Mario Lodi La scuola senza cattedra

5
38 ROCCA 1 APRILE 2014 omenica 2 marzo se ne è andato Mario Lodi, all’età di 92 anni. Si è spento nella sua casa di Drizzona, un piccolo paese nella campagna della pianura cremonese vicino a Piadena e a Vho, cittadine che lo avevano visto protagonista fino agli anni ’60 come maestro elementare. Territorio dove ha passato letteralmente tutta la sua vita senza sentirsi limitato da un orizzonte spa- ziale così contenuto. Nonostante l’età signi- ficativa, il congedo di questo grande prota- gonista della scuola e della pedagogia italia- na del Dopoguerra lascia che permetta di fare il punto su alcuni nodi critici del siste- ma scolastico italiano. come Mario Lodi diventa portabandiera del rinnovamento scolastico degli anni ’60 Nasce nel 1922, diventa maestro elementare negli anni ’40, partecipa attivamente al mo- vimento antifascista finendo anche in carce- re e dopo la guerra incomincia a insegnare come maestro elementare, attività che porta avanti fino alla pensione che avviene alla fine degli anni ’70. Mario Lodi negli anni ’50 si avvicina al movimento freinetiano, seguace di Célestin Freinet, il grande pedagogista e insegnante francese che aveva creato il me- todo della cooperazione educativa che pre- vedeva tutta una serie di attività, compresa la tipografia dove i bambini avrebbero potu- to esercitare attivamente la loro creatività, la loro espressività e portare i loro contenuto direttamente in forme scritte sia attraverso la tecnica del testo libero inventato diretta- mente da Freinet che del cosiddetto giornale di classe dove venivano riportate le attività di laboratorio dove sistematicamente si svolge- vano dentro le mura scolastiche. Mario Lodi aderisce immediatamente a questo movimen- Daniele Novara D to che in Italia si struttura nel Mce (Movi- mento di Cooperazione Educativa) presidia- to da grandi figure del mondo scolastico ita- liano come Bruno Ciari, Giuseppe Tamagni- ni e seguito dall’Accademia pedagogica pro- gressista di quel periodo, Aldo Visalberghi in primis, Alberto Borghi e poi negli anni ’70 Franco Frabboni, Andrea Canevaro e tanti altri. Proprio Mario Lodi nell’86, nella citta- della di Assisi, al Convegno Nazionale del Cem che organizzai io stesso testimoniava queste sue radici in questo modo. «Partecipando a questo convegno mi sono, in un certo senso, ringiovanito di circa quarant’anni; sono cioè ritornato all’atmosfera dei primi convegni a cui ho partecipato quando ero giovane. Era- no gli anni del primo dopo guerra, e la gente aveva una gran voglia di vivere e di far festa, anche se nei cinema si proiettavano pellicole sul fungo atomico. Allora, giovane maestro, incontrai casualmente altri maestri delle scuole medie che avevano detto di no alla vio- lenza del fascismo, che si erano in qualche modo impegnati nella lotta di quel tempo ed ora, finita la guerra, erano stati mandati nel- la scuola ad educare i figli del popolo. Essi si chiedevano: i valori che ci hanno guidati nel- la opposizione alla dittatura come possiamo ora tradurli nella scuola? Come possiamo farli diventare opera educativa? Che tipo di uomo e di società vogliamo costruire, ora che pas- siamo da un regime di dittatura a un regime di libertà democratica? È vero, c’era l’Assemblea Costituente che sta- va discutendo i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica promulgata poi nel ’48. Su questi principi eravamo pie- namente d’accordo. Quello che non ci anda- va era invece, nella struttura pubblica, la scuo- la così com’era, perché era ancora quella del tempo del fascismo; cioè una scuola vertici- sta di tipo gentiliano, con in cima il ministe- ro e sotto i suoi servitori che cercavano di

description

Articolo del pedagogista Daniele Novara in occasione della morte di Mario Lodi

Transcript of Mario Lodi La scuola senza cattedra

Page 1: Mario Lodi La scuola senza cattedra

38

RO

CC

A 1

AP

RIL

E 2

014

omenica 2 marzo se ne è andatoMario Lodi, all’età di 92 anni. Si èspento nella sua casa di Drizzona,un piccolo paese nella campagnadella pianura cremonese vicino aPiadena e a Vho, cittadine che lo

avevano visto protagonista fino agli anni ’60come maestro elementare. Territorio doveha passato letteralmente tutta la sua vitasenza sentirsi limitato da un orizzonte spa-ziale così contenuto. Nonostante l’età signi-ficativa, il congedo di questo grande prota-gonista della scuola e della pedagogia italia-na del Dopoguerra lascia che permetta difare il punto su alcuni nodi critici del siste-ma scolastico italiano.

come Mario Lodi diventa portabandiera del rinnovamento scolastico degli anni ’60

Nasce nel 1922, diventa maestro elementarenegli anni ’40, partecipa attivamente al mo-vimento antifascista finendo anche in carce-re e dopo la guerra incomincia a insegnarecome maestro elementare, attività che portaavanti fino alla pensione che avviene alla finedegli anni ’70. Mario Lodi negli anni ’50 siavvicina al movimento freinetiano, seguacedi Célestin Freinet, il grande pedagogista einsegnante francese che aveva creato il me-todo della cooperazione educativa che pre-vedeva tutta una serie di attività, compresala tipografia dove i bambini avrebbero potu-to esercitare attivamente la loro creatività, laloro espressività e portare i loro contenutodirettamente in forme scritte sia attraversola tecnica del testo libero inventato diretta-mente da Freinet che del cosiddetto giornaledi classe dove venivano riportate le attività dilaboratorio dove sistematicamente si svolge-vano dentro le mura scolastiche. Mario Lodiaderisce immediatamente a questo movimen-

DanieleNovara D to che in Italia si struttura nel Mce (Movi-

mento di Cooperazione Educativa) presidia-to da grandi figure del mondo scolastico ita-liano come Bruno Ciari, Giuseppe Tamagni-ni e seguito dall’Accademia pedagogica pro-gressista di quel periodo, Aldo Visalberghi inprimis, Alberto Borghi e poi negli anni ’70Franco Frabboni, Andrea Canevaro e tantialtri. Proprio Mario Lodi nell’86, nella citta-della di Assisi, al Convegno Nazionale del Cemche organizzai io stesso testimoniava questesue radici in questo modo. «Partecipando aquesto convegno mi sono, in un certo senso,ringiovanito di circa quarant’anni; sono cioèritornato all’atmosfera dei primi convegni acui ho partecipato quando ero giovane. Era-no gli anni del primo dopo guerra, e la genteaveva una gran voglia di vivere e di far festa,anche se nei cinema si proiettavano pellicolesul fungo atomico. Allora, giovane maestro,incontrai casualmente altri maestri dellescuole medie che avevano detto di no alla vio-lenza del fascismo, che si erano in qualchemodo impegnati nella lotta di quel tempo edora, finita la guerra, erano stati mandati nel-la scuola ad educare i figli del popolo. Essi sichiedevano: i valori che ci hanno guidati nel-la opposizione alla dittatura come possiamoora tradurli nella scuola? Come possiamo farlidiventare opera educativa? Che tipo di uomoe di società vogliamo costruire, ora che pas-siamo da un regime di dittatura a un regimedi libertà democratica?È vero, c’era l’Assemblea Costituente che sta-va discutendo i principi fondamentali dellaCostituzione della Repubblica promulgatapoi nel ’48. Su questi principi eravamo pie-namente d’accordo. Quello che non ci anda-va era invece, nella struttura pubblica, la scuo-la così com’era, perché era ancora quella deltempo del fascismo; cioè una scuola vertici-sta di tipo gentiliano, con in cima il ministe-ro e sotto i suoi servitori che cercavano di

Page 2: Mario Lodi La scuola senza cattedra

39

RO

CC

A 1

AP

RIL

E 2

014

MARIO LODI

la scuolasenza cattedra

creare attraverso noi operatori il consenso,l’accettazione della loro politica, della loroideologia. Così ci siamo trovati incastrati den-tro questa trappola di scuola autoritaria.Pensavamo: se è cambiata fuori la società,le leggi, i principi, i valori ecc. dovrà purecambiare qualche cosa anche dentro la scuo-la» (Autori vari, Liberare l’educazione som-mersa, Emi, Bologna 1988).Tutto questo spirito non si trasforma in pre-diche, in esercizi di contenuti, in sermonipiù o meno accademici, programmi nuovi,programmi scolastici o cose del genere madiventa la matrice di una nuova didattica, ladidattica cooperativa appunto, che permet-te alle idee democratiche di non restare unadeclamazione fin troppo praticata nei con-vegni, nelle aule italiane, quanto una con-creta esperienza dentro il contesto di unaclasse. La cooperazione educativa è esatta-mente quello che dice il termine, non si trat-ta di una metafora, ossia i bambini lavora-no assieme, imparano lavorando tra di loropiuttosto che dalla parola del maestro. Ilmaestro assume un ruolo come nella tradi-zione della pedagogia attiva, che in Italiaaveva trovato un’esponente eccezionale inMaria Montessori, di regista che costruisce,che crea le condizioni affinché i bambinilavorino fra di loro.Un dubbio che Freinet aggiunge alla voca-zione di libertà della Montessori, il toccodelle teorie di Vygotskij che spingevanomolto a partire dagli anni ’30 sulla valenzacognitiva della compenetrazione sociale.Nulla di nuovo per la storia della pedagogiain quanto come poi riuscirà ad applicareanche Don Milani il mutuo insegnamento,l’insegnamento reciproco è sempre stato ungrande cavallo di battaglia di tutte le scuoleprogressiste dimostrando che l’interagiredegli alunni è ben più efficace che ascoltarepedissequamente un insegnante che spiega

una lezione.Mario Lodi interpreta perfettamente questospirito innovativo. Non solo. Grandissimomerito è quello che sulla base di una capaci-tà di scrittura letteraria indiscutibile che loporterà a produrre racconti importantissimiproprio nell’ambito della storia della lettera-tura infantile, documenta il lavoro coi bam-bini, non viene perso niente. Questo è unpunto estremamente prezioso in quanto,come sanno tutti gli insegnanti, non è maifacile riuscire a raccogliere, in termini comu-nicabili, la vastità del lavoro che in un annoscolastico si riesce a realizzare coi bambini.Mario Lodi ci riesce e sono libri su libri, ven-gono pubblicati in particolar modo da Ei-naudi a partire dagli anni ’60, quindi ancheda Laterza. Raggiungono letteralmente ilgrande pubblico, sono dei veri e propri suc-cessi editoriali specialmente Il paese sbaglia-to, c’è speranza se questo accade al Vho, cheraccontano una scuola diversa, non unascuola sovversiva come avrebbe voluto il ’68ma una scuola semplicemente in linea contutto quello che erano state le scoperte dipsicologia dell’età evolutiva, i grandi movi-menti pedagogici a partire dagli inizi del’900. Nulla di nuovo da un punto di vistapuramente tecnico. Ma con Mario Lodi lospirito di questo rinnovamento trova unaconcretizzazione e una capacità di comuni-cazione che permette di far uscire da unanicchia elitaria di pochi eletti che condivi-dono un progetto di eccellenza per raggiun-gere un pubblico letteralmente più vasto.Sono idee che vengono profondamente con-divise fra gli anni ’60 e gli anni ’70. sono glistessi genitori a chiedere una scuola dove silavori assieme, una scuola che non generiinutile competizione precoce fra i bambini,una scuola che sia lanciata profondamente

(continua a pag. 42)

Page 3: Mario Lodi La scuola senza cattedra

SCUOLA & SOCIETÀ

40

RO

CC

A 1

AP

RIL

E 2

014 Ripubblichiamo

un articolodi Mario Lodiscrittoper Rocca n. 4del 15 febbraio2010

MarioLodi L

come nasce il bambe discussioni sull’apprendimentonelle scuole di «Cittadinanza e Co-stituzione» meritano una riflessio-ne perché, se è vero che la conoscen-za della Legge fondamentale dellanostra società democratica è neces-

saria, essa si realizza vivendola giorno pergiorno in situazioni di relazione fra citta-dini scolari.Quando un bambino nasce diventa un nuovocittadino e comincia a comunicare. Lo fa colpianto, la mamma capisce i suoi bisogni e lisoddisfa. Chi ha seguito la crescita di un bam-bino sa che cosa avviene dopo: è la scopertadel mondo per mezzo dei sensi. Un giorno rie-sce a stare diritto e a camminare, più tardi,imitando i suoni delle voci che sente, riesce adire la prima parola: è una grande conquista.Quel che avviene dopo non possiamo saperloperché è collegato con l’esperienza del gioco,delle curiosità, del rapporto con gli altri. È cosìche i bambini diventano diversi perché vedo-no il mondo con i propri occhi. A sei anni san-no già tutti parlare e la maestra capisce l’im-portanza di questo linguaggio che è il fonda-mento della società democratica.

comunità nascente

Con la parola cattiva si può offendere, ur-lare, litigare: con la parola gentile si posso-no raccontare le cose più belle. «Noi a scuo-la useremo le parole educate» dirà la mae-stra «e parleremo piano». Siamo entrati inuna delle scuole dove la cittadinanza è pra-tica quotidiana da tre anni e funziona così.Il luogo dove sta nascendo la piccola e veracomunità dei bambini che lavorando insie-me diventano amici, è la nostra scuola.L’iscrizione alla prima classe è quindi unafesta dell’accoglienza. Dopo cinque anni sene vanno i bambini della quinta e si presen-tano i piccoli che entrano in prima. I nuovie gli anziani, anche se abitano nello stessoquartiere, non sono ancora tutti amici. Que-sto è il giorno dello storico incontro di tuttigli operatori della scuola: maestre, genitori,bidelli, direttore e naturalmente i bambini.In qualsiasi scuola, se gli insegnanti voglio-no, possono organizzare la piccola festa dal

grande significato: una scuola che non re-spinge i diversi, ma li accetta. Che non li giu-dica per il comportamento negativo ma lipremia quando compiono buone azioni.Non è un tribunale dove il voto di condotta lipuò cacciare nell’isolamento dell’ultimo ban-co, simbolo della vecchia scuola selettiva.L’aula che ci è stata assegnata può essere bel-la, nuova. Può essere un vecchio edificio, po-vero, non accogliente. Ma se è come la no-stra seconda casa, che noi possiamo abbel-lire, mettere in ordine, rispettare. Le idee nonmancano: vasetti di fiori alle finestre, tendecolorate, trasformare il cortile in un parcogiochi, coltivare un orto, e via inventando.Il problema del rispetto dell’ambiente na-sce da qui: dall’idea che la libertà non si-gnifica fare quello che si vuole senza te-ner conto degli altri, ma di gestire il patri-monio comune che abbiamo in uso per re-stituirlo intatto alle generazioni future.I bambini da soli, o con il suggerimentodei genitori, provano a trasformare lo spa-zio disponibile in un laboratorio dove sifanno tante cose oltre a leggere, scrivere efar di conto e la maestra descrive che cosasi può fare fin da ora.I bambini che si riuniscono tutti i giorni adiscutere di vari argomenti hanno bisognodi spazio dove mettersi in cerchio e parla-re. Occorre uno spazio riservato alla bi-blioteca, dove sono esposti i libri dai qualila maestra sceglierà le storie più belle daleggere, e quelli che i bambini preferiran-no quando avranno imparato a leggere. Èquindi una scuola dove non c’è un unicolibro ma tanti libri che raccontano le sto-rie più belle di tutto il mondo.

la giornata democratica

I bambini troveranno strumenti per dipin-gere, misurare, fotografare. Sarà utile tro-vare un posto per il computer, che ora nonsanno usare ma che presto diventerà lostrumento per stampare il loro giornale peri genitori e gli amici. Quando questi stru-menti saranno usati, bisognerà affidare gliincarichi ai volontari che si offriranno peraverne cura. Nasce così il piccolo mondo

Page 4: Mario Lodi La scuola senza cattedra

41

RO

CC

A 1

AP

RIL

E 2

014

scolastico: la «città dei bambini».La maestra sceglie dalla biblioteca una fa-vola e comincia a leggerla, i bambini ascol-tano ed esprimono le loro preferenze: co-mincia così la giornata democratica.L’aula-laboratorio è il luogo dove la comu-nità nascente trasforma l’io in noi, l’egoi-smo in solidarietà. È la prima conquistasociale e le educatrici la pongono sin dal-l’inizio come fondamento del loro pro-gramma, presente e futuro.Vivere insieme non è facile: richiede l’eser-cizio quotidiano del rispetto di regole cherendono possibile l’uso della libertà. Na-sce da qui, dalla accettazione delle regole,il cittadino democratico che è libero se nonpensa di fare quel che vuole senza rispet-tare le leggi della comunità.Ai bambini della classe prima, che sannogià parlare ma non sanno ancora leggere,piace la lettura della maestra perché met-te in moto la fantasia.Infatti l’ostacolo principale alla lettura èla televisione: il bambino «vede» le storiesullo schermo, ascolta e tace.Per attivare la capacità critica in forma lu-dica si può giocare al «festival del raccon-to»: la maestra legge ogni volta due raccontie lascia il tempo necessario per riflettere escegliere, per alzata di mano il raccontopreferito. La parola è diventata piacere del-l’ascolto. L’alzata di mano è la prassi de-mocratica della scuola che premia.

lettori e autori

Giorno per giorno la vita dei bambini si ar-ricchisce di esperienze, scoperte, emozio-ni che vengono raccolte nelle pagine quoti-diane del giornale stampato col computer.I testi liberi formano così la prima storiadella classe, dalla quale prendere spunti perscrivere piccoli libri che la maestra racco-glie nella biblioteca e che tutti possonoportare a casa, leggere e restituire. I bam-bini sono diventati così lettori e autori.Quando si accorgono che nelle loro case en-trano altri giornali di formato più grande, cheraccontano che cosa succede nel mondo, co-minceranno a portarli a scuola, anche negli

anni futuri, per capire la vita dei grandi sullaterra e diventeranno così cittadini di un mon-do che ogni anno si allarga, e accompagna laloro crescita culturale e morale.Fin dalle prime classi, parlando e lavoran-do insieme, aiutandosi nelle difficoltà, nonsi notano episodi di insofferenza e di bul-lismo. Il linguaggio è gentile e nasconospontaneamente simpatie reciproche. Irapporti fra i bambini e le bambine sonospesso affettuosi e sinceri, anche se spes-so volubili, ingenui e delicati.La conversazione è più sentita quando fariflettere sul senso della vita reale: può es-sere per la perdita di un animale amato oper la morte di una persona cara o un al-tro dolore. Allora i bambini si chiedonoperché si nasce e si muore e il pensiero siinnalza sul piano esistenziale.

esame di coscienza collettivo

Verso la fine del secondo anno scolasticopossiamo valutare il nostro impegno di edu-catori e quello dei bambini nel rapporto colgruppo. Non è un esame tradizionale, èqualcosa di più e di diverso.Nessun bambino può essere giudicato conun voto o con un giudizio della maestra.È un esame di coscienza collettivo che va-luta la nostra crescita umana e sociale. Lamaestra è stata una buona amica che haaiutato i più deboli?Nella nostra piccola società si sono createnuove amicizie?I genitori sono stati contenti del lavoro edelle informazioni della maestra con ilgiornale di classe?Possiamo dare una nota positiva a tutta laclasse per il comportamento responsabileverso gli incarichi e il rispetto delle cose edegli strumenti della scuola?E se qualcuno ancora non riesce a farebene quello che ha scelto, lo dobbiamo sco-raggiare o aiutare?È così che in diverse scuole italiane na-scono i tentativi di una scuola nuova fon-data sui valori positivi della Costituzione.

Mario Lodi

bambino cittadino

Page 5: Mario Lodi La scuola senza cattedra

42

RO

CC

A 1

AP

RIL

E 2

014

MARIOLODI

al territorio e che quindi utilizzi il territoriocome materiale di apprendimento. E alloraecco Mario Lodi documentare nei suoi librile storie scritte dai bambini, i laboratori dimatematica legati all’osservazione della re-altà concreta, gli esperimenti scientifici fattisugli animali delle campagne cremonesi, unacontinua interazione col territorio con visi-te alle fattorie, alle mostre, i bambini trasfor-mati in artisti con la creazione della pinaco-teca dell’arte infantile. Ma indubbiamenteper la prima volta in Italia un libro di lette-ratura infantile di enorme successo comeCipì non ha un vero e proprio autore ma è laproduzione di un’impresa collettiva fra ilmaestro e i suoi bambini. È anche il riscon-tro scolastico di altre esperienze che si an-davano diffondendo. Danilo Dolci in Siciliaraccoglieva le storie dei pescatori, dei con-tadini, dei disperati di Partinico, di Trappe-to e li trasformava in testimonianze prezio-se di un mondo e di una terra qualificata sem-plicemente come terra di mafia e di banditi.Ma anche in Sudamerica Paolo Freire nonva dimenticato, negli stessi anni inventavaun metodo di alfabetizzazione popolare chediventò effettivo strumento di liberazione de-gli strati popolari spesso oppressi dalla so-cietà e il più delle volte analfabeti.È una scuola, quella di Mario Lodi, che rivo-luziona lo spazio e il rapporto fra maestri ealunni. Lo spazio in quanto la cattedra vie-ne sostanzialmente abolita, si usano i ban-chi come piano di appoggio per lavorare, perscrivere, per fare attività concrete come a li-vello artistico come a livello scientifico, rea-lizzare la famosa tipografia scolastica di Ce-lestine Freinet. Ma specialmente un cambia-mento straordinario, che favorisce la figuradi Mario Lodi come portabandiera del mo-vimento di dissenso pedagogico antiautori-tario degli anni ’60, ’70 è indubbiamente larinuncia all’esercizio dell’autorità dell’inse-gnante come esercizio di potere. Quindi c’èuna riflessione drastica se non definitiva sul-l’uso del voto come strumento arbitrario digiudizio. In concomitanza anche un altrogrande maestro della stessa epoca AlbertoManzi veniva sospeso per 3 mesi dall’inse-gnamento scolastico perché aveva continua-to a rifiutarsi di dare i voti ai suoi alunniutilizzando semplicemente sui documenti divalutazione la famosa formula stampata coltimbro «Fa quel che può, quel che non puònon fa».

cosa ci lascia Mario Lodi?

Mentre racconto ai lettori di Rocca questastraordinaria esperienza umana, scolastica epedagogica di Mario Lodi, mi sembra pro-

prio di parlare di un mondo che in qualchemodo ha subito una violazione. Non vogliodire che non c’è più. Ma indubbiamente lasensazione di una cesura storica è inevitabi-le. Allora insorge questa naturale domanda.Con la scomparsa di Mario Lodi è morto unsovversivo dell’ordine scolastico costituito,una parentesi sovversiva della scuola corret-ta oppure viceversa con Mario Lodi e tutto ilsuo movimento se ne va la figura di un mae-stro come dovrebbe essere un insegnante epiù che altro come dovrebbe essere la scuo-la? Una scuola dove gli alunni imparano fa-cendo, dove la lezione frontale non si usa,dove il nozionismo non esiste e non vieneutilizzato per valutare gli alunni, dove le risor-se degli studenti vengono incoraggiate e rico-nosciute progressivamente nel loro emergere.Ma specialmente una scuola dove gli alunnicollaborano cooperano, piuttosto che unascuola triste e malinconica del non copiare,del fare da soli, dell’individualismo più nefa-sto come già criticato giustamente da DonLorenzo Milani, grande amico sodale di Ma-rio Lodi sempre in quei straordinari anni ’60.L’autorità scolastica ha già dato abbondan-temente una risposta sia nel corso di questiultimi 20 anni ma specialmente al funeraledi Mario Lodi, nessuno era presente, né au-torità scolastiche né autorità politiche signi-ficative. Per questi Mario Lodi e il suo movi-mento restano una parentesi. Il ritorno alladidattica tradizionale, al nozionismo e or-mai ai voti numerici, sebbene in controten-denza a quello che succede nel resto d’Eu-ropa, sono stati assorbiti dal sistema scola-stico anche se con qualche malumore, spe-cialmente durante il tragico quadrienniodella ministra di centro destra Maria StellaGelmini. La mia opinione è esattamente ilcontrario, la scuola della cooperazione, lascuola della libertà e della creatività è la scuo-la che permette non solo ai bambini e aglialunni di diventare migliori ma a tutta lasocietà di crescere, di trovare un beneficiodallo sviluppare al massimo le risorse dellenuove generazioni.Di certo non si può consegnare Mario Lodiai manuali di pedagogia per i licei. Comel’esperienza di Maria Montessori, di donMilani, di Danilo Dolci, restano documen-tazioni inequivocabili di come si possonoottenere risultati eccezionali se si fanno lemosse giuste, se si imposta i lavoro con unametodologia adeguata, se, specialmentecome ricorderebbe Mario Lodi si parte dalbambino, dai suoi bisogni, dai suoi interes-si, dalle sue motivazioni profonde e lavoran-do nel gruppo classe si costruiscono formedi apprendimento che siano anche nuove for-me di conoscenza.

Daniele Novara

(continua da pag. 39)