobato nel prodotto, in pratica consumare un prodotto del genere equivale a consumare un

servizio (infatti nel caso particolare della pasta fresca, il consumatore potrebbe decidere di

prodursela da sé), quindi si potrebbe attribuire a tale prodotto un prezzo più alto.

Nonostante, in linea di massima, il cliente abbia meno risorse da destinare alla pasta fresca, la

sua quota di mercato è rimasta pressoché la medesima. Caratteristiche:

alto grado di innovazione;

differenziazione di prodotto (innovazione per differenziazione);

politica di marca: Giovanni Rana è il leader; egli gioca moltissimo sulla leva della

promozione;

le aziende medio-piccole sono sempre più orientate alla produzione delle marche

commerciali, quindi producono per la GDO (produttori di PL).

Le PL, in particolare, sono più forti per il business-pasta fresca che non in quello della pasta

secca, più in generale le prospettive nel primo mercato sono migliori, infatti nonostante la

presenza di un leader, questo risulta un mercato meno concentrato. La battaglia competitiva

non è giocata solo sul prezzo, infatti vengono adottate strategie di creazione del valore,

mediante la varietà di tipologie di pasta, o la produzione di salse In particolare la produzione

delle salse rappresenta una diversificazione correlata, rispetto alla produzione delle salse.

Economie di scopo =

si utilizzano fattori produttivi

congiunti per raggiungere output

diversi.

Quando un business raggiunge la maturità:

conflittualità: i conflitti sono esacerbati dalla crisi;

trade marketing: marketing che stimola le partnership, le quali diventano possibili

durante la crisi.

L‟antitrust durante la sua inchiesta spiega come è giunta alle sue conclusioni. Ad es.

nell‟inchiesta esaminata sulla pasta fresca, si è giunti alla conclusione che un accordo tra i

produttori sui prezzi di vendita c‟è stato: a fronte di una segnalazione, l‟Autorità Garante ha

avviato un procedimento istruttorio. Ciò è importante da considerare, specie in Italia, la quale

è il paese primo al mondo in produzione ed esportazione di pasta.

Ritornando alla maturità del business, sono 4 gli elementi di criticità da tenere in

considerazione (nel settore-pasta):

eccesso di capacità produttiva (condizione tipica dei mercati maturi): gli investimenti

in costi fissi per un ammontare di output sono superiori rispetto a ciò che si riesce a

vendere (i macchinari spesso si tengono fermi). Alla maturità di un business è normale

avere capacità produttiva in eccesso, perché a un certo punto la domanda smette di

crescere (come invece accadeva durante la fase di sviluppo);

settore composto da attori diversi che adottano differenti strategie;

aumento del costo delle materie prime (dal 2008 tale aumento ha interessato tutto il

settore agroalimentare);

il ruolo delle PL è contraddittorio: infatti esse provocano una distorsione degli equilibri

competitivi perché uno stesso soggetto lavora sia dal lato della domanda che da quello

dell‟offerta (= il distributore, il quale non è più un semplice intermediario).

Dal punto di vista competitivo occorre individuare dei produttori, isolando alcuni business in

base alla categoria merceologica di appartenenza, al prezzo e alle abitudini di consumo.

Inoltre è necessario aggiungere che la dimensione geografica, come all‟interno del mercato

nazionale, le abitudini sono le stesse (comprendendo tutti gli attori).

Dal punto di vista della capacità produttiva si può dire che essa sia stabile dal 2007, ma non

completamente utilizzata, quindi parte degli impianti (= investimenti in costi fissi) viene

inutilizzata → fattore preoccupante per i produttori, i quali possono agire in determinati

modi:

disinvestire svendendo (scelta non conveniente);

andare a cercare nuovi mercati (come quelli esteri), ma ciò potrebbe richiedere altri

costi fissi;

riconvertire i propri impianti.

Dal punto di vista delle quote di mercato si evince che il mercato della pasta è un mercato

concentrato (Barilla 40%, De Cecco 11%, Di Vella 6%, ecc.). Gli indicatori per comprendere il

grado di concentrazione sono:

indice di concentrazione: somma delle quote di mercato delle prime n imprese (ad es. il

5% delle imprese del settore) e vedere se esse rappresentano il mercato globale oltre

una certa percentuale (ad es. il 64% delle quote di mercato);

indice di Herdfindhal-Hirschman: è usato per indicare il grado di concentrazione, ed

è dato dalla somma dei quadrati delle quote di mercato espresse in percentuale

detenute da ciascun attore:

Tale indice può valere al massimo 10.000 in caso di un unico attore. Mentre quando è

compreso tra 1000 e 1800 vuol dire che si tratta di un mercato concentrato.

Gli indici di concentrazione sono utilizzati per valutare i mercati e sono moltissimi: per questo

motivo può accadere che per un indice un mercato sia concentrato, mentre per un altro indice

il medesimo mercato risulti frammentato.

Dal punto di vista del posizionamento competitivo → posizionamento di prezzo = scelta

strategica che fa l‟azienda in termini di prezzo al fine di collocarsi in una determinata fascia

di prezzo. Questo è un concetto di marketing importante perché fa riferimento all‟immagine

che ciascuna impresa dà al consumatore potenziale. Quando in particolare il valore è più basso

rispetto al volume, il posizionamento sarà posto in una fascia bassa di prezzo.

Dal punto di vista dei costi in particolare si evidenziano i costi indiretti, come nel caso dei

costi di pubblicità: i produttori di maggiori dimensioni investono di più in pubblicità e

promozione, ottenendo così anche maggiori margini (i margini sono solitamente più elevati

perché l‟investimento pubblicitario dovrebbe comportare un aumento delle vendite e una

diminuzione dei costi unitari medi).

Dal punto di vista dei fattori esterni all‟ambiente competitivo, un aumento dei costi d‟acquisto

delle materie prime (nel settore-pasta a partire dal 2007 si è verificato un aumento

significativo del prezzo del grano, il quale è stato rovesciato sul prezzo di vendita)

rappresenta un evento negativo verificatosi in tutto il settore agroalimentare.

Dal punto di vista della GDO → terzisti = produttori per conto di terzi, che vendono alla

distribuzione il prodotto-pasta, ma esso viene marchiato col marchio del distributore: i

produttori sono gli stessi attori del settore-pasta.

Conclusione dell‟inchiesta: il comportamento lesivo della concorrenza ha avuto luogo da parte

dei produttori → l‟azienda colpita dall‟antitrust si ritrova ad avere problemi reputazionali

(reputazione: ci vuole molta fatica per costruirla e pochissimo per rovinarla). La pubblicità

rappresenta un investimento nel caso in cui l‟impresa stia lavorando alla costruzione della

propria reputazione, oppure rappresenta una spesa nel caso sia incappata in un danno

d‟immagine (logica di breve periodo). Più che lavorare sull‟immagine sarebbe meglio lavorare

sulla reputazione per conquistare la fiducia del consumatore o anche di altri enti preposti →

l‟informazione circola in maniera molto rapida e l‟impresa subisce dei pesanti contraccolpi

anche in termini borsistici. Oltre a essere cresciuta la consapevolezza, sono disponibili diversi

strumenti per scoprire eventuali comportamenti scorretti intrapresi da parte delle imprese.

HHI = Σi (qi x 100)2

qi = quota di mercato dell‟attore i-esimo.

Trade marketing = strumento attraverso il quale un‟impresa si approccia a un‟altra per

sviluppare un rapporto di partnership.

Contesto competitivo di riferimento per la partnership

Tale contesto competitivo è così caratterizzato:

il consumatore sta cambiando le sue abitudini → da fedele alla marca a fedele

all‟insegna/punto vendita;

le strategie competitive sono sempre più orientate alla differenziazione, come le

barriere all‟entrata dei nuovi attori → accentuazione del gioco competitivo. Anche le

imprese commerciali (oltre a quelle produttive) si basano sulla differenziazione;

aumento del potere contrattuale della distribuzione, a causa di una concentrazione del

settore;

aumento della concorrenza tra i produttori;

le marche commerciali utilizzano strategie di posizionamento;

il distributore non è più tanto attento al rapporto con il proprio fornitore, ma è più

orientato verso le esigenze del cliente.

Strategie di posizionamento = legate all‟immagine. L‟impresa decide con quale immagine si

vuole collocare sul suo mercato-obiettivo. La strategia di posizionamento si colloca all‟interno

dell‟operativo, perché essa viene elaborata dopo l‟individuazione del target (= segmento-target

a cui indirizzarsi). Sulla base delle strategie di posizionamento sono diverse le tipologie di

marketing:

marketing indifferenziato: effettuato dall‟impresa che produce/distribuisce un

prodotto per tutti i consumatori. Il target coincide con tutto il mercato a cui viene

comunicata la campagna pubblicitaria → i consumatori adottano tutti lo stesso

comportamento d‟acquisto e consumo. La domanda è tendenzialmente omogenea, le

imprese concorrenti realizzano prodotti simili, quindi la competizione si gioca su un

volume molto alto per la realizzazione di economie di scala. L‟impresa offre un prodotto

di massa, così adotterà una strategia di marketing per massimizzare le vendite. Esempi

di imprese che si avvalgono del marketing indifferenziato: farmaci da banco, Coca Cola,

Nutella;

marketing differenziato: l‟impresa produce prodotti/servizi differenziati a uno

specifico target, tenendo conto delle diverse esigenze dei consumatori (ad es. TIM

young). In pratica si tratta di adottare strategie di marketing differenziato per

specifiche categorie di prodotto → l‟impresa produce prodotti diversi, pensati su

esigenze differenti. Il mercato-obiettivo è ancora tutta la domanda, ma in tale caso la

domanda viene segmentata, e ogni segmento ha delle esigenze particolari, introducendo

elementi di diversificazione e di differenziazione. Esempi: prodotti di cura della

persona, di cura della casa. Così facendo si posiziona il prodotto in modo diverso in

base al prodotto che si sta trattando;

marketing concentrato: l‟azienda lavora su un unico segmento con un prodotto che ha

un elevato grado di specializzazione, o comincia a lavorare su un unico prodotto (poi

magari si differenzia in futuro). L‟impresa è specializzata offrendo un prodotto con un

alto grado di specializzazione. Esempi: imprese che offrono tecnologie particolari per

gli ospedali, pannelli solari, ecc.;

marketing di nicchia: ci si rivolge a un segmento offrendo un prodotto differenziato

rispetto a quello dei concorrenti. Nello specifico ci si rivolge in particolare a una

nicchia di mercato (= un pezzo di segmento). Esempi: Ferrari, Rolex, prodotti a basso

impatto ambientale, ecc..

Mercato ↓

Mercato segmentato ↓

Nicchia di mercato.

Per differenziarsi dalla concorrenza occorre individuare l‟immagine che la stesa impresa

associa al proprio mercato-obiettivo → associazione dell‟immagine aziendale al proprio

capitale reputazionale.

Società ↓

Visione dell‟impresa (≠ dalla visione di sé) da parte del contesto nel quale la medesima è

inserita ↓

Capitale reputazionale = occorre lavorare sul proprio capitale relazionale ↓

Strategie di marketing: occorre elaborare una strategia di marketing, studiandola sul capitale

reputazionale ↓

Immagine = idea che il cliente ha dell‟impresa; immagine esterna che è strettamente legata

alla reputazione → impresa come creatrice di sviluppo (reputazione, fiducia), impresa come

soggetto positivo che crea ricchezza.

Vi è il rischio di dissociazione tra l‟impresa e la visione della stessa → impresa che arriva a far

di tutto, pur di far parlare di sé. In questo caso occorre rivalorizzare il concetto di capitale

reputazionale.

Quando si vuole parlare di partnership:

Le relazioni non sono solo di tipo orizzontale, ma si tratta anche di relazioni di altro tipo, tipo

quelle lungo la filiera produttiva (logica verticale). A ogni anello della filiera corrisponde un

mercato, ma interrelarsi a livello di supply chain (= catena della fornitura) → vantaggio:

sottolineare le interrelazioni di filiera produttiva (condivisione delle informazioni relazionali a

lungo termine, fedeltà).

Negli anni ‟80 viene definito il trade marketing, in base a come le imprese abbiano cercato di

sviluppare delle relazioni con i propri distributori → efficacia delle relazioni di marketing

attraverso la soddisfazione del cliente. Ma la differenziazione della propria offerta, avviene

nei mercati intermedi (= relazione B2B), ovvero la stessa si occupa di un sistema di relazioni

con altre imprese. Inoltre essa dovrebbe avere due responsabili di marketing:

responsabile del trade marketing;

responsabile del consumer marketing.

Tali due responsabili si dovranno relazionare con chi gestisce la supply chain.

Storicamente le strategie delle imprese produttrici erano focalizzate sul prodotto e sulla

marca commerciale, ossia esse avevamo come punto di riferimento il cliente finale. A un certo

punto, però, l‟intermediario-distributore si ritrova ad avere più potere contrattuale, così per

il produttore diviene essenziale relazionarsi, non più col cliente finale, ma con il cliente-

impresa.

Le fasi del trade marketing sono le seguenti:

analisi del mercato intermedio;

segmentazione del mercato intermedio;

definizione dei clienti-target.

Segmentare = prendere un mercato e individuare al suo interno i clienti che abbiano

caratteristiche omogenee (per la segmentazione si utilizzano le stesse variabili usate per i

clienti finali: variabili demografiche, variabili socio-culturali, variabili psicografiche, variabili

economiche). Il mercato intermedio (che si rivolge a distributori, i quali a loro volta si

relazionano con i clienti finali) si segmenta nel seguente modo:

si prende in considerazione la variabile dimensione: capacità capillare del distributore

(in termini di numero di punti vendita) e in termini di fatturato;

si prende in considerazione la variabile geografica: localizzazione a seconda del

bene/servizio prodotto;

distributore di massa, puntando a un basso costo.

Se l‟impresa si relaziona con un‟altra impresa, la quale a sua volta non si relaziona

direttamente con il cliente finale (ossia quest‟ultimo viene perso di vista) si parla di trade

marketing in senso stretto. In tal caso, i criteri di segmentazione sono:

insieme di

singoli

mercati

indipendenti

sistema di

relazioni/interrelazioni

da governare

variabile dimensione: valutare se ci si rivolge a piccole, medie o grandi imprese-clienti;

più grande è l‟impresa, infatti, e più sarà burocratizzata (più complessa) → livello di

organizzazione delle relazioni diverso;

variabile demografico-descrittiva: cambia in base alle caratteristiche delle imprese;

variabile comportamentale: riguarda la modalità di pagamento, i tempi dello stesso, la

situazione finanziaria, l‟affidabilità, ecc.;

variabile definita in base ai vantaggi perseguiti dall‟impresa-cliente.

La segmentazione descrittiva, in particolare, concerne le seguenti variabili:

la dimensione;

la tipologia industriale;

la nazionalità;

la natura giuridica (pubblica o privata): importante per le gare d‟appalto, per i tempi di

pagamento, ecc..;

il settore industriale;

la localizzazione;

se si tratta di azienda di prodotti finali e/o intermedi;

se si tratta di un‟impresa profit/no profit.

→ Occorre scegliere le variabili che siano le più adatte al proprio segmento di riferimento.

La segmentazione comportamentale, invece, riguarda:

le modalità di trasporto;

i tempi di pagamento;

la fedeltà ai fornitori;

i processi di acquisto (aziende burocratiche, aziende snelle, ecc.).

Durante la segmentazione in termini di individuazione del vantaggio dell‟azienda a cui ci si

riferisce, bisogna ragionare sui fattori critici di successo, studiati per comprendere i propri

clienti. Essi sono un qualche cosa che viene deciso dal cliente, e quindi, in quanto tali, sono

decisivi. Proprio per tale motivo devono essere individuati dall‟azienda, e devono essere

perseguiti dalla medesima, al fine di avere successo: si tratta di fattori da cui dipende la

scelta di acquisto del cliente, per cui l‟impresa adotta una strategia di differenziazione. Essi

sono studiati durante l‟analisi dell‟ambiente esterno e sono diversi dai fattori igienici, i quali

rappresentano le caratteristiche minime che il prodotto deve avere e i quali il cliente si

aspetta che il prodotto abbia (ad es. per un cliente degli anni ‟80, l‟assistenza sugli

elettrodomestici era considerata un fattore critico di successo, mentre per quelli odierni è

considerata un fattore igienico). Anche le imprese-clienti hanno i propri fattori critici di

successo: il produttore (o comunque le imprese che si rivolgono alle medesime) deve

individuarli per elaborare una strategia di trade marketing ad hoc, cogliendo le specifiche

esigenze dell‟impresa-cliente al fine di soddisfarla → segmentazione per benefici (= esigenza

di sicurezza del prodotto, puntualità delle consegne, soluzioni logistiche integrate, ecc.). Su

tali benefici si gioca la differenziazione (ad es. la gestione degli ordini e delle scorte,

l‟approvvigionamento da parte del produttore al distributore; così si accede direttamente alle

info sulle vendite → relazione privilegiata). Spesso, si giunge a delle soluzioni di scambio

delle informazioni tra imprese sull‟andamento dei mercati. Tale condivisione, però, può

arrivare a essere anche più intensa, sino a giungere a una vera e propria elaborazione di

strategie in comune (caso della partnership).

Nel caso del trade marketing è necessario essere capaci di segmentare i mercati intermedi

(non quello dei clienti finali), in cui si affacciano altre imprese (di produzione, di

distribuzione). Tale mercato è composto da attori che adottano comportamenti d‟acquisto

diversi: all‟interno di ogni segmento del mercato intermedio i comportamenti dovrebbero

essere omogenei. Quindi, si può segmentare in base a:

caratteristiche demografiche delle imprese;

comportamenti delle imprese;

vantaggi perseguiti dai clienti.

Strumenti del trade marketing:

1. rapporti tra le imprese di produzione e distribuzione: il marketing è intrapreso da

imprese di produzione per individuare un vantaggio nei confronti delle imprese di

distribuzione (= imprese-cliente). Occorre comprendere quale sia il contesto

competitivo;

2. conoscenza del comportamento del consumatore finale → punto cruciale, infatti in

questa fase entra a far parte il monitoraggio dei consumi finali: quando si tratta di un

prodotto che è destinato ai consumatori finali;

3. possedere un sistema informatico evoluto, il quale serve a produrre informazioni e per

la presa di decisioni → maturare la capacità di prendere le decisioni in base alle

informazioni possedute, in maniera consapevole, selezionando quelle più rilevanti;

4. offrire servizi al cliente intermedio in una logica di partnership (e di marketing

integrato. Partnership unilaterale = quando uno dei soggetti è in posizione di

debolezza contrattuale.

Supply chain

Supply chain = catena della fornitura; strumento utilizzato in ambiente logistico-distributivo.

E‟ utile perché continua a sviluppare la logica delle interrelazioni (partnership) da parte delle

imprese, ognuno delle quali è uguale a un‟attività facente parte della catena distributiva.

Obiettivo: creare valore. L‟ambiente competitivo è sempre più complesso e richiede all‟impresa

la capacità di relazionarsi coi propri fornitori (presuppone la nascita della supply chain). La

supply chain dà un contributo alla creazione di valore → definizione:

rete composta da organizzazioni coinvolte, mediante relazioni a monte e/o a valle, lungo

la filiera, per la creazione del valore;

rete di aziende che acquista le materie prime e le consegna ai consumatori finali,

attraverso il sistema distributivo;

rete di organizzazioni attraverso la quale le informazioni fluiscono grazie alla

produzione e alla distribuzione al cliente finale;

rete di aziende coinvolte nell‟acquisizione, nella trasformazione e nell‟erogazione dei

flussi aziendali al fine di garantire al cliente finale la piena fruibilità di un prodotto

conforme alle proprie aspettative per soddisfarlo.

La supply chain individua le relazioni tra le diverse filiere operative aziendali:

Fattori critici di successo dei consumatori =

fattori che indirizzano/determinano le scelte

dei consumatori finali; esigenze,

caratteristiche distintive che vengono prese in

considerazione per costruire l‟offerta da parte

delle imprese (→ differenziarsi rispetto agli

altri fornitori).

acquisizione produzione distribuzione vendita post vendita

Questa è la logica orizzontale in ottica di filiera, la quale però dà a vedere come la catena del

valore di ciascuna impresa contribuisca alla creazione del valore. La persona che si occupa di

supply chain in azienda, deve conoscere e monitorare tutta l‟organizzazione della propria

filiera produttiva, quindi deve allargare le proprie relazioni dall‟interno verso l‟esterno, ossia

deve anche conoscere i rapporti tra i diversi attori della filiera. I flussi sono molto

importanti, sia che siano flussi materiali, sia che siano immateriali (servizi), sia che si tratti

di dati e informazioni. I dati e le informazioni sono particolarmente rilevanti, infatti le

sinergie vanno colte proprio nella condivisione degli stessi, mediante la collaborazione tra gli

attori della stessa filiera, e non con i concorrenti. L‟informazione resta un elemento di forza

per il vantaggio competitivo, ma non può più essere acquisita nella logica dell‟integrazione

verticale (strategia tipica degli anni ‟60, effettuata per la minimizzazione dei costi di

transazione), ma collaborando con gli attori situati nella medesima filiera. I flussi possono

ancora essere finanziari, o riguardano gli scambi di conoscenze e competenze (know how) →

relazioni di fiducia, al fine di ridurre il grado di incertezza per l‟impresa.

Lo scambio tra le imprese viene concepito in una logica di relazione di fiducia → logica B2B

non orientata al puro scambio di breve termine (un esempio sono gli ex distretti italiani in cui

la fiducia risultava un elemento caratterizzante).

La partnership si può progettare (gestendo e creando delle relazioni) grazie al responsabile

della supply chain, per la creazione sinergica del valore nei confronti del consumatore finale

→ intensità delle informazioni condivise: determina l‟intensità delle relazioni tra i soggetti. Il

livello d‟intensità varia a seconda del tipo di relazione (da uno scambio semplice di

informazioni a una condivisione della strategia in ottica di sviluppo della medesima strategia di

marketing; così si migliora la capacità di informazione sul cambiamento del mercato,

pianificando meglio, e in modo congiunto, l‟interazione tra produttore e consumatore).

Collegamento ai processi distributivi

Riguarda l‟organizzazione dei processi distributivi per cui esistono diverse formule di

partnership:

1. continuos replenishment: il cliente fornisce informazioni sullo stato delle scorte e il

fornitore/produttore dei servizi. L‟impresa gestisce il riapprovvigionamento del

magazzino, fornendo tale servizio al cliente/distributore → formula più debole, ma che

comunque permette all‟impresa di differenziarsi agli occhi del cliente. Vantaggio per il

fornitore: oltre a differenziarsi, l‟impresa può avere in tempo reale le informazioni

sulle scorte di magazzino del proprio cliente. I passaggi sono:la trasmissione dalla

distribuzione alla produzione dei dati di vendita, dalla produzione alla distribuzione di

proposta/rifornimento, con eventuale variazione dell‟ordine da parte del distributore e

consegna dal produttore al distributore. Altri vantaggi: migliore conoscenza del

mercato, capacità di risposta in tempi più brevi → gestione del magazzino efficiente

con conseguente riduzione dei costi. Rispetto a una soluzione tradizionale di gestione

del magazzino, il distributore garantisce un buon livello di servizio al proprio cliente,

migliorando la ricezione/lo stoccaggio delle merci, e considerando anche che per tale

azienda la gestione del magazzino sia un nodo critico, quindi tale collaborazione può

fare la differenza. La condizione tramite la quale il produttore può offrire un servizio

di questo tipo è la capacità di sostenere dei costi aggiuntivi in base alle dimensioni (in

termini di volume di fatturato). Di solito si tratta di aziende caratterizzate da un

brand forte e con un potere contrattuale elevato;

2. vendor managed inventory: o condivisione di informazioni, al fornitore viene data la

delega di decidere quanto e quando gestire le scelte (non vi è più la verifica

dell‟ordine); è il produttore che rifornisce tenendo conto delle esigenze del

distributore-cliente → maggiore autonomia del produttore-fornitore, il quale può

procedere al rifornimento in automatico. Vantaggio: la fornitura è più veloce, ma

ancora una volta il produttore si accolla il maggior costo di gestione (anche se è più

basso rispetto a quello sostenuto dal consumatore), mentre per il distributore

comporta dei minori costi di gestione di magazzino (del proprio) → responsabilità del

fornitore, riduzione dei tempi nella gestione degli ordini, ma il rischio per il

distributore è quello di perdere il controllo delle proprie scorte. Infatti risulta

necessario un rapporto basato sulla fiducia; rappresenta un soggetto vantaggioso

perché si riduce l‟incertezza, ma sempre per quanto riguarda il produttore, occorre

essere capaci di svolgere il servizio → riduzione dei costi di tutta la supply chain,

grazie alla minor incertezza lungo tutta la filiera. Consignment stock = particolare

forma di vendor managed inventory, la quale prevede anche che il prodotto nel

magazzino del cliente, sia in realtà di proprietà del fornitore, finché questo non sia

effettivamente venduto;

3. collaborative planning: pianificazione basata sulla collaborazione. Pianificare è molto

difficile per le imprese e serve al fine di condividere informazioni per sviluppare delle

buone previsioni di vendite in comune, ma le decisioni strategiche vengono poi adottate

in piena autonomia dai singoli attori (ad es. costituzione di scorte del produttore a

fronte di una promozione decisa dal distributore). Pianificare = punto critico per le

imprese che spesso non sono capaci di prevedere i mercati;

4. integrated planning and execution: elaborazione vera e propria di una strategia in

comune lungo tutta la supplì chain. La collaborazione non è semplice (nemmeno

all‟interno di una medesima impresa) tra imprese diverse che devono avere una visione

collaborativa e non di contrapposizione. Elemento in comune per lavorare in modo

congiunto: logistica, magazzino, ecc..

Una delle ragioni che spingono a livello di supply chain a collaborare è il bullwhip effect: in

logica complessiva di filiera si vede chiaramente quanto spreco esista in termini di

amplificazione della variazione degli ordini, infatti essa si amplifica man mano che ci si

allontana dal mercato finale, ossia man mano che si risale, da valle a monte, lungo la filiera

produttiva. Il produttore, invece, vorrebbe allineare la domanda con gli ordini.

Per il produttore tale situazione rappresenta un danno, perché non riesce più a fare previsioni,

e di conseguenza nemmeno promozioni, infatti non ha possibilità di conoscere il mercato.

Per valutare la partnership B2B occorre prima analizzare l‟autonomia decisionale:

decisioni autonome locali: il grado di autonomia decisionale; ad es. si condividono i dati,

ma ognuno decide in piena libertà;

soluzione opposta, pianificazione centralizzata: un‟azienda leader elabora la strategia

per tutta la rete di cui fanno parte le singole imprese. Si forniscono le informazioni dal

centro alla periferia:

→ soluzione intermedia: attori autonomi che prendono decisioni in libertà, ma a livello

centrale vengono fornite delle linee-guida.

Nei settori maturi la strada da intraprendere è quella della collaborazione: è fondamentale

sviluppare delle relazioni con altre imprese perché esse sono necessarie per la sopravvivenza

nel mercato → creare/fornire servizi aggiuntivi nel B2B è praticamente necessario nell‟ambito

del trade marketing.

Pervasività degli strumenti ICT

Strumento fondamentale per la condivisione delle informazioni, e quindi per la collaborazione,

la quale è più forte se basata su un unico sistema informativo in comune tra gli attori della

partnership.

produttore distributore

dettaglio

Le imprese devono tener separate due esigenze: il trade marketing, per i prodotti dedicati ad

altre imprese, e il consumer marketing, per i prodotti destinati a clienti finali.

Gestione del brand

Riguarda la forza del brand dell‟impresa, la quale è influenzata dalla relazioni contrattuali. Il

brand rappresenta la leva fondamentale per una strategia di marketing → brand strategy.

Brand equità = valore del brand come asset dell‟impresa, tra gli asset del patrimonio

immateriale. Dipende dall‟azione di marketing centrata su brand e dedicata ai consumatori →

se non vi sono effetti differenziali, il prodotto viene usato come bene indifferenziato e in

differenziabile → se ogni azione di marketing agisce o meno sul consumatore, ossia se sposta

(o no) il suo comportamento, e di conseguenza la domanda, è grazie al brand. Non è facile dare

un valore al proprio brand: occorre creare cosa si può fare, e farlo bene. I fattori che il

marketing individua per costruire un brand forte sono:

brand awarness: conoscenza del marchio, consapevolezza:

capacità del consumatore di riconoscere il brand (saperlo individuare);

tenerlo in mente: top of mind (= massimo che un operatore di marketing vuole

raggiungere; il prodotto associato al marchio rappresenta il medesimo prodotto e il

cliente soddisfa le proprie esigenze scegliendo quel marchio);

brand loyalty: fedeltà al marchio, ossia se lo stesso sia capace di creare fidelizzazione.

Ciò è sempre più difficile, soprattutto nei business maturi. Mentre nei business ad alto

contenuto tecnologico i brand sono in grado di generare fidelizzazione infatti si opera in

regime di oligopolio, attraverso delle barriere strumentali;

brand identity: la fidelizzazione non è basata sull‟identità, sulla capacità del brand di

assegnare un‟identità del marchio, il quale deve essere distintivo e a cui devono essere

associati alcuni messaggi. Costruire un‟identità di marchio è una strategia utilizzata da

molte grandi imprese, ad es. Apple, Lacoste, Ferrari, Mc Donald, Nike. Essere distintivi

equivale a distinguersi tra i vari concorrenti → top of mind = sovrapporre il prodotto al

marchio;

associazione di riferimento: associazioni mentali che fa il cliente rispetto al brand.

Quanto più associazioni positive fa il cliente, e tanto più alto sarà il valore del marchio, e

quindi tanto più forte sarà il processo decisionale del cliente, rispetto a un prodotto. Il

richiamo di un marchio è un‟idea che il medesimo dà, il messaggio a cui si ispira come ad es.

nel caso del WWF, per quanto riguarda la tutela degli animali (marchi ispirati a un tema).

In pratica si tratta della capacità di associare a un marchio un determinato messaggio

d‟identità (a quel marchio si associa un tipo di messaggio). Associare a un brand un tipo

identitario vuol dire comunicare alcuni valori (identitari), come quelli più emotivi che

rivivono durante l‟acquisto del prodotto (ad es. per Mulino Bianco il messaggio-identità è

rappresentato dalla serenità). E‟ importante, quindi, comprendere le leve psicologiche su

cui agire e su cui è sensibile il cliente, andando a segmentare il target di riferimento →

strategia d’identità = strumento d‟identificazione per i clienti, infatti essi al momento

del consumo si vogliono identificare in una serie di messaggi. Ciò produce maggiore fedeltà

al marchio;

qualità/ soddisfazione in termini qualitativi: quando si è in grado di soddisfare i clienti

in termini di qualità → qualità percepita: dal consumatore, se ne parla molto, ma non è

ancora stata sviluppata bene perché ci si basa sui volumi di vendita. La qualità attesa è

quella che il cliente si aspetta dal consumo, quella percepita è quella che il cliente

percepisce nei confronti di quel prodotto che potrebbe anche essere diversa da quella

prodotta (effettiva). Soddisfazione del cliente = è molto importante per tutte le

imprese, ma per fare ciò è necessario mettersi in contatto con il cliente (ad es. con la sua

partecipazione al processo, anche per quanto riguarda i prodotti tangibili, aumentando il

loro grado di partecipazione): lavorare sugli aspetti qualitativi è importante, ma essi

devono essere comunicati al cliente → la percezione della qualità aumenta e valorizza

l‟aspetto comunicatogli dall‟impresa.

I vantaggi di una brand equity forte, sono i seguenti:

maggiore loyalty/fedeltà, ma è anche vero che il cliente che si sente tradito dal brand,

difficilmente torna a rivolgersi allo stesso;

minore vulnerabilità dal punto di vista competitivo, brand meno attaccabile:

l‟investimento pubblicitario viene fatto da imprese le quali sono dentro al business →

costituzione di barriere all‟entrata;

maggiori margini;

maggiore sensibilità alla riduzione di prezzo e minore sensibilità all‟aumento di prezzo:

il cliente non si preoccupa molto dell‟aumento di prezzo, anzi quasi, quasi si preoccupa

di una sua diminuzione;

maggior efficacia/efficienza nella comunicazione, tipiche di tutto ciò che ruota intorno

al brand: anche i brand molto forti devono monitorare in modo costante le vendite;

opportunità di licensing e di franchising, soprattutto a livello distributivo;

brand extension: estensione del brand per commercializzare dei prodotti di categoria

differente.

Brand extension

L‟impresa che ha un brand molto forte può decidere di utilizzarlo anche per altre categorie di

prodotto → estensione del brand dal business originario a uno diverso. Tale strategia dipende

da come potrebbero reagire i consumatori rispetto all‟estensione, e poi dal contesto

competitivo caratterizzante il nuovo business → diversificazione = si sfrutta il brand come

fattore produttivo congiunto per valutare il successo o meno di una strategia di brand

extension:

1) coerenza tra associazione del brand ed estensione;

2) coerenza percepita dal cliente tra i due business.

Coerenza tra associazione

del brand ed estensione

Coerenza percepita

dal cliente tra i due

business

Brand extension con

effetto sinergico

positivo sia per il nuovo

prodotto che per quello

originario → ottime

probabilità di successo

Brand extension con

effetto sinergico negativo

sul nuovo prodotto, ma

neutrale per il prodotto

originario → basse

probabilità di successo

(diversificazione correlata)

Brand extension con

effetto sinergico

positivo per il nuovo

prodotto e neutro per il

prodotto originario →

buone probabilità di

successo

Brand extension con

effetto sinergico

negativo sia sul nuovo

prodotto, sia su quello

originario → bassissime

probabilità di successo

bassa

alta

alta bassa

Tenere i brand separati non vuol dire fare brand extension (come nel caso di Benetton con

Autogrill), ma per fare brand extension le imprese devono porre attenzione alla coerenza

percepita dal cliente.

Coerenza percepita tra categorie di prodotto = si tratta di una coerenza percepita, quindi la

percezione del cliente deve essere intesa in senso ampio (ad es. il produttore di moto che

vende prodotti di abbigliamento sportivo), non viene quindi percepito il contrasto.

Strategia co-branding = si associano due o più brand diversi di imprese anche differenti.

Tale strategia si distingue in due sottocategorie:

1) elevata omogeneità tra i business: più facile da intraprendere e meno rischiosa → line

extension (ad es. Mc Donalds‟ + Coca Cola);

2) bassa omogeneità tra i business → category extension.

La logica, come nel caso della brand extension, si basa sempre sulla percezione del cliente. Il

co-branding viene effettuato in due modi:

a) co-branding funzionale: per rafforzare le caratteristiche funzionali del prodotto; la

capacità funzionale aiuta a far aumentare la performance del prodotto. Ad es.: Apple + Google, Calgon + Candy;

b) co-branding simbolico: per impattare dal punto di vista emotivo. Ad es.: D&G + locale

D&G.

Nel co-branding funzionale ha rilevanza la correlazione tra le caratteristiche dei due prodotti

→ fattori product related: occorre fare attenzione alla compatibilità e alla coerenza (non

bisogna associare i marchi solo perché sono entrambi forti).

Nel co-branding simbolico-emotivo hanno, invece, rilevanza le associazioni attribuite dai

consumatori alle diverse marche, e la compatibilità tra marche non viene valutata su fattori

non-product related (= che non hanno a che fare con il prodotto), ma legati alle associazioni

che il cliente fa rispetto al brand → si dissocia il prodotto dal marchio, il quale ha un suo

valore simbolico-emotivo, con una vita propria, indipendentemente dalle caratteristiche del

prodotto.

La strategia category extension è più rischiosa, come lo è ogni strategia di diversificazione

non correlata.

In generale, nelle strategie di co-branding e di estensione del brand (quindi in cui la

dimensione marketing è rilevante), occorre valutare il rischio di insuccesso, e la reazione del

cliente di fronte alle stesse strategie.

La forza del brand dipende dalle associazioni attivate dallo stesso al cliente (sempre per

quanto riguarda la percezione del consumatore):

Le strategie di co-branding vengono usate moltissimo dalle imprese come strumento di

strategia di risposta nell‟ambito della propria responsabilità sociale: un‟impresa for profit

potrebbe lavorare nel campo della comunicazione sociale, intraprendendo un‟azione di

marketing sociale (progetto per accostare il brand delle imprese a quello di associazioni no

profit con una dimensione sociale, come ad es. l‟Unicef). Il brand equity fa differenza nelle

scelte del consumatore, infatti vi sono state diverse tipologie di valutazioni nel tempo in

merito. Il primo tipo di valutazione è denominato interbrand, e si tratta di una società tipica

degli anni ‟80, la quale definisce determinati strumenti per valutare il valore dei global brand.

Passi:

1) segmentazione (segmentation): per poter stimare il valore del brand è opportuno

dividere la domanda (segmentare). Infatti brand equity equivale a quanto il brand è in

grado di spostare, e in che modo le condiziona, le scelte dei consumatori. Vi sono dei

business in cui si presta di più la valorizzazione del brand (investendo in strategie di

brand equity), soprattutto in quei business in cui l‟elemento funzionale è basso e quello

emotivo è preminente (ad es. nell‟abbigliamento). Quindi segmentare è importante

perché il valore del brand risulta variabile in base alla domanda, infatti essa varia da

segmento a segmento → valutazione del brand complessiva segmento per segmento

(analisi sempre più focalizzata);

Co-branding

funzionale

Co-branding

simbolico

business

vicini

business

lontani business

dei brand

Tipologia

co-branding

Line extension Category extension

Line extension

attributi product related

+

attributi product fit

fa leva sulle caratteristiche

dei prodotti e le performance

sono basate su di essi

attributi non-product

related

+

brand fit

valuta la coerenza delle

associazioni fatte dal

cliente sul brand in

questione

Category extension

2) valutazione finanziaria (financial analysis-EVA): valutazione concentrata sulla

valorizzazione sugli intangibile asset (come il brand) e riguarda il valore aggiunto

prodotto solo dal brand, isolando il contributo che il medesimo ha sul valore

complessivo aziendale. Ciò viene effettuato utilizzando il metodo EVA, e l‟analisi si fa

sul fatturato dei 5 anni successivi. Tale metodo è degli anni ‟80, attualmente, infatti, il

periodo dei 5 anni come riferimento, è troppo lungo. Dati i tempi la stima finanziaria

potrebbe risultare limitata, infatti essa sarebbe rappresentata da proiezioni non

sempre accettabili;

3) analisi della domanda (demand analysis): capacità del brand di spostare la domanda,

impatto sulla medesima individuando i driver di acquisto (= fattori critici di successo,

FCS), che determinano l‟acquisto da parte della domanda e si pesano sulla stessa.

Dopodiché occorre stimare quanto il brand pesi su ciascun fattore/driver e la somma

di tutti questi singoli pesi equivale al cosiddetto branding index (indice del peso del

brand) importante nell‟individuare la domanda. Ad es. i driver di acquisto (che spingono

allo stesso) di capi di abbigliamento giovanili potrebbero riguardare il prezzo, il design,

la qualità, il comfort e l‟immagine. Allora:

quanto il brand fa la

differenza su ciascun FCS

prezzo 40% valore basso

design (gusto) 20% valore alto

qualità 5% valore alto

comfort 10% valore basso

immagine 25% valore alto

(il più alto in assoluto)

peso finale: brand index,

forza del brand in un

determinato business

4) grado di rischio del business (competitive analysis): valutazione del grado di rischio

legato a uno specifico business, che serve a indicare quanto il brand riesce ad

ammortizzare tale rischio, appunto, così da comprendere la forza/stabilità del

medesimo all‟interno del business di riferimento. Anche in questo caso durante gli anni

‟80 ciò è facile da individuare, infatti l‟ottica in quel tempo è quella della crescita. In

base a tali analisi si fa riferimento ad alcuni fattori indicanti dei cambiamenti

ambientali avversi in base a:

caratteristiche del mercato (crescita, grado di concentrazione, ecc.);

trend potenziale (legato all‟attrattività del mercato).

Caratteristiche strutturali

del mercato

I fattori legati al brand, in grado di esprimere la capacità dello stesso di ammortizzare

i cambiamenti nell‟assetto competitivo sono:

grado di diversificazione del brand: negli anni ‟80 più questo è alto, e più si

crede di poter spalmare il rischio su diversi business (= efficienza

moltiplicativa positiva). Attualmente la GI diversificata è andata in crisi perché

male reagisce ai cambiamenti, trattandosi di una struttura molto rigida (=

efficienza moltiplicativa negativa);

leadership del brand: quanto esso viene riconosciuto dai consumatori;

sostenibilità del brand nel futuro mediante messaggi comunicazionali di identità;

stabilità: quanto il consumatore sia fedele al brand e ai suoi prodotti;

protezione: quanto il brand sia protetto dal punto di vista legale.

Nel complesso per valutare il brand ci si basa su un valore di forza, al fine di determinare un

valore di sconto, il quale serve per attualizzare i brand earnings (trovati mediante il metodo

EVA) → brand value: serve per confrontarsi coi marchi dei propri concorrenti. La valenza

strategica, comunque, risulta pressoché minima, soprattutto per quanto riguarda il contesto

attuale, in cui si ragiona a breve termine (valenza più finanziaria che strategica).

Marketing delle imprese di servizi

Servizio = attività destinata a soddisfare le esigenze del beneficiario a favore del quale lo

stesso viene erogato.

Caratteristiche dei servizi:

è necessaria la presenza di persone al fine di svolgere tale attività;

chi acquisisce il servizio non diventa proprietario dei beni materiali che si usano per

l‟erogazione dello stesso;

l‟attività mira a soddisfare specifiche esigenze.

Non si usa il termine “produzione”, ma piuttosto il termine erogazione. I fattori produttivi

vengono impiegati solo al momento dell‟erogazione del servizio, il quale presuppone sempre la

partecipazione delle persone, in particolare quella del fruitore. Le differenze tra prodotti e

servizi:

prodotti: servizi:

beni tangibili; beni intangibili (= immateriali);

si tratta di un oggetto; si tratta di un processo;

sono standardizzabili; sono eterogenei perché il processo è svolto

da persone;

sono immagazzinabili; non sono immagazzinabili: da ciò derivano più

costi per l‟inutilizzazione del servizio. Risulta

altresì più difficile la gestione della qualità

dei servizi per quanto concerne i costi atti a

mantenere in attività un‟azienda di servizi;

contatto produttore-cliente indiretto; contatto produttore-cliente diretto: è un

vantaggio perché è facile comprendere se il

cliente sia o meno soddisfatto, e conoscere le

sue esigenze è più agevole. Essendo lo stesso

partecipante al processo, l‟esito dipende

anche da esso, e questo comporta un

ulteriore elemento di complessità;

il cliente non partecipa alla produzione; il cliente partecipa all‟erogazione: fattore

distintivo dei servizi, che comporta la

coincidenza tra acquisto e consumo. Per

questo motivo il servizio risulta non

immagazzinabile e il cliente rappresenta

l‟attore principale del processo, infatti

questo, con la sua partecipazione, attiva lo

stesso processo di erogazione del servizio,

contribuendo al suo esito. La partecipazione

può essere:

partecipazione attiva: partecipare

oggettivamente alla costruzione del

servizio. Occorre porre attenzione

poiché gestire un cliente attivo risulta

senza dubbio più complesso, infatti,

bisogna assicurarsi di mettere a punto

gli strumenti più idonei al fine di

essere meglio utilizzati dal cliente;

partecipazione passiva: dimensione

passiva della partecipazione; in tal

caso il cliente viene servito da una

persona preposta all‟erogazione del

servizio;

il valore essenziale (= tutti gli elementi che

incidono sulla soddisfazione del cliente) viene

prodotto in fabbrica, quindi rientra

totalmente nel controllo dell‟impresa;

il valore essenziale (= tutti gli elementi che

incidono sulla soddisfazione del cliente) viene

prodotto durante le interazioni tra impresa e

cliente: l‟impresa no ha la certezza della

qualità (del valore creato), fino a quando il

servizio non è stato erogato → capacità di

interagire con il cliente;

vi è il trasferimento di proprietà del bene. non vi è il trasferimento di proprietà, ma in

realtà sussiste il problema generale tipico

degli intangibles: la maggiore distanza tra

valore atteso e valore effettivamente creato

determina un‟elevata conflittualità tra le

parti.

Il marketing dei beni, oltre a lavorare a valle per convincere il cliente all‟acquisto, deve

lavorare anche a monte in termini di analisi delle esigenze dei potenziali clienti; il marketing

dei servizi, invece, entra a far parte dell‟organizzazione del sistema di produzione, infatti

nell‟erogazione rientra anche il cliente (come soggetto protagonista) → descrizione del

sistema di produzione nelle aziende di servizi:

input:

supporto fisico

personale di

contatto: di FO che

entra in contatto

con il cliente

servizio cliente: senza tale

soggetto il servizio non

può essere erogato Compresenza di clienti

nell‟impresa di servizi: elemento di

ulteriore difficoltà

altri clienti: il servizio viene erogato a una

molteplicità di persone

contemporaneamente i clienti hanno tra di loro esigenze diverse, se queste sono in

conflitto tra di loro escono tutti insoddisfatti dall‟impresa

impresa

L‟impresa facendo marketing può

lavorare sul maggior

coinvolgimento del cliente nel

processo, riducendo o eliminando

il personale di contatto

(naturalmente, però, è ancora

necessario il supporto fisico

adeguato).

Il personale di contatto, nel

processo, potrebbe anche

non esserci, ma viene

sostituito dal cliente (ad es.

si veda il bancomat) →

partecipazione attiva del

cliente.

Il cliente è parte integrante del processo di erogazione del servizio, è contemporaneamente

produttore e consumatore (infatti partecipa attivamente al processo): questa rappresenta una

tipicità del marketing dei servizi. Egli definisce le caratteristiche del servizio, per tale motivo

i servizi risultano molto eterogenei tra di loro. Ciò incide fortemente sulla sua soddisfazione:

l‟impresa lavora fino a un certo punto, ma il resto lo deve fare il cliente. Per questo che tutta

una serie di attività sfugge al controllo dell‟impresa: è necessario creare degli strumenti di

interazione con il cliente in modo da riuscire a comprendere i suoi bisogni. A partire dal

marketing dei servizi, è stata introdotta la distinzione tra marketing interno e marketing

esterno. In particolare quello interno è rivolto all‟interno dell‟impresa, in particolare verso il

personale; l‟azienda si preoccupa di vendere il proprio output ai dipendenti per convincerlo

della qualità del servizio erogato. Soprattutto importante risulta la soddisfazione del

personale di contatto, il quale deve divenire portavoce della qualità dell‟offerta rispetto ai

clienti. Infatti il consumatore scarica le sue rimostranze su tale personale: per questo motivo

occorre organizzare la produzione attraverso gli strumenti di marketing, i quali assumono

un‟importanza produttiva. Il ruolo del consumatore-produttore, rivestito dal cliente, consente

di trasferire dei compiti dal personale al consumatore medesimo (aumento di produttività),

con conseguente riduzione dei costi (riduzione del personale → diminuzione dei costi =

convenienza economica per l‟impresa), e aumento della soddisfazione del cliente, riducendo gli

eventuali attriti tra soggetti a confronto durante una relazione → miglioramento.

Dal punto di vista economico in un‟azienda di servizi, molto pesante risulta il costo del

personale: infatti questo rappresenta un costo fisso che incide moltissimo tra i costi totali.

Ancora l‟azienda di servizi ha bisogno di una struttura di offerta per meglio fornire la

prestazione, la quale sia indipendente dal numero dei clienti che richiede il servizio. Bisogna

porre attenzione, però, a non creare una situazione di eccesso di offerta, se no si

contribuisce a far aumentare i costi fissi. Infatti un‟azienda con costi fissi prevalenti rischia

di avvalersi di una struttura rigida, e di essere più rischiosa in termini di gestione: se la

domanda aumentasse probabilmente guadagnerebbe di più a fronte di un‟azienda più flessibile,

ma in caso di diminuzione della domanda si ritroverebbe a perdere rimuneratività in modo più

accentuato rispetto a un‟impresa avente la maggior parte di costi variabili. A fronte di questo

rischio sempre più imprese di servizi esternalizzano, così tra tramutare i costi fissi in costi

variabili (un esempio tipico è il rivolgersi a un agente, piuttosto che a un dipendente, il quale

viene remunerato a provvigione sul corrispettivo del servizio erogato; magari si potrebbe

anche fornire dei premi a tale soggetto in modo da stimolarlo a migliorare le proprie

performance). E‟ necessario però non esagerare in tale strategia, infatti bisogna comprendere

se la prestazione che viene pagata contribuisce ad aumentare o a ridurre il potere

contrattuale esercitato sul cliente.

Un‟altra possibilità è quella di far intervenire di più il cliente nel processo produttivo: in tale

situazione non solo vengono eliminati i costi fissi, ma anche quelli variabili, in quanto l‟attività

viene svolta direttamente dal consumatore che ne beneficia. Stimolare il cliente all‟auto-

produzione e coinvolgere il personale per vedere dove si creano gli spazi per trasferire i

compiti al cliente. Le situazioni possibili, quindi sono:

elevata partecipazione del cliente + elevata partecipazione del personale (TO, brokers,

servizi finanziari specializzati, ecc.);

elevata partecipazione del cliente + bassa partecipazione del personale (e-commerce,

ristorazione self service, ecc.);

bassa partecipazione del cliente + bassa partecipazione del personale (servizio di

pagamento utenze, servizi di PA);

bassa partecipazione del cliente + elevata partecipazione del personale (alberghi di

lusso, ospedali, ecc.).

Partecipazione del cliente

La partecipazione dipende dalla capacità del personale e dal suo approccio nei confronti del

cliente, dalle caratteristiche del servizio e dal consumatore medesimo. Per capire se vi siano

effettivamente gli spazi per aumentare la partecipazione del cliente è possibile comprendere

se sia o meno fattibile mutare l‟approccio del personale (attraverso il marketing interno) e nel

caso il servizio sia di frequente erogato si potrebbe insegnare al cliente come auto-produrlo.

In effetti modificare l‟approccio del personale risulta molto impegnativo per l‟impresa per il

fatto che rientrano le caratteristiche del personale: questo dovrebbe essere in grado di

percepire le esigenze del cliente al fine di soddisfarlo al meglio. Ecco perché risulta utile far

contribuire il cliente durante il processo di erogazione al servizio rivolto a sé stesso;

formandolo e informandolo (possibile solo quando le caratteristiche del servizio lo

consentano) a dovere, ad es. tramite la segnaletica posta all‟interno del supermercato e la

formazione sull‟utilizzo di alcuni strumenti in modo da risparmiare tempo.

Il cliente potrebbe partecipare in modo attivo o passivo e ancora potrebbe dimostrarsi un

cliente dominante o dominato.

Partecipazione attiva = cliente che attivamente partecipa all‟erogazione del servizio.

Partecipazione passiva = cliente che passivamente partecipa all‟erogazione del servizio.

Cliente dominante = colui che decide, imponendosi, il servizio, che ha un maggior potere

contrattuale nella decisione delle caratteristiche della prestazione (definendone i contenuti).

Di solito vuole una prestazione personalizzata (tutte le volte che si offre un servizio

personalizzato si ha a che fare con un cliente dominante). Attenzione!: il cliente di un TO che

offre una vacanza di lusso è dominante, infatti dispone di un servizio personalizzato, ma sarà

altrettanto passivo, infatti è disposto a pagare un prezzo più elevato per usufruire di un

servizio ritagliato sulle sue esigenze.

Cliente dominato = colui che consuma il servizio, esattamente così come gli viene proposto. Il

cliente dominato (e altresì passivo) è tipico di un soggiorno all inclusive, che accetta,

praticamente a scatola chiusa, tutto ciò che gli viene offerto, oppure di un servizio sanitario;

si tratta solitamente di servizi standardizzati come ad es. quelli forniti dalle catene

alberghiere; la standardizzazione riguarda il supporto fisico, e i processi di erogazione del

servizio, considerando che più l‟impresa riesce a standardizzare e più raggiunge l‟obiettivo di

economizzare i costi → maggior controllo sul cliente.

Fondamentale, per il personale di contatto, comprendere che tipo di cliente si ha di fronte, e

definire che tipo di cliente si vuole servire per costruire la relazione impresa-cliente in modo

opportuno.

Quindi la partecipazione del cliente è diversa dalla capacità dello stesso di influenzare il

processo decisionale, infatti il fatto di essere clienti passivi non comporta necessariamente

essere anche poco esigenti:

cliente

attivo

cliente

dominante

cliente

passivo cliente

dominato

La gestione della partecipazione è alla base di tutte le strategie dei servizi, ed è anche alla

base della soddisfazione. Vi sono vari modi per gestirla:

lavorare sulla relazione col cliente (quindi sul personale di contatto);

riconoscere il ruolo del cliente e valorizzarlo;

fornire informazioni al cliente per consentirgli di partecipare all‟erogazione del

servizio → informare il cliente = formare il cliente per partecipare al processo.

Si può valorizzare la partecipazione del cliente in fase di:

1. specificazione del servizio: quando vengono definite le caratteristiche del servizio;

occorre riuscire a far esplicitare le esigenze per comprendere in che modo il servizio

deve essere costruito (per quanto riguarda i servizi con un certo grado di

personalizzazione, come i servizi erogati da imprese per altri imprese, servizi logistici,

trasporti, servizi finanziari, servizi assicurativi). La fase della specificazione è quella

nella quale il cliente partecipa esplicitando i propri bisogni in via preventiva (prima che

il servizio venga erogato) → contatto diretto tra cliente e impresa;

2. erogazione del servizio: si favorisce la partecipazione del cliente in fase di

erogazione, soprattutto in tutte quelle procedure che gli si possono affidare, prima

prestate dal personale di contatto (per diminuire il CDL). Il cliente che partecipa

attivamente, di solito è anche più soddisfatto, per questo motivo si tende a offrire un

contenuto immateriale anche nell‟ambito dei beni tangibili;

3. controllo del servizio: è compito del cliente controllare come sia stato erogato il

servizio, infatti questi è l‟unico che sappia esprimer un giudizio effettivo sul servizio

ricevuto. Ciò aiuta l‟impresa nel correggere e/o migliorare la prestazione, riducendo

così le inefficienze.

Quindi il cliente partecipa alla riorganizzazione dei processi produttivi → dimensione

produttiva del marketing: si rilevano delle informazioni per la riorganizzazione del sistema di

partecipazione

passiva

cliente

dominato

cliente

dominante

partecipazione

attiva

ad es.

albergo di

lusso

ad es.

visita

autoguidata

ai musei

ad es.

ospedale

zona

conflittuale

ad es.

ikea

produzione da parte del cliente, infatti il personale non può contribuire più di tanto, poiché ha

una visione limitata.

Pacchetto di servizi = l‟impresa di servizi non eroga un solo servizio, ma un pacchetto

composto da:

servizio di base: componente principale del pacchetto;

servizi accessori/periferici: completano il servizio di base.

Tale scomposizione serve per capire su quali elementi l‟impresa può lavorare per

differenziarsi, o quale eliminare per ridurre il prezzo (ovviamente i servizi possono essere

ridotti solo fino a un certo punto).

Attenzione!: vi sono servizi accessori obbligatori (come la sicurezza in un‟impresa di trasporti

o l‟igiene in un ospedale) → il cliente, spesso, si concentra di più (è più sensibile) al servizio

periferico, piuttosto che su quello di base (considerato scontato). Comunque nell‟ambito dei

servizi è più difficile valutare in maniera oggettiva la qualità.

I limiti del pacchetto di servizi sono:

il pacchetto è legato alle caratteristiche tecniche del servizio, legato a una logica di

prodotto, senza però che sia valorizzata la relazione che il cliente ha con l‟impresa, e

più nello specifico, con il suo personale di contatto (grado di soddisfazione del cliente

legato a tale relazione) → componente relazionale = caratteristica del servizio che

distingue il medesimo dal prodotto.

Servizio di base = motivazione per la quale il cliente si rivolge all‟impresa. Il servizio di base,

però, risulta diverso dal minimo che il consumatore si aspetta per il fatto di essersi rivolto a

una determinata azienda.

L‟azienda non offre solo il servizio di base, ma anche i servizi accessori/periferici i quali

vengono erogati (ad es. nell‟ambito di una strategia di differenziazione) per completare quello

di base. Essi possono essere o meno obbligatori e possono svolgere un ruolo fondamentale

(attribuendo un valore aggiunto al servizio di base, valore in termini di soddisfazione),

soprattutto al fine di differenziarsi dalla concorrenza, stimolando la scelta del cliente.

Infatti il servizio di base si dà per scontato (non sempre!). Problema: essendo il servizio

intangibile, risulta difficile da valutare per il cliente (soprattutto in un momento precedente a

quello della fruizione), quindi vi sono dei servizi in cui molto peso è attribuito anche ai suoi

aspetti tangibili (in quanto tali sono più facilmente valutabili), beni che sono strumentali

all‟erogazione del servizio. Nel caso di servizi in cui non siano preminenti tali elementi

tangibili, il cliente possiede pochi elementi al fine di farsi un‟idea di come viene servito.

Comprendere ciò che incide sul grado di soddisfazione, è fondamentale per dirigere le

proprie politiche gestionali: occorre porre attenzione alla soddisfazione, che rappresenta un

elemento ulteriore rispetto alle mera produzione dei beni → efficacia = capacità dell‟impresa

di raggiungere gli obiettivi prefissati; essa viene valutata in termini di risultato, di fatturato,

quindi tramite il seguente rapporto:

Tale rapporto esprime la capacità dell‟impresa di raggiungere gli obiettivi prefissati → di

programmare bene la propria attività. La misurazione dell‟efficacia sottintende il fatto che il

cliente, acquistando, sia soddisfatto. Per i servizi occorre misurare l‟efficacia in termini di

soddisfazione nel M/LP: nel concetto di efficacia in economia aziendale, la soddisfazione del

cliente non entra nel merito, ma essa viene presa in considerazione nella logica del servizio.

Quindi nell‟ambito dei servizi l‟elemento periferico è spesso quello per cui il cliente sceglie

un‟azienda piuttosto che un‟altra. Spesso, infatti, il servizio di base risulta molto difficile da

valutare (ad es. la scelta dell‟università) → elemento centrale del servizio: partecipazione del

cliente, fattore che viene sottovalutato rispetto alle componenti tangibili.

E‟ necessaria così la valorizzazione dell’interazione del cliente con l’impresa:

output programmato

efficacia = -------------------

output prodotto

servizio di base

servizi periferici obbligatori servizi periferici ausiliari

accessibilità

al servizio

interazione

con l‟azienda

partecipazione del cliente

Accessibilità al servizio = quanto il servizio è facilmente accessibile (problema che l‟azienda

di beni non si pone):

accessibilità del luogo: creare degli spazi di accesso per un facile accedere al luogo

(ad es. segnaletica);

facilità d’uso delle risorse fisiche: occorre porre attenzione nello scaricare al cliente

le operazioni che prima svolgeva il personale di contatto;

contributo del personale: quanto il personale è a disposizione del cliente, e le modalità

attraverso le quali interagisce con lo stesso.

Interazione cliente-azienda = comunicazione tra impresa e cliente:

comunicazione del personale con il cliente: interazione diretta personale-cliente

veicolata appunto dal personale, oppure interazione indiretta azienda-cliente come

nel caso di utilizzo di internet, brochure e in generale con tutti gli elementi tangibili a

disposizione;

interazione risorse fisiche/clienti: possibilità di utilizzare degli ausili tecnici, come

potrebbero essere i vari strumenti di pagamento;

interazione con altri clienti: i clienti possono ostacolare il servizio rivolto ad altri

clienti, oppure possono aiutarsi tra di loro → passaparola = strumento di marketing

molto potente che è in mano ai clienti; infatti essi raccontano l‟impresa sulla base delle

proprie esperienze, agendo così sulla leva reputazionale. E‟ utile considerare che, con la

diffusione delle reti informatiche, il fenomeno del passaparola si è ampliato

ulteriormente: esso risulta particolarmente importante per i servizi, infatti essi

poggiano su un contenuto esperienziale.

Nelle aziende di servizi il problema della soddisfazione del cliente può entrare in conflitto con

le logiche di produttività. Per questo risulta fondamentale migliorare l‟efficienza,la quale

rappresenta la capacità dell‟impresa di utilizzare nel modo più razionale possibile le risorse

(evitando gli sprechi). Vi sono due possibilità:

aumentare l‟output a parità di input;

diminuire l‟input a parità di output.

L‟efficienza, comunque, risulta così rappresentata:

Si verificano due situazioni:

aumenta l‟output a parità di input;

diminuisce l‟input a parità di output.

Quando si può lavorare in termini di efficienza? Dipende dalla composizione degli input e dalla struttura di costi che ha l‟azienda, la quale può

vedere il prevalere di:

output

efficienza =------------

input

costi fissi;

costi variabili.

Nel caso delle imprese di servizi con un‟alta incidenza dei costi fissi, aumentando l‟output,

l‟input rimane invariato → si sfruttano le economie di scala. Ma nel caso prevalgano i costi

variabili, è inutile ragionare in termini di efficienza, infatti aumentando l‟output

aumenterebbero pure gli input → struttura dei costi dell’impresa di servizi = i costi fissi

sono prevalenti perché il personale deve essere a disposizione della variabilità della domanda

(infatti il costo del lavoro è in prevalenza fisso, e tale costo prevale in un‟impresa di servizi).

Quindi si potrebbe migliorare l‟output al fine di migliorare l‟efficienza: occorre porre

attenzione però alla trappola strategica dei servizi, secondo la quale aumentare l‟output

vorrebbe dire un aumento di lavoro da parte del personale (prendendo coscienza del fatto che

non si ha a che fare con un impianto ma con una persona) → rischio di diminuzione della qualità

nell‟erogazione del servizio.

La qualità del prodotto può essere recuperata spingendo sul contenimento dei costi: ciò

riguarda l‟impresa dei beni. Mentre per le imprese di servizi il rischio è maggiore perché i

costi fissi concernono quelli del personale. Quindi produrre di più vuol equivale a un maggior

lavoro e un maggior impegno da parte dei lavoratori: occorre fare attenzione a non metterli

troppo sotto pressione, se no si rischi di incorrere nella trappola strategica dei servizi, ossia

in quella situazione di rischio che porta a una riduzione del margine (dovuta all‟eventuale

correzione del peggioramento). La situazione che si potrebbe presentare è la seguente:

Efficienza interna = efficienza legata al modo in cui l‟azienda opera, legata alla produzione

(per questo è interna).

Occorre altresì fare attenzione a valorizzare l‟efficienza esterna, quella legata al modo in cui

i clienti percepiscono le aziende di produzione. Anche per i servizi, però, si considera tale

efficienza, infatti in queste aziende il cliente entra addirittura a far parte del processo

produttivo → esigenza di inserire il cliente (esterno all‟impresa) all‟interno dei processi

produttivi: è necessario tenere a mente la situazione appena espressa. Quindi: all‟esigenza di

perseguire delle economie di scala, risulta utile affiancare quella di raggiungere delle

economie di mercato,secondo le quali i vantaggi derivano dal fatto di tenere in

considerazione le esigenze del cliente (→ soddisfazione del cliente). Per questo occorre agire

in maniera diversa da come di solito si agirebbe in un‟impresa industriale, ossia occorre

intraprendere un orientamento ai servizi. Tale orientamento è così illustrato:

situazione

di rischio

(applicando le medesime

regole delle imprese

industriali) azioni rivolte a

migliorare l‟efficienza

interna, lavorando sui costi

la qualità del servizio si deteriora (si

fa lavorare di più il personale, senza

soffermarsi sul fatto che il

medesimo sia il protagonista della

relazione con il cliente

insoddisfazione

del cliente

deterioramento

del clima interno

la qualità del servizio si

deteriora ulteriormente

azioni di marketing (push)

per mantenere a un certo

livello le vendite

insoddisfazione del cliente

ulteriore, dovuta a delle

azioni di marketing

aggressive

l‟immagine dell‟azienda si

deteriora

circolo

vizioso

Vantaggio: valorizzare la specificità delle imprese di servizi.

Deterioramento del cliente interno = tema non particolarmente evidente nell‟impresa di

beni, ma più che non evidente risulta piuttosto trascurato.

Clima interno = riguarda ad es. il caso di eccesso di carico di lavoro, il quale può incidere

negativamente sul clima interno. Il clima aziendale va quindi monitorato in tutte le imprese, ma

con particolare riguardo in quelle di servizi (infatti nelle imprese di beni, a un peggioramento

del clima interno, potrebbe derivare la facoltà di correggere il processo produttivo, prima che

il cliente resti definitivamente insoddisfatto, mentre nel settore dei servizi un cliente

insoddisfatto equivale a un cliente perduto).

Marketing interno = marketing legato alla volontà di valorizzare il clima interno al fine di

motivare il personale, il quale è considerato come una sorta di cliente interno → coinvolgere il

personale esattamente come si farebbe con il cliente: se i lavoratori per primi non

approvassero l‟azienda in cui sono impiegati, non potrebbe di certo veicolare un‟immagine

positiva della stessa. Il concetto di marketing interno è nuovo, e si sviluppa proprio nell‟ambito

dei servizi: se applicato a dovere, migliora il rapporto tra impresa e personale, il quale non

sarebbe più vissuto secondo un‟ottica troppo gerarchica → logica del marketing interno: si

tratta di una via di mezzo tra un‟ottica gerarchica e una di relazione di mercato (nella quale i

rapporti vengono costantemente rinegoziati). Il personale, si ritroverebbe così ad aderire ai

principi dell‟impresa per spontanea convinzione, con un margine più elevato di autonomia nei

processi decisionali, e non lo farebbe solo per dovere (come accade in una logica del tutto

gerarchica). In tale contesto anche la relazione con il cliente ne gioverebbe, divenendo

anch‟essa più autonoma: il cliente, dal canto suo, dovrebbe sentirsi emotivamente più coinvolto

da parte dell‟azienda.

situazione

di rischio

migliorare l‟attenzione verso

il cliente (comunque tenendo

sotto controllo i costi) →

interazione impresa-cliente:

occorre migliorarla

miglioramento della qualità percepita

maggiore

soddisfazione del

cliente

miglioramento del

clima interno

la qualità del servizio migliora

l‟immagine aziendale migliora

aumento delle vendite ↓

miglioramento dell‟efficienza

interna ↓

(viene utilizzata la stessa

leva che solitamente si

utilizza nelle imprese di

produzione

circolo

virtuoso

L‟autonomia nelle decisioni del personale di contatto, deriva dal fatto di sentirsi esso stesso

un cliente, il quale entra successivamente in contatto con un altro cliente esterno: il

lavoratore deve essere in grado di definire la situazione, gestendo anche gli eventuali

imprevisti che si possono verificare nella maniera il più adeguata possibile, utilizzando i modi e

il linguaggio più consoni. Quindi concepire il personale come un cliente esterno equivale a

creare un‟opportuna cultura del servizio: all‟interno delle imprese è necessario infondere

quella consapevolezza nel personale per quanto riguarda le specificità del servizio; il personale

dal canto suo, deve saper gestire il cliente → equilibrio:

offerta al cliente ↔ esigenze del cliente.

Rischio di burn-out = rischio di “esplodere”, di incorrere in un esaurimento nervoso da parte

del personale di contatto sovraccaricato nelle sue mansioni. Le attività in cui tipicamente è più

facili incorrere in tale rischio sono le attività turistiche e quelle ospedaliere.

Gli strumenti attraverso i quali sviluppare il marketing interno sono:

la formazione: alla gestione del cliente, occorre insegnare a mantenere un corretto

equilibrio tra esigente del cliente ed esigenze dell‟azienda;

la delega: l‟impresa di servizi è tipicamente decentrata, così risulta necessario un

notevole grado di autonomia del personale di contatto; tale delega deve risultare

chiara alle RU, se no si rischia lo scollamento tra il vertice aziendale e il personale della

linea (come quello di contatto, appunto). Attenzione!: però, alla massima autonomia.

Occorre sempre tenere presente l‟equilibrio tra cliente e impresa (la tipica risposta

errata da dare ai clienti è: “non sono io che decido…” → non esiste modo migliore per

fare allontanare un cliente definitivamente dall‟azienda). Ecco perché risulta utile

tenere degli spazi di intervento per eventuali deleghe, il caso più tipico è quello di un

cliente importante ma passivo: più spazio in termini di personalizzazione equivale a più

spazio del personale di contatto nell‟esercitare la delega;

la comunicazione interna: riguarda la maggiore circolazione delle informazioni, sia

dall‟alto verso il basso, sia dal basso verso l‟alto, ma anche in orizzontale. Le

informazioni sono necessarie per una presa di decisione condivisa e comune → gestione

democratica;

supporti formativi.

In contesto di crisi, questi fattori sono i primi protagonisti in termini di minori investimenti:

ciò, però, purtroppo porta a un rischio elevato di insoddisfazione della clientela, e alla caduta

all‟interno della trappola strategica dei servizi.

Il servizio è eterogeneo perché è il risultato di un‟operazione tra due persone.

Vantaggio del decentramento: i punti lontani dal vertice hanno un certo grado di autonomia:

rispetto al cliente, il servizio è più rapido;

recupero in efficienza in termini di disservizio in modo rapido;

la maggior soddisfazione dei dipendenti (in realtà dipende dal servizio);

migliore orientamento al cliente da parte delle imprese → pianificazione del sistema di

offerta;

se ben gestiti i clienti sono anche fonti di idee (mediante il loro coinvolgimento).

In pratica la maggior soddisfazione del cliente è conseguente alla maggior soddisfazione del

personale di contatto.

La delega, nella relazione impresa-cliente si può collocare:

Il decentramento è molto difficile da gestire perché vi è il rischio che si verifichi uno

scollamento (= incoerenza) tra gli obiettivi dell‟impresa e gli interessi del cliente. Occorre non

perdere l‟obiettivo aziendale immedesimandosi troppo nel cliente, magari rendendo la

transazione meno vantaggiosa per l‟impresa, o comunque troppo difficoltosa da erogare.

L‟incapacità dell‟impresa di far fronte alle esigenze del cliente (che sono state promosse dal

personale di contatto) provoca nel cliente una insoddisfazione. Altro rischio: il know how del

dipendente potrebbe uscire definitivamente dall‟impresa per essere acquisito da un‟altra

impresa concorrente (magari creata dallo stesso) → i clienti potrebbero andargli dietro per

essere serviti da lui. Per questi motivi il dipendente può essere fonte di problemi per

l‟azienda, soprattutto per quanto riguarda la dicotomia:

autonomia ↔ responsabilità.

La comunicazione in un‟impresa di servizi

La comunicazione è una specificità del marketing operativo. Per l‟impresa di servizi, tutti gli

elementi tangibili rappresentano elementi di comunicazione, soprattutto per il fatto che il

servizio sia intangibile (tutto parla) → necessità di comunicare un qualcosa che non si vede,

per fare ciò occorre poggiarsi su elementi tangibili, i quali sono diversi dal servizio.

partecipazione del

cliente elevata

partecipazione del

cliente bassa

coinvolgimento del

personale elevato

coinvolgimento del

personale basso

delega

più forte

Comunicazione interna = è diversa dal marketing interno. Essa agisce all‟interno dell‟impresa,

ma è rivolta al cliente → arma destinata al cliente (non al dipendente in quanto cliente

interno). Tale tipo di comunicazione è denominata interna perché il cliente entra all‟interno

dell‟impresa → problema che non si pone in uno stabilimento produttivo.

Comunicazione esterna = quella declinata secondo le logiche della pubblicità, e utilizzata

anche dalle imprese manifatturiere.

Comunicazione interpersonale = relazione tra cliente e personale di contatto (che

rappresenta l‟impresa) e tra cliente e cliente → passaparola: le informazioni che vengono

trasferite tra consumatori; è sempre esistito, ma oggi è più potente, e anche più forviante a

causa di social network, internet e altri strumenti telematici. Una volta si parlava di

passaparola tradizionale, secondo il quale più persone che si conoscono si scambiavano pareri

su un dato servizio; ciò comportava una maggior capacità di giudizio da parte dei clienti, per il

fatto di essere tra di loro legati da un rapporto di fiducia reciproco. Attualmente sopravvive

questo tipo di passaparola, ma a esso si è affiancato il passaparola virtuale, il quale risulta

completamente spersonalizzato, infatti le persone si scambiano giudizi, ma non si conoscono

tra di loro, quindi è meno affidabile di quello personale, tipico di una comunicazione

interpersonale.

Strumenti principali di una comunicazione

Gli strumenti principali di una comunicazione sono:

il supporto fisico del personale → comunicazione interna;

i media → la comunicazione esterna viene utilizzata moltissimo anche nell‟ambito dei

servizi, anche se è arrivata in seguito, come risposta alla comunicazione massmediatica

in riguardo ai beni.

La comunicazione interna è fondamentale, e quindi, va curata secondo il marketing dei servizi.

Soprattutto il passaparola non può essere controllato dall‟impresa: per questo motivo deve

essere salvaguardato, infatti questo è uno strumento totalmente nelle mani del cliente.

I principi di strategia e di comunicazione perseguiti sono i seguenti:

esistenza: elemento legato all‟intangibilità del servizio; la strategia deve esistere,

deve essere nota, chiara e accettata da chi si fa veicolo della stessa (= personale di

contatto, infatti la comunicazione è soprattutto interna e interpersonale → tipicità

dell‟azienda di servizi);

continuità: in prospettiva di LP (almeno in termini teorici, attualmente infatti l‟impresa

è più orientata al BP);

differenziazione: scelta strategica a livello qualitativo → orientamento alla

differenziazione nei confronti della concorrenza;

chiarezza;

realismo: il fine è di non creare aspettative che poi vengono quasi sempre deluse.

Nell‟ambito dei servizi, essendo intangibili, il rischio di creare aspettative non reali è

maggiore. Attenzione!: non promettere ciò che non è;

declinazione: adattamento a diverse situazioni, tipico delle aziende di servizi.

E‟utilizzabile in modo coerente nelle varie forme di comunicazione (interna ed esterna).

Può sorgere un problema: nelle pubblicità dei beni tangibili vengono di sovente utilizzati

dei testimonial; cosa non diffusa nel settore dei servizi, ma piuttosto utilizzati loghi,

luoghi, slogan. Tutti elementi i quali, invece, risultano facilmente ritrovabili e

individuabili nell‟impresa, facendo leva sulla fiducia (ad es. banche, assicurazioni, GDO,

logistica);

coerenza: si ricollega al realismo e riguarda la coerenza tra i vari strumenti di

comunicazione;

accettabilità interna: logica del marketing interno. In molte imprese manifatturiere,

la strategia di comunicazione (considerando una logica di marketing operativo) può

essere affidata a terzi. Nelle imprese di servizi ciò non è consigliabile, l‟ottimale

sarebbe di effettuare una campagna comunicazionale dallo stesso personale di

contatto: di qui la necessità di assimilare e accettare, mediante interventi formativi, la

comunicazione da parte dello stesso.

Obiettivo: comunicazione nell‟azienda di servizi:

conquistare nuovi clienti equivale a convincere i potenziali clienti della qualità del

servizio attraverso azioni di notorietà e differenziazione;

fidelizzare i clienti attuali;

agevolare la loro partecipazione tramite delle azioni tipiche dei servizi, ma le quali

ultimamente vengono utilizzate anche da aziende di beni.

Notorietà = per aumentare la conoscenza nei clienti attuali. Inoltre è utile riuscire a entrare

nella testa del cliente al fine di soddisfare le sue esigenze, così da fargli associare il marchio

a un certo tipo di prodotto (colori, design, ecc.).

Differenziazione = scelta di differenziare; in questo caso la comunicazione serve al fine di

evidenziare tale strategia, come supporto alla decisione di distinguersi dai concorrenti.

Le aziende concorrenti sono interrelate e non alternative, così: infatti più il prodotto è

standard, e più si mira alla notorietà.

Fidelizzare la clientela vuol dire consolidare la relazione con il cliente (fedeltà del cliente,

posto sempre che la stessa si relativa) → è importante la formazione/motivazione del

personale di contatto. Quasi tutte le pubblicità sono campagne di notorietà (ciò, però, non

avviene in campo automobilistico). Di conseguenza è utile definire la pubblicità istituzionale,

come quella che mira a pubblicizzare tutta l‟azienda, e non solo il singolo prodotto.

In generale si punta alla soddisfazione del cliente.

Comunicazione = strumento con cui si facilita la partecipazione del cliente, sia in logica

economica, sia in quella di marketing (conviene valorizzare la partecipazione). La

comunicazione, e più in particolare la partecipazione dà un contributo riguardo alla

specificazione del servizio, che è quello di trovare il modo di aiutare il cliente a specificare

lo stesso, stimolandolo/sollecitandolo a esplicitare le esigenze, magari anche sollecitando i

reclami, mediante un canale di comunicazione on line ex post. Mentre, ex ante, è il personale

di contatto che permette al cliente di esprimersi anche mediante la personalizzazione del

servizio. Per fare ciò il lavoratore, deve essere molto bravo e abile nell‟esprimersi.

Azioni di servizio = azioni mirate alla formazione e alla fornitura di informazioni al cliente,

mettendo a disposizione dello stesso degli strumenti che possano favorirlo nell‟assunzione dei

compiti durante l‟erogazione di servizio (tradizionalmente svolta dal personale di contatto) →

addestramento del cliente, tramite un‟opportuna segnaletica, delle segnalazioni e in generale

mettendo il cliente in condizioni di poterlo fare. Ciò viene denominato trasferimento di

competenze verso il cliente,e viene effettuato mediante un passaggio dal personale di

contatto.

Controllo del servizio = controllo ex post, al fine di fare emergere il problema del cliente

insoddisfatto. Il ruolo è limitato al personale di contatto, che si pone il compito di raccogliere

i reclami (ed eventuali opinioni). Tale contatto deve avere seguito in un vero e proprio

meccanismo di correzione del processo. Se tale meccanismo non funzionasse bene, il cliente

comincia a non prenderlo con serietà, e resta doppiamente insoddisfatto, cosicché può

ritrovarsi a scegliere di fruire un altro servizio, presso un‟altra azienda, e divenire in linea

definitiva un cliente perso. Quindi sono fondamentali delle determinate operazioni al fine di

lavorare sul cliente, e spingerlo a esplicitare il motivo della sua soddisfazione. Inoltre è utile

lavorare per migliorarla ulteriormente (attivando un circuito virtuoso di correzione): in tal

modo si evita di sprecare risorse (la raccolta del reclamo costa), infatti il controllo del

servizio è considerato un elemento centrale.

La comunicazione può essere così classificata:

campagna unidirezionale: dall‟impresa al cliente per quanto riguarda le imprese di beni;

campagna bidirezionale: dall‟impresa al cliente, e dal cliente all‟impresa per quanto

riguarda le imprese di servizi. Infatti:

il personale deve essere capace di far esplicitare i problemi;

il cliente deve aver voglia di raccontarli.

In caso il reclamo venisse raccolto, ma poi non avvenisse nulla per cambiare la situazione alla

base dell‟insoddisfazione del cliente, questi si sentirebbe doppiamente insoddisfatto →

creazione di relazioni tra persone, al fine di correggere gli eventuali problemi.

Destinatari della comunicazione

Il marketing viene così classificato:

Attuare una buona strategia di marketing sui clienti potenziali può avere un ritorno in termini

di investimenti. Nelle aziende di servizi per attrarre i non-clienti relativi, occorre attivare

degli strumenti mass-mediatici al di fuori dell‟impresa, infatti tali clienti sono quelli che non

consumano quel determinato servizio, ma che lo consumerebbero se venissero raggiunti dal

medesimo. Gli strumenti per raggiungere i non-clienti relativi sono:

contratti indiretti mass-mediatici virtuali;

Clienti attuali:

aziende di beni: occorre puntare sulla

fidelizzazione e agire sulla notorietà del

marchio associato a un prodotto;

aziende di servizi: è già presente una

relazione, il vantaggio è quello di utilizzare

degli strumenti attinenti la tangibilità del

servizio.

Clienti dei concorrenti:

aziende di beni: convincere che il prodotto

dell‟azienda sia migliore della concorrenza e

agire sulla differenziazione;

aziende di servizi: i clienti dei concorrenti non

sono in relazione con l‟impresa in questione,

quindi occorre attrarli mediante una

comunicazione tradizionale dei beni tangibili.

Non-clienti relativi:

persone che consumerebbero, ma che non

lo fanno perché non vengono messe nella

condizione di farlo, oppure non si

accorgono di sentire una determinata

esigenza (non consumano, ma

consumerebbero → clienti che vanno

convinti).

Non-clienti assoluti:

clienti che non possono proprio, ma

soprattutto non vogliono rivolgersi all‟impresa

(cliente che non consuma e che non

consumerebbe: occorre un‟accurata riflessione

al fine di comprendere se conviene attrarlo

per convertirlo in un non-cliente relativo).

marketing verticale: viene coinvolto nel marketing il cliente (ad es. proposta di uno

sconto a quel cliente che porta qualcuno in azienda; pratica diversa dal passaparola, nel

quale non vi è nessun interesse nel promuovere un‟azienda, e che quindi viene

classificato come un‟azione completamente disinteressata. Ma:

pubblicità per andare a “prendere” il cliente, tramite volantinaggio, facendo in modo di

andare a raggiungere l‟offerta (ad es. aprire un‟attività all‟interno di un centro

commerciale);

individuare il cliente-tipo per studiare dove e cosa frequenta, eventualmente

collaborando con il punto di offerta, in cui è presente lo stesso che sia appartenente a

un determinato segmento preso di mira dall‟azienda → strategia di comunicazione

mirata (anziani, giovani), tramite specifici canali di comunicazione.

Problema: soddisfazione del cliente, associata alla qualità; tema tipico che si sviluppa nel

marketing dei servizi → misurazione della qualità del prodotto/servizio.

La qualità è un tema centrale, soprattutto durante gli anni ‟90: l‟impresa comincia a

differenziarsi anche in termini di qualità. La misurazione della medesima avviene tramite

l‟utilizzo di 3 punti di vista:

1. punto di vista del cliente: la soddisfazione rispetto alla qualità è soggettiva e basata

su elementi esterni, come il contatto sociale → percezione soggettiva della qualità;

2. punto di vista del concorrente: la qualità è relativa, infatti è opportuno distinguersi in

base alle scelte qualitative dei concorrenti;

3. punto di vista dell’impresa: l‟impresa deve sempre cercare di garantire la coerenza nel

rispetto delle esigenze dei clienti e dei comportamenti dei concorrenti.

Riferimento esterno = la qualità è una dimensione soggettiva e relativa, nel senso che

dipende dalla comparazione con qualcos‟altro.

Punto di vista dell‟impresa ≠ punto di vista del cliente:

l‟impresa, nella valutazione della qualità deve mettersi nei panni del cliente; il cliente ha una

percezione della qualità soggettiva, quindi imprevedibile.

Di conseguenza vi sono diverse definizione di qualità, le quali dipendono dal punto di vista

analizzato:

1. qualità prevista (dal punto di vista del cliente): previsione di aspettative esplicite e

implicite del cliente rispetto al servizio. Valutare le aspettative implicite risulta molto

difficile, per coglierle è necessario intuirle al momento dell‟esplicitazione delle attese

(magari facendo leva sulle stesse), come ad es. nel caso di acquisto di un

rischio di boicottaggio delle imprese = non

comprare più il prodotto/servizio dell‟impresa per

svariati motivi (ad es. a causa di azioni poco etiche

come lo sfruttamento sui minori, la sperimentazione

sugli animali, ecc.) → operazione organizzata da

tanti piccoli consumatori per ostacolare l‟operato

dell‟impresa grazie agli strumenti informatici;

riferimento

esterno

riferimento

interno

prodotto/servizio al fine di soddisfare un bisogno di appartenenza a uno status → leva

psicologica/emotiva;

2. qualità progettata (dal punto di vista dell’impresa): occorre organizzarsi per

raggiungere un determinato livello di qualità. La progettazione della stessa risulta più

difficile in un‟impresa di servizi a causa dell‟intangibilità dominante → la certezza

dell‟esito dell‟interazione (derivata dall‟erogazione del servizio) non si può conoscere;

3. qualità promessa (dal punto di vista dell’impresa): si agisce sulla qualità prevista.

Questo è un punto cruciale perché essa potrebbe incidere sull‟eventuale

insoddisfazione del cliente. Attenzione! alle strategie di comunicazione intraprese,

infatti si potrebbe incorrere nel rischio di non mantenere le promesse; per questo

motivo nelle imprese di servizi non conviene esternalizzare (come avviene spesso di

frequente nelle aziende di beni), anche perché delegare ad altri la compagna

pubblicitaria potrebbe voler dire deludere il cliente;

4. qualità prodotta (dal punto di vista dell’impresa): riguarda l‟effettivo livello

qualitativo prodotto; l‟impresa deve prevenire eventuali errori nella definizione degli

standard qualitativi predefiniti;

5. qualità percepita (dal punto di vista del cliente): viene valutata ex post → grado di

soddisfazione del cliente rispetto alla qualità del prodotto/servizio offerto. Ciò deve

essere compreso sia a livello globale, sia a livello analitico, così da correggere in

maniera precisa il motivo che sta alla base dell‟insoddisfazione. Problema: non sempre il

cliente è in grado di esplicitare tale motivo, infatti il servizio viene percepito in

maniera globale, così non sempre è facile anche per l‟interessato isolare le componenti

problematiche che hanno contribuito ad abbassare il livello qualitativo del servizio;

6. qualità relativa (dal punto di vista del concorrente): l‟impresa deve comprendere

quale livello qualitativo offre, e paragonarlo con quello dei concorrenti. Per fare ciò

deve intraprendere una strategia di differenziazione basata sulla qualità: utilizzare la

leva della qualità al fine di differenziarsi rispetto a un prodotto non standardizzato

(premettendo che ormai si differenziano anche i prodotti standardizzati). Occorre

ribadire che gli spazi per differenziarsi sulla qualità sono piuttosto limitati; esempi di

ambiti qualitativi nei servizi sono la comunicazione e la definizione della medesima

qualità. Per fare ciò si deve lavorare sugli elementi tangibili, sul personale di contatto,

sui servizi accessori, per i quali i consumatori risultano molto sensibili.

Le dimensioni della qualità sono le seguenti:

cliente

impresa

concorrente

qualità

prevista/attesa qualità percepita

qualità

programmata

qualità

comunicata qualità prodotta

qualità relativa

coerenza

coerenza coerenza

coerenza

Tali dimensioni si incrociano: assumono un valore diverso, in base alle relazioni esistenti con gli

altri tipi di qualità. La qualità percepita è diversa alla qualità prodotta, infatti sono valutate

entrambe in base a parametri che derivano da due punti di vista profondamente diversi (quello

dell‟impresa e quello del cliente), ad es. quando il consumatore non è in grado di valutare

l‟intangibilità del servizio (le qualità tecniche dello stesso). In realtà ciò può accadere anche

nel caso del prodotto, anche se è meno evidente; infatti il caso tipico è quel servizio ad alto

contenuto di specializzazione come ad es. prestazioni mediche, commercialistiche → l‟impresa

non riesce a comunicare la qualità perché non si mette nei panni del cliente, il quale non è in

grado di comprendere tale qualità.

Soddisfazione del cliente = la soddisfazione del cliente e la sua misurazione richiedono la

chiarezza rispetto alla definizione di qualità, che è difficile da valutare: i punti di riferimento

in base al quale si valuta e si misura la qualità:

il punto di vista del cliente;

il punto di vista dell‟impresa;

il punto di vista del concorrente.

La dimensione della qualità più interessante è quella del punto di vista del cliente, quindi:

la qualità prevista/attesa;

la qualità percepita.

L‟impresa può agire sì sulla percezione del cliente grazie all‟azione diretta tra qualità prodotta

e qualità percepita (nel caso di un prodotto tangibile, ma nel caso dei servizi tale relazione è

meno forte → dissociazione tra qualità prodotta e percepita:in caso di servizio. Tale

dissociazione aumenta all‟aumentare dei fattori intangibili costituenti il servizio in base al

grado di intangibilità dell’output,il quale può essere:

alto: nel caso di consulenze → servizio ad alto contenuto di personalizzazione;

basso: nel caso del turismo.

L‟impresa può inoltre agire sulle aspettative del cliente (sulla qualità percepita), attraverso la

qualità comunicata (con la comunicazione). Attenzione!: l‟impresa non può creare aspettative

troppo elevate; il cliente rimarrebbe insoddisfatto se il confronto tra qualità percepita e

qualità prodotta fosse negativo. L‟impresa deve intervenire ex ante.

Strumenti per la gestione della soddisfazione del cliente

Obiettivo: incidere sulle dimensioni della qualità dal punto di vista dell‟impresa al fine di

soddisfare il cliente in termini di confronto tra qualità prevista e qualità percepita (circolo

virtuoso). Gli strumenti per l‟aumento della soddisfazione del cliente sono i seguenti:

gestione dei reclami: strumento più semplice;

elaborazione di questionari: strumento più complesso.

Gestione dei reclami = raccogliere i reclami (in fase ex post) posti dai clienti insoddisfatti

→ il cliente dà un‟opportunità all‟impresa dandole la possibilità di rimediare. Si registra già

l‟insoddisfazione del cliente e le sue motivazioni.

Questionari = misurano la qualità percepita dal cliente.

Procedimento di miglioramento continuo = riguarda il servizio e viene attuato ascoltando il

cliente. La gestione del reclamo serve per isolare il cliente insoddisfatto al fine di tentare il

recupero del rapporto. E‟ un compito del personale di contatto, il quale deve fare in modo di

continuare il normale rapporto con altri clienti. Il reclamo, in particolare rappresenta

l‟emersione di un problema, aspetto che per il cliente ha valore e che magari l‟impresa ha

sottovalutato. A volte (dal punto di vista dell‟impresa), quando il cliente non dice nulla, si pensa

automaticamente che sia soddisfatto: non è così! Il personale di contatto deve essere

confronto tra aspettative

e percezioni del cliente

si affiancano e si

completano

formato al fine di stimolare i reclami → logica costruttiva del reclamo. Il reclamo

rappresenta il campanello d‟allarme: l‟azienda per la sua gestione deve sostenere una strategia

→ approccio non burocratico, anzi meglio perseguire un approccio gestionale, nel quale a sua

volta può essere insito un approccio personalistico. Quest‟ultimo può nascondere una cattiva

gestione, raccogliendo sì l‟opinione del cliente, ma senza tenerne in considerazione, quindi

senza un effettivo intervento.

Il punto di raccolta dei reclami, solitamente, se esiste, non è ben visibile, sempre a causa di

una logica di gestione paternalistica. Il reclamo dovrebbe servire per un‟effettiva

riorganizzazione, e il cliente deve percepirla. Tutto il personale di contatto deve essere

adeguatamente formato, in tal senso, e non solo il personale atto a raccogliere il reclamo.

Procedure per la gestione del reclamo

Il personale di contatto deve avere una certa autonomia nell‟applicazione delle procedure

(cosa dire e a chi indirizzare il reclamo): la standardizzazione va bene, ma non deve essere

eccessiva, infatti occorre trovare un equilibrio tra:

procedure di standardizzazione ↔ personalizzazione

Raccolta informazioni = vengono raccolte al fine di valorizzare la personalizzazione. Tale

informazione deve dar luogo ad azioni correttive nel sistema di gestione. Il cliente deve

percepire tali correzioni, infatti nei servizi si presenta tale situazione:

consumatore = produttore → prosumer.

Le azioni correttive devono essere intraprese tempestivamente in modo che il cliente

percepisca che il suo reclamo abbia avuto successo: il tempo che il cliente dà all‟impresa di

intervenire è piuttosto limitato. Dopodiché i reclami devono essere sottoposti a monitoraggio:

l‟impresa può dare rilievo al fatto che al suo interno sia previsto un sistema di raccolta dei

reclami: ovviamente ciò non basta, occorre comunicare al cliente che prende pure visione,

intraprendendo eventuali azioni correttive, secondo un principio di trasparenza → strategia

comunicazionale con il fine di rassicurare il cliente.

La gestione del reclamo non è soddisfacente nelle imprese, è più tipico delle PA (anche se in

realtà anche nelle PA non serve a molto). Il cliente ci mette anche del suo nel non

funzionamento di tale pratica, infatti considera il reclamo come una mera perdita di tempo →

logica prettamente paternalistica, derivante da un problema culturale che impedisce di

innescare processi di miglioramento continuo.

Per quanto riguarda il monitoraggio statistico viene utilizzata la legge di Pareto così da

individuare le ragioni dei reclami più frequenti. Secondo il diagramma di Pareto, pochi

individui detengono la ricchezza. Wran, studioso di management della qualità, sostiene che

l‟80% degli effetti, sia determinato da un numero ristretto di cause (20%) → legge 80/20: la

per intervenire sui

grandi numeri

il cliente deve uscire soddisfatto

dall‟operazione di raccolta del suo

reclamo

maggior parte dei problemi è indotta da pochi fattori. Quindi è possibile gestire ogni reclamo

non come unico, ma cercarlo di classificarlo all‟interno delle principali cause di

insoddisfazione dei clienti. In tal modo i reclami possono essere gestiti facilmente.

Curva di Lorenz = incidenza cumulata di un dato fenomeno ordinata in modo decrescente →

grafico che serve a individuare i principali fattori determinanti l‟insoddisfazione del cliente, i

quali attengono ai reclami più spesso presentati.

Il diagramma di Pareto rappresenta i reclami più ricorrenti individuandone le cause principali,

al fine di poter intervenire su di esse. Si tratta di uno strumento quantitativo (quante volte

viene presentato un reclamo), senza dare alcuna indicazione qualitativa, quindi senza

un‟opportuna classificazione. Da un certo punto di vista ciò è una cosa positiva: l‟impresa non

può permettersi di sottovalutare un determinato reclamo perché lo considera poco

importante. Infatti quello che pare poco importante per l‟impresa, magari risulta molto

importante per il cliente. Quindi il diagramma di Pareto è utile perché si mette nei panni del

cliente e permette di individuare quanto pesa un certo elemento d‟insoddisfazione. Ma quanto

vale un elemento di insoddisfazione? Di solito quanto il costo per correggere una certa

situazione, considerando quanto costerebbe non intervenire affatto. Quindi occorre

confrontare:

costo della

correzione

=

si può facilmente

calcolare

costo della non correzione

=

Occorre effettuare una stima in

base all‟effetto della non

correzione e in base alla gravita

dell‟elemento di insoddisfazione

del cliente

Valutazione dei consumatori attraverso dei questionari

I questionari sono strumenti diversi dagli indicatori di qualità, ma sono utili a valutare, più

che altro, la qualità prodotta, più che la qualità percepita. Gli esempi possono riguardare:

il numero di reclami (che dipende dalla loro gestione) → qualità percepita;

il numero di certificazioni del prodotto o dell‟impresa → qualità prodotta (la rincorsa

alle certificazioni, comunque, non è sempre positiva);

il numero di resi per difetti e/o invenduti;

il numero di nuovi clienti e il numero di clienti fedeli;

le analisi di benchmarketing: confronto con i concorrenti migliori, anche se in tal caso

risulta difficoltoso trovare i dati.

Gli indicatori rappresentano un sistema di controllo interno dell‟impresa: è utile anche

comunicarne qualcuno ai propri clienti come campagna di marketing.

I questionari sono strumenti utili per la valutazione della soddisfazione, ma per porli

l‟organizzazione deve prevedere un‟impostazione culturale orientata al cambiamento. Il

questionario è composto da domande atte a misurare la soddisfazione (o l‟insoddisfazione),

motivandone anche le cause. Inoltre il questionario è anche uno strumento per comunicare con

il cliente → canale di comunicazione con il cliente. Le figure principali per tale operazione di

rilevazione:

il cliente, che equivale all‟intervistato;

l‟intervistatore;

il decisore (di solito un manager);

il ricercatore.

I questionari vengono somministrati dagli intervistatori e rappresentano un supporto tecnico

al fine di raccogliere informazioni dai clienti. Può accadere anche che l‟intervistatore non sia

presente all‟operazione → questionario auto compilato dall’intervistato. L‟intervistatore può

esistere in un‟azienda di servizi quando vi è il contatto diretto con il cliente, ma ciò comporta

dei costi (l‟intervistatore comporta dei costi). E‟ meglio sostenere tali costi, al fine di

reclutare un intervistatore, nel caso che l‟azienda abbia necessità di maggiori informazioni

che non si possano standardizzare (ma che siano personalizzate). E‟ pur vero che a tal punto

subentra un ulteriore problema: come scegliere l‟intervistatore? La risposta a tale quesito è

sceglierlo ad es. tra il personale interno: in tal caso la conoscenza pregressa dell‟azienda può

influenzare l‟interpretazione della risposta del cliente, il quale, inoltre potrebbe sentirsi non a

suo agio nel rispondere con franchezza a un dipendente/collaboratore aziendale.

Il questionario serve per risolvere un problema gestionale; nel caso che il cliente sia

rappresentato da un‟impresa, si può evitare di utilizzare la figura professionale

dell‟intervistatore, la quale potrebbe provocare diffidenza, ma piuttosto si può fare ricorso al

questionario. In tal caso poteva risultare difficile conoscere la soddisfazione del cliente

finale (che è il cliente del cliente-impresa), anche perché risultava molto costoso.

Attualmente, grazie a internet, però, è più facile raggiungere tali consumatori mediante

strumenti semplici ed estremamente personalizzabili, riuscendo a scavalcare il cliente-impresa

intermediario. Problema culturale reciproco:

il cliente deve avere la percezione di essere ascoltato, e che ciò influenzi

l‟organizzazione dell‟impresa;

l‟impresa deve reputare attendibile l‟opinione del cliente e deve tenerne conto,

intervenendo sull‟organizzazione.

La caratteristica dei questionari è quella di essere standardizzati → conseguenza: anche le

risposte saranno standardizzate (visto che la maggior parte delle domande saranno domande

chiuse, completate da alcune aperte). Quindi occorre una mediazione tra:

standardizzazione (la maggior parte) ↔ personalizzazione (alcuni spazi liberi)

I punti salienti per elaborare un buon questionario sono:

stabilire le informazioni necessarie: come impostare le domande, le quali non devono

essere troppe, ma occorre la sicurezza di riuscire a ottenere le informazioni

necessarie a fare emergere/risolvere il problema;

determinare la tipologia dei quesiti: interviste dirette, indirette, ecc.;

determinare il tipo di domande: aperte, chiuse;

sperimentare il questionario su un campione (prima di avviare l‟indagine);

scegliere se far redigere il questionario in modo anonimo, in modo da poter lasciare al

cliente l‟opportunità di dire quello che crede senza essere riconosciuto (soprattutto

nel caso di intervista diretta);

scegliere il momento di somministrazione del questionario, se durante il servizio,

immediatamente dopo, un po‟ di tempo dopo. Occorre considerare che durante il

servizio il cliente non può avere una visione globale, ma solo di alcuni aspetti specifici,

mentre alla fine è più obiettivo sulla globalità → il giudizio può cambiare a seconda che

il questionario venga somministrato poco tempo dopo o in un momento successivo: la

valutazione più lontana è dall‟erogazione del servizio, e più attenuata è per quanto

riguarda gli aspetti di dettaglio. Tuttavia, in alcuni casi, subito dopo la fruizione, il

cliente non è in grado di fornire una valutazione in modo adeguato, ossia molti servizi

richiedono più tempo per essere valutati: è il caso dei servizi finanziari, dei servizi

formativi, dei servizi sanitari con un elevato contenuto intangibile (VA) e per il quale è

necessario del tempo al fine di valutarne gli effetti → le risposte attendibili dipendono

anche dal tempo di somministrazione del questionario.

Esistono due tecniche per costruire un quesito in grado di valutare la soddisfazione del

cliente:

1. tecnica del gap: divario tra ciò che il cliente considera importante e ciò che il cliente

percepisce (in termini di soddisfazione nei confronti di un determinato fattore) →

livello d‟importanza che quell‟aspetto ha per il cliente, e se tale esigenza venga

soddisfatta o meno;

2. tecnica di regressione statistica: usata in merito alla soddisfazione complessiva del

servizio globale e contemporaneamente su specifici aspetti → mira a valutare la

soddisfazione la soddisfazione complessiva, cercando poi le specifiche cause di

commenti elaborati secondo

un‟ottica personalizzata

soddisfazione/insoddisfazione: come incidono i fattori specifici sulla soddisfazione

complessiva.

Funzione del questionario = ricercare spazi di miglioramento all‟interno dell‟azienda, la

soddisfazione del cliente deve essere conseguita di conseguenza. Quindi, l‟obiettivo è quello di

individuare gli elementi critici (ossia quelli che non funzionano) e correggerli: per fare ciò è

opportuno utilizzare la tecnica della regressione (per comprendere il grado di soddisfazione

generale, più nei particolari capire quali attributi creino insoddisfazione).

Confronto: aspettative generali rispetto a quell‟attributo, in pratica quanto il cliente viene

soddisfatto nell‟ambito di un determinato attributo offerto dall‟impresa → il cliente, tramite

le sue risposte, fornisce un‟idea di impresa eccellente.

Modello Servqual

Modello Servqual = modello di rilevazione fatto tramite questionari al fine di valutare la

qualità dei servizi. Si compone di due parti:

1. l‟importanza che il cliente dà a certi aspetti (22 domande);

2. la rilevazione della percezione del cliente nei confronti dell‟impresa (22 domande).

Tale modello risponde alla logica della tecnica del gap. Le aspettative e le percezioni vengono

valutate rispetto a 5 dimensioni (le aspettative/percezioni servono a valutare il grado di

soddisfazione del cliente/la qualità dell‟azienda di servizi): 4 dimensioni su 5 si occupano delle

capacità del personale di contatto al fine di soddisfare il cliente. Tali capacità sono:

1. affidabilità;

2. capacità di risposta;

3. capacità di rassicurazione;

4. empatia.

A questi fattori occorre aggiungere anche gli aspetti tangibili, i quali vengono valutati

facilmente dal cliente.

La misurazione viene fatta attraverso una scala che va da 1 a 7 → occorre capire il gap tra

ciò che si aspettava il cliente, rispetto a cosa egli ha effettivamente ricevuto. Maggiore è la

differenza tra le due dimensioni, e peggiore sarà la soddisfazione del cliente.

Aspetti tangibili: le domande da porre sono semplici da formulare e devono far risaltare la

valutazione rispetto a quella che sarebbe un‟impresa eccellente per il cliente (idea che il

cliente ha sulla stessa → punto di vista del cliente).

Si pongono delle domande sugli aspetti tangibili che siano molto semplici, al fine di cogliere la

funzionalità e la piacevolezza di tali aspetti, prima per quanto riguarda l‟idea di impresa

eccellente, e poi per l‟impresa in questione.

Tutte queste tecniche che mettono al centro le aspettative del

cliente sono utili, ma può anche capitare che il medesimo

consumatore abbia delle attese irrealistiche/irrealizzabili, a

causa del fatto di non conoscere i processi di

costruzione/produzione/erogazione del servizio.

Capacità di risposta: le domande per misurare le capacità del personale di contatto, di

risposta a tutte le esigenze dei clienti (prima sull‟impresa eccellente e poi sull‟impresa che si

sta analizzando) hanno lo scopo di individuare gli aspetti legati alle relazioni tra il personale di

contatto e il cliente durante la fase di erogazione del servizio.

Empatia: tema caro al marketing dei servizi; l‟impresa deve saper creare una relazione con il

cliente che dovrebbe perdurare nel tempo. Quindi le domande vogliono verificare se il

personale di contatto sia in grado di creare una relazione personalizzata cogliendo le esigenze

specifiche del cliente. Tali domande sono importanti quando le competenze risultano elevate e

gli asset tangibili siano poco importanti (ossia quando la componente intangibile risulti molto

elevata).

Nonostante tutto il modello Servqual risulta molto superficiale perché punta scarsamente alla

soddisfazione, e perché non si occupa molto della relazione tra personale di contatto e

cliente, e quindi senza verificare che il primo sia effettivamente in grado di soddisfare le

esigenze del secondo (pag. 279-280 “Marketing dei Servizi”).

Ma l‟aspetto relazionale cambia a seconda che il cliente sia abituale o meno, o anche in base

alla segmentazione della clientela (clientela d‟affari o clientela leisure). Di solito viene rilevato

solo il contatto (e non la relazione) perché anche da parte dell‟impresa viene dato un peso

eccessivo agli aspetti tangibili (i quali sono valutati facilmente dal cliente).

Notorietà del marchio = quanto pesa sulla valutazione, rispetto agli elementi relazionali, (=

quanto è importante nella relazione impresa-impresa e impresa-cliente la notorietà del

marchio; magari si potrebbe dare più importanza alla reputazione (≠ immagine: se vi una buona

reputazione, vi è anche una buona immagine, ma non è vero il contrario!).

Marketing relazionale = a seguito della crisi del marketing tradizionale nasce il marketing

relazionale. La crisi è derivata da:

1. come si è evoluto il concetto di marketing nel corso del tempo. Anni ‟80: il marketing

era un processo di pianificazione e di realizzazione delle attività di concepimento,

attribuzione del prezzo, promozione e distribuzione di idee, beni e servizi destinati a

creare scambio, allo scopo di soddisfare gli obiettivi degli individui e delle

organizzazioni (1985) → 4 p del marketing mix.

Scambio = nel marketing relazionale questo rappresenta un concetto riduttivo, in cui si

sottolinea la relazione tra gli attori protagonisti dello stesso (scambio che è stato

rifiutato da alcuni autori come fulcro del marketing);

2. come concetto di valore, la definizione di marketing rappresenta la creazione di valore

basata sulla relazione: in tale situazione si nominano gli stakeholder (2004). Creare

valore e gestire la relazione è finalizzato al cliente, ma si guarda anche agli altri

stakeholder (= portatori di interesse) → il marketing non ha più come riferimento il

cliente, ma tutti gli stakeholder al fine di creare valore nei confronti di tali soggetti

(estendendo il proprio ambito di applicazione). In questo caso occorre stabilire come il

marketing relazionale abbia influenzato quello tradizionale.

La logica delle 4 p non era appropriata perché con essa si considerava il mercato come un dato

stabile (valutandolo solo dal lato dell‟offerta), senza considerare i mutamenti delle scelte del

cliente. Di fronte alla crisi si sviluppano due approcci:

a. ridefinizione della vecchia logica del marketing tradizionale, del marketing mix. Si

tratta di un‟innovazione, ma comunque si replica la vecchia logica;

b. sviluppo di nuovi approcci → marketing relazionale.

Un esempio di ridefinizione di marketing è il megamarketing di Kotler, per riportare sotto il

controllo del marketing tutti i comportamenti del cliente → ogni azione con la quale l‟azienda

cerca di soddisfare i bisogni, è sotto pertinenza del marketing. Altri autori hanno aggiunto

delle p alle 4 p (ad es. p di personale, o p di partecipazione del cliente), mentre altri hanno

stabilito altri acronimi. Tutto ciò al fine di valorizzare la domanda: un esempio sono le 4 c di

Kotler: 1) customer value (= product);

2) customer costs (= price);

3) customer convenience (= distribuzione);

4) customer comunication (= promotion).

Marketing relazionale: definizioni: punto di equilibrio tra domanda e offerta, riconoscendo

che il mercato è instabile. Così:

approccio dell‟impresa nei confronti del mercato basato sulle relazioni sviluppato negli

anni ‟90 (anni in cui è avvenuta la globalizzazione), valorizzando l‟aspetto relazionale;

nel 2004 si inserisce nella definizione di marketing in generale il concetto di relazione

con gli stakeholder (in realtà il concetto di relazione a lungo termine con gruppi di

interesse esisteva già nel 1979);

nella logica internazionale si parla di network di relazioni di lungo termine;

il marketing relazionale incompatibile con la logica di marketing mix (secondo alcuni

autori).

tutte le vecchie 4 leve del marketing

mix, ma viste dal punto di vista del

cliente/della domanda (la vecchia

logica prendeva in considerazione

solo l‟offerta).

Bidirezionalità delle relazioni = si tratta di relazioni di reciproca influenza tra domanda e

offerta. Si fa in modo che l‟offerta comprenda le esigenze della domanda → relazione con un

certo contributo sociale: l‟essere umano ha il bisogno di relazionarsi. Il marketing relazionale

ha un approccio di medio/lungo termine (con convenienza economica di medio/lungo termine

derivante da forti investimenti). La logica del breve termine (spesso troppo utilizzata per

rispondere a esigenze del mercato finanziario) non è soddisfacente per creare una buona

relazione col cliente, ma è necessario tempo (per il ritorno degli investimenti).

Mass marketing = marketing di massa al fine di intraprendere una strategia di marketing

adeguata a tutta la clientela. Caratteristiche:

i consumatori sono tra di loro sostituibili;

i consumatori non hanno esigenze differenziali;

i consumatori hanno basso potere contrattuale.

Attualmente la logica, naturalmente, non è più concepita secondo il mass marketing, per il

quale ogni consumatore è uguale all‟altro, viene offerto un prodotto di massa in tutti i paesi

(anche a livello internazionale). Il mass marketing, ultimamente è stato sostituito dalla mass

customization (= personalizzazione di massa). Quest‟ultima, però, è considerata un ossimoro

poiché è inconcepibile. Ma i sostenitori di tale filosofia vedono conciliabili i volumi di vendita

con la personalizzazione di massa, in cui prevalgono due obiettivi:

i volumi;

la personalizzazione del prodotto/servizio.

Il valore per il cliente si basa su relazioni di lungo periodo basate sulla fiducia, favorendo al

massimo la partecipazione del cliente, anche in fase di progettazione dell‟output. La fedeltà

del cliente è conseguenza dei fatti elencati in precedenza → la scelta non deriva dalla massa,

ma da una decisione consapevole. Allora: per rendere stabile un mondo instabile, è necessario

identificare le differenze tra le fedeltà del cliente rispetto a tale approccio, e quelle riferite

al marketing tradizionale: in quest‟ultimo il prodotto e il brand si sostituiscono → il cliente va

a cercare il brand e non più il prodotto (strategia di top of mind), considerando in tal caso

che, spesso, il cliente è infedele. Mentre nella logica del marketing relazionale si punta alla

fidelizzazione, cercando un rapporto relazionale con il cliente → la fedeltà del cliente è più

stabile.

Le ragioni della crisi del marketing tradizionale → instabilità del contesto, in cui opera

l‟impresa: per tale soggetto cadono tutte le certezze, ed essa deve operare adottando logiche

diverse. Vi è un‟altra ragione: la segmentazione della cliente è sempre più difficile (i segmenti

sono omogenei dal punto di vista dei consumi: è opportuno segmentare sulla base di alcune

variabili considerate dall‟impresa rilevanti al fine di determinare i comportamenti d‟acquisto)

→ comportamenti differenziati anche all‟interno di uno stesso segmento.

Attualmente il problema è la gestione della relazione con il cliente e con tutti gli

stakeholder → occorre creare delle relazioni che creino in sé e per sé valore per il cliente,

indipendentemente dal valore del prodotto/servizio che consuma.

Bene relazionale = parte di valore data a un bene/servizio che dipende dalla relazione (=

contenuto relazionale). Lo stesso bene che viene consumato nell‟ambito di una relazione ha un

valore più alto per il cliente rispetto al medesimo prodotto a basso contenuto relazionale,

nonostante il raggiungimento dell‟obiettivo aziendale (la stabilità).

Mass customization = disciplina inserita spesso all‟interno del marketing relazionale, anche se

ciò non è preciso, perché in realtà le due materie hanno dei termini di contatto sì, ma sono

comunque diverse. La mass customization rappresenta la personalizzazione di massa che si

sviluppa a fronte del declino di marketing. Caratteristiche:

cliente più esigente;

concorrenza più aggressiva.

La standardizzazione del prodotto non è più una strategia vincente (lo era quando la

concorrenza si giocava sulla leva del prezzo). La mass customization, quindi, nasce per far

fronte a due esigenze:

1. mantenere alti i fatturati → mercati di massa;

2. personalizzare i beni/servizi: più che di personalizzare si tratta di adattare il

prodotto/servizio a esigenze sempre più specifiche del cliente.

Occorre considerare che:

personalizzazione ≠ differenziazione.

Bisogna mantenere alti i fatturati per lavorare sui costi e ottenere così economie di scala.

Marketing one-to-one = valorizza il peso del cliente dal punto di vista dell‟impresa. L‟impresa

studia bene i suoi clienti e valorizza la relazione con questi vendendo loro di più → stabilità =

meglio pochi clienti a cui l‟impresa vende di più. Sono necessarie due operazioni per fare ciò:

up selling: vendere quantità maggiori di prodotti/servizi al medesimo cliente → azioni

di marketing operativo che supportano le strategie di costo (= economie di esperienza,

intraprese grazie alla conoscenza del cliente);

cross selling: vendere altre tipologie di prodotti al medesimo cliente → azioni di

marketing operativo che supportano una strategia di diversificazione correlata

lavorando in diversi business e realizzando diversi prodotti (= economie di scopo +

economie di esperienza, si sfrutta il vantaggio del brand).

Non si ragiona in termini di numero di clienti, ma al massimo in termini di clienti fedeli

(quando l‟impresa genera fatturati stabili nel tempo).

Il marketing one-to-one è una tecnica di marketing operativo che rientra nella mass

customization. Le modalità di personalizzazione sono:

1) personalizzazione del prodotto: in origine, al momento della sua progettazione. Il

cliente sta partecipando alla progettazione e allo sviluppo del prodotto che abbia un

il prodotto standardizzato non

risulta più adeguato.

dal punto di vista del cliente: domanda

prodotti/servizi rispondenti alle sue

esigenze più specifiche del cliente

dal punto di vista dell‟impresa:

l‟impresa si differenzia rispetto

agli altri concorrenti

grado di variabilità nella fase di progettazione e sviluppo (ad es. nel caso dell‟abito da

sposa);

2) personalizzazione di consumo: al momento dell‟incontro col cliente. Si tratta del

mondo dei servizi, soprattutto nell‟ambito della distribuzione riguardante un mero

scambio di beni tangibili (ad es. nel caso degli occhiali da vista);

3) produzione modulare: il prodotto è costituito da vari moduli, il cliente finale decide il

prodotto finale componendo i vari moduli a suo piacimento. L‟impresa deve essere brava

a costruire tutti i moduli in modo che siano componibili l‟uno con l‟altro (ad es. nel caso

della vendita di automobili e degli arredi);

4) abbreviazione dei tempi di risposta: lavorando sulla catena del valore. Si

standardizza tutto ciò che riguarda il processo produttivo, e poi si personalizza alla

richiesta del distributore → è un tipo di personalizzazione che il cliente percepisce

meno (è più una logica organizzativa).

Mass marketing: Mass customization:

logica produttiva di massa; logica produttiva della

produzione flessibile, con

competenze legate alla

flessibilità;

stabilimenti/impianti di grandi

dimensioni;

imprese di piccole dimensioni;

consumatore passivo e

massificato (un cliente è uguale

all‟altro);

cliente più attivo che

interagisce con l‟impresa;

→ volumi che consentono di

realizzare economie di scala

avvalendosi di imprese di grandi

dimensioni.

→ risposta a un‟evoluzione delle

dinamiche di produzione e delle

esigenze del cliente ↓

marketing interattivo = non si

parla di relazione, ma di

interazione: può anche

sussistere una relazione, ma non

è detto che ci sia.

La mass customization sostituisce il mass marketing rispondendo a un mercato massificato, e

contemporaneamente sempre più caratterizzato da esigenze specifiche dei clienti. Si sviluppa

grazie alle opportunità dell‟informatica, la quale consente di raccogliere dati immensi sui

clienti → raccolta dati sui clienti (ad es. grazie il codice a barre): le imprese di distribuzione

sono fonti di dati enormi riguardanti il cliente. Tale aspetto permette di ribaltare il potere

contrattuale tra distributore (appunto detentori di innumerevoli informazioni preziose sui

clienti finali) e produttore. Al fine di relazionare la mass customization con il marketing

relazionale, occorre fare una premessa: entrambi si sono sviluppati come reazione al declino

del mass marketing, ma le differenze tra i due sono sintetizzate nella seguente tabella:

mass customization:

si tratta di una logica di lungo termine del mass

marketing. In pratica si aumentano i volumi di

vendita, ma senza che sia necessaria una vera e

propria relazione con il consumatore: basta una

semplice interazione con il medesimo. Lo

strumento mediante il quale la mass customization

si sviluppa è l‟informatica → strategia di

marketing operativo che consente al cliente di

interagire con l‟impresa al fine di ottenere un

prodotto/servizio standardizzato. Quando la

logica è di massa diventa difficile parlare di

relazione, infatti si tratta semplicemente di

un‟evoluzione del mass marketing.

marketing relazionale:

implica una vera e propria relazione. Logica:

creare una relazione di lungo termine con il

cliente che porta a dei determinati vantaggi

(come ad es. nel caso dei servizi finanziari). I

volumi di vendita (la stabilità della domanda)

giungono in conseguenza della fidelizzazione del

cliente (implementando un certo tipo di relazione).

Marketing one-to-one = per intraprenderlo

l‟impresa deve avere le informazioni necessarie

sui clienti, scegliendo quelle migliori. Anche in tal

caso si ragiona sempre su una logica legata ai

volumi, quindi si rientra nella mass customization.

Ruolo dell‟IT

L‟evoluzione del comparto informatico e tecnologico ha comportato una vera e propria

rivoluzione economica.

Social media = comunità virtuali, strumenti di interazione con il cliente per acquisire in modo

semplice e rapido delle preziose informazioni → comunicazioni sociali/pubbliche condivise nel

web.

Le logiche di segmentazione del consumatore, a fronte dell‟evoluzione in corso, vanno

integrate e segmentate anche per età. E‟ vero che i modelli di consumo cambiano, quindi è

necessario individuare modalità di segmentazione che tengano conto di tali cambiamenti. Così

il marketing si ritrova a dover abbandonare l‟idea che il consumatore non agisca come soggetto

razionale, e quindi, avvalendosi di razionalità economica, effettua un calcolo (economico),

considerando che il cliente decida secondo una logica di bisogno, di acquisto e di beneficio.

Infatti, ragionare secondo una logica razionale significa tradurre il bisogno in un

comportamento di acquisto e consumo che produce un beneficio, il quale viene calcolato

scrupolosamente in maniera razionale, secondo un semplice calcolo economico. In realtà, però,

il consumatore non decide solo razionalmente, infatti lo stesso imprenditore sceglie di farsi

approvvigionare da terzi, anche solo per il fatto di instaurare delle relazioni di fiducia con

delle persone, prima di effettuare un calcolo per evidenziare la convenienza economia nel

rivolgersi a uno, o piuttosto a un altro soggetto.

In economia si abbandona l‟idea che il consumatore si comporti sempre come un soggetto

razionale, ma semmai si prende in considerazione che si comporti anche in maniera razionale.

Ciò significa che non sempre il consumatore prenda le sue decisioni sulla base di calcoli di

razionalità economica (la quale si esplica in calcoli economici per vedere cosa gli convenga di

più), ma le sue valutazioni sfociano anche in comportamenti irrazionali, senza che si tratti di

follia o casualità. Il consumatore non decide solo sulla base di mera razionalità economica, così

come l‟imprenditore non sceglie se produrre all‟interno o di acquistare all‟esterno solo sulla

base dei costi di transazione. Considerare che il soggetto decida solo alla base di meri calcoli

di razionalità economica è riduttivo per molti economisti: anche il marketing comincia a tenere

in considerazione ciò, infatti il cliente non è considerato un soggetto economico, ma un attore

sociale che agisce in un contesto sociale. Per un certo periodo la componente economica e

quella sociale erano considerate completamente diverse, e addirittura risultavano tra loro in

conflitto. Mentre, attualmente, si pensa possibile comunque mantenere distinti i due

comportamenti, sia se intrapresi da un soggetto, sia se intrapresi dall‟impresa. Il

comportamento del soggetto sociale è tenuto separato, quindi, dal suo comportamento come

soggetto economico. Importante!: ogni atto economico rappresenta un atto nel quale i soggetti

si scambiano valore, esprimendolo nella relazione tra gli stessi; se questo non creasse valore, il

comportamento economico non avrebbe ragione di esistere. La dimensione sociale si limita ad

aggiungersi, arricchendo così la dimensione economica. In questa nuova concezione del

consumatore come soggetto sociale, e non solo come mero soggetto che pone in atto relazioni

di tipo economico, sta la concezione atomistica del cliente al riconoscimento dello stesso, per

cui il medesimo mercato è il luogo in cui interagiscono più soggetti, i quali esprimono esigenze

autonome e differenziate tra loro. Quindi, il concepire il cliente, non solo come soggetto

economico, ma anche come un soggetto sociale, significa riconoscere che la persona, in quanto

tale, durante tutte le sue attività si relaziona con altri soggetti, facendolo sempre in modo

originale e non standardizzato. Invece, in ambito di mercato concepito in modo atomistico, i

clienti sono considerati come sostituibili tra loro, e quindi uguali, e hanno un limitato potere

contrattuale. Con essi l‟impresa sviluppa rapporti di brevissimo termine e le relazioni cliente-

impresa di lungo termine sono considerate eccezionali → marketing di massa: si produce un

prodotto standardizzato su un mercato globale, quindi di massa, in cui piazzare lo stesso.

Caratteristiche del nuovo approccio (concezione atomistica del cliente):

il consumatore non considerato un soggetto economico, ma un attore sociale;

presenza di una molteplicità di soggetti che esprimono una pluralità di visioni e di

esigenze in modo autonomo e differenziato;

vi è un fenomeno denominato cross fertilization, ossia l‟integrazione con altre

discipline quali la psicologia e la sociologia, per cui il consumo rappresenta un momento

della vita quotidiana, influenzato da fattori psicologici e sociali, quindi come già

menzionato, non solo come un mero atto economico.

Prima il marketing doveva occuparsi solo dell‟ambito economico, mentre adesso deve occuparsi

anche di quello sociale. In precedenza, infatti venivano separati in due gli ambiti, basandosi

esclusivamente su leggi matematiche; attualmente si considerano i due settori come

relazionati, ma la relazione è unidirezionale. Infatti l‟ambito economico è quella parte di

mondo per cui si svolgono dei determinati atti al fine di creare valore, mentre l‟ambito sociale

è quello riguardante la relazione tra soggetti economici, e contiene l‟aspetto economico. Ne

deriva che quando viene utilizzato l‟aggettivo “socio-economico” si intende proprio questo.

Il marketing si avvale di psicologi per comprendere il comportamento di acquisto e di consumo

del consumatore. La psicologia fornisce un contributo importante in relazione alle motivazioni

che guidano nella scelta tra più alternative. Ancora si tenta di spiegare cosa fa scegliere un

prodotto piuttosto che un altro e l‟eventuale motivazione atta a individuare una relazione

causa-effetto di un‟azione di marketing, la quale dovrebbe essere il più appropriata possibile:

si fa riferimento agli aspetti psicologici, non si considera l‟uomo come animale sociale, ma come

una persona con una sua psiche, cercando di convincerla nello scegliere il proprio prodotto,

piuttosto a quello dei concorrenti. In tal caso si considera che non intervenga molto la

razionalità economica, per questo motivo è utile chiedere aiuto alla psicologia. Infatti, visto

che è saltata la concezione secondo cui tutti i clienti sono uguali, si prende in considerazione

l‟idea di studiare il comportamento del consumatore dal punto di vista psicologico. Rischio: non

essere più in grado di segmentare in maniera opportuna, addirittura facendo riferimento in

modo rigido alla disciplina psicologica, si rischia di non concepire nemmeno più il mercato di

massa, cosicché una sua segmentazione diviene molto difficile, e si mette, così, pure a rischio

la possibilità di standardizzare. L‟ottica da preferire, dal punto di vista del marketing, è quella

secondo cui è utile accettare il contributo derivante dalla psicologia, ma non in modo troppo

rigido, quindi tentare una segmentazione adottando variabili diverse da quelle più tipiche e

tradizionali. Tali variabili psicologiche utili da tener presente durante la segmentazione del

mercato sono:

la motivazione: motivazione specifica del cliente nel consumare un certo tipo di

prodotto e la sua soddisfazione nel farlo;

la percezione: come il cliente percepisce il consumo del bene/servizio;

la memoria: tutto ciò che il cliente ricorda, rammentando che dal punto di vista

psicologico, i consumatori ricordano più facilmente gli eventi negativi, e la memoria

agisce, in generale, contro l‟impresa;

l‟attitudine: valutazione duratura e generale che il soggetto esprime rispetto a una

certa esperienza di consumo, ma anche valutazione generale in merito alla propria

soddisfazione;

l‟apprendimento: cambiamento permanente di un comportamento dovuto a

un‟esperienza vissuta;

la personalità: aspetto più complesso da valutare in termini di causa-effetto e di

standardizzazione; la personalità è unica! Tutti gli investimenti che l‟impresa fa in

termini di comprensione della stessa si traducono in estrema difficoltà nell‟individuare

cause-effetto, e quindi sorgono evidenti problemi nel segmentare. In generale si cerca

una standardizzazione non del prodotto, ma dei comportamenti a cui, nel seguito, si

assoceranno determinati prodotti.

In pratica si cerca di individuare dei gruppi di clienti omogenei dal punto di vista del

comportamento di consumo, ma non risulta facile individuarli ex ante. A tal riferimento si

possono usare delle variabili demografiche, economiche, ecc., per determinare dei segmenti

senza più utilizzare le vecchie variabili (considerando, però, che anche quelle più innovative

basate sulla disciplina psicologica, sono comunque labili). Ad es. si può segmentare in base alla

variabile attitudinale riferendosi a clienti abituati a seguire la moda, o al contrario, a persone

le quali non voglio appartenere, per nessuna ragione, ad alcun gruppo. In tutti i casi, comunque,

l‟impresa deve tenere conto degli stili di vita dei consumatori a cui essa si propone, al fine di

lanciare ai medesimi, gli opportuni messaggi comunicazionali, riguardanti ad es. il contesto

sociale, l‟ambiente, il design del prodotto, la novità, la moda del momento, il cambiamento

imminente, ecc..

Ricerche di marketing = vengono effettuate perche sono fonte di vantaggio competitivo

rispetto alla concorrenza. Per fare tali ricerche è indispensabile essere forniti di un sistema

informativo che permette di reperire dati e trasformarli in informazioni preziose.

Symphony IRI

E‟ un‟azienda di servizi informativi che reperisce informazioni:

quantitative;

continuative: l‟acquisizione dei dati è settimanale e il rilascio del database è mensile.

Retail tracking = è il principale prodotto di Symphony che ha rivoluzionato il sistema di

informazioni → codice a barre: ogni singolo prodotto ha un proprio codice a barre. Vi sono

dei prodotti con codici variabili, dipendenti dal peso; non si tratta di un codice unificato per

tutte le aziende, per tutti i prodotti, ecc. (come ad es. per i prodotti serviti nei banchi, e nelle

vaschette take away).

Servizio random weight = per attribuire al codice sconosciuto il tipo di prodotto e la relativa

marca al fine di evidenziare il potere di marca in riguardo alle categorie merceologiche di

appartenenza.

Sono 4 le dimensioni di cui occuparsi:

1. il prodotto;

2. il periodo (breve: la settimana; medio: il mese; lungo: l‟anno);

3. la geografia, ad es. segmentando il largo consumo in ipermercati, supermercati, liberi,

servizi piccoli, discount, tradizionali, specializzati;

4. le misure;

→ gerarchia delle banche dati: alla stessa categoria merceologica appartengono più

prodotti, quindi ogni prodotto dà luogo a banche dati differenti.

L‟indicatore principe resta comunque la quota di mercato; molto importanti risultano anche gli

indicatori di distribuzione (di frequenza) = distribuzione numerica. Ancora da prendere in

considerazione è la distribuzione ponderata.

Le vendite dipendono dai seguenti fattori:

posizionamento di prezzo;

azioni sul prezzo (magari temporanee): promozioni, tattiche sul prezzo;

assortimento sullo scaffale;

spazio sullo scaffale;

azioni di comunicazione;

azioni di fidelizzazione della clientela.

La crescita delle vendite deriva da:

vendite di base: forza del prodotto nella sua componente di base;

vendite incrementali: frutto delle attività di marketing di breve periodo.

Attualmente a causa della crisi la situazione è quella di avere delle vendite delle componenti di

base non brillanti, ma che vengono ampiamente compensate con ingenti vendite incrementali.

I dati che non possono essere forniti sono quelli per insegna: i distributori non devono

apparire nei database. Ma in alcuni casi ciò può essere previsto tramite accordi per politiche

di comunicazione del distributore: in Italia, però, tale situazione è rara purtroppo, il

distributore custodisce di solito alla segretezza delle proprie vendite.

Consumi fuori casa = categoria merceologica in cui un grossista vende ai propri clienti

tramite degli intermediari:

produttori nel F&B → intermediari (GDO) → canali → consumatori.

Symphony IRI si occupa pure di stampare dei volantini (= rappresentano i principali media dei

supermercati per espandere la pubblicità al di fuori del punto vendita).

Symphony IRI, inoltre, si occupa di raccogliere i dati direttamente all‟interno del punto

vendita, in pratica si occupa di elaborare le informazioni necessarie, tirandole fuori dai numeri

mediante un‟analisi accurata e un‟opportuna interpretazione dei dati, al fine di suggerire

eventuali modifiche dei business. In particolare è necessaria un particolare tipo di analisi

denominata analisi dello shopper: si tratta di analizzare il cliente durante l‟acquisto,

mediante interviste in loco (= intervista in store). Occorre tenere presente che la decisione

di acquisto viene presa:

al 50% non sul punto vendita (lista della spesa);

al 50% direttamente sul punto vendita.

Il consumatore sta mediamente 50 secondi davanti a uno scaffale per scegliere il prodotto →

logiche di marketing per scegliere il posizionamento del prodotto, ossia decidere come lo

stesso deve essere collocato nello scaffale → costruzione del planogramma da parte del

produttore, legato sulle performance del prodotto nel mercato (e non di quelle nel punto

vendita). Grazie al planogramma il produttore propone la sua idea di scaffalatura al

distributore.

Analisi what if = analisi che comprende cosa accade se…, effettuata in base al mutamento

del piano di comunicazione (e delle sue leve).

Cross fertilization = il marketing deve essere integrato con altre discipline (come la

psicologia e la sociologia).

La variabile psicologica ha la funzione di valorizzare alcune componenti della personalità nella

logica della domanda.

Il contributo della sociologia è molto importante perché parte dal presupposto che l‟uomo vive

in relazione con gli altri, quindi attraverso tali relazioni, si gratifica.

Gruppo di riferimento = per sottolineare l‟influenza esterna esercitata dal gruppo di

riferimento a cui l‟individuo vorrebbe appartenere (l‟uomo per sua natura vuole appartenere a

dei gruppi → l‟uomo è un animale sociale), per riconoscersi nel medesimo. Dalla socialità

dell‟uomo dipende il rapporto che l‟impresa ha con i suoi clienti e se vuole fidelizzarli o meno

(→ bisogno di relazionalità). La relazionalità/socialità crea valore → un bene vale di più, se

consumato nell‟ambito di una relazione, ma allora per valutare tale valore (e per aumentare il

fatturato):

se allo stesso cliente si vende di più;

se allo stesso cliente si fa pagare un prezzo più alto (non sempre il cliente è disposto a

pagare un prezzo maggiore).

In caso, invece, il fatturato non aumenti:

il fatturato si è stabilizzato → stabilità dei propri clienti;

è opportuno valutare altri aspetti come la soddisfazione del cliente.

L‟individuo ha bisogno di appartenere a un gruppo, e all‟interno può assumere un diverso ruolo:

il gruppo si aspetta da esso un certo comportamento che sia coerente con le aspettative del

gruppo (il quale a sua volta influenza l‟individuo e il suo modo di acquistare). Tale studio è

complesso perché l‟individuo assume diversi ruoli in base al contesto in cui si muove. Il

marketing:

individua i gruppi;

cerca di comprendere le norme all‟interno dei gruppi perché esse giustificano il

comportamento di acquisto:

Le differenze rispetto le vecchie/tradizionali variabili di segmentazione sono:

le tradizionali variabili sono oggettive;

le variabili sociologiche vengono individuate mediante delle indagini condotte

direttamente, domandandole alle stesse persone. Questo avviene grazie

all‟informatizzazione: essa consente di fare ciò a costi accettabili, ma presuppone la

disponibilità a usare il mezzo da parte del soggetto → variabili soggettive: il punto

forte di queste ricerche è di andare a chiedere le opinioni direttamente ai potenziali

clienti; il punto debole è che le soggettività che si esprimono non sempre sono un

campione così rappresentativo.

individuazione di nuove modalità di

segmentazione demografica = capire il processo

decisionale che guida il comportamento di

acquisto dei consumatori.

Le variabili utilizzate dalla sociologia analizzano dei particolari aspetti riguardo a:

gruppo di appartenenza;

gruppo di riferimento.

Gruppo di appartenenza = gruppo a cui effettivamente si appartiene.

Gruppo di riferimento = gruppo a cui si aspira.

I due concetti possono anche coincidere.

Gli altri aspetti per definire le variabili sociologiche sono:

opinioni dei leader;

classe sociale di appartenenza (occorre segmentare in base a tale parametro, anche se

ciò risulta difficile perché la differenziazione delle classi non è così netta);

formazione culturale del consumatore: occorre essere più cauti nel determinare un

netto determinismo dei parametri, ricordando che la formazione culturale è diversa dal

livello di istruzione.

Si analizzano due atteggiamenti (opposti tra di loro) i quali rappresentano un problema per il

marketing, e che si sono sviluppati nel corso del tempo:

consumo critico: vi sono 3 aspetti comuni:

1) maggior consapevolezza degli effetti del consumo;

2) ruolo più attivo dei consumatori;

3) maggior attenzione/sensibilità rispetto alle varie tematiche.

Il consumo critico ha contribuito a dar vita al gruppo di riferimento dei consumatori

critici (come i consumatori di prodotti biologici, non inquinanti). Non è detto che tale

tipo di consumatore spenda poco, anzi;

iperconsumismo: dovuto al boom del credito al consumo; soggetto che viene travolto

dalle offerte delle imprese, senza riuscire a resistervi; così facendo spesso va anche

oltre la propria possibilità economica → sindrome lavora e spendi.

Sono state individuate 3 categorie di persone mediante una ricerca dettagliata, le quali:

i. follower: soggetti che hanno tendenzialmente paura della crisi, quindi attendono

ragionando in termini di risparmio (= riduzione dei costi);

ii. mainstreamer: hanno un atteggiamento verso la crisi diverso dai follower, utilizzano

anche degli strumenti digitali, oltre che quelli tradizionali;

iii. innovator: è la fascia più evoluta, le loro abitudini di acquisto sono già completamente

digitalizzate.

I follower vengono attratti dalle imprese, dal punto di vista del marketing, utilizzando la leva

del prezzo. Mentre i mainstreamer sono attratti dalle imprese, dal punto di vista del

marketing, usando la leva del prezzo (ma essa non rappresenta la leva principale), ma anche

utilizzando un approccio di marketing relazionale, considerando però che tale soggetto non è

molto attivo. L‟innovator è quello che più partecipa alla relazione, infatti anche per tale

soggetto si usa un approccio di marketing relazionale.

Tale classificazione è stata fatta su base psicologica e sociologica; le variabili non sono state

individuate per determinare i segmenti, anche se indirettamente ci si fa riferimento, quindi

risulta una classificazione meno rigida → il comportamento dei consumatori:

innovazione incrementale: si sviluppa per piccoli miglioramenti;

innovazione radicale: un grosso blocco di innovazioni su cui si sviluppano tutte le

innovazioni incrementali (ad es. una fonte alternativa al petrolio).

Il consumatore si aspetta delle innovazioni radicali nella tecnologia e nell‟abbigliamento (per

l‟abbigliamento: per innovazione radicale si intende in termini di comunicazione); tale

situazione è così rappresentata:

Sono 3 le strategie di marketing, per quanto riguarda la comunicazione, da intraprendere:

1) make: fare, coinvolgere il consumatore nella comunicazione;

2) place: il valore dei luoghi è importante;

3) interactive: tramite l‟interazione.

rilevanza

disponibilità

degli individui a

far entrare i

consumi nella

propria vita

innovazione

commodity

l‟ambito agroalimentare è il

terreno di conquista delle PL

standard

capacità del brand di

trasferire maggiormente le

innovazioni

pop

differenze

CLASSIC

ever-green, marchio che si

difende rispetto alla ciclicità dei

mercati (marchio stabile)

innovator

brand che diffondono l‟innovazione

(ad es. l‟high tech); il mercato è un

oligopolio

pioneer

pionieri, mercato caratterizzato

da un‟azienda monopolista

Per quanto riguarda la gestione delle relazioni con il cliente viene utilizzato il customer

relationship management, ossia quella serie di tecniche volte all‟implementazione di una vera

e propria strategia, la quale ha il fine di selezionare e gestire le medesime relazioni con il

cliente (di maggior valore), mediante un approccio integrato che coinvolge persone, procedure

e tecnologie attraverso la cosiddetta cultura cliente-centrica. Per fare ciò è necessaria una

raccolta di dati al fine di consolidare i rapporti con la clientela.

Il CRM entra a far parte del marketing relazionale e offre l‟opportunità di realizzare

l‟approccio relazionale: si fa ricorso a tecnologie e a sistemi informativi, i quali servono per

studiare e gestire i clienti. Il CRM si compone di due parti: il CRM operativo, e il CRM

strategico. Il CRM è bidirezionale e consente altresì una comunicazione bidirezionale con il

cliente. Valorizzare il cliente equivale ad accrescere la profittabilità, la quale può essere

intesa a breve termine, legata alla stabilità della relazione con il cliente. Quest‟ultima è

l‟obiettivo ultimo degli approcci di marketing innovativi, i quali si contrappongono alla logica del

mass marketing in cui la domanda è instabile e infedele (la domanda va stabilizzata e

fidelizzata per ottenere dei buoni risultati a M/LT). Ma quando aumenta il fatturato a breve

termine, e quando, di conseguenza si verifica una situazione di stabilità della relazione di

vendita con il cliente, allora si può dire che il CRM è una sorta di management e non di

marketing. Questo perché occorre ampliare l‟ambito di applicazione del CRM, al fine di

sottolineare che lo stesso dovrebbe rappresentare una vera e propria cultura gestionale

cliente-centrica e dovrebbe pervadere tutta l‟azienda, non soltanto riguardando chi è a

contatto con il cliente. In tal caso l‟investimento più grande non è tanto il contatto con il

cliente, ma la gestione di tutte le informazioni a lui riguardanti. Il momento della vendita può

essere meno considerato importante nella logica del CRM, soprattutto se l‟impresa ha

costruito a monte un buon framework: le vendite dovrebbero essere considerate solo delle

operazioni a valle. L‟errore che spesso si fa è di demandare a chi si occupa di vendite, tutto

l‟intero processo di management, e cioè la gestione complessiva dell‟azienda in funzione del

cliente. L‟applicazione del CRM comporta, e deve comportare, dei cambiamenti sia

nell‟organizzazione, sia nei processi, e trova nella tecnologia un supporto fondamentale. E‟ una

filosofia aziendale che integra una molteplicità di aree funzionali, quali il marketing, la

progettazione, la produzione, ecc. E‟ quindi fondamentale un approccio integrato che dovrebbe

supportare la gestione dell‟intera azienda, e mettere in contatto tutte le parti della filiera

produttiva della singola azienda. Per quanto concerne quella visione e/o quello strumento tanto

caro alla scienza economica che è la catena del valore, essa ha una visione opposta rispetto a

quella innovativa del CRM. Infatti, Porter, frammenta l‟attività intera in “pezzi”, quindi pone

anche il rischio non come globale, ma suddiviso per ogni attività della catena del valore. Di

conseguenza, anche ogni anello è posto come a sé stante, e quindi, indipendente e autonomo.

Nella logica innovativa del CRM, tutte le attività a monte che portano alla vendita, sono

integrate tra loro, e quindi vanno gestite come tali. Il momento della vendita come

un‟autonoma attività a valle, ma deve essere integrata con tutte le altre decisioni prese a

monte. Sempre nel CRM vi è una sorta di ribaltamento, rispetto alla logica del mass marketing

e delle 4 leve del marketing mix (in cui al responsabile di marketing si chiedeva di scegliere il

mix adeguato tra le 4 variabili che consentiva di vendere di più nel mercato): le funzioni

aziendali sono tutte integrate tra loro e tutte fondate sul cliente. Ciò perché il CRM, un po‟

come tutti gli altri approcci della fine del XX secolo del resto, è un approccio cliente-centrico:

potrebbe essere pericoloso, però, dare troppa importanza al cliente, infatti ciò può voler dire

dare troppa importanza a fattori che sono meno pregnanti, rispetto alla qualità del prodotto

→ la richiesta del cliente potrebbe andare a minare la sicurezza del prodotto. L‟impresa, così

dovrebbe farsi carico di veicolare le proprie azioni: il buono, l‟innovativo contenuto nel CRM è

di porre al centro il cliente (e la relazione con lo stesso), considerando che questa centralità

debba essere gestita con una buona dose di buon senso e in maniera intelligente, mediante una

logica di fiducia che soddisfi le esigenze del cliente. Per evidenziare la centralità del cliente,

il CRM ha costruito la piramide seguente (piramide rovesciata):

La piramide è di solito studiata per dimostrare la struttura gerarchica dell‟impresa (chi sta al

vertice lo staff, la base composta dagli operatori, ecc.) utilizzando uno stile top down in cui il

vertice stabilisce gli obiettivi che devono essere raggiunti. Grazie al CRM l‟azienda viene vista

in ottica diversa: in alto vi stanno i clienti che vengono inseriti all‟interno dell‟azienda. Questa

è una logica nuova, in quanto i clienti sono considerati così importanti da fare parte

dell‟azienda. Solo di seguito si inseriscono tutti i componenti dell‟azienda, partendo da chi sta

più vicino al cliente, fino ad arrivare al topo management. La misura/distanza tra il top

management e i clienti serve per valorizzare il front line. Tale personale si contrappone con il

personale di back office, il quale evidenzia la distanza tra il vertice dell‟azienda, che elabora

le strategie di LT, e i clienti. Da un certo punto di vista, tale è il ribaltamento della logica

aziendale. Ciò serve a sottolineare l‟importanza del cliente nei processi decisionali

dell‟impresa, i quali devono essere sviluppati in una logica cliente-centrica: infatti, la posizione

del cliente (al vertice della piramide), deve permeare tutta l‟azienda, e non soltanto il front

line (= chi è deputato alla relazione), quindi non solo l‟atto di vendita. Il top management,

comunque, rimane sempre al vertice dell‟azienda, infatti deve prendere le decisioni in ogni

caso, considerando il fatto che, se l‟impresa perdesse il suo nucleo decisionale, allora

perderebbe tutto. In prospettiva del cliente la distanza tra il cliente e il top management non

deve essere male interpretata poiché le decisioni aziendali prese dal top management sono

cliente

personale di contatto

front line

management

intermedio

top

management

comunque fondamentali, visto che determinano decisioni tra front line e clienti. Fino a un

certo limite si può supportare la relazione tra front line e cliente, ma questa non deve

arrivare a essere una sorta di anarchia. Spesso il top management è molto distante dal front

line, quindi si potrebbe verificare il rischio di scollamento tra i due: il momento della relazione

con il cliente potrebbe anche essere molto distante dal top management (si tratterebbe di

una distanza pure dal punto di vista culturale). Gli elementi che hanno favorito lo sviluppo del

CRM sono:

l‟instabilità dell‟ambiente esterno e il fatto che i clienti siano subissati di informazioni:

essi, infatti, tendono a essere soggetti i quali vogliono sperimentare tutte le proposte

accettabili, anche grazie alla tecnologia. I clienti tendenzialmente sono infedeli;

l‟efficacia decrescente della segmentazione: per le imprese diventa sempre più

difficile riuscire a capire il mercato e a segmentarlo. Per la sua segmentazione bisogna

capire le variabili rilevanti, e occorre individuare gruppi omogenei dal punto di vista del

consumo: per determinare le variabili, è necessario comprendere quali siano le

dinamiche che spostano la domanda, e quindi quelle che spingono il cliente a comprare o

meno. Le tradizionali variabili sono più difficili da applicare, e i segmenti, in base a

queste, diventano sempre più sottili e meno ampi, di conseguenza anche meno utili per

misurare le caratteristiche della domanda.

Attualmente l‟impresa non sa più come individuare il segmenti con delle tendenze di

consumo chiare, poiché il cliente risulta più infedele: è più difficile del resto capire i suoi

bisogni. Molto più facile, invece, risulta replicare i prodotti/servizi in base al

comportamento di un business, basta studiare cosa incide sulla strategia di innovazione; il

business esistente, successivamente, viene copiato. Questo perché risulta difficile

implementare un‟innovazione da 0, molto più efficace e rapido, invece, è copiare. La

strategia di innovazione è quindi molto semplice da imitare, rispetto a una qualunque altra.

Imitando, risulta più agevole ottenere le informazioni le quali consentono di riprodurre le

caratteristiche dei prodotti/servizi. Tutto il processo, in tal modo, è accelerato, e la

durata dell‟intero business è altresì velocizzata. L‟innovatore introduce un‟innovazione

incrementale, ossia un‟innovazione scientifica, tecnologica la quale rappresenta un piccolo

aggiustamento rispetto alla versione precedete del prodotto. Mentre l‟innovazione

radicale è quella sconvolgente che implementa i processi di rottura. Dal punto di vista

strategico un‟innovazione incrementale è più facilmente imitabile, specie se si basa solo su

aspetti di design o di comunicazione. Il terreno per l‟impresa è sempre più spietato, dal

lato dell‟offerta per quanto riguarda i concorrenti, dal lato della domanda poiché essa è

più instabili, quindi è necessario avvalersi di tecniche che cerchino di arpionare l‟impresa a

qualcosa di più solido. Tutti questi approcci hanno un contenuto di marketing e nascono

spontaneamente, anche in caso l‟impresa non li adottasse. In effetti già possedere un CRM

equivale a implementare politiche di marketing: non si tratta di sviluppare una nuova

tecnica, ma semplicemente di inserire uno strumento gestionale che agisca dal punto di

vista del cliente (di per sé si tratta di uno strumento operativo di marketing appartenente

alla leva promozionale).

Il CRM si costituisce di due componenti:

1) CRM analitico:riguarda l‟analisi di dati, quindi già di per sé è operativo; infatti

anche la componente di analisi è molto operativa e parte dall‟idea sviluppata dall‟IT,

la quale nasce a sua volta dalla formazione di database, che in seguito vengono

analizzati. La parte più creativa è quella di analisi dei dati relativi al cliente: si

tratta di analisi di enormi database contenenti dati e informazioni di tutti i generi

sui consumatori. Per questo è di fondamentale importanza comprendere cosa

estrarre da questi database (prima di tutto occorre averli a disposizione e

alimentarli, solo in seguito bisogna estrarre le informazioni più interessanti):

attività di reporting: fornisce le informazioni sul parco-clienti. Si stanno

analizzando dei dati per descrivere il parco-clienti, per poi supportare la

decisione → parte più interessante che richiede la conoscenza del

programma e la capacità di lettura dei dati;

attività di analisi dei dati;

attività di previsioni ed eventuali simulazioni: è una modalità con la quale

si cerca di capire se si verifica una certa ipotesi, e se verificata, cosa possa

accadere anche in caso l‟impresa abbia a riferimento un determinato gruppo

di clienti (l‟impresa naturalmente, analizza anche il suo trend storico);

2) CRM operativo: per prima cosa occorre possedere i dati e saperli estrarli in

maniera intelligente considerando che un conto è avere un database, e un conto è

saper estrarre le informazioni in maniera opportuna. Stabilito ciò, occorre

prevedere come aggregare i dati: ad es. si potrebbe raggrupparli per prodotto, per

area geografica, per variabile temporale, magari descrivendo le vendite di un dato

prodotto nel tempo, per il territorio, per tipo di prodotto. Le vendite si esprimono

in termini di quantità (unità vendute e peso) e di valore (fatturato).

Nella logica del CRM si studiano le vendite in funzione dei clienti, infatti tutte le descrizioni e

le analisi devono essere fatte in base al consumatore: ma la prima grande classificazione si

effettua sul cliente finale o sul cliente-impresa? E come si possono studiare le vendite in base

ai clienti? Le informazioni servono per alimentare il processo produttivo e per migliorare la

relazione con il cliente, al fine di renderlo nel LT, più stabile e più profittevole. Ora occorre

procedere a valutare il cliente in termini di percentuale di fatturato per comprendere cosa

può essere fatto: quanto si vende a ciascun cliente. E‟ necessario vedere se si hanno dei clienti

particolarmente importanti, i quali pesano tanto nel portafoglio dell‟impresa. Questo serve al

fine di concentrare tutta l‟analisi sui primi 4-6 clienti che ricoprono più o meno il 70% delle

vendite: si fa considerando la Legge di Pareto, secondo la quale il 20% dei clienti rivestono

l‟80% delle vendite. E‟ meglio per il CRM riferirsi a una clientela raggruppata, piuttosto che a

una dispersa perché è più facile gestirla, visto che il rapporto è basato su delle relazioni.

L‟attività del CRM serve per creare relazioni, ma senza che avvenga alcun contatto, la

relazione può derivare da diversi approcci interattivi: l‟impresa non entra in reale contatto con

il consumatore, e quindi non si pone l‟interazione vera e propria (= relazione) → prospettiva

impresa-centrica. In tale analisi occorre capire quanto il cliente è importante per l‟impresa, e

quanto pesa l‟impresa per il cliente, individuando così il portafoglio-fornitori. La durata della

relazione col cliente non è solo un problema di tempo, ma occorre anche analizzare quanto

stabilmente acquisti presso l‟azienda, in modo tale da capire anche solo indirettamente, il

portafoglio-fornitori ideale. Ciò serve per conoscere l‟importanza dell‟impresa in quanto

fornitrice, e tale comprensione può avvenire sia in modo indiretto, sia attraverso una

relazione, al fine di capire se vale la pena di sviluppare un approccio relazionale, magari

cercando anche di scremare i clienti, per rivolgersi solo a quelli di maggior valore, cosicché

procedere, in un momento successivo, alla costruzione di una strategia di CRM. Questo risulta

più fattibile nel B2B, mentre nel contesto del B2C si può valutare se si tratta di un consumo di

massa (riferito a un prodotto/servizio a largo consumo). Ancora occorre prevedere i casi in

cui si conoscono i clienti, e se si hanno i dati relativi agli stessi in modo da poter ricostruire lo

storico, individuando le tipologie dei clienti, e a limite anche se non si individuano, si possono

comunque individuare le caratteristiche del cliente-tipo e attuare così un promozione

particolare. Questo è il caso tipico del settore della distribuzione, in cui molto utilizzate

risultano le carte fedeltà. In altri servizi, come ad es. quelli turistici, l‟informazione è

addirittura nominativa: spesso, in tal caso, i consumatori/usufruitori i consumatori sono

rappresentati da aziende. Comunque nel caso le informazioni vi siano, le imprese si organizzano

appositamente al fine di raccoglierle. Infatti, ad es. la GDO, fornisce i dati delle carte

fedeltà, affidandoli a società di analisi degli stessi, le quali li elaborano per effettuare

un‟analisi più accurata per cliente (o per tipologia di cliente), individuando le caratteristiche

comuni al fine di poter implementare politiche di marketing e/o comunicazionali ad hoc. Così è

possibile vedere come le varie categorie di clienti rispondano alle politiche promozionali

proposte. In fin dei conti si tratta di analisi sulle vendite classificate per cliente, infatti

l‟intento è capire le caratteristiche dei clienti e comprendere quali siano le loro reazioni a

fronte delle strategie intraprese → fotografia del pacchetto-cliente. Si elaborano delle

strategie e si effettuano analisi sui dati posseduti per capire se le stesse strategie hanno

funzionato o meno, cosicché verificare l‟efficienza e l‟efficacia degli investimenti in termini di

innovazione tecnologica. Ora occorre valutare quanto ciò ha modificato le vendite: quanto una

logica di tipo relazionale ha impattato sulle stesse → logiche di marketing one to one, di cui

fanno parte le logiche gestionali cliente-centriche e tutte quelle che vogliono rafforzare le

relazioni impresa-clienti. La logica del CRM è una logica che ben si adatta, per la sua

componente analitica, a tutti gli approcci appena menzionati, i quali valorizzino il cliente e la

relazione con il medesimo, considerando anche i rapporti di BP utili a classificare i

consumatori più profittevoli a cui si può vendere di più. Una volta individuato il cliente e

attuata la strategia, è necessario anche rilevare se la stessa sia stata efficace o meno. Tali

analisi possono essere applicate anche al fine di entrare in mercati nuovi, nei quali non si ha

una clientela storica, ma si vuole crearne una nuova. In tale caso l‟esperienza aziendale

permette di intraprendere azioni di cross-selling, al fine di individuare il cliente, così

cercando di vendergli più prodotti e di diverse categorie merceologiche.

CRM = customer relationship management:

analisi analitica: costruzione del sistema che permette le estrazioni delle informazioni;

analisi dei dati: estrazione di una grande quantità di informazioni necessarie alle

imprese.

Obiettivo: svolgere attività di simulazione e previsione. Si tratta di una parte di azienda che

si occupa di fare delle previsioni e delle analisi in termini di efficacia. Come trasformare le

informazioni derivanti dalle analisi dei dati in futuri contatti con i clienti? Mediante l‟IT →

occorre costruire un software (mediante le opportunità tecnologiche) capace di:

moltiplicare i canali di vendita;

creare contatti con il cliente.

Opportunità/rischi del CRM:

approccio che dà come valore aggiunto l‟input all‟impresa di avvalersi di strumenti per la

gestione dei clienti (collegati con l‟impresa mediante un sistema gestionale), i quali

mettono a disposizione delle informazioni per gestire le persone;

se il collegamento tra il CRM e il sistema gestionale non funziona, allora si rischia di

cadere nell‟antieconomia (vi sono troppe informazioni, il controllo sulle stesse dà esito

negativo) → effetti negativi:

vantaggi limitati, se le informazioni sono usate solo per la rete di vendita;

potrebbe sussistere la tecnologia, ma senza una logica di CRM, quindi

potrebbero non essere sfruttati i vantaggi derivanti dal medesimo;

i danni derivanti dall‟implementazione di una strategia di CRM si possono

verificare sia nelle imprese di servizi, sia in quelle industriali, ma i danni

maggiori si sviluppano nell‟ambito di un‟impresa di servizi;

la tecnologia sussiste e funziona: si crea valore per il cliente, soprattutto per quanto

riguarda la distribuzione → effetto sinergico.

Per comprendere se una strategia di CRM stia effettivamente funzionando o meno, si

utilizzano degli indicatori, come il lifetime value (LTV): valore del cliente legato al rapporto

di continuità con il medesimo (= durata della relazione) → stima del valore che il cliente può

creare in futuro in base ai rapporti del passato.

Il LTV consente di monitorare l‟efficacia delle strategie di marketing. Se il cliente è stabile

vuol dire che considera l‟impresa importante. Si tratta di un concetto legato al tempo che

analizza:

quanto tempo è rimasto il cliente;

quanto profitto ha creato.

LTV sommatoria del valore attuale dei profitti

futuri derivante dal cliente in un certo

periodo di tempo.

Monitorando il LTV, si mira a modificare, eventualmente, le strategie di marketing (strategie

di LTV comprese nei costi da decurtare dal fatturato per calcolare il profitto) → attenzione!:

ai costi legati a tale specifica strategia di marketing occorre aggiungere:

retention rate: percentuale di clienti abituali che continuano ad acquistare nell‟anno

successivo rispetto a quelli dell‟anno precedente. In tale indice non vengono considerati

i clienti nuovi:

Tale indicatore indica quanto clienti l‟impresa ha perso nel corso dell‟anno;

acquisto medio cliente:

Quindi è fondamentale dividere tale valore per il numero delle visite.

indicatore anno n + 1

indicatore anno n

vendite totali

numero clienti

in un anno.