La ragazza del Lago Maggiore -...

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Pierantonio Marone La ragazza del Lago Maggiore ROMANZO 1

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Pierantonio Marone

La ragazza del Lago Maggiore

ROMANZO

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L apparizione di un fantasma sugli spalti del' castello dei Malpaga a Cànnero, aveva in parte sconvolto la vita di un vegliardo pescatore, detto il garibaldino , divenuto testimone dell incontro“ ” ' misterioso. L uomo s intestardì nel voler divulgare' ' il messaggio ricevuto, avvolto in un ingarbugliato quesito centenario.

Pianta del Castello di Cannero

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“La ragazza del lago Maggiore”

Personaggi nella storia moderna:

Marco Darwin anni 20 da TorinoAlda Ruscati anni 18 studentessa da AsconaAndrea Ruscati Pescatore di AsconaNonno Giuseppe Boldini pescatore di CanneroNonna Maria Boldini moglie di GepDon Luigi Monsignore della curia di CannobbioDottore Eugeni medico condottoVera Santori chiromante di TorinoSally Sckol madre di MarcoFranz Sckol nonno da DussendolfMarlene Sckol nonna di MarcoMario Darwin Padre maggiore dell’aviazione franceseFantoni Noleggiatore auto

Personaggi nella storia medioevale:

Mafalda Rusca contessina da Ascona 1305 - 1323Marcucci Darvino scudiero dei RuscaArduino Rusca conte da AsconaFrancesca Rusca Kuburg contessa moglie di ArduinoSickfrido Kuburg conte Thun dal castello Kyburg XIIViola Kruber baronessina figliaHilde Kruber baronessa moglieHado Rhum arciduca di FribourgLudovico Malpaga duca di Lugano e CanneroFilippo Ghibelli duca LocarnoDonna Geltrude castellana di CanneroFiorella Ghibelli pupilla dei GhibelliThudor Bolivar Mastro di LocarnoRyquet conte francese da CalaisLuigi XII principe D’OrleansBarbavana feudatari di Stresa, Intra, Pallanza

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Alto Medioevo Moderno - periodo dal 1000 al 1600

Castello di Locarno 1050 dei Rusca ,preso dai Visconti di Milano 1340 e distrutto dagli svizzeri 1513, Castello di Ascona, Locarno e Lugano feudo dei Rusca fino al 1400. Castello dei Malpaga a Cannero dal 1200 - 1400. Rifugio dei briganti di Ronco, fratelli Mazzarditi e Ghibellini, che razziavano tutta la zona del lago Maggiore e retroterra nelle valli dell'Ossola. Nel 1414 il castello di Cannero fu distrutto e ricostruito da Ludovico Borromeo signore di Cannobbio e isole Borromeo. 1519 - 1521 col nome di Vitaliana. Cannobbio contado dei conti Seprio e Adamo 1200 - 1211 poi passò ai Visconti e nel 1439 e dopo varie battaglie passò ai Borromeo. Nel 1291 nasce la confederazione svizzera. Ascona 1342 nasce la federazione tra Rusca e Malpaga a San Gottardo. Anche Federico Barbarossa 1154 partecipò a varie rappresaglie e scorrerie sul lago Maggiore. E fu sconfitto nella battaglia di Legnano nel 1176.

Buona parte della sponda piemontese del lago Maggiore, già feudo dei Conti di Biandrate, dal 1136 - 1196 che capitolò in battaglia contro Novara e Vercelli 1168 e cedettero Intra a Novara 1220 a Giovanni Tonelli. Nel 1570 vendettero Borgomanero a Guglielmo Tonelli conte di Novara.Gian Galeazzo Visconti ducato di Milano, Novara, Vercelli, Alessandria, nel 1402 si contendeva e controllava buona parte del lago Maggiore. Isole Borromee: Maniero composta da dieci terrazze sovrapposte. L’armeria e la pinacoteca,con dipinti del 500-600 dimora signorile dei Borromeo che ha offerto a quei tempi culture moderne alla zona del lago.

Il Castello di Cannero: Situato su di un isolotto del lago Maggiore a trecento metri dalla sponda piemontese, di fronte a Cannero Riviera.

Il 7 Maggio del 1979 iniziò la storia fantastica di Marco Darwin.

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Prologo

Era una notte di luna piena e dall’alto lei la maliarda, dominava tutto il paesaggio sottostante e si rispecchiava fredda e bugiarda nelle acque del lago Maggiore. Una leggera brezza scivolava sull’acqua con dolcezza e smuoveva quei riflessi argentati. Sembravano tante fiammelle di anime perse nei secoli, che fluttuavano e si avviluppavano perenni, tra quei deboli movimenti sull’acqua cristallina, tentando di colmare i pensieri troppo lontani nel tempo. Una barca stava scivolando silenziosa verso l’isola dominata dal tetro castello, situato a un centinaio di metri dalla costa occidentale. Si sentiva il leggero sciabordio dei remi sull’acqua nel loro movimento misurato e costante, da creare increspature sulla superficie. Ogni tocco in quel moto di spinta si formavano dei semicerchi che andavano poi ad allargarsi per sparire in lontananza nel buio della notte. Un’ombra scura conduceva la barca, aveva il capo coperto da un largo cappello di feltro grigio che gli oscurava il viso. S’intravedeva solamente il brillare dei suoi occhi chiari dai riflessi scaturiti dalla luna sulla superficie del lago. Il suo sguardo era determinante e fisso di fronte a sé, pareva così ansioso d’arrivare verso la meta, in attesa dell’approssimarsi all’approdo. Quella presenza notturna sul lago sembra a prima vista un po’ strana, in quell’abbigliamento che esponeva quello strambo personaggio. Era alquanto lugubre la sua presenza e faceva pensare ai racconti cupi di un’infanzia ormai lontana e trapassata. L’improvvisato barcaiolo, aveva già prima constatato quel suo strano abbigliamento, mentre indossava quella scura mantella nel capanno del “Garibaldino”. Se l’era messa con l’intenzione di proteggersi dall’umidità che si accentuava di notte sul lago. E in tutto quel trambusto di supposizioni che si era procurato da solo, gli seccava dover tornare ha casa a quell’ora di notte e prendersi la sua giacca vento. Poi oltretutto cosa avrebbe detto al “Garibaldino” Che gli era venuta una strana voglia di visitare a quell’ora di notte le rovine del castello, sull’isola di fronte alla città di Cannero Riviera?

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Era assurdo pensare a quella banale risposta, che in fondo a tutto, avrebbe fatto bene ad aspettare il giorno seguente per fare quell’escursione e sarebbe stata la cosa più giusta e saggia. Ma dentro di lui, il giovane barcaiolo sapeva che era alquanto testardo. Quello era il guaio. E quella immaginaria sensazione capitatogli addosso, era più che mai strana e sentita, mentre l’aggrediva fortemente. In quel suo modo così testardo, nel meditare sui quesiti misteriosi che inconsciamente si apprestava ha voler scoprire e possibilmente svelare in quella notte di luna piena.

Procedeva costante tra una vogata e un’altra nel suo prefisso intento. Mentre il suo pensiero era ritornato a ritroso a ripensare al “Garibaldino” nel riscoprire la fantasiosa storia che era sorta intorno al vecchio pescatore.

Incominciò tutto così, per puro caso, in quella scoperta fatta il giorno prima, al suo arrivo nella cittadina di Cannero Riviera . Fu una coincidenza alquanto banale, ma altrettanto strana per Marco Darwin. Quando per caso capitò in un bar della cittadina rivierasca e sentì per la prima volta lo spettegolare dai clienti e pescatori del locale, nel commentare sulla storia del fantasma apparso anni addietro sull’isola la di fronte, tra le mura centenarie del castello diroccato dei Malpaga.

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Capitolo Primo

Era nel primo pomeriggio del 7 Maggio del 1979, quando Marco Darwin era giunto a Cannero Riviera, piccola cittadina rivierasca, sulle sponde del lago Maggiore, in cerca del nonno, il pescatore Giuseppe Boldini. Appena sceso dall’autobus proveniente da Torino, si era recato subito all’abitazione del vecchio pescatore, tra i vicoli del borgo, ma non trovando nessuno a casa, incominciò a chiedere in giro del rinomato pescatore. Dopo varie ricerche e in concluse spiegazioni, gli era stato raccontato con fare burlesco di quel rinomato pescatore Giuseppe Boldini, soprannominato “il garibaldino spùstà”. Sta di fatto che Marco l’aveva stranamente colpito quel soprannome del nonno, “Il Garibaldino spùstà”. D’altronde Marco non si ricordava di averlo sentito pronunciare quell’appellativo; al tempo delle sue vacanze a Cannero. Qualcuno e lui compreso lo chiamava Gep, ma nient’altro. Comunque, da quelle poche informazioni apprese, aveva capito che gli era stato affibbiato quel soprannome, dai compaesani per via della sua strana mania di portare sempre addosso una camicia rossa. Pertanto ogni qualvolta che attraccava a riva dopo una notte di pesca, sembrava impersonare lo sbarco dei “Mille a Marsala”. E oltre a ciò il garibaldino, era rinominato ormai in tutta la riviera del lago Maggiore, per la spassosa e stravagante storia di fantasmi che andava ha raccontare in giro. Ma per molti era inverosimile quel racconto di presunti spettri e fantasmi. Solo frottole commentavano ridendo. Ma per il garibaldino era più che veritiera. Poi, alla fine di ogni suo dettagliato racconto, la gente rideva più che sovente alle sue spalle. Lui purtroppo, il “garibaldino” imperterrito e testardo, continua a dire che aveva visto sulla torre del castello diroccato dei Malpaga il fantasma della contessina Mafalda, affermando oltretutto, di aver ricevuto un messaggio dalla donna sugli spalti del castello, ma indecifrabile per la sua scarsa cultura. Quello era il guaio peggiore, perché nella sua testardaggine il garibaldino, nel voler raccontare l’avvenimento capitatogli, sperava di poter svelare quel quesito misterioso che la contessina gli aveva esposto. Ed è per ciò che insisteva nel raccontarla con chiunque, con la speranza di consegnare il messaggio e scoprire qualcosa.

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Pertanto ormai, tutti lo menzionavano sorridendo, come il garibaldino mezzo matto. L’è spùstà quel vec, pescadour! Marco era rimasto colpito e dispiaciuto per quel modo burlone di trattare il povero pescatore, mentre l'interlocutore continuava a raccontare il modo infervorato del Garibaldino: troppo sicuro e intestardito di quel fatto avvenuto anni addietro, nel trovarsi di persona testimone, in quell’incontro misterioso col fantasma della contessina, sugli spalti del castello di Cannero. Da renderlo al tempo stesso più che fiero di essere diventato un messaggero. Capendo altre sì, di essere incompreso dalla gente ignorate e ciarlona. Scrollando alla fin fine la testa più che mai amareggiato, e rimproverandosi da solo ogni qual volta veniva preso in giro. Ma, il suo rimprovero era rivolto con rammarico hai compaesani e in special modo i giovani, che con fare interessato gli chiedevano di raccontare nuovamente quella vecchia storia, e lui per un misero bicchiere di vino si faceva abbindolare un'altra volta e alla fine di ogni racconto ne uscivano soltanto risate a crepapelle da farlo imprecare contro gli avventori improvvisati: “I capisen niènt, ‘sti tusan imbastì!” mentre si allontanava dalle varie osterie più che mai deluso e arrabbiato.

Pertanto, Marco dopo varie ricerche tra i bar e le osterie della cittadina, finalmente l’aveva scovato con l’aiuto del soprannome. L’avevano indirizzato a una vecchia osteria di pescatori, “El-bucal”, tra i vicoli del vecchio quartiere vicino all’imbarcadero. Appena entrato nella lugubre bettola che puzzava di fumo, Marco si era diretto al banco delle mescite e con fare cortese aveva chiesto per l’ennesima volta al finto indaffarato oste: < Scusi! Sto’ cercando il barcaiolo Giuseppe Boldini? Sa dirmi se è qui da voi. Se no, dove posso trovarlo? > Mentre tentava di scrutare gli ospiti della bettola. < Comandi? Chi s’è che cerca giovanotto? > Gli chiese nuovamente l’uomo dall’accento veneto, mentre si grattava il grosso nasone rosso. < Il signor Giuseppe... > Ripropose Marco, ma subito si ravvede a ricordare quell’appellativo appena sentito dire dai paesani, pertanto, lo esponeva all’oste con fare dubbioso. < Il garibaldino? > Mentre osservava distrattamente due anziani signori che giocavano a carte, seduti poco distante e si erano girati nel guardarlo incuriositi per la sua richiesta. < Ah, lui! > Sbottò l’oste aggrottando le sopracciglia sull’ampia fronte rugosa. Poi senza dire altro, allungò il braccio e puntò il dito verso il

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fondo della sua bettola oscura, a indicare un uomo che dormiva appoggiato sopra un tavolo nell’angolo più buio.Marco seguì la direzione del dito e in fine nella penombra del locale, lo vide. < Finalmente l’ho trovato, grazie! > Esclamò ad alta voce, più che mai soddisfatto. Il vecchio barcaiolo era seduto di spalle al muro, con la testa appoggiato al braccio sulla tavola e davanti aveva ancora un mezzo bicchiere di vino rosso, mentre dormiva beatamente cullato dal suo soffuso russare. Marco si era avvicinato da prima con ardire, poi, mentre osservava con infinita compassione l’uomo che dormiva tranquillo, ebbe un imprecisato nodo alla gola. “Come s’è ridotto male.” Espresse con rammarico dentro di sé. “Peccato! Questo è un brutto modo per spendere i propri miseri guadagni”. Pensò il giovane più che mai deluso e dispiaciuto. Marco, se lo ricordava molto bene come era anni prima il nonno Gep. Quando, anni addietro lui, era stato ospite in casa della famiglia Boldini. Aveva ancora più che bene davanti agli occhi l’immagine del vispo Giuseppe Boldini, con quei suoi occhi grigi sempre vigili e quei baffi scuri rivolti all’insù, alla prussiana. Così dinamico e pieno di vita, un po’ aggressivo, ma in fondo a tutto un buon uomo. E ora lì, in quell’angolo buio di quella bettola puzzolente, appariva soltanto un povero e malandato vecchio alla deriva. Mentre il giovane si domandava ancora. “E nonna Maria, dove sarà adesso, forse non starà bene? O sarà a casa di quella sua cugina con difficoltà motorie? Nessuno mi ha detto qualcosa di lei? Va ben, che io e in verità chiedevo continuamente del nonno.” Poi, Marco tralasciò qui nuovi quesiti e si fece coraggio nel toccare leggermente la spalla del vecchio garibaldino, per svegliarlo da quel torpore che si era lasciato avvolgere dai bicchieri di vino che aveva tracannato prima, in quelle ore di falsa beatitudine. Alla pressione della mano del giovane, il garibaldino si mosse un poco, accentuando il suo russare, da sembrare ancor di più ad un brontolio asmatico. Per Marco era una pena guardarlo in quel modo così dismesso e trasandato, con la camicia rossa ormai sbiadita e abbastanza logora. Il giovane si sentiva impacciato a insistere, attese ancora un momento e poi riprovò a smuoverlo, ma con più vigore questa volta, dicendogli con fare greve: < Nonno! Ehi, là! Dai sveglia! Sono arrivato, sono qua? > Ma purtroppo, il vecchio non accenna a capire e Marco dovette insistere varie

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volte per farsi sentire, era persino tentato di accarezzare il capo del vecchio, tanto era il desiderio di averlo ritrovato. Alla fine il vecchio garibaldino alzò un poco il capo, tenendo gli occhi chiusi e con la voce impastata dal vino, sbottò incavolato all’intruso che gli aveva rotto il rituale pisolino: < Cos’è che vuoi? Bojafaust! Vai ha farti un bagno nel lago e non rompere le scatole. Via, scio, scio! Non vedi che sto’ riposando? > Brontolò seccato. < Dai, nonno! Sveglia, sono io? Tuo nipote Marco... Non mi riconosci più? Dai sveglia! Dannazione! Su, andiamo a casa. Non vedi come ti sei ridotto? > sbottò corrucciato Marco. < Io non ho nessun nipote. > Rispose l’altro sfregandosi gli occhi per vederci meglio, ripetendo ancora arrabbiato: < Io non ho nessun nipote, chiaro? E poi, non vado da nessuna parte. Bojafaust! Cosa! Hai detto... un nipote? Da quando c’è ne stato uno, che io ricordi? > Rispose il vecchio mentre si grattava la testa grigia, in un frullare di pensieri inconclusi. < Dai, svegliati un poco, nonno! Non ti ricordi proprio di me? Guardami un momento. Perlamiseria! Impossibile che non ti ricordi più di me? Sono Marco! > Esplose Marco avvilito da quel misero risultato. Poi, finalmente il vecchio pescatore alzò il busto e spalancò gli occhi ad osservare meglio quel piantagrane che si era piantato lì di fronte, mostrando uno sguardo arrabbiato e scontroso, intimorendo l’intruso rompiscatole. Alla fine il vecchio, stava per imprecare nuovamente, ma si fermò e restò un bel momento ad osservare il giovane ha bocca aperta in attesa di una eventuale risposta. Il garibaldino sembrava stupito, meravigliato, e non riusciva ha connettere le idee, inoltre non ci vedeva molto bene sotto quella stantia luce gialla della lampada appesa al soffitto lercio. Ma qualcosa l’aveva in parte spaventato in quella visione che si frapponeva tra lui e la vetrata colorata della porta del locale, sul fondo che comunicava nel vicolo stretto tra le casa. Poi il garibaldino, come un automa alzò il bicchiere e tracannò deciso il restante contenuto del vino. Forse per scacciare dei brutti pensieri dalla sua mente o quella visione che aveva davanti, sperando che sparisse via dalla sua vista. Lo sguardo del vecchio si era fatto più serio e greve, ebbe un sussulto, da sembrare che in quel preciso momento avesse visto di nuovo un fantasma. La sua mente era annebbiata dal potere del vino che l’aiutava ha dissolvere nel vuoto tutti i suoi tentativi nel ricordare, nonché problemi. Ormai la sua mente si era così arrugginita per l’inettitudine acquisita con il

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tempo a oziare nel commiserarsi da solo. Poi, sembrò che incominciasse a connettere qualcosa, restò fermo un momento con il bicchiere a mezz’aria, deglutì la saliva parecchie volte e infine sbottò deciso, imprecando tra i denti, quasi avesse paura di chissà cosa fosse: < Franz! Cosa fai qui? > Esplose inconsciamente. Ma al contempo si riprese subito e capì di aver preso un abbaglio. Alla fine più che mai deluso lasciò cadere di botto il braccio ed il bicchiere sulla tavola da fare un bel fracasso e richiamare l’attenzione dell’oste, seduto tranquillo al suo posto dietro il bancone, che prontamente rispondeva con malavoglia a quel rituale richiamo: < Sta’ bon Garibaldin! Adesso ti porto dell’altro vino! > E prontamente travasava dell'altro vino nel boccale da mezzo litro. Mentre il garibaldino si asciugava la bocca tremante, con la manica della camicia sbiadita e alla fine, si strizzava gli occhi per vederci meglio, tentava gracchiando di riproporre qualcosa al giovane, come se avesse dei rospi in gola che non riusciva ad ingoiare. Deglutì ancora la saliva parecchie volte, poi con una voce gutturale e profonda, provò a domandare a quell’ombra estranea che aveva di fronte: < Cos’hai detto, un nipote? Ma che nipote del cavolo sei? Bojafaust! > Grugni sardonico il garibaldino più che mai arrabbiato e confuso. < Dalla mia povera moglie... > Mentre con fatica alzava gli occhi e una mano al cielo, esponendo a riverenza: < Che il Signore vegli su di lei. > Espresse il tutto con un gesto di sconforto. Poi, riprese a parlare con fare più mesto: < Per nostra sfortuna, non abbiamo avuto dei figli. Capisci almeno questo? > Provò a esprimere laconicamente la sua verità nuda e cruda. Marco, a quelle parole era rimasto colpito profondamente e alla fine a sua volta riuscì a dire solamente: < Mi dispiace! Si, mi dispiace veramente tanto per la perdita di nonna Maria. Io non l’ho sapevo... Quando è capitato? > Gli domandò con delusa apprensione. < Tanto tempo... Ma tu? Come ti permetti di dire... Insomma! Chiamarla nonna, che non la conoscevi nemmeno? > Sbottò sarcastico e diffidente il vecchio pescatore, mentre tentava di scrutare l’interlocutore. < Scusami, nonno Gep. Non volevo offenderti. Io, sono Marco e non Franz, il tuo commilitone. > Ripropose dispiaciuto e confuso Marco. Quella debole spiegazione e al suono di quel nome Gep, il vecchio pescatore si era ripreso un poco dal suo torpore e provò a dire: < Ah, si! Il compagno Franz? Adesso mi sembra di ricordare qualcosa... Comunque, è

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andata così. Sono già trascorsi tre anni da quando se ne andata la mia povera Maria. Si, tre anni, che mi ha lasciato qui solo. Bojafaust! > Sbottò nuovamente con aria triste, mentre con la mano faceva un gesto per scacciare i brutti ricordi. Poi, con più baldanza, il garibaldino provò a chiedere: < Be’, da dove salti fuori tu? Io non ho parenti che possono reclamare una misera eredità? E se qualcuno ha in mente di tirarmi un brutto tiro mancino, stia ben in guardia, che il garibaldino non è ancora diventato rimbambito? Perché oggigiorno c’è in giro un sacco di gente che si spaccia per parenti e poi, se possono ti fregano anche la misera pensione che abbiamo sudato con il sangue tutta una vita. Questo lo capisci vero? E poi, come fai ha sapere certe cose? Insomma, ho una tale confusione in testa, accidenti? > Esplose adirato, mentre batteva il pugno sulla tavola. E di rimando l'oste rispondeva: < Calma, vengo, vengo! > < Certo, che ti capisco nonno Gep. Comunque, non temere. Io non sono qui per rubare la tua pensione o altro. D'altronde e in verità io, non sono veramente tuo nipote, ma mi sento tale per l’affetto che mi avete dato a quel tempo, ricordi? Io sono Marco, e vengo dall’orfanotrofio di Susa, rammenti almeno questo? Avevo soltanto sette anni quando mi avete preso a casa vostra per passare le vacanze estive. Ed è stato bellissimo! Certo, so di essere cresciuto e cambiato aspetto, ma spero che proprio tu, ti ricordi? Mi chiamavi piccolo Mark, perché dicevi che assomigliavo negli occhi ad un tuo commilitone. Franz, un soldato tedesco morto in guerra sul fronte russo. Ricordi almeno questo, adesso? > Lo spronò a sforzarsi almeno un poco. Marco non immaginava di trovarlo, ridotto così male. < Bojafaust! Già, già! El piscinin Mark. Marcuccio! Così ti chiamava nonna Maria, vero? Quanto tempo è passato. Ma dov’eri finito ragazzo? Noi ti abbiamo scritto parecchie volte all’istituto. E siamo anche venuti fin la per trovarti, ma tu eri già stato assegnato ad altri. Purtroppo noi, eravamo anziani per poterti adottare, così ci è stato riferito. Io penso invece impedito, > Provò a dire con un debole ghigno. < Sì, impedito è la parola più giusta. Bojafaust! La nonna desiderava tanto rivederti e magari poterti avere con noi. Ma la direttrice dell’istituto ci ha riferito, che tu non volevi più venire qui da noi a passare le vacanze, perché preferivi il mare. Mi era sembrato strano per un bambino poter decidere? > < Ma come? Guarda che io il mare non l’ho mai visto ancora. E poi, anch’io ho sempre scritto a voi e non ho mai avuto una risposta. Soltanto dopo che sono uscito dall’istituto ho saputo che la posta non veniva mai

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recapitata per evitare che gli orfanelli si affezionassero ai loro momentanei tutori e benefattori. Ed è stata senz’altro l’opera di quell’arpia della direttrice dell’istituto, a sviare ogni presunta richiesta. Perché e si sapeva più che bene, dalle voci che circolavano la dentro, nell’istituto. Occorreva ungere le sue tasche per bene e tutto si risolveva rapidamente. Questa è la verità in quel ghetto della malora. Poi oltretutto io ero un po’ discolo, per non dire rompiscatole e perciò non facevo al caso della direttrice. Lei voleva concludere dei buoni affari senza nessuna rogna da parte dei ragazzi e perciò chi rompeva l’anima rimaneva fisso nell’istituto, senza possibilità di una sistemazione in qualche famiglia di giovani coppie senza figli, ma desiderose di averne uno. > < Hai perfettamente ragione ragazzo, Quella donna si era dimostrata troppo furba, ventilando un sacco di difficoltà insormontabili. Ma io avevo capito subito, che se avrei pagato tanto, senz’altro avrei avuto la possibilità di adottare qualche altro ragazzo, ma non te. > < Perché mai, non potevo essere io? > chiese incuriosito Marco. < Proprio così, tu eri già stato assegnato ad altri sposi di Torino. Così ci aveva detto la direttrice dispiaciuta. Perciò, a quel punto, io e nonna Maria abbiamo deciso che non avremmo fatto più nessuna richiesta e speso altri soldi. Nonna Maria era te che desiderava avere. Perciò, a malincuore ce ne tornammo qui a casa dispiaciuti... Capisci ragazzo? > < Già, più che bene. Che vada alla malora, quella vecchia zitella rancida. E pensare che anch’io ho versato la mia quota per uscire. A sedici anni lavoravo già fuori dall’istituto, ma il mio guadagno se lo prendeva tutto la direzione. D’altronde avrei pagato qualsiasi somma pur di andare via da quel posto e lei, la furba megera, aveva capito il mio desiderio e in parte m'ha assecondato, mandandomi a lavorare come tipografo a Torino. Essendo richiesto dai miei nuovi datori di lavoro per il mio operato, sono diventati formalmente i miei tutori fino alla maggiore età e chissà quanto hanno pagato alla direttrice, per avermi preso alle loro dipendenze. Accidenti ha lei! > Sbottò nuovamente Marco. Mentre il garibaldino brontolava tra sé, osservava quello spilungone davanti che gli sorrideva benevolo, aveva ancora la mano stretta alla cinghia della sacca rossa che teneva a tracolla. Poi con un gesto deciso il giovane gli allungo l’altra mano per saldare quel vecchio rapporto di una sincera amicizia. Il vecchio non si fece pregare e rispose deciso a quella

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stretta sincera. < Che mi venga un colpo! > Esplose di scatto. < Non l’avrei mai sperato di rivederti ragazzo mio. Questa poi, da non credere! > < Io non ho mai perso la speranza e perciò, appena sono riuscito a mettere via un po’ di soldi sono partito. Ed ora eccomi qua. Desideravo tanto rivedervi. Ero stato tentato parecchie volte di scrivervi, ma volevo farvi una sorpresa con la mia venuta qui. Purtroppo senza rendermene conto del tempo che passava e gli anni sono volati via così in fretta. Mi dispiace solamente che sono giunto in ritardo e la povera nonna non c’è più, peccato! Mi rammarico solamente che ho aspettato troppo tempo, ma volevo sistemarmi e avere una casa mia e ospitarvi a mia volta, perché non volevo venire qui, come un povero orfano in cerca di un rifugio, capisci nonno. Volevo sdebitarmi invitandovi a casa mia... > < Ma guarda che noi, ti avremmo accolto egualmente, a braccia aperte. E non è una storia quello che ti dico, ragazzo. > < Questo lo so più che bene, nonno Gep. Quei mesi trascorsi qui con voi non li ho mai scordati, anzi mi hanno aiutato a sperare in un’amicizia sincera e duratura. Voi mi avete amato e coccolato in quel breve tempo di permanenza, ed è stato altrettanto importante e significativo per me. Ecco perché ci tenevo rivedervi, voi eravate la mia famiglia e lo siete ancora, se tu mi permetterai di continuare a chiamarti nonno. In verità, io ci tengo molto nonno Gep. > Espose con amorevole sincerità. < Bojafaust! Quante parole grosse tiri fuori, ragazzo mio. Ma certo! Certo che ti voglio qui come un figlio. Tu mi stai portando una ventata di gioventù, nella mia ormai squallida vita quotidiana. Accidenti che bella sorpresa! E devo ammettere che nonna Maria aveva ragione a dire, che un giorno saresti arrivato a farci una sorpresa. E’ proprio vero! Comunque se ti fa piacere domani potremo andare a trovare la nonna al cimitero? > < Oggi è ormai tardi, vero? > provo a chiedere Marco. < Qui il custode è di fuori e chiude alle sedici, perciò, domani mattina faremo una passeggiata fino al cimitero dove riposa, d’accordo? > < D’accordo! Ma ora andiamo fuori da questo buco, nonno. > Propose Marco al nonno titubante a lasciare quella sedia. Ma fu interrotto dall’arrivo dell’oste che portava dell’altro vino. < Ecco Garibaldin, un altro mezzo litro di rosso e due bicchieri per il tuo ospite che ha fatica quanto sembra e ti ha trovato finalmente nel mio locale. > Mentre l’oste sbirciava il giovane con fare baldanzoso, per poi riprendere a dire rivolto al pescatore. < Be’, visto che ti sei ripreso, puoi raccontare a lui del tuo

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fantasma, almeno hai trovato chi pagherà il tuo piccolo conto oggi? > Espose il furbastro oste, sorridendo come un somaro felice, mentre aspettava che qualcuno approvi la sua stupida battuta spilorcia. Marco non si fece pregare ha reagire, rispondendo all’energumeno con una tonalità secca e decisa: < Quanto le deve mio nonno? > < Con quel della settimana scorsa fanno trentacinquemila lire. > rispose ghignando l’oste, evitando di guardare in viso l’interlocutore. Marco appoggiò deciso le banconote sul tavolo, Mentre commentava sarcastico: < Vedrò di avvisare gli amici dell’ufficio D’igiene a fare una capatina qua dentro... > Mentre faceva scorrere un dito sul tavolo appiccicoso. < Spero che a lei non dispiaccia una visita di cortesia? > mostrando il dito sporco. < Ma, veramente! Io, stavo solo scherzando, prima... > Rispose a monosillabe l’oste mentre raccoglieva frettolosamente il danaro messo sul tavolo, era rimasto di stucco e mugugnava tra i denti: < Le porto subito il biglietto dove ho annotato il conto. > E s’allontanò da loro confuso e un tantinello spaventato, per quella proposta del giovane, più che giusta. Quello era il guaio, era diventato abbastanza tirchio e lo doveva ammettere da solo: era veramente un lurido cesso quella bettola, sapendo che da molto tempo non faceva più nessun lavoro alla sua osteria, per renderla più vivibile e presentabile al turismo in crescita. Mentre il garibaldino se la rideva sotto i baffi per la sorpresa, scoprendo che finalmente c’era qualcuno che teneva per la sua parte. Poi, deciso espose al giovane: < Dai, siediti un momento? Ormai l’hai pagato ‘sto vino e perciò è un peccato lasciarlo qui a quel beccamorto d’un venesian spilorcio. > Esponendo apertamente nel suo sgraziato sorriso. Marco, si sedette controvoglia di fronte al vecchio pescatore, mentre gli domandava con fare serio: < Ma dimmi un po’ nonno, cos’è questa storia di fantasmi? Tutti ne parlano qui, e in verità io non ne so proprio niente? A quel tempo delle mie vacanza qui con voi, non lai mai accennata. In verità mi hai raccontato tante fiabe, storie antiche di pescatori, della tua guerra in Russia, ma non hai mai parlato di fantasmi. Come mai? > < Certe cose non si possono dire ai fanciulli. Specialmente se sono veramente accadute. > Apostrofò il garibaldino annichilito, mentre s’allungava sopra la tavola e riprese a dire sottovoce: < Questa storia, è strana, ma vera. Credimi figliolo. > Espose con serietà il vecchio.

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< Cos’ha di vero, ora lo puoi raccontare anche a me? Sono veramente curioso di sentirtela dire. Perché, le ripetizioni scherzose degli altri non mi hanno soddisfatto. Anzi penso proprio che sia tutta una presa in giro nei tuoi riguardi. Perciò se me la vuoi dire, sono felice di ascoltarti. > < Bojafaust! Come parli forbito. Beh’, se proprio la vuoi sentire, te la posso di in poche parole com’è successo l’incontro... > < Okay! Non ti fermare, dai racconta. Sono tutt’orecchi? > Lo esortò Marco incuriosito. Mentre il nonno sembrava scettico nel proseguire, ma alla fine scrollando le spalle riprese a raccontare: < Sì, poi farai anche tu come gli altri, ti metterai a ridere alle mie spalle. Pensando che sono diventato un vecchio rimbambito che vaneggia, per non dire matto... > < Perché dovrei ridere? Se tu da molti anni affermi di aver visto questo fantasma, perché non dovrei credere a te! Dovrei invece ascoltare le banali insinuazioni della gente ignorante, per non dire invidiosa. Questo è il vero guaio? La cattiveria non è mai morta. > < Non riesco ha seguirti, non capisco, cosa vuoi dire Marco? > < E’ che la gente, insomma i tuoi paesani, non vogliono ammettere che tu sei un prescelto, e sei stato testimone di cose così paranormale. Capisci? Perciò subentra l’invidia. Tu sì, loro no. E’ tutto qui il nocciolo della questione. Pertanto, c’è chi aumenta la tua storia e altri che la stravolgono, ed alla fine tu sei diventato l’oggetto dei loro sollazzi. Chiaro nonno Gep? > Concluse Marco. Il garibaldino sembrava essere un po’ rinfrancato da quella nuova solidarietà mancatagli da molto tempo, pensando che l’unica persona che lo capiva era la sua povera moglie. E gli sembrava di sentire dentro di sé una voce che gli diceva: “Fidati, non temere.” Perciò si fece coraggio ed espose seriamente i fatti, raccontati già un migliaio di volte hai compaesani.

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Capitolo Secondo

. A quel punto il garibaldino sembrava improvvisamente cambiato. In lui stava riaffiorando un’altra persona e il suo sguardo era stranamente trasformato. Da trasmettere un certo interesse e rincrescimento al tempo stesso che si avviluppava drasticamente dentro di lui e si riproponeva a secondo di ciò che andava dicendo. Nel profondo dei suoi occhi grigi si vedeva più che chiaramente un’ansia incolmabile, quasi avesse paura, in quell’attesa all’approccio del suo racconto. Ma di più c’era la voglia di parlare e rivelare quel grande mistero che l’aveva avvolto e accompagnato per anni. Era stato qualcosa di magico e solo lui sapeva che era vero. Era capitato proprio a lui, al Garibaldino, quel fatto mirabolante. Nonno Gep restò per un buon momento in silenzio, poi si raschiò la gola e in fine proruppe con quella sua baritonale voce, scavata dagli anni e dall’alcool. Le prime frasi erano incerte e tremolanti, ma man mano che procedeva si stava rinfrancando da solo. < Ecco perché non è credibile il mio racconto? Perché è troppo fantasioso e inverosimile, ma nello stesso tempo tutti lo vogliono sentire... > Il nonno fece un’altra pausa, quasi a voler riflettere su cosa dire, poi riprese deciso: < Devi sapere ragazzo, che tutta ‘sta storia è successa trent’anni fa. Prima che tu nasca. A quel tempo ero anch’io un po’ restio del diffondere il messaggio della contessina Mafalda, ma poi mi convinsi che in qualche modo dovevo trovare qualcuno che potesse svelare quel quesito espostomi da lei, la sugli spalti del castello, in quella strana notte di luna piena. Mi devi credere Marco, è effettivamente successo. Pensa, proprio a me! > < Ma guarda, che io non ti ‘sto contraddicendo nonno. Aspetto solamente di sentire il seguito. Dai ti prego, prosegui. > Lo esorti il giovane, mentre lo rinfrancava in una leggera stretta, appoggiandogli la mano sopra la sua, sulla tavola lercia. < Beh’, insomma, cos’è capitato di preciso a quel tempo, e perché era così strana quella notte? > Gli chiese. < Effettivamente fu tutto così strano quella notte? Perché anch’io di punto in bianco, avevo deciso di pescare proprio sotto al castello e mentre... > Si era fermato ancora un momento a fissare con più interesse il giovane di fronte, mentre gli era sfuggito in debole risolino, pensando tra sé, che quel giovane incominciava ha piacergli. Meravigliandosi

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nuovamente e nel constatare che assomigliava maledettamente, come due gocce d’acqua al suo amico Franz, il tedesco che gli salvò la vita nel 42 sul fronte russo. E man mano che lo guardava gli sembrava di averlo lì di fronte, tale e quale. Lo stesso viso dalle mascelle squadrate, gli stessi occhi azzurri e profondi, i capelli biondo chiaro, chiaro e la stessa corporatura atletica e sviluppata. Insomma era identico. D'altronde anche gli anni erano gli stessi, lui e Franz a quel tempo nel bel mezzo della guerra aveva vent’anni, come Marco ora. “Accidenti alle somiglianze!” Sbottò tra sé sorpreso, ma al tempo stesso esplose senza reticenza tra le labbra asciutte e strette: < Perla miseria, sei proprio eguale a lui? > < Cosa vai dicendo? Non ti capisco nonno Gep? > < In verità se non l’avessi visto morire sotto i miei occhi, penserei che Franz è ritornato vivo... Resuscitato... > < Chi, il tuo commilitone tedesco vero? Perché l’hai visto anche lui nel castello? > Chiese Marco confuso. < No, no! Non nel castello. Tu non mi crederai, ma sei identico a lui, al caro Franz. Se non fosse morto tra le mie braccia trapassato da una pallottola russa sul Don, direi che sei un fantasma. Identico! Credimi, non racconto frottole... > Espresse più che mai serio il nonno, anche dopo tutto quegli anni trascorsi, quel fatto l’aveva ancora colpito nel profondo del cuore, ed era ancora più che mai vivo in lui. < Dannazione! Che tragedia malaugurata fu mai quella! > Brontolò ancora dispiaciuto. < Ma veramente assomiglio così tanto al tuo amico? E cosa centra tutto questo con il fantasma della contessa adesso? > Gli domandò Marco incuriosito da quella strana assomiglianza. Pensando dentro di sé che il nonno si stava sbagliando, impossibile una così tangibile assomiglianza? < Veramente! Devi credermi. Quando eri piccolo avevi gli stessi occhi azzurri, ma ora sei identico, tale e quale. Da non credersi? Comunque hai ragione, tutto questo non centra per niente con il fantasma della contessina. Era soltanto il fatto che guardandoti per bene, mi sono spaventato nel constatare tale assomiglianza col passato. Ecco è tutto qui ragazzo mio. Ho forse sono io che incomincio a perdere colpi. > Espose laconico. < Comunque, ritornando al racconto, > Riprese ha dire con un certo ardire: < Era una notte di luna piena, ed ero uscito con la barca nell’intento di mettere le lenze, ma di colpo vi era venuta l’idea di andare presso le isolette che raggruppano il castello diroccato dei Malpaga. E fu così che mentre trafficavo al mio lavoro, mi sembrò di udire un debole

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lamento portato dalla brezza notturna e proveniva proprio dal castello. Perciò mi girai incuriosito per vedere e ascoltare meglio, pensando che magari qualcuno si era nascosto sull’isola tentando di spaventare chiunque si fosse avvicinato al castello. Ma così non è stato, non c’era nessuno, all’infuori del sottoscritto. Perché devi sapere ragazzo, che ai tempi di mio nonno ai primi del novecento si sentiva nelle sere calde d’estate, lo sferragliare delle armi sugli spalti del castello. Proprio così! Dure battaglie sono capitate la dentro a quel tempo. E tutto la gente del paese d’estate si riversava sul molo per ascoltare tali fatti, che duravano una buona mezz'ora e poi tutto si azzittiva di colpo, per poi riprendere la sera successiva e il tutto duravano tre sere consecutive, attorno alla mezza notte e si poteva udire chiaramente tali rumori di spade in battaglia. Così mi raccontava mio nonno che quei fatti capitavano nel mese di... Accidenti! > Sbottò stupito. < In questo mese! Il mese di Maggio? Avveniva quel trambusto di guerrieri e armigeri in lotta. Bojafaust! > < Be’, e con questo, cosa centra il mese di Maggio? > Provò a dire Marco, mentre aggrottava la fronte pensieroso. < Però, sai una cosa Marco, fin ora non ci avevo mai pensato prima? Era proprio di Maggio, quando ho visto il fantasma della contessina. > < Si vede che è il momento più propizio per le apparizioni. > Provò a supporrere Marco. < Ah, sì! Può darsi. Ma qualcosa che collega il tutto c’è senz’altro. Più che sicuro! > Esclamò convinto nonno Gep, mentre proseguiva a dire pensieroso: < Perché nulla succede senza una giusta ragione, basta solo trovare qual'è la risposta giusta. Ma quale sarà? > Commentava con intuitiva convinzione che non sbagliava. < Buona questa scusa. Dai nonno! Non strafare. > Lo redarguì Marco sorridendo a tali fatti esposti a quel modo imperativo. Il garibaldino sorrise e riprese a parlare con una certa serietà al contenuto. < Be', stavo dicendo, che mi guardavo attorno ma non vedevo nessuno, poi alzai gli occhi e dall'alto sugli spalti del castello diroccato, vi era qualcosa che luccicava e una voce, sempre più chiara che mi chiamava: “Garibaldinoooo!!! Ascoltaaa!!!” > Mentre il garibaldino si portava la mano a lato della bocca a simulare il richiamo. < Sembrava che mi implorasse ad ascoltarla. Gridava chiaramente il mio nome, in quella voce maliarda e sconosciuta, che sembrava provenire dal profondo, dalle viscere della terra. Ma al momento quel richiamo non m'incuteva paura, ero però

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divenuto curioso al tempo stesso. Dal principio sembrava quel richiamo provenire da molto lontano, poi man mano sempre più vicina e continuava a dire:”Vieni, vieni, quiiii... Giuseppe!” Io mi guardavo attorno abbastanza confuso, pensando sempre che vi fosse qualche solito burlone che ne approfittava per prendermi in giro. Non c'era nessuna barca attorno e la voce proveniva proprio dal castello. Forse qualche turista rimasto per caso la dentro? Il mio cervello stava rimuginando un sacco di supposizioni errate. Tanto più che il giorno prima c'era stata una visita di un gruppo di gitanti e nella confusione qualcuno era rimasto a terra nel castello o per caso intrappolato, caduto nei vecchi cunicoli dei sotterranei, e il lamento era suo? Ti devo dire Marco che al principio ero veramente confuso... > < Beh! E allora poi cosa hai fatto? E c'era veramente la contessa? > Lo sollecitò Marco impaziente di uscire da quel buco di bettola puzzolente. < Insomma! Mi avvicinai al castello, e mentre stavo per approdare sull'isola ghiaiosa, quando alzai di nuovo gli occhi in alto sopra le mura, tra i merli diroccati ecco, che mi apparve la contessa in una luce surreale, ma non eccessiva dove i contorni si delineavano più che bene. Mi faceva cenno di avvicinarmi e la sua voce soave ripeteva: “Vieni o Giuseppe! Tu sei il prescelto, Vieni!” Io entrai nel castello. Lo conoscevo molto bene quel posto, anche al buio. Da ragazzo con la nostra banda di giovani scalmanati, andavamo sovente a giocare hai pirati fra le mura vetuste e ricordo bene che a quei tempi non avevo mai avuto paura, ma quella notte vi era qualcosa che mi disturbava. Poi all'improvviso, vidi la contessina Mafalda, era li al centro del cortile con le braccia leggermente protese in attesa del mio arrivo. Sembrava una sposa. Era vestita tutta di bianco e risplendeva al chiarore della luna, aveva i capelli lunghi e neri che le scendevano sulle spalle seminude e sembravano muoversi al vento, ma tutto attorno notai che non vi era un filo di aria. Una calma assoluta? > Nonno Gep, si era arrestato un momento per tracannare in un fiato il vino nel bicchiere, quasi a voler cercare conforto in quel nettare rosso e a rinfrancarlo un poco. Marco ad evitare altre soste, dato che si stava incuriosendo a sua volta al racconto, gli versò altro vino, nel mostrare la sua solidarietà e sostegno, sorseggiando un po' del suo vino, nella frenesia di proseguire nel racconto. Nonno Gep, con lentezza si asciugò la bocca con il dorso della mano e alla fine riprese ha raccontare. < Be', dov'eravamo rimasti? Ah, sì! Lei la contessa, là al centro del cortile, sembrava... Non so bene? Ma nei leggeri

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movimenti sembrava che aleggi nell'aria, dal modo che si avvicinava liscia e silenziosa. Mi appariva così bella e diafana... > S'arrestò ancora e aggrottò le sopracciglia pensieroso. Marco lo spronò a continuare. < Beh! Allora, cosa è successo dopo? E' forse sparita? Ma, tu nonno, cosa hai fatto? Dai, continua, per favore! > Lo spronò senza invadenza. < Ricordo più che bene, che sentivo degli strani rumori attorno. Anche nonna Maria mi aveva sgridato al rientro a casa, quando le avevo raccontato il fatto. Lei la mia povera Maria, mentre si faceva il segno della croce, brontolava spaventata: “Non andare più Giuseppe sull'isola al castello, è un posto stregato quello, da quello che si racconta in giro. Ed è male tornarci ancora” Forse aveva ragione. Ma la voglia di far sapere quello che la contessina mi ha detto è stato più forte di me. E così come un citrullo andavo e vado ancora in giro ha raccontare quella strana storia... Che imbastì sono! Comprendi Marco? > < Comprendo si e no? Se non mi racconti cosa ti ha detto la contessa Mafalda? A questo punto non ci capisco proprio un acca. Giusto! Ti prego, nonno! Dai prosegui a raccontare il finale della storia. Almeno capirò una volta per tutto il parlottare sotto, sotto, dei tuoi compaesani ruffiani e burloni. Da quel poco che ho capito oggi è più che vero. Ti prendono per i fondelli... Questi tuoi amici scrocconi. > Allargando il braccio a mostrare gli abitudinari della bettola affumicata. < Sì, hai ragione Marco. Sono un povero vecchio rincitrullito. Ma io speravo di portare veramente il messaggio. Trovare chi lo poteva decifrare e spiegare il quesito. Quella strana apparizione e quel fatto? Ma fin ora nulla da fare. Peccato! > Sbottò sottomesso. Mentre il giovane lo pregava di raccontare e spiegarsi meglio. < Quale fatto? Spiegati! > Insisté Marco incuriosito. < Dai, nonno! Non tenermi sulle spine. Cosa di vero, ti è capitato veramente? Che ha sentire tutti quanti qui nel paese, quando parlano dei racconti del garibaldino, sogghignano dicendo: “L'è spustà e matto il garibaldin con le sue storie.” Capisci nonno, cosa pensano di te' i cari amici, nonché compaesani? > < Nessuno a mai voluto credermi, forse per invidia che io l'avevo vista e altri no. Ma è anche vero che da quel giorno più nessuno è andato di notte sull'isola. Credimi figliolo! Era proprio lei la contessina Mafalda. Lo riconosciuta dai quadri esposti nel castello sull'isola Borromeo a Stresa. Visitato in una gita organizzata dal parroco e nonna Maria a insistito tanto che andassi anche io. E quando ho visto il ritratto mi è venuto un colpo.

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Era proprio lei nel suo bel vestito bianco da sposa esposta nel dipinto. La leggenda dice che dalla torre del castello di Cannero, nel giorno delle sue nozze si era buttata nel lago, per non sposare il brigante Malpaga. Anche nonna Maria visto che ero rimasto bloccato la davanti al ritratto, mi si avvicinò dicendomi sottovoce: “E' lei la donna che hai visto sull'isola? Bella sì! Però, ha uno sguardo così triste.” Ed aveva ragione! > Raccontò pensieroso nonno Gep. < Ma perché proprio quel giorno si è uccisa, o l'hanno assassinata? Ci sarà stato un motivo valido e la storia è veritiera? > Domandò Marco. < Perché non voleva sposare il Duca... come diavolo si chiamava quello? Ah, sì! Filippo Ghibelli e veniva da Lugano, ma doveva essere una figura losca. Quanto sembra aveva usurpato allo zio Malpaga sparito misteriosamente, anche lui brigante che saccheggiava tutta la zona del lago a quel tempo. Facevano razzie e portavano tutto qui nel castello, ma poi a sua volta fu ucciso anche lui dai fratelli Mezzarditi altri briganti assassini, da costringere il visconte di Milano a distruggere il castello. Ma quella è un'altra storia. > Si fermò per riprendere fiato. Mentre Marco commentava quell'intrigo: < Mi sembra che 'sta storia è tutta così complicata. > < Certo, più che complicata! Beh, la contessina Mafalda era innamorata del suo scudiero, di nome?... Marcucci Darvino. Sì, proprio così, si chiamava! E quanto pare, si racconta che era un nipote dei conti di Biandrate, all'incirca nel 1300, giù di lì... Inviato ad Ascona come scudiero al conte Arduino Rusca, padre di Mafalda. > < Tu nonno mi sa, che sai molto bene la storia di questo castello e dei suoi intrighi che girano attorno. Vero? > < Sì, certamente! Era scritto nei vecchi libri custoditi nella curia di Cannobbio. Che il vecchio parroco Don Luigi, pace all'anima sua, > Precisò nonno Gep, alzando gli occhi al cielo. < Mi aveva permesso di leggere la storia intrigosa di quei lontani tempi. E quando gli confidai il mio incontro con il fantasma, lui mi rispose un po' sorpreso. E ti devo dire caro Marco, che quel Don Luigi era un tipo abbastanza intrigoso, ma sapiente. Ricordo bene quello che mi disse dopo avermi per bene ascoltato:“Bada ben caro Giuseppe! Il tutto può avere un segno ben definito del Signore! E senz'altro in futuro ti porterà alla conoscenza della verità!” E io gli chiesi quale verità? “Abbi fede e non inveire contro quelle povere anime in pena. Sono in cerca di pace e serenità nell'aldilà, non tormentarle. Quel castello è troppo impermeabilizzo di fatti di violenza e

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ancora non disgiunti. Quei fatti di estrema crudeltà trattengono gli spiriti tormentati e vogliono ricordare ai viventi le loro angosce passate. Sono gli spiriti di personaggi che vengono dal nulla e nel nulla ritorneranno. Ombre che dopo tantissimi anni non si rassegnano a lasciare questo mondo e continuano a vivere una vita loro propria. Comprendi Giuseppe?” E questo che ti ho appena detto Marco, mi fu detto in via confidenziale, per la nostra buona e vecchia amicizia. Il tutto faceva testamento in quel vecchio e sgualcito libro centenario. E guarda caso è poi sparito? > Commentò il nonno muovendo il capo laconicamente. < Come, sparito? > Protestò Marco incuriosito dai fatti. < Perché un giorno lo chiesto al nuovo parroco, per rivedere un particolare che mi era tornato alla mente e lui non ne sapeva proprio nulla, mai visto quel vecchio libro, sugli scaffali nel deposito nello scantinato della canonica. Proprio così, sparito? Be', per tornare alla storia. Insomma! Il duca Ghibelli, scoperta la relazione fra la sua promessa sposa e lo scudiero Darvino. Insomma, senza tante storie fece decapitare e mostrare la tasta mozzata alla contessina. Poi fece bruciare le spoglie dell'amante nelle segrete del castello e sparse le ceneri nel lago Maggiore, a mo di vendetta. Senz'altro la contessina Mafalda non sopportò il dolore ed è per questo che si buttò di sotto nel lago, allo scoccare della mezzanotte nel lontano 1300. > Spiegò brevemente la triste storia. < Accidenti, che tragedia! > Marco gli sfuggì un fischio quel suo disappunto. Per chiedere ancora: < E da allora, solo tu lai vista apparire nel castello? Incomincio a capire un poco la riviviscenza della storia. >

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Capitolo Terzo

Il garibaldino si stava bevendo l'ultimo goccio di vino nel bicchiere e poi dopo aversi passato il dorso della mano sulle labbra, incominciò a spiegare: < Non solo vista ma mi parlò con serietà! Quello è stato il più bello della storia, che mi è capitato. Un fantasma che parla! > < Cosa? Ma prima, non dicevi... > Protestò Marco un po' confuso. < Sì, quando la vidi nel cortile del castello, le mi sfiorò e si avviò verso le scale scivolando sopra ai gradini, facendomi segno di seguirla e mi condusse sul torrione e si accostò al parapetto, be', mi pareva era la vicino. Insomma! Si girò con un dolce sguardo benevolo e dal suo volto aleggiava in un atteggiamento a mestizia, aveva due occhi scuri, come i suoi capelli corvini che brillavano in quella evanescenza, assorbita da quella argentea luce della luna alta in cielo. Mentre io mi stavo avvicinando, lei alzò la mano e mi fermò, dicendomi con una dolce voce che sembrava provenire da molto lontano e aveva come una risonanza più o meno discordante... > Nonno Gep, si fermò e si verso altro vino, bevendo un buon sorso e alla fine si passò la lingua sulle labbra per raccogliere l'ultimo sapore di quel nettare. Con tutto quel parlare lo si vedeva così eccitato e di certo gli faceva venire più sete il racconto secolare. Marco si stava veramente incuriosendo alla storia, ma ostentava nel volerlo incitare troppo, pensando che distrarlo si avrebbe perso qualche pezzo di storia ancestrale. Tacque e aspettò impaziente. Poi finalmente il nonno riprese il racconto: < Lei la contessina, mi disse soave e non potrò mai dimenticare quelle parole, rimaste impresse indelebilmente nella mia memoria: “Rimani lì e ascolta o messer Giuseppe. Un dì che verrà, tu o mio vassallo, indicherai la strada e consegnerai il mio messaggio ad un giovane viandante ch'è designato e scritto sui libri del destino di questo vetusto castello, in parte maledetto. Verrà da molto lontano fra campi ricolmi di grano. Egli verrà per ripetere il cammino interrotto dal funesto destino. Ed io aspetterò qui, dopo l'ora dei vespri e vedrò l'evento ripetersi. Mi raccomando o mio fidato messer Giuseppe, Ricordami e sarai ricompensato. Non disperare ma, persisti! So di potermi fidare o mio vassallo e ricordami ancora...” Ero rimasto veramente colpito e in

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parte estasiato da quella splendida figura che fluttuava là, sullo spalto del castello... > Indicando fuori col dito puntato. < Beh! E dopo? Cos'è successo? > Lo spronò Marco assoggettato al racconto fantasioso. Vi era qualcosa che lo affascinava avvolgendolo nel mistero di quei fatti. Mentre il nonno si stava passando la mano tra i capelli bianchi, poi rispose: < E allora, niente! Ah! Sì, dopo lei è sparita oltre il bordo del muri nel parapetto, senza scavalcarlo ma, oltre la pietra nel vuoto. Mi precipitai a guardare oltre il muro del parapetto disastrato dal tempo, ma non vidi nulla, solo il vuoto e l'acqua scura del lago. Mi era rimasto soltanto le sue parole che mi rintronano ancora in testa.. Capisci Marco cosa mi è capitato in questo inspiegabile mistero. Io non so proprio chi dovrà venire da molto lontano e spiegare questo mio messaggio? Sono anni ormai che aspetto... Peccato e mi dispiace in fondo non poter portare a termine il quesito. Tu mi capisci, vero? Non è che vaneggio... non so.. Io in tutti questi anni ho cercato di raccontare e far sapere il messaggio a tutti, con la speranza che qualcuno capisca il significato. Ma nessuno sembrava o sembra interessato. Solo qualcuno diceva che doveva trattarsi di soldi o dell'oro che si troverebbe sepolto e nascosto nelle viscere del castello. Tutte storie! Nella mia ignoranza, il messaggio parla di altro e non dell'oro trafugato e nascosto... Il fantasma della contessina esprimeva ben altro? > < Sì, su questo hai più che ragione. Il messaggio è indirizzato ha qualche cavaliere del passato che avrebbe dovuto arrivare. Forse è già arrivato e tu nonno non l'hai visto e incontrato. Con tutte le persone che hai raccontato la tua storia forse c'era quello giusto e per discrezione non si è presentata, ma ha recepito il tuo messaggio. Poi in tutti questi anni non hai visto e sentito più il fantasma della giovane contessina Mafalda. Forse è tutto finito nei migliore dei modi. > Provò a dire Marco, avendo per un momento compreso che bisognava dare un po' di veridicità alla storia e un poco di soddisfazione al baldo garibaldino che per anni si era prodigato con ferma convinzione. < Sì, forse hai ragione ragazzo mio! Ma sta di fatto che non lo più vista apparire. Molte volte, specialmente ora che la mia povera Maria non c'è più... > Mentre alzava gli occhi al cielo in segno di riverenza. < Mi metto a guardare il castello per ore, ma più nulla appare la sugli spalti... Beh, ora sai anche tu la storia e puoi a tua volta ridere, come fanno tutti quanti alla fine, perché a me non importa più niente se ridete alle mie spalle... Sti quattro sfaticati! >

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< Perché dovrei ridere? Perché tu hai avuto questa piacevole apparizione? Non penso proprio cosa ci sia tanto da riderci sopra. Solo gli ignoranti e somari ridono senza saper per cosa... No badare, non ne vale la pena nonno. Tu sei stato il prescelto e allora sei meglio di chiunque. > < Lo pensi veramente? Sei il primo a sostenermi. Grazie Marco! > < Sai nonno, penso veramente che è tutto finito, senz'altro come desiderava la contessina finisse la storia e tu sei il suo fedele vassallo, non ché suo eroe, per la costanza che hai avuto in tutti questi anni. > < Lo pensi veramente Marco che è tutto risolto? Sarei contento. > < Penso proprio di sì! Per anni hai portato sulle spalle questo vasto fardello ed ora il tuo compito è terminato. Certo non riceverai medaglie, ma la tua buona fede ha superato le aspettative e ricompense. > < Questo è vero! Hai ragione tusan, giovanotto! Ma ora lasciamo perdere. Su, andiamo a casa figliolo e dimentichiamo il passato. Sai , devo dirti con sincerità una cosa... Sono veramente felice che sei venuto a trovarmi. Eh, quel piccolo Mark! Che uomo ti sei fatto adesso... Uhmm! >

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Capitolo Quarto

Erano trascorsi soltanto tre giorni dal suo arrivo a Cannero e Marco aveva già visitato quasi tutto nel circondario e quel giorno al mercatino della cittadina aveva comperato dei fiori per portare al cimitero sulla tomba della povera nonna Maria. Ne fu felice di trovare poche persone e mentalmente poter dialogare con la nonna, era una cosa che sentiva dentro al cuore. Aveva sistemato alla meglio il mazzo di fiori nel vaso e restò a guardare quella modesta tomba, dove l'effige della nonna sembrava sorridente. Poi si trovò a ripensare hai giorni di vacanze trascorse lì con loro. Purtroppo e senza immaginarselo constatò ch'erano già passati 13 anni e si sentiva dispiaciuto per non essere arrivato prima a rivedere e abbracciare nonna Maria. Marco si era un po' intristito per quel suo ritardo, trovandosi a dire a fior di labbra un po' vergognoso: < Mi dispiace veramente! Avrei voluto riabbracciarti come un tempo. Peccato e scusami ancora Nonna...Se ho fatto tardi! > Brontolò tra sé, mentre rammentava quei tempi lontani, poi quella bellissima gita in barca con nonno Gep e nonna Maria. La nonna quel mattino, intuendo il pensiero del marito, aveva preparato un bel cestino ricolmo di panini e frutti oltre alla bottiglia di vino per il nonno. Ma il tutto era capitato al mattino, nel sentire che la nonna brontolava al nonno per non aver ancora riparato quella vecchia pompa a mano dell'acqua in cortile di casa. E il nonno con decisione sbotto a dire: “Oggi è una giornata troppo calda per lavorare. Senti Maria, tu hai il pranzo già pronto, vero? E allora sai cosa facciamo tutte e tre? Andiamo in barca con questa stupenda giornata calda, così insegneremo al nostro piccolo Mark, a nuotare”. E subito di rimando la nonna spaventata rispondeva corrucciando il viso: “ Ma tu sei matto! Lo vuoi annegare già alla prima settimana di vacanza a Cannero? Si vede proprio che sei geloso di Marcuccio, vero?” . Brontolò ridendo e via tutte e tre giù alla rimessa. Fu una meravigliosa giornata e altre ancora seguirono, godute in quei tre mesi passati lì con loro. Marco era ancora estasiato dai bei ricordi ormai lontani. Mentre gli spuntava un risolino osservando l'immagine della nonna sulla tomba e mormorò: < Io vi ho sempre voluto bene e siete sempre stati nel mio cuore. Spero che perdonerai questo mio ritardo. Sai nonna, ti devo confidare un piccolo segreto: Il nonno ti pensa

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sempre e ti vuole un bene dell'anima... Sei rimasta nel suo cuore... Be', ora ti devo lasciare, altrimenti il nonno si arrabbia se arrivo tardi a casa per il pranzo. Ah, dimenticavo! Sai nonna è veramente cambiato in questi giorni e non va più per le osterie a bere. Ma senz'altro tu già lo sai, vero nonna? Comunque quando tornerò a Torino, abbi un occhio di riguardo, gli manchi tanto... Ciao Nonna, un bacio! > Marco s'era girato e s'incamminò lungo il viale più sereno. Poi mentre percorreva il lungolago si stava godendo con gioia l'amenità del luogo, era diventata una parte integra della sua felicità. In quei mesi di vacanza trascorsi in quel posto in compagnia dei nonni acquisiti, l'avevano reso il più felice del mondo. Da sentirsi ancora ragazzino come allora, pieno d'idee belle e brutte, dove evocavano i ricordi di una infanzia ricca di fantasie in quei desideri mai soddisfatti. Poi si trovò fermo accanto al parapetto a guardare il castello la di fronte, a poche centinaia di metri dalla riva, abbarbicato fortemente alla roccia dell'isolotto e più in parte l'altra piccola isola con ancora sopra e ben saldo il quadrato torrione che ha resistito alle aspre guerre, al fianco del castello padronale. Marco stava pensando a quante guerre e misteri avevano visto sfilare nel tempo quelle vestigia mura, ormai nude e spoglie. Incutendo a chi l'osservava ancora un certo timore. Marco si trovò nel constatare ch'era diventata una curiosa ma altrettanta tormentata ossessione quel racconto del nonno, l'aveva in parte stregato e ammagliato, non voleva ammettere ma era vero. Gli sembrava che il vetusto maniero racconti la sua storia, come un libro aperto, ma al tempo stesso un'inesplicabile e impenetrabile labirinto oscuro nasconda ancora. Marco non capiva bene il perché, ma si sentiva addosso un'inspiegabile fremito misterioso, un brivido gelido che percorreva il suo corpo con angoscia. Mentre i racconti di storia ancestrale si facevano strada nella sua memoria e ripensò alla ricostruzione del castello che risaliva al lontano 1500, voluta dal Signore di Cannobbio Ludovico Borromeo, col nome di “Vitaliana” Ricordando Marco che qualcosa l'aveva appreso dai pochi libri trovati nella biblioteca dell'ospizio di Susa. Incuriosito dopo la bellissima vacanza trascorsa a Cannero, non poteva farne a meno e voleva saperne di più di quel posto. E ora lì di fronte ha rivivere mentalmente, in quel sogno ad occhi aperti, rivedere quei fatti orripilanti accaduti nel passato. Erano stati assediati da 500 soldati dei Visconti e resistettero per ben due anni, prima di capitolare e la capitolazione si trasformò in una carneficina. Forse fu quel massacro, penso Marco, che incominciarono i rumori di battaglie, il cozzare delle

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loro armi e le apparizioni notturne. Al rammentare quasi visivamente quegli avvenimenti, si sentiva raggelare il sangue nelle vene, mentre fissava il castello cupo e silenzioso. Poi si ricordò che gli stessi sintomi li aveva avuto già a quel tempo delle sue vacanze e precisamente una sera di festa che si erano fermi a guardare i fuochi d'artificio esplosi dall'altra sponda del Lago Maggiore a Luino. Tra un fuoco e un'altro Marco si trovò a guardare il castello nella notte, ed all'istante ebbe un fremito di paura nel supporrere che qualcuno nel castello arda vivo, tentò di pensare che gli scoppi del fuochi colorati gli avessero confuso la vista, dai bagliori sprigionati attraverso le inferiate di una finestra, situata di fronte ad un'apertura dall'altro lato del castello e si apriva sul lago, in direzione dei fuochi di artificio, da sembrare veritiera l'illusione. Ma la paura era stata tanta, catturata dal suo subconscio da sembrare viva la persona che si dibatteva tra le fiamme. Con un'angoscia che l'assaliva e gli bloccava il respiro, da non capire bene il perché di tale affanno? Senza volerlo comunicare ai nonni, lì al suo fianco tranquilli a guardare l'evento folcloristico. Soltanto in quel momento, dopo 13 anni, Marco incominciava a comprendere il perché di quella sua innata sensazione, o forse, lui era un po' chiaroveggente? Ed aveva già visto il passata nella sua infanzia, ora che sapeva la storia. Ma a suo parere non gli risultava avesse certi poteri? Poi un dubbio l'assalì d'impulso, pensando che lui potesse centrare in qualcosa in quella storia? Impossibile, sebbene nel suo subconscio c'era rimasto qualcos'altro abbarbicato a quella drammatica vicenda. Come un bel mosaico sparpagliato, dove il nonno Gep centrava e cercava di ricomporrere e spiegare a ognuno il quesito centenario. Forse per Marco, il suo coinvolgimento agli eventi passati, si era lasciato travolgere da quella bellissima storia d'amore nata tra quelle mura ormai corrose dal tempo. Di un amore contrastato con la forza e l'inganno. Marco si immaginava di vedere tutti gli eventi come in un bel film impiantato nella storia medioevale, dove nasceva l'amore della contessina per il suo giovane scudiero e si trovarono coinvolti senza volerlo attratti l'uno per l'altra e follemente innamorati. E quella fantastica storia si trova inconsciamente coinvolto anche Marco, in qualcosa che tocca i suoi sentimenti nel profondo, capendo al tempo tesso che non era ancora preparato ad essere un esperto uomo di mondo. Lui giovane ragazzo inesperto e non ancora pronto per affrontare il mondo variegato che lo circonda al momento. Lui,

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viveva ancora, avvolto tra sogno e la sua vasta fantasia che lo accompagnava fin dalla sua giovane infanzia. Marco immaginava la difficoltà in quell'epoca medioevale, vivere quell'amore segreto e nascosto, rubato fra sguardi e sospiri in quei meandri oscuri del castello subdolo e complice dei loro incontri. Dovevano essere eterne le ore rubate dai propri doveri di scudiero, nell'attesa per un fugace incontro amoroso, tra passione carnale e coraggio a sfidare il destino crudele. Il loro amore sembrava così forte e tenace, da superare ogni cosa che si poteva frapporre fra loro. Furono innamorati incauti e l'amore oscurava la prudenza e non si accorsero di essere spiati da ruffiani ostili e finti amici, pieni di lusinghe velenose, dove l'invidia era ben radicata e mai morta. Pronta a colpire drasticamente. Quell'amore sbocciato per caso dai loro cuori innocenti, fu fatale e alla fine dovettero pagare lo scotto per l'incauto sentimento e il prezzo da pagare fu troppo alto, per l'avventato scudiero che pagò con la decapitazione prima e la doppia morte sul rogo, il suo folle amore per la bellissima Contessina Mafalda e non valse il sacrificio della contessina ad accettare un matrimonio forzato per salvare l'amante innamorato. E per quell'amore immenso e perduto ormai, preferì anch'essa porrere fine alla sua vita buttandosi nel lago dall'alto della torre del castello, piuttosto che vivere sottomessa tra inganni e maldicenze senza il suo amato scudiero Marcucci Darvino. Marco si stupì da solo per la sua forte immaginazione a raccontarsi da solo la funesta storia, pensando che fu veramente grande quell'amore espressa a lettere cubitali dai giovani amanti. Quell'energia sprigionata dai loro cuori aveva superava ogni confine, all'inverosimile. Anche nel cuore di Marco, che provava un grande dispiacere per l'inesorabile fine. Alla fine Marco si ravvede, mentre si guarda attorno, temendo di essere osservato per il suo modo strano di comportasi, quasi se fosse lui stesso partecipe hai fatti. Poi scacciò quei funesti presagi e si avviò deciso verso casa.

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Capitolo Quinto

Quella seconda domenica di Maggio, Marco aveva deciso che avrebbe portato fuori a pranzo il nonno per sdebitarsi dell'ospitalità che gli offriva col cuore. Perciò dopo aver accettato il consiglio del nonno in quale ristorante o trattoria recarsi, “Si mangia ben dall'amico Baffo” spiegò nonno Gep al nipote acquisito e così fecero al ritorno dalla visita fatta alla nonna al cimitero. Si sistemarono sul terrazzo della trattoria “El Baffo” e il servizio famigliare lì stupì entrambi. Effettivamente avevano pranzato a sazietà e alla fine nonno Gep gli confidò che sarebbe rimasto lì, nel primo pomeriggio a farsi una bella partita a scopa con l'amico cuoco e più tardi sarebbe tornato a casa ha riposare. Marco invece pensò di andare ad un bar per giovinastri che aveva adocchiato al suo arrivo a Cannero e magari farsi una partita al bigliardo. E senza volerlo il gruppetto di bontemponi lo invitarono a provare a chi avrebbe pagato poi alla fine la birretta e tra una partita e un'altra si fece sera. Marco si era trovato abbastanza soddisfatto dei suoi buoni punteggi ma senza esagerare, pagando una parte della sua quota, lasciando un po' di allori agli altri giocatori, non voleva creare divergenze al primo incontro e alla fine l'asciò la rumorosa compagnia. Ormai a quell'ora i ragazzi raggiunta da qualche loro ragazza, si stavano inventando e cambiando il sistema di gareggiare, ma con bottigliette di birra, per essere il più bravo e far contento il barista per la quantità di bottiglie svuotate. E quella nuova disputa non era certamente di suo gusto, capendo che ad ubriacarsi non si arrivava più a nulla dopo. Oltretutto qualche ragazza disapprovava la sfida, ma a malincuore accettavano la gagliarda bagarra surriscaldata. Marco stava camminando svogliato con la testa fra le nuvole, mentre tra i monti oltre il lago, la luna stava facendo capolino. Il giovane sognatore si stava dilungando in quella passeggiata confidenziale sul lungolago di Cannero Riviera. Dal campanile stavano rintoccando le ore 23.00 e il suo pensiero era scivolato al Nonno Gep a casa, immaginando che ha quell'ora stava già russando più che bene. Era una notte fresca e piacevole e la sua scarpinata lo portò senza saperlo verso la rimessa delle barche del nonno e si era messo a sedere su di una barca a farsi dondolare dalle piccole onde del lago, mentre fissava

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estasiato il cielo stellato e la luna nascosta dietro al capanno si rifletteva sull'acqua del lago. Il suo frastagliato pensiero era tornato ha rivangare quei fatti antichi racchiusi in quel castello e Marco non poteva proprio farne a meno. Vi era qualcosa che l'attraeva fortemente tra quelle mura, pensando se era soltanto curiosità o cos'altro che l'affascinava? Nell'immaginarsi di vedersi apparire da un momento all'altro la contessina Mafalda, tanto era la sua fissata idea a viaggiava velocemente, travolta dalla fantastica. Poi di colpo pensò che cosa poteva centrare in tutto quel groviglio di quesiti, quel povero Franz, il militare tedesco morto in guerra, compagno del nonno Gep? Ma ha quel punto era più che sicuro che centrava qualcosa e quale fosse, ancora non lo sapeva, ma doveva scoprirlo? Quello era il dilemma che si stava ponendo Marco a quell'ora della notte. Quella complice sensazione premonitrice che sentiva dentro di sé, lo incuriosiva tanto e l'infastidiva al tempo stesso, quasi ad un malessere inspiegabile che si sentiva addosso, in quella convinzione sentita che l'avvolgeva. E quando la luna apparve oltre il tetto del capanno sbirciando sfacciatamente il nottambulo, forse, per quella casuale sistemazione. Marco gli sembrava che l'osservi incuriosita e stupita. Ed ecco che di punto in bianco gli balenò l'idea di farsi una capatina sull'isoletta la di fronte, perciò senza indugi decise all'istante di soddisfare la sua morbosa curiosità. E senza accorgersene Marco si trovò ad approdare sull'isola ghiaiosa, sotto le mura del castello. Legò la barca del nonno al vecchi palo e depositò la mantella e il cappellaccio del nonno nella barca, lo stava facendo sudare e s'incamminò deciso verso la stretta apertura nelle mura del castello fatiscente. Mentre pensava e gli sembrava così strano ad essere così sicuro in quel suo modo di muoversi al buio, come se fosse di casa in quel posto. Sapendo più che bene che non aveva mai messo piede su quell'isola prima di quel momento. Si muoveva più che mai tranquillo senza un minimo timore di chissà cosa avrebbe trovato lì al buio. Sentiva i suoi passi risuonare sul vecchio lastricato e la sua mente era assorbita dall'ambiente non per niente sconosciuta, gli sembrava di essere guidato da qualcosa o da qualcuno, era soltanto una piccola sensazione ma sentita, si spostava così deciso da conoscere ogni anfratto del maniero. Poi si trovò sul camminamento di ronda dal lastricato pieno di sterpaglia e muschio, percorse quei pochi metri e si portò sullo spalto merlato. Si soffermò a guardare verso la cittadina di Cannero Riviera, illuminata da simpatici

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lampioni arancioni. Il scenario era piacevole da osservare dalla parte del lago, dove suoni e rumori giungevano un po' ovattati dalla breve distanza dal castello alla cittadina che si apprestava ad addormentarsi. Marco per un momento aveva lasciato in disparte i testardi pensieri. Poi un leggero rumore lo fece voltare e di botto si trovò accanto una giovane donna sorridente e prima ancora che potesse aprire bocca per la sorpresa, la donna o ragazza proruppe decisa nel dire al giovane con una soave voce femminile: < Tu non sei nato da queste parti, per venire qui di notte? Tutti hanno paura nel fare le escursioni di notte nel castello, temono d'incontrare i fantasmi, oltre hai sortilegi malefici. > Mentre si avvicinava tranquilla e Marco, in un primo momento si era trovato sprovveduto a tirar fuori una risposta adeguata e pronta al caso. Quella sconvolgente creatura l'aveva destabilizzato, mentre pensava rapidamente che non era la contessina, ma una giovane che aveva l'abitudine di girovagare nottetempo. Poi sbottò a dire: < Hai perfettamente ragione. Io vengo da Torino ed è la prima volta che metto i piedi qua dentro. > Mentre sbirciava la giovane dal sorriso candido e innocente. Poi quella luna, là dall'alto, era veramente intrigante da far risaltare diversamente belli i lineamenti della donna. Mentre lei rispondeva pacatamente allo straniero: < Lo capito subito che sei un tipo curioso appena sei approdato. Ma dimmi la verità, tu ci sei già stato qui di giorno? Dal modo che sai muoverti al buio, conosci molto bene questo posto? > Chiese incuriosita a sua volta la donna. < Se dico di no, tu non ci credi, vero? > Espose Marco con fare sornione, chissà perché, ma quella giovane gli piaceva dal suo modo spigliato e tranquilla, senza un po' di paura ad incontrare uno sconosciuto a quell'ora di notte. Mentre lei, dopo un attimo di riflessione riprese a dire al nottambulo straniero: < Invece sì, ci credo! Tu non sei il tipo che a mezzanotte va in giro a raccontare frottole. > Mentre le sfuggiva un sorriso e lui di rimando proseguiva a dire: < Ma tu, vieni sovente a girovagare tra queste mura centenarie? E non hai paura d'incontrare il fantasma della Contessina Mafalda? Così dicono in città di questo maniero in rovina... > Mentre indicava la cittadina rivierasca sulla sponda del lago, là di fronte a loro. Per riprendere a dire:< Dell'apparizione avvenuta molti anni fa? Tutti ne parlano con fare burlone per chi la vista apparire... > Spiegò tranquillo. < Sì, hai più che ragione! Tutti ne parlano del garibaldino spustà, ma nessuno si prende la briga di venire a controllare di notte. > Mentre si era seduta sopra al muro di protezione, < Mi piace venire qui di notte è così

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tranquillo il posto senza turisti, che di giorno girano incuriositi tra queste mura dai risvolti oscuri. > Espose lei con enfasi. < Allora, tu non temi eventuali incontri? > Riformulò la domanda evasiva della giovane, mentre l'osservava incuriosito dalla bellezza che esponeva così soavemente. Aveva i lunghi capelli neri che le coprivano le spalle seminude e ornavano il suo dolce viso, dai lineamenti fini, dove s'intravvedevano gli occhi scuri della giovane. Così sembrava a Marco dalla poca luce che giungeva dall'alto dalla luna piena e luminosa quella notte. Comunque erano belli e riflettevano la gioia di vivere. Quella era la supposizione che si era prefisso Marco, mentre il suo pensiero era un continuo arzigogolarsi le meningi nel capire quale segni del destino formavano quell'incontro non per nulla casuale. Forse lei, la bella giovane era un nuovo messaggero della povera contessina morta tragicamente? Poi il suo rimuginare veniva interrotto dalla voce della giovane: < Ma sei sempre così cupo e pensieroso? > Le chiese di botto la giovane alzando leggermente il capo, mostrando un meraviglioso sorriso e guarda caso la luce della luna faceva brillare la perfetta dentatura della giovane. Marco fu colpito da tutti quei segni e fatti messi assieme. Pensando se veramente tutto centrava in quel posto divenuto magico e misterioso. Ma comunque era assodato la presenza veritiera della giovane. Lei non era un fantasma? Non poteva essere assoggettata a qualcosa che fluttui nell'aria, ma una testarda ragazza che faceva a sua volta le escursioni notturne al suo pari. Erano entrambi accomunati da idee strambe, non espresse da chiunque. Forse dal cuore? Quello lo doveva ammettere Marco. Poi rispose alla giovane in attesa: < E' solamente che stavo pensando alla comune nostra idea a venire qui di notte, per scoprire se sono esatte le nostre fantasie.. Ho forse ragione di pensarlo. Ho mi sbaglio a dirlo? > < Beh, sì! Effettivamente vengo qui per trovare, più precisamente immaginare la vita vissuta qua dentro a quei tempi lontani. E solamente di notte una può sognare ad occhi aperti e per i fantasmi? B' oh! Forse ci saranno stati, ma non ha importanza è il ricordare il passato che mi affascina. Comprendi! Mi piace girovagare qua dentro, sapendo che nessun'altra disturbi il riposo di questo posto... > Si era fermata e si girò per osservare la cittadina sulla sponda opposta, quasi ha intuire qualcosa, proprio mentre rintoccavano le ore dal campanile, nell'avvisare i nottambuli che la mezzanotte era scoccata e di botto lei si scusò con il giovane: < Scusami ma devo proprio andare via, mi aspettano, sono

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veramente in ritardo! > Voltandosi decisa per andarsene via con premura, mentre Marco la rincorreva con la voce preoccupato: < Per favore, aspetta? Ascolta un momento! Ti posso rivedere ancora? Io mi chiamo Marco... > Mentre lei aveva già raggiunto le scale e gli rispondeva: < Lo so come ti chiami, sei il nipote del garibaldino! Aspettami domani pomeriggio la su quel piccolo scoglio, a pochi metri da qui, con quell'alberello sopra a cespuglio, verrò verso le sedici. Aspettami! > Urlò la giovane e scomparve dalla sua vista. Marco la rincorse deciso, voleva chiederle almeno il nome, ma appena fuori dal castello la vide già ad un centinaio di metri dall'isola che remava con decisione e dopo un momento sparì dalla sua vista. Marco era rimasto abbastanza deluso, ma al tempo stesso eccitato da tale incontro inaspettato. Mentre si era seduto su di un masso e pensava che prima al suo arrivo, non aveva visto e sentito nessun rumore, nemmeno i rumori dei remi che sciabordano sull'acqua e trovarsela lì di fronte, poi? Soltanto un gran stupore provò oltre la sorpresa. Il rintoccare dell'una di notte lo risvegliò da quel torpore che si era lasciato avvolgere da quel lungo meditare sul come e sul perché, tutto stava capitando così alacremente attorno ad esso, capendo che quella giovane non era capitata lì per caso, ma era senz'altro un segno del destino. Ma Quale? Si domandò sconfortato, mentre spingeva la barca del nonno verso l'acqua e vi saltò dentro accigliato per la confusione che si stava arzigogolando il cervello. Troppe cose si stavano accavallando tra loro e a quel punto era difficile de decodificare serenamente il punto focale.

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Capitolo Sesto

Marco stava attraccando alla rimessa del nonno, quando la sua voce baritonale l'aggredì sogghignando: < Sei stato sull'isola, dentro al castello. Vero? > Espose il nonno mentre si grattava il capo. Marco si voltò e lo vide lì seduto sulla panca di legno a ridosso della rimessa, con la sua pipa in mano. Non l'aveva notato prima, il suoi pensieri erano altrove, poi rispose con una falsa serietà: < Sì, nonno! Sono andato al castello, ero curioso... Hai ragione! Dovevo chiederti il permesso per prendere la tua barca. Scusami ancora! > Mentre prendeva la mantella e il cappellaccio per rimetterla al suo posto, < Non c'è nulla da scusarsi, eri curioso e l'hai fatto. Ma ti sei messo quella brutta mantella cerata? Potevi spaventare qualche nottambulo pescatore. Senz'altro avrai fatto fuggire anche i fantasmi a quel modo di presentarti, ragazzo mio. > Lo motteggiò ridendo di gusto. < Tu mi hai raccontato che più nessuno va di notte al castello. Hanno tutti paura di vedere il fantasma. Vero? > Mentre faceva una pausa e il nonno lo fissava in attesa di qualcos'altro. < Sai una cosa nonno Gep! Per la prima volta che ci vado sull'isola... Guarda caso nonno, non ero solo? Ho conosciuto una ragazza che va sovente al castello di notte... Così mi ha detto e figurati sa persino che sono tuo nipote. Il nipote del garibaldino. > Espose alquanto e ancora sorpreso. < Cosa vai dicendo? La nel castello c'è una fanciulla che gironzola? Questa poi mi è nuova! Mai visto ho sentito qualcuno che parlava di aver visto una giovane girovagare tra le mura del castello. Bojafaust! > < Be', io le ho parlato. Anzi, è stata lei che mi ha parlato per prima e mi ha spiegato che gli piace andare nel castello di notte quando non c'è nessuno attorno. Sembrava veramente a suo agio. > < Beh! Allora chi è? E come si chiama? > Chiese il nonno sorpreso. < Questo è il guaio, non ho fatto in tempo a chiederle il nome, al rintocco della mezzanotte è dovuta scappare di volata, dicendomi che l'aspettavano. Forse a casa? Ma oggi alle quattro la vedrò... > Spiegò Marco pensieroso. Mentre il nonno ancora di più incuriosito domandava su quell'incontro notturno e strano: < Ma proprio a mezzanotte se ne è andata via? > Mugugno scuotendo il capo. < Allora è un fantasma, quella ragazza

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che hai visto. Solo i fantasmi appaiono e spariscono al rintocco della mezzanotte. Sono cose dette e confermate fin dai tempi antichi. Credimi! Bojafaust! Allora ci sono altri fantasmi oltre la contessina Mafalda... Aveva un vestito bianco e lungo addosso, con dei lunghi capelli neri...? > Domandò impensierito nonno Gep, mentre si passava la mano sulla barba. < Del vestito non ho fatto caso, ma i capelli sì, erano neri, questo ne sono sicuro. Purtroppo il nome non ho avuto tempo per chiederlo. Spero oggi di saper qualcos'altro di lei. Sai nonno era così bella e sorridente. Poi così spigliata e decisa. Mi ha colpito il suo modo gaio. Non so perché, ma mi piacerebbe poterla rivedere e dialogare con lei. Mi sembra diversa dalla altre ragazze, amiche che ho conosciuto... > Si fermò a pensare. < Sarà magari una villeggiante, parente di qualche famiglia che hanno una casa sulla costa, ed è per questo che sanno chi sono? Non credi ragazzo mio. > Formulò il nonno quella supposizione. < Ecco! Sai una cosa un po' strana che ho notato... La barca che aveva e si era allontanata, era una barca? Vecchia,insomma come quelle del romanzo dei “i promessi sposi”. Quelle barche a conca con delle centine per sorreggere la tenda. Mi sono spiegato, nonno. > < Qui è da molti anni che non si usano più quel tipo di barche, Sono sparite tutte. Ameno ché qualcuno l'abbia ancora come ricordo e racchiusa nella propria darsena. Solo così potrebbe esserci ancora. > < Si hai più che ragione Nonno, è inutile supporrere, oggi la vedrò e saprò chi è. Poi penso proprio che non m'importa da dove viene, l'importante è che ci sia all'appuntamento, mi seccherebbe che non venga all'incontro. Mi piacerebbe conoscerla di più, veramente! > Provò a dire ed esporrere la sua gioia: < Ti devo confidare una cosa nonno Gep. Io finora non ho mai avuto una mia ragazza, insomma tutta mia. E con lei mi piacerebbe che si crei una storia, sì mi piacerebbe veramente tanto! Comprendi nonno? > Espose Marco mentre si strofinava le mani. < Ahi, ahi, ahi! Ragazzo mio sei belle che cotto! Ti sei preso una bella cantonata... Devi fare attenzione hai miraggi, possono far male! > < Non credo di sbagliarmi, vedremo... > Terminò a metà discorso, il suo pensiero era tornato al ricordo della giovane sconosciuta. Poi deciso, spronò il nonno ad alzarsi: < Allora andiamo a casa nonno! La mia avventura al castello lo terminata per questa notte. > < Caro tusan, ragazzo mio, mi sa che l'avventura è appena iniziata... Misteri, misteri, si profilano all'orizzonte? > Sbottò sogghignando.

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Capitolo Settimo

Marco era così trepidante nell'attesa, aspettando l'arrivo della ragazza. Aveva approdato sul piccolo isolotto a pochi metri dal castello e il piccolo alberello abbarbicato alla roccia gli faceva ombra dal forte sole di quel giorno, non vi era nemmeno una bava di vento e il lago attorno era liscio come l'olio. Nell'attesa si era portato un vecchio libro della nonna, per non farsi vedere in apprensione, ma gli era difficile leggere qualcosa, solo il titolo “Magalì” gli restò in mente. I suoi occhi erano continuamente attenti a scrutare il lago in ogni direzione, nell'attesa. Dal campanile di Cannero stavano rintoccando le ore sedici e Marco si stava preoccupando, per il mancato appuntamento. Pensando che magari i suoi parenti, non gli avevano permesso di uscire, avendo fatto tardi la sera prima? Troppe domande si stava rimuginando in testa, mentre si ricontrollava l'orologio al polso, vedendo che erano ormai le sedici e venti e lei non la si vedeva arrivare. “Peccato!” Brontolò tra sé dispiaciuto per farsi coraggio. < Ciao, Mark! > La voce soave di lei risuonò alle sue spalle. < E' da molto che mi aspetti? > le domandò tranquilla. < No!... Be', sì! Effettivamente ero preoccupato perché non arrivavi. Temevo di non vederti più! > Rispose con risentimento, mentre si era girato ad osservarla confuso. < Sono approdata dall'altro lato. Prima ero al largo a godere di questo bel sole estivo. Scusami il ritardo! > Espose lei sorridendo. < No, no! Va tutto bene, ora che sei qui! Sono io, un po' in apprensione, forse per il semplice fatto che non ci conosciamo ancora. E scusami se questa notte ti ho rincorsa, volevo chiederti e sapere almeno il tuo nome? > Si precipitò a dire Marco. < Alda Ruscati! Mi chiamo e tu, solo Mark? > < Marco Darwin... Piacere Alda! > Mentre porgeva la mano e lei rispondeva con un bel sorriso dalle labbra leggermente tremanti. Marco finalmente senti il tepore di quella delicata mano tra la sua e non l'avrebbe più lasciata andare e a sua volta borbottava un po' confuso: < Senz'altro quelli dell'istituto di Susa me lo hanno messo il nome e cognome. Non penso i genitori che mi hanno messo al mondo che non conosco e nemmeno mai visti o sentiti. Non so, se sono ancora vivi o morti. Io ho

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tentato di sapere qualcosa, ma nulla da fare. Poi se mi hanno abbandonato, quale il motivo fosse è ormai cosa del passato. Scusami la retorica del ragazzo abbandonato. Pensa un po', sei la prima persona che riesco a raccontare certe cose. Ma tralasciamo le cose del passato, invece devo dire che il tuo nome si abbina al tuo dolce viso. Alda veniva già usato ai tempi dei longobardi... > Espose quella battuta un po' ridicola era a corto di altre parole per la confusione di trovarsela di fronte. < Qualcosa l'avevo già sentito dire... Ma racconta pure, mi piace ascoltare. Poi espresso da un nobile cavaliere notturno... > E le scappò una gaia risata. Mentre Marco felice per la gioiosa presenza si riprese dal suo farfugliare di stramberie e le chiedeva ancor di più incuriosito: < Abiti qua vicino? > Gli domandò Marco, mentre la osservava, ancora ferma in piedi sulla roccia illuminata dal sole pomeridiano. Era veramente bella e affascinante, il vestito bianco che indossava si rifletteva al sole ancora alto in cielo e le scendeva liscio e signorile fin sotto il ginocchio, da far risaltare i suoi lunghi capelli corvini e gli occhi scuri e intensi, che si rispecchiavano sulla superficie del lago Maggiore. Dalla sua carnagione rosea e vellutata traspirava la giovinezza dai modi gentili. Poi si mosse e il scialle di pizzo chiaro che portava sulle spalle scivolò leggermente giù a lasciare scoperto una buona parte delle spalle e il seno ancora acerbo, ma prorompente. Era veramente bella e Marco si stava crogiolando di piacere a quella visone e si sentiva così attratto e ammaliato da quel bagliore così tangibile che la giovane emanava. Sembrava diafana in quel fluttuare che sprigionava la sua presenza complice il riflesso del lago sulla sua persona. Ma al tempo stesso gli ritornavano in mente le parole del nonno. “E' un fantasma se scappa via a mezzanotte”. Impossibile? Diagnosticò sorpreso e pensieroso fissando la prorompente presenza, che si stava sistemando il scialle e si metteva seduta al suo fianco e le chiedeva a sua volta: < Ma sei sempre così pensieroso Mark? > Lo motteggiò Alda sorridendo. < Scusami ero in sovrappensiero... > Rispose confuso. < Stai pensando, perché vado sempre di corsa? Ma, come vedi, mantengo sempre la parola data. Ora sono qui in tua compagnia e mi fa piacere. Tu sei diverso dai compagni e amici che conoscevo... Ed è per questo che accetto volentieri la tua presenza, giovane Mark! > < Stavo ripensando, che se non saresti venuta oggi e non poterti vedere, ero un poco preoccupato e pensavo che... > < Pensavi che ti avrei fatto un tiro mancino, vero? >

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< Be', non proprio. E questo incontro è più che importante per me, ma ora sei qui e tutto cambia... > < Cosa cambia o mio bel cavaliere diurno? > Sbottò sulla spiritosa frase che pronunciava alzando leggermente il braccio. < Molte cose. > Rispose sorridendo, poi dicendole ancora: < Posso essere sincero con te, Alda? Ma non fraintendermi... > Gli spiegò. < Non capisco cosa? Ma guai a te, se non fosse così! La sincerità fa parte del nostro destino. Tutto è già stato scritto e noi dobbiamo seguire i segni tracciati dagli eventi. Ecco perché la sincerità è sopra ogni cosa. Messer Mark! > Espose lei, mentre scrutava il biondo giovane che aveva di fronte e dai suoi occhi verdi traspiravano sincerità e amore in assoluto e quella sua sensazione era più che sentita. Pensando se era lui il prescelto. Marco la fissò stupito e deglutì la saliva parecchie volte prima di poter parlare, quelle parole appena sentite l'avevano scombussolato un poco. Sembravano parole esposte da altri, ma pronunciate da Alda e il tutto era un po' difficile da collegare. Poi tralasciò quei quesiti e proseguì a spiegare la sua gioia: < Vedi Alda... io... insomma, noi ci conosciamo appena ma, io sento già qualcosa per te e a rimanere qui al tuo fianco mi affascina e mi fa felice, tanto felice, che nemmeno puoi immaginare quanto... > < Si che lo posso immaginare! Perché è eguale al mio stesso desiderio recondito. > Confermò lei sorridendo, mentre lui tentava di esprimere tutto il suo affetto che provava a dire ancora: < Forse per noi oggi è apparso nel firmamento la nostra buona stella e io sono grato ad essa per avermi fatto incontrare te, Alda. Tu mi comprendi, vero ? > < Sì, certamente. Ti capisco Messer Mark. E apprezzo i tuoi sentimenti per me. Sono lusingata e felice di sentirtelo dire. Il destino ci ha uniti. Certo sarà arduo il percorso, ma lotteremo...> < Sì, lotteremo! Ma ciò che voglio dirti Alda... Mi sono innamorato perdutamente di te! > Espresse il tutto con il cuore in mano. Lei sorrise e restò muta, nell'impossibilità di parlare. Per un buon momento si era fatto un silenzio tra loro, solo il rumore dello sciabordare dell'acqua che lambiva la roccia dell'isolotto. Mentre i loro sguardi eccitati si intrecciavano affannosamente a capire qual'era il desiderio più forte dell'altro. Si poteva sentire i loro respiri irregolare e pieni d'affanno. Marco era ormai rapito da quella dolce presenza, del passato o del presente cosa importava, l'importante è che era lì in quel preciso momento, mentre osservava quel roseo petto della fanciulla alzarsi e abbassarsi armonicamente eccitata.

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Constatando che l'eguale il suo stesso impeto che imperversava dentro di se e sentiva qualcosa che non aveva mai provato prima. Qualcosa che gli attanagliava il petto, come se il dolore che si provava per un prolungato digiuno. Poi si ricordò che non aveva mangiato nulla dall'eccitazione nell'attesa all'incontro. Ma al tempo stesso sentiva che era diverso e sconvolgente e aumentava quell'opprimente dolore, forse di gioia, che gli percorreva per tutto il corpo, ogni qualvolta guardava la giovane. Poi Marco cercò di sviare quei pensieri audaci, nel dirle qualcosa per rompere quel prolungato silenzio che si era formato tra loro: < Anche tu stai provando qualcosa nel petto, un dolore nuovo e imprecisato? Io non so spiegarmi questo improvviso senso di affanno, ansia, gioia e ... > < Sinceramente non lo so, se è eguale. > Rispose Alda pensierosa, poi le prospettò la sua idea: < Vedi, la mia sensazione è senz'altro eguale alla tua. Anche io ho provato e sto provando un vago malessere e ho capito subito fino dalla prima volta, insomma ieri notte, quando tu sei apparso sugli spalti del castello. > Additando il maniero li vicino. < Ho pensato subito che eri stato inviato dal destino, designato dal fato e... > Ma viene interrotta dal giovane un po' dubbioso, nel chiedere: < Perdona la mia curiosità e perché proprio il fato e cosa centra? Ho forse, non è per caso magia tutto questo? E magari la realtà e composta di varie circostanze intersecate in questa nuova nostra situazione da sembrare casuale, oppure no? Faccio veramente fatica a collegare tutti questi piccoli e insignificanti tasselli. Ma resta il fatto che per la prima volta nella mia vita mi sono innamorato perdutamente. Questo almeno lo comprendiamo, penso? > < Penso e hai in parte ragione Mark, di dubitare, per il semplice fatto che mi sono lasciata coinvolgere dai fatti e dal tempo che avvolge questo castello e le mie sensazioni ed emozioni vengono stravolte dal passato, da pensare che anch'io ne faccia parte... > Mentre afferrava la mano del giovane e se l'avvicinava a dire in un sussurro a fior di labbra. Per Marco quella ravvicinata visione era come ricevere un dardo infuocato nel cuore da sconvolgerlo e farlo sudare copiosamente. Era sul punto di stringerla tra le braccia e baciarla, ma si trattenne a stento, non voleva mancarle di rispetto, sebbene il desiderio era tanto. Mentre lei prosegue a spiegare, dall'apparenza tranquilla, facendo finta di non capire quell'improvviso impulso del giovane irruente, frenando lo stesso impeto che le scombussolava in petto: < Questo luogo è senz'altro magico. Ci siamo incontrati per caso, ma io non credo? Credo che il nostro

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destino sta iniziando proprio qui su questo lago e tutto ciò che lo circonda. Tu non ci credi o messer Mark ? > Mentre con la mano del giovane ancora stretta tra le sue, l'accarezzava piano, piano con affetto. < Già, penso proprio che hai ragione! In questo posto la magia è di casa. Ma mi piacerebbe sapere cosa centriamo noi adesso, ho facciamo parte del passato? Persino le tue parole hanno qualcosa già esposte nel passato? > Provò a dire Marco, crucciando la fronte a pensare. Quella giovane gli aveva sconvolto e stregato il cuore. Poi l'impeto lo soverchiò e si trovarono stretti l'una all'altro, mentre le loro labbra vergini si univano in un candido bacio mai provato prima d'allora. E tutto si trasformò in un sol momento, l'amore aveva superato ogni pensiero. Le loro bocche si contendevano i baci pieni di gioia e felicità, qualcosa che stavano scoprendo minuto per minuto, attimo dopo attimo in quel sublime bacio e speravano coscienti che duri in eterno. Poi come d'improvviso si resero conto di ciò che stava succedendo e si staccarono stupiti ma felici per quel primo bacio. Fu Marco per primo a parlare: < Perdona l'impeto! Ma non ho saputo resistere... Io mi sono innamorato e ti amo sinceramente tanto. > Si sfogò a dire dell'impulso appena esploso. < Sst! > Riusci solamente a dire, mentre la voce le si spezzo in gola, stringendo le labbra incapace di parlare, poi mormorò ancora trasognata da quella elettrizzante scoperta fatta a due. < Ti prego non dire altro, anch'io ti amo! Non avrei voluto che succeda ancora, l'eguale percorso travagliato del passato. Ma è successo un'altra volta. Non doveva succedere ancora... No non doveva succedere! Sono stata debole a lasciarmi travolgere dai sentimenti. Lo sapevo! Non doveva capitare? > < Cosa, non doveva capitare? > Afferrando la giovane per le spalle, mentre i loro sguardi s'incrociavano con insistenza. Poi d'impeto Alda sbottò decisa: < Vorrà dire che lotteremo con tutte le nostre forze. Vero, mio prode cavaliere? Lotteremo! > < Certo, certo! Lotteremo... con... > Rispose Marco, più che mai confuso. < Lotteremo contro chi? Stai pensando hai tuoi parenti che non approverebbero questo nostro amore, appena nato e già stanno subentrando invalicabili problemi? Io non vedo cosa possono dire se ancora non mi conoscono? > Sbottò confuso e sorpreso da inghippi non ancora nati? Marco era veramente sconcertato, ma testardo al tempo stesso. Mentre lei lo acquietava nel dire remissiva: < Ti prego, non affrettare gli eventi! Io

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sono sicura che tutto andrà a posto e il nostro amore supererà ogni avversità. Ti amo immensamente Mark! Abbi fiducia e vinceremo! > < Ma contro chi? Vuoi spiegarti meglio Alda, per favore? > < Ti spiegherò tutto! Ma non ora. Adesso devo proprio andare via. Mi dispiace, sono in ritardo! > Spiegò all'improvviso. < Ma, come? Sei appena arrivata e di già te ne vuoi scappare. Allora hai veramente dei parenti crudeli e dittatori, vero? > < Insomma una via di mezzo, ma non dubitare ci vediamo ancora. Ora so per certo che mi ami e questo mi basta per superare ogni problema o mio bel cavaliere Mark! > < E ridaglie coi cavalieri del passato. Ti sei fatta travolgere dalla storia di quel castello, vero? Comunque va benissimo, da questo momento sono il tuo scudiero o mia dolce Alda. > Marco si trovò stupito da solo per quelle parole che stavano uscendo dalla sua bocca, cose che non aveva minimamente pensato prima, quello era il guaio? Mentre lei tranquilla rispondeva: < Mi dispiace ma non posso dilungarmi oltre. Comprendi Mark? Non rendere le cose più difficili e abbi fiducia nel nostro amore... >Buttandosi decisa con le braccia attorno al suo collo e baciandolo con intensità da lasciarlo stordito dai frastuono dei suoi sentimenti in subbuglio. Poi, mentre lei si era staccata un poco e lo fissava come una cerbiatta innamorata, aspettando un altro rimprovero dal giovane, che scuoteva il capo negativamente, ma non poteva trattenersi a sorridere alla meravigliosa ragazza che stringeva contro il suo petto. Poi rispose serio alla giovane in attesa: < Sì, ma continuo a non capire. Almeno dimmi dove abiti e magari dammi il tuo telefono che ti possa chiamare e dirti che ti amo tanto? Se proprio non puoi il tuo indirizzo per scriverti due righe d'amore? Io ti do il mio recapito... > < Non ci sono problemi. Tu abiti a casa del garibaldino, Vero? Perciò so dove trovarti. > Rispose lei mettendole una mano sulla bocca per azzittirlo, mentre proseguiva a dire: < Domani alla stessa ora ti aspetto al castello, d'accordo amore mio? > Marco rimase muto e cercò di trattenere la mano di lei sulla sua bocca ha prolungare quel meraviglioso momento d'estasi. Mentre lei aggiungeva con un lieve sorriso: < Sai che è più bello spasimare nell'attesa. Anzi, per diminuire il distacco, prova ha chiudere gli occhi e aspettare un poco, mentre io mi allontano e il distacco sarà meno gravoso. Prova amore! Rimani fermo ad occhi chiusi e vedrai che sarà più bello il ricordo.. >

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Mentre le dava un veloce bacio e si allontanava in silenzio. Marco ubbidiente restò fermo dov'era e aspettò, fra mille pensieri che gli frullavano in testa e senza accorgersene si assopì un momento. Poi d'improvviso si destò e tutto gli apparve più che mai confuso, capendo che era senz'altro entrato in un vasto sortilegio. Ma al tempo stesso testardo, pensava che l'amore avrebbe vinto. Marco era ancora frastornato dal fugace incontro, mentre nuvoloni neri si stavano ammassando in alto sui monti sopra il lago dalla parte Svizzera. Un vento gelido si era alzato all'improvviso, facendo presagire un bel temporale estivo in arrivo. Marco si affrettò a prendere la barca del nonno per tornare a Cannero, la distanza era breve, ma il vento contrario fece sudare fortemente il giovane a remare con più vigore. I primi goccioloni stavano battendo sul capo del vogatore che ha fatica arrivò alla darsena del nonno, appena in tempo a sgusciare via dell'abbondante acquazzone che si stava abbattendo sulla zona. Il lago si stava ingrossando e le onde si stavano increspando sospinte dal vento del nord. Marco rimase un bel po' seduto sulla panca sotto l'ampio tetto che lo proteggeva dalla pioggia, pensando agli avvenimenti che lo circondavano spropositamene. Poi gli sembrò che avesse smesso di piovere e si affrettò a far ritorno a casa, aveva oltretutto abbastanza fame, lo stomaco brontolava, ma questa volta non di amore ma di qualcos'altro da mettere dentro per azzittirlo. Nonno Gep era seduto sotto il porticato di casa che si fumava tranquillamente la sua pipa e osservava la pioggia che scendeva abbondante, quando vide Marco che correva inzuppato d'acqua, gli venne da ridere, pensando alle stramberie dei giovani, che al primo incontro con l'altro sesso perdono la testa. Marco salutò il nonno con gesti remissivi. < Vado a cambiarmi sono fradicio. Nonno! Per caso è rimasto qualcosa in dispensa, ho un po' di appetito adesso? > < Allora c'era la ragazza sull'isola, vero? Ecco perché prima non avevi fame ed ora senti la pancia vuota... Eh! L'amore che brutta bestia! > Mentre ripensava ai suoi anni più bello passato accanto alla sua Maria. Essi, come se la ricordava bene quella splendida giovane innamorata pazza del Giuseppe pescatore, il giovane appena tornato dalla guerra. Eh, altri tempi. Sbottò tra i suoi pensieri e ricordi.

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Capitolo Ottavo

Marco andò in cucina e aprì le persiane che davano sul piccolo cortile di casa, fuori pioveva ancora a dirotto, era ormai dalla sera prima che non la smetteva di buttare giù acqua. Aveva pensato in un primo momento che fosse una cosa passeggera il breve passaggio del temporale estivo, ma nulla da fare. In fine si preparò il caffè mentre borbottava tra sé, pensando alla giovane Alda, che senz'altro con quel tempo non sarebbe andata sull'isola e come si sarebbero incontrati poi? Visto che non sapeva ancora nulla di lei e della sua abitazione al momento. < Ma che stupido sono stato! > Sbottò a voce alta. < Dovevo insistere per, per, cosa? Accidenti! > Si rimproverò scuotendo il capo. Pensando già che lui sarebbe andato egualmente sull'isola, nel castello? Diagnosticò contro gli eventi contrari. Poi il battito del martello, lo distolse dai reconditi pensieri. Era senz'altro il nonno che trafficava sui gavitelli rotti, nel locale sottostante adibito a falegnameria, era veramente una presenza del passato, dov'era tutto rimasto come all'ora, tutto era vecchio, anche gli attrezzi da lavoro erano stati tramandati di generazione in generazione. Marco rammentò la prima volta che vi entrò in quello scantinato scuro, gli sembrò di ritornare al passato, tutto era vecchio e invecchiato bene, persino l'aria che si respirava sapeva di antico e di ricordi lontani. Sapeva di vecchie barche nate in quell'ampia camera, legno dopo legno, sagomate col vapore dell'ampio bollitore in disuso ormai, ma tutto era ancora lì a raccontare la vita grama passata a faticare, nell'attesa di una vita migliore. Marco stava appoggiato all'infisso della porta con la tazzina in mano e il suo sguardo era a molti metri più lontano oltre la finestra bagnata dalla pioggia e s'intravvedeva in parte il lago Maggiore, avvolto da una nebbia di pioggia. Era come sentirsi in trance, gli erano rimaste soltanto le sensazioni vaghe e confuse, Ma non avrebbe mai scordato l'attimo in cui lei, Alda gli era apparso per la prima volta, sotto quella luce della luna alta in cielo, che la faceva apparire così evanescente e bella. Poi il giorno prima là, sull'isolotto i suoi lineamenti erano ben marcati al sole pomeridiano. Alda era veramente bella e al tempo stesso dolce, dove i lineamenti delicati del volto, sembravano appartenere ad una bambola di porcellana, avvolta dai lunghi capelli neri. Marco non la poteva ricordare

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meglio, e il tutto gli procurava un tonfo al cuore per la gioia. Rammentava di essersi soffermato ha guardarla e riguardare le lunghe ciglia, che sbattevano sopra gli occhi scuri di lei eccitata, gli zigomi percettibilmente sporgenti, la bocca carnosa e delicata e in quell'attimo un desiderio l'assalì fortemente. Avrebbe voluto che fosse lì in quel momento per poterla toccare osservare meglio e poi baciarla come il giorno prima a dismisura. < Sì, l'amo da morire! > Urlò travolto dal desiderio, mentre appoggiava la testa contro lo stipite della porta e sospirò profondamente. Poi depose la tazzina e si massaggiò il collo cercando di alleviare la tensione dei muscoli. Sapeva che presto o tardi avrebbe rivisto la fanciulla dei suoi sogni. Magari, arrivasse lì a trovarlo e digli che l'incontro sull'isola sarebbe stato spostato? Sarebbe troppo bello se fosse vero, pensò distratto. Ritornò alla finestra e rimase lì in ascolto il tamburellare della pioggia sui vetri, il vento si era girato e ora l'acqua scrosciava di traverso. Si spostò deciso di far qualcosa per far cessare la pioggia, magari una bella danza indiana nel calmare gli spiriti bagnati e rompiscatole al momento: < Accidenti! > Sbottò sull'imprecisato. Poi una voce alle sua spalle lo richiamò alla realtà del momento. Era il nonno che lo rimproverava nel digli: < Caro ragazzo mio! Incominci ha capire adesso, cosa ti fa patire l'amore appena sbocciato. E' veramente dura da ingoiare l'attesa... Vedrai che domani sotto il sole, la rivedrai. Ma dimmi un po' Marco, ora sai come si chiama? > < Alda Ruscati, è il suo nome. Ma dove abita ancora non lo so di preciso. Mi sono lasciato travolgere dai suoi occhi profondi e... > < E hai perso la testa! Ma non desistere, vedrai che la ritroverai, i fantasmi fanno sovente certi scherzi. Poi, magari lei è qui che ci ascolta e sorride per la tua preoccupazione. Forse per vedere se sei disposto ad accettare la sua vita ancestrale, ragazzo mio. > < Ma cosa vai dicendo nonno? Lei e una persona viva e lo persino baciata e stretta fra le braccia. Poi pensa, m'ha detto che mi ama tanto. > < Mah! Spero che tu abbia ragione. Allora perché è così misteriosa e ti nasconde la sua identità. Spiegami questa idea? > < Lei mi ha detto che si è talmente immedesimata nei personaggi vissuti al castello e senza volerlo si trova a dire frasi vecchie, ancestrali. > < Posso darti un consiglio ragazzo, fai attenzione a non trovarti in qualche pasticcio. Non so se il mio incontro con la contessina Mafalda centri in tutto questo? Forse ci sarà un connesso... E quel nome Ruscati non mi dice nulla. Mai sentito nominare qua attorno? Ma stai attento! >

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< Certo, certo Nonno! Ma voglio andare sino in fondo. Capire se veramente è amore questo mio sentimento scoppiato così all'improvviso, ma entrato profondamente nel mio cuore e so per certo che anch'essa mi ama immensamente. Comunque se smette un po' di piovere oggi andrò la sull'isola al castello e aspetterò il suo arrivo. So per certo che verrà! > < Speriamo solamente che smetta di piovere, il lago è un po' agitato, ma puoi fare la piccola traversata. So che ci riuscirai. Anche se ti dico di non andare, tu lo farai egualmente, allora fai solo attenzione! > < Grazie del consiglio Nonno! Ti voglio bene, ma tanto! > < Dai, dai! Non stare arruffianarti ancora... >

Marco remava di buona lena e osservava la superficie del lago sotto quel diluvio che s'abbatteva giù copiosamente, da assomigliare a una grande marmitta ricolma d'acqua che bolliva sul fuoco. Dopo vari sforzi era arrivato sull'isola sfidando gli elementi da buon navigatore, riparandosi in parte della mantella cerata del nonno. Sentiva scorrere sulla pelle dei rigagnoli d'acqua fredda che gli scendevano dal colla alla schiena, m'altrettanto imperterrito a desistere dal rinunciare nel suo intento, con la speranza d'incontrare la giovane Alda, al suo arrivo. D'altronde il suo proponimento aveva ben altre aspettative, con la convinzione che la sua ragazza arrivasse all'appuntamento, o era già arrivata? Sfidando a sua volta gli elementi. Supponendo però, che sarebbe da stupidi andare sul lago con quel tempo? Ma sperava, ed ne era più che certo, che tutto andasse come da suo intento. Forse perché, in quel momento era diventato un po' egoista a pensare solo a sé stesso, comunque era egualmente fiducioso sull'esito finale. Si guardò attorno apprensivo, mentre un desiderio recondito l'assalì fortemente, fiducioso in quell'amore nato così d'impeto tra loro, da farlo esultare nell'euforia: < Questo sì, che è veramente amore. Ora lo so più che bene! > Urlò felice Marco. Era la, sugli spalti del castello che gridava la sua felicità imperterrito del vento e l'acqua che l'avvolgeva, la mantella cerata fermava quasi niente l'acqua che lo stava inzuppando dalla testa hai piedi, mentre nervosamente passeggiava incurante del maltempo. Ad un certo punto chiuse gli occhi e restò ad ascoltare il rumore della pioggia che cadeva nelle piccole pozze d'acqua formate sul lastricato dello spalto diroccato, era come una nenia musicale, alquanto disarmonica da procuragli strani eventi lontani, cose del passato atavico. Gli sembrava di veleggiare nella fantasia ed ascoltare

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strani rumori di armigeri in lotta, sovrapposti da lamenti soffusi e angoscianti da turbarlo fortemente e di botto aprì gli occhi, nel guardarsi attorno un tantinello spaventato. Era la prima volta che sentiva addosso una strana e funesta sensazione da turbarlo. Poi si ravvede e accantona le sue fantasie nel comprende ormai convinto che lei non verrà all'incontro con quel tempo del cavolo. Mentre una parte di lui avrebbe voluto che fosse lì al suo cospetto, mentre richiudeva gli occhi nuovamente per assaporare meglio quell'assurda fantasia appena riposta. Vedeva più che nitida la visione di Alda tra le sue braccia, ed immaginare di baciarla e assaporare quelle stupende labbra invitanti. Mentre se la godeva tutta quell'immaginaria scena d'amore tra loro. Sognare di perdersi nei meandri di lussuria era un po' troppo audace, ma tentare era possibile. Ormai l'impeto l'aveva pervaso, avvolgendolo tremendamente, non avrebbe voluto pensare a certe cose, ma il bisogno era così forte. C'era sempre qualcosa di preponderante che l'avvolgeva nel culmine della passione da troppo tempo accantonato e potersi unire a lei, il desiderio era tanto e sentito. Da assuefare quel suo ardore di casta gioventù negata e sfociata ora, in quell'amore racchiuso nel suo cuore. Marco aveva il viso alzato al cielo e pareva che aspetti qualcosa? Qualcosa che accada da un momento all'altro, in un desiderio recalcitrante che si avveri. Dalle sue labbra appena socchiuse e bagnate dalla pioggia lui, aspettava? Assomigliava ad un piccolo fringuello con il becco aperto che aspettava il ritorno della madre al nido nel portargli il cibo per nutrirsi. Mentre lui, imperterrito assaporava con bramosia quelle piccole gocce d'acqua, immaginando fossero dei piccoli baci della sua amata Alda, trasformate in nettare di vita.

Poi tutto capitò all'improvviso, Marco aprì gli occhi e Alda era lì a pochi centimetri dal suo viso. Il volto bagnato della giovane gli sorrideva felice. Marco ebbe un attimo d'incertezza e di stupore, avrebbe voluto poter parlare e dire qualcosa, da quel suo risveglio brusco alla realtà. Ma già le labbra di lei erano ormai appoggiate sopra le sue e il bacio che seguì fu idilliaco e supremo. Mai aveva provato un così intenso bacio da lasciarlo frastornato e perdutamente rapito da scordare proprio tutto, solo lei ora contava, Alda tra le sue braccia. Si erano trovati entrambi travolti dall'intensità passionale e i loro baci si erano diffusi tra le loro labbra con immenso desiderio irresistibile.

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Marco in quell'amore appena nato e ritrovato, gli aveva restituito al suo cuore la gioia di vivere. Sentì la sua lingua avvinghiarsi alla sua nel cercarsi, toccarsi e il rincorrersi audacemente, in quell'amore fatto di soli baci e carezze e alla fine solo il mancato respiro per entrambi li acquietò un momento. Marco ne approfittò per dirle d'impeto: < Sono perdutamente innamorato di te, Alda! Veramente tanto, da non capire più nulla. Amore mio! > Ma non poté proseguire un nodo alla gola di gioia lo bloccava. < Anche io lo sono di te, amore! Tanto tanto, ti amo! > Le rispose, mentre si riassestava i capelli bagnati che gli cadevano sul viso. Marco ne approfittò per allargare la grossa mantella cerata del nonno per far posto alla sua donna e stringerla al suo petto con ardore. Lei stava tremando dal freddo, mentre lui, ripresosi dallo stupore, la rimproverava: < Non avresti dovuto venire... Anzi, sì! Dovevi venire, per acquietare il mio cuore in subbuglio. Perdona il mio egoismo... > Si scusò confuso ma felice. < Perché non avrei dovuto venire? Quando l'amore ti chiama... >Marco capiva il problema che aveva procurato inconsciamente, poi vedendola a quel modo esplose a dire: < Ma hai ancora il vestito di ieri? Allora non sei tornata a casa tua? Dove sei stata questa notte, Alda? Non dirmi che hai dormito qua dentro? Impensabile a pensare s'è vero? > Sbottò sull'arrabbiato, ma di più con sé stesso. Poi lei, per un momento si trovò a disagio, ma subito si riprese e decisa provò dire: < L'ho lasciata sulla barca la mia mantella, volevo che mi vedessi come la prima volta. Per me è molto importante amore, rimanere sempre la stessa. Anche sotto questo tempaccio. Comprendi o mio messer Mark! > Spiegando felice di essere lì, al suo fianco. Marco la stava osservando con infinito amore e rispose: < Sì, capisco più che bene, ma bagnata a questo modo potresti prenderti un malanno. Dovremo andare via, così potrai recarti subito a casa e cambiarti i vestiti bagnati. Non me la perdonerei se per colpa mia ti ammali. Amore! > < Non temere non mi prenderò un malanno. Sono al sicuro al fianco del mio amore! E questo è più che certo, devi credermi... > Lo rincuorò. Marco era abbastanza preoccupato e la colpa era soltanto sua di volerla vicino ad ogni costo. Ma al tempo stesso felice, tanto felice. Poi, lei con quel suo modo di presentarsi a lui, sempre eguale, persino nel vestito, era lodevole la premura. E tutto quello lo faceva gioire per quella sua voglia di dimostrare a lui, che per amore si poteva fare ogni cosa, anche la più impensata. Sì, era veramente innamorata Alda e l'aveva dimostrata più che

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bene. Marco abbozzò un sorriso, mentre se la stringeva a sé, dicendole quasi fosse un ordine: < Ma ora ti prego, andiamo via! Altrimenti se ti ammali, come faremo a vederci, quando ci sarà il sole, amore? > < Sì, hai ragione! Dobbiamo andare messer Mark! > < Se mi permetti, ti accompagno io fino a casa tua? > Consigliò Marco. < Non e possibile! > Le rispose decisa Alda, sorpresa. < Come non è possibile, perché mai? > Chiese stupito Marco. < Io voglio solo accompagnarti, null'altro? > Protestò sorpreso e incuriosito. < Si, lo capito amore. Ma non è possibile! E non insistere. Ti prego, abbi fiducia? > Implorò la giovane tremante dal freddo o altro? < Ma perché, questo tuo rifiuto? I tuoi parenti ti impediscono di uscire? Forse sei già sposata ed è un mistero da tener nascosto? > < No, no! Di tutto quello che dici. Non dubitare e pensare male: Abbi fede nel nostro amore messer Mark! Non temere, vedrai che un giorno tutto sarà diverso e tutto potrà cambiare? Ti prego amore! Non costringermi ha non vederti più. Mi farebbe troppo male. Abbi fiducia e saremo ricompensati. > Tentando di convincerlo a desistere dall'assurda idea. Alda aveva lo sguardo triste e distaccato, pareva che stesse scrutando qualcosa in lontananza, oltre la nebbia prodotta dalla pioggia sul lago. Marco era divenuto pensieroso e dubbioso sul comportamento della giovane, Avrebbe voluto insistere, ma qualcosa dentro di lui, gli consigliava di non forzare la mano e lasciare scorrere e acquietare gli impulsi. Alla fine gli chiese: < Alda... l'imposizione ti disturba, vero? > Lei lo guardò pensierosa e provò a dire: < Cosa mi disturba? > Sembrava che avesse letto nel suo pensiero, in quel momento di riflessione e ripensamento. Mentre Marco era divenuto un po' cupo e rispose in modo serio: < Noi... > Si fermò un momento, mentre si rammentava ai discorsi del giorno prima, quando lei gli aveva promesso di raccontagli tutto della sua vita, oltre di quel castello della malora. E per un attimo considerò che qualcosa potesse centrare il tutto con quello che la circondava in quel sottile mistero. Poi riprese a dire: < Noi due, cosa centriamo col passato? > < Questo non lo posso sapere... messer Mark? > Rispose anch'essa pensierosa e riflessiva su quella domanda. Marco per un attimo considerò che qualcosa poteva centrare con tutto quello che li circondavano e alla fine, espose. < Tu ieri, là sull'isoletta mi avevi promesso che mi avresti raccontato tutto... Sto aspettando di capire, quale grave problema ci divide? > Espose dubbioso sul risultato. Capendo

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che Alda aveva un forte legame col passato. Forse il tutto era collegato a quel castello maledetto e stregato. Ma fin dove arrivava il legame? Poi di botto Marco si ravvede immaginando la verità latente. Alda era forse la reincarnazione della contessina Mafalda? E se fosse tutto vero, ecco il mistero svelato, pensò sorpreso e confuso, ma anche spaventato? Quella sua idea era assurda, ma potenzialmente vera? Marco continuamente si stava arzigogolando il cervello a capire l'inghippo. Mentre aspettava che la giovane dica qualcosa, nell'aiutarlo a uscire da quel ginepraio misterioso. Alda lo stava fissando ammutolita e smunta, capendo che il suo giovane cavaliere aspettava una risposta esaudiente, ma cosa dire che anch'essa non sapeva bene cosa rispondere? Poi si sforzò e rispose: < Tu stai pensando ha delle balordaggini idee, messere. E non è giusto da parte tua pensarle? > < Come non è giusto, pensare e supporrere? > Controbatté deciso. < No! Non lo posso sapere se è giusto o sbagliato. Ma deduco che ti stai spremendo la testa nel saper subito tutto e capire le cose nel modo sbagliato. Ecco, cosa ho capito io...! Tu scalpiti come un cavallo prima della battaglia, sapendo che cadrà sfinito e non ti porterà alla vittoria e il nemico poserà sul tuo capo la spada mortale. Messer Mark! > Esultò Alda un po' adirata, ma non poteva inveire sulla persona tanto amata. Marco fu sorpreso e si trovò a corto di domande e risposte in quel momento. Poi cercò una via di mezzo, per tutto l'oro del mondo non voleva perdere quell'amore appena sbocciato tra loro. Rispondendo con rammarico: < Mi dispiace, che io debba creare dei problemi? Forse il guaio è che sono follemente innamorato di te e pretendo l'impossibile? Nel voler sapere tutto la tua storia, in un battito di ciglia. Questo è vero! > Mormorò remissivo. < Ma guarda ben, che di storie se ne possono raccontare e inventare tante. E sopratutto in diverse maniere. Tu questo lo comprendi messere? Io ti posso raccontare la leggenda di questo castello insignificante al viandante, ma importante per me la sua vicenda. E se tu hai la pazienza di aspettare, tutto sarà spiegato a suo tempo. Credimi Mark! > Marco annuì silenzioso, mentre pensava al passato di Mafalda o Alda? Ecco il dilemma sorto al momento. E ora più che mai, senza destare sospetti, nel conoscere veramente la storia? Pensando che si sarebbe recato sull'isola Bella, ed era più che sicuro che là nel castello fatto a gradoni dei Borromeo, avrebbe scoperto una parte della vicenda. Per vedere quel famoso ritratto che il nonno gli aveva menzionato. Quando si rese conto

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che si stava scervellando tutto da solo. Osservò Alda che lo fissava pensierosa, aspettando una risposta. Lui sospirò e le accarezzo la spalla con un gesto assente. La reazione di Alda fu di ritrarsi e di irrigidirsi, restò ferma e gli resistette corrucciata. Sembrava che avesse letto dentro di lui i suoi proponimenti. Marco prese fiato prima di proseguire, la pioggia lo confondeva ed era dubbioso sul risultato? Ma tentò di nuovo, mentre assaporava di nuovo il fragrante profumo di lei a rinfrancarsi nel dire deciso: < Tu mi devi promettere, che un giorno mi racconterai tutto? Non importa quanto dovrò aspettare, ma desidero saperlo. Purché tu me lo dica apertamente, senza più fraintendimenti? > Alda si rinfrancò e rispose pacata: < Te lo prometto messer Mark! Non dubitare, so mantenere una promessa. Ma altrettanto tu mi devi promettere che sarai paziente e aspetterai quel giorno. Non temere non è lontano il momento, qualsiasi cosa possa capitare. Tu devi aver fiducia e tutto procederà al meglio... mio amore! Ma bada ben messer Mark. Solo se tu, mi amerai sopra ogni cosa che possa capitare? Saresti disposto ha qualsiasi sacrificio. Anche ha morire per amore? E se è così, saprai la verità incombente sulle nostre teste da poveri mortali? E avremo la felicità che tanto desideriamo. Solo così è scritto nel nostro destino o messere. > Marco era rimasto in silenzio ad ascoltare quel verdetto atroce, ma sincero e alla fine rispose: < Sì, lo voglio! Qualunque cosa possa accadere, io desidero il tuo amore e sarò pronto a sacrificare la mia vita per te amore, se occorre. Credimi sono consapevole di ciò che mi chiedi amor mio! > < Non c'è bisogno che giuri, io ho fiducia in te amore! Ma ora devo proprio andare, perdonami. Ti amo immensamente! > Mentre lo baciava con ardore e poi, di volata fuggì via dallo spalto del castello, poi prima di scendere le scale si voltò e gli gridò: < Non temere domani ti troverò io. Ciao! > Marco restò a fissare la sagoma della sua donna che sgusciava via altre l'angolo del muro della torre e giù per le scale, sparendo dalla sua vista. Era felicemente frastornato, ma al tempo stesso preoccupato.

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Capitolo Nono

Il chiarore grigio dell'alba filtrava nella stanza. Al nordest il cielo era ancora coperto da nubi scure. Una pioggerella leggera tamburellava contro i vetri della finestra e attutiva i rumori della strada provinciale sopra di loro a ridosso al monte. Marco era rimasto a letto, avvolto nei suoi pensieri a meditare sui fatti accaduti così repentinamente, da aver la mente ancora sconvolta. Sperava di trovare una possibilità di svolta, in quel mosaico che si faceva sempre più intricato. Quello che al principio sembrava un semplice e bellissimo rapporto amoroso, diveniva da pensare al contrario, dovendolo ammettere a se stesso. In quella sua curiosità, si stava ponendo mille domande inconcluse, in tutta quella ingarbugliata storia vi era qualcosa di magico e misterioso che girava attorno. Forse era la mano della contessina Mafalda a smuovere le acque intorbidite con gli anni? O forse era lui, la persona designata dal fato. Il messaggero? < Impossibile! > Si trovò a dire a voce alta, a quella supposizione appena accennata. Capendo che non aveva mai pensato e immaginato prima. Mentre una strana e vaga sensazione si sentiva addosso, come se vi fosse qualcuno li accanto al letto? Qualcosa che l'aveva svegliato e soltanto in quel momento si rendeva conto di qualcheduno che aleggiava in quella camera. Poi con decisione sbottò a dire con voce greve e alta: < Dannazione! Chiunque siate fatevi vedere? Affrontiamoci a viso aperto. Se vi manca il coraggio di esporvi, allora andatevene e non importunatemi più... D'accordo! > Rimanendo ad ascoltare eventuali altri movimenti, ma null'altro, soltanto il rumore della pioggia fuori. Marco incominciava ad innervosirsi in quel frullare d'idee strambe, nel trovarsi a dire nuovamente a voce alta: < D'accordo! Ma perché proprio a me? Io sono nessuno. Nn, sono registrato all'ospizio, all'istituto “De Enfant Orphelin” di Susa. Accidenti a loro! > Imprecò. Poi si alzò dal letto come un moccioso recalcitrante, pensando che gli mancava il caffè bollente a quell'ora del mattino, per ragionare meglio, ma gli seccava scendere in cucina a farselo e alla fine col dirsi da solo incavolato più che mai: < Dai poltrone alza le chiappe che c'è di meglio da fare oggi sul lago! > Sospirando mentre si recava in bagno sulla balconata lunga fuori casa.

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Marco aveva parcheggiato l'auto nel piazzale antistante l'imbarcadero a Stresa, l'aveva noleggiata la sera prima per potersi muovere liberamente, visto l'idea di recarsi al palazzo Borromeo sull'isola Bella a Stresa. Il tempo era incerto e piovigginava a tratti ancora, forse al pomeriggio sarebbe tornato il bel tempo, così stavano pronosticando gli addetti all'imbarcadero, al momento restii a fare la traversata, dato l'esiguo numero di persone in attesa all'imbarco. Poi la presenza di un noto direttore e consorte di un museo normanno e Marco sembrava di aver capito, Fussen in Baviera. Pertanto la piccola spedizione di sette persone, per concessione di cambi culturali si imbarcarono. Marco si aggregò alla piccola comitiva di turisti tedeschi, salendo sul motoscafo per un giro turistico alle isole. Si accodò ai turisti ed entrò nel grandioso palazzo dai giardini situati a gradoni sull'isola Bella. Marco curiosava qua e là distratto, seguendo la guida obbligatoria, che spiegava le meraviglie del posto, dalle ampie finestre si godeva il panorama sul giardino coevo al palazzo, formato da una decina di terrazzi sovrapposti, con balaustre ornate da piante e statue, fontane e grotte, in quel giardino barocco voluto dai Borromeo. Stava spiegando la guida computa, mostrando l'armeria sistemata con gusto, Marco notò l'arredamento di alta qualità e poi la vasta pinacoteca con dipinti per lo più di scuola lombarda del cinque-secentesca. Un'ampia visione veramente interessante, di una dimora signorile di una famiglia che aveva offerto modelli culturali alla zona del lago Maggiore. Marco ammirava con un certo interesse, ma la sua voglia era di poter scoprire e osservare il ritratto della contessina Mafalda Rusca, senza destare sospetti di morbosa curiosità. Di tanto in tanto seguendo la fila dei visitatori Marco guardava di sfuggita a destra e a sinistra nei vari corridoi e sale laterali del palazzo. Poi da una porta socchiusa Marco infilò dentro il capo a sbirciare l'interno e con grande sorpresa si stupì nel vederla. Il dipinto era sulla parete di fronte all'ingresso, al centro della grande sala con pochi arredi antichi. La al centro si ergeva a grandezza naturale, il ritratto della Contessina Mafalda Rusca. La sorpresa era troppo grande e forte per Marco, che si sentì un tonfo al cuore. Era veramente Alda in quel ritratto. Marco deglutì parecchie volta la saliva in gola che non aveva, per la forte tensione e arsura addosso. Poi si ravvede nel trovarsi a borbottare da solo a fior di labbra: < Aveva ragione il nonno... Alda e Mafalda sono la stessa persona. Questo è il guaio? Ma, com'è possibile la traslazione? La sua presenza? Gli abbracci e i baci a profusione, oltre le sue parole d'amore

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espresse? Com'è possibile tutto questo! > Biascicò confuso, più che mai. Poi scivolo di lato ed entrò nel salone ad evitare i riflessi della grande finestra laterale ed essere accanto al ritratto e osservare per intero la nobildonna. Mai come in quel momento gli sembrava cosi viva e palpitante quel ritratto su tela, d'aspettarsi da un momento all'altro che esca fuori dal dipinto e lo rimproveri per quella sua curiosa capatina lì al palazzo Borromeo. Mentre stranamente un affanno l'aggrediva, dovendo ammettere che era veramente Alda quella nobile signora? Non c'era verso di sbagliare. Identica in tutto e per tutto? > Accidenti! > Sbottò tra i denti. L'unica differenza era il vestito che ora Alda lo portava sotto il ginocchio, invece nel dipinto era lungo e maestoso, ma eguale di seta bianca orientale. Marco era ormai sopraffatto dall'irrequietezza che sentiva addosso, era soggiogato dagli eventi abbastanza strani e fantasiosi, cose che soltanto al cinematografo si potevano vedere, ma nel trovarsi a pensare che stava vaneggiando alla grande. Mentre con soggezione si stava avvicinando al ritratto e concentrandosi sulla targhetta a lato del dipinto che spiegava: “Mafalda Rusca, figlia dei conti Rusca di Ascona. Nata nel 1306 morta nel 1323 nel castello dei Malpaga a Cannero. Passato poi nel 1400 come feudatario dei Rusca” < Beh, qualcos'altro abbiamo appreso dal casato di appartenenza. > Commentò Marco mentre osservare il ritratto a lato, leggendo la targhetta: “Conte Arduino Rusca di Ascona nato nel 1261 morto nel 1337” Osservò con più interesse quel severo padre di Mafalda e Marco rimase un po' perplesso e stupito nel riconoscere in quell'austero viso qualcuno o qualcos'altro che aveva già visto, ma dove? Mentre si strofinava la barba un po' lunga, non rasata quel mattino. Poi, si rammentò dove aveva già visto quel personaggio? Nei sogni che faceva da ragazzino in collegio, ed ora sapeva chi veniva ha turbare il suo sonno. Poi la sua indagine veniva interrotta dal custode: < Signore! Guardi che la comitiva se ne sta andando via! > Mentre Marco ringraziava e si guardava l'orologio al polso, erano le 12.30 e in un lampo un pensiero l'assalì, borbottando tra sé: < Sì, faccio ancora in tempo! > E se ne andò deciso.

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Capitolo Decimo

Marco aveva preso un'andatura abbastanza veloce con l'auto a noleggio, capendo però che non doveva forzarla troppo, dai troppi rumori strani che sentiva. Il suo intento era di arrivare a Cannero al più presto, sebbene mancavano ormai pochi chilometri e troppe cose si stavano ingroppando tra loro e a quel punto doveva metterle in chiaro. La sua guida era perfetta, sebbene si stava abbattendo un altro acquazzone e la statale era diventata un bel torrente. Altrettanto la sua testa era satura di cose e avvenimenti strani e di idee contorte ma complicate. Alla fine si dovette arrendere da solo, considerando che doveva pazientare e aspettare di arrivare sino a casa e senza volerlo si trovò ha imprecare: < Sono diventato un visionario, vedo doppioni di fantasmi e persone dappertutto. Questa poi? Accidenti! > Sbottò incavolato, mentre affrontava una curva abbastanza stretta e non si accorse del sopraggiungere di fronte di un grosso autotreno carico di tronchi di alberi, che si era allargato per prendere la curva al meglio, dato l'eccessiva velocità del mezzo, da ostruire la via all'auto di Marco. Il giovane tentò a sua volta d'infilarsi tra il mezzo e il parapetto che sovrastava il lago, ma comprese che il rimorchio dell'autotreno l'avrebbe stritolato contro il muro alto un metro. Poi all'improvviso Marco vide un varco nel parapetto a pochi metri davanti, aveva una apertura di una decina di metri e deciso si infilò dentro, mentre le ruote dell'autotreno ormai gli erano contro e lo spostavano nell'apertura delimitata solamente da una siepe di rosmarino. Ma oltre la breve siepe e un paio di metri c'era il vuoto e il lago sottostante a una trentina di metri più in basso. Marco capì di essere arrivato al capolinea e tutto sarebbe finito nel tonfo che andava a fare. Strinse i denti e chiuse gli occhi, poi aspettò pochi secondi e il tonfo fu veramente forte, nel cozzare l'auto contro l'acqua. L'unica cosa che fece prima di cadere era di aprire il suo finestrino laterale e sperare nella buona sorte, se c'era ancora? Il piede era ancora pressato al pedale dell'acceleratore per far presto ad evitare il grosso bisonte che l'avrebbe stritolato e schiacciato in quell'apertura apparsa provvidenzialmente alla presunta salvezza. Poi soltanto il rumore del motore che andava fuori giri e la capriola che l'auto eseguiva, e in fine il botto tremendo contro l'acqua. Ed appena dopo l'acqua stava avvolgendo l'auto e riempiva l'abitacolo,

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Marco si ravvedeva a rianimarsi dallo stordimento ricevuto nel colpo, per fortuna di schiena nella capriola eseguita della macchina prima del tuffo. Mentre pensava che certamente non era un bel modo di morire così giovane e a quel modo bagnato, senza aver neanche il tempo di chiedere il permesso di entrare a quelli dell'aldilà e neppure un saluto a quelli che restavano di qua. E il tutto lo faceva incavolare tremendamente tanto, capendo di non poter portare a termine la missione. In mezzo a tutta quella baraonda, di colpo si sentiva strattonato per i capelli ad uscire fuori velocemente dal finestrino dell'auto, che si stava inabissando ormai colma di acqua. Era Mafalda o Alda che lo spingeva verso l'alto? Avendola intravvista tra le bolle di aria che lasciavano l'auto che sprofondava verso il fondo al lago. Oltretutto lo sforzo disperato a prender fiato, aveva i polmoni che gli stavano per scoppiare e appena raggiunto la superficie, sputando l'acqua che aveva in parte ingoiato, boccheggiando come un pesce fuori dall'acqua. Mentre si guardava attorno in cerca di Mafalda o Alda? Oltretutto, nel trovare qualcosa per aggrapparsi, sentendosi abbastanza stordito nella carambola. Poi, una voce amica, dal suono inconfondibile lo chiamava a gran voce e Marco si girò sbattendo i piedi e le mani, per raggiungere una barca lì accanto e vederci sopra la sua adorata Alda, che gli allungava il braccio per aiutarlo. Fu una cosa memorabile. Lei indossava un pastrano da pescatori e sul capo il cappuccio per ripararsi un poco dalla pioggia, mentre urlava al giovane di avvicinarsi: < Mark! Afferra la mia mano... Dai! Prova e tenta ti salire sulla barca! > Lo incitò Alda preoccupata. Marco, non voleva nemmeno immaginare come e cosa stava succedendo? Riuscendo a borbottare tra i rigurgita di acqua: < Questa si che è veramente bella la sorpresa! > Mentre si afferrava alla sponda della barca e tentava di salire sopra, aiutato da Alda che lo strattonava per la giacca. Al tempo stesso Marco era felice che Alda era lì a soccorrerlo in quel momento scabroso, per un automobilista finito a mollo. Appena salito sulla barca, Alda gli sistemò sulle spalle un telo cerato per ripararlo e riscaldarlo un poco dalla pioggia. Marco faticava nel cercare di parlare, poi alla fine riuscì ha dire solamente: < Grazie Alda! Mah h! Proprio qui..? Così all'improvviso... Tu, mi aspettavi qui! Come? > Borbottò infreddolito e constatando che Alda aveva la barca da pesca del nonno e quel cappuccio che indossava portava un traversino rosso per legarlo, quel nastrino che nonna Maria aveva da molti anni cucito sopra, lui se lo ricordava più che bene, quell'evento visto da ragazzino?

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Mentre lei tranquilla lo rimproverava nel dire: < Proprio qui dovevi cadere? Hai spaventato tutti i pesci, con quel tuo tuffo fuori stagione. > < Ma, come? > Tentò di chiedere Marco confuso. E lei, comprendendo la questione provò a dire: < Avevo saputo che eri andato a Stresa e al ritorno avresti fatto un bagno. Proprio qui! Perciò ho pensato che potevi aver bisogno di aiuto...? Quale fosse, non lo sapevo di preciso e mentre aspettavo stavo pescando... Guarda! > Mostrando il pesce deposto nel recipiente con l'acqua. Marco, non aveva parole e non voleva controbattere con la sua ragazza, mentre gli offriva un sorriso, seguito a un: < Grazie ancora, amore! > Sapeva ormai che la contessina l'aveva salvato e aveva avvisato Alda del suo incidente in quel punto del lago. Misteri, misteri e null'altro! Ma in fondo ne era grato a tutti per averlo aiutato e si riprometteva che d'ora in avanti avrebbe cercato di seguire la via giusta che la povera contessina gli aveva indicato. Alda le si era seduta accanto e gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia: < Non combinare altri guai per oggi? Mio bel cavaliere, Mark! > < In verità dobbiamo ringraziare la contessina Mafalda è lei che mi ha sospinto verso l'alto. Altrimenti il risucchio dell'auto che affondava sarei stato trascinato sul fondo. E allora addio Mark! > Sbottò con un debole sorriso. E subito Alda provò a dire apprensiva: < Allora tu hai visto Mafalda? Insomma la contessina.. Era la nel lago ad aiutarti? Io temevo di sbagliare persona? Sta di fatto poi, che mi sono innamorata di te e pensavo di sbagliare tutto. Avevo paura di ripetere lo stesso errore commesso anni addietro. Comprendi Mark! > Tentò di spiegare Alda, mentre remava decisa, da vera esperta vogatrice. < Sinceramente, comprendo poco in questo momento. Anzi niente di tutti questi misteri che mi circondano? > Sbottò sull'imprecisato Marco, mentre si massaggiava una spalla dolorante e dal freddo dei vestiti bagnati che indossava. E prontamente Alda mentre vogava e guardava il giovane, gli suggerì: < Alza il coperchio del cassonetto, dentro ci sono dei vestiti di tuo nonno! Togliti di dosso quei vestiti, sei fradicio! Cambiati, perché non è il momento di ammalarsi adesso, c'è molto lavoro da fare... > < Mah! Così, così... va bene, ci provo! > Marco aveva ormai capito che non doveva controbattere su ogni cosa, se voleva scoprire l'arcano quesito centenario. Sapendo, che in fondo Alda aveva ragione. Mentre un po' scocciato si stava denudando e lei imperterrita mentre vogava costante e decisa, lo rimirava con un leggero sorriso di compiacimento. Marco

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tenendo il capo chino trafficava sui suoi indumenti bagnati e appiccicati al corpo, poi a fatica riuscì nell'intento e di volata si infilò i calzoni del nonno e un vecchio maglione che puzzava di muffa, ma al compenso erano asciutti. Poi si risistemò il telo cerato sul capo a fermare un po' quella insistente pioggerella fine, mentre all'orizzonte le nuvole si stavano aprendo al bel tempo. Alla fine Alda gli domandava tranquilla: < Be', hai trovato, poi a Stresa, insomma sull'isola Bella, quello che cercavi? Immagino la verità! > Marco la fissò non per nulla sorpreso e rispose: < Forse è arrivato il momento che tu, mi racconti la verità? La verità che è senz'altro racchiuso nelle viscere di quel maledetto castello! > Indicando il castello Malpaga in mezzo al lago ad un paio di chilometri da loro. Mentre pensava, perché era sempre così restia ha confidarsi? Sapeva ormai più che bene che l'amava perdutamente, ma perché tanta reticenza? < So di aver sbagliato ha non dirti che volevo recarmi a Stresa, ma tu ti sei trincerata in mezzo a tutti questi misteri del cavolo e non vuoi farmi partecipe. Perché? > Alda scollò il capo e in fine proruppe arrabbiata: < Quale verità, dovrei dirti!? Se non ti fidi di nessuno. Sei testardi, peggio di un mulo! Così stai rovinando tutto a questo modo? > Sbottò. mentre attraccava alla darsena del nonno e fissava con la corda la barca all'anello di ormeggio. Poi, più calma consigliò al giovane, ancora rincretinito e infreddolito dal malaugurato imprevisto capitombolo: < Prima di tutto, sarà meglio che vai a casa a cambiarti, ad evitare che ti ammali. E dopo, se vorrai ancora sapere la verità? Trovati questa sera al castello, nella vecchia sala d'armi dei Malpaga... D'accordo Mark? > Mentre lui acconsentiva col movimento del capo e lei insisteva sulla puntualità: < Mi raccomando solamente, se veramente vuoi continuare sii puntuale... Prima di mezzanotte! Oltre non servirebbe più. Mi raccomando o messer Mark! > Alda era già salita su di un'altra barca e via di volata a remare con decisione. Marco era rimasto lì, abbastanza rincretinito ha guardarla sparire oltre il capanno. Poi si incamminò verso casa, con i panni bagnati sotto braccio, era amareggiato per tutto quell'impiastro di baraonda che aveva combinato in quel giorno.

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Capitolo Undicesimo

Marco dopo essersi cambiato gli abiti bagnati, era sceso in cucina e aveva preparato del caffè. Si stava bevendo quel nettare bollente, che entrò il nonno e lo guardò sorpreso nel chiedere preoccupato: < Eri veramente tu che sei finito nel lago Maggiore? Lo stavano raccontando giù al bar, che l'auto presa a noleggio del Fantoni, l'avevano vista volare via nel lago, speronata da un TIR? Sei tu, che l'hai noleggiata, vero Marco? > < Sì, nonno! Ero io. Lo noleggiata per andare a Stresa, sull'isola bella ha vedere quel ritratto della contessina Mafalda. E sai una cosa Alda e Mafalda sono eguali, identiche? > Espose serio. Mentre il nonno stupito, chiedeva: < Tu hai visitato la pinacoteca al palazzo Borromeo e hai visto il ritratto della contessina? E hai distrutto l'auto? Bojafaust! E cos'altro? > Brontolò stupito e un po' spaventato. < Vorrà dire che domani andrò dal signor Fantoni e vedrò di pagagli l'auto, con i miei risparmi messi da parte. Cosa ci vuoi fare? E' una bella scalogna che mi è capitata. Non ci voleva! Ma è andata così… > < Dalla statale, hanno detto di aver visto una barca che soccorreva l'autista, uscito per miracolo dall'auto, dopo quel volo di trenta metri... E tutti mi chiedevano di te? Perché qualcuno ti aveva visto uscire dal garage del Fantoni con quell'auto usata, che senz'altro poi, da buon uomo? Lui dirà, che era come nuova... E io, che non ne sapevo nulla? Bojafaust! Marco, Marco! Meno male che non ti sei fatto nulla, ma potevi veramente annegare dentro all'auto figliolo benedetto! Meno male che cera quella barca! > Protestò il garibaldino. Marco depose la tazza e rispose serio: < La contessina Mafalda mi ha salvato! Lei mi a preso per i capelli e mi ha trascinato fuori dall'abitacolo e mi ha sospinto in superficie. E guarda caso, sulla barca che mi ha soccorso c'era Alda? Era arrivata fino là, con la tua barca nonno? Misteri e misteri, a profusione? > Spiego d'un fiato Marco, mentre fissava il fondo della tazzina vuota. < Cosa vai dicendo ragazzo mio? > Balbettò il nonno incredulo a capire tutto quel complesso di misteri e fantasmi messi assieme in un groviglio difficile per la sua corta memoria. < Veramente la contessina ti ha salvato? Era là ad aspettarti e aiutarti..? Bojafaust! Questa Poi? >

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< Già! Proprio così! E ha questo punto devo dirti caro nonno, che sono io colui che dovevi consegnare il tuo messaggio. Non c'è via di mezzo. Ancora non so bene come posso centrare in tutta questa diavoleria, ma centro e come? > Spiegò Marco ormai tranquillo. Mentre il nonno rimuginava il tutto: < La contessina ti ha salvato! E tu saresti il viandante che viene d'oltre i mari d'oriente, oltre la pianura tra campi di frumento, ha ristabilire il maltorto? Impossibile! Allora è... Finalmente! Il segno del destino che dopo trent'anni il messaggio è arrivato a destinazione. Ma tu non dovevi centrare in tutta questa storia di fantasmi e misteri? Perché proprio tu Mark? Bojafaust! > Esplose il nonno accigliato, nel dire avanti: < Spero che la contessina Mafalda mantenga la sua parola datami a quel tempo. Guai se ti succede qualcosa? La tirerò fuori dall'oltretomba! Poco ma sicuro. Guai ha lei! Spero sappia vegliare su di te... > < Non temere nonno, non succederà nulla di male, lo so! > < Come lo puoi dire? > Contestò il garibaldino, mentre si dirigeva verso la porta nervoso, poi si fermò e ritornò sui suoi passi e aspettò un momento, mentre l'osservava pensieroso. Alla fine proruppe a dire decisamente serio: < Senti ragazzo mio! Non voglio che tu pensi, che sono un vecchio rompiscatole e non dovrei intromettermi. Poi, alla fine non sono affari miei... Beh, insomma! In parte sì, che centro? Ma vuoi un mio consiglio ragazzo... Fai attenzione e non farti illudere dai miraggi. Ho sempre considerato la contessina Mafalda una persona... Insomma un fantasma di anima e cuore generosa e continuo a sperare ancora. Fai solo attenzione Marco! Presumo che siamo solo all'inizio di questa stramba avventura secolare? > Espresse convinto. < Sì, hai ragione nonno! Ma bisogna aver fede in certi momenti. Io non credo nella così detta reincarnazione. ma Alda sapeva che sarei caduto in quel posto ed era la per salvarmi, assieme alla contessina. Altro non so di preciso. Comunque, mi sta' balenando un pensiero, che Alda non sia per caso l'inviata o testimone della contessina Mafalda? E magari attraverso il pensiero di Alda il fantasma può così comunicare con il mondo esterno, ed è riuscita a dirle che sarei caduto nel lago e arrivare di volata per salvarmi? Ma di una cosa sono sicuro. Una è un fantasma per davvero e l'altra è la mia ragazza e su questo non ci piove. > < Certamente che sott'acqua non ti puoi bagnarsi ancora! Vero? Bojafaust! > Brontolò il nonno sornionamente, poi riprese a dire con una certa serietà: < Ma non comunicare con il mondo intero, ma con te figliolo.

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Ha questo punto, sono anche io più che convinto. Tu sei veramente il prescelto. Ora ricordo bene cosa mi aveva detto a quel tempo la contessina sugli spalti del castello: “Ricorda o messere Giuseppe, tu indicherai la via al viandante cavaliere che giungerà d'oltre i mari di ponente.” Ricordo bene. Sì! > Mentre rimuginava ha pensare, che Mark non veniva d'oltre mare. < Mah! Insomma... cosa centrava l'oriente? Questo ancora non lo sappiamo ragazzo? > Poi tralasciò quel quesito ed espose un altro al giovane: < Non volevo dirtelo, ma sai bene, che non riesco a tenere i segreti... nascosti. > Borbottò a bassa voce, quasi se qualcuno ascolti. < Segreti di che? Visto che ne abbiamo così pochi da sbrogliare? Dai racconta! > Lo spronò Marco a proseguire. < Stanotte e per la prima volta, ho sognato nonna Maria... > < La povera nonna ti è apparsa in sogno! L'hai vista e ti ha parlato? > < Certo che mi ha parlato ed era preoccupata per te. Si proprio per te era in pensiero... Nel sogno ci tenevamo per mano e guarda caso, eravamo dentro al castello nella sala d'armi. Ma il bello che lei la mia povera Maria non è mai stata sull'isola al castello? Insomma, mi stava dicendo che stava capitando qualcosa di brutto oggi? ( forse si riferiva al tuo incidente di stamani?) Sta di fatto che mi ha detto ancora: “Per fortuna che c'è un persona che vuole bene al nostro Marcuccio e l'aiuterà a portarlo a galla?” E tutto questo non l'avevo capito prima, ma ora dopo l'incidente, ho compreso cosa si riferiva la nonna. > Mentre rivolgeva gli occhi al cielo, poi riprendeva a raccontare: < Lei mi disse ancora, “ Stai tranquillo Beppe, perché la ragazza del lago, riuscirà nell'intento”. Proprio così mi ha detto, Maria. Si era seduta accanto a me e mi teneva la mano tra la sua, come era abituata a fare. Sembrava più che vero il sogno fatto. poi mi sono svegliato e lo chiamata come facevo sempre. Ah, che delusione! > Brontolò il nonno rattristato. < Gli volevi molto bene alla nonna Maria, vero? > < Già, proprio così! Peccato che mi ha lasciato troppo presto. Non doveva succedere! Be', ora però ci sei tu, ha darmi dei bei grattacapi, che in parte li ho provocati io, ragazzo mio? > Capendo che quel giovane gli era molto caro. Guai ha chi se lo portava via e fargli del male. < Ma ce un'altra cosa e penso che centra in tutto sto' polentone che abbiamo combinato. > Commentò, mentre proseguiva a raccontare: < D'altronde, non sono cose da prendere sottogamba, credimi. In tutti questi quesiti espressi prima dalla contessina Mafalda a suo tempo e ora nei miei sogni

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s'intrufola sovente l'amico Franz. Che spesse volte mi appare in sogno e si parla di tante cose ormai lontane? Ma il fatto è che ci troviamo sempre bloccati in trincea, sul Don in Russia, e tutt'attorno nevica copiosamente... E lui che mi fa sempre strane domande: “Come è diventato grande il tuo Mark!” insomma un sacco di domande su di te? Cose che non ho ben capito come poteva centrare e sapere Franz? Ma sul più bello, pronto ha chiedergli il perché, mi sveglio di botto e tutto rimaneva sospeso fino al prossimo sogno? Ma a dispetto, riparte sempre dal principio il sogno. Strano, strano? > Ripeteva più per sé che per Marco. < Ma, dimmi un po' Nonno Gep, tornando a quel commilitone Franz? Veramente lui, in sogno ti ha chiesto di me? E io assomiglio così tanto a quel povero Franz, morto tanti anni fa in Russia? E solo ora viene ha trovarti nei tuoi sogni? Cose, strane! Troppo strane, non credi? > < Già, hai più che ragione! Tu assomigli maledettamente a lui! Come due gocce d'acqua... Bojafaust! Ah! Lasciamo perdere al momento...> Poi di botto, riprese a dire, come se avesse letto nel pensiero del giovane: < Devi andare al castello, vero? > Borbottò sotto voce, mentre stava per aprire la porta. < Mi raccomando figliolo? Non è come andare al cinema e vedere un film, qui è cosa seria e ne va della tua vita...> < Sì! Devo incontrarmi con Alda e guarda caso, proprio nella sala d'armi al castello? Vedi nonno, che anche nonna Maria è ormai entrata in questo girone di fantasmi e anime perse. Spero che questa volta Alda mi racconti proprio tutto... Ma non temere nonno, Tutti i tasselli andranno finalmente al posto. Devo solo arrivare là, prima di mezzanotte, l'ora dei fantasmi, vero? > Mentre guardava fuori oltre la finestra, la luna e le stelle erano comparse in cielo.< Sono più che sicuro adesso, che tutto si spiegherà chiaramente. > Spiegò Marco, mentre si prendeva il giubbotto. Il garibaldino si grattava la testa e aggrottava la fronte, prima di uscire dalla stanza nel brontolare qualcos'altro verso il giovane: < Comunque vada figliolo, devi fare attenzione e ascoltare soltanto quello che senti dentro di te. E' la cosa più giusta da fare, quella che hai dentro al cuore... Buona fortuna Mark! > E se ne andò deciso sbattendo la porta. Marco avrebbe voluto rincorrerlo, ma non lo fece. Restò a guardare oltre la finestra il cielo stellato, forse a cercare la sua buona stella?

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Capitolo Dodicesimo

Da poche ore aveva smesso di piovere, il vento di tramontana aveva spazzato via le ultime nuvole tardone e la luna alta in cielo illuminava tutto il lago Maggiore. Sul lago regnava una calma strana e imprecisata, tutto era annunciato da uno sordo silenzio. Marco era più che consapevole di quello strano silenzio e cambiamento, sembrava una fortuita coincidenza in tutta quell'avventura che si apprestava ad entrare. Mentre pensava e rimescolava il tutto, immaginando che forse lui, risulterà l'intermediario dal passato al presente, o viceversa? “Forse il duca Ghibelli centrava? No quello era il cattivo della storia passata”. Commentò mentalmente Marco, mentre si aggirava nella corte del castello, in attesa della sua adorata Alda, pensava e ripensava il tutto mille volte ancora. Erano le 23.00 di notte e ancora la giovane non si vedeva arrivare? Lui si sentiva abbastanza teso, pensando ancora alle sue idee strampalate e alle prossime mosse da fare: “Forse dovrò aiutare lo scudiero per, fare? Spero solamente che si sbrighino nel decidere, cosa?” < Accidenti! > Sbottò agitato e pronto a rompere l'incantesimo centenario. Poi si portò dentro al salone disastrato delle armi e si guardò attorno con la torcia che si era portato. Mentre nervosamente si rovistava tra la mano in tasca, l'accendino che non aveva mai usato, ma lo teneva come un porta fortuna. Un piccolo souvenir torinese. Poi un leggero rumore lo distrasse, proprio mentre la luce della torcia faceva delle bizze e senza saperlo estrasse deciso dalla tasca l'accendino per illuminare qualcosa con la piccola fiammella. Ma qualcosa gli passò tra i piedi e distrattamente gli cadde di mano l'accendino cadendo dentro una stretta grata sul pavimento, scomparendo. Mentre sbatteva la torcia con la mano e s'accendeva, poi cercò il suo accendino. Ma nulla da fare era sparito nel profondo della piccola grata a terra. Marco era dispiaciuto per la perdita, pensando che l'aveva ricevuto da una cartomante a Torino, quand'era ancora giovane e si era recato dalla donna a portarle un pacco dalla tipografia del suo convitto. E la madamin, la signora Vera. Lui se la ricordava molto bene. Appena entrò lei lo guardò un po' sorpresa e poi mentre lo ringraziava per il pacco gli disse: “Aspetta ragazzino! Ecco per te questo piccolo accendino. E' un piccolo dono che un giorno ti porterà fortuna.” Marco ricordava bene la

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sua risposta: “Ma io non fumo signora madamin!” E lei rispose per la riconoscenza, dicendogli ancora: ”Sciocchino, non è per fumare che ti fa male al farlo, ma per ben altro ti servirà. Ti porterà fortuna. Credimi!” Marco si ricordò che se lo infilò in tasca aspettando che la fortuna arrivi e ora ecco, perduto! < Peccato? > Borbottò sotto voce, mentre con la torcia tentava di esplorare la piccola grata centenaria. Poi si ricordò che aveva ben altra da pensare in quel momento, dove era in attesa di qualcosa di molto impostante e significativo per lui, in quel posto pieno di misteri. Dove aleggiava tutt'attorno grevi premonizioni e alla fine Marco si lasciò guidare e svuotare dai pensieri e ricordi lontani nel tempo, imperscrutabili fenomeni metapsichici e dove la mente si destreggiava ad immaginare impalpabili creature avvolte da luce tenue e luminescenti che aleggiavano in quella sala d'armi secolare. Marco era ormai più che sicuro che da un momento all'altro si troverà Alda li, di fronte. Non sapeva bene, ne dove e come, ma se lo sentiva dentro, in un fremito che l'assaliva senza poter reagire d'istinto. Ormai non aveva più premura di aspettare, sapendo che aveva dinanzi tutta la vita. Marco camminava con noncuranza in quell'ampia sala fatiscente, immaginando di scoprire per caso una secolare tomba? Mentre un brivido si sentì addosso, a pensare di veder uscire una figura misteriosa e surreale dall'oltretomba e vederla fluttuare nell'aria liberamente. Poi all'improvviso tralasciò quei fantasmagorici pensieri e si portò accanto al grande camino mezzo diroccato, vi era stato qualcosa che l'aveva disturbato, soltanto un gran silenzio ormai aleggiava la dentro. Persino i topi che si rincorrevano poc'anzi erano spariti? Marco stava illuminando con la torcia che funzionava a tratti, dei bassorilievi sulle colonne a lato del camino. Quando dal soffitto crollato la luna incominciò a far capolini dentro e si rispecchiava in una pozza d'acqua che si era formata nel pavimento dal temporale di quei giorni. Marco si soffermò a guardare quel riflesso nella pozza e di botto vide apparire la sagoma del dolce viso di Alda che aleggiava a mestizia, mentre lui alzava il capo, la voce di lei gli risuonò nel suo cuore: < Ciao Mark! E' da molto che mi aspettavi? > Bisbigliò al suo fianco, mentre le dava un leggero bacio sulla guancia e lui più che commosso, e confuso ammirava il viso illuminato dalla luna, poi alzo il braccio e con un dito accarezzò una piccola lacrima che solcava il viso di Alda, bisbigliando a sua volta: < Ti amo perdutamente o mia adorata Alda! > Proruppe d'impeto. < Sì, anche io ti amo tanto o messer Mark! > Le rispose felice.

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A quelle parole Marco esplose di gioia nel dimostrare i suoi sentimenti profondi: < Anch'io tanto, tanto! Tanto da sfidare il mondo intero. Ma perlopiù, vorrei sfidare ad armi pari i tuoi avi? O chi per esse siano? Sono veramente stufo di arzigogolarmi il cervello nel pensare se tu sei lei, Mafalda o lei è Alda? Mi comprendi e capisci il mio dilemma? Perché, vorrei tanto vivere la mia vita con te senza intromissione di altre persone o fantasmi chicche siano. Questo vorrei solamente... Io e te. Penso di non chiedere tanto? > Espresse il tutto a cuore aperto. Continuando a dire nella sua foga di sfogarsi: < Al di sopra di ogni cosa, senza l'aiuto di nessuno e tanto meno di loro che d'intromettono continuamente fra di noi? > Alda si irrigidì e alla fine sbottò nel rispondere: < Ma chi sono loro e cosa vai dicendo? > Chiese risentita Alda. < Ma, come? Ora non ricordi più niente? Come chi sono? Invece chi è lei, la contessina Mafalda Rusca, cosa rappresenta? > Ribatté Marco. Mentre lei risentita protestava: < Vedo che proprio non puoi aspettare un minuto in più! Sei il solito dottor Precisini, puntuale, meticoloso e corretto! Mai uno sbaglio un intoppo fai. Vero? > < Beh! Cos'è questo tuo atteggiamento adesso? Ti infastidisce la mia decisione di voler portare a termine questa complicata questione del passato e presente? Io non riesco più ad raccapezzarmi veramente. Accidenti! > Protestò Marco sull'agitato. Capendo al tempo stesso che il tutto stava prendendo una brutta piega. Mentre Alda non per nulla intimorita rispondeva a tono al giovane: < Cosa vorresti dire con questo tuo atteggiamento da paladino al servizio degli oppressi. Cosa vuoi provare? Che tu sei il più forte, solo perché mi ami? E vorresti sconvolgere tutto quello che hanno fatto “Loro” in tutti questi secoli di minuzioso lavoro a ristabilire il maltorto? Per rimettere insieme le speranze i desideri fatte in punta di morte? Dimmelo subito! Ora cosa vorresti fare tu o messer Mark? Se non sai, con chi hai a che fare, o giovane inesperto Mark? Tu stai sfidando le forze dell'ignoto. Quelle forze che hanno saputo resistere al potere malvagio, nel segno della fede e la speranza alla vittoria. “Loro” Hanno riposto in te la loro fiducia, messer Mark? E solo tu puoi cambiare il corso della vita passata e presente! Ora la stai buttando via così, come se fosse niente. Nulla!? Ma perché sei così testardo? Nel tuo cuore sta' sparendo l'amore per il prossimo e stai diventando freddo ed egoista. Rispondi? > Le domandò Alda preoccupata, per l'ora che avanzava drasticamente, verso mezzanotte?

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Marco era più che mai confuso, oltre che arrabbiato nel non capire un bel niente, in quell'atteggiamene della ragazza e prorompe deciso: < Per favore Alda vuoi star zitta un momento e ascoltarmi? Nel darmi il tempo di capire fin dove la mia capacità di memoria si è atrofizzata qui sulla terra e non al centro dell'universo, tra misteriosi fantasmi che aleggiano ha tormentare e pretendere dai vivi cose impossibili? > Per un buon momento si era fatto un silenzio tra loro. Poi Marco si ravvede, capendo che non può per una sua testardaggine rovinare tutto. Si avvicina ad Alda e le sussurra con semplici parole di scusa, per l'impeto che gli era sfuggito di mano: < Alda per favore, non sciupiamo tutto questo? E' troppo impostante per me! Tu sei la persona con cui desidero percorrere al tuo fianco la nostra vita. Aiutami ha capire? E' estremamente importante capire da parte mia. Nel comprendere e darmi una saggia spiegazione? Ti prego parliamone con più calma. > Espose dispiaciuto. < Veramente lo vuoi? > Chiese Alda con un fil di voce che sembrava ancor di più un sussurro. < Sei veramente disposto ha sapere la verità? > < Sì. Lo voglio! Non posso più aspettare oltre Alda... > Per un attimo un silenzio tombale si era formato in quella sala disastrata e poi, come d'incanto il rintoccare della mezzanotte dal campanile di Luino oltre il lago e subito il rintocco delle campane di Cannero ad annunciare l'evento delle ore che fuggono via senza ritorno. Ed a ogni rintocco era come ricevere un tonfo al cuore per entrambi. All'improvviso quel posto era diventato così tutto surreale e fantasioso, in quel susseguirsi di eventi repentini, dove sensazioni strane aleggiavano fra quelle mura centenarie. Un piccolo gemito era uscito dalla bocca di Alda, mentre afferrava la mano di Marco stringendola fortemente alla sua, mentre lui la fissava stupito per quella sua agitazione. Pensando che solo la fiducia in quell'amore che li univa lo rinfrancava, da sentirsi protetto come avvolto da un involucro di vetro. La luna illuminava il volto di Alda, mostrando e le sue labbra colpite da un irrefrenabile tremore, da non riuscire più a parlare. Pareva avesse premura e paura, poi alla fine a fatica riuscì a dire: Messer Mark! Sei veramente disposto ad andare avanti? Oltre e seguirmi oltre le barriere dell'ignoto e dell'impossibile? Ma bada o messer Mark, se accetterai non potrai più fermarti e tornare indietro? > Spiegò Alda tra tremori irrefrenabili. Marco aveva compreso più che bene ed era giunto al momento più cruciale e ogni ripensamento era ormai superficiale. Capendo che non vole e non poteva cambiare il corso già predestinato della sua vita

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e della sua ragazza. Sapendo più che bene che quell'amore era e resterà troppo grande per rinunciare. < Sì! Sono pronto Alda per seguirti ovunque tu mi porti. Nulla cambierà e impedirà il mio amore per te! > Marco sentì la stretta di mano aumentare e con un filo di voce Alda gli sussurrava: < Allora chiudi forte gli occhi e non aprirli per nessuna ragione al mondo. Intesi! Devi soltanto ascoltare solamente la mia voce e aver fiducia ad ogni evenienza e tutto procederà come il destino è stato da tempo indicato. Obbedisci soltanto al tuo cuore, perché so che non mentirai. Abbi fiducia e nulla ti capiterà messer Mark! > < Non temere ti seguirò ovunque, amore! > Rispose Marco tra l'euforia e la paura di sbagliare qualcosa. Nel pensare ti trovarsi da un momento all'altro al cospetto di qualche fantasma del passato. Poi spostò il suo pensiero alla sua ragazza e tutte le preoccupazioni svanirono all'istante. Aspettando che lei incominci a parlare e gli racconti tutto.

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Capitolo Tredicesimo

In quegli attimi successivi stava capitando qualcosa d'inspiegabile, strani cambiamenti, mentre l'aria s'increspava di indecifrabili odori, come se si stava producendo un'esplosione di forze imprecisate attorno a loro. Marco avvertì distintamente un forte abbassamento della temperatura attorno al suo corpo, qualcosa di gelido sembrava alitarsi attorno a loro. Poi un vento che sembrava turbinare sempre più vorticosamente attorno, da smuovere i suoi capelli ricci e biondi. Mentre l'aria sempre più gelida l'avvolgeva tutto dalla testa ai piedi e sul suo viso alitava qualcosa d'impalpabile e gelido che l'accarezzava ripetutamente. Marco sentiva dentro di sé aumentare la paura e un tremore l'aveva colto all'improvviso mentre un forte e assordante ronzio gli stava provocando dei dolore ai timpani. Il turbinio attorno aumentava in dismisura da fargli scordare la nozione del tempo. Si sentì sollevare e scagliare contro le colonne del vecchio camino o qualcos'altro. Marco era sul punto di aprire gli occhi e guardare in viso quel demone che lo avvolgeva. Mentre tentava di afferrarsi ad una colonna per resistere ha quelle forze intriganti che l'avvolgevano, poi l'istinto battagliero lo rinfrancò e attese la fine, forse la morte per davvero? Ma per fortuna la mano che stringeva a sé con forza lo incitava a resistere. Ma al tempo stesso, quella mano la sentiva sempre più fredda, gelida e dura, pensando e supponendo paradossalmente, fosse d'improvviso diventata di marmo dal gelido e tocco indefinito. Per fortuna che la fiducia riposta in Alda era enorme e nulla poteva intaccare quel loro amore innocente. Poi qualcos'altro stava investendo Marco, da sentirsi addosso un gran calore e una luce abbacinante tentava di oltrepassare le sue palpebre serrate all'inverosimile. Percepì qualcosa che si stava impossessando del suo corpo passivamente, qualcosa che sentiva scivolare dentro di sé attraverso il suo respiro, divenuto affannoso e difficile da controllare, come i battiti del suo cuore erano aumentati velocemente all'inverosimile. Istintivamente si sentì addosso una specie di doppia personalità. Captava strani comportamenti nel suo corpo e qualcosa stava cambiando in lui, inerme a reagire, ma cosciente al cambiamento. Trovandosi a riflettere sulla scoperta di quel mistero arcano e centenario. Marco si sentiva

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trascinare al centro di quella luce accecante che lo trasportava in un'altra dimensione. Quel pensiero era più che veritiero, ma al tempo stesso capiva che la sua memoria era sempre eguale. Quella del giovane Darwin. Mentre pensava di essere proiettato, forse tra i morti viventi? In quel fluttuare nell'aria vorticosamente. Con tenacia teneva sempre gli occhi chiusi a ubbidire all'ordine della sua amata Alda. Marco si sentiva frastornato, era ormai preso da quel grande gioco tra finzione e realtà, percepito chiaramente dal suo subconscio, da sentirsi risucchiato nell'universo ignoto. Eludendo la paura che tentava di possedere e sdoppiare la sua memoria. Marco tentava di colmare le lacune formate nel mistero che andava ad esplorare, troppo subdolo e intrigoso. Ormai il viaggio era iniziato e la volontà era esagerata nel reagire a voler scoprire cosa gli riservava alla fine di quell'assurdo viaggio. Il turbinio aveva assunto le dimensioni di un vero tornado, Marco si sentiva sballottare e vorticare tremendamente, tra lampi e tuoni che aleggiavano attorno. Temeva di non riuscire a resistere a quel frastuono senza aprire gli occhi e vedere la morte in faccia. Si concentrò a resistere nell'intento di combattere i demoni contrari, mentre gli sembrava di percorrere a ritroso il tempo, che gli apparivano sprazzi di tempi e epoche lontane e sfrecciavano via velocemente dalla sua memoria ingarbugliata tremendamente. Mentre frammenti della sua infanzia si affacciavano velocemente hai suoi pensieri stracolmi di storie e paure. Forse centrava la sua paura, che aveva obbligare il suo subconscio ha rifiutare di scavare nel suo passato e scoprire la verità latente, in quei misteri oscuri che si proiettavano dell'aldilà? Soltanto ora scopriva con sicurezza che quei sogni nella sua infanzia, erano veri e la ripetizione era ben memorizzata nella sua memoria sin da piccolo, ha scoprire quelle amenità che gli appartenevano e venivano chiaramente a galla. Soltanto in quel momento, in mezzo a tutto quel turbinare di sensazioni, capiva che lo stavano riportando nel passato di quegli avi sconosciuti. E le visioni a sprazzi, di quei posti centenari lo confermavano. Marco immaginò, cosciente la sua traslazione nel passato? Poi s'accorgeva che quella luce abbacinante e fantasmagorica si smorzava, a sbiadire via gradualmente, lasciando il posto a dei scenari del suo passato misterioso, dove avvenimenti gli apparivano così distorti. Marco si trovò ad occhi ben aperti a guardarsi attorno spaesato e meravigliato da ciò che vedeva per la prima volta. Ma al tempo stesso curioso di sapere e capire quel drastico cambiamento e rammentava che

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nei suoi sogni si arresta sempre un attimo prima di fronte all'incognita di quei posti immaginari. Luoghi strani e sinistri, misteriosi e molto lontani nel tempo, che si accavallavano gli uni sugli altri, annullando il presente per riportarlo in altre dimensioni contorte. Forse era l'entrata nel passato che la sua memoria infantile si bloccava per la paura dell'ignoto? Marco si stava contorcendo di domande trapassate. Capendo all'istante che era ormai piombato all'indietro, nel passato. “Nel bel mezzo del Medioevo!” Pensò preoccupato? “Dove mi ha portato Alda?” Poi di colpo si ravvede e capisce che Alda non è li con lui tra i campi di frumento pronto a maturare. E tra le mani non sente più la mano di Alda? Lui stringe delle strisce di cuoio nere e all'istante si gira e si trova un bellissimo cavallo bianco che sbuffa nervosamente alle sue spalle. Marco è troppo frastornato dei repentini eventi e non si accorge del suo abbigliamento ormai diverso e cambiato nel tempo. Indossa l'usbergo e una cotta di maglia di ferro e alle gambe calza dei gambieri del medioevo, alla vita fissato al cinturone una grossa spada e sull'elsa era impresso lo stemma di casta nobiltà dei conti di Biandrate. Mentre si guarda attorno in cerca della sua dama, Alda dove sarà finita, sparita in quel tremendo frastuono? Pensando che quella sparizione non era contemplata nei patti. “Ma quali patti?” Rimescolò tra sé sull'incavolato e cosa sta' faceva lui li, tutto solo in mezzo alla campagna? Be', almeno aveva un cavallo per compagnia. Poi l'animale spazientito lo sospinge col muso a muoversi e Marco si trovo a dialogare con lo stallone senz'altro amico: < Bene! Allora mio bel Lampo, cosa facciamo adesso? > Si trovò a parlare a voce alta e sapeva che quel cavallo si chiamava Lampo. Capendo che doveva seguire l'istinto e procedere per ordine, per riuscire nell'intento. Mentre cercava attorno la presenza di Alda, ormai sparita, chissà dove? Forse, si trovò a immaginare che si stava recando da lei, ma dove? Questo ancora non lo sapeva. Poi sbottò deciso sull'imprecisato: < Accidenti! Mi sto' recando ad Ascona sul lago Maggiore, devo prendere servizio come scudiero dai conto Rusca, sono inviato da mio zio il conte di Biandrate. Ecco! Cosa sto' facendo... > Precisò a sé stesso, mezzo soddisfatto per la scoperta.

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Capitolo Quattordicesimo

Poi Marco incominciava a comprendere come funzionava la sua ingarbugliata memoria, ed a fatica sa di riuscire ha manipolare con ferrea volontà impressa al suo pensiero, nello spostarsi ad altri momenti. Capiva che poteva spostarsi nel tempo e luogo. Perciò, senza immaginarselo si trovò che trotterellava sul suo bel cavallo, su di una strada campestre. Mentre al tempo stesso sapeva e si ricordava di appartenere al futuro, sebbene era al momento nel passato. E si rammentò con un leggero sorriso del nonno garibaldino e del suo racconto dell'incontro col fantasma sul castello a Cannero e lui che veniva da Torino e aveva incontrato Alda? “Acciderba!” Manifestò mentalmente quel fantastico incontro. Lei si, che era la sua vita, la sua ragazza, il suo amore! Ma dov'era in quel momento? < Accidenti! > Si trovò a imprecare, mentre s'interrogava negativamente. Poi si acquietò e si obbligò a seguire l'istinto, e persistere e aver fiducia nella sua ragazza, all'evidenza di quei fatti inspiegabili al momento. Mentre il sole volgeva al tramonto e il bel destriero procedeva tranquillo, tra il rumore della spada che batteva sullo scudo al fianco al ritmo degli zoccoli ferrati dell'animale, tra ciottoli e la terra polverosa del viottolo campestre. Nel campo poco lontano vedeva degli umili contadini dai vestiti atavici e logori che zappavano la terra, sotto una grossa quercia un paio di buoi stavano riposando, a lato della strada un aratro di legno era deposto per un prossimo lavoro. Tutto era arcaico e antico, e Marco lo doveva ammettere era veramente finito all'indietro nel tempo. Ammirò tutt'attorno curioso, pensando di aver già visto quei luoghi, ma dove? Al cinema o nei suoi sogni infantili? Si trovò ad avere la gola secca e pensò all'acqua, mentre già si trovava a bere dalla sua mano, messa sotto la fontanella del piccolo borgo rurale di Casalvolone e poco distante il castello padronale. Poi riempì un secchiello di legno a lato della fontanella e invitò il suo bel Lampo a dissetarsi. Capendo sempre di più che che bastava un niente per spostare il momento espresso dal suo pensiero. Rimontato in sella, mentre usciva dal piccolo borgo veniva salutato con riverenza da pochi paesani e i ragazzini sorridenti che lo rincorrevano a festa e Marco si trovò a frugare nella piccola sacchetta di pelle legata alla cintola, ed estraeva un po' di monetine per lanciarle ai fanciulli in euforia.

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E ancora come d'incanto volse il pensiero per accelerare i tempi, per trovarsi a Biandrate nel bel mezzo del cortile del castello fortificato. Nella grande corte Marco si guardò attorno e dall'alto della grande scalinata a gomito che conduceva alla parte centrale del maniero, si ergeva sulla sommità un nobile alto e austero e si trovò disorientato dal saluto che l'omone gli esponeva e per un attimo Marco si guardò attorno a capire se il saluto era diretto a lui o altrove. Quella presenza al momento gli incuteva un po' di paura, capendo che era lo stesso personaggio che aveva per molti anni visto in sogno. Poi la voce imperativa del nobile lo risvegliò dal suo aggrovigliato sogno o realtà. < Finalmente sei giunto a codesta mia dimora, giovane Marcucci! > Marco sul momento si trovò spaesato, nel non sapere cosa dire al nobile tutto impomatato a festa. Senz'altro era il padrone del castello? Lo zio, il conte Darvino di Biandrate. Mentre il signore del maniero continuava a dire: < E mi rallegra la tua visita, in questo tua atto cortese di accettare la mia richiesta. Spero che tu abbia fatto buon viaggio nipote! > < Sì, mio Signore! > Rispose Marco senza nemmeno rendersene conto. Mentre il nobile zio continuava a dire. < Di questi tempi dove i briganti sono presenti in ogni angolo e anfratto in attesa del malcapitato viandante. Ed è molto difficile andare per la via. Ed è gran villania e io ne patisco non poter fermare tali scempi oggigiorno. N'ebbi gran gioia saper che sai destreggiarti con maestria con la spada che ti donasti al tuo decimo compleanno, quando venni a trovarvi nel vostro casato a Piacenza. E ho saputo che sai usarla molto bene all'occorrenza. > Marco era affascinato da tutto quello che lo circondava e stava apprendendo un sacco di cose, che non avrebbe mai supposto e scoperto nel novecento. Mentre ammirava e ascoltava con interesse quel linguaggio ancestrale e si trovò a dire: < Il vostro regalo lo gradito messer Zio, e all'occorrenza mi è stata di grande aiuto a intimorire i briganti. > < Bene! Vieni nella mia dimora che ti presento ai tuoi parenti, Sei il benvenuto nipote Marcucci! Così potremo discutere sul perché di questo mia richiesta a mio fratello Giovanni. Come dal plico che il mio vassallo ha recato al vostro casato in Piacenza. Riferendomi all'accordo che ho proposto a Giovanni a suo tempo, nell'incontro in usbergo a Orta dopo la battaglia contro la famiglia dei Mezzarditi, ladri e criminali da strapazzo. Allodio di possesso di terre confiscate e obblighi feudali. E per l'incarico di prestigio che vorrei affidarti o Marcuccio. E' di te che abbiamo discusso

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con tuo padre tra una quantità di boccali di vino dei miei vigneti di Ghemme. Quantunque, per abbreviare la mia volontà a prestare la tua spada al servizio del conte Arduino Rusca di Ascona, nella confederazione Svizzera. Nostri alleati e miei cari amici. Comprendi nipote Marcucci? Per questo vorrei che si consolidi la nostra alleanza con i conti Rusca in questa guerra fratricida che stiamo disputando contro Novara e Vercelli che tentano di impadronirsi dei miei territori. Qui a Biandrate siamo per ora i più forti con armieri ben addestrati e pagati bene. Ma ci occorre manforte dagli Svizzeri. Convieni al compromesso o caro nipote! Se tu sei disposto di accettare questo atto di cortesia nei miei riguardi, saprò ricompensare come si deve a un cavaliere del nostro casato. Poi sotto la saggia e severa guida del Balivo e castellano di Locarno imparerai a governare con lealtà e giustizia il nostro casato. > < Messer Zio, io non voglio usurpare e impadronirmi dei beni altrui. Accetto volentieri questo compito che mi assegnate e vi servirò devotamente. Sono giovane, ma so mantenere la parola data. > < Questo lo ben capito già da molti anni, sulla tua lealtà nipote. Tu sei l'unico discendente maschio dei Darvino e per tanto aspetta a te l'arduo compito di guidare le nostre casate alla vittoria. Per i conti di Biandrate, Urrà! > Propose il conte, alzando il calice di vino che un serviente aveva deposto sulla tavola di noce massiccio. Marco si unì al brindisi assaggiando quel nettare di vino proveniente dalle loro terre. Pensando che gli era tutto difficile tradurre quella sua duplice personalità interiore. Trovandosi incredulo fra realtà e finzione e quel sogno strappato dal suo pensiero era più che veritiero, come pura era la sua consapevolezza in quel momento di traslazione nel tempo e la realtà nella fantasia. Sapendo più che bene che ora in quel momento era nei panni di quel Marcucci Darvino, erede dei conti di Biandrate. Ma al tempo stesso pensava di non fare la fine grama di quel povero scudiero decapitato anni addietro? Egualmente era anche curioso di saper come andrà a finire quella ripetizione della storia? Ma al tempo stesso si sentiva un po' rassicurato, Alda gli aveva promesso che nessuno si sarebbe fatto male e tutto sarebbe andato per il meglio? Mentre pensava, un po' seccato: “Se alla fine non ci sarà più un risveglio da questa avventura, e rimanere assieme ai trapassati non sarebbe bello? Acciderba!” Sbottò tra sé mentalmente, pensando, dove sarà mai finita Alda il quel momento di traslazione nel tempo? “Forse è rimasta nel novecento, tra le mura diroccate del maniero dei Malpaga? O la ritroverò

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ad Ascona, o a Lugano? Forse a Cannero più avanti nella storia? Alda mi aveva assicurato che “loro” avevano messo tutto quel tempo per ricomporrere quel intricato mosaico. E io dovrò ripercorrere lo stesso percorso e preciso momento, saranno eguali, identici e all'ora? Perlamiseria!” Sbottò mentalmente sull'imprecisata supposizione di una non chiara fine. “Dev'essere così, altrimenti tutto questo ambaradan, non avrebbe senso?” Rimuginò il tutto al presente, capendo che doveva nel suo percorso atavico di tentare a cambiare qualcosa nel passato. Mentre Marco, tentava di riordinare le idee, sue o dell'altro? Quello era il dilemma sorto al momento, da sentirsi asserragliato e la sua gran voglia di correre e spostare il tempo, per lenire i suoi pensieri confusi, dove intuiva che la magia era una forza operante e se avrebbe usato i suoi poteri di chiaroveggenza e telepatia, avrebbe percepito le varie sensazioni che aleggiavano attorno e trovato un punto di rottura a infrangere olocausto. Per trovarsi poi di colpo, traslato in un altro castello buio e tetro, ma quale fosse, ancora non lo sapeva?

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Capitolo Quindicesimo

Marco si trovava sulla torre d'angolo del castello fortilizio di Locarno, era lì da un po' appoggiato tra i merli di difesa su beccatelli e scrutava l'orizzonte sulla sponda del lago Maggiore, l'alba era già da molte ore spuntata. Il suo sguardo dominava l'ampia distesa sulla superficie dell'acqua e in quel momento gli appariva più che magica, sotto quei riflessi indorati del sole, da poche ore uscito oltre i monti che costeggiano il lago e filtrava tra le nuvole bianche in cielo. Il lago era di un così piacevole colore blu turchese, che a volte trasmigrava sul verde azzurro e poi nei giorni di burrasca increspato dal vento di tramontana si incupiva a formare sulle cime delle onde quello spumeggianti creste bianche. Marco era lì, che si godeva quella meraviglia del creato, che prima d'allora non aveva mai visto così bene, se non al cinema o letto sui libri della biblioteca dell'ospizio di Susa. Mentre constatava che in quella visione nell'antico il lago era veramente bello e spoglio da case i villini, città, che sorgeranno come funghi nell'era moderna, oltre il frastuono dei motori e quant'altro. E ormai piombato lì, nel milletrecento, dove la pace e il verde erano i padroni incontrastati del luogo. Marco stava aspettando di vedere apparire la grossa barca del duca Filippo Ghibelli e dei suoi armati. Ancora non sapeva bene di quella sua apprensione che si sentiva addosso nell'attesa, ma forse di ragione ve ne erano più di una. Senz'altro era il rancore che lo scudiero Marcucci Darvino, aveva verso quel duca del cavolo, che avrebbe sposato e portato via quel suo amore platonico per la contessina Rusca a farlo apprensivo. Marco non sapeva ancora esattamente l'arrivo di quel duca arcigno e la sua corte di spie e ruffiani, oltre la sua numerosa truppa che si portava sempre appresso, per difesa detta da lui, oltre la paura di qualche tradimento da mano ignota e spedito al creatore. Ma altrettanto una scusa per eventuali momenti di bisogno dei suoi armati, pronti a spadroneggiare e impossessarsi delle proprietà altrui gratuitamente. Doveva arrivare lì a Locarno per poi recarsi a Lugano nel proprio casato in attesa per il lieto evento delle sue nozze con la contessina Mafalda Rusca. Un matrimonio combinato di accordo tra nobili, per avere il sostegno dalla confederazione Svizzera a difesa del proprio feudatario e casato in Lugano. Pertanto il

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conte Arduino Rusca come nobile di spicco, essendo il cancelliere capo della suddetta lega e confederazione Svizzera, da coltivare con interesse come suocero, poi oltretutto già molto avanti con gli anni. Pertanto? Marco il giorno prima, aveva visto partire in fretta e furia quei signori nobili e temerari del circondario, Così dicevano i cortigiani ciacoloni: Si erano recati oltre sponda del lago a controllare le proprie terre e proprietà dislocate un po' ovunque. Al momento contese dai valligiani del varesotto, pronti ad unirsi ai visconti di Milano, contro la tirannia del duca Ghibelli. Feudatario del contado sottratto ad altri. A quel punto il duca Ghibelli tentava di ristabilire i propri diritti di brigantaggio sul territorio conteso, aumentando i soprusi usati e le tasse per pagare l'aumento di truppe a difesa. Ma quelle dimostranze erano soltanto fatta dalla povera gente, stufa di dissanguarsi a sborsare quei tre ducati che avevano messo in disparte. Purtroppo anche per loro era difficile capire quale padrone era il migliore, sia da una parte che dall'altra, tutti volevano solamente tartassarli fino al midollo e appropriarsi dei loro pochi averi e sfruttarli al massimo delle loro forze umane. A quel punto, di tutto quel rimuginare di avvenimenti in testa, Marco si trovò a dire tra sé sull'imprecisato: “Come sarebbe bello vedere colare a picco la nave del conte arcigno. M'ha veramente il viso arcigno, se non lo mai visto nemmeno in sogno? Beh', insomma, dovrebbe sposare Alda... No! Quell'altra, Mafalda. Accidenti che confusione!” Brontolò Marco pensieroso e quasi pronto a pensare ad altro nel cambiare il tempo. Ma al momento non poteva e non voleva spostare l'attimo successivo. Doveva un po' seguire la storia ancestrale e poi semmai cambiare? D'altronde fino a quel momento non aveva avuto più notizie di Alda e dove fosse andata a finire? Nemmeno Mafalda, ancora non l'aveva vista in quel tempo antico? Era tutto da scoprire l'incantesimo ancestrale.Marco in quel suo bivaccare nel castello dei conti Rusca, faticava a comprendere quel dialetto locale, un miscuglio di lingue , un po' di tedesco e francese, oltre al cantonese. Rammentando che giorni prima passando presso la grande cucina del maniero Rusca, aveva per caso sentito spettegolare le serve intente a riassestare il salone dei commensali. Proprio mentre una stava dicendo alle altre donne: < Sapete che la baronessina Viola, sì, quella! La figlia della baronessa Kruber, gli ospiti del padrone Rusca. Insomma, lei la giovane santarellina, ha ricevuto visite nella sua stanza, poche sere fa? > Espose sottovoce, mentre si guardava attorno. < S', davvero! Ma da chi? > Chiesero le altre incuriosite.

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< Ha avuto una visita... molto audace! Ha raccontato la balia. Con quel giovane cavaliere venuto dall'Italia. Quello che dovrà fare da scudiero alla nostra padroncina Mafalda, appena rientrerà da Ascona. Insomma capirete... > Mentre si passava la lingua eccitata sulle labbra umide. < Proprio quello! Il cavaliere Darvino Marcucci? > Annunciò con sorpresa la serva più furbetta e riprendendo a dire: < La balia ha raccontato che hanno fatto cose impronunciabili. Cose immonde da scomunicare... > Marco a quelle rivelazioni si sentì avvampare il viso e arrossire, mentre si ritraeva dietro un colonna ad evitare di essere visto. Mentre l'altra continuava a dire: < Per Santa Julita! Proprio quello? Però! Com'è bello! Alto biondo con gli occhi azzurri, come il lago Maggiore in primavera. Dio, mio! Lo farei anche io un così piacevole peccato di gola! > < Ma sei proprio spudorata Santina! Ti sei appena fatto il cuoco e il servitore Vito, che a parer di Rosalba è ben fornito e disponibile... >A quel punto Marco cercò di sgusciare via, stupito da quel suo comportamento al pensare al temerario Marcucci che si sollazzava con le signore in visita al casato padronale. Ma capì di essere stato visto dalle servienti e d'impeto proruppe deciso nel chiedere: < Buone donne, sapete se la contessina Mafalda è già rientrata al castello da Ascona? > Le serve ammutolite al principio, avendolo visto sgusciare fuori da dietro una colonna e infine una rispose, facendo un leggero inchino: < Sì, messere! La contessina è arrivata stamane presto all'Audi e si è ritirata con la sua balia nelle sue stanze e sta ancora riposando, messer Darvino. > Mentre si guardavano tra loro un po' spaventate di essere state colte a spalare dei nobili ospiti al castello. Marco senza chiedere altro se ne andò via, sapendo per certo cosa avrebbero borbottato dopo le donne rimaste sole: < Hai visto, che faccia tosta quell'italiano! Mi sa' che quello si prepara ha farsi anche la nostra contessina? Per Santa Julita, che la guardi dai malintenzionati! Guai se lo viene a sapere messer conte Ghibelli? > < Succederà un macello qui al castello! Senz'altro... >

Marco stava ancora sorridendo al rievocare l'accaduto, mentre preferiva e sperava che la nave del nemico affondi. Peccato che il tempo quel giorno era meraviglioso e nessun temporale si profilava all'orizzonte. Era proprio il caso di aver fra le mani un bel bazooka moderno e tutto si sarebbe risolto in un bel botto oltre le fiamme ad incenerire il resto. Marco avrebbe voluto voltare pagina, ma al tempo stesso temeva per Alda di non ritrovarla, se lui

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avesse spostato il tempo altrove e pertanto rinunciò e aspettò gli eventi già avvenuti nel tempo passato. Poi si spostò di qualche passo a ridosso di una porta vetrata e si rispecchiò dentro. Marco si stupì al vedersi vestito a quel modo antiquato, in quella cotta in lana colorata che indossava ma, al tempo stesso l'affascinava quella sua riviviscenza nell'antichità del passato, ad aver quasi paura a pensare e pronunciare quell'accordarsi con l'oltretomba. Forse era veramente trapassato anche lui e nemmeno lo sapeva di preciso, però capendo che la memoria era al moderno, m'altrettanto all'antica. “Per le mie statue!” Sbottò. Poi lo sferragliare di metalli lo fece voltare nel scorgere il cambio di ronda sugli spalti del castello. Un ufficiale lo salutò con discrezione e proseguì nel suo servizio d'ispezione. Ad un certo punto gli parve di sentire qualcosa che l'avvolgeva e l'alitare di un venticello che non c'era, lo impensierì quella strana sensazione ha rimanere all'erta. In quel momento non aveva armi con sé e se avesse subito un attacco da infatui nemici si sentiva allo scoperto e ben sapendo che poteva capitargli di tutto, non conoscendo bene la storia di quei avi che l'avevano coinvolto di prepotenza. Poi, all'improvviso una forte agitazione l'assalì e gli fece battere il cuore in dismisura. E vi fu veramente qualcos'altro che lo fece scuotere e risvegliarsi da quel guazzabuglio che l'imbrogliava. Sentì una voce famigliare alle sue spalle, ma al tempo stesso la sentiva così strana, dalla tonalità imperiosa, da farlo voltare di colpo e vedere chi mai fosse? < Già di buon ora alzato o messere? Darvino se non sbaglio! > Marco era rimasto bloccato di fronte a tanta bellezza della giovane gaia e sorridente, avvolta in quel vestito di velluto rosso porpora, così sgargiante in quel sole di primo mattino e rifletteva sul visino diafano della giovane, risaltavano gli occhi scuri e vispi, oltre la lunga chioma nera che ricadeva sulle ampie spalle del vestito scollato e compresso nello stretto busto a far risaltare il seno che s'intravvedeva buona parte. Marco era più che mai turbato, nel tentare di capire quale delle due era. Mafalda o Alda? Poi si ravvede salutandola con un semplice inchino col capo e d'impeto si avvicina deciso quasi a volerla abbracciare, ma la mano di lei s'intrometteva a fermarlo, mentre furbescamente porgeva solamente la mano da baciare come d'obbligo. Marco si ravvede e con fare di rispetto s'inchina a salutare la damigella come si deve all'occorrenza, rispondendo impacciato: < Perdoni il mio ardire madamigella, dalle mie parti donde vengo siamo più alla pari tra familiari e parenti. Vogliate accettare i miei omaggi! > Si scusò con quella banale scusa inventata. E lei sorridendo

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rispose: < Ho già appreso delle Vostre brutte abitudini italiane, o messere. Ma vi perdono! Visto che dovrete assecondare le mie stramberie. Così mi ha comunicato il conte mio padre. Voi sarete il mio scudiero messer Marcucci Darvino! E sono grata hai miei tutori e genitori che hanno scelto un giovane della mia età, invece del vecchio e stanco staffiere che volevano accompagnarmi. > < Ed io sarò bel lieto di essere il vostro scudiero madamigella Mafalda. Sarò il vostro Lancillotto fedele e porgere la mia spada in Vostra difesa. > Marco espresse con ardire, capendo che il linguaggio che usciva dalla sua bocca era d'un modo antico. Mentre lei lo fissava sorpresa a chiedere: < Quale parola usate o messer Marcucci. Lancillotto? > E prontamente Marco si ravvedeva e riformulava la risposta: < Ah! Lancillotto. Sì, madamigella! E' un modo nuovo Inglese, per esprimersi nell'offrire i propri servigi. Lancillotto è il cavaliere servente. > Tentò di riordinare l'inghippo. Pensando che era tutto troppo strano, capendo che era quell'altro lo scudiero Marcuccio, che talvolta usava la sua voce per esprimere e ripetere i dialoghi del passato in quella lingua arcaica. Marco era rimasto colpito dall'anello che portava al dito, mentre pensava quando e dove l'aveva già visto? Poi dopo il lieve imbarazzo lei gli rispose timidamente convinta: <Sono onorata messer Marcucci Darvino del compito assegnatovi. E so per certo che porterete a termine il vostro incarico egregiamente. Ma ditemi un po' messere, avete fatto buon viaggio, da un così arduo e lungo percorso. Con quei briganti assassini che assaltano i viandanti e forestieri per rapinarli sulla pericolosa via, in pianura e sulla sponda del lago? > < Sì, ho fatto un discreto viaggio e non mi posso lamentare. Ho avuto qualche scontro con poveri affamati e ho risolto il tendenzioso con una manciata di monete. Al confronto di altri più scabrosi viaggi per l'Italia. > < Voi siete modesto messere! Io seppi dal mio tutore e padre, Che voi doveste affrontar diversi briganti nel lungo viaggio da Biandrate a Locarno. Nevvero? > Espose la domanda con un intrigante sorriso. < Sì madamigella! Ne ebbi gran gioia nel confrontare la mia spada con villanzoni per la via. Sebbene sia ancora giovane so maneggiare la spada che mio padre mi addestrò egregiamente. > Rispondendo deciso, mentre osservava curioso la giovane madamigella rimasta un po' stupita dalle sue parole e sorpresa da tanto ardire gli chiese ancora: < Ma a voi, messer Marcucci vi è stato fatto torto. E vi siete ribellato a tal villania? >

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< Certamente madamigella! E lì acconcia per le feste. > Mentre un furbesco sorriso gli era apparso sulle labbra del giovane emotivo. Marco non riusciva più a trattenersi da quella stravagante situazione, dove la sua mente era posta al ventesimo secolo e invece il suo dialogo era veramente arcaico e in disuso. “Accidenti!” Sbottò dentro sé incavolato. Al tempo stesso era estasiato dalla presenza della giovane, Mafalda o Alda? Quando finirà quell'incubo centenario, pensava crucciato in quel momento. Perché non riusciva a capire bene cos'era successo veramente ad Alda? Se lui era stato proiettato nel passato e questo era più che assodato. Ma Alda dove era finita? Mentre un dubbio atroce lo assaliva al solo pensiero che Alda fosse sparita per sempre. “Impossibile!” Protestò dentro di sé. “Ma perché lei non è lei? Insomma qui davanti c'è Mafalda e questo è più che esatto, ma Alda è sparita o è rimasta... ?” < Accidenti! > Sbottò a voce alta, ma subito si ravvedeva correggendo l'inghippo. < Perdonate il mio ardire di parole sconvenienti o madamigella Mafalda! Ricordandomi di aver dimenticato a Biandrate la cotta che fece mia zia per Voi, mia signora. Perdonate questa mia mancanza a vostro riguardo! > < E' già tutto dimenticato. Grazie a vostra zia per il pensiero gentile. Vorrà dire che al prossimo viaggio a Biandrate vi farete un grosso nodo per non dimenticare. Grazie egualmente messere! > < Madamigella, posso dire ciò che penso? > Domandò, mentre lei annuiva e lui riprese a parlare: < Siete obbligata a sposare quel duca? > < E' il volere di mio padre e mi è proibito rifiutare. > Quella domando le faceva male, ma sapeva che ormai il suo destino era segnato. Mentre cambiava la risposta in domanda a sviare il peso che la opprimeva. < Voi messere, avete già fatto venia al duca Ghibelli per avervi nel suo esercito? Perché appena sposata suppongo che dovrò rinunciare al mio scudiero. E dalle voci che corrono al castello, sembra che abbiate già addocciato la pupilla del duca, donna Fiorella? > Le domandò incuriosita. Marco si sentì preso alla sprovvista, poi rispose: < Comunque vada a finire il mio servizio dopo il vostro matrimonio, non voglio infastidire con le mie pene così insignificanti. Le voci che bisbigliano le serve non mi riguardano. Io non centro con la pupilla del duca Ghibelli ed è altrove la persona che amo, madamigella! > < Sono contenta per voi messere! Ora devo rientrare, il conte mio padre, deve comunicarmi qualcosa d'importante. > Lei aveva un nodo che la opprimeva fortemente.

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< Obbligato madamigella! Lancillotto è al vostro servizio! > Le sussurrò dietro Marco. Lei si voltò sorridendo per quella trovata del biondo e bel cavaliere al suo servizio. Marco sorrise a sua volta a quei giochi di parole, poi ripensò, quando l'avrebbe rivista ancora, in quella sua voglia di sbrogliare presto quella matassa e poter riabbracciare la sua adorata Alda per davvero?

Fu la sera stessa che Marco si trovò a dialogare soltanto poche parole con Mafalda, oltre agli altri ospiti e le dame del maniero che lo assediavano. Lui era arrivato ai festeggiamenti in ritardo, quale fosse l'evento, ancora non lo sapeva. Era stato trattenuto nelle stalle per aver medicato e sistemato il suo bel destriero Lampo, azzannato per fortuna leggermente dal cane del capo stalliere, aizzato per la sua intrusione in quella nobile famiglia. Un nobile plebeo italiano alla corte dei conti Rusca, non armonizzava bene con la Svizzera. Marco aveva accettato le scure puerili del balivo per il subalterno rincretinito, senza voler creare troppo astio nei primi momenti del suo incarico a Locarno, ad evitare malintesi coi nobili conti Rusca.

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Capitolo Sedicesimo

Erano tutti riuniti nella grande salone a banchettare l'evento e dalla cucina a lato giungeva il profumo del cinghiale che arrostiva sulla fiamma dell'ampio camino. Al centro del grande salone la lunga tavolata per far posto ai molti cavalieri vocianti, che conversavano animosamente aiutati dagli abbondanti calici di vino asprino delle valli circondanti e birra arrivata da Berna, la migliore e i partecipanti affondavano dentro i loro visi rubicondi. In mezzo a tutto quel trambusto, fra dame e donzelle effervescenti, al fianco dei loro nobili condottieri che dialogavano e scherzavano tra loro cordialmente. I valletti e servitori che correvano da un lato e dall'altra della grande tavolata, a servire con piatti ricolmi di prelibate leccornie, ben guarnite di ogni ben di dio a servire gli ospiti del castello. In quell'ampio salone illuminato da molte torce appese alle pareti, che lanciavano sprazzi di luce più o meno intensa della loro fiamma, provocata da spifferi di aria dalle finestre aperte. Creando fantasmagoriche ombre marezzate, sulle pareti di quel castello già di per se centenario. Marco osservava tutt'attorno a sé quel scenario medioevale, da sentirsi trasognare in mezzo a quell'impensata missione che doveva compiere. Poi la voce baritonale del balivo, il capomastro Thudor Bolivar lo risvegliò, riportandolo alla realtà di quel secolo: < O messer conte Darvino, vi state adattando al cibo elvetico, oltre alle dame vogliose? > L'apostrofò ridendo, mettendo in mostra i pochi denti rimasti in bocca. Marco si era distratto per ascoltare il vicino di posto, rispondendo a denti stretti: < Si, sì! Come no! > Era troppo preso alla ricerca di Mafalda o Alda, che non vedeva in mezzo a quel manicomio di persone abbastanza alticce, dai calici di bevande scolate. Poi scorse Mafalda al centro della tavolata che si guardava attorno di soppiatto e a un certo punto i loro sguardi s'incrociarono insistentemente e per Marco quel momento fu sublime. Capendo che la giovane aveva un certo riguardo nei suoi confronti. La vedeva destreggiarsi per non farsi notare, ma l'interesse che aveva era tutto per il biondo scudiero italiano. Al suo fianco il nobile padre che discuteva euforico con i commensali e alla sua sinistra l'invitato di rilievo, il duca Filippo Ghibelli che ascoltava e rideva ai racconti salaci dei cavalieri convenuti da Zurigo e Berna.

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Marco fu nuovamente distratto e ascoltò contro voglia quel balivo, magistrato e ufficiale, non ché capomastro del casato Rusca. Il bonaccione Thudor tentava di coinvolgere il giovane scudiero, con continui ordini al servo alle loro spalle a riempire il calice del vicino, per portarlo al loro stesso spirito allegro di quella serata, dicendogli nel lanciargli folate di alito puzzolente. < Conte Darvino, giammai tenete il volto adombrato? La festa non fa al caso vostro, messere? Da donde venite non usate tali festeggiamenti? Il matrimonio della Conessina Mafalda, sarà di buon auspicio, per unire orsù due grandi casati. Non convenite Messere Darvino? > Mentre gli dava una pacca sulla spalla del giovane. E a quel punto Marco, oltre alla sorpresa dell'evento, dovette per forza rispondere al balivo rompiscatole: < Messer Thudor, sono più che felice che la contessina abbia tratto nozze con quel... pezzo di.. grande personaggio. > Capendo di sbagliare e si corresse fingendo di essere già ubriaco, avendo di nascosto scambiato i calici con i vicini, per essere savio e vederci chiaro in tutta quella bolgia in festa. Continuando a dire: < In confidenza messer Thudor, da donde viene quell'anziano Duca Ghibelli? > Fingendo di non sapere nulla di preciso. < Ma, come, messere! Non sapete chi è il duca Filippo Ghibelli? Possiede buona parte del territorio elvetico del Canton Ticino? La città di Lugano è sua proprietà! E possiede la più grossa armata e fa comodo a tutti una così vasta protezione... Convenite messere! > Mentre alzava il proprio calice di birra da innaffiava persino la propria barba rossiccia. Mentre riprendeva a spronare il giovane scudiero italiano, dall'aspetto abbacchiato: < Messer Darvino! In confidenza... Vi sollazzate con le giovani pollastrelle in Locarno? Venne voce che trascorrete lunghe notti nei vicoli bui delle contrade? Le serve al castello, confabulano sulle vostre bravate... Fate attenzione, messere! Non trascurate l'astio che ordite ai nobili cavalieri, messi in disparte... > Mettendosi a ridere grossolanamente. Marco raddrizzò le orecchie a quell'avviso bonario, ma che sotto, sotto, era un avvertimento. Con la sua presenza giovanile faceva invidia a molti e la maldicenza non era e non sarà mai morta. Pertanto era qualcosa che doveva tener conto in evenienza. Troppe cose non sapeva di quei tempi e posti secolari che si trovava immischiato, nel dirsi da solo mentalmente: “Marco fai attenzione che la testa la puoi perdere molto prima di questo passo?” Mentre rispondendo al balivo rompiscatole: < Messer Thudor mi conviene dire che mi sollazzano il cuore le donzelle che si concedono

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liberamente. Tenterò di allontanare i pressanti inviti e maldicenze che svolazzano qui al castello... Convenite messere capomastro? > E di rimando, la voce del burbero vicino, noncurante se il giovane dimostrava non interessare il suo dialogare, continuò a esplorare e indagare con velate domande: < Ordunque o giovane baldo cavaliere. Perché non concedete le vostre attenzioni, alla nobile dama la contessa Francesca Rusca Kuburg, di Thun? > L'istigò deciso tra un sorso di birra e un sorriso sgangherato. Marco restò un momento a fissare il balivo a capire dove voleva arrivare la sua domanda, sapendo che già quello sapeva, della escursioni e visite notturne di Marcucci, all'ospite di riguardo al castello, la baronessina Viola? Visto che tutte le boccacce dei servitori e serve di corte non tralasciavano nessuno e pertanto ora era il suo turno da sputtanare. Soltanto che lui era straniero e non voluto da tutti lì, al castello. Poi alla fine rispose tranquillo a dimostrare la sua alloccaggine: < Ma!.. La nobildonna, non è già ammogliata, messere Thudor, giudice del casato? > Farfugliò tra la finta sua ubriacatura, in quel modo arcaico e ampolloso. Mentre ripensava con un po' d'invidia, a piacergli quell'arcaico suo antecedente antenato, Marcuccio Darvino, che dimostrava una ferrea volontà da nobile cavaliere, che talvolta non ci si poteva sottrarre e rifiutare doveri alle signore per compiacenza. Mentre il balivo insisteva più profondamente: < Messere Darvino, non traete me d'inganno! Tra uomini si può confidare i favori a dame vogliose, Convenite? > Brontolò un po' più aggressivamente. < Ciò che pensate messer Thudor è in parte vero. Ma mi dilungai con la madamigella Viola, solo a discorrere e raccontare la vita trascorsa a Milano. Giammai tentai altro modo... > Spiegò Marco, astutamente. Il balivo resto un po' a pensarci, oltre alla birra bevuta in abbondanza che gli rincitrulliva il cervello, alla fine provò a dire: < Occorre molta attenzione messere! Le voci corrono e anche donna Fiorella, pare abbia una particolare attenzione per voi messere? Solo voci! > Sbottò ridendo. < Il bello che io, non ne so niente! E senz'altro donna Fiorella avrà altri pretendenti di spicco e rilievo. Non certamente un giovane del mio stampo. Convenite messer Thudor? > < Certamente e vi capisco messere. Sapendo bene che in ogni angolo si nascondo orecchie ben tese e pronte a sparlare di chiunque. Ma l'idea da me esposta è ben altra. Ma che il tutto rimanga tra noi, cavaliere. Visto l'interesse che le nobildonne del casato, hanno rivolto nei vostri confronti.

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Era soltanto un suggerimento a voler dialogare, come dite voi messer Darvino, a convincere la contessa Francesca a spronare lo scorbutico consorte, il conte Sickfrido Kuburg ti Thun, ha unirsi e consolidare la nuova unione della Confederazione Svizzera. Ecco la proposta! Sappiamo più che bene, che un giovane condottiero può influenzare le vaie opinioni delle nobildonne. Trovate a convenire, messere Darvino? > Mentre se lo abbracciava, come accordare un onesto consiglio al proprio figliolo. Marco intuì la sottigliezza del balivo e rispose. < Messer Thudor, io per incarico di mio zio il conte Darvino di Biandrate, inviato qui a servire il conte Rusca, che a sua volta mi ha delegato come scudiero alla figlia Mafalda. E questo voi lo sapete. Pertanto non posso trattenermi con la zia della contessina Mafalda. Dovrò adempiere il mio dovere di scudiero. > Il balivo si tracannò altra birra prima di discutere, poi rimescolò la faccenda nel dire: < Giammai, non avevo pensato che lascerete presto il castello per seguire la contessina Mafalda a Cannero in visita al castello, come sua prossima dimora e senz'altro il quasi nobile, duca Filippo Ghibelli, vi rispedirà qui tra noi, e non vorrà avere tra i piedi un infiltrato italiano ha guastargli le feste. Convenite messer Darvino? Vorrà dire che al vostro ritorno si potrà rimpastare la storia... > Scoppiando a ridere fragorosamente. Mentre Marco tentava di guardare Mafalda dov'era finita, al tavolo tra i commensali era sparita. E alla fine rispose al balivo che aspettava una sua opinione: < Ma perché messere Thudor dite, quasi nobile se è conte quel Ghibelli? > Domandò Marco incuriosito.Il balivo si arricciò la barba rossiccia e alla fine spiegò: < Dovete sapere messere, che quel Ghibelli è apparso tempo fa, così all'improvviso. E sembr'anche molto amico di quel... che voi italiani, longobardi, chiamate Barbarossa. Lui va dicendo in giro che è nipote del duca Lodovico Malapaga di Cannero. E a sua volta quest'ultimo è morto in circostanze misteriose? Così questo nipote venuto dal nulla si insediò al posto dello zio scomparso, prendendo possesso dei territori e del castello a Lugano e buona parte del varesotto. Convenite Messere? Purtroppo il conte Rusca lo ha preso in considerazione e vuole farlo entrare nella Confederazione Svizzera. Io personalmente, non farei troppa assegnazione. > Spiego sotto voce, aiutato dall'abbondante birra ingoiata ad essere più socievole a svelare i retroscena, che da sobrio non avrebbe mai commentato a nessuno. < D'altronde messer Ghibelli gli fa comodo quel castello al centro del lago. Da lì, può scorrazzare e razziare buona parte dei territori, sulla sponda del

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lago Maggiore. Soltanto voci! Ma più che veritiere, messere? Lasciamo perdere! Oggi divertiamoci e dì di festa... > Brontolò alla fine di tutta quella prosopopea, annaffiata con della buona birra. Marco si era fatto una idea, oltre ad avere già saputo dal nonno Gep, una parte della storia capitata e ne acquisì il contenuto. Poi, visto che Mafalda era sparita, si rassegnò e chiese al brontolone balivo: < Ma perché il conte Rusca accetta simili intrallazzi? > Ma subito si ravvede vedendo lo sguardo truce del balivo, che chiedeva: < Cos'è che borbottare messer? > E Marco prontamente ripropone la domanda: < Scusate messere, volevo dire intrigoso complotto? > Capendo che l'altro sebbene ubriaco non era rintronato. Alla fine quello rispose: < Sì, è tutto un intrigoso gioco di poteri? Ed è per questo che il conte Rusca ha acconsentito di concedere la mano della sua seconda genita. La contessina Mafalda. Quella brava e buona madamigella che portai a seco per i boschi da fanciulla. Ahh! > Brontolò dispiaciuto l'omone. Marco a quel punto, per interrompere quella lunga e barbosa rivissuta storia, gli appoggiò il braccio sulla spalla e con fare gentile si congedò, lasciandolo a godersi l'ultimo boccale di birra.

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Capitolo Diciassettesimo

Marco stava ancora rimescolando la cronistoria appena sfornata e non si accorse camminando nel buio corridoio, quando mani gentile lo avvolse con inganno, baciandolo con ardire. Marco con decisione allontanò la donna, mentre lei aveva già aperto la porta della sua stanza, tentando di trascinarlo dentro. Al tempo stesso delle guardi armate stavano perlustrando i corridoi e a quel punto Marco fu costretto ad entrare nella stanza e chiudere la porta. Era la duchessina Viola, che gli si avvinghiava contro, assetata d'amore per il bel cavaliere italiano. Marco valutò rapidamente l'inghippo e dovette accettare ad evitare che scoppi uno scandalo e la sua reputazione sputtanata a dovere, oltre ad essere scacciato dalla corte dei conti Rusca. E in più, sarebbe stata un'offesa recata allo zio, il conte di Biandrate, amico dei conti Rusca. Perciò si adeguò a risolvere l'inghippo salace. Avrebbe voluto spostare il tempo, ma temeva di creare troppi cambiamenti e non seguire il vecchio percorso a poter salvare Alda o Mafalda? < Accidenti! > Proruppe d'impeto. E subito la giovane si incuriosì del linguaggio, nel chiedere con moine: < Messer Marcucci che imprecazioni strane dite? Non convenite a questo mio invito. Siete a me gradito. Venite nella mia alcova messere! Purtroppo appeno tornerò a Thun, ahimè, dovrò accontentarmi del mio belloccio capomastro, in attesa che vada in sposa all'arciduca Rhum di Fribourg. Convenite messere la mia forzata astinenza. Ma, non perdiamo tempo, sono piena di fuoco messere Marcucci! Venite a codesta alcova e tutto quanto vi farò scordare tra le mie braccia. Venite! > Marco cercò di pensare alle cose intime e segrete di quel baldo Marcucci in quella notte proibita. E alla fine riusci a vederla lì, di fronte a sé tutta ignuda la duchessina Viola. Lei gli appariva così nitida e surreale, la vedeva distintamente bene illuminata dalla luna alta in cielo attraverso la finestra spalancata, distesa sul letto tutta nuda, in attesa. Era veramente mirabile quella presenza e per un attimo Marco aveva scordato tutto e tutti. Solo lei quella maliarda dama che traspirava da quella vestigia bellezza, tramandata da quel sogno o fantasia e percorreva imperterrita la storia nel surreale. Marco in quel momento ebbe paura nel pensare a quello che non avrebbe mai voluto fare, nel lasciarsi travolgere dalla passione dei sensi, in

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qualcosa che sembrava più forte di lui in quel momento e trovarsi tra le braccia della giovane e vogliosa Viola. Marco cercò di reagire a quella superba volontà sfrenata del suo subconscio, o era quello dell'antenato Marcucci? Lui non voleva perdersi tra i meandri lussuriosi della carne assetata d'amore. Lui era troppo innamorato di Alda e non poteva tradirla a quel modo. Sebbene nella storia passata, messer Marcucci non era ancora per bene immischiato e innamorato di Mafalda. Comunque era un gran putiferio! Marco avrebbe voluto che Alda fosse lì, lei al suo fianco e tutto sarebbe diventata un'altra cosa al momento. Così d'impeto, Marco si sforzò a pensare molto più in là, oltre quei momenti così libertini nel superare quel trasgressivo momento di lussuria e spostare il tempo, in un altro momento. Poter volare via e portarsi Alda con sé, in quella fuga tra i meandri oscuri dell'ignoto. Mentre d'incanto gli appariva un altro posto, nel trovarsi in una stanza semi buia, situata in alto su di una torre antica. E alla fine capì da solo dov'era arrivato. Sulla torre di un castello e dall'angustia finestra vedeva l'acqua attorno. Era finito a Cannero, nel castello dei Malpaga! Era arrivato nella piccola alcova d'amore, dove di nascosto s'incontravano Mafalda e Marcucci il fedele e innamorato scudiero. Marco osservò con interesse la stanza disadorna, più che altro, un ripostiglio di cianfrusaglie, per il semplice fatto che le scale in legno per salirvi sopra erano pericolanti, pronte a cadere, pertanto abbandonate e in disuso. Sì trovò a sbirciare dalla piccola finestra lanceolata che s'intravvedeva l'intenso blu del lago Maggiore. Così senza saperlo non era più a Locarno nel maniero dei conti Rusca e lontano dalle insidie della bellissima duchessina Viola. Non aveva bisogno di constatare che era piombato a Cannero, nell'anno di grazia del 1323.

Marco o Marcucci, era tutto trepidante nell'attesa che aspettava la sua adorata contessina Mafalda. Si era seduto nervosamente sulla vecchia cassapanca, sotto la piccola finestra che aspettava il suo l'arrivo da un momento all'altro, mentre fissava in continuazione la porta, aspettando che si apra e Mafalda entri di soppiatto. Marco era talmente preso da quelli eventi, che in quel momento più che mai riviveva quelle sensazioni ed emozioni in dismisura. Sapendo più che bene che non potevano essere dimenticate e accantonate per un tempo futuro, ma vissute al momento intensamente. Ora non sentiva più la sprovvedutezza e l'ingenuità di un

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tempo, con quel tipo di adolescenzialità addosso, ma sentiva ormai la sua sicurezza nell'adempiere il dovere e la fiducia riposatagli da Alda. Poi, l'apparire di lei nell'arco della porta, fece svanire ogni dubbio ostile, perché solo lei riusciva a calmare quella sua apprensione nella lunga attesa. E tutto si susseguì di slancio in quell'abbraccio vigoroso, nel trovarsi a baciarsi teneramente e ripetutamente, tra silenziose e sussurrate parole d'amore poste all'infinito. La fedeltà eterna espressa in quei baci a profusione e l'impeto non bastava mai ha smorzare la gioia di ogni rubato incontro. Nel giurasi amore infinito, conteso da più parti. Dove il desiderio era grande nel costruire un loro piano per l'avvenire. Avevano fatto voto lì, in quella buia stanza, visitata sovente da una coppia di colombe bianche, forse, erano al pari di loro, cercavano un posto per restare soli senza nessuno che li disturbi. Pertanto stavano mettendo in atto un modo per fuggire via, lontano dai quei soprusi e privazioni per entrambi. Mafalda mitigava al giovane amante i sospetti e doveri poi, maritarsi con un uomo più vecchio di vent'anni. Eppoi, ciò che di più la disgustava in quell'uomo corpulento, dall'aspetto viscido e lascivo. Il suo modo arrogante e prepotente che esercitava barbaramente sulla comunità lì al castello la impauriva. Sebbene fino a quel momento, non l'aveva personalmente infastidita, usandole un certo riguardo in attesa delle prossime nozze. Soltanto Marcuccio sapeva, che il baldo duca Ghibelli si sollazzava con donna Geltrude, la castellana di Cannero. Tanto più che prima del duca Filippo era stata l'amante dello zio Ludovico Malpaga e in cuor suo tramava un certo rancore, che al momento le andava bene quella situazione di rimanere nell'ombra. La severa donna dal temperamento teutonico dominava tutti al castello e nessuno si permetteva a contraddirla, Anche il duca Ghibelli era un po' soggiogato dalla dura bellezza della donna, sebbene non immaginava della tresca avvenuta prima con lo zio Ludovico. E talvolta le sussurrava burbero per ammorbidirla un poco: “La mia dolce e fedele arpioncella!” Borbottava all'orecchio dell'amante, per paura di trovarsi un pugnale conficcato nella schiena nel sonno. Ma, tutti quei sotterfugi fatti da Marcucci per sviare i sospetti altrove non sfuggivano ha occhi e orecchi indiscreti, sebbene egli stesso, intuiva che qualcuno avesse già mangiato la foglia, da spiare il suo comportamento al castello. Ma l'amore era cieco e talvolta qualche piccola distrazione la si commetteva, da abbassare la guardia. Ecco perché stava progettando una

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veloce fuga con la sua amata Mafalda, ma dove? Sapendo molto bene che avrebbero scatenato una guerra poi, da ogni parte dei vari casati. Marco stava rivivendo quei momenti in apprensione per i due innamorati, spremendosi la testa nel trovare una valida soluzione per loro. Poi, era capitato così tutto all'improvviso, Marcucci gli era stato tolto il servizio di scudiero alla nobildonna e confinato nelle stalle ha badare ai cavalli. Quello era un primo segno di attenzione imposto dalla severa donna Geltrude. Lei senz'altro intuiva o sapeva, che vi era qualcosa oltre alla amicizia tra i due e pertanto era meglio dividerli al momento. Tanto più che personalmente non le interessava un bel niente se la santarellina si sollazzava con lo scudiero Darvino. Sapendo più che bene che la giovane Contessina Mafalda sarebbe servita solamente ha tenere assieme i vari casati in lotta, oltre che a dare qualche rampollo al vecchio duca Ghibelli, per continuare la stirpe messa male e a lei personalmente non interessava partorire dei marmocchi e averli poi tra le cottole. Pertanto tutto procedeva a suo volere e la vendetta che covava dentro era lenta ma efficace, per contrastare chiunque si intrometteva al suo volere. Marcucci si destreggiava con giochetti di prestigio e racconti salaci per trovare dei servitori che l'aiutassero ad avere qualche momento in più di libertà e poter correre sulla torre e incontrarsi con Mafalda.

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Capitolo Diciottesimo

Mafalda aveva preso male quel confinamento del suo scudiero trasferito nelle stalle a servire come mandriano quei bifolchi militare del castello, lei cercò di intercedere e chiedere al duca la ragione presa. Il duca Ghibelli con fare sornione rispose alla futura moglie, in visita al castello come sua prossima dimora estiva, oltre a Lugano nel castello padronale in periodi invernali, nel dirle: “E' il tirocinio che un giovane deve fare per diventare un vero cavaliere!” Mentre le alzava il viso con la burbera mano, entrò nella stanza d'armi donna Geltrude e il duca si irrigidì per un attimo e prontamente continuò a dire: “Convenite madonna. Il vostro scudiero si farà le ossa.” Mentre i suoi occhi da scaltra volpe sorrideva alla castellana un po' truce di quel suo atteggiamento. Mafalda incurante dell'intrusa protestava vivamente: “E' oltraggiosa questa villania, messere!” Interrotta dalla voce dura della castellana: “Cara contessina! Non dovete temere, non è che viene mandato al patibolo. È soltanto un lavoro per guadagnarsi l'alloggio che gli forniamo. Qui tutti devono lavorare e rimboccarsi le maniche. Siamo a corto di uomini, convenite!” Rimarcò decisa donna Geltrude. Compendiata dal sorriso del duca Ghibelli. Mafalda capendo la sua minoranza a pretendere, si commiatò ed uscì dal salone d'armi indispettita.

Poi all'improvviso qualcosa aveva cambiato la situazione al castello. Era giunto un messaggero quel mattino presto che urlava dalla grossa zattera che veniva usata per trasportare viveri e cavalli al castello. Era collegata da grosse funi per i trecento metri, che univano la riva del lago Maggiore, all'isola, al castello dei Malpaga. Le corde erano infilate fra due rulli di legno sistemate ai lati della grossa zattera, da permettere alle guardie di girare le due manovelle ai lati e con forza far spostare la zattera avanti o indietro a secondo del percorso voluto e superare così eventuali correnti del lago o del vento. Ma fatte in modo da essere pronte e recuperate in caso di assalto di eventuali armigeri dei visconti milanesi o altri briganti senza scrupoli, eguali ai loro stessi soprusi perpetrati dai banditi Malpaga.

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Era giunto notizia che era scoppiata una guerra nel varesotto e il duca dovette per forza partire e rimandare le nozze. In attesa dell'arrivo della sua nave carica di armigeri nel portarsi oltre sponda per sedare la rivolta. Nel dimostrare al tempo stesso la sua benevolenza verso la futura sposa segregata nel castello, impossibilitato nel rispedirla ad Ascona dal padre. Oltretutto era sempre una buona cauzione in caso di bisogno da essere barattata per salvarsi la pelle. Nel permettere un po' più di svago alla giovane sposa, sotto il vigile occhio della castellana Geltrude. Concedendo persino nel dì di festa di recasi in barca ha Cannero a messa. Accompagnata da donna Geltrude e un nugolo di malfamati armigeri del castello. Marcucci a quelle nuove disavventure al duca Ghibelli, pensava che donna Geltrude essendo più impegnata ha dirigere il personale al castello, pronta ad evitare attacchi di sorpresa da eventuali nemici dell'entroterra. Pertanto, suppose di aver più occasioni d'incontrare Mafalda. Ma effettivamente si sbagliava di grosso, era ancor di più controllato e caricato di lavoro che faticava persino a trovare un po' di tempo per mangiare un boccone. Per fortuna che la balia di Mafalda riusciva a districarsi con furbizia nel recare sue notizie, da una parte all'altra, oltre ha raccontare le dicerie malevole di donna Geltrude, ricevute in confidenza dalla cuoca del castello, la cognata fidata della castellana. Era capitato giorni addietro per ripicca del troppo lavoro e la sgarbatezza che la cognata nervosa le riservava, che la cuoca a sua volta si confidò nel raccontarlo alla balia della contessina Mafalda. In un giro vizioso di pettegolerie e maldicenze del casato e sarebbero saltate fuori a guastare le feste a tutti quanti. Gli amori e intrighi tra la castellana e il duca, interrotti per l'arrivo della giovane Mafalda. Ma che si annidavano già da molto tempo prima, i dissapori tra i padroni della baracca. La castellana aveva saputo per vie traverse che il duca Filippo aveva fatto fuori lo zio Lodovico, suo amante un tempo e pertanto covava la vendetta mirata.

Marco trasmigrava continuamente tra la sua mente e quella di Marcucci, cercando di inoltrarsi sempre più in profondità ha capire cosa pensava a quel tempo l'antenato parente e si trovò nel riprovare con gioia, quella piccola avventura che capitò a Marcucci tra i boschi di Ascona. In quella quotidiana passeggiata a cavallo con Mafalda, si erano ad un certo punto fermati a riposare dopo quella lunga cavalcata sul pendio del

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monte, con vista sul lago. Erano là seduti a terra accanto ad un grosso tronco di pino caduto per la vecchiaia, o con l'aiuto di qualche fulmine che gestiva il corso della natura. Mentre loro due, si trovarono a dialogare allegramente come ragazzini. Marco si stupì di quel suo gesto istintivo, nel coricarsi e con la testa appoggiarla sul grembo di Mafalda, in quel gesto cosi spontaneo e fraterno, forse per il fatto che la giovane continuava a ripetere che gli sarebbe piaciuta avere Messer Marcucci come fratello maggiore. Mafalda, ne fu altrettanto felice poterlo toccare e lambirlo per davvero. Accarezzare quella lunga e riccia capigliatura bionda, osservare qui suoi occhi azzurri e profondi, come il lago poco distante, sfiorare la leggera barba bionda che spuntava e quel mattino Marcucci per la premura non si era ancora rasato. Era mirabile quell'occasione capitata così all'improvviso, da sentirsi immensamente felice. Poi, il calore che emanava quel corpo appoggiato al suo, la turbava enormemente, capendo che i suoi sensi si stavano risvegliando tremendamente dal torpore che si era imposto con quelle prossime nozze, concordate dal tutore e impossibile da rifiutare. Marco o Marcucci, captò quel fremito della giovane e prontamente si alzò deciso scusandosi di quell'approccio capitato così per caso, nel dire a discolpa: < Perdonate il mio ardire madamigella Mafalda, giammai non si ripeterà più questa mia villania nel concedermi tale famigliarità! Chiedo umilmente perdono a vostra grazia! > < Messer Marcucci, non abbiatene ve a male. Semmai sono stata io ha permettere di giacere col vostro capo sul mio grembo. E in verità mi piacque, sentirvi mio per un momento... > Si fermò sorpresa, mentre si portava la piccola mano sulla bocca nel bloccare le sue stesse parole. Marco, senza saper bene cosa stesse capitando, si trovò ad abbracciare fortemente la giovane e con dolcezza appoggiare le sue labbra su quelle tremanti della giovane, in attesa di assaporare per la prima volta quel frutto acerbo ma divino. Dapprima un po' trepidante il gesto, ma il bacio che seguì fu mirabile e intenso. Tutto l'amore che avevano entrambi dentro esplose come un immenso falò autunnale. Poi, dopo un interminabile momento di oblio e gioia, si fermarono entrambi per riprendere fiato, mentre spaventati si guardavano attorno, per paura di essere scoperti e osservati da occhi indiscreti. In fine fu lei a parlare per prima, dicendo con un leggero sorriso cospiratore : < Suvvia, messer Marcucci! Non siamo a corte e nessuno ci spia! > Tenendolo ancora stretto a sé per paura che l'incanto svanisca via all'improvviso, nel proseguire a ripetere altre parole

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con impeto: < Suvvia messere! In fondo, siamo dei buoni amici e … > Ma non poté finire, travolta dall'emozione, mentre silenziose lacrime bagnavano il suo bel viso e prontamente Marcucci d'impeto, tentava di fermare con baci d'amore quelle lacrime che rigavano le guance. Il cuore era ormai in subbuglio, mentre balbettava confuso le esponeva il suo cruccio: < Madamigella Mafalda, io mi sono perdutamente innamorato di voi, mia signora! Perdonate il mio ardire, ma non posso più tenerlo nascosto. Questo è vero amore che sgorga dal mio cuore per voi! > Ma non poté continuare la bocca di lei l'aveva ghermito impaziente, con una immaginabile violenza e frenesia, nel rispondere: < Ho amore! Che gioia espressa dalle vostre labbra! > Sbottò tra il serio e il faceto, Mafalda temeva la fine illusoria della breve storia platonica, da bloccare con i baci ogni reazione scomposta del giovane scudiero. Marcucci si trovò tutto trasognato in quel frullare di pensieri contorti, in fine si ravvedeva nell'esprimersi a dire: < Questo è più che vero, mia dolce innamorata! Ma io sono qui per vegliare sulla vostra sicurezza e non approfittare della vostra ingenuità e fiducia! So perfettamente che l'amore che è sbocciato tra noi non può essere spento come il soffio su di una candela. Purtroppo voi siete promessa al quel duca del cavolo... Accidenti a lui! > Marco o Marcucci, si allontanò leggermente dalla giovane per rispetto, abbassando il capo in segno di resa, ripetendo suffuso e addolorato: < Non sarà mai possibile, amarti o mio dolce usignolo messo in gabbia. Perdonatemi per avervi turbato e rubato il cuore così aspramente! Sconvolgendo la vostra vita in un inferno! > < Messer Marcucci. Io ne ebbi coscienza e grazia. Fin dalla prima volta che giungeste al castello di mio padre e devo confidarvi che dentro al mio cuore avevo sempre sperato che foste voi, il conte Marcucci Darvino a chiedere a mio padre la mia mano. Solo dopo, seppi che il mio tutore padre vi aveva scelto per farmi da scudiero e non da consorte. Ne ebbi un gran dolore a scoprire quale destino mi era stato assegnato. In fondo a tutta questa mia disperazione, mi rallegrava almeno un poco, per la vostra presenza al mio fianco, illudendomi e sognando l'amore ideale per voi e mi avrebbe sorretto in avvenire. Ecco, o mio messere, ora sapete cosa tengo nascosto nel mio cuore. Amatemi messer Marcucci! Amatemi ora o mai più! E se questo bacio è un inferno? Vorrei che duri in eterno amore! Dimentichiamo il giorno che ha da venire... > Mentre le si buttava con le

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braccia al collo all'amato scudiero, pensando che almeno per un momento aveva trovato e toccato il paradiso tutto per sé . I baci che seguirono parlavano soltanto d'amore e null'altro. Le cotte di entrambi erano scivolate a terra da lasciarli nudi e inermi al sole che faceva capolini tra i rami dei faggi e pini, felici di quella innocente libertà rubata. Mentre i loro corpi si avvinghiavano con bramosia e voglia di vivere e sognare l'impossibile, nel voler al tempo stesso dimenticare tutto il resto nell'unirsi in un'unica persona, sia nel corpo e nell'anima.

Anche in quel momento, in quella stanza buia sulla torre, dove l'amore li aveva rapiti accorgendosene dopo che il tempo era volato via velocemente, Mafalda sistemandosi alla meglio disse confusa: < Oh, Maria Vergine, sé fatto tardi e donna Geltrude mi farà cercare dalle guardie. Devo lasciarvi mio amore. > Mentre si apprestava ad uscire e prontamente Marco le suggerì: < Mi raccomando, fate attenzione alla rampa di scale sotto l'arco, quelle sono le più pericolose! > < Sì, l'ebbi notato e bisogna passare rasentando il muro. Vero? > E sparì dalla sua vista, lasciando un grande vuoto nel cuore di Marco.

Quegli amanti più che contesi e divisi dal destino crudele, obbligati a seguire le imposizioni di leggi sbagliate e contorte. Marco tentava di capire e comprendere quella mentalità ancestrale, ma gli era difficile accettare simili ingiunzioni e obblighi da seguire controvoglia. Mentre tentava di lasciare quel Marcucci suo antenato ha godere di quei pochi momenti di felicità rubata, tra le braccia della sua amata Mafalda. Anche Marco avrebbe voluto avere lì accanto la sua Alda svanita e scomparsa nel nulla? Pensando che era tutto un guazzabuglio madornale esploso tra l'antico e il moderno mistero nell'universo.

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Capitolo Diciannovesimo

Marco si era accordato con la balia di Mafalda per il piano di fuga dal castello quella notte, e quella sera stessa nell'ora dei vespri Mafalda, avrebbe accusato un malore e si sarebbe ritirata nelle sue stanze, senza andare nella cappella del castello con donna Geltrude, la cuoca, oltre le altre serve devotamente a pregare per la buona sorte del duca in guerra. La castellana sperava in un ritorno del duca al castello, non lo voleva morto in guerra, ma era lei che gli avrebbe serbato poi, un servizio con i fiocchi che si sarebbe ricordato anche dopo morto. Ma prima di ritirarsi nelle proprie stanze a riposare, donna Geltrude andò ha controllare se la giovane Mafalda stava ancora male, bussando decisa alla stanza: < Come sta la contessina? > Chiese Geltrude gelida alla balia, che gli apri la porta con un candelabro in mano e si scosto per mostrare la fanciulla che dormiva: < Sta riposando! Il dolore al capo era forte e le ho dato un po' di valeriana, Donna Geltrude. > Rispose inchinandosi. La castellana grugnì qualcosa e se ne andò alle sue stanze seguita da una guardia arcigna e fidata. Più tardi la perfida Geltrude usci dalla sua stanza e si guardò attorno, poi fece segno alla sua guardia all'interno di uscire per ritornare nella propria camerata. Il suo compito l'aveva terminato a dovere, visto il sorriso di donna Geltrude. Poi la castellana ci ripensò e invece di rientrare nella sua stanza si mise una mantella e si avviò verso le scuderie. Frattanto Mafalda stava elaborando con la sua balia le istruzioni che Marcucci gli aveva dato. Pertanto a notte inoltrata, mentalmente Mafalda avrebbe dovuto ricordarsi delle prove fatte il giorno prima a contare il tempo che occorreva per arrivare alle scale e poi alle stalle, scandendo i numeri in progressione e sgusciare via senza essere vista dalle guardie che facevano la ronda più sovente. Marco la notte precedente sotto la pioggia, aveva fatto in modo che la zattera per traghettare fosse inservibile per parecchie ore e le tre barche di scorta forate, ma coperto con un tappo leggero che al primo scrollone si sarebbe aperto il foro, affondando abbastanza un fretta senza poter fare la traversata. Mentre una delle barche la più piccola, riposta capovolta sulla spiaggetta a ridosso delle mura del castello, l'aveva spostata nottetempo in un'altra parte dell'isola, proprio sotto la grata di una finestra della stalla,

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più in alto di una decina di metri, sopra la mangiatoia dei cavalli. Marco di nascosto, aveva da giorni scavato e lavorato per smuovere l'inferriata e poi rimessa al suo posto, coperta dal fieno nella mangiatoia ad evitare che altri stalieri la vedano. Sotto il fieno Marco aveva sistemato una doppia fune a gradini per poter scendere dall'alto fino alla barca sistemata sotto e coperta da cespugli, essendo un'angolo di muro che rimaneva fuori dalla portata di vista delle guardie sui bastioni di ronda. Tutto sembrava procedere come dal piano imposto prima. Marco quella sera aveva sudato sette camicie per riuscire a far di tutto ciò che si era prefisso di fare. Inanzi tutto andare nella cucina della truppa, situata nel torrione a lato del castello, collegata da una lunga passerella in legno ad unire la torre quadrata al castello padronale. Marco si imbatté col capitano delle guardie che gli domandò scorbutico e severo: < Dove andate così di fretta staffiere? > Marco ebbe un attimo d'ira, ma si trattenne e sbottò deciso: < Messer capitano, corro ha vedere se per caso il cuoco avanza ancora un po' di minestra? Io e lo staliere di guardi abbiamo ancora fame. > Mentre il capitano l'osservava in modo sprezzante rispose: < Sì, correte che sarà rimasto soltanto la lavatura delle scodelle! > Ridendo come un somaro, mentre si allontanava. Marco avrebbe voluto trapassarlo con la spada, era diventato stufo di tutto quell'inimicizia che lo circondava. Poi si ravvede ed entrò nella cucina, cantando un sonetto per calmarsi un poco, trovando il cuoco intento a trafficare e lo guardò sorpreso chiedendo: < Che diavolo vuoi, biondino? > E Marco pronto a dire: < Ho sentito dire che tu cucini meglio delle cuoche dall'altra parte nel castello dei nobili? > < Questo è più che sicuro scudiero! Ma ora non c'è rimasto più niente, soltanto le scodelle da lavare! > Mentre se la rideva assieme ai servitori e sguattere adibite oltre al servizio di cucina pronte a sollazzare gli armigeri di passaggio nelle loro stanze. Marco sbottò a dire: Beh, pazienza! Sarà per un'altra volta. Per caso messer cuoco, avete qualcosa per far dormire il mio cavallo? Sta tirando calci a più non posso. E' abituato a correre ed essere qui chiuso nella stalla del castello è irrequieto. > Mentre osservava il volto rubicondo del cuoco, illuminato da quell'unica torcia appesa alla parete. Il grassone cuoco si grattò la testa pelata e rispose: < Aspetta un momento, ti darò qualcosa che farà dormire tutta la scuderia. E' una pozione che mi ha dato un vecchio frate cappuccino che abita nel piccolo convento sopra il monte qua di fronte sulla sponda del lago.

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Mentre dava da tenere a Marco il mestolo che teneva in mano e si mise a trafficava tra quei vasi sporchi e affumicati, sul ripiano che dovrebbe essere la dispensa delle spezie. Mentre Marco guardava dentro il calderone che bolliva sul fuoco gli chiese: < Co sé questo bel profumo di mosto? >Mentre il cuoco si girava e strattonava via di mano il mestolo, mettendosi a girare l'intruglio e dava al giovane il vasetto di terracotta con dentro una polverina bianca e spiegava: < Ho preparato del vin brulé per la truppa che riscaldi la pancia nel turno di notte... > Spiegò, mentre dava le istruzioni al giovane come usare la porzione. Poi di colpo si interruppe e s'incavolava con i servi che stavano facendo qualcosa che non andava fatto e prontamente Marco ne approfittò per versare dentro un poco di quella roba bianca della boccetta, mentre il cuoco era intento a tartassare gli inservienti. Per fortuna che il cuoco ci mise un po' di tempo in più, perché dalla marmitta stava uscendo un'abbondante schiuma e Marco tentò di soffiarci sopra, meno male che si acquietò subito ed il cuoco non se ne accorse dell'imbroglio e molto presto buona parte della truppa avrebbe dormito beatamente, stando a ciò che il cuoco gli aveva assicurato. Marco era tornato dall'altra parte della passerella e si imbatté di nuovo con il capitano delle guardie, che lo fermò, dicendogli con fare di scherno: < Sei fortunato scudiero a essere il cocco dei Rusca, altrimenti il duca ti avrebbe già messo in campo a combattere. Ma tu sai usare almeno quella spada che porti alla cintola? > Ma prima ancora che Marco risponda, riprese a dire: < Forse potresti servire ed essere grato di far da scudiero al migliore dei nostri ufficiali “Rinaldo il guercio”. Ma certamente sarebbe troppo onore a un lecchino come voi. Andate alle stalle e non curatevene della vostra vita che sarà abbastanza breve... > Lo motteggiò sarcastico. Marco era furente, ma prima di tutto aveva il compito che si era impegnato da portare a termine, portare in salvo la contessina Mafalda. Nella stalla Marco era riuscito ha mandare lo staliere di guardia il più affamato a prendersi qualcosa da mangiare e da bere, mentre lui faceva la guardia al suo posto nella stalla. Mentre aspettava da un momento all'altro le due donne che arrivassero nel tempo stabilito, tra un passaggio e un altro delle guardie. Donna Geltrude aveva voluto aumentare i turni di guardie e gli armigeri si erano un po' arrabbiati per il doppio lavoro inutile nel dirsi, che nessuno nemico sarebbe arrivato a disturbare la quiete, pertanto era un servizio un po' blando e preso sottogamba, ma pur sempre in movimento da rendere l'operazione di fuga difficile.

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Poi capitò qualcosa d'inaspettato, la porta della stalla si aprì e comparve donna Geltrude che decisa si mise ha guardare da ogni parte e in fine chiese a Marco in piedi che l'osservava tranquillo: < Dov'è lo staliere? > < Aveva fame e ha fatto una corsa in cucina a prendersi un pezzo di pane. Se ne trova ancora? Non tema madonna Geltrude faccio io il suo turno. Visto che sono liberi e i cavalli riposano. Certo che se avrei vicino una bella madonna come lei, non mi sarei preso certi impegni. Ma hai m'è! Non ho certe fortune? Posso esserle di aiuto madonna? > Le chiese Marco con fare intrigante nel tentare di sedurre la donna reticente. Mentre lei dopo un momento di ripensamento provò a dire più che decisa: < Messer Darvino! Siamo franchi, voi non corteggiate, magari di già spiumata la contessina Mafalda? > Proruppe con decisione la donna. E prontamente Marco rispose tranquillo, mentre si avvicinava: < Donna Geltrude, mi meraviglio del suo linguaggio! Voglio essere sincero con Lei madonna. Io ho sempre accompagnato la contessina e accettato ogni sua richiesta come dovere nel servirla, ma per farla contenta alle domande che mi esponeva amichevolmente a chiedermi come dovrà comportarsi con il Duca dopo le nozze, a insegnarle almeno a baciare con garbo il proprio sposo e consorte? > Sapendo più che bene che la castellana sapesse delle sue scappatelle con Mafalda. < E così le ho mostrato come fare e null'altro. Madonna Geltrude mi creda è troppa giovane e acerba. Io preferisco le donne mature che sappiano apprezzare l'ardire del cavaliere che l'accompagna. Perdoni la mia sincerità o mia signora. > Sperando che la gentil donna avesse captato l'intenzione dello scudiero eccitato. Donna Geltrude rimase un po' ad osservare il giovane biondo italiano e alla fine, non sazia del poco tempo trascorso a letto con la sua guardia del corpo, proruppe decisa. Sapendo bene che il giovane non aveva più nessun contatto con la contessina e senz'altro aveva un po' di fame. Perciò rispose sorniona. < Messer Darvino, non perdiamoci in ciance. Vi aspetto più tardi nelle mie stanze e vi permetterò di togliermi i vestiti e osservare il contenuto. > Mentre si girava per andarsene e Marco la rincorreva con una voce ansiosa nel dire: < Ma solo le vesti mi concede nel togliere, mia grazia? > Mentre lei, donna Geltrude, già sulla porta rideva divertita.

La notte era sprofondate nel buio e la pioggia continuava a disturbare un po' tutto, ma era anche un bene che obbligava le guardie a restare al riparo il più possibile. Il silenzio era contenuto, soltanto qualche imprecazione

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dei gendarmi in ronda nel cambio di guardia. E lo sciabordare delle onde del lago, contro la roccia e le mura del castello dei Malpaga.

Poi due prigionieri catturati al largo e messi in una cella sotto le scuderie, si misero a imprecare a squarciagola, attirando l'attenzione delle guardie nel corridoio adiacente alle scuderie e Marco ne approfittò per versare un po di quella polvere bianca nello loro coppe di vino riposte sul tavolo. Poi, mentre si allontanava sentiva le guardie che stavano sistemando la bagarra con frustate ai malcapitati prigionieri, per aver interrotto il loro tranquilli riposo aiutato dal nettare di vino rosso.

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Capitolo Ventesimo

Marco era un po' preoccupato per il ritardo delle due donne, sapendo che donna Geltrude l'aspettava nella sua stanza e all'idea di giacere con esse non è che gli andava tanto a genio. Si avviò verso il cortile del castello, era abbastanza tardi quando sentì dei passi vicini nel corridoio e li vide arrivare di corsa. Ci fu un abbraccio veloce e un sussurro a fior di labbra: < Amore! > E via di corsa sgusciando nell'ombra verso la stalla, mentre stavano passando dall'altro lato del cortile, con la paura che dall'alto qualche soldato potesse scorgere dello ombre che costeggiavano marezzando il muro da trattenere persino il respiro. Poi giunti finalmente alla stalla e aprendo il portone, ecco apparire di colpo davanti a loro il capitano delle guardie, fermo con la braccia sui fianchi a beffeggiare gli intrusi. Marco reagì prontamente e deciso senza dare il tempo di parlare e urlare nel chiamare i gendarme. Con un preciso colpo di gamba a sgambetto e un calcio in viso, poi un colpo secco al collo con la mano e quello crollò a terra senza un lamento, per rimanervi stordito un bel po' di tempo. Marco non voleva ucciderlo, visto che poteva soltanto bloccarlo, sebbene la rabbia di prima era un po' tanta, ma alla presenza delle donne era poco carino. Le due donne rimasero sorprese dall'agilità del giovane e da quello mosse così strane da comprendere e mai vista prima, che alla fine Mafalda gli chiese stupita e confusa. < Messer Marcucci dove avete imparato simili mosse? > Anche la balia disse: < Sembra una lince, dallo scatto veloce! > Mentre seguivano il giovane nel far presto e Marco rispose tranquillo: < In collegio, nell'ora di ginnastica e si chiama: “Karaté”! Dai salite la sopra in fretta, bisogna lasciare al più presto questo posto, del diavolo! > < Karaté? Ma che diavoleria è messere? > balbettarono entrambe.Mentre Marco bloccava la porta dall'interno, aveva già fissato prima, la fune alla rastrelliera della mangiatoia e fece salire Mafalda che s'infilarsi dentro la finestra per scendere all'esterno, poi la balia un po' restia e piena di paura, ma per amore della giovane si sarebbe buttata nel fuoco. E in fine Marco si lasciò cadere oltre e di volata sulla piccola barca, mettendosi hai remi e vogando abbastanza velocemente e silenziosamente, versi la riva del lago. Lontano dalle guardie appostate all'attracco della zattera sulla

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sponda di ponente. Il vento aiutava Marco a sospingere la barca più a sud, lontano dal centro abitato di Cannero, dove molti o pochi curiosi potevano spifferare per pochi ducati di aver visto una barca passare. Mentre la balia commentava: <Messer Darvino la barca va lontano da Cannero? > Brontolò preoccupata. < Non temete o balia è così che deve andare la nostra nave della salvezza, è verso quel promontorio laggiù che andremo! > < Va bene se lo dite voi Messer Darvino! > Si rinfrancò la balia. Mentre Mafalda la incoraggiava: < Non ve la prendiate o mia devota balia. Vedrete che messer Marcucci ci porterà in salvo, lontano! > < Puoi starne certa Mafalda! Il più lontano possibile da quel maledetto castello! > Sbottò Marco risentito. Mentre pensava che non passerà molto tempo prima che si accorgono della loro fuga e allora sì che verrà il bello della storia. Rimescolò Marco apprensivo.

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Capitolo Ventunesimo

Stavano avvicinando al promontorio boscoso, mentre la prime luci dell'alba stavano rischiarando il paesaggio, la pioggia aveva smesso e il bel tempo si profilava all'orizzonte. Marco aveva visto poco distante una piccola insenatura contornata da un folto gruppo di canne a nascondere l'approdo. Poi la barca si arenò sulla sabbia del basso fondale e Marco si guardò attorno sospettoso, mentre pensava tra sé “Siamo all'incirca a una decina di chilometri da Cannero e un mezzo chilometro dal paese più a valle, Ghiffa, e proseguire con la barca saremo troppo allo scoperto e additati da chiunque, poi attraversare il lago è impossibile perlustrato in continuazione da barche cariche di armigeri”. <Accidenti! > Imprecò. E prontamente Mafalda domandava preoccupata: < Messer Marcucci, quali problemi sorgono adesso? > Capendo a sua volta la situazione. E Marco prontamente spiegava: < Ho soltanto battuto la gamba contro un vecchio tronco sott'acqua. Ecco è tutto qui! Non temete mia signora e risolveremo ogni cosa. Venite che proseguiremo a piedi, fino a un capanno che ho sostato nel mio viaggio da Biandrate a Locarno e il contadino che abita è un tipo di fiducia. Credetemi, al tempo lo ricompensai più che bene. > Marco aveva ad un certo punto pensato di spostare il tempo, ma era poi il momento giusto per farlo? Troppe cose contorte giravano attorno ed era possibile che la sua idea fosse troppo azzardata da compiere. Se sbagliava avrebbe perso tutto e Alda ancora non l'aveva trovata. Al suo fianco c'era Mafalda? Si era eguale ma non Alda? Quello era il dilemma sorto al momento. Capendo che il cambiamento radicale poteva essere fatale per tutti, non è che importava molto se a subire dei danni fisse solo lui, ma era preoccupato per Alda e la sua scomparsa definitiva. Quello era il guaio? In fine con decisione s'incamminarono inoltrandosi nel bosco oltre il canneto per arrivare al capanno senza essere visti. Dopo una buona camminata arrivarono su di una strada campestre vicino ad una vecchia cappelletta votiva, ricordandosi che era già passato da quella parte anni prima, era l'anno di grazia del 1320. Mentre spiegava alle due donne: < Mettetevi a sedere sul muricciolo a riposare un poco, mentre io vado a vedere se attorno al capanno è tutto tranquillo. Ci occorre dei cavalli per spostarci meglio. Mafalda tenete questo pugnale a difesa. >

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< Ma non vedo pericoli al momento Marcucci! > Rispose la giovane, mentre si guardava attorno e si udiva soltanto il canto degli uccelli del mattino. Poi all'improvviso il silenzio veniva interrotto dal grugnito di un grosso cinghiale infuriato che era sbucato dal folto bosco e si dirigeva al galoppo dalla loro parte sbuffando irritato. Di colpo Marco capì il perché di quella furia inferocita, l'animale aveva una freccia conficcata del polpaccio posteriore, da ferirlo e aizzarlo maggiormente e pronto a colpire gli assalitori, ma al momento stava caricando proprio loro ignari della causa. Mentre le due donne si erano abbarbicate sopra il basso muretto spaventate. Marco aveva già estratto la spada e pronto a colpire l'animale inferocito. La spada vibrò in alto e piombò decisa e si piantò decisa dietro la testa dell'animale. Come un bravo torero nell'arena. E il grosso cinghiale stramazzò grugnendo ai piedi di Marco, ormai morto. In contemporanea il rumore di cavalli al galoppo, li mise sull'attenti e in un baleno sbucarono fuori dal fitto bosco. Erano dei cavalieri in usbergo, che giungevano di corsa. Marco urlò alle donne: < Mettetevi al riparo! Dietro la cappella, presto! > Mentre si preparava a difenderle dagli intrusi, estraendo la spada dall'animale morto e brandendola al nemico sconosciuto. La sua spada ancora insanguinata brillava al primo sole ad intimorire gli aggressori. I cavalieri si fermarono a una decina di metri con le armi puntate, mentre un suono di cornamusa indicava l'arrivo di altri cavalieri e battitori per la caccia, alle loro spalle. Marco li stava tenendo d'occhio a valutare il loro assalto da un momento all'altro, pensando a cosa fare al momento cruciale, ma sapeva per certo che avrebbe venduta caramente la sua pelle. Poi La una voce grintosa e volgare urlò dalla sommità del suo cavallo, mentre al fianco gli altri puntavano le spade e uno di loro la balestre verso il biondo giovane armato di spada: < Giammai, villanzone, quel cinghiale è mio! Posate la spada e arretrate! > Sbraitò autoritario. Mentre Marco s'immaginava di vedere in quei film medioevali dove il buono vinceva sempre, ma ora lì era un'altra cosa e ben diversa la faccenda, eppoi era vero o falso? Ma a quel punto era meglio trovare una via migliore e diplomatica per sistemare la questione. E alla fine Marco rispose al probabile nobile dal modo di vestire in quell'usbergo un po' tutto indorato e nel parlare marcava la erre un po' moscia, alla francese, poi rispose deciso: < Nobile cavaliere! Se il cinghiale è di Vostra signoria, io non faccio obbiezioni a mettermi in disparte. Sebbene stava per assalirci e lo fermato. Come vede è morto hai miei piedi... > Esponendo con tranquillità.

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Mentre l'arcigno cavaliere lo rimirava con fare greve e un po' sprezzante. Poi quest'ultimo facendo segno ai suoi armigeri di non dar battaglia e alla fine rispose: < Voi baldanzoso villanzone, che vestite come un cavaliere, vorreste farmi credere che mi date quello che è già mio? Mi state prendendo per i fondelli, vero? > Sbraitò sull'imprecisato modo di vedere le cose. Mentre Marco, si stava innervosendo per quel modo dell'altro di spadroneggiare a quei tempi e lui al moderno gli stavano girando le scatole. Poi quell'accento francese dell'omone impomatato lo faceva un po' ridere, a trovarsi a dire in francese: < Maìtre, messere, si prenda il suo cinghiale e vada ha farsi benedire, allez vous promener eh bénir! > Spostandosi di qualche passo indietro. Mentre un soldato faceva scattare la sua balestra e d'impeto Marco alzo deciso la spada a spezzare la freccia al suo arrivo, disorientando gli assalitori, per la bravura e mentre gli altri cavalieri si buttavano alla carica a spada tratta, Marco si buttò nella mischia con destrezza e arguzia, nel disarcionare due cavalieri appesantiti dalle cotte di maglia e poi si avventò sul capo che si batteva molto bene con la spada dall'elsa indorata, ma ebbe a sua volta la peggio. Marco riuscì a farlo cadere da cavallo e bloccarlo con la spada alla gola, mentre con ira gli urlava deciso ai contendenti in campo: < Mettete giù le spade, ho gli stacco la testa? Quanto vero Dio! Sbrigatevi!? > Urlò d'impeto. Anche il cavaliere a terra capiva che era veramente finito, mentre osservava il giovane guerriero biondo, che non aveva avuto paura a fronteggiare un gruppo di cavalieri armati. Poi si fece coraggio e urlò ai suoi armigeri, spazientito: < Obbedite, buoni a nulla! > Le spade una dopo l'altra erano tutte a terra, mentre un militare in usbergo si massaggiava una spalla dolorante nella caduta da cavallo. Marco spazientito si era rivolto al cavaliere a terra sotto il filo della sua spada e gli ordinò perentorio: < Alzatevi cavaliere! Io non ho nulla contro di voi. Prenda il suo cinghiale e se ne vada per la sua via maìtre! Mi seccherebbe trapassare la Vostra pancia vuota, senza averla prima riempita di una coscia di questo cinghiale conteso. Sarebbe morto per niente l'animale. Spero proprio di no, cavaliere! Convenite maìtre, messere? > L'uomo si alzò stupito, perché non l'aveva ucciso e nemmeno i suoi armigeri buoni a nulla. Lui l'avrebbe fatto. Ma quel giovane che sapeva la sua lingua era molto strano ed educato nei modi, questo lo doveva ammettere. Poi la sua bravura era una cosa sorprendente, oltre l'agilità di una lince di montagna. Poi dopo un momento di sguardi reciprochi il

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cavaliere si era tolto l'elmo dal capo, dicendo al vincitore: < Faccio venia o giovane guerriero! Vi destreggiate da vero ed esperto cavaliere. State accompagnando e difendendo quelle madonne? > Indicando le due donne uscite fuori da dietro la cappelletta, spaventate da quell'incontro non voluto. Marco capendo il grosso intoppo in quell'incontro, tentò di trovare una via d'uscita e per tanto si presentò con serietà: < Sono Marcucci Darvino di Piacenza, nipote dei conti di Biandrate, Messere! Si accompagno la madamigella e la sua balia a Stresa. Ma, abbiamo perso i cavalli. Veramente rubati, nottetempo, mentre dormivamo, sotto il naso dei militari di scorta e ora sono in cerca dei briganti e della nostra mercanzia. Pertanto al momento siamo a piedi, Messere! > Provò a dire Marco il più loquace possibile. Mentre l'altro il nobile cavaliere, rispose con un tono un po' baldanzoso: < Sono Luigi XII Principe di Orleans. Erede al trono di Francia. E devo ammettere che per la prima volta, sono stato messo sotto scacco da un giovane cavaliere italiano. Qua la mano messer Darvino! Onore al merito! > Brontolò a voce grossa il principe. < L'onore è mio o principe! Perdonate il mio ardire, ma quando vengo assalito tento sempre la via migliore. Fermare l'aggressore!> Il principe Luigi si trovò a ridere di gusto, capendo della serietà e nobiltà d'animo che aveva quel giovane cavaliere e rispose: < Sono ospite dei nobili Barbavana e soggiorno nel loro feudo a Pallanza e mi diverte andare a caccia nella loro grande tenuta abbondante di selvaggina. Quantunque mi fate onore se vorreste essere miei ospiti al castello, conte Darvino e... > Guardando la giovane. E prontamente Marco rispose presentando al principe la madamigella, che si stava avvicinando e il principe con garbo baciò la mano della giovane pulzella, mentre l'ammirava un po' troppo vogliosamente. < La contessina Mafalda Rusca, messer principe e la sua balia devota. > Fece le presentazioni Marco, mentre le donne facevano un inchino al nobile di Francia. E il principe commentava mentre si stiracchiava la barba nera: < Arduino Rusca, se non erro? Ebbi l'onore di incontrarlo a Berna per affari di stato. Un buon uomo Vostro padre, madamigella. Fortunato sarà colui che vi mariterà. Siete già promessa madamigella Mafalda? > Chiese con fare sornione. Mafalda era incerta e titubante a parlare e prontamente Marco si intromise a dire: < Se al principe non dispiace, la contessina mi è stata già promessa. Ed è per questo che stavamo andando a Stresa e poi a Biandrate nel mio feudo, messer principe Luigi. > Commentò deciso Marco. Mentre pensava che

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quell'incontro, da un lato era positivo, ma dall'altro si trovavano al momento aggregati alla comitiva di nobili del cavolo e rompiscatole, ma difficile allontanarsi senza destare sospetti di qualsivoglia. Quello era il nuovo guaio. Poi capendo che l'altro voleva aggiungere qualcos'altro Marco sbottò deciso a dire: < Ma messer principe Luigi, per tornare al vostro invito e venire al castello dei Barbavana, come ospiti, ci è gradito l'invito. Sapendo che voi siete alleato con Novara e in guerra con la mia gente a Biandrate, convenite? > Mentre Marco fissava dritto negli occhi il principe nel suo usbergo luccicante e affermo col capo la risposta affermativa. E Marco proseguiva a dire: < Ma con questa vostra offerta, non è gentile da parte nostra rifiutare la vostra magnanimità di ospitarci. > < Questo è più che certo! Ho dato la mia parola. Poi se voi siete qui, le mie truppe in battaglia a Novara avranno più fortuna di vincere, senza un osso dure al quale dimostrate di valere, Messer Darvino! > Scoppiando a ridere fragorosamente. Mentre Marco rinfoderava la spada e prontamente il principe obbiettava: < Ammiro l'ardire nel riporrere la spada, ma di questi tempi, io non mi fiderei molto. Potrebbe essere fatale da parte vostra cavaliere. > Rispose il principe strizzando l'occhio al giovane. Mentre Marco tranquillo rispondeva al principe: < Messer principe Luigi, penso che voi mi sottovalutate nuovamente? > Espose Marco con ardire. < In che modo non sto' prendendo in considerazione? Se voi avete riposto la spada e i miei uomini sono armati, Sono in vantaggio messer Darvino, convenite? > Mentre osservava la madamigella che appoggiava la mano sulla spalla del giovane e a quel punto il principe, disse ridendo ai presenti: < Nobile damigella faccio atto cortese e vogliate perdonare il nostro ardire in questa disputa gioviale, fra cavalieri. > < Mi rallegra il cuore o Principe per la vostra clemenza, verso l'ardire del mio futuro marito. > Provò a sua volta Mafalda nel tentare di accattivarsi il nobile condottiero, per salvare la situazione non messa bene. Mentre il nobile s'inchinava e rispondeva alla giovane: < Penso o damigella che il vostro baldo cavaliere, sappia cavarsela più che bene da solo. Vorrei averlo uno così al mio servizio. > Mentre faceva dei segni strani ai suoi armigeri, sempre pronti sulla difensiva, dopo la grama figura di prima. Marco ancora non aveva ben capito il comportamento del principe, se era gioviale oppure fingeva di esserlo. Poi d'impeto prese il cinghiale per le gambe e con decisione lo scaraventò addosso ai soldati, gridando: < Attenti arriva il pranzo! > E tutto di colpo i tre soldati carichi

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di maglie e cotte di ferro, caddero a terra come sacchi di patate. Il principe ci restò male, ma di colpo si mise a ridere fragorosamente e rivoltosi ai cavalieri a terra, proruppe: < Messer conte Ryquet! Mi sembra che il giovane conte Darvino, vi abbia fatto oltraggio alla vostra bravura con le armi e voialtri messeri dovreste imparare a usare la testa più che le spade, per affrontare un nemico così agile. >Marco intervenne subito con un gesto di scusa: < Io non volevo essere scortese verso la vostra signoria. Ed il gesto è stato soltanto a dimostrare al principe, il modo per essere sempre pronto a reagire in evenienza. Perdonatemi messeri! > Sapendo di aver dato un buon modo per creare nuovi nemici, ma era anche il modo a dimostrare che anche solo contro tutti, ci poteva sempre essere una via d'uscita. < Vedo che siete sempre all'erta messer Darvino. Pronto ad ogni evenienza. Siete stato in oriente per imparare certe mosse così rapide? > < Non in oriente! Ma al cinematografo. Insomma è difficile spiegare il tutto. Ma se vuole le posso insegnare certe mosse che ho appreso da un posto assai lontano, messer Principe. > Sbottò Marco. Mentre i nobili al seguito grugnivano tra loro incavolati. Mentre il conte Ryquet invitava il principe a desistere con quel giovane: < Maestà non fidalti di quel mallano d'un italiano? > Il principe si stava grattando la testa, pensando come servirsi del giovane cavaliere. Era troppo in gamba da lasciarselo scappare? Bastava solo farselo amico e convincerlo ad unirsi a loro e portarlo in Francia. Proponendo un baratto: < Messer Darvino, facciamo un accordo. Voi mi insegnate le vostre mosse e io vi porto a Parigi a sposarvi. Accettate? > Marco capiva che al momento non poteva fare diversamente e prontamente rispose: < Accetto se mi fate capitano delle vostre guardie? > < Se è solo per così poco, d'accordo! Messere... Ordunque, su andiamo ha gustarci questo cinghiale arrosto! Capitano! Mi sembra che abbiate dei cavalli in più. Almeno faremo prima a rientrare al castello. Messer Darvino prendete quel baio e caricatevi la vostra futura sposa, la balia potrà cavalcare alle spalle del mio giovane staffiere. E' più sicura senza le manacce dei miei armigeri affamati, convenite? Andiamo! > Marco aveva sentito imprecare duramente il conte Ryquet nei suoi confronti, pertanto doveva fare attenzione, ad evitare di trovarsi trafitto molto prima della sua decapitazione o dell'altro, Marcucci.

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Capitolo Ventiduesimo

Marco era seduto su di un letto a baldacchino, discretamente morbido per riposare, in una stanza fredda e disadorna, ai piedi del letto una cassapanca di legno massiccio, a lato un camino annerito dal tempo, mentre osservava dalla finestra di fronte il rosso tramonto che sparire all'orizzonte. Il maniero era adibito soltanto per la caccia estiva dai padroni e ospiti per l'occasione, ed in quel gruppo di nobili francesi dava lustro e importanza al casato dei Barbavana. “Questi figli di una buona donna!” Commentò tra sé Marco, mentre si stava spremendo le meningi per trovare un modo per evacuare via, fuggire da quell'impiccio non per nulla salutare. D'altronde sarebbe così facile spostare il tempo, ma se poi Alda o Mafalda non si spostavano con lui, cosa sarebbe successo poi? Quello era il dilemma di quell'incasinata situazione ancestrale. Pertanto ora lì in quella stanza che il padrone di casa gli aveva assegnato, dopo quel lauto pasto fatto a gomito con quei lecchini e ruffiani che si trovano sempre in ogni epoca e tempo. Tutti eguali, pronto a vendersi la propria madre per un misero posto di rilievo. Era ciò che deduceva Marcucci o Marco. “Che situazione complicata. Aveva ragione il nonno Gep, nel dire di stare molto attento di questi tempi e quelli trapassati, tutti eguale”. < Accidenti! > Sbottò Marco preoccupato. Il suo chiodo fisse nel spremersi le meningi ha pensare dove fosse finita Alda? Pensando al domani nel trovare una scusa per andare con le sue donne a Stresa, in attesa di seguire poi il principe al suo ritorno in Francia, come d'accordo? A tavola Marco, aveva raccontato un sacco di frottole storie inventate al momento, da stupire i commensali da come li descriveva da sembrare veritiere. Lui che veniva da un'altra epoca era facile escogitare situazioni fantasmagoriche e stupire tutti quanti. Persino il Principe da sembrare il più sveglio e colto, pendeva dalle sue labbra a carpire quelle storielle un po' salaci, ma golose da sentire e magari da appropriarsene per esporle a palazzo a Parigi. Marco aveva suscitatore un certo interesse dei cavalieri e dame al banchetto, ma aveva anche aumentato la gelosia di altre oscure persone quella sera. Capendo che doveva aumentare la sua attenzione, a non farsi sorprendere disarmato. Ma, senza accorgersene per la stanchezza Marco si era addormentato.

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Poi vi fu qualcosa che lo destò da quel dormiveglia entrato per la spossatezza che si era impadronita della sua persona, ma al tempo stesso gli sembrava che qualcosa di diverso aleggiava in quella stanza buia. Era ormai notte fonda e Marco si guardò attorno poi, imprecò aspramente tra i denti: < Perdio! Che fesso sono stato? > Ma era ormai troppo tardi, grosse e lunghe lame d'acciaio erano puntate alla sua gola. Poi la porta si spalancò ed entro un armigero con una torcia in mano e illuminò quell'angusta stanza. Come immaginò Marco poc'anzi era contornato da un gruppo di guardie armate e decise, in fine entrò troneggiante il conte Ryquet dal sorriso raggiante nella veste di cotta, da assomigliare ad un pavone dai color sgargianti, dove traspirava da ogni poro della sua lasciva pelle, la vendetta sognata. Parlando con voce strascicata alla francese, oltre ad eliminare la erre con la elle, impossibilitato a pronunciare: < Ecco il fulbastlo staffiele che si spaccia per conte! > Mentre tirava un calcio al letto dov'era bloccato Mauro, da farsi un po' male da solo e prontamente Mauro lo rimproverava. < Fate attenzione Conte dei miei stivali, potreste farvi male veramente. Mentre Ryquet si crogiolava a dire: < Ehhh! Volevate fal cledere a sua maestà il principe Luigi, della nobile missione. Qualda caso le mie gualdie, hanno incontlato gli almigeli di donna Geltrude, sulle vostle tlacce e salà mio gesto coltese consegnalvi al Duca Ghibelli e salete punito per la fuga da Cannelo e la lapina della sposa del duca... Poltatelo via! > Urlò felice come un povero deficiente. Marco tentò con decisione di alzarsi, ma le lame delle spade gli stavano ferendo il collo e il petto, a dover desistere e rimanere costretto a seguire le guardie. E Ryquet che rideva contento nel dire: < Sala una glande soddisfazione vedelvi mozzale la testa... Andate gualdie! > Mentre lo strattonavano via, Marco si girò e urlo in direzione del conte Ryquet variopinto: < Non temete Ryquet, ci rivedremo presto! E sarà la fine per voi! Ve la farò pagare, gran figlio di puttana! > Gli urlò dietro, mentre lo portavano via in malo modo. < Gualdie! Fatelo stal zitto! Imbavagliatelo e in silenzio scortatelo a Cannelo! > Ordinò Ryquet gioioso della sua vendetta. Marco fu legato e imbavagliato, poi messo su di un cavallo e in sordina lasciarono il castello scortato da ben dieci armigeri ben armati. Era l'alba quando giunsero al castello di Cannero, dovettero attendere un poco, mentre gli uomini di donna Geltrude stavano riparando la zattera dal danno provocato da Marco. Sulla zattera ripristinata stava arrivando il

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capitano delle guardie con un occhio pesto dal calcio ricevuta da Marco nella fuga. Alla vista del biondo staffiere, l'uomo si avventò contro e stava per trafiggerlo con la spada, ma una voce alle spalle l'obbligò a desistere dal farlo. < Messer capitano! Fermatevi. Il villanzone riceverà la sua buona lezione molto presto. Non temete! > Risuonò alle sue spalle la voce dura di Geltrude. Era anch'essa incavolata a morte per lo smacco ricevuto da quel misero staffiere. < Il duca sta arrivando messere, con la sua nave tra poche ore, il piccione viaggiatore m'ha avvisato dell'arrivo. Pertanto dovremo festeggiare la vittoria del duca nel Varesotto. Mettetelo nella cella dei lebbrosi. Non merita altro! > Ordinò decisa donna Geltrude, mentre porgeva un bel sacchetto pieno di monete sonanti al conte Ryquet, tutto sorridente e rispose alla donna, mentre deponeva la ricompensa nella sua bisaccia: < L'avlei anche fatto glatuitamente madonna Geltrude! > < Sparite conte! Il villanzone almeno non s'inchina ha leccare gli stivali? > Mentre lo rimirava con disprezzo. Ryquet girò deciso il cavallo e ordinò alle guardie di scorta di seguirlo. Marco stava rimuginando un sacco di inconcluse soluzioni, mentre lo stavano portando nelle viscere del castello e alla fine slegatoli le mani e sospinto in malo modo dentro una cella fredda e buia. Poi lo sbattere del cancelletto di ferro arrugginito alle sue spalle e la chiusura della chiave nella toppa lo fece rabbrividire e in fine l'uscita dei gendarmi con le torce, aumentarono la sua angoscia, mentre il buio si impossessò dell'angustia prigione. Marco era ormai tentato a spostare il tempo, ma si fermò dal farlo, pensando che non era giusto andarsene via, per la paura di essere decapitato. Ma Alda dov'era finita in tutta quella storia? Mentre si accucciava su quella paglia umida e sporca ha meditare.

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Capitolo Ventiduesimo

Il tempo sembrava essersi fermato e le ore non passavano più un quel buco di cella angustia. Marco tentò di pensare ad altro per far passare il tempo in attesa della morte. Poi si trovò ha ripensare a quel giorno che per caso aveva scoperto quella stanza sulla torre e si ricordava molto bene. Era la seduto sulla cassapanca che osservava Cannero di fronte sulla riva opposta. E sognava ad occhi aperti ed a un certo punto intuì che anche quel Marcucci gli piaceva sognare, eguale a lui. Forse sentivano entrambi le stesse cose, sensazioni, i desideri e l'amore per la giovane Contessina. Il pensiero era lei Mafalda. Poi, per caso quando la porta si aprì e ella comparve era come un raggio di sole in mezzo alla tempesta ed entrava nel cuore buio. Furono stupiti entrambi di essersi incontrati di nascosto in quel medesimo posto e lui prontamente si alzò deciso e con un inchino salutò la contessina: < Faccio venia alla vostra signoria madamigella Mafalda! > tenendo a freno la sua voglia di baciarla. < O messer Marcucci, sono felice d'incontrarvi qui. Ma cosa fate quassù? Qui è proibito venire, lo sapete, vero? > Mentre si torceva le mani. < Già è vero madamigella. Però a quanto vedo, voi siete venuta, forse per rimproverarmi di pensarvi continuamente? > < Oh, no! Non me lo permetterei mai o messer Marcucci. Poi avemmo già stabilito la nostra rinuncia ad amarci. E questo Voi l'avete accordato, sebbene a malincuore, messere. Io sono venuta qui perché volevo essere sola con i miei pensieri e mi sembrava che qui fosse il posto adatto per pregare ed espiare i peccati di lussuria avvenuti a suo tempo. Convenite messere? Poi mi sembra il posto più tranquillo di questo brutto castello. L'avevo scoperto per caso due giorni fa, in giro per il castello ed ero salita di nascosto per curiosare. Avendo sentito dire da tutti quanti che nessuno vuol salire su quella scale pericolanti, dopo che quella guardia è precipitato di sotto ed è morto. Dicono che è maledetto questa stanza. Io non credo, è così tranquillo qui! > Mentre Marco annuiva col capo e lei proseguiva nel dire: < Mah! Non vorrei malignare sui morti. Io sono sicura che era ubriaco ed è per questo che si è ammazzato. Il giorno prima incontrandolo sugli spalti, ero assieme alla mia balia e puzzava di vino già alla terza ora. Convenite Messere? >

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< Questo è più che vero Contessina! Anche io ho pensato la stessa cosa, quando lo saputo. Comunque non pensiamoci più. È meglio così anche per noi. Quando scenderete dovrete fare attenzione. Non vorrei perdervi a questo modo tragico. Sebbene abbiamo accettato la nostra segregazione, non è detto che tutto vada sempre male. Convenite Mafalda. Sappiamo più che bene che i nostri cuori piangono entrambi il distacco. > Poi il pensiero si era spostato due giorni più avanti e Marco ricordava che aveva fatto una corsa per raggiungere quella loro alcova. Aveva fatto i gradini due per volta dalla premura di arrivare, temendo che lei fosse già fuggita via. Aveva il fiatone per la premura oltre l'euforia di quell'abbraccio sincero che li avrebbe uniti ancora una volta. Aprì la porta e Mafalda era ancora là che l'aspettava preoccupata, ma felice del suo arrivo e senza accorgersene si trovarono abbracciati con desiderio. Mentre Marcucci con impeto le sussurrava: < Mafalda, io vi amo più di ogni cosa al mondo! Sono pronto a morire per il vostro amore o mia signora! Perché in futuro non potrei vivere senza di voi, Mafalda! > Ed era vero ciò che rammentava con gioia Marco. Poi ricordò la risposta della giovane, sopraffatta dall'emozione, con le lacrime che le solcavano il viso: < Anche io vi amo tanto! Sì, perdutamente o mio Marcucci! > Lui rammentò che la prese dolcemente tra le braccia e con un caldo bacio sigillò quel patto d'amore. E l'oblio li avvolse entrambi. Per Marco rammentare quei momenti sublimi era importante, serviva a sperate ancora, sebbene era apprensivo e irrequieto, non sapendo come comportarsi, poi oltretutto temeva di non riuscire più a spostare il tempo altrove. Forse per la paura di perdere Alda per sempre e questo non lo voleva per nulla al mondo, perdere la persona cara. L'amava tanto e troppo per desistere a combattere, l'amore che era riposto nel profondo del suo cuore superava ogni inimmaginabile situazione. Sapendo per certo che avrebbe preferito morire senza Alda, quello era il guaio a voler pensare all'antica e non al moderno? Marco era tutto un rimuginare di idee più che storte, immaginando che prima di essere decapitato, il duca Ghibelli l'avrebbe interrogato, insultato, deriso... insomma? Si trovò a imprecare a voce alta: < Per la miseriaccia buona! Che casino ho combinato? > Si trovò a dire da solo, irrequieto. Poi all'improvviso gli sembrò di sentire qualcosa che si muoveva in quella cella della malora, pensando ai topi in cerca di qualcosa da rosicchiare? Ma era forse qualcos'altro che l'aveva messo sull'avviso in

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quel preciso momento di pensieri storti e strambi. Un increspamento che fluttuava e si muoveva nell'aria e lambiva come un soffio gelido sul suo viso. Marco si trovò agitato col cuore che aumentava in dismisura i battiti, ha capire cosa stesse succedendo? Anzi più che qualcosa, gli sembrò di sentire sempre più distintamente il suono di una voce cavernosa risuonare nelle sue orecchie, da pensare che fosse qualcuno in qualche cella a lato della sua che si lamentava? Ma il tutto non lo rassicurava? La voce cavernosa diveniva sempre più vicina, quasi ha capire lo scandire delle sillabe male accordate. Mentre nella sua mente c'era un frullare di vibrazioni strane ma gradevoli al suono di quelle inspiegabili parole. Da immaginarsi che nella cella c'era qualcun'altra persona dentro a fargli compagnia? Ma ricordandosi bene che era più che vuota al suo arrivo e visionata alla luce delle torce. Eppure ora sembrava di aver compagnia? Alla fine spazientito Marco imprecò a dire: < Se c'è qualcuno qui dentro si faccia vedere? Sentire la vostra voce visto che siamo al buio pesto. Accidenti! > Protestò Marco agitato. Poi, finalmente sembrava che la voce cavernosa aumentasse la limpidezza da comprendere cosa volesse dire. Anzi a Marco sembrava che oltre a comprendere quel linguaggio dall'accento straniero, si illuminasse piano piano da divenire un'evanescente visione surreale, da essere sorprendente e sovrannaturale? Marco fu scosso da vedere aumentare quella luminescenza da illuminare l'angustia cella, e qualcosa che aleggi tra quelle mura secolari. Gli sembrava di percepire e vedere qualcosa che traspiri oltre la pietra della parete umida carica di muffa secolare. Qualcosa che stava prendendo forma e sembianza da distinguere i contorni sempre più chiaramente. Marco incominciò a supporrere che era un fantasma quella presenza. Qualcuno che era trapassato e defunto in quella stessa cella da centinaia di anni e ora veniva a rompere le scatole a lui, messo male al momento, discusso tra l'antico e il moderno, ma fin dove sarebbe arrivato a sopportare l'inghippo, senza spostare drasticamente il tempo? Poi, Marco, capendo la sua posizione e il momento che stava superando con difficoltà sì concentrò sul nuovo venuto a fargli compagnia, mentre la fluorescenza sfumava e si ricomponeva fluttuando nella piccola cella a illuminare l'interno e Marco provò a dire all'irrequieto fantasma: < Beh! Visto che sei qui, raccontami qualcosa di come si sta qua dentro, hai tuoi tempi messere? > Immaginando che era un defunto secolare e magari voleva un po' di compagnia. Dove le idee e i ripensamenti si unificavano,

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confondendosi tra loro. Ma a un certo punto Marco ebbe un sobbalzo e un tonfo al cuore, lo spettro che aveva di fronte era la sua immagine, da sentirsi già più che morto e rivedersi la di fronte. Marco constatava verosimilmente di guardarsi allo specchio e vedersi se stesso riflesso, a rilievo sopra i mattoni della parete. Poi, ripensò e immaginò che era Marcucci lo spettro riflesso di fronte e tirò un debole respiro, non troppo rassicurante, ma a quel punto non poteva far niente. Solo aspettare gli eventi? In fine Marco chiuse gli occhi e sperò che il fantasma svanisse via, d'altronde quello spettro non poteva far nulla per farlo uscire da quella topaia, non avrebbe potuto trapassare i muri e uscire fuori, perciò tentò di sviare via l'immagine del sosia defunto. Alla fine Marco riaprì gli occhi e lo spettro era ancora lì di fronte che gli sorrideva divertito, da far irritare Marco a dire: < Be', che c'è da ridere amico doppione? > Mentre il fantasma sembrava che si schiarisse la gola e alla fine proruppe con un suono inarticolato e cavernoso a rispondere al prigioniero dicendogli: < Ascolta Mark! > Lo chiamò con quel nome, da stupirlo e capire all'istante che era Franz l'amico del nonno. < Accidenti! > Sbottò Marco in parte felice di aver qualcuno con cui parlare, ma al tempo stesso pensava se era già morto e si trovava tra i trapassati. Mentre lo spettro gli diceva in quella strana fluorescenza che svolazzava come una nuvola verdognola: < Sì, io sono Franz, il compagno di Giuseppe, detto il garibaldino e tu lo chiami nonno Gep, giusto? Ma devi sapere che io sono il tuo vero nonno Franz Sckol. Tu sei il nipote che non ho mai visto e conosciuto da vivo e la mia povera moglie nonna Marlene, madre di tua madre che si chiamava Sally. Comprendi Mark? > Marco stava annuendo e rimuginando tutte quello piccole congetture nel pensare tra sé: “ Il soldato tedesco che il nonno Gep aveva visto morire sul fronte russo tra le sue braccia e si era spaventato al nostro primo incontro per la straordinaria rassomiglianza che ho con Franz. E ora, lui dice che è veramente mio nonno? E mia madre si chiamava Sally, Accidenti che confusione!” Marco dopo quel primo impatto con lo spettro del nuovo nonno, mentre quello riprendeva a dire e svelare cose ormai defunte: < Mi dispiace Mark di aver appreso che quella sciagurata di mia figlia ti abbia abbandonato in quell'ospizio. Ma il motivo era ben altro... >Marco tentò di sminuire l'accaduto e rispose: < Sono cose del passato e non è bello inveire. Poi tu sai perché mi ha abbandonato? Mi farebbe piacere saperlo e scoprire cose del mio passato, anche di mio padre chi era

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e cosa faceva? Un sacco di domande che mi sono sempre fatto e non ho mai avuto risposta, E ora tu nonno Franz, forse me li puoi spiegare. Sebbene sia tardi saperle, visto che presto mi mozzeranno la testa. > < Non si deve mai dire basta, finché c'è speranza. E tu non sei il tipo di mollare la presa e sono sicuro che troverai la risoluzione dei tuoi problemi. Caro nipote Mark. > Lo rinfrancò il nonno Franz, mentre girava e fluttuava attorno e Marco impaziente di sapere qualcos'altro insisteva, prima che svanisse via quella presenza famigliare: < Fammi capire prima che sparisce via questa illusione, sii buono spiegami se sai qualcos'altro nonno Franz del mio passato? > Provò a chiedere con fare bonario. < Non temere e non è illusione, tu sei destinato a percorrere il percorso dei tuoi avi secolari. Sei stato scelto e “Loro sanno che tu riuscirai ha ripristinare il maltorto”. Abbi fiducia nella tua forza Mark e vincerai! Tutto era già da centinaia di anni predisposto, come era scritto su quei vecchi libri nella curia di Cannobbio, trafugati e bruciati da mani sacrileghe, ma nulla fermerà la tua vittoria, persisti ragazzo mio e la ricompensa sarà grande. Persisti! > Lo rincuorò il nonno. < Mah! Allora io non sono ancora morto e trapassato... sto' solamente sognando e ripercorrendo il percorso di quel Marcucci Darvino... forse era un nostro antenato, insomma mio, se ho ben capito? > < Certo nipote mio! Tu stai attraversando un percorso nel surreale e ignoto del tuo subconscio e nulla ti capiterà ha ostruire il passaggio dal passato al presente. Abbi fede e tutto andrà più che bene. Ricordi? Te la promesso la contessina Mafalda, devi aver fiducia in lei, caro Mark! > < Ti prego nonno Franz, prima di andartene via spiegami qualcos'altro dei miei genitori e per caso sai chi era mio padre? Per favore! > Il fantasma si stava agitando in quel surreale vapore verdognolo e fluorescente che rischiarava a tratti più o meno intensi la prigione, poi brontolò e riprese a parlare: < Insomma! Quel maledetto giorno che io morivo tra le braccia di Beppe sul Don in Russia, nonna Marlene a Dussendolf dava alla luce Sally tua madre, ma purtroppo dopo pochi mesi morì sotto un bombardamento aereo inglese e la piccola Sally trovata viva tra le macerie e allevata da qualcuno. Senz'altro gente povera e balorda. Perché appena più grande, essendo carina l'avviarono a prostituirsi per mangiare e mantenere il parassita “schmarotzer”! > Inveii duro, mentre fluttuava nervosamente in tondo.

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Marco temeva che sparisse senza spiegare la lunga storia, perciò tentò di dissuaderlo a continuare. < Ti prego Nonno Franz! Continua a raccontare per favore? > Mentre fissava estasiato quella evanescenza trasparente. Poi il fantasma del nonno riprese a dire: < Sally era cresciuta per strada divenendo preda della malavita... Peccato! Era così bella, quando anni dopo lo rivista, stava morendo e m'invocava aiuto, che non potevo darle... Fu lì per strada che la rapirono e portata in Libano, per poi venduta ad un califfo arabo, che a sua volta la cedette ad un ufficiale francese per un grosso favore ricevuto... Insomma lui si era innamorato di Sally e anche lei lo contraccambiava e tornati in Europa in attesa di sposarsi lei rimase in cinta di te, ma lui dovette partire per sedare una rivolta tra beduini in Algeria e li morì in un attentato. > Si era fermato, nel capire che era gravoso penare, mentre Marco lo spronava a continuare: < Come si chiamava mio padre. L'ufficiale francese? > Proruppe con un certo magone a quei ricordi scabrosi nella sua famiglia. Poi, il nonno Franz riprese a spiegare al nipote: < Facciamo presto non posso più trattenermi oltre. Il maggiore Mario Darwin, si chiamava. > Ma veniva interrotto da Marco che diceva a supposizione: < Allora la mamma, non voleva essere riconosciuta, ma ha imposto il nome di mio padre all'istituto? > < Penso proprio che è successo così. Tu padre era ufficiale dell'esercito francese e consulente nel mondo arabo, una personaggio di spicco e molto richiesto per il suo lavoro da intermediario a sedare molte rivolte e guerre. Purtroppo alla morte di tuo padre Sally si trovò disorientata e sola, da spaventarsi alla tua nascita ed è forse per questo che ti sistemò in quell'ospizio di Susa. Per lasciare poi l'Europa, assieme al fratellastro di tuo padre che la circuì e se la portò in America, ma senza il figlio avuto, la obbligò a seguirlo per amore. E fu la che la trovai sola e abbandonata dal gaglioffo, ammalata e morente... > < Dimmi ancora una cosa nonno Franz? Mio padre era italiano o francese? > Domandò Marco incuriosito, dato che era l'unica occasione a sapere la verità nascosta. < Sì, tuo padre era italiano ed era nato a Casalvolone da una nobile famiglia numerosa di contadini, e mugnai della zona. Ecco Mark, ora sai la tragica storia della tua famiglia. Comunque devi sapere che tuo padre discendeva dai lontani conti Darvino di Biandrate. E senz'altro Marcucci era un vostro diretto parente. Un bis, bis, bis, bisnonno. Te lo posso confermare. E tu stai ripristinando la storia iniziata anni addietro. Persisti

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Mark! E la vittoria sarà tua! Addio mio caro nipote, son felice di averti visto almeno una volta... lo sforzo per essere un poco visibile mi è costata troppa fatica. Addio! > E la luminosità aumento d'intensità per un ultimo sprazzo, mentre Marco dispiaciuto abbassava la testa avvilito, nel vedere a terra tra la paglia qualcosa che luccicava e lo raccolse d'intinto, era il suo accendino caduto dentro alla grata del castello. Marco alzò il capo e salutò il nonno mentre fluttuava oltre la parete della cella scomparendo. Il suo compito l'aveva esaudito pienamente, pensò Marco dispiaciuto mentre stava ripensando che non aveva chiesto come sarebbe uscito da la dentro? Ma d'incanto, ancora la voce del nonno risuonò alle sue spalle: < Usa la testa Mark e troverai il sistema per lasciare questa cella umida e putrida. Coraggio che ci riuscirai nell'intento! > Gli suggerì la voce greve.

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Capitolo Ventitreesimo

Marco mentre si girava tra le mani l'accendino, si rammentò della chiromante di Torino che aveva predetto che quell'accendino gli avrebbe portato fortuna. Poi di colpo si fermò a ripensare nel ricordandosi dove aveva visto quell'anello che teneva al dito la donna a Torino? “Era lo stesso anello che portava Mafalda a Locarno nel castello dei conti Rusca? Allora fin da quel lontano tempo la chiromante, già sapeva la storia del mio destino. Tutto era già stato scritto e io dovevo percorrere lo stesso percorso dal presente nel passato e dal passato al presente. Un circolo vizioso da seguire meticolosamente a ripristinare il maltorto”. < Però! Accidenti, come sono inguaiato per bene! > Sbottò stupito. Poi un guizzo e la fiamma dell'accendino illuminò la cella, Marco si guardò attorno sorpreso e in alto infilata ad un gancio una vecchia torci era ancora appoggiata dentro. Marco dovette arrampicarsi alla grata per arrivare alla torcia e tento con la debole fiammella dell'accendino, accendere quella torcia centenaria e finalmente dopo vani tentativi, prima di esaurirsi la fiamma dell'accendino riuscì ad accenderla. La fiamma giallognola e fumosa incominciò ad illuminare la cella. A quel punto risuonò la voce del nonno Franz nel dire: <Vedi che sai usare la testa caro nipote, insisti e troverai ciò che ti occorre, altro non posso aiutarti. Sei tu che devi escogitare la tua sapienza e metterla in pratica. Vorrei tanto aiutarti, ma sono solo uno vecchio spettro, nelle mie vesti da giovane militare, che mi sono fatto beccare da una pallottola russa e spedito al creatore... Insisti caro nipote Mark. Insisti! > < Okay! Nonno Franz. La luce c'è, eh!... Ecco cosa cercavo? > Mentre si abbassava e raccoglieva un grosso fil di ferro arrugginito dal tempo, senz'altro caduto dentro dalla stessa grata da dove l'accendino si era infilato. E si mise subito a trafficare con quel pezzo di fil di ferro, abbastanza duro da piegare con la mani, dovendo Marco ingegnarsi a infilarlo tra due pietre per piegarlo come voleva e alla fine tentò di aprire e far scattare la vecchia serratura del cancelletto nell'inferita che lo bloccava in quella cella detta dei lebbrosi. Dopo un'infinità di manovre e imprecazioni era riuscito ad aprire il cancelletto della sua cella. E con

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soddisfazione stava per uscire fuori, quando la voce del nonno lo fermò dicendogli: < Mark togliti la cotta. E lasciala qui dentro. > < Perché mai nonno, dovrei denudarmi? Ora posso correre a cercare Alda, Mafalda, insomma la mia ragazza. Comprendi nonno Franz? > < Certo che capisco, ma dato che la storia spiegata anche da nonno Gep ti ha raccontato, ricordi? Cosa era scritto su quell'antico libro a Cannobio. Prova ha ricordare? > < Diceva che alla contessina Mafalda la castellana Geltrude aveva mostrato la testa mozzata del suo scudiero. Senza far sapere al duca tale mossa, cattiva da far impazzire la giovane Mafalda. > < Esatto nipote! Perciò devi seguire la storia, Non si può cambiare? > < Si, è vero! La storia era quella... Ma io pensavo di arrivare prima che Marcucci fosse decapitato e poi bruciato già morto e buttato le ceneri nel lago Maggiore. Forse tu hai un'altra soluzione al caso? > < Certo nipote mio! Tu seguirai il tuo istinto ed escogiterai la tua soluzione, quella migliore. Mentre io indosserò la tua cotta e aspetterò che mi taglino la testa al tuo posto, visto che siamo eguali, identici e il duca e Geltrude crederà che sei tu a morire. Invece sarò io al tuo posto. Il posto di quel Marcucci che per amore ha perso la testa. > < Ma se sei svanito, scomparso! Non mi troveranno e capiranno che son fuggito via da questo buco? > < “Loro” Mi concederanno una mia ultima incarnazione al tuo posto e poi sono già da molti anni morto, cosa imposta se perdo la testa. Per un nipote come te è la cosa più bella che possa fare. Mi raccomando fai attenzione Mark! > Lo spronò nell'intento il nonno defunto. Marco, commosso capì la buona intenzione di quel nonno appena conosciuto e lo ringraziò con affetto: < Ti voglio bene Nonno Franz. Non ti dimenticherò! Se incontrerai i miei genitori di che li penso sempre. Addio nonno! > Mentre si toglieva quella cotta che gli faceva prudere la pelle. Capendo che per amore si sopportava ogni cosa. Poi nudo come un verme sgusciò fuori tra i cunicoli, superò le guardi alle carceri con facilità, nel presentarsi nudo e bloccarli per la sorpresa, da permettergli di tramortirli con dei colpi ben assestati di Karate. L'intenzione era di non uccidere nessuno. Raccogliendo una spada e guarda caso era proprio la sua, con l'effige sull'elsa dei Conti di Biandrate. Figli di buone donne! Non sono ancora morto per ereditare, anzi appropriarsi della cosa altrui. Accidenti! >

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< Bravo Mark! Vedo che stai imparando alla sopravvivenza nipote. > Mentre risuonava la gaia risata del nonno alle sue spalle e poi proseguiva a digli: < Fai attenzione che il duca ha fatto un subdolo patto con Mafalda, se lo sposerà questa notte stessa, tu sarai salvo. E lei accetterà quel patto nel sacrificarsi per amore del suo Marcucci. Il duca Ghibelli le mentirà! E tu questo lo sai. Perciò devi arrivare prima e trova Mafalda e troverai Alda. Ma mi raccomando! Soltanto un minuto prima di mezzanotte, dovrai intervenire. Prima che Mafalda si butti dalla torre nel lago. Hai capito? Prima di mezzanotte e non dopo, sarà troppo tardi. Non lasciarti fermare da nessuno dei gendarmi, ho sarà tutto inutile. Noi tutti confidiamo in te Marco Darwin! Addio per sempre! > < Nonno Franz, faccio fatica a capire, aspetta un momento ancora! Dimmi, dove troverò Mafalda? Ho paura che il tempo voli via velocemente e non posso frugare tutto il castello per trovarla? > < Mafalda dopo la proposta del duca, chiederà di recarsi nella cappella a pregare e invece salirà nella torre con la brutta notizia di donna Geltrude in petto e si butterà di sotto nel lago Maggiore a raggiungere il suo scudiero. E tu dovrai recarti sulla torre ed aspettare che lei giunga lassù distrutta dal dolore. Capito Mark, cosa dovrai fare? Ma mi raccomando prima di mezzanotte! Prima!!! > E la voce svanì via..

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Capitolo Ventiquattresimo

Marco S'infilò silenzioso nella stalla e trovò a terra uno scialle, un foulard di qualche serva della cucina adoperava per coprirsi il capo, Poi un rumore e dei gemiti che provenivano da una greppia per il fieno, Marco si avvicinò e scoprì il giovane staffiere che accontentava una ragazza inserviente, Marco si allontanò in silenzio e lasciò i due amanti tranquilli. Poi uso il grosso scialle per coprirsi un poco e di volata oltre il cortile, senza essere visto dalle guardie di ronda sugli spalti del castello e via nel corridoio per poi, arrampicarsi dopo sulla disastrata scala di legno che conduce alla torre. Mentalmente tentava di capire che ore fossero in quel momento, mentre imprecava, ricordandosi di aver dimenticato per la premura il suo orologio, quella sera all'appuntamento con Alda al castello: < Accidenti! > Sbottò incavolato, sapendo che in quel momento gli avrebbe servito. Si era fermato ha prendere fiato ai piedi della scala fatiscente. Mentre la voce del nonno lo incitava ha far presto: < Mark devi muoverti! Tra poco scoccherà l'ora fatale e tu devi essere al tuo posto, come è stato predisposto da tempo. Affrettati Mark! > Lo spronò, strascinando il suono della sua voce. < Beh! Visto che mi segui. Ascolta nonno, non si potrebbe evitare che Mafalda incontri la perfida donna Geltrude? > < No! Non è possibile! Tutto deve essere eguale e ripetuto come all'ora. Comprendi Mark? Non puoi cambiare il destino già avvenuto nel lontano medioevo. Eguale deve seguire la storia e solo tu puoi spostare l'attimo fatale... Segui il tuo cuore e tutto andrà bene. > < Capisco più che bene! Ma dov'è Alda? E chi è veramente, se al momento incontro sempre Mafalda? Sai darmi una risposta veloce, nonno Franz ? Sono più che stufo di spremermi la testa a capirci qualcosa? > < Non ti pare di essere un po' troppo curioso, nipote? Be', si capisco che tu l'ami profondamente Alda... Ma sbrighiamoci, sento già le guardie in arrivo per prendermi e tagliarmi la testa. Presto ragazzo mio! Alda è la figlia di un pescatore di Ascona, un certo Andrea Ruscati. E in un giorno di burrasca sul lago Maggiore, la barca s'infranse contro degli scogli nascosti e il buon uomo sparì scomparendo nel lago assieme alla barca da pesca e mai più ritrovato, dato la profondità del lago. Ma sulla barca quel

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giorno c'era anche Alda che l'aiutava nella pesca e se non correva in suo aiuto il fantasma di Mafalda lei sarebbe annegata. Perciò, la portò al castello. E dato la forte rassomiglianza tra le due giovani.”Loro” compresero che si poteva riprovare un'altra volta e ricomporrere il passato. Poi, Alda Ruscati è una lontana discendente dei Rusca di Locarno. Perciò a quel punto sei arrivato tu l'ultimo dei Darvino e così il ciclo si sarebbe riunito alla fine, avendo tutti noi a disposizione per far felice una coppia d'innamorati, la giovane e il suo scudiero pieni di amore, per continuare la loro felicità anche nell'oltretomba. Ma sappi che avevano già da tempo tentato qualcosa, ma non andò a buon fine. Perciò ora aspetta a te mio baldo nipote cambiare il corso della storia. Ma sappi che mancava sempre qualcosa ed era la parte più importante della storia. La componente più importante da mettere in campo a rivivere la storia? > < Quale componente? Adesso c'è dell'altro? Accidenti! Spiegati meglio nonno? Incomincio ad avere le idee abbastanza confuse. > < Quella componente mancante lai fatta scattare tu, Mark! > < Come io? Cos'altro salta fuori adesso? > Protestò Marco confuso. < Tu, sei venuto qui sull'isola al castello la prima volta di notte e hai sognato di amare la contessina Mafalda, senza nemmeno averla vista prima, se era bella o brutta. Solo dal racconto del nonno Gep, hai appreso la scabrosa vicenda. Ti aveva raccontato della sua bellezza evanescente e come la contessina l'aveva pregato di aiutarla ha consegnare un messaggio e tu ti sei immedesimato e rattristato per loro, immaginando di essere tu, al posto dello scudiero Marcucci. Spremendo la tua testa nel tentare di salvare quella bellissima storia che ti ha rubato il cuore. E soltanto tu, un giovane ancora vergine che sognava l'amore a lettere cubitali, hai seguito il tuo cuore e hai innescato la miccia dell'amore. Il tuo pensiero fisso era di poter salvare e cambiare la storia. Non è forse vero che l'hai pensato con insistenza? Ormai lo sai che io ti capisco e leggo dentro al tuo cuore stracolmo d'amore per il prossimo. > Marco sentiva in sottofondo che il nonno stava ridendo, ma di gioia. Poi provò a dire: < Sì, è la verità, nonno! Io appena ho ascoltato la storia dal nonno Gep, Ho sentito dentro di m'è qualcosa che mi rapiva e ghermiva, contemporaneamente mi affascinava a dismisura per questa storia, ormai diventata mia. In verità nei miei sogni ad occhi aperti volevo intensamente poter riunire l'amore tra i due amanti infelici, divisa dal destino crudele. Io volevo ridare la loro felicità perduta... Solo questo, e ne ero dispiaciuto. Comprendi nonno? >

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< Certo che capisco e anche “Loro” Lo sanno e hanno capito il tuo segnale e la disponibilità di far rivivere la storia dopo che hai incontrato Alda, “La ragazza del lago”. Senza sapere che lei in quei giorni del vostro primo incontro, ha vissuto e dormito nascosta qua dentro, nell'angolo sud del castello. Tu questo non lo sapevi. Vero? > < L'avevo immaginato. Ma non volevo pensare fosse vero. Allora lei era ed è posseduta dal fantasma di Mafalda? > < Non devi pensare che sia posseduta, non è bello dirlo. Poi lei era a conoscenza della storia e consapevole di quella sua doppiezza e ne andava felice di poter aiutare Mafalda ha ritrovare il suo scudiero Marcucci e rivivere l'amore perduto. Lei Alda aveva l'eguale tuo desiderio... > Per un attimo nonno Franz si fermo di parlare, poi proruppe a dire: < Achtung! Stanno arrivando!! Devo andare al tuo posto. Dai fai presto Mark! Sono sicuro che riuscirai nell'intento. Ricorda un attimo prima di mezzanotte! Addio nipote mio! > < Addio Nonno Franz! E perdonami se per colpa mia perderai la testa! Addio! > Brontolò Marco dispiaciuto, non avrebbe voluto, capendo che anche nell'oltretomba non si finiva mai di morire? Stavano succedendo troppo cose e tutte assieme. Marco seguì le raccomandazioni del nonno Franz. Aspettò nascosto con il cuore che batteva in dismisura, che Mafalda salisse sulle scale ed entri nella stanza dei loro incontri. Marco non poteva intervenire subito, soltanto un momento prima di mezzanotte. Poi impaziente salì le scale con il cuore in gola per paura di sbagliare il momento, senza un orologio al polso. Ma sperava seguendo i battiti del suo cuore a scandire le ore e d'un balzo entrò nella stanza dei loro brevi incontri e all'istante vide Mafalda o Alda, intenta ha spostare la cassapanca sotto la finestra, per salirci sopra e poi buttarsi di sotto. Marco usò un suono gradevole di voce, senza spaventare la giovane distrutta dal dolore, dicendole con dolcezza: < Amore, sono qui e non morto, per ora! Non mi hanno ancora decapitato! Ma dovremo far presto a fuggire finché siamo in tempo. > Marco aveva parlato tutto d'un fiato. Mentre lei si era girata lentamente a capire quale persona parlava con la voce del suo Marcucci decapitato? Poi vedendolo davanti e per giunta quasi nudo e con la sola spada in mano, si stupì di più ancora. Immaginando fosse il fantasma del suo scudiero. Non capendo se era una brutta allucinazione che aveva in testa. Lei aveva visto tra le mani di donna Geltrude la testa del suo Marcucci e il cuore le stava per scoppiare dal dolore. E ora li davanti, lui

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era vivo o un fantasma? Poi sentì le braccia forti che la stringevano a sé, da scoppiare per la felicità. Era vivo e la baciava ardentemente e avidamente con infinito amore e disperazione. Poi ancora la voce di Marco ha incitarla a muoversi per fuggire da quel castello maledetto: < Presto amore! Dobbiamo andare via. Sì, sono io e sono vivo per ora! Ma non perdiamo tempo, altrimenti... > Ma non poté finire, le labbra di lei erano premute sulle sue in un bacio disperato ma pieno di amore infinito. Marco per un momento si staccò la la guardò con infinito amore. Lei nel suo bel vestito bianco da sposa era lì in lacrime, ma di felicità al momento, capendo che presto l'avrebbero cercata e trovata, allora sarebbero morti entrambi nuovamente. Ma in quel momento non importava era stretta al suo scudiero ed era egualmente felice nel morire a quel modo. Poi, urla e grida dall'esterno giungevano fino a loro. Le guardi erano alla ricerca di Mafalda e senz'altro qualcuno aveva visto la donna correre verso le scale che portano alla torre. Marco stringeva con ardire la sua donna amata, con l'altra mano brandiva la spada dei conti di Biandrate, che ai tempi dei suoi avi aveva combattuto il nemico al sonante suono dell'acciaio e vinto molte guerre. Mentalmente Marco, tentava di aver dinanzi ai suoi occhi le lancette dell'orologio a scandire i prossimi minuto fatali. Nonno Franz gli aveva detto: “Un attimo prima di mezzanotte e non dopo”. Il rumore degli armigeri che si apprestavano a salire quelle scale malsicure, essendo l'ultimo posto dove trovare la Contessina Mafalda restia a sposarsi. Marco percepì il tremore di Mafalda, avvolta nella paura e le sussurrò tranquillo per rassicurarla: < Non temere amore! Io ti porterò in salvo. Abbi fiducia e chiudi gli occhi. Rimano aggrappata ha me in ogni evenienza io riparerò il maltorto. Fidati! E' giunta l'ora! > Il rumore delle guardi ormai arrivati alla porta e pronti ad entrare. Marco era tranquillo con la spada tesa a fronteggiare il nemico. Poi, Marco si concentrò con intenso desiderio di spostare il tempo altrove. Quello era il momento tanto atteso e d'improvviso un forte turbinio li avvolse e Marco sentì un piccolo lamento di Mafalda o Alda per lo spavento, ma senti anche aumentare la sua stretta nel stringersi attorno al proprio scudiero e salvatore. Poi tutto si svolse in un baleno e il turbinio che li stordiva cessò all'improvviso, da intuire di essere ormai al sicuro ed

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aprire gli occhi, nel trovarsi sugli spalti del castello di Cannero abbracciati fortemente, ormai in salvo. Poi la voce di Alda risuonò nella notte del dire al giovane: < Allora, è veramente tutto finito Mark? Veramente finito come aspettavano da centinaia di anni Mafalda e Marcucci? > Mentre accarezzava il suo biondo giovane scudiero moderno. E Marco prontamente rispondeva: < Pare di sì! Siamo riuscita ad aiutarli nel loro peregrinale nel tempo, ha ritrovare il loro amore infranto. Io sono immensamente felice per loro e anche tu lo sei mia adorata Alda! I tuoi occhi non mentono per la felicità ritrovata ha tutti noi in questo sublime momento. Mentre dal campanile di Cannero stavano terminando gli ultimi rintocchi della mezzanotte. Mentre Alda sorridente al chiarore della luna alta in cielo, diceva ancora: < Vedi amore, è appena passata la mezzanotte e finalmente abbiamo terminato con successo il nostro viaggio centenario. > < Già! Abbiamo in un breve lasso di tempo percorso una vita intera. Cosa da non credere! Poi dicono che i fantasmi sono soltanto intrigosi! Dai andiamo, amore! La nostra buona opera l'abbiamo fatta. Ora pensiamo ha noi, il cammini che ci aspetta sarà lungo e variegato, ma sapremo affrontarlo con impegno. Convenite Madamigella Alda! > Mentre alzava il braccio e mostrava la luccicante spada dei conti Darvino. < Ecco la prova che non mentiamo. Questa spada sarà caro un ricordo. > < Ti amo tanto! Oltreché sempre così ostinato e attaccato alle vecchie tradizioni, messer Marco Darwin! > E scoppiò a ridere felice. Mentre dal basso sotto le mura del castello, una voce lì chiamò: < Ehi! Là! Voi che guardate la luna, non è ore di scendere da sopra gli spalti? E' da mezz'ora che vi aspetto qui sotto seduto sulla barca. > Sbottò nonno Gep ai giovani che si baciucchiavano sopra le mura dei Malpaga. Marco si ravvede e prende per mano la sua ragazza e felici come due ragazzini scoperti a far marachelle, si avviarono da basso. Poi, Marco con importanza presentò la sua ragazza: > Nonno Gep! Lei è Alda, la mia donna e presto la mia sposa. > Facendo restare i presenti sorpresi e prontamente il nonno rispose: < Vedo che non aspetti un minuto in più figliolo, come al solito! Sono felice per voi ragazzi. Poi il piacere è tutto mio signorina Alda! Avete assolto un compito gravoso, me l'ha appena raccontato Franz, il tuo vero nonno Marco. Ora so anche io la storia per intero. Già! E' stato qui a spiegarmi le peripezie che avete dovuto fare. >

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< Come signor Giuseppe? Lei ha parlato con “loro?” > Chiese Alda sorpresa, di qualcosa che non sapeva, per bene tutta la storia.

Ma venivano interrotti da Marco che indicava sulla sommità degli spalti due figure evanescenti che si abbracciavano con amore e alla fine alzarono un braccio a salutarli per l'aiuto dato. < Guardare! Mafalda e Marcucci che ci salutano e questa volta sarà per sempre. > Terminò nel dire Marco. < Sono un po' dispiaciuto per il distacco da quel mio doppione con Marcucci. In parte m'aveva aiutato nel destreggiarmi con la spada. E senz'altro avrà imparato un po' delle mie mosse di karate. M'altrettanto felice per loro, che finalmente si sono ritrovati. > < Hai ragione Marco, ciò che pensi in questo momento. > S'intromise Alda avendo avuto lo stesso pensiero di amore per gli amanti del medioevo. < Questo sarà il nostro e il loro segreto, messer Marco, convenite? Sarà la luna, nostra testimone a raccontare hai posteri la loro storia di amore e dolore. Oltre la spada che tieni tra le mani ha dimostrare il travagliato percorso che abbiamo dovuto affrontare. > < Ha questo punto, sarà meglio che torniamo a Cannero. La centenaria storia d'amore è finita, ragazza miei! > Consigliò il Garibaldino.

Fine - Tutto Finito

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