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Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXIV n. 12 • 2020 Dicembre Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” La fregata Martinengo impegnata in operazione antipirateria nel Golfo di Guinea

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Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXIV

n. 12 • 2020Dicembre

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

La fregata Martinengoimpegnata in operazione antipirateria

nel Golfo di Guinea

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D a questo numero l’editoriale avrà come titolo“Caro Socio, Ti scrivo…”, perché intendo utiliz-zare questo spazio per pubblicare una “lettera

aperta” diretta a tutti i Soci. Per i fans di Lucio Dalla questo titolo può ricordare laindimenticabile canzone “L’anno che verrà”, in cui l’au-tore immagina una situazione di lontananza da un ami-co, al quale racconta, scrivendo, la vita che scorre, spe-rando in un futuro migliore.Fatto questo contestuale inciso e precisando che l’ana-logia alla canzone è limitata alle sole parole iniziali, ri-tengo che il Presidente Nazionale debba essere sem-pre il più possibile vicino ai Soci e alle loro famiglie, ri-cercando tutti i mezzi possibili per realizzare tale sco-po. La “lettera aperta”, a mio avviso, rientra in tale ti-pologia. Permette di parlare scrivendo. Voi mi avete eletto Vostro Presidente e, quindi, “Co-mandante” e, proprio in tale veste, parlerò al “mioEquipaggio” che deve sentirsi ascoltato, considerato ecoinvolto, per ricercare con ogni mezzo la compattezzae l’unità, caratteristiche che consentono di superaredifficoltà che, a prima vista, sembrano insormontabili.Tratterò argomenti che hanno riflessi diretti e/o indi-retti sull’Associazione, non dimenticando mai la cen-tralità della persona con le proprie speranze e aspet-tative. I Soci rappresentano, infatti, la forza della no-stra amata Associazione.Quello attuale è sicuramente un periodo difficile a cau-sa del “Coronavirus”, che ha colpito e continua a inte-ressare non solo l’Italia, ma tutto il mondo. Una pan-demia di dimensioni tali da aver sconvolto l’esistenzadi milioni di persone. L’emergenza sanitaria legata al“Coronavirus” ha un significativo impatto sulla vitaquotidiana di ciascuna famiglia e di ogni individuo siaper un’eventuale esperienza diretta e/o indiretta all’e-sposizione al suddetto virus sia per l’isolamento socia-le dovuto alle misure di contenimento emanate e siaper una situazione generale di grande tensione e fortedisagio conseguenza principalmente dell’insicurezzaeconomica e lavorativa.Noi tutti siamo abituati proprio per la nostra peculiarenatura ed educazione marinara a rispettare le regole,anche quelle che ci privano di momenti di gioia e sere-nità, quali possono essere trascorrere una giornatacon i propri cari, incontrare un amico, o quelle che met-tono in difficoltà economica i nostri cari. Poniamo sem-pre al primo posto le esigenze collettive. Ma tale civileatteggiamento, caratterizzato, in estrema sintesi, a li-vello personale dal rimanere in casa senza vedere nes-suno o dall’uscire con la mascherina solo per fare lecommissioni urgenti (spesa, farmacia, …), potrebbecreare alla lunga dei problemi. Proprio in tali situazioni l’“Equipaggio”, se è realmentecompatto, trova la sua piena sostanza e significato. Chiè stato imbarcato, come il sottoscritto, per tanti annisicuramente ha vissuto momenti difficili che grazie allasolidarietà marinara sono stati superati. Il termine

“Equipaggio” non è solo riferito a quello di una Nave,ma è estendibile a tutti i nuclei sociali, composti da piùindividui. Rientrano, perciò, ampiamente in questoconcetto anche i Gruppi, che costituiscono l’elementodi base a livello locale dell’ANMI.Ogni Gruppo, nel condividere gli inossidabili valori ei sani principi alla base della nostra Marina e dellanostra Associazione nonché gli obiettivi da consegui-re, ha la propria storia con ricordi legati a particolarieventi e a consuetudini specifiche, scritta da tutti iSoci, che nel tempo hanno partecipato alle varie atti-vità, hanno condiviso momenti sia di gioia sia di tri-stezza, riconoscendosi parte integrante dell’insieme.In sintesi, il Gruppo deve essere una famiglia al cuiinterno ci possono essere anche delle vedute diffe-renti e dei confronti, ma nel quale si deve poter per-cepire sempre e in modo netto un clima sereno e co-struttivo, necessario e indispensabile per ricercareinsieme le più idonee soluzioni alle varie problemati-che per il bene di tutti.Nella situazione attuale il Gruppo, inteso come “Equi-paggio”, deve darsi da fare, assumendo un ruolo attivoe costruttivo. Le sedi chiuse o aperte solo per limitateattività di segreteria non possono svolgere quella fon-damentale azione di coesione, partecipazione, condi-visione e socializzazione, che rafforza il senso di ap-partenenza. Se un membro dell’“Equipaggio” si trovain difficoltà, o si pensa possa esserlo, allora si deve in-tervenire. Mi auguro che ciò già avvenga, ma qualoranon fosse, richiedo con forza ai Gruppi, partendo daiPresidenti e arrivando ai singoli Soci non escludendoalcuno, di mettere in atto tutte le possibili azioni permantenere, anche in una situazione difficile come que-sta, sempre forte il legame con tutti. Se non è possibilevedersi direttamente e incontrarsi, perché le misure dicontenimento del contagio non lo permettono, possia-mo sempre fare una telefonata o, per i più “moderni”,una video chiamata o inviare ogni tanto un messaggio.È necessario mantenere i contatti e, soprattutto, esse-re vicini ai Soci che per i motivi più svariati (personali,di salute, economici, …) possono tendere a isolarsi e avivere male. Una parola, un saluto o una battuta chestrappa un sorriso, costano poco a chi li fa, ma possonoessere di grande importanza per coloro che li ricevono.È indispensabile, infatti, ricordarsi della solidarietàmarinara e concretizzarla, dando fiducia ed energia achi potrebbe averne bisogno. Solo così l’“Equipaggio”, nel suo complesso, continuaa essere tale. Compatto, unito, efficace ed efficiente, inperfetta coerenza con il motto “Una volta marinaio…marinaio per sempre”, che per noi tutti è un must.Essendo giunti alla fine dell’anno, un 2020 sicuramen-te tormentato e problematico, desidero augurare a tut-ti i Soci e alle loro famiglie un 2021 “normale”, che, do-po aver superato le problematiche attuali, permetta diriprendere una vita serena.

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Editoriale del Presidente Nazionale

Caro Socio, Ti scrivo...

Mi è piaciuto davvero tanto...Dopo circa 11 anni di proficuo lavoro, a fine 2020, lascio l’inca-rico di Direttore Responsabile di Marinai d’Italia. Sarò sostituito dall’amm. Angelo Castiglione, uomo di tuttorispetto e carissimo amico, che assicura al nostro periodicouna preziosa continuità.Sono approdato a Marinai d’Italia nel 2009, dopo 16 anni allaRivista Marittima, e sin dall’inizio di questo incarico ho trava-sato alla Redazione tutte le mie esperienze editoriali.Così, ad esempio è stata profondamente variata la grafica per-fino con una miglior leggibilità del carattere di stampa; sonostati arricchiti i temi trattati privilegiando quelli legati al Marein tutti i suoi aspetti. Nel tempo è stata modificata anche lastruttura del nostro periodico che è giunta a quella che reputoun modello ottimale. Infine l’informatizzazione del “Giornale”e del “Diario di bordo”, che sono on-line dal 2009, nonché laraccolta delle immagini provenienti da foto e collezioni dei sociche, sotto forma dell’archivio ANMI, sono messe a disposizio-ne dei soci e di cultori della materia hanno a mio avvisoaggiunto una nota di pregio a questo nostro prodotto editoria-le.Insomma la Redazione ha svolto un magistrale lavoro portan-do Marinai d’Italia a livelli di sicura eccellenza.Basti pensare ad alcuni temi analizzati.Parlo delle Testimonianze di vecchi marinai: testi drammatici,vividi, indimenticabili, magari dalla sintassi un po’ incerta(ricordo di un socio emigrato in Australia dopo la 2^ Guerra

Mondiale che, nell’inviarci uno scritto, poi certamente pubbli-cato perché lo meritava, si scusava evidenziando che “l’ingle-se non l’ho imparato e l’italiano l’ho dimenticato”).Abbiamo riflettuto su L’idea di nemico con una serie di straor-dinari articoli del prof Ferioli.Gli avvenienti della Prima Guerra Mondiale sono stati celebraticon circa 35 articoli; ognuno in tutti i numeri dal 2015 al 2019.Come corollario la nostra Agenda del 2018 ha stampato centi-naia di immagini/cartoline ecc. della Grande Guerra.Sono stati esaminati avvenimenti MAI pubblicati in manieradiffusa nella storiografia nazionale e non: ad esempio la sto-ria dello sminamento post 2^ Guerra Mondiale, dell’interna-mento in Port Mahon delle navi superstiti dopo l’affonda-mento della corazzata Roma e infine, non ultima, le peripeziedegli equipaggi delle navi italiane internate ai Laghi Amarinel Canale di Suez.E poi le Aree Marine Protette, i relitti, i naufragi, le foto d’epoca,gli scugnizzi, gli animali imbarcati, i musei marittimi, le cerimo-nie delle Bandiere di combattimento, i film di guerra navale, iRaduni ANMI, il modellismo navale, le collezioni ANMI, lerecensioni e…Insomma mi sono davvero divertito e ringrazio la Redazioneche, lavorando in perfetta armonia e in un’atmosfera serena efamigliare, ha portato un contributo fondamentale perché que-sta mio sogno si avverasse.Grazie a tutti e un caro augurio ad Angelo Castiglione,Innocente Rutigliano, Daniela Stanco e Roberta Melarance diogni migliori fortune.

Giovanni Vignati

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1 Editoriale del Presidente Nazionale

4 50 anni fa la bella vittoria della Stella Polare, nella regata Plymouth - Tenerife

8 Il mio Montanelli

11 Quando fantasia e passione si fondono con il respiro del mare

16 Il Mediterraneo è malato

20 70 anni di evoluzione del naviglio italiano, dalla NATO al XXI secolo Parte VI - La componente logistica e specializzata

26 Archeologia subacquea Il tesoro di San Josè

29 Immacolata Concezione L’ultima nave del Papa

32 Marinai sul treno dei ricordi

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Sommario

Avvisoai Naviganti

L a copertina di questo numero èdedicata alla fregata Federico

Martinengo. Ecco perché.Nella mattina di sabato 7 novembreil Martinengo (F596), in attivitàoperativa in Oceano Atlantico - allargo delle coste del Benin, è inter-venuto in soccorso del mercantileTorm Alexandra (battente bandieradel Singapore), in navigazione a cir-ca 180 miglia a Sud Est di Lomé, Ca-pitale del Togo, sotto attacco daparte di un gruppo armato di piratigiunti nelle loro vicinanze con unpotente mezzo veloce. Dopo aver ri-cevuto l’allarme sulla frequenza ra-dio di soccorso e avendo appresoche tutto l’equipaggio era riuscito arinchiudersi all’interno della “citta-della” (un’area protetta di cui tantimercantili sono dotati), il Martinen-goha prontamente inviato il proprioelicottero sulla scena d’azione riu-scendo a interrompere l’attacco conuna serie di colpi di mitragliatrice, ascopo dissuasivo. I pirati, che han-no risposto al fuoco senza però riu-scire a danneggiare l’elicottero, aquel punto si sono dati alla fuga.Subito dopo è intervenuto il teamdifucilieri di Marina che dall’elicotte-ro si è calato sul ponte del TormAlexandra con la fune di discesa ra-pida, per verificare che in tutti i lo-cali non vi fosse gente armata. Bo-nificato il mercantile l’equipaggioha ripreso possesso del bastimentoe dopo qualche ora ha potuto pro-seguire la navigazione.Cosa ci fa il Martinengo in quelle ac-que così lontane dalla Madrepatria(la distanza è di circa 4.500 miglia)?La verità è che il Golfo di Guinea èun’area estremamente importante alivello strategico (il 70% del petrolioprodotto in Africa proviene da que-sta regione). E dal 2019 è anche ilteatro in cui si sono verificati il mag-gior numero di attacchi di pirati, ren-dendolo una delle aree del pianetapiù pericolose.La presenza della Marina Militare inquel mare, fortemente voluta dal Mi-nistro della Difesa, ha come obietti-vo la vigilanza a tutela degli interessinazionali e della sicurezza delle viemarittime, allo scopo di assicurarealle navi mercantili nazionali e inter-nazionali presenti il libero uso delmare, ma anche quello di cooperarecon le Marine dei paesi rivieraschi alfine di aumentare la reciproca cono-scenza e fiducia, nonché la capacitàdi cooperazione per contribuire almiglioramento delle condizioni di si-curezza nella regione.A fine dicembre il previsto rientro inItalia.

LA REDAZIONE

In copertinaVedasi “Avviso ai Naviganti”di spalla

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Innocente Rutigliano,Daniela Stanco

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2 - Fax 06.36.80.20.90

Sito webwww.marinaiditalia.com

[email protected]

Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

StampaMediagrafViale della Navigazione Interna, 8935027 Noventa Padovana

Numero copie37.500

Codice fiscale 80216990582

C.C. BancarioUNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.A.Agenzia di Roma 213Ministero Difesa MarinaIBAN: IT 28 J 02008 05114 000400075643Codice BIC SWIFT: UNCRITM 1B94

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Ambedue i conti intestati aAssociazione Nazionale Marinai d’ItaliaPresidenza Nazionalec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 Roma

L’informativa sul trattamentoe protezione dei dati personaliè riportata sul sito dell’Associazionewww.marinaiditalia.comsezione “informativa privacy”

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MARINAI D’ITALIA DIARIO DI BORDOLe operazioni svolte della MM dove gli interessi del Paesesono esposti ai rischi derivanti dalle contese in attoin un clima di tensione che pone in aspra contraddizioneperfino alcuni membri della stessa NATO.

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affrontare qualsiasi condizione di mare efatalmente si iniziava a volerle bene comese non fosse un oggetto inanimato.Negli anni ‘70 la ricerca frenetica di co-struire barche sempre più leggere e velociha rivoluzionato la progettazione degliscafi che, realizzati prima in alluminio e poiin composito, iniziarono a perdere le ca-ratteristiche classiche; apparve prestoevidente che si era rotta quell’armonia atutto vantaggio delle prestazioni con il ri-sultato di rendere freddo e professionale ilrapporto tra l’equipaggio e la barca.Consapevoli di partecipare a una competi-zione internazionale, alla quale erano in-scritti Yacht e velieri di dieci nazioni (AntilleOlandesi, Francia, Germania, Norvegia,

Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna eSvezia), già nelle prime ore di navigazioneiniziammo gli allenamenti per acquisireognuno gli automatismi necessari per ef-fettuare velocemente tutte le manovre insicurezza. Molta fatica richiedevano icambi di genoa (120 metri quadri con tantigarrocci) e le strambate in successione(con i tangoni molto lunghi e pesanti).Dopo le soste a La Maddalena e Palma diMaiorca procedemmo senza particolariproblemi fino a Lisbona.Avevamo percorso quasi 1.500 miglia e,percependo di aver raggiunto un buon af-fiatamento come equipaggio, iniziammoad essere desiderosi e impazienti di met-terci alla prova.

Usciti dal Tago con tutte le vele a riva, do-po poche miglia un vento da Nord di oltre35 nodi ci costrinse a dare due mani di ter-zaroli alla randa; a prora, al posto del ge-noa, lo yankee e la trinchettina ci permise-ro di bolinare in modo soddisfacente.Procedemmo così per circa tre giorniverso WNW e, quando finalmente il ven-to girò a ponente calando al di sotto deiventi nodi, facemmo rotta diretta versoPlymouth.Giunti in Inghilterra, ci trovammo tutti im-mediatamente immersi nell’atmosferache precede una regata importante.A ognuno venne affidato il compito di ve-rificare tutto ciò che riguardava il proprioruolo. Due di noi si tuffarono con la ma-schera subacquea per ispezionare la ca-rena e riscontrarono, con grande disap-punto, che l’opera viva presentava vastesuperfici tutt’altro che lisce. La situazio-ne non consentiva di alzare la barca perfare carena.Dopo una attenta ricognizione della zonadove eravamo ormeggiati, fu individuatoun tratto di banchina dove la bassa ma-rea lasciava il fondo pietroso quasiasciutto e, dopo le sei ore canoniche, sipoteva invece misurare un fondale chesuperava i 3,5 metri.

Per sedici giovani volenterosi l’idea di fa-re carena in piena autonomia ci entusia-smò e ognuno provvide ad attrezzarsi conraschietti e spugne abrasive. Mezz’oraprima dell’alta marea manovrammo per

5Dicembre 2020 Marinai d’Italia

L a regata Plymouth – Santa Cruz deTenerife, organizzata dalla STA (TheSail Training Association), si svolse

nel periodo 20 giugno-31 agosto, durantela campagna addestrativa effettuata daNave Scuola Stella Polare.Partita da La Spezia, la Stella Polare na-vigò per oltre 5.000 miglia, sostando neiporti di La Maddalena, Palma de Majorca,Lisbona, Plymouth, Santa Cruz de Tenerifee Tangeri.Al comando della Nave Scuola era il Te-nente di Vascello Bruno Petronio, già no-to per aver partecipato, classificandosiquarto, alle olimpiadi di Tokio del 1964 co-me prodiere della barca olimpica Grifone(5,50 mt di stazza internazionale) che ave-va al timone l’ancor più conosciuto Capi-tano di Vascello Agostino Straulino (evi-denzio che quanto alle sole medaglie d’o-ro egli vinse: 1 olimpiade, 4 mondiali e 11europei…).

Il resto dell’equipaggio era costituito daiSottotenenti di Vascello Italo Trisolini(Ufficiale in 2°), Gaetano Gallinaro, Ser-gio Spinato, Guido Ravasio, FrancescoCampanelli, Carlo Iodice, Roberto Fusco,Pier Carlo Lupi, Pio Bracco (tutti del Cor-so “Grifoni” 1965-69, del quale il Coman-date Iannucci era stato Comandante allaClasse nei primi loro due anni di Accade-mia), dal Capitano Commissario SergioGuazzotti, dal Sottotenente del GenioNavale Roberto Cecconi, dal Sottotenen-te Medico Roberto Farallo, dal 1° CapoNocchiere Gaetano Di Savino (Nostro-mo), dal 2° Capo RT Luigi Vendramin e dalNocchiere Giuseppe Calabrò.Poche righe per presentare la barca…

È stata concepita nei primi anni ‘60 nellostudio di architettura navale Spark-man&Stephens di New York ed è statacostruita nello storico cantiere Sanger-mani di Lavagna. A giudizio di chi scrive,la progettazione delle barche in legno,nello stato dell’arte di quegli anni, avevaraggiunto il culmine dell’armonia tra le so-luzioni tecnologiche finalizzate a migliora-re le prestazioni e l’eleganza classica del-le forme dello scafo. Sulla Stella Polare,che rappresentava il perfetto compro-messo tra bellezza e performance, dopopochi giorni di permanenza a bordo si ve-niva conquistati dalla sensazione rassicu-rante di trovarsi su qualcosa che, oltre aessere piacevole da vedere, era fatta per

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Professione “marinaio”

Marinai d’Italia Dicembre 2020

50 anni fa la bella vittoriadella Stella Polare

nella regata Plymouth - TenerifeGaetano Gallinaro - 3° Ufficio PN e socio del Gruppo di Roma

Ricordiamo, con questo articolo, il cinquantesimo anniversario della vittoriadi una barca italiana in una regata oceanica; mi esprimo con il “noi” perché oggi,a tanti anni di distanza, grazie al buon WhatsAppè stato possibile ricreare

una sorta di equipaggio virtuale per raccogliere foto e ricordi di quell’estate del 1970

La Stella Polarecon tutte le vele a riva

Da sinistra:

Arrivo a Lisbona.Di poppa il ponte sul fiume Tago

Velatura ridotta con terzaroli,yankee e trinchettina

Sotto, la mappa

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l’intera nottata. Facemmo diciannovecambi di vele in successione: alternava-mo lo spin leggero al drifter, cercando diorzare per farlo portare, ma la lancettadello speedometro (brooks&gatehouse)non si schiodava dal misero 1 o 1,5!Provammo a dare due mani di terzarolialla randa per far arrivare più aria allospin leggero; qualcuno mandò a riva del-la mezzanella la carbonera che aveva lafama di possedere poteri magici, oltreche di spinta propulsiva, ma senza alcun

risultato apprezzabile. Evitavamo di dirlo,ma tutti pensavamo che cento miglia in-dietro c’era un buon vento che stava spin-gendo le altre barche, Zulu in testa, fa-cendo orribilmente diminuire il bel van-taggio che avevamo guadagnato.Fatto giorno, una leggera brezza da NEmosse la lancetta prima a 3 e poi a 3,5. Fumandata su tutta la randa mentre lo spininiziava a portare meglio, sempre meglio,e tutti, facendo finta di nulla, ci mettemmoa rassettare la coperta che era ancora in-gombra di sacchi, scotte leggere e alcunevele da sistemare. Chi scrive scese sotto-coperta e, dopo un lungo lavoro di pom-paggio alla cucina ad alcool, mise a sof-friggere l’aglio per condire la sua specia-lità: spaghetti aglio, olio e peperoncinoche, appena pronti, divorammo con l’ap-provazione di tutti.Passata l’angoscia della notte, nel corsodel collegamento delle 12, verificammoche le posizioni relative erano rimaste piùo meno le stesse e, da vari indizi, comin-ciammo a sospettare che Zulu desse po-sizioni molto approssimative per trarci ininganno. Il vento raggiunse i 13 nodi sta-bili e, avvicinandoci all’isola di Tenerife,

rileggemmo bene le istruzioni di regatache riportavano testualmente: “The fini-shing line bears 180° from the lighthouseat the northern end of the breakwater ofSanta Cruz Harbour. Vessels must crossthis line within 8 miles of the lighthouse.”Per onorare la nazione dove andavamo avincere, issammo uno spin rosso-giallo-rosso, anche perché non ne avevamo unocon i colori italiani; fu una scelta indovina-ta perché gli spagnoli ci riservaronoun’accoglienza calorosissima. Un rimor-chiatore si avvicinò salutandoci con lun-ghi segnali acustici e con getti d’acquacolorati. All’arrivo ci spiegarono che labarca spagnola Halcon si era ritirata a LaCoruña per problemi all’albero e la gente,non amando particolarmente gli inglesi diZulu, riversava tifo e simpatia per noi. Tra-scorse le ore di handicap che pagavamoa Zulu, ci rasserenammo, godendoci la vit-toria e le tante dimostrazioni di affetto allequali non eravamo preparati.Dopo oltre un giorno e mezzo dal nostroarrivo, quando avemmo notizia che Zulustava per arrivare, ricordandoci gli sfottòricevuti a Plymouth dallo stesso equipag-gio, riguardo alla quantità, giudicata ec-cessiva, delle provviste che stivavamo incambusa, uscimmo in mare e li salutam-mo di controbordo con una scopa issataa riva e, dimostrando fratellanza marina-resca, chiedemmo loro se avessero ne-cessità di gallette, acqua e altri viveri diconforto.Terminammo la campagna navale in unclima di soddisfazione ed euforia. Arrivatia La Spezia, dopo i saluti e i complimentidell’Ammiraglio Giovanni Ciccolo (Maridi-part La Spezia) in rappresentanza del Ca-po di Stato Maggiore della Marina, fa-cemmo una ulteriore uscita in mare a fa-vore della troupe televisiva della Rai, cherealizzò un bel servizio che andò in ondanel corso della Domenica Sportiva diquella settimana.

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7Dicembre 2020 Marinai d’Italia

ormeggiare la barca lungo quel tratto dibanchina di cui avevamo verificato la con-sistenza della zona di appoggio e affian-cammo la barca al molo, avendo cura ditenerla leggermente sbandata sul lato del-la banchina. Mentre la marea scendeva cifu molta trepidazione quando la barca siappoggiò con il piombo della deriva sulfondo… ma tutto funzionò alla perfezione:in meno di quattro ore la carena fu grattatae brasivata per ricevere un’abbondantepassata di pittura antivegetativa.Nessun problema per rimettere lo scafo ingalleggiamento e il Comandante, visibil-mente soddisfatto dell’operazione, ci con-cesse un giorno di permesso da trascor-rere a Londra. Non tutti andarono perché,nel frattempo, accanto alla Stella Polare siormeggiò Crackerjack, una barca inglesearmata tutta al femminile, skipper compre-so, che avrebbe partecipato alla regataPlymouth-La Coruña. La gita londinese fu,infatti, rifiutata da alcuni che preferironorestare a bordo con la prospettiva di in-trattenere le nuove amiche che, senza esi-tazione, accettarono di essere ospitate inuna barca spaziosa e accogliente.In realtà fu molto apprezzata la logisticadella “Stella”, che diede il meglio di sémettendo a disposizione comode cuccet-te e tante tavolette di cioccolata dei viveridi emergenza oltre al solito buon chianti,che mette sempre tutti d’accordo. Va dettoche allora, sulle navi della M.M., in mate-ria di donne esisteva la regola inderogabi-le che imponeva un principio fondamenta-le: “tutto ciò che succede fuori dagli stretti(Gibilterra e Suez) non è mai avvenuto”.

Il giorno 29 luglio iniziò la regata. Sulla li-nea di partenza, dal Royal Yacht Britan-nia, con a bordo il principe consorte Filip-po di Edimburgo, venivano alzate le ban-diere previste per la procedura delle par-tenze, che erano scaglionate.Alle 12:00 la classe “A” dei grandi velie-ri: Gorch Fock, Sagres, StatsraadLehmkuhl e Christian Radich. Alle 12:30la “B Division I” delle barche superiori

alle 40 tonnellate: Stella Polare, Astral,Urania, Malcolm Miller, Falken, Gladan,Arminel e Larvik; alle 12:45 la classe “BDivision II” delle barche inferiori alle 40tonnellate: Zulu, Najade, Iroise, Sereine,Halcon e Duenna.La rotta da Plymouth alle Canarie, in estatee in condizioni meteorologiche normali,avrebbe favorito le imbarcazioni meglioattrezzate per le andature portanti.

Grazie a una fortunata situazione meteo-rologica, dopo la partenza il vento iniziò aprovenire da un poco probabile SSW econtinuò così per circa due giorni. Giuntial traverso di Ouessant, a ponente dellaBretagna, il vento girò verso ponente e poisi stabilizzò da Nord.

La Stella Polare non aspettava altro; di-mostrò la sua ottima attitudine a bolinaree, dopo tre giorni dalla partenza passòall’andatura con spinnaker avendo giàguadagnato un bel vantaggio di decine dimiglia sulle dirette concorrenti.Per circa quattro giorni la navigazioneproseguì così, percorrendo circa 160/180miglia nelle 24 ore e, rispetto alle posizionidelle altre barche che, come da istruzionidi regata, dovevano essere comunicatevia radio giornalmente alle ore 12, ci sen-tivamo ragionevolmente certi di vincere intempo reale. Arrivare primi in tempo realeè molto gratificante, ma le regate si vinco-no con i tempi compensati e, in questa na-vigazione eravamo tallonati dalla barca in-glese Zulu, che dimostrava di essere velo-ce, ben equipaggiata e alla quale pagava-mo un compenso di molte ore.A circa 250 miglia dall’arrivo, intorno alle22, in barba alla privacy, mentre tuttiascoltavamo dall’altoparlante della radioHF (18 Watt) una lunga e complicata te-lefonata tra il nostro Commissario Guaz-zotti e la moglie riguardo le prenotazionidell’aereo e dell’albergo a Tenerife, il ven-to iniziò a calare e, con il solito coro di im-precazioni sulla jella indotta dallo sbilan-ciarsi a fare previsioni sull’arrivo, comin-ciammo un posto di manovra che durò

6 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Professione “marinaio”

Da sinistra:

Lavori alla carenadurante la bassa marea

Stella Polare si avvicinaalla linea di partenza

Sotto,mezz’ora alla partenzae la barca inglese Zulu

ci marca da vicino

Ricamo sulla cravatta ufficiale di Crackerjack Stella Polare, una bella barca classica

La Spezia.All’arrivo saluti e complimenti dall’Ammiraglio Ciccolo

Gaetano Gallinaro

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M. “Il Cielo me ne scampi e liberi. Tutti sanno cosa pensavo di cer-te forme di cosiddetta arte e ancor più degli artisti in questione”C. “E allora?”M. “Diciamo che i Montanelli, con gli scultori, non hanno mai avutofortuna. Sai come l’hanno chiamato da sempre, in paese, il mio il-lustre avo risorgimentale, Giuseppe Montanelli?”. “Sì, il cacalibri,per via di quella pila di volumi che gli hanno scolpito sotto il sedere,ma era veramente un parente … Lasciamo perdere e veniamo alsodo. Il monumento, che io non ho certo voluto, non è poi così ma-le, ma mancava di qualcosa”C. “Ovvero? Lo so che sei un narratore in Servizio Permanente Ef-fettivo anche nell’al di là, ma qui lo spazio è poco”M. “E qui ti dò ragione. Ho sempre preteso da me stesso e dagli al-tri la concisione, a partire dall’editoriale: mai oltre due colonne inprima pagina”C. “Altri tempi, adesso sembrano i manifesti della chiamata alle ar-mi o l’annuncio dei comizi elettorali”M. “Chi scrive troppo non ha niente da dire, comunque torniamoalla statua. Ha due peccati, uno veniale e uno mortale”C. “Cominciamo da quello mortale”M. “Tutti hanno scritto, in omaggio alla versione corrente - anzi -vulgata, come diceva il professor Renzo De Felice, pessimo scrit-tore, ma persona onesta, che lo scultore si è ispirato, con pocafantasia, a quella celebre foto scattata da Fedele Toscani nel 1940”C. “Perché? Non l’ha fatta lui?”M. “Eccome se l’ha scattata lui, era un fotoreporter di razza, un ar-tista dall’intuito e dalla tenacia eccezionali”C. “E allora?”M. “Quello scatto risale alla notte tra il 24 e il 25 ottobre 1942. Fu ilprimo, grande e pesantissimo bombardamento aereo inglese suMilano. E io ero seduto su un pacco di giornali della resa del giornoprima, perché non era stato possibile stampare l’edizione del gior-no dopo, né andare ai tavoloni della redazione a causa dell’allar-me. Avevo del lavoro da fare e non andai al rifugio. Per la veritàsembrava finita ma poi arrivò la seconda ondata, e che nespole!Rimasi lì e fui fortunato. La foto, comunque, era già stata scattatae Toscani della Publifoto era proprio bravo. Le incursioni di prima,quelle del 1940, erano state roba da ridere al confronto. Per l’estate1942 avevano già ricostruito tutto, a parte le due dozzine di morti,ovviamente. Quella sola notte del’42 furono 6 volte di più. Per que-sto ti chiedo: Perché retrodatare quello scatto? Per non ricordareche in quegli anni le bombe le sganciavano, di notte e alla cieca, oquasi, dove la va la va, i vincitori? Per ingraziarseli? No, non fa perme. Io certe mimetizzazioni non le ho mai commesse. Né nei mieiarticoli, né nei miei libri o alla televisione”C. “E il peccato veniale?”M. “Gli antichi romani le statue le coloravano, e facevano benissi-mo. Noi, oggi, no e, diciamolo pure, un po’ di quel rosso mi ha fattostar meglio. Se i pompieri ne lasciassero una macchia sola, picco-lina, mi farebbero un piacere personale”C. “Non capisco”M. “Ho fatto la Guerra d’Etiopia senza danni. In Spagna pure. Sonostato, come giornalista, in tanti paesi dove le fucilate, le cannonatee le bombe fioccavano. Certo non mi esponevo in prima linea, i let-tori chiedevano articoli, non necrologi, ma si poteva benissimo mo-rire ugualmente anche in un albergo polverizzato tutto d’un trattoad Helsinki. Poi è stata la volta della Grecia. Mi hanno preso a can-nonate, a terra e in volo, e mi sono buscato pure un principio di tifo,ma anche quella volta è andata bene. Dal 1942 ho fatto l’italiano

(ormai eravamo tutti in prima linea sotto le bombe, americane digiorno e inglesi di notte) fino all’armistizio. Sono sopravvissuto alcasino successivo all’armistizio e perfino alla prigione tedesca.Mai un graffio. Paura tanta, e avrei voluto vedere, con in più la fa-me, vivendo alla macchia e lavandomi nelle fontane pubbliche, epoi il terrore angosciante del futuro, dal destino del giorno dopo al-le prospettive della vita, umana e professionale (avevo e ho soloquesto mestiere) al termine di quella che era ormai, dal 1943 in poi,una follia collettiva bella e buona. L’unico sangue che ho versato,anche in seguito in giro per il mondo, era quello delle lamette dabarba. Nel 1977, invece, ho pagato. Mi è andata bene anche quellavolta, ma mi sono sentito a posto, almeno un poco, con i troppi ri-cordi e le troppe persone e cose che avevo visto, ammirato e, vivaIddio, compianto. Quindi avevo intuito giusto”C. “Sì, ma per il resto hai sbagliato tutto”M. “Il resto cosa. Guarda che qui dentro il gioco funziona anche aparti invertite. Tu sai (o credi di sapere) cosa mi frulla per il capo,ma io faccio lo stesso, bischero!”C. Provo un certo disagio, ma lo lascio continuareM. “Avevi ammesso, più che detto, che c’erano un altro paio diquestioni”C. “Beh le accuse di aver inventato …”M. “Ti ho già detto che quelle non c’entrano. Non sono certo Miche-langelo o Leonardo Da Vinci, ma prova ad accusarli di essersi mac-chiati di vernice i vestiti. Chi sei? La maestrina dalla penna rossa?”C “Si, lo ammetto, ci sono un altro paio di cosette”M. “Che cosette e cosette. Qui dentro è peggio della Cassazione asezioni riunite. O dentro o fuori, o colpevole o innocente. Sii sincerocon te stesso, non puoi barare”C. “L’hai voluto tu”, sospiro.M “No, tu”C. “Primo: hai scritto cose molto belle sulla Marina italiana, ma an-che altre molto infelici. E questo, lo sai, è il mio campo”M. “Proprio perché è il tuo settore te lo lascio tutto e non contestouna virgola di quello che potresti dire o che scrivi”C. “E allora come la mettiamo?”M. “Sono stato un uomo del mio tempo. Ho assistito alla Rivista na-vale in onore di Von Blomberg, nel 1937, subito prima di andare acacciarmi nei guai, per via della presunzione e del gusto della bat-tuta che sono la maledizione di noi toscani, in Spagna. Tu non haiun’idea o, se ce l’hai devi moltiplicarla per cento, di come ci senti-vamo noi italiani, quell’anno e in seguito. Eravamo (e siamo) un po-polo di frustrati tirati su da una razza, maledetta, di intellettuali ca-paci solo di sputare addosso ai propri concittadini o ai vicini cheparlavano la medesima lingua. E questo a partire da Dante, scri-vendo solo per sé stessi o per il principe di turno (salvo crocifigger-lo al momento della caduta). A quel tempo ci illudemmo tutti, oquantomeno lo pensò il 99% della gente, di essere qualcosa di di-verso”C. “Forse siamo qualcosa di diverso”M. “Alludi al Miracolo economico? Al fatto che lo Stato, grazie alRe, Vittorio Emanuele III, è sopravvissuto alla guerra? Al fattoche, a differenza dei tedeschi, non è mai stato girato un film inti-tolato Italia anno zero?, pellicola al cui confronto Paisà e perfinoLa ciociara sembrano opere di Walt Disney? Oppure ti riferisci aicosiddetti “anni di piombo”, altra definizione forestiera fatta pro-pria da troppi miei colleghi che non sanno far altro che ripetere,male, quello che è già stato scritto o pensato all’estero qualcheanno prima? So benissimo che c’erano 500 terroristi in attività,

9Dicembre 2020 Marinai d’Italia8 Marinai d’Italia Dicembre 2020

AVVERTENZA LEGALEL’opera omnia di Indro Montanelli, principe riconosciuto deigiornalisti italiani del secolo ventesimo, è custodita dall’omo-nima Fondazione, amministrata, mi è stato detto, da una nipo-te. Chi scrive ha avuto l’onore di scambiare alcune lettere conMontanelli. Cinque furono pubblicate, con le relative risposte,su Il Giornale e sul Corriere della sera. Due furono scambi epi-stolari personali e privati, repliche incluse, e tali rimarranno.Quello che segue, pertanto, è qualcosa di simile a ciò chescrisse, nel 1948 Giovannino Guareschi, il grande creatore delMondo piccolo di Don Camillo e Peppone, quando spiegò aisuoi lettori che: “Ebbene, qui occorre spiegarsi: se i preti si sentono offesi pervia di Don Camillo, padronissimi di rompermi un candelotto intesta; se i comunisti si sentono offesi per via di Peppone, padro-nissimi di rompermi una stanga sulla schiena. Ma se qualcunosi sente offeso per via dei discorsi del Cristo crocefisso nienteda fare: perché chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma ilmio Cristo: cioè la voce della mia coscienza. Roba personale, af-fari interni, miei. Quindi: ognuno per sé e Dio per tutti”.Montanelli svolse, non solo per me, ma per almeno qualche mi-lione di persone verificate dalla “Accertamenti diffusione stam-pa”, una funzione, se non di coscienza, certo non troppo diversada questa; vale pertanto il discorso, tutto interiore, di cui sopra.

Tra sé e séM. “Allora sei contento?”C. “Di che?”M. “Che mi hanno imbrattato. Vernice rossa gettata in corsa”C. “Ma cosa dici! Figurati se approvo una cosa del genere”M. “Ascolta, qui non siamo in camera caritatis, ma nella tua sca-tola cranica, più sicuro di così si muore, quindi fuori il rospo”C. “Mettiamo subito le cose in chiaro, non sono un teppista e trovoridicola la motivazione (sempre che un atto del genere abbia unoscopo diverso dalla ragazzata) del razzismo nel 1935”M. “Su questo hai ragione due volte”C. “Perché due?”M. “La prima è facile: si è trattato di una moda arrivata, come sem-pre in ritardo, anche da noi. Siamo un popolo di scimmie che imi-tano, male, gli uomini. In America buttano giù le statue degli eroisudisti; eroi veri da 10 contro uno e che ci hanno spesso lasciatola pelle, e se la sono presa persino con Cristoforo Colombo”C. “Modaioli, pertanto”M. “Sì, e anche vigliacchi. Se fossero venuti in corteo, a volto sco-perto e a tirarmi le uova la cosa poteva avere anche un senso. Cosìè solo per vantarsi al bar con gli amici o, peggio, con la ragazza (oragazzo) di turno”

C. “Tu avevi usato la parola vigliacchi in quello stesso posto quan-do ti avevano sparato, proprio lì”M. “Sì, nel ’77, mi sembra”C. “Ma come, non ti ricordi il giorno esatto?”M. “Cosa vuoi mai. Gli anni sono tanti e ne ho viste di tutti i colori”C. “Qualcuna l’hai anche inventata”M. “Di quello parleremo dopo, se vuoi, comunque se ho modificatooppure aggiunto o ribadito qualcosa, l’ho fatto bene; senza cioèquel gusto per il Grand Guignol che aveva Malaparte, il quale fa-ceva lo stesso, come tutti d’altronde”C. “Eterni rivali”M. “Lasciamo stare. Qui, ripeto, siamo tra due parietali e un occi-pitale, quindi sii sincero”C. “Per la verità di dubbi ne ho due o tre”M. “Comincia dal primo”C. “Come ho detto prima, sotto sotto sei contento”M. “E vabbè, si”C. “Perché? Non si tratta certo di amore per la pubblicità. Non seidimenticato, ma citato quotidianamente e ristampato in continua-zione”M. “Beh, per dirla tutta mi sentivo incompleto, ma essendo, o pen-sando di essere, un uomo di buon gusto …”C. “Dai non fare il misterioso, non sei certo un poeta ermetico”

Il mioMontanelliEnrico CernuschiSocio del Gruppo di Pavia

Verbigrazia... pensieri in libertà, con licenza de’ Superiori e privilegio

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G ioacchino Visaggio, amico e so-cio del Gruppo di Civitavecchia,nonché del gruppo di modellisti

“Centumcellae” ([email protected]) non smette mai di navigare.I tanti porti raggiunti (cioè i premi e ri-conoscimenti ottenuti: 36 ori e 26 Best,per citare solo i più importanti e presti-giosi) non sono approdi definitivi, masemplici tappe di un percorso che vaarricchendosi nel tempo di esperienzee motivazioni.

L’ultima creazione completata potrebbeessere definita “una nave in divenire”:non c’è solo l’imbarcazione, il “Bluenosein cantiere”, realizzato in scala 1:100, per-fetto in ogni suo accurato e nitido parti-colare ma anche l’ambiente che lo cir-conda, cioè il cantiere di manutenzione,ricostruito con vivacità nei minimi detta-gli. Mancano solo i mastri, gli operai e imarinai, ma non fatichiamo a dar loro vitacon la nostra fantasia, a vederli con gliocchi dell’immaginazione grattare lo

scafo issati sullo zatterino, o tendere lacatena dell’ancora davanti al bidone digrasso. Come persino gli attrezzi d’epocasiano stati riprodotti minuziosamente, è unsegreto di magia e di passione, qualcosache va ben oltre la semplice hobbistica.Il Bluenose, iscritto nel registro navaledella provincia canadese della NuovaScozia, era una goletta aurica a 2 alberi;venne costruita nel lontano 1920 e varatail 26 marzo dell’anno successivo. In quelperiodo i pescatori delle province maritti-me canadesi e del New England avevano

11Dicembre 2020 Marinai d’Italia 10 Marinai d’Italia Dicembre 2020

fiancheggiatori a parte, combattuti da 500 carabinieri, scelti unoa uno, dal povero generale Dalla Chiesa mentre gli altri 55 milionidi italiani pensavano ai fatti propri e non certo a fare né la rivolu-zione né un altrettanto improbabile colpo di stato. Il nostro popo-lo, e nota che non dico, come certi politicanti e intellettuali cattivimaestri al loro seguito, “Questo popolo” - a differenza di altre cul-ture - sarà anche acefalo, ma ha i fianchi blindati e supera ognicrisi, disastro, epidemia o catastrofe provocata dalla natura o da-gli uomini, progredendo sempre ogni generazione che passa,nessuna esclusa. Ma torniamo al punto”C. “Sì, spiegati”M. “La delusione, ti dicevo, fu grande. Non avevamo la cultura el’esperienza, quantomeno in materia di cose di mare, di altri popolianche se, a dire il vero e a pensarci bene, non ce l’hanno neppurei francesi, i tedeschi o gli spagnoli, per tacere dei russi. Credevamoche la guerra fosse una specie di torneo. Né Mussolini poteva dire,dal balcone, che eravamo battuti in partenza”C. “Ci fu, però, chi lo fece, per iscritto, due mesi prima”M. “Sì, l’ammiraglio Cavagnari. Ma fu l’unico. L’Aeronautica ga-rantì, viceversa, sfracelli, mentre l’Esercito, di cui tutti conosceva-no i limiti sin dai tempi della leva, seguì assieme alla nazione tutta.Tra parentesi Cavagnari lo vidi, nel 1937. Piccolo, elegantissimo,col monocolo e lo sguardo severo. Faceva paura. Arrivava e sicreava il vuoto intorno a lui”C. “E’ per questo che hai scritto cose azzeccate (errori, diciamocosì, tecnici a parte) sulla Marina italiana della Grande Guerramentre per quella del Secondo conflitto mondiale hai esaltato leimprese dei singoli e condannato l’insieme?”M. “Ma che dici? Non sono stato mica Trizzino! Anzi lo feci a pezzi,in prima pagina, nel 1966, dopo che aveva attaccato quel grosso (intutti i sensi) galantuomo dell’ammiraglio Lais. Usai l’ironia, poi con-fermata dalle sentenze dei tribunali. L’errore vero l’aveva fatto laMarina una dozzina di anni prima di quel mio articolo, quando ave-va portato in tribunale Trizzino dimenticando, come pure aveva am-monito il mio collega Aldo Fraccaroli, figlio di Arnaldo, “che i pro-cessi si sa come iniziano, ma mai come finiscono”. Avrebbero do-vuto liquidarlo con un libello tipo i miei di quegli anni, anziché agire,da uomini d’onore, nel campo, ben più insidioso di Punta Stilo o

Matapan, degli avvocati, dei cancellieri e dei capelli spaccati inquattro tra intentio e ratio”C. “Insomma, il tuo giudizio era quello della gente”M. “Quantomeno di quella frazione del pubblico, evidentementenon maggioritaria in sede elettorale, ma importante dal punto di vi-sta editoriale, sedotta dall’idea dei tradimenti, delle fascinose spieslave, dell’Orient-Express eccetera”C. “Hai avuto però degli anni per ricrederti”M. “Non sono, e non ho mai preteso di essere, un’enciclopedia.Un giornalista deve sapere un po’ di tutto e avere il polso del pub-blico. Deve informarlo, non educarlo, come voleva fare inveceMussolini, definitosi primo giornalista d’Italia (ed era bravo), mache si comportò, in realtà, da quello che era davvero: un maestrodi scuola che pretendeva di educare, come alle elementari, unanuova generazione di italiani. Persino il Gran consiglio era fattocome un’aula, con uno scaleo che rialzava il tavolo del Duce ri-spetto agli allievi cui veniva imposto, in apertura, persino l’appellonominale, Balbo, Bianchi, Ciano, De Bono, De Vecchi, Grandi, co-me se fosse la Seconda B. Da direttore, poi, anche se sotto il pro-filo amministrativo lo sono sempre stato piuttosto sui generis, ditempo ce n’era ancora meno”C. “E quindi?”M. “Mi sono basato, per le questioni, come dici tu, navali, su Rosa-rio Romeo, grande economista e storico, ma anche uomo di raropessimismo, peggiore persino del mio, ultimi tempi inclusi. Di un’e-rudizione eccezionale, mi ha spesso criticato per date o citazioni,ma non gli ho mai attributo sentimenti d’invidia, anzi gli ho semprelasciato carta bianca. La sua delusione, da uomo del sud e, per dipiù, originario della Sicilia (come erano e sono, non a caso, Trizzinoe quasi tutti i suoi epigoni: una bega regionale, più che una questio-ne nazionale), fu - se possibile - maggiore della mia. Pertanto nonmi pento di nulla, anzi, e concludo invocando un’aggravante: “Secerti giudizi, ora rivelatisi ingenerosi o, addirittura, campati peraria, sono filtrati è perché scriveva bene, e io ho sempre pagatoper i miei sbagli e per quelli altrui, ma non ho mai ammesso sullemie pagine un autore sciatto o sgrammaticato”.

Conclusione

Il resto del dialogo, dedicato ad altre questioni, non ha importanza,quantomeno nell’ambito di queste pagine. Mi sia concesso, tutta-via, un ultimo ricordo di carattere personale. Andando all’Univer-sità due disgraziati (chi scrive e un suo compagno di studi dal pri-mo giorno di Giurisprudenza, in seguito io suo testimone di nozze elui testimone mio) compravano regolarmente Il Giornale di Monta-nelli in una piccola edicola sotto i portici di via Zamboni, a Bologna.Non era in esposizione e il giornalaio ce lo passava pressoché fur-tivamente con preghiera di non farlo vedere. Essendo giovani e in-coscienti lo piegavamo accuratamente con la testata ben visibilefuori prima di infilarlo nella tasca della giacca (a quei tempi si an-dava a lezione con la cravatta). Era una bandiera per chi non se-guiva la corrente, rumorosa e minoritaria, di quei tempi, ed avevain prima pagina un piccolo pezzo, spesso azzeccato, intitolato Con-trocorrente opera, come sempre, di Indro Montanelli, coscienza dicomplemento e ausiliaria magari non sempre al meglio della for-ma, ma ancora oggi preziosa, perché il coraggio, per di più pagatodi persona, non passa mai di moda.

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Verbigrazia... pensieri in libertà, con licenza de’ Superiori e privilegio

Quando fantasia e passionesi fondono con il respiro del mare

L’abilità di Gioacchino Visaggio,sempre alla scoperta di nuovi orizzonti

Emmanuela Monego - Socia del Gruppo di Roma

L’Amerigo Vespucci

La goletta Bluenose II in ingresso a New York

Foto tratta dal volumeGli ultimi mohicani degli oceani

di J. E. Palkiewicz, per i tipi di Mursia

Modellismo navale

Gioacchino Visaggio

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Per anni batté in velocità tutti i pescherec-ci che si affacciavano sui banchi del NordAtlantico (dopo il varo, quindi con l’operaviva perfettamente pulita, alla guida del fa-moso skipper Angus Walters, vinse la“coppa dei pescatori” dedicata all’imbar-cazione più veloce). Nel 1938 corse la suaultima regata; fu quindi svenduto e trasfe-rito nel Mar dei Caraibi dove venne adibitoal trasporto delle banane, mentre duranteil 2^ conflitto mondiale venne utilizzato pertrasportare dinamite e fusti di combustibi-le di contrabbando. A causa di una tempe-sta al largo del Mar dei Caraibi, il 29 gen-naio 1946, la goletta affondò al largo diHaiti su di una scogliera corallina.Nel 1963 fu varata la nuova goletta Blue-nose II, esatta replica della precedentecon l’aggiunta di due motori Caterpillar da250 CV cadauno, progettata da WilliamRoué e realizzata nei cantieri navali“Smith & Rhuland Lmt” di Lunenber”(Nuova Scozia), che nei mesi estivi veleg-giava principalmente nelle acque canade-si in servizio di Pubbliche Relazioni per loStato della Nuova Scozia.Per l’ossatura del modello Visaggio hausato compensato da 4 mm.; il fasciameè di noce, non chiodato, da 3x1 mm. e 4x1mm. con rinforzo interno di colla vinilicae stoffa (in modo che nel tempo non subi-sca lesioni), il ponte di coperta è di com-pensato di betulla (1 mm.) rivestito con li-stelli di faggio (3x1 mm.). Per simulare lapece ha impiegato del cartoncino bristolnero, tagliato in strisce da 1,5 mm. Il“Bluenose in cantiere” è stato verniciatocon pittura di colore bianco per gli orli, in-terno murata, cabinato e accessori; il ne-ro per l’opera morta e il rosso per la ca-rena. Le sovrastrutture sul ponte sono dicompensato e noce, essendosi egli atte-nuto pedissequamente ai piani di costru-zioni della goletta. L’alberatura è di noce,le manovre dormienti con arridatoi a bi-gotte da 3 mm. mentre le landre sono inottone. Visaggio ha realizzato il sartiamecon corda di canapa nera da 1- 0,75- 0,50e 0,25 mm.; per l’attrezzatura velica hausato invece canapa grigia, a rappresen-tare il cordame usurato, di diametro da0,50 e 0,25 mm. Il bompresso è armatocon catene da 1 mm. e bigotte da 2 mm.;i bozzelli, doppi o tripli per ritenute del bo-ma e del paranco delle imbarcazioni adi-bite alla pesca, variano da 3 a 4 mm. Le 4imbarcazioni per la pesca (in realtà le im-barcazioni erano 8, 4 per lato, sovrapposte)sono in compensato di betulla da 0,5 mm.

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costruito schooner così veloci e adatti aquei mari spesso in burrasca, da poteruscire e rientrare il più presto possibile inporto. Questi incalliti marinai non manca-vano di ironizzare sulle sorti delle ben piùcostose imbarcazioni americane che sisfidavano nell’America’s Cup. Quando, nel1920, una di queste prestigiose regatevenne annullata a causa del vento, ungiornale di Halifax lanciò la sfida di un tro-

feo, l’International Fisherman’s Trophy,che prevedeva una regata tra le golette-peschereccio canadesi contro le corri-spettive statunitensi. La regata divennepertanto una sfida annuale. Ecco quindiche il Bluenose nasce nell’ottica del Tro-feo, con l’alberatura visibilmente più alta ela chiglia più profonda rispetto alle cano-niche golette-peschereccio. Una curio-sità: il suo nome deriva dagli abitanti della

Nuova Scozia, chiamati “Nasi blu” (Blue-nose appunto), a causa del clima rigido diquella Provincia. Dislocava 285 t.; la lun-ghezza f.t. era pari a 54 m., la larghezza8,20 m. mentre l’immersione era pari a 5,1m. La struttura era di legno e l’albero dimaestra misurava ben 38,3 m., la sua su-perficie velica era pari a 1,012 mq.; l’equi-paggio contava su di 22 persone (6 ufficia-li, 1 capocuoco e 15 marinai).

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Il Bluenose

Modellismo navale

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la nave di Guglielmo Marconi), con unconsumo tale di materiale da esaurire sulpiù bello le scorte di legname di cui l’auto-re disponeva. Fortuna volle che un amicopremuroso riuscisse a scovare il preziosomateriale in un monastero sperduto suimonti del messinese, a farlo spedire egiungere a destinazione; dopo tante peri-pezie, non poteva che nascere un capola-voro, e infatti basta scorrere con lo sguar-do, con o senza lente di ingrandimento, idettagli del ponte per rendersi conto di co-me il modellismo diventi perfezione, e pos-sa quindi essere definito arte a pieno dirit-to. L’Elettra, il Rex, il Gennargentu, la Flore,la Queen Mary 2, la pirofregata Borbone,il Vespucci sono veramente oggetti d’arte,preziosi pezzi unici da collezione.A chi gli chiede quale sia il suo sogno nelcassetto, Visaggio risponde che non hasogni, perché ha già raggiunto tutti i tra-guardi immaginabili, e in termini di premi ericonoscimenti non potrebbe aver ricevu-to soddisfazioni maggiori. Ma si sa cheogni artefice (sarebbe più giusto, in questocaso, dire “ogni artista”) è sempre in com-petizione con se stesso, e che questa garaspesso dura per tutta la vita: così, mentreil “Bluenose in cantiere” attende che i la-voratori intorno allo scafo si attivino per ti-rarlo a lucido, ha già preso forma la chigliadel Guiscardo, ultimo modellino attual-mente in lavorazione. Il nome rinvia agliantichi condottieri normanni che conqui-starono il Sud Italia, ma il battello fu co-struito nel XIX secolo in Inghilterra per ilregno borbonico delle due Sicilie: varatonel 1843, era una pirofregata, con l’albera-tura necessaria per navigare a vela e ilsussidio del motore a vapore. Offre quindiun doppio stimolo per la fantasia del no-stro modellista, che sicuramente non de-luderà le attese dei suoi estimatori.; non ciresta quindi che augurare buon vento alGuiscardo, ed attendere con entusiasmoche spieghi le vele.

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15Dicembre 2020 Marinai d’Italia

Lo scalo del cantiere è stato costruitosulla falsariga di quelli procidani, a luitanto cari perché gli ricordano la sua in-fanzia… la terra proviene addirittura dauno di questi. L’invasatura e i vasi sono dilegno di noce chiaro, come la barca ver-niciata di grigio con remi che nel cantiereveniva utilizzata per servizi vari. Visaggioha aggiunto due zatterini, di compensatoda 0,5 mm., di colore nero, che si usavanoper la pulizia della carena; il paranco deibasoli, di compensato di betulla da 0,5mm., è verniciato con pittura di ferro me-tallico e invecchiato. Completano l’operad’arte: un bidone con grasso animale,sporco di fuliggine su una brace di legnocon supporto che serviva ad ingrassarelo scalo, 2 ancore “ammiragliato” con ca-tene da 2 mm., un rullo per cavo d’acciaiocostruito di compensato da 0,5 mm. e pit-turato di grigio, una bitta per dare volta ai

cavi dello scalo, di ottone tornito con duemani di pittura di colore ferro metallico,due cavalletti con tavole di ponte, per la-vori sullo scafo, realizzati con legno di no-ce chiaro, un salpa ancore di legno, tipomulinello del 1800, in compensato da 1,5mm. Per terminare il meraviglioso “Blu-nose in cantiere” Gioacchino Visaggio haimpiegato 11 mesi circa!La passione per tutto ciò che naviga sulmare scaturisce dall’ambiente isolano incui Visaggio è nato: Procida, terra di mari-nai. Sono passati tanti anni eppure lui ri-corda con grande affetto il suo primo mo-dellino, un peschereccio scavato nel legnocon un semplice taglierino quando fre-quentava la scuola di formazione profes-sionale per meccanici e motoristi; poi loscafo ricevuto in dono dal padre, anche luimarittimo, per incoraggiare e incentivare ilsuo talento, e le riproduzioni sempre più

complesse dei traghetti Napoli-Capri, sucui svolse i primi anni di attività lavorativa. L’evoluzione della sua abilità di modellista,che ha dato frutti sempre più impegnativie perfezionati, si è svolta nel segno dellapazienza e dell’originalità: niente scatoledi montaggio, ma semplici fogli di com-pensato di diverso spessore tagliati, rifinitie collocati ciascuno al suo posto con tan-ta attenzione, precisione, e soprattuttoamore e cura, senza mai andare di fretta.Il suo principio ispiratore è fare quello chenon è stato ancora fatto dagli altri; Visag-gio sceglie i soggetti del suo lavoro in basealla rarità, seguendo sempre le vie menobattute. Dopo la scelta vengono i disegniin scala, studiati con minuzia millimetrica,e il paziente intaglio del legno e degli altrimateriali (tondini metallici, fili, cordini estoffe) tramite una miriade di attrezzi pre-ziosi -primo fra tutti il tornio che si è co-struito da solo- diligentemente allineatilungo le pareti di un box-garage in cui ognicentimetro cubo di spazio viene ottimizza-to nel modo migliore; infine il colore, distri-buito con mano da miniaturista esperto.Alla sua attività Gioacchino Visaggio dedi-ca da sempre la parte migliore della pro-pria giornata, cioè il tempo “senza stress”,libero da impegni e pensieri, e mai per unintervallo superiore a due ore, per evitareche il lavoro venga inficiato dalla stan-chezza e dall’impazienza di finire. Presto ebene non vanno insieme, dice l’antico pro-verbio: se pensiamo che le creazioni piùoriginali richiedono l’assemblaggio dicentinaia e centinaia di piccolissimi pezzifatti praticamente dal nulla, possiamo ca-pire come la lavorazione di un modellino siprotragga per anni, un tempo che al pro-fano sembra incredibile. Un esempio chevalga per tutti? L’Elettra, premiata con ilBest di categoria nel febbraio 2020, e com-pletata anche grazie ad un salvataggio ailimiti del possibile: ciascuna fiancata delmodellino richiedeva dai 500 ai 600 pezzi dinoce (legno che imita il tek di cui era fatta

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Modellismo navale

L’Elettra Il Gennargentu

La Flore

La Queen Mary 2

Il Guiscardo in lavorazione

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Tra gli inquinanti che stazionano in fondo al mare ricordiamo lenavi affondate con carichi di veleni che si stimano nell’ordine diun centinaio di unità1. L’inquinamento marino origina anche daraffinerie di petrolio, industrie metallurgiche, allevamenti indu-striali, stabilimenti di fertilizzanti, le industrie chimiche, cartacee,gli scarichi fognari i quali sversano ogni giorno in mare ingentisostanze tossiche mettendo in pericolo la salute dell’uomo chedal mare trae numerose risorse. Completano il quadro metalli pe-santi, sostanze tossiche inquinanti, idrocarburi e cosi anche ilpescato, specie di grosso taglio, ha una quantità di mercurio an-che 20 volte superiore ai limiti stabiliti dall’Organizzazione Mon-diale della Sanità.Ci sono stime che valutano l’assunzione giornaliera di idrocarburiattraverso il cibo, di 3 microgrammi al giorno per individuo pari auna quantità 100 volte superiore a quella ritenuta tollerabile quo-tidianamente. I rischi principali per la salute umana avvengo attra-verso l’ingestione di cibi, pesci e frutti di mare nei quali si accu-mulano le sostanze tossiche quali mercurio, piombo, plastica, ecc.Sulle coste bagnate dal Mediterraneo ci sono addensamenti ur-bani con circa 150 milioni di abitanti a cui consideriamo le cen-tinaia di milioni di turisti che contribuiscono all’inquinamento ma-rino con gli scarichi urbani. Questo inquinamento, che non fa no-tizia, è più rilevante di quello provocato dalle grandi catastrofi sianaturali che causate dall’uomo. Ogni anno dalle sole industriedella fascia costiera milioni di tonnellate di sostanze inquinanti

sono scaricate nel Mediterraneo dagli impianti industriali: le raf-finerie di petrolio sono le principali fonti di inquinamento indu-striale di idrocarburi (con un rateo di quasi il 100%); altre indu-strie immettono cadmio per un 50%, fenoli al 100%. La compo-nente metallurgica contribuisce con olii e zinco per circa il90/100%. Le cifre sono di 85.000 tonnellate di metalli pesanti,900.000 di fosforo, 200.000 di azoto, 47 tonnellate l’anno di polici-clici aromatici: tutte sostanze pericolose per l’ambiente e per lasalute umana, riversate in mare.A tanto si aggiunge l’inquinamento proveniente dai fiumi, dagliscarichi civili senza depuratori, quello prodotto dal traffico marit-timo e dagli incidenti di sversamento di sostanze inquinanti. Lamaggior parte dell’inquinamento proviene dalla industria manifat-turiera e da quella dei fertilizzanti, con la presenza di mercurio,quasi per il 100%, piombo vicino al 50% mentre gli oli e le sostanzegrasse sono a circa il 20%. Gli allevamenti industriali immettonoinquinamento da fosforo a quota 95% e da piombo per oltre il 60%,mentre e la quasi totalità degli organo-clorurati proviene dalla chi-mica e dalla carta.

17Dicembre 2020 Marinai d’Italia

A i primi di luglio si è celebrata la festa del mare, una ricor-renza mondiale per il mar Mediterraneo come Mare di pa-ce che abbraccia tutti i popoli che vi si affacciano, dedi-

cata a tutti i caduti del mare, alla luce delle mutate condizioni geo-politiche. Ricorrenza inoltre utile per fare il punto sullo stato di sa-lute delle acque, considerando che la nostra vita dipende dal MareNostrum, un concentrato unico al mondo per biodiversità, ma an-che per storia, cultura, e unicità di paesaggi.I romani che cosi lo chiamavano, avevano ben compreso l’impor-tanza del Mediterraneo come risorsa di inestimabile valore da di-fendere e proteggere per la sua collocazione geografica che ab-braccia Europa, Asia e Africa ed è al centro di sviluppo, economiae traffici mercantili. Oggi il quadro non è per nulla mutato e si è ag-giunto il fronte inquinamento, sfruttamento delle risorse ittiche eriscaldamento globale.Con il decreto legislativo n. 228 del 2017, che introduce la revisionee integrazione del Codice della nautica da diporto, è stata istituitala giornata nazionale del mare e della cultura marinara per sensi-bilizzare l’importanza del mare come risorsa unica di sviluppo so-ciale, culturale, scientifica, economica, ricreativa e di sopravvi-venza alimentare e ambientale.

La Marina militare con i suoi mezzi navali e con il Corpo delle Ca-pitanerie di porto-Guardia Costiera è impegnata alla salvaguardiadel risorse marine, alla vigilanza del traffico mercantile, alla ricer-ca e soccorso (SAR), alla sicurezza della navigazione, alla difesadel sistema ecomarino, del patrimonio ittico e faunistico, e di tuttele attività economiche che si svolgono sul mare con il concorso dialtre forze di polizia. Attualmente il Corpo delle Capitanerie di por-to-Guardia Costiera è presente lungo le coste della penisola conuna struttura di comando in grado di intervenire tempestivamenteper ogni emergenza ambientale, di controllare 8.000 chilometri dicoste, 25 porti internazionali e 80 nazionali. Oltre alla Marina Mili-tare collaborano a questo specifico compito la Guardia di Finanza,la Forestale delle regioni a statuto speciale, la Protezione civile, iVigili del Fuoco, i Carabinieri, la Polizia di Stato e le Polizie locali,talvolta anche le associazioni di volontariato. Tutte forze in campoche devono essere coordinate efficientemente.

Inquinamento marino

Il Mediterraneo, con una superficie totale di 2,5 milioni di km2, ac-coglie inquinamenti liquidi che lo popolano e arrivano secondo al-cuni studi a più di 10 grammi per litro; la plastica che galleggia dan-neggia la fauna marina e anche gli uccelli che la scambiano percibo mentre i veleni in fondo al mare arrivano ad una densità di cir-ca 2.000 oggetti per km2.L’inquinamento ha oramai raggiunto livelli veramente alti da so-stanze radioattive, chimiche, spazzatura galleggiante, plastica,idrocarburi e altre sostanze inquinanti. Tanti veleni a volte invisi-bili ma assai dannosi per la salute dell’ecosistema marino e del-l’uomo, dalle coste orientali allo stretto di Gibilterra per un peri-mento che lambisce tre continenti: Africa, Asia ed Europa, con isuoi 46.000 chilometri di costa. Una ricchezza che appartiene atutti i paesi che vi si affacciano e da cui traggono risorse fonda-mentali per l’economia.

16 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Il Mediterraneoè malatoLa Marina Militaregioca un ruolo centralema...Salvo Consoli - Capitano di corvetta (CP)

Nota

1 In tale contesto giova ricordare l’arduo impegno svolto dal capitanodi corvetta Natale De Grazia (vds: http://www.comitatodegrazia.org/)della Capitaneria di Reggio Calabria che indagando sull’affonda-mento della motonave Rigel aprì un capitolo rimasto ancora apertoin tema di veleni sommersi nel “Mare Nostrum”. Il Comandante DeGrazia si era messo sulle tracce delle navi dei veleni, che venivanoutilizzate per inabissare sostanze tossiche, arrivando a scoprire in-trecci pericolosi che potevano risolvere il mistero dei cargo affonda-ti nel Mediterraneo, se non fosse morto improvvisamente in circo-stanze rimaste oscure.

La Spiaggia Rosa, situata a cala di Roto,a sud-est dell’isola di Budelli,è compresa nell’Arcipelago di La Maddalena

Marinai per l’ambiente

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sud Italia (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) ed il 52,3% di questisono stati contestati dal Corpo delle Capitanerie di Porto-GuardiaCostiera con il concorso delle altre forze di polizia, Polizia di Stato,Guardia di Finanza, Carabinieri e Corpo Forestale. In merito alla pe-sca illegale la classifica è guidata dalla Sicilia e a seguire la Cam-pania, la Puglia, la Liguria e infine la Sardegna.

Innalzamento delle acque

Copernicus, programma di monitoraggio satellitare dell’UnioneEuropea evidenzia come il Mediterraneo subisca per effetto del ri-scaldamento climatico l’innalzamento del livello delle acque conle conseguenze prevedibili per le coste , specie quelle più bassee se questo trend andrà confermato L’Enea precisa che entro il2100 l’impatto sugli oltre 5.600 km di coste italiane sarà a rischio,comprendendo anche 385 km di spiagge con conseguenze sui por-ti nazionali principali con punte di oltre un metro per Venezia, Au-gusta, Brindisi, Olbia, Civitavecchia, Taranto e Ancona; e vicino almetro per La Spezia, Gioia Tauro, Catania e Savona.

Aumento della temperatura

Gli effetti del riscaldamento globale interessano il bacino Mediter-raneo come rilevato da Copernicus Marine Service che riporta unaumento della quantità di calore nelle acque con valore costante-mente in crescita e vieppiù con un accelerazione dal 2005. Questoaumento mette a rischio diverse specie marine tra cui le tartaru-ghe nonché l’intero ecosistema biomarino per il quale sono neces-sari interventi di salvaguardia ambientali urgenti.

Nuovi inquinanti

A seguito dell’emergenza sanitaria si registra un aumento delleattività illecite da parte di organizzazioni criminali e anche da par-te di soggetti incentivati per diversi ragioni a commettere reati divario genere. Sul fronte ambientale si evidenzia come i presidi diprotezione antivirali, guanti monouso e mascherine chirurgichetrovino nella costa e nel mare un luogo di raccolta grazie agli at-teggiamenti incivili, complicando cosi il quadro delle fonti di in-quinamento.

Azione di intervento

Il piano di lavoro da predisporre per salvare il Mare Nostrum èmolto impegnativo e deve essere affrontato su più fronti, partendodalle scelte di vita e di consumo individuali, riducendo il consumodi pesci predatori di grosse dimensioni ed evitando di gettare negliscarichi domestici inquinanti non biodegradabili. Occorre cioè nonutilizzare il mare come fosse un cestino della spazzatura. I Comunidevono aumentare gli impianti di depurazione mentre agli organidi polizia giudiziaria restano le verifiche antinquinamento sia sullacosta che dal mare.Sarebbe necessario intervenire con una serie di obiettivi priori-tari come la mappatura dei rifiuti del mare e della costa, predi-sporre un piano di intervento operativo sia da terra che dei mezzinavali, creare un sistema informatico comune per il trattamentodei dati raccolti da condividere con tutti gli attori del settore, mo-nitorare tutte le navi affondate che contengono carichi velenosi.Infine è di vitale importanza la creazione di centri decisionalioperativi che possono coordinare tutti i soggetti interessati inmodo sinergico, efficiente ed economico grazie al monitoraggiodei risultati.Ripulire il Mediterraneo è e resta un obiettivo prioritario che devetrovare nei principali attori istituzionali un referente che è in gra-do per la disponibilità del sistema uomini-mezzi e con alte com-petenze a coordinare e intervenire per ridurre e magari eliminaretutte le sostanze che inquinano la nostra esistenza, provvedendoalla salvaguardia dell’ambiente marino in tutti i suoi aspetti: urgeunificare le competenze di tutti ministeri interessati, dall’ambien-te alla difesa, alle politiche agricole ai trasporti fino ad arrivareai beni culturali e ambientali e al Dipartimento della protezionecivile ed avere una opzione di comando e controllo che in siner-gia consegua la massima efficienza.La Marina Militare, che ha un ruolo centrale e primario di autoritàmarittima con il Corpo delle Capitaneria di Porto-Guardia Costieragià impegnato a tutto tondo per il benessere del mare, è l’unicosoggetto qualificato che con i suoi uomini, i suoi mezzi e la sua or-ganizzazione può realizzare e eseguire un progetto mirato per ri-portare il Mare Nostrum a essere fonte di sviluppo, di ecososteni-bilità e di alleanza tra i popoli che vi si affacciano per un futuro dipace. Solo con un progetto complesso e innovativo, che coinvolgaaltri attori istituzionali e sociali prossimamente potremmo festeg-giare la salute del nostro stupendo Mediterraneo.

nnn

19Dicembre 2020 Marinai d’Italia

Per l’uomo la catena alimentare diventa quindi il mezzo di conta-minazione, per cui sia vegetali marini, molluschi e grandi predatoricome pesce spada, tonno, cernia, i datteri (peraltro vietati dallalegge) ecc., che sono spesso apprezzati come alimenti prelibati,diventano cibi pericolosi poiché ricchi di mercurio in particolare,che porta tutte le patologie dipendenti da inquinanti tossici (fino aquasi il 100% dei casi totali) con disturbi che si manifestano a lungotermine, specie per chi consuma più volte la settimana questa ti-pologia di cibo. In particolare gli inquinanti da idrocarburi causanoproblemi al sistema immunitario, i metalli pesanti danni al sistemanervoso, endocrino e riproduttivo e contribuiscono anche a ma-lattie degenerative e tumori, gli organo-clorurati causano danni alsistema ormonale e cosi in questo percorso entrano in ballo altremalattie con l’arsenico che interessa l’apparato gastro intestinale,il cadmio l’apparato urinario e i fenoli che colpiscono la tiroide.L’inquinamento maggiore del mare viene dalla costa, dalla terra-ferma. Italia, Francia e Spagna da sole sversano la maggior partedegli inquinanti totali (scarichi industriali, acque da scarichi civilie dai fiumi) che ogni anno assommano a circa 300 km. cubi di ac-qua; poi c’è l’inquinamento causato dalle piogge che portano inmare rifiuti solidi e liquidi di ogni genere. Riguardo al traffico mer-cantile oltre un terzo della navigazione commerciale e mondialesolca le acque del Mediterraneo per un totale di oltre 12.000 navicon almeno 1/5 che trasporta solo prodotti petroliferi generandouna fonte di inquinamento rilevante.

Azione giudiziaria

Nel 2019 sono stati 23.623 i reati commessi contro l’ecosistemamarino del Mare Nostrumcome risulta dall’Osservatorio nazionaleAmbiente e Legalità di Legambiente; rispetto all’anno precedentesi è registrato un incremento del 15,6% a indicare che la situazionepeggiora nonostante le attività di polizia giudiziaria. L’azione di re-pressione di fatto ha registrato un ammontare di sequestri di beniper 520 milioni di euro con un incremento dell’11,2% rispetto al2018 a testimoniare che nonostante tutto il lavoro non è abbastan-za sufficiente.

Spiccano tra i reati rilevati l’inquinamento da scarichi di acque amare non depurate, pesca di frodo incontrollata, colate di cemen-to illegale e erosione della costa con perdita di dune che scom-paiono insieme a metri di sabbia. All’apice della classifica dei rea-ti quelli relativi al cemento illegale con quote che arrivano al42,5% del totale dei reati con la regione Campania in testa, seguitadalla Puglia, Lazio, Calabria e Sicilia. A ruota seguono i reati am-bientali con inquinamento del mediterraneo per carenze di depu-razione delle acque con scarichi fognari e idrocarburi per un to-tale di 7.813 infrazioni accertate nel 2019 con una incidenza di ol-tre 1/3 dei reati accertati (33,1%) contro l’ecosistema marino. Cir-ca i reati ambientali le aree più esposte si trovano in Sicilia tra cuila famosa “scala dei turchi” ad Agrigento, le isole Eolie e Lampe-dusa; in Campania la costiera amalfitana, la costa dal Salento finoal litorale calabrese inclusa l’isola di Capo Rizzuto; anche il deltadel Po ha una posizione di tutto rispetto per il concentramento dirifiuti di plastica.Sulla plastica c’è da evidenziare che il quantitativo stimato di in-gresso nel mare si aggira sulle 570.000 tonnellate e con le prospet-tive di produzione in aumento sarebbe veramente grave per tuttoil bacino Mediterraneo tenuto conto di paesi che persistono nel-l’inquinare a partire dalla Turchia, dall’Egitto e anche dall’Italia, se-guita da Francia e Spagna. Il punto di svolta sta nel sistema dismaltimento e di riciclo del materiale plastico dove le percentualia carico dei paesi inquinanti sono molto basse (solo la Francia ar-riva al 25%). La plastica e la microplastica sono già un inquinantead alto rischio biologico, vengono ingerite dai pesci e dai molluschie finiscono nella catena alimentare umana.

Pesca

L’attività di pesca ha raggiunto livelli tali da mettere a rischio la so-pravvivenza di decine di specie marine con almeno il 62,2 % di pe-scato dei livelli biologicamente insostenibili a livello globale. LaTurchia è in testa a questa classifica con 280.000 tonnellate circadi pescato, seguita a ruota dall’Italia (oltre 180.000 tonnellate),mentre risultano assai inferiori i valori per la Spagna (circa 80.000tonnellate) e la Grecia (intorno alle 70.000).In Italia al 22% dei reati contestasti c’è la pesca illegale che ha re-gistrato sequestri per 69.000 metri di reti illegali dannose per la bio-riproduzione marina, 555.000 kg di pesce pescato e 7.500 attrezzida pesca. Le maggiori aree colpite dal fenomeno illegale sono al

18 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Marinai per l’ambiente

Nave Marina Antinquinamento Discoil

Produzione mondiale dell’industria del pesce, in milioni di tonnellate

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C on questo articolo completiamo la disamina dell’evolu-zione del naviglio della Marina Militare della Repubbli-ca italiana. Lo facciamo, last but not least, parlando del-

le componenti logistica e specializzate: in particolare naviglioanfibio, per la guerra alle mine, per il supporto della flotta, au-siliario minore e addestrativo.

Il naviglio anfibio

La Regia Marina non aveva mai schierato una componente anfibiadi grandi dimensioni, sebbene il nucleo attorno al quale si incen-trava, il Reggimento San Marco (già Reggimento Marina), avesseeccellenti tradizioni, rafforzatesi durante le guerre mondiali. DallaSeconda era uscito provato, anche a causa delle vicende succes-sive all’8 settembre 1943. Nel 1951 il Battaglione San Marco fu in-serito, su base interforze, nel Settore Forze Lagunari, partecipandoa diverse operazioni (l’alluvione nel Polesine -1951, la crisi italo-iu-goslava per Trieste -1953-54, di Suez -1956).Il materiale a disposizione era scarso e datato, con mezzi anfibi ti-po LVTP Mk-4 e da sbarco ceduti da Stati Uniti e Gran Bretagna.Il naviglio, poi, era quanto mai limitato: l’eredità bellica era rappre-sentata dal Sesia, unica delle 5 bizzarre unità realizzate tra 1927 e1937 (il prototipo Adige e appunto le 4 “Sesia”) come cisterne peracqua, ma predisposte all’impiego anfibio, e da una ventina di mo-tozattere da trasporto e sbarco tipo MFP tedesche, realizzate tra1942 e 1945, l’ultima delle quali sarebbe stata radiata nel 1995. Nel1948 furono acquistate 2 navi da trasporto non ancora completate,che sottoposte a ricostruzione a partire dal 1949, sarebbero stateconsegnate nel 1953-54 come unità da trasporto anfibio e sbarcoclasse “Vesuvio”. Entro il 1952, inoltre, americani e inglesi tra-sferirono alla Marina 9 LCT da 460 e 640 t., uno dei quali andatoperduto in Mar Rosso nel 1955 mentre supportava le operazionidel contingente militare inviato per tutelare l’Amministrazione

fiduciaria italiana sotto egida ONU in Somalia (1950-60). Delle re-stanti, trasformate negli anni ’50 e ’60 in unità ausiliarie costiere,un paio cedute all’Albania nel 1998 e le ultime sono state radiatenel 2008Tutto questo, tuttavia, non poteva essere sufficiente a supportareil rafforzamento della componente anfibia, che nel 1957 vide scio-gliersi il contingente interforze e infine, nel 1964, nascere il Reggi-mento Lagunaridell’Esercito e il Reggimento San Marcodella Ma-rina. E ancora una volta, tenendo conto della scarsa esperienzanel settore della cantieristica italiana, per alimentare la 3ª Divisio-ne navale di Brindisi fu fondamentale il supporto della US Navy,che già nel 1957 aveva ceduto una nave-appoggio, originariamen-te per gli idrovolanti classe “Barnegat” da 2.800 t. costruita nel1942-43, modificata all’atto del trasferimento in nave appoggio persommozzatori/incursori e dragamine, impiegabile anche comeammiraglia per le operazioni anfibie e ridenominata Cavezzale. Sa-rebbe rimasta in servizio, di supporto a COMSUBIN e dragaminesino al passaggio in riserva nel 1993, per essere radiata nel 1994 edemolita 2 anni dopo1.Tra 1962 e 1972 la US Navy avrebbe poi ceduto all’Italia altre 5 unitàanfibie, decisamente più prestanti. Nel febbraio 1962 entrava per-tanto in servizio l’Etna, una nave da trasporto e sbarco classe “An-dromeda” del 1944, da 14.000 t., capace di trasportare quasi 5.000tonnellate di carico, compresi 22 mezzi da sbarco. In riserva dal1955 e revisionata nel 1961-1962, resterà in servizio con la MarinaItaliana sino al 1977. Nel novembre 1962 fu affiancata dall’Anteo,

20 Marinai d’Italia Dicembre 2020

70 anni di evoluzione del naviglio italiano,dalla NATO al XXI secolo

Parte VI – La componente logistica e specializzataGiuliano Da Frè - Giornalista

Marine Militari nel mondo

Nave Anteocon mezzo di salvataggio

una nave da sbarco tipo LST-1 da 4.080 t. costruita nel 1943, capacedi trasportare 20 carri armati e 160 soldati. Sottoposta a modifichenel 1957 e revisionata all’atto della cessione, sarebbe rimasta inservizio sino al 1973. Nel 1968 toccò alla Bafile, un’altra unità ap-poggio idrovolanti (classe “Whiting”, da 12.600 t.), costruita nel1943-1944 e convertita in nave trasporto anfibio. Nel 1971 fu tra-sformata in nave d’assalto anfibio, realizzando a poppa un pontedi volo per accogliere 2 elicotteri pesanti modificati per l’eliassalto.Robusta e affidabile, la Bafile sarebbe rimasta in linea sino al 1981,passando in riserva per essere impiegata come nave-caserma si-no alla radiazione, nel 1988.All’inizio degli anni ’70, la crisi colpì anche la 3ª Divisione navale,che inquadrava oltre il naviglio sottile d’attacco, la componenteanfibia. Le 2 “Stromboli” e la Sesia furono radiate nel 1972, seguitenel 1973 dall’Anteo, mentre come accennato Etna e Bafile sareb-bero uscite di scena tra 1977 e 1981. Tuttavia, le capacità cantie-ristiche italiane nel settore non erano migliorate di molto, poichéanche il modesto programma avviato nel 1965 per la realizzazionedi 5 LST da 980 t., si era fermato con la consegna nel 1968 della ca-poclasse Quarto, con prestazioni non in linea con le aspettative,impiegata dal 1975 al 1992 come nave per esperienze, mentre lealtre 2 unità già impostate venivano cancellate. Pertanto, a rimpin-guare la linea anfibia giunsero 2 ulteriori unità cedute dagli StatiUniti, LST classe “De Soto County”, Grado e Caorle da 7.800 t., ca-paci di trasportare 2.000 t. di materiali, compresi 23 carri armati, 4mezzi anfibi e oltre 600 uomini. Si trattava di unità non dissimili daquelle realizzate durante la guerra, ma di costruzione più recente(1956-1958), e al momento della cessione, nel 1972, avevano menodi 15 anni di servizio. Negli anni ’70 fu rinnovato anche l’armamentoin dotazione ai Lagunari e al San Marco, con l’acquisto di 25 mo-derni carri anfibi tipo LVTP-7, mentre agli APC M-113 si affiancavala versione da combattimento realizzata in Italia VCC-1/2, con limi-tata capacità anfibia.Nel 1982, tuttavia, la situazione del naviglio anfibio era di nuovoprecaria, con in servizio le sole Cavezzale (ma adibita a vari im-pieghi, mentre il Bafile era in RDT) e le 2 “Grado”, vecchie di 25anni. E proprio nell’estate di quell’anno, la missione in Libano ri-chiese l’impiego delle 2 LST e di alcuni traghetti e motonavi civili,nonché il dispiegamento del Battaglione San Marco, agli ordinidel carismatico CF Pieluigi Sambo2. Niente di strano nella requi-sizione o noleggio di naviglio mercantile, tradizione plurisecola-re cui proprio nel 1982 anche la Royal Navy aveva nuovamentefatto ricorso per la campagna delle Falkland. Nulla di stranonemmeno che nave Caorle avesse un’avaria – poi riparata inmare – rallentando la spedizione, e alcuni vecchi mezzi da sbar-co si piantassero prima di prendere terra: il comparto anfibio erastato sino ad allora negletto, pur disponendo di un eccellentesettore quale il San Marco.L’industria navale italiana, in quegli anni tornata protagonista an-che sul mercato dell’export con una nuova generazione di eccel-lenti fregate, corvette e cacciamine, e rinvigorita dalla Legge Na-vale del 1975, stavolta era pronta a impegnarsi anche nel settore

anfibio. Nel 1984, sulla spinta della missione libanese, fu così au-torizzata la realizzazione di 2 unità anfibie dal progetto innovativo,tipo LPD (Landing Platform Dock) ma tuttoponte, sebbene prive dihangar aeronautico sottostante, collegato con elevatore al pontedi volo. San Giorgio e San Marco (quest’ultima finanziata dallaProtezione Civile, con alcune modifiche legate al potenziamentodella capacità ospedaliera e di supporto alle popolazioni colpiteda calamità), impostate nel 1985, furono consegnate nel 1988: intempo per partecipare a una lunga serie di missioni a lungo rag-gio, dalla Somalia (1992-95) all’Adriatico tormentato dal conflitto

21Dicembre 2020 Marinai d’Italia

Nave anfibiaex US Navy Anteo

(1962-1973)

Nave anfibiaex USA Andrea Bafile

(1968-1981)

Nave anfibia Caorle (1972-1988)

Note

1 Non dimentichiamoci che nel 1951 la US Navy aveva ceduto all’Italia anche 6cannoniere classe “Alano”, concepite per il supporto di fuoco alle operazionianfibie.

2 Detto anche “Sambokan”. Più tardi a capo degli anfibi anche durante la Mis-sione “Alba” del 1997, in Albania, e quindi contrammiraglio della riserva.

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iugoslavo (1991-99), a Timor Est (1999), al ritorno in Libano (2006),sino alle più recenti crisi politiche e migratorie innescate dalla“primavera araba” del 2011. Queste ben riuscite unità lunghe 133metri e di quasi 8.000 t., capaci di trasportare da 3 a 5 elicotteri,36 veicoli corazzati e 350 uomini, sono state affiancate nel 1994 dauna terza, la San Giusto, più grande e con migliori capacità di co-mando e controllo, nonché configurata anche come nave scuola.Tra 2000 e 2005 le prime 2 unità sono state ampiamente modifica-te, sbarcando il cannone da 76/62 mm, per allargare il ponte di vo-lo, in modo da disporre di 4 spot di decollo, mentre tra 2012 e 2016tutte e 3 sono state aggiornate, imbarcando anche nuovi radar.Inoltre, come già accennato, anche le portaerei Garibaldi (dal 2011impiegata proprio come LHD) e Cavour sono configurabili per l’im-piego come navi per l’eliassalto anfibio. La Legge Navale del 2014,tuttavia, ha deciso di ufficializzare questa necessità, approvandola costruzione di una moderna LHD (Landing Helicopter Dock), ilcui contratto – del valore di 1,1 miliardi di euro – è stato firmato nel2015. Impostata il 13 luglio 2017, varata il 25 Maggio 2019 col nomedi Trieste, sarà consegnata nel giugno 20223, e si presenta comeun’unità lunga 245 metri e larga 36, con un dislocamento stimatoin 33.000 t. a pieno carico (paragonabile alle dimensioni della Ca-vour), che potrà sostituire la portaerei, in caso di necessità, ospi-tando anche gli F-35B, grazie all’adozione dello sky-jump. La lineadi volo è, soprattutto, incentrata su elicotteri, con una capacitàdell’hangar di ospitarne sino a 14, mentre l’ampio ponte dispone di9 spot di decollo e aree di parcheggio; 2 elevatori della portata di42 tonnellate collegano il ponte di volo all’hangar. Resta sul tappeto la necessità di sostituire le LPD classe “Santi”,che stando alla pianificazione, redatta nel 2012 dalla Marina in ma-teria dismissioni, avrebbero dovuto “andare in pensione” entro il2022, anno in cui la LHD andrà a sostituire nave Garibaldi. Lo StatoMaggiore Marina ha ribadito la necessità di disporre di 4 unità an-fibie, compresa la Trieste: quasi certamente saranno basate sulprogetto LHD-20000, da tempo elaborato da Fincantieri anche perl’eventuale export, che già ha ottenuto successi con le 2 “SuperSanti” acquistate da Algeria e Qatar.Da non dimenticare, infine, che nel 1984 furono consegnate le 2unità classe “Pedretti”, da 100 t. con scafo in vetroresina, impie-gate per il supporto del COMSUBIN, cui sono subentrati nel 2019-2020 i 2 nuovi UNPAV classe “Cabrini” da 185 tonnellate in costru-zione dal 2016.

La guerra delle mine

Per gli specialisti della lotta alle mine, la guerra non finì nel 1945.Sino al 1950, infatti, si svolse una diuturna campagna per lo smi-namento di porti e coste nazionali, che vide la bonifica di oltre10.000 ordigni di tutti i tipi, impiegando circa 200 imbarcazioni. Nonsolo furono infatti intensivamente sfruttate le unità superstiti dellaguerra, ma anche corvette, vecchie torpediniere e cacciasom-mergibili costiere furono attrezzate per il dragaggio, assieme a de-cine di unità civili, soprattutto pescherecci, i più riadattabili a que-sto genere di attività. Nel 1947-48 parte delle unità ereditate dallaRegia Marina dovette essere ceduta a norma dei termini del Trat-tato di Parigi: restavano così in servizio, oltre alle unità civili modi-ficate, solamente 6 vecchi posamine della Grande Guerra e 13 pic-coli dragamine veloci “Vigilante” e RDV, questi ultimi di nuova co-struzione e, in parte, completati entro il 1949. Dei vecchi posamine degli anni ’20 superstiti, Fasana e Azio furonoimpiegati per il supporto e radiati entro il 1957, mentre il Buffolutofu nuovamente utilizzato come nave trasporto, restando in serviziosino al 1973, toccando quasi i 50 anni di vita4.La componente di guerra alle mine fu, tuttavia, “rimpolpata” sin dal1946-47 da cessioni da parte dei Paesi vincitori: la Royal Navy ce-dette, infatti, 16 trawlers (grandi pattugliatori/dragamine armaticon cannoni antiaerei e sistemi antisom, poi sbarcati) tipo “Bas-set” del 1940-42, poi modificati negli anni ’50 e radiati entro il 1965,17 dragamine costieri di costruzione americana (1941-43), andatia formare la classe “Fiori”, radiati tra 1966 e 19685, mentre 16 unitàtipo MMS-1 furono restituite entro il 1950.Il contributo americano si fece sentire, invece, in una fase succes-siva all’adesione italiana alla NATO e, ancora una volta, furono al-ternate cessioni e contributi economici per la realizzazione delleunità nei nostri cantieri.Il grosso della rinnovata flottiglia dragamine finì così per incen-trarsi sulla classe “Abete”, con ben 37 unità costiere da 400 t.tipo “Adjutant”: 17 furono realizzate negli Stati Uniti nel 1953-54e cedute nuove, mentre altre 19 furono costruite, in 2 lotti, invari cantieri italiani, tra il 1955 e il 1957; un’ultima unità modifi-cata (Mandorlo) sarebbe giunta dagli Stati Uniti nel 1960. Sem-pre nel 1956-57 il governo americano cedette in conto MDAPaltri 4 dragamine di nuova costruzione, tipo oceanico “Aggres-sive” da 750 t., andati a formare la classe “Salmone”, mentre

22 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Marine Militari nel mondo

nei cantieri italiani dal 1955 al 1957 venivano infine realizzati sulicenza, nell’ambito di una commessa NATO, 20 dragamine lito-ranei tipo “Ham” o classe “Aragosta”.Nel 1960, quindi, la Marina Italiana poteva contare su ben 61 dra-gamine di nuova costruzione e 33 risalenti agli anni ’40, poi radiatitra 1965 e 1968. In quel periodo prendeva poi corpo il nuovo concetto di unità “cac-ciamine”, che si differenziava dai dragamine tradizionali, impiegatiper la bonifica di aree predeterminate, in quanto progettati edequipaggiati con sonar e mezzi a comando remoto (ROV), per la ri-cerca, localizzazione e neutralizzazione delle mine. Novità che siincrociava con la crisi della Marina dei primi anni ’70, che portò aldisarmo, nel 1973-75, di 15 dragamine tra “Aragosta” e “Abete”,mentre altri 2 venivano convertiti in navi idrografiche. Altri 18“Abete” e 4 “Aragosta” sarebbero stati radiati tra 1980 e 1991,mentre 3 “Salmone” e 4 “Abete” furono convertiti in pattugliatori(anche per l’impiego nella missione del 10° Gruppo Navale costie-ro attivato in Mar Rosso nel 1982, su mandato ONU), con gli ultimiesemplari radiati nel 2003; 6 “Aragosta” sono stati convertiti nel1985 in unità addestrative per l’Accademia Navale. Due sono statie ceduti alla Tunisia nel 2002; le 4 unità ricostruite sono state ra-diate tra 2017 e 2019.Tra il 1975 e il 1984 fu, però, anche effettuata la trasformazione incacciamine di 7 “Abete”, che sbarcarono l’attrezzatura per il dra-gaggio riequipaggiandosi con radar, sonar e sistemi cacciamine.L’esperimento fu contrassegnato da luci e ombre: da un lato, chia-mate a un test operativo nel 1984, quando il rilascio di alcune minein Mar Rosso provocò danni alla navigazione lungo questo vitalechoke-point mondiale, 3 unità convertite, ivi spedite, col supportodel Cavezzale non ottennero grandi risultati (al pari, va detto, diquelle inviate dalle altre Nazioni). Dall’altro, si dimostrarono uti-lissime piattaforme sperimentali e addestrative, in vista dell’en-trata in servizio della prima vera classe di moderni cacciamine,realizzati da Intermarine sviluppando un progetto originale estre-mamente valido, tanto da consentire a quest’azienda di divenireun leader del settore a livello mondiale. A partire dal 1978, graziealla Legge Navale, furono infatti realizzati per la Marina i 4 cac-ciamine classe “Lerici”, tutti consegnati nel 1985, subito testativalidamente durante le missioni nel Golfo Persico del 1987-88 e1990-91. Inoltre, già nel 1981 e 1983 erano giunti ordini da parte diMalaysia e Nigeria per altre 6 unità quasi identiche, mentre tra

1986 e 1994 la Corea del Sud ne immetteva in servizio altre 6 rea-lizzate localmente. Si trattava di unità avanzatissime, con unospeciale scafo in vetroresina, di non facile lavorazione e molto co-stoso (ma anche resistente alla normale corrosione), sensori eROV “Pluto”, all’epoca all’avanguardia. Unico neo dei “Lerici”,emerso soprattutto nel corso delle missioni a lunga distanza e nel“Mediterraneo allargato”, la scarsa abitabilità, soprattutto nelcorso delle attività di sminamento.Dovendo sostituire i 7 vecchi draga-cacciamine, radiati tra 1992 e1996 (2 saranno ceduti alla Grecia), nel 1988 fu avviata la costru-zione di una seconda serie poi arrivata a 8 unità, consegnate tra1992 e 1996, classe “Gaeta”,unità più grandi e con apparati rinno-vati, in parte poi retrofittati sui “Lerici” negli anni ’90 e 20006.Negli ultimi 20 anni, “pensionate” le unità realizzate tra 1955 e 1960,la componente di mine warfareè stata incentrata su questi 12 cac-ciamine, appoggiati di volta in volta da unità ausiliarie, come la exfregata portaelicotteri Alpino, che ha ricoperto tale ruolo dal 1994(quando fu radiata la Cavezzale) al 2006, o le navi appoggio Anteoed Elettra, di cui parleremo più avanti.Nel 2012 Lerici e Sapri sono passati in RDT, per poi essere radiatinel 2015 per una eventuale vendita, mentre entro questo decenniol’intera linea andrà sostituita. Da un decennio, infatti, si ragiona suuna nuova generazione di unità più grandi, inizialmente indicatecome Cacciamine Oceanico Veloce (COV), e ora “cacciamine di

23Dicembre 2020 Marinai d’Italia

Il dragaminepoi nave addestrativa Astice(1957-2019)

Dragamine Mango, impiegato come pattugliatore Il cacciamine Crotonedopo le modifiche

Note

3 Ad oggi ancora incerto il nome: Trieste o Thaon di Revel? 4 La gemella nave da trasporto/posamine Panigagliaandò invece perduta nel 1947per la catastrofica esplosione del suo carico di munizioni, provocando 68 morti.

5 Due unità furono cedute alla Guardia di Finanza, che le impiegò sino al 1983. Danotare che la Guardia di Finanza ottenne un terzo dragamine di questo tipo nel1956, quando lo sequestrò a Palermo a una banda di contrabbandieri: restò inservizio dal 1959 al 1972 come nave scuola del Corpo, dopo essere anche statodotato di un ponte di volo per motivi sperimentali.

6 Anche i “Gaeta” hanno ottenuto un enorme successo all’estero, a partiredai 12 similari “Osprey” realizzati nel 1988-1999 per la US Navy (e in parteceduti dal 2006 a Grecia, Taiwan ed Egitto), seguiti da 6 unità per l’Australiae 2 per la Thailandia, mentre la Corea del Sud derivava dai suoi “Lerici” 3unità più grandi. Dal 2007 sono poi stati venduti 6 cacciamine “Lerici/Gae-ta” di terza generazione a Finlandia e Algeria (che potrebbe acquisirne unquarto), con altrettanti previsti per Taiwan, nell’ambito di un programma perora congelato, portando a 58 i cacciamine di questo modello ordinati o op-zionati/selezionati, per 12 Nazioni.

La nave anfibia San Marco (1988)

Page 14: Marina id’ItaliaPer i fans di Lucio Dalla questo titolo può ricordare la indimenticabile canzone “L’anno che verrà”, in cui l’au - tore immagina una situazione di lontananza

nuova generazione” (CNG), e in effetti divise in 2 varianti: una al-turiera CNG-A da 1.300 t, con baia di missione per impiego/soppor-to di droni anche aerei, e quella costiera CNG-C da 800 t.Il programma, ancora in fase di progetto preliminare, non è statofinanziato, mentre nel frattempo è stato svolto l’ammodernamentodi mezza vita dei “Gaeta”, tra il 2010 e il 2018, con la totale sostitu-zione degli apparati cacciamine e sensori e con modifiche allabaia poppiera dei ROV.

Il naviglio di supporto logistico

Con la fine della guerra e le cessioni legate al Trattato di pace, ilnaviglio logistico rimasto alla Marina era scarso e malandato:mancavano le unità per il rifornimento in alto mare, mentre le naviappoggio Pacinotti e Miraglia erano Unità decisamente obsolete.Il resto della flotta logistica comprendeva 5 navi trasporto, 2 cister-ne per nafta e 12 per acqua, una nave posacavi, circa 50 rimor-chiatori e una sola delle bellissime navi scuola a vela costruite at-torno al 1930, la Vespucci, essendo la Colombo stata ceduta al-l’URSS. Nel 1948-49 si aggiunsero 5 cisterne costiere e 7 rimor-chiatori oceanici, unità quasi nuove cedute dalla US Navy, assie-me ad altro naviglio minore.Lentamente, con minore urgenza rispetto alle categorie “combat”,dopo il 1950 si mise mano anche ai reparti logistici. Solo nel 1959giunse, finalmente, dagli Stati Uniti una moderna cisterna attrez-zata per il rifornimento in mare, la Sterope, da 22.000 t. costruitanel 1944; entro il 1955 venivano acquistati altri 2 velieri da impie-gare come navi scuola (Ebe e Palinuro, quest’ultimo del 1933 e tut-tora in servizio7), mentre grazie a una commessa NATO nel 1954-55 venivano realizzate 2 navi posareti classe “Alicudi”, poi radiatenel 1978 e 1991.

La riattivazione di una componente subacquea, inoltre, richiedevala presenza di una nave appoggio sommozzatori/incursori e salva-taggio: nel 1955 entrò in servizio il Proteo, impostato nel 1943 comerimorchiatore, rimasto incompleto sullo scalo sino al 1949, e, quin-di, trasformato per questo nuovo servizio, che avrebbe svolto sinoal 2001, per poi essere ceduto alla Bulgaria.Solo dopo il 1970 si rimise seriamente mano a nuove costruzioninel settore logistico: anzi le prime commesse in quegli anni di crisiriguardarono proprio 6 cisterne per acqua, consegnate tra 1972 e1974 (una delle quali ancora in servizio e 2 unità cedute a Tunisiaed Ecuador) e una dozzina di rimorchiatori, compresi i 2 oceanici“Atlante” del 1975-76.Soprattutto, nel 1973 fu avviata la costruzione di una moderna naveoceanografica da 1.700 t. e con ponte di volo, la Magnaghi, con-segnata nel 1975, e di 2 moderne rifornitrici di squadra da 9.000 t.classe “Stromboli”, consegnate nel 1975-78, mentre la “vecchia”Sterope veniva radiata nel 1977. Le “Stromboli” rappresentaronoun importante passo in avanti per il supporto logistico della flottae, sebbene col tempo abbiano mostrato alcuni limiti di progetta-zione (le dimensioni limitate, l’elica singola, la presenza solo di unponte di volo, ampio, ma senza hangar/officine per il supporto deglielicotteri) sono rimaste in servizio per oltre 40 anni, partecipandoa tutte le missioni svolte dalla flotta a partire da quella in EstremoOriente nel 1979.Nel 1977-1980 fu, poi, costruita anche una seconda unità appoggioincursori/sommozzatori e salvataggio sommergibili, l’Anteo, unanave moderna equipaggiata con varie attrezzature per l’interventoa grandi profondità, compreso un minisommergibile di soccorso eROV, mentre a poppa è presente un ponte di volo con hangar te-lescopico. Dopo questo primo gruppo di unità di supporto maggiori e secon-darie, gli anni ’80 furono destinati, soprattutto, ad ammodernare lacomponente minore, ma altrettanto indispensabile, del naviglio diuso locale, comunque impiegato anche nelle missioni operative,soprattutto durante le crisi in Adriatico degli anni ’90 e in Libia dopola caduta del regime di Gheddafi.Furono, pertanto, costruite le cisterne per acqua Simeto (1988, ce-duta alla Tunisia nel 2003) e le 2 similari “Ticino” del 1994, le 4 ci-sterne costiere per benzina avio classe “Panarea” (1986-88), e 2classi similari adibite al trasporto e supporto costiero: le 6 “Gor-gona” (1986-87), mezzi da trasporto e sbarco con rampa prodiera,

24 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Marine Militari nel mondo

le 5 “Ponza” (1989-90), per servizio fari, tutte impiegabili anche co-me posamine. Nel 1985-89 furono realizzate le 2 unità per espe-rienze classe “Rossetti”, per i test sui sistemi d’arma, i 6 rimorchia-tori classe “Ciclope”, oltre a decine di unità portuali di vario gene-re, comprese 7 cisterne miste da 500 t. e il traghetto Cheradi, con-segnate tra 1990 e 1992.Nel 1995 veniva, finalmente, avviata la costruzione della terza navelogistica di supporto prevista nella pianificazione dello Stato Mag-giore: consegnata nel 1998, nave Etna (replicata su licenza dallaGrecia) si presentava però ben diversa dalle “Stromboli”. Non soloper le dimensioni (146 metri di lunghezza e 13.400 t. a pieno carico)e per le migliori attrezzature di supporto, comprendenti un han-gar/officina per accogliere 2 elicotteri, ma anche per la sua impo-stazione polivalente, grazie agli spazi ospedalieri e alla capacità diimbarcare un comando complesso, dopo i lavori svolti nel 2003, se-guito da un primo ammodernamento effettuato nel 2013-2014.Nel 1998 venivano, poi, autorizzati altri due programmi: quello perla realizzazione di 2 unità idrografiche, classe “Ninfe”, consegnatenel 2002 e che sono servite anche per sperimentare nuove tecno-logie, come lo scafo a catamarano e materiali plastici compositi.Nel 2000-03 è poi stata costruita l’Elettra, nave da sorveglianzaelettronica ELINT/SIGINT, con caratteristiche polivalenti. Un’unitàrealizzata sulla base del progetto della similare Alliance, costruitanel 1984-88 per la NATO8, ma dal 2016 trasferita alla Marina Italia-na, al pari di quanto fatto nel 2009 con la più piccola Leonardo, co-struita nel 2000-02 in Inghilterra.

Con la Legge Navale del 2014 è stato poi rilanciato il comparto lo-gistico, al fine di sostituire le ormai “spremutissime Stromboli”, enel 2016 è iniziata la costruzione della LSS (Logistic Support Ship)Vulcano, unità polivalente di nuova concezione, che porta a com-pimento il concetto introdotto con l’Etna, ma su scala più grande,essendo lunga 193 metri e con un dislocamento di 27.000 t. a pienocarico. Da notare che Fincantieri aveva già realizzato nel 2009-11le 2 unità logistiche di grandi dimensioni classe “Deepak” per laMarina indiana, seppure meno sofisticate.Il Vulcano, caratterizzato anche da un innovativo apparato motoreCODLAD (COmbined Diesel eLectric And Diesel), è stato varato il22 giugno 2018, con consegna prevista nel settembre 2019: un in-cendio, scoppiato la notte del 22 luglio 2018, ha però provocatogravi danni alla plancia di comando ritardando l’entrata in servizio,fissata nuovamente per i primi mesi del prossimo 2021.È prevista in tempi brevi una seconda unità, non ancora finanziata,che potrebbe essere però legata agli accordi tra Fincantieri e lafrancese STX-Naval Group, per la realizzazione di 4 LSS anche perla Marina Francese.Sempre previste nel programma pluriennale 2018-2020 (conferma-te con quello 2020-2022 appena presentato), ma non ancora finan-ziate, la nuova Unità Supporto Subacqueo Polivalente (USSP), da10.000 t. e lunga 131 metri, con hangar fisso per 1 o 2 elicotteri ecapacità di navigazione in zone ghiacciate, e l’Unità Idro Oceano-grafica Maggiore, pure dotata di hangar e attrezzature avanzate ecapacità polivalenti, destinate a sostituire rispettivamente Anteoe Magnaghi, il cui disarmo era pianificato per il 2020. Per quest’ul-tima esigenza, in effetti, nell’ottobre 2020 è stato annunciato unprestito europeo da 220 milioni di euro per realizzare, nel 2021-27,sia l’unità idrografica maggiore, sia 2 unità minori, destinate a so-stituire Aretusa e Galatea.

nnn

25Dicembre 2020 Marinai d’Italia

Note

7 L’Ebe, costruito nel 1920 e radiato nel 1959, è conservato al Museo della Scien-za e della Tecnica di Milano.

8 Nel 1993-95 un’altra unità tipo “Alliance” è stata realizzata per Taiwan.

Cacciamine Numana,classe Lerici-Gaeta(1993)

Cisterna Sterope(1959-1977)

Rifornitrice Etna(1998)

Rifornitore Vesuvio(1975)

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Alla ricerca del galeone

Negli anni ’80, il progredire delle tecnolo-gie di esplorazione subacquea ha resopossibile la localizzazione di relitti som-mersi anche a grandi profondità. Attrattidai potenziali guadagni un gruppo di inve-stitori ed esperti di recuperi sottomarininel 1980 fonda la “Gloca Morra” e la “SeaSearch Armada (SSA)”, ottenendo dal go-verno Colombiano una iniziale autorizza-zione a procedere; dopo quasi due anni diricerche e oltre 11 milioni di dollari di spe-se il consorzio dichiara di avere localizza-to un relitto che potrebbe essere quellodel San José. A questo punto, comespesso accade quando grandi interessisono coinvolti, le relazioni tra SSA e il go-verno si deteriorano e, dopo numerosebattaglie legali, tutte le operazioni vengo-no sospese. Il San José giace ancora sulfondo del mare avvolto dal mistero con ilsuo tesoro.Alla fine del 2015 il Presidente della Co-lombia, Juan Manuel Santos, annunciache il San José è stato localizzato da unteam di ricercatori internazionali in colla-borazione con il Ministero della CulturaColombiano. Nulla di più trapela perché,per proteggere il relitto da eventuali azionidi recupero illegali, le parti coinvolte sonotenute a mantenere il più assoluto riserbo.Finalmente nel 2018 i dettagli della scoper-

ta possono essere divulgati, rendendo ilpubblico partecipe di una delle maggioriscoperte dell’archeologia marittima.Il relitto è stato localizzato grazie alla col-laborazione del Woods Hole Oceano-graphic Institution (WHOI), che ha messoa disposizione la sua esperienza in ricer-ca sottomarina e i suoi strumenti tecnolo-gici. In particolare il team ha utilizzato unspeciale robot subacqueo chiamato RE-MUS 6000, che è costituito da un “siluro”di circa quattro metri di lunghezza dal pe-so di quasi una tonnellata ed in grado dinavigare in modo autonomo fino allaprofondità di 6000 metri. Le batterie al litioinserite nel suo scafo di titanio consento-no una navigazione alla velocità massimadi 4 nodi per 22 ore. Per assicurare un cor-retto posizionamento una serie di tran-sponder acustici sono stati ancorati attor-no al perimetro dell’area di ricerca. Inquesto modo il sistema di navigazione delREMUS può “interrogare” i transponderper determinare la propria posizionesott’acqua con un errore di circa un metroper ogni chilometro di spostamento. Inoperazioni di ricerca delicate, come quel-la del San José, tale livello di precisione éfondamentale, assicurando che nessunazona del fondale rimanga inesplorata. IlREMUS utilizza un sofisticato sonar ascansione laterale per mappare le strut-ture presenti sul fondale marino. Il dronesubacqueo è anche dotato di macchinefotografiche digitali ad alta risoluzionecon le quali è possibile fotografare i det-tagli delle strutture identificate.

REMUS ha pazientemente esplorato un’a-rea di 80 miglia nautiche, navigando allavelocità di 3 nodi a circa 70 metri dal fon-dale marino e creando uno straordinariomosaico di immagini sia acustiche sia ot-tiche. La durata di ogni immersione è sta-ta dalle 18 alle 22 ore prima di riemergere,per consentire ai tecnici di scaricare lemigliaia di immagini e dati registrati neglihard disks e ricaricare le batterie.Per ottenere delle immagini nitide, REMUSè stato fatto navigare a soli dieci metri aldi sopra del relitto, dimostrando ancorauna volta le sue estremamente accuratecapacità di posizionamento. Il particolarechiave per l’identificazione del San José è

27Dicembre 2020 Marinai d’Italia

C ome nel più classico dei film d’av-ventura questa storia iniziò con unabattaglia navale tra Spagnoli e Bri-

tannici, avvenuta nelle acque al largo dellaColombia nel giugno del 1708 durante glianni centrali della guerra per la successio-ne al Trono di Spagna.Il San José era un galeone della MarinaSpagnola a tre alberi, armato con 64 can-noni e usato come nave ammiraglia di unaflottiglia, composta da altre tre navi militarie 14 mercantili, in rotta da Portobello (Pa-nama) a Cartagena (Colombia) per poi rag-giunge Cuba e, finalmente, attraversare

l’Oceano Atlantico diretto in Europa. Il ca-rico includeva ingenti quantitativi di oro,argento e pietre preziose, raccolti durantegli ultimi sei anni nelle colonie spagnole delSud America e destinati a finanziare lespese di guerra.Il convoglio venne intercettato da unosquadrone Britannico al comando delCommodoro Charles Wager al largo diBarù a poche decine di miglia da Cartage-na. Il San José, colpito nel deposito dellemunizioni, esplose affondando rapidamen-te e trascinando negli abissi il suo equi-paggio e le sue ricchezze; sopravvivranno

solo undici degli oltre seicento che eranoa bordo. Si stima che tra i tesori trasportativi fossero quasi undici milioni di moneted’oro, oltre ad argento e smeraldi, per unincredibile totale di duecento tonnellate dipreziosi con un valore odierno prossimo aiventi miliardi di dollari. Se recuperato sa-rebbe il più grande tesoro di tutti i tempi.Per secoli il relitto è rimasto sul fondo a ol-tre seicento metri di profondità e virtual-mente irraggiungibile.

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Com’è profondo il mare...

Marinai d’Italia Dicembre 2020

Archeologia subacquea

Il tesoro del San JoséGiorgio Caramanna

Samuel Scott (olio su tela)Combattimento navale al largo di Cartagena, 1708

Monete d’oro di Carlo IV Re di Spagna e delle Indie

Commodoro Charles Wager

Il Remus

Giorgio CaramannaGeologo marinoe ricercatore scientifico subacqueo.Director Geo Aqua ConsultingBarnstable/Yarmouth,Massachusetts Areawww.geoaquaconsulting.com

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29Dicembre 2020 Marinai d’Italia

È stato scritto, ironicamente, che l’u-nica nave che oggi possieda il Pa-pa è quella riprodotta nella secen-

tesca “Fontana della galera” che si trovanei Giardini Vaticani.A dire la verità anche ai tempi dello StatoPontificio la Marina era stata quasi semprepoca cosa: nella prima metà del XIX secoloerano in servizio solo un brigantino “tutto-fare” e una cannoniera guardaporto a Ci-vitavecchia e, dopo il 1850, quattro piccolipiroscafi, a ruot,e guardacoste.Un tenente colonnello di marina coman-dante e poche decine di marinai: tutto qui.Dopo il 1855 Pio IX accarezzò l’idea di com-piere un pellegrinaggio in Terra Santa pro-babilmente, oltre che mosso da motivi pu-ramente religiosi, anche per rendersi con-to di persona della situazione di Gerusa-lemme dove esistevano fortissimi attriti frail clero secolare e i francescani.Per compiere un viaggio del genere sareb-be stato opportuno disporre di una proprianave sufficientemente grande per affron-tare il Mediterraneo ed attrezzata per i ser-vizi di rappresentanza.

E non era solo questo: stanti i continui eroboanti proclami dei repubblicani c’erasempre la possibilità di sbarchi clandesti-ni come quello di Carlo Pisacane avvenu-to a Sapri nel 1857, e sarebbe stata utileper la sorveglianza delle coste se nonuna flotta almeno una buona unità daguerra.

In questo contesto il Governo Pontificio,che non aveva certo mire aggressive nénavigava nell’oro, studiò il progetto di unanave importante, ma senza strafare.I cantieri inglesi “Thames Iron Shipbuil-ding” di Blackwall, presso Londra, propo-sero una moderna unità in ferro a propul-sione mista: elica e tre alberi a vele qua-dre e auriche. Internamente era caratte-rizzata da sistemazioni molto comode perl’equipaggio e, inoltre, disponeva di unappartamento papale e altri alloggi per ilsuo seguito.Fu progettata dall’ingegner James Ash e lesue principali caratteristiche erano: dislo-camento pari a tonnellate 652; lunghezzametri 54,5; larghezza metri 8,10; per la pro-pulsione motore “Seward”da 300 hp (po-tenza nominale 154 hp)1; armamento com-posto da 8 cannoni da 18mm.; equipaggiodi 91 uomini.Fu battezzata Immacolata Concezione a ri-cordo del dogma promulgato nel 1854 e co-stò all’erario poco più di 136.000 scudi.Fu classificata come corvetta anche semolto spesso ci si limita a definirla yachtpapale.L’unità in costruzione fu visitata più voltedal primate d’Inghilterra, il cardinale Wi-seman e dal comandante della MarinaPontificia Alessandro Cialdi che fece laspola con Londra e alla consegna, nell’a-gosto del 1859, ne fu nominato comandan-te; incarico che avrebbe mantenuto perquasi vent’anni!

stata la presenza di uno specifico decorosui cannoni rappresentato da due delfinireso visibile dalla grande nitidezza delleimmagini.Il futuro del San José è ancora incerto esussistono una serie di implicazioni lega-li in merito al legittimo possesso del suo

tesoro. Altro aspetto in discussione è suquali azioni devono essere intraprese perpreservare l’importanza storica del relit-to. Il governo colombiano starebbe pro-gettando la realizzazione di un museo de-dicato alla nave e alla sua storia, ma il pe-ricolo che il relitto possa essere depre-

dato esiste. I mezzi subacquei commer-ciali sono ormai in grado di operare au-tonomamente a grandi profondità e i te-sori trasportati dal galeone potrebberosuscitare l’interesse di molti predatoridegli abissi.

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28 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Com’è profondo il mare...

Resti del relitto del San José.Sono visibili i cannonisparsi sul fondo

Storie di navi

Immacolata ConcezioneL’ultima nave del PapaGuglielmo Evangelista - Socio del Gruppo di Broni-Stradella

Guglielmo EvangelistaNato a Broni il 13 ottobre 1951, ha conseguito il diploma di liceoclassico e la laurea in giurisprudenza.Nel 1970 ha frequentato il primo anno dell’Accademia Navale(Corso Lupi Grigi) e successivamente, nel 1974, il 52° corso AUCL. Sottotenente di vascello (CP) di complemento, è stato funziona-rio in un ente pubblico e ha frequentato il corso di laurea in let-tere, indirizzo storico.Scrive soprattutto di storia navale e storia dei trasporti e haall’attivo la pubblicazione di oltre 400 articoli, collaborandoanche con la Rivista Marittima e il Notiziario della Guardia Co-stiera, e di quindici libri fra i quali “Storia delle Capitanerie diPorto”, “Navi e Automobili”, “Duemila anni di navigazione pa-dana” e “Le ancore e la Tiara-La Marina pontificia fra Restaurazione e Risorgimento”.È iscritto al gruppo ANMI Broni e Stradella e vive a Cremona.

Note

1 A Blackwall erano state costruite tutte le moder-ne navi pontificie, a partire dai primi vaporetti peril rimorchio sul Tevere nel 1842 e tutte montavanouna macchina “Seward”.

L’ImmacolataConcezione

ad Anzio nel 1862Foto D’Alessandri,

da internet

Page 17: Marina id’ItaliaPer i fans di Lucio Dalla questo titolo può ricordare la indimenticabile canzone “L’anno che verrà”, in cui l’au - tore immagina una situazione di lontananza

31Dicembre 2020 Marinai d’Italia

della Marina pontificia. Infatti l’articolo 9delle condizioni di capitolazione di Civita-vecchia recitava: Il materiale e personaledi Marina esistente nel porto di Civitavec-chia è soggetto alle condizioni della pre-sente capitolazione. Si fa solo eccezioneper il Bucintoro papale Immacolata Con-cezione il quale resterà a disposizione delSanto Padre col suo attuale equipaggioquale consta dal ruolo che presenterà ilsig. Capitano di Vascello Cialdi comandan-te del medesimo…. La ragione di questa magnanimità è chiara:si sperava che il Papa, avendo a disposi-zione una nave idonea, sarebbe stato invo-gliato ad abbandonare Roma.Un caporale del 4° “Battaglioni Cacciatoripontificio” scrisse di aspettarsi l’arrivo diun maestoso corteo salmodiante che lun-go la via Aurelia arrivava lentamente a Ci-vitavecchia, ma si sbagliava due volte: siaperché il pontefice decise di restare a Ro-ma sia perché da Roma al porto laziale c’e-ra già da tempo una cosa che si chiamavaferrovia4.La corvetta rimase a Civitavecchia piena-mente in efficenza, conservando la propriabandiera con il Comandante e l’equipaggioormai smilitarizzati.Pochi mesi dopo la presa di Roma la cor-vetta fu al centro di un episodio molto di-scusso: nel gennaio 1871 la corazzataMessina si incagliò poco al largo di Civita-vecchia. Il disincaglio fu laborioso e causòulteriori danni allo scafo; l’ImmacolataConcezione, l’unica nave immediatamente

disponibile che, con la potenza della suamacchina, avrebbe risolto immediatamen-te la situazione, benché avvertita, non uscìdal porto. L’episodio ebbe anche strasci-chi in parlamento e contrasta con le con-suetudini marittime, ma forse il Cialdi ave-va ricevuto ordini precisi.Nell’ottobre di quello stesso anno fu la-sciata libera di partire per Tolone portando60.000 lire per i soccorsi ai parigini strema-ti dopo la fine della Comune (il governo so-cialista che diresse Parigi dal 18 marzo al28 maggio 1871) con a bordo arredi sacridestinati alle chiese che ne erano statespogliate.Nel 1872 la corvetta tornò a Tolone dove fudisarmata e lì rimase a lungo presidiatasolo da pochi marinai quali custodi e rap-presentanti della proprietà pontificia fino ache nel 1877 si decise di venderla per50.000 franchi alla “scuola Domenicana”di Saint Elme, presso Bordeaux; una spe-cie di collegio navale dove si preparavanoi giovani alla professione marinara. Letrattative andarono per le lunghe e si inter-ruppero con la morte di Pio IX ma succes-sivamente il nuovo pontefice, Leone XIII,inviò il Cialdi in Francia che risolvendo lasituazione concluse la vendita avvenuta afine 1878. Fu lo stesso Cialdi a trasferiresuccessivamente la nave dai suoi nuoviproprietari.Il passare degli anni e la lunga inattivitàdovevano farsi sentire perché i monacifurono obbligati a sostenere molte speseper restaurala ed adattarla; così tante

che la scuola si trovò finanziariamente inpessime acque e non poté fare altro cherivenderla: trasformata in nave da caricovenne impiegata da vari armatori inglesie francesi.La sua fine è incerta: fonti discordanti rife-riscono che fu demolita in Francia nel 1890ovvero che affondò nel 1905 presso le co-ste delle Corsica sotto il nome di Loire.La bandiera dell’Immacolata Concezione,ritirata presumibilmente al momento dellavendita, rimase esposta per molti anni neiMusei Lateranensi.

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30 Marinai d’Italia Dicembre 2020

L’8 agosto, prima della partenza per il Me-diterraneo, la nave fu testata sul Tamigi e,benché appositamente sovraccarica, rag-giunse la velocità, per l’epoca quasi ecce-zionale, di dodici nodi e mezzo.Nell’ottobre successivo, ad Anzio, fu pre-sentata al Papa che la visitò accurata-mente manifestando la sua piena appro-vazione.

In quel periodo si addensavano nuvole ditempesta: era appena terminata la secon-da guerra di indipendenza, le Romagne sierano costituite in “Governo provvisorio”e regnava l’incertezza: il Papa preferì ri-nunciare al viaggio programmato cosìche alla corvetta furono riservati solocompiti militari.Nell’anno successivo, quando l’esercitopiemontese avanzava verso le Marche edopo essere stato completato l’imbarcodell’armamento a Tolone, l’ImmacolataConcezione svolse varie navigazioni inAdriatico toccando anche Venezia e Trie-ste ed effettuò trasporti di artiglierie, mu-nizioni e rifornimenti per la piazzaforte diAncona di cui si prevedeva l’assedio, manon vi furono contatti o avvistamenti conla flotta nemica2.Dopo la caduta di Ancona e la battaglia diCastelfidardo lo Stato Pontificio si trovòridotto al solo Lazio e l’Immacolata Con-cezione rimase ormeggiata a Civitavec-chia dove nel decennio successivo al-ternò lunghi periodi di inattività a usciteper l’addestramento dell’equipaggio ocrociere di vigilanza ogni volta che siaveva notizia di possibili sbarchi garibal-dini. Venne anche utilizzata dal coman-dante Cialdi per le sue osservazioni idro-grafiche e per provare apparecchiaturescientifiche3.

Nell’aprile del 1862 la nave si spostò ad An-zio dove, presente il Papa, effettuò un’e-sercitazione simulando uno sbarco di gari-baldini per valutare i tempi di reazione del-le truppe di terra. Successivamente ospitòPio IX per una gita al largo.Nella notte del 10 gennaio 1866 un uraganodi inaudita violenza si abbatté su Civitavec-chia e la massima parte delle navi presentiruppe gli ormeggi sfasciandosi contro lebanchine o sugli scogli. La corvetta ressemolto bene al maltempo, ma subì parecchidanni specialmente nell’opera morta poi-ché le onde le spinsero contro il piroscafodi linea delle “Messaggerie francesi”.Nel settembre 1870 l’intera flotta corazzataitaliana si presentò davanti a Civitavec-chia, stretta anche dal lato di terra dalletruppe di Nino Bixio: dopo aver carezzatol’idea di una resistenza a oltranza, le forzepontificie di terra e di mare, considerata laloro netta inferiorità, non poterono che ce-dere le armi.Alle 7 del 16 settembre la corazzata Terri-bile entrava nel porto trovandovi solo lacorvetta Immacolata Concezione e il ri-morchiatore San Pietro, ormeggiati allabanchina e impotenti.Possiamo dire che, fin dal momento del-l’occupazione italiana, le vicende della na-ve furono forse più interessanti e varie diquelle del tempo in cui era l’ammiraglia

Note

2 Durante la campagna in Adriatico lo Stato mag-giore della nave, oltre al Cialdi, comprendeva icapitani di marina Prospero Palomba e RaffaeleCastagnola.

3 Alessandro Cialdi, a cui forse la piccola MarinaPontificia andava un po’ troppo stretta, fu uno deipiù noti idrografi dell’800; autore di 56 pubblica-zioni, era in corrispondenza con i più illustriscienziati del tempo e fu Presidente dell’Accade-mia dei Lincei.

4 Pio IX disponeva di tre carrozze speciali e, co-me poteva, viaggiava volentieri per ferrovia. Lalinea Roma-Civitavecchia era stata aperta nel1859 e, nel 1870, era stata da tempo prolungatafino a Pisa.

Bibliografia

Giovanni Berri: “Storia di Roma negli ultimi tempi”Sormanni e Cabiati, Roma 1871.

Guglielmo Evangelista: “Le ancore e la tiara,la Marina Pontificia fra Restaurazionee Risorgimento” Antares, Cremona 2019.

The illustrated London News;Numero del 20 agosto 1859.

Gaetano Moroni: “Dizionario erudizionestorico-ecclesiasitca” Vol. XCVII.Venezia, tipografia Emiliana 1860.

N.N. Catholic Herald, London.Numero del 12 maggio 1939.N.N.: “Corvetta pontificia Immacolata Concezione”In https://tracieloeterra.bicentenarioangelosecchi.it/iviag gi/corvetta-pontificia-immacolata-concezione/

N.N: “Last Hurrah of the Pope’s navy” in https://laststandonzombieisland.com/tag/pirocorvetta-im-macolata-concezione.

Pierpaolo Ramoino: “La Marina pontificia fra Sette-cento e Ottocento” In Quaderni del Dipartimento discienze politiche dell’Università Cattolica del SacroCuore. N. 4/2012.

Jacques Traizet: “Le premier navire école”1977 senza indicazione dell’editoree del luogo di edizione.

Attilio Vigevano: “La fine dell’esercito pontificio” Stabilimento Poligrafico dell’amministrazionedella guerra, Roma 1920.

Alessandro Cialdi in un’incisione di Luigi Calamatta

Da Wikipedia

L’Immacolata Concezione a vele spiegate

Incisione dell’epoca

Storie di navi

La carrozza ferroviaria di Pio IX del 1859

Collezione ANMIFoto Gustave Le Gray

del Paul Getty Museum

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L ecce, stazione ferroviaria, primi anni‘80. Il viaggio sta per cominciare, de-stinazione Belluno. Decido all’ultimo

momento di portare con me anche i mieidue figli, 3 e 7 anni. Mi occorre almenoun’altra cuccetta, ma nello scompartimen-to sono tutte prenotate. Un addetto in sta-zione mi suggerisce di prenotarne una inquello accanto: “nel vostro c’è una perso-na che viaggia da sola. Potrete scambiarvila cuccetta. Il passeggero solitario salirà aBari”- ci spiega.Gli occhi dei miei ragazzi brillano di gioia.Si parte. È buio quando il treno si ferma nel-la stazione di Bari dove occorre sostituirela locomotiva diesel con quella elettrica. Ilcorridoio si anima con l‘arrivo dei nuovipasseggeri, molti dei quali arrivati con il lo-cale a Taranto. Attendo con trepidazionequello con cui scambiare la cuccetta.“Oh, ciao vecio!”, mi sento dire con chia-ro accento veneto. “Comandante, ma èproprio lei?”- rispondo incredulo -. Il co-mandante Fioravante Volpi posa la valigia

per terra. L’abbraccio ed i ricordi ci som-mergono.Quella notte la cuccetta servì ben poco.Restiamo nel corridoio per alcune ore aparlare di noi, di sommergibili, dell’epopeadei battelli ex-USA, della ricostituita com-ponente sommergibili. E di quelli nuovi chel’industria italiana per la Difesa stava sfor-nando a partire dagli anni 60. Parlammodella classe “Toti” e dei “Sauro”.Il comandante Volpi era diretto ad Auronzodi Cadore, in provincia di Belluno. Nato ecresciuto da quelle parti aveva scelto di vi-vere il mare. Un gentiluomo.La luce del giorno comincia a spazzare ilbuio della notte quando il treno si fermanella stazione di Mestre. C’è da aspettareun’ora prima di poter salire sul treno localediretto alle nostre destinazioni. Il tempo peruna colazione al bar della stazione.Nel locale pochi avventori. Ce n’è uno alto,appoggiato al bancone, che dà le spalleall’ingresso e che cattura la nostra atten-zione. Roba da non crederci, è Cappellari,

già Direttore di macchina sul Cappellini. Èsalito sul treno la mattina presto a Monfal-cone, dove sta lavorando all’allestimentodei “Sauro” e ora sta aspettando la coin-cidenza per Firenze. Il ricordo, che riempiela nostra conversazione è da subito quellodel giugno del 1972: la tragica esplosionesul Cappellini. Quattro morti, due marinaied altrettanti operai dell’arsenale militare:il capo squadra Pietro Mariani e l’operaioAgostino Vinci, il sergente Ecg. GiovanniTesauro ed il sottocapo Ecg. Francesco DiBart. Erano saliti a bordo per riprendere al-cune saldature sul copertino della batteriadi prora. All’improvviso un tremendo boato;i primi soccorsi. altri quattro marinai feriti.Accesso in banchina bloccato e squadredi soccorso formate tra gli altri dal perso-nale di guardia smontante del Da Vinci, or-meggiato sull’altro lato della banchina.Quella mattina, nel bar della stazione diMestre, l’amarezza per quel tragico ricor-do finì così per soffocare la gioia per un in-contro così inaspettato tra marinai som-mergibilisti.Il viaggio verso Belluno continuò com-prensibilmente contrassegnato da lunghisilenzi tra me ed il comandante Volpi per-ché a Taranto, sulla banchina, nei pressidella caserma “Farinati”, dove Cappellinie Da Vinci quella fatidica mattina di giu-gno del 72 erano ormeggiati, c’eravamoanche noi...

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32 Marinai d’Italia Dicembre 2020

Testimonianze

Marinaisul treno dei ricordiItalo Poso - Presidente del Gruppo di San Pietro Vernotico

Poppa del Da Vincimentre un operatore subacqueo(l’allora STV Vignati) si apprestaad una immersione in carena

Foto G. Vignati

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