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DIRITTO PENALE MANUALE PER CONCORSI PUBBLICI GRATUITO

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DIRITTO PENALE

MANUALE PER CONCORSI PUBBLICI

GRATUITO

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Introduzione

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

CC aa pp ii tt oo ll oo 11 °° I n t r o d u z i o n e

1.1. Il diritto penale.

1.1.1. Nozione.

Il d i r i t t o p e n a l e è costituito dall’insieme delle norme dell’ordinamento che

prevedono e disciplinano quei particolari fatti illeciti (c.d. r e a t i ) alla commissione dei quali

si ricollega l’applicazione di una sanzione di carattere giuridico-penale (c.d. p e n a

c r i m i n a l e ); oppure una conseguenza diversa, affine alla pena criminale, vale a dire una

m i s u r a d i s i c u r e z z a 1 o d i p r e v e n z i o n e 2.

1.1.2. Funzione.

La f u n z i o n e p r i n c i p a l e del diritto penale è quella di assicurare, le condizioni

essenziali della c o n v i v e n z a e del reciproco r i s p e t t o umano, predisponendo di volta in

volta la sanzione ritenuta più idonea per la difesa di quei valori e di quei beni giuridici ritenuti

nelle diverse epoche socialmente rilevanti.

Inoltre il diritto penale, svolge una funzione di o r i e n t a m e n t o c u l t u r a l e d e i

c o n s o c i a t i , nella misura in cui induce, attraverso la posizione e la generale consuetudine

di osservanza delle sue norme, processi di interiorizzazione dei relativi precetti.

1.1.3. Caratteri.

Come complesso organico di norme il diritto penale presenta i seguenti caratteri:

è d i r i t t o p o s i t i v o : è diritto penale solo quello previsto da norme

giuridiche;

è d i r i t t o s t a t u a l e : norme di diritto penale possono essere emanato soltanto

dallo Stato, e non da altri enti (Regioni, Università etc.);

è d i r i t t o p u b b l i c o : il diritto penale vigente si contrassegna, da ogni punto

di vista, come diritto pubblico3: e ciò per l’essenziale ragione che esso non regola

rapporti e conflitti di carattere privato, ma attiene in ogni caso ai rapporti fra la

1 L’ordinamento italiano vigente, prevede e disciplina la possibilità di applicare, come conseguenza della

commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato (o di fatti che, sotto questo profilo, sono equiparati al

reato) determinate m i s u r e d i s i c u r e z z a , come mezzo per prevenire l’ulteriore commissione di reati da

parte del soggetto. 2 Denominate anche m i s u r e d i p o l i z i a sono adottate in base a meri indizi o sospetti. A differenza delle

misure di sicurezza non presuppongono la commissione di un reato ma hanno lo scopo di prevenirlo, arginando

la pericolosità sociale di determinate categorie di individui. 3 Ciò non è contraddetto dal fatto che vi siano casi nei quali la legge penale lascia un certo spazio all’autonomia

del privato: come avviene nei reati perseguibili solo su querela della persona offesa. Una volta, infatti, che sia

stato rimosso, con la presentazione della querela, l’eventuale ostacolo all’applicazione delle norme di diritto

penale, è sempre la potestà punitiva dello Stato ad esplicarsi, e non già una sorta di potestà punitiva “privata”.

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

comunità giuridica statuale e l’individuo4 che ne infrange determinate regole, che la

legge ha assunto fra i comandi e i divieti penalmente sanzionati5;

è d i r i t t o a u t o n o m o : il diritto penale non si limita semplicemente a

sanzionare condotte già vietate da altri rami dell’ordinamento, ma tutela, in modo

autonomo determinati beni e/o interessi6;

La dottrina più recente ha individuato altre caratteristiche intrinseche del diritto penale:

s u s s i d i a r i e t à : nel diritto penale l’inosservanza delle regole di condotta

viene perseguita mediante l’applicazione di una sanzione afflittiva, che incide,

immediatamente o potenzialmente, su quel bene fondamentale che è la libertà

personale. Perciò l’applicazione del diritto penale deve costituire l’e x t r e m a

r a t i o , cioè essere limitata alle sole ipotesi in cui il ricorso ad altre sanzioni (civili,

amministrative o di altra natura), non appaia adeguato allo scopo di ripristinare la

situazione preesistente e/o di dissuadere i consociati dalla violazione della norma7;

f r a m m e n t a r i o : ciò significa che il diritto penale nel provvedere alla

protezione di determinati interessi ritaglia tra le possibili forme di aggressione solo

le più significative, in modo che tra l’una e l’altra figura di reato restano spazi più

o meno ampi che corrispondono a comportamenti giuridicamente leciti o

indifferenti per il diritto penale8. Ad es. l’inadempimento di un’obbligazione è

sanzionata in sede civile, mentre è irrilevante da un punto di vista penale.

1.2. Norme di diritto penale.

1.2.1. Nozione.

Sono n o r m e d i d i r i t t o p e n a l e sia quelle che stabiliscono a quali comportamenti

umani debba conseguire l’applicazione di una sanzione criminale, sia quelle che stabiliscono

la specie e l’entità delle sanzioni applicabili; sia, infine, quelle che stabiliscono le condizioni

necessarie e sufficienti per l’applicabilità della sanzione e le regole in base alle quali essa

dovrà applicarsi a un determinato soggetto e non ad altri.

Ciò che definisce la pertinenza di una norma giuridica all’ambito del diritto penale, è

insomma, il fatto che, in uno dei modi descritti, la norma concorra a s t a b i l i r e u n

c o l l e g a m e n t o f r a u n c o m p o r t a m e n t o u m a n o e l ’ a p p l i c a b i l i t à d i

u n a s a n z i o n e c r i m i n a l e .

4 L’interesse alla prevenzione e repressione dei reati costituisce sempre un interesse pubblico anche quando il

reato lede un interesse strettamente individuale (ad es. la proprietà, come nel furto), perché esso viola,

comunque, l’interesse generale ad una pacifica e ordinata convivenza sociale. 5 Pur dovendosi le norme di diritto penale, come detto, considerarsi pertinenti all’ambito più generale del diritto

pubblico, e pur costituendo l’amministrazione della giustizia penale, in particolare, un settore della pubblica

amministrazione, non per questo il diritto penale può essere confuso o ricompreso nel diritto amministrativo

(inteso come il complesso delle regole giuridiche che concernono la pubblica amministrazione nel suo momento

organizzativo. Vero è invece, che l’evoluzione storica attesta una certa fluidità di confini fra i due settori. 6 Ciò che caratterizza il diritto penale rispetto agli altri rami dell’ordinamento giuridico è la previsione del

ricorso a l l ’ u s o d e l l a f o r z a per garantire l’osservanza dei precetti. 7 Ciò porta gli Autori più moderni a sostenere la legittimità dell’intervento punitivo solo per la tutela di beni di

diretta rilevanza costituzionale o socialmente considerati tali. 8 Da questo punto di vista, oltre che “frammentario”, i1 diritto penale si presenta anche necessariamente

“l a c u n o s o ” nelle sue previsioni.

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

1.2.2. Caratteri.

La norma penale presenta i seguenti caratteri:

i m p e r a t i v i t à : in quanto la norma, una volta posta in essere, è obbligatoria per

tutti coloro che si trovano nel territorio dello stato;

s t a t u a l i t à : in quanto la norma penale deriva solo dallo Stato. Non devono

perciò essere considerate norme penali quelli previste negli Statuti degli enti

(pubblici o privati) dello Stato, né quelle contenute nelle leggi regionali ; così pure

non sono fonte di diritto penale le norme di diritto internazionale tuttavia gli atti

comunitari, in conseguenza della prevalenza del diritto comunitario sul diritto

interno, possono escludere o restringere l’applicazione di norme penali interne.

1.2.3. Elementi.

La norma penale consta:

di un p r e c e t t o : comando o divieto di compiere una determinata azione;

e di una s a n z i o n e : conseguenza giuridica che deriva dalla violazione del

precetto.

Esempio: la norma penale che prevede il delitto di omicidio dispone che “chiunque cagioni

la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”; la prima parte

della norma, che prevede il divieto implicito di uccidere, è il “precetto”, mentre la seconda

parte di essa, che prevede la pena che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza del

divieto costituisce, invece, la sanzione.

1.2.3.1. Classificazione delle norme penali, in relazione ai loro elementi costituitivi.

Le norme penali possono essere classificate, in relazione ai loro elementi costituivi, in:

n o r m e p e r f e t t e : contengono precetto e sanzione ben determinati;

n o r m e i m p e r f e t t e : contengono solo il precetto o solo la sanzione;

n o r m e p e n a l i i n b i a n c o o c i e c h e : sono quelle che contengono una

sanzione ben determinata, mentre il precetto ha carattere generico, dovendo essere

specificato da atti normativi di grado inferiore (regolamenti, provvedimenti

amministrativi)9;

n o r m e i n t e g r a t i c i di disposizioni penali: non contengono né un precetto né

una sanzione, ma si limitano a precisare o limitare la portata di altre norme o a

disciplinarne l’applicabilità e sono destinate ad integrare o disciplinare

l’applicabilità delle norme.

1.3. Le fonti normative del diritto penale italiano.

1.3.1. Codice penale

La principale fonte normativa del diritto penale italiano è costituita dal Codice penale

(d’ora in poi indicato come c.p.), approvato con il r.d. 19 ottobre 1930, n° 1398, e in vigore

9 Esempi di norme penale in bianco contenuto nel c.p.: art. 329 (rifiuto o ritardo di obbedienza da un militare o

da un agente della forza pubblica); art. 650 (inosservanza di un provvedimento dell’autorità emanato legalmente

per ragioni di sicurezza, di giustizia di ordine pubblico,di igiene).

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

dal 1° luglio 1931 (c o d i c e R o c c o ). Esso ha preso il posto del primo codice penale del

Regno d’Italia entrato in vigore il 30 1889 (c o d i c e Z a n a r d e l l i ).

1.3.1.1. Struttura.

Il codice è diviso in t r e l i b r i :

dei r e a t i i n g e n e r a l e (artt. 1-240);

dei d e l i t t i i n p a r t i c o l a r e (artt. 241-649);

della c o n t r a v v e n z i o n i i n p a r t i c o l a r e (artt. 650-734bis).

1.3.1.2. Ambito di applicazione: l’art. 16 c.p.

La preminenza del c.p. nel sistema delle fonti del diritto penale vigente è segnata, fra

l’altro, dal fatto che le norme in esso contenute “ si applicano anche alle materie regolate da

altre leggi penali, in quanto non sia da queste stabilito altrimenti” (art. 16 c.p.)10.

1.3.2. Disposizioni costituzionali.

Tra le fonti normative del diritto penale un posto del tutto particolare spetta alle

d i s p o s i z i o n i c o s t i t u z i o n a l i che al diritto penale fanno, direttamente o

indirettamente, riferimento, nella misura in cui enunciano principi regolativi fondamentali del

diritto penale vigente.

1.3.3. Codici penali militari di pace e di guerra.

Nel vigente ordinamento positivo, esistono altri due organici testi di legge in forma di

codice penale. Si tratta dei C o d i c i p e n a l i m i l i t a r i d i p a c e e d i g u e r r a ,

approvati con il r.d. 20 febbraio 1941, n° 303, e in vigore dal 1° ottobre 1941. Le norme in

essi contenute si applicano rispettivamente “ai militari appartenenti ad armi, corpi, navi,

aeromobili o servizi in generale, destinati ad operazioni di guerra” (art. 6 c.p. mil. g.).

1.3.4. Diritto penale complementare

Il d i r i t t o p e n a l e c o m p l e m e n t a r e è, invece, contenuto nelle varie legge

speciali (ossia leggi penali diversi del Codice penale), che prevedono autonomo figure di

reati11.

10

Proprio questa disposizione, d’altra parte, conferma in modo esplicito che non tutto il diritto penale è

contenuto nel codice penale. In realtà, come si è già detto, la pertinenza di una disposizione di legge all’ambito

normativo del diritto penale non dipende affatto da una sua specifica collocazione nel sistema delle fonti

positive, ma è definita in via esclusiva dal collegamento che attraverso di essa si stabilisce fra un determinato

comportamento individuale e l’applicazione di una misura sanzionatoria di carattere giuridico–penale. 11

Il diritto penale complementare è andato assumendo via via crescente importanza, tanto da porre con forza il

problema di una organica ricomposizione del diritto penale in sede di riforma legislativa.

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

CC aa pp ii tt oo ll oo 22 °° I l p r i n c i p i o d i l e g a l i t à

2.1. Nozione.

Negli ordinamenti giuridici moderni, la funzione di garanzia delle legge, in materia penale,

si riassume nel c.d. p r i n c i p i o d i l e g a l i t à d e i r e a t i e d e l l e p e n e : sia il fatto

costituente reato, sia la corrispondente sanzione, nonché la natura, specie ed entità di questa

devono essere previsti dalla legge (nullam crimen nullam poena sine lege).

2.2. Il principio di legalità nell’ordinamento italiano.

Già accolto dallo Statuto Albertino, il principio di legalità in Italia è stato ribadito dal

vigente codice penale ed ha ricevuto definitiva consacrazione nella Costituzione repubblicana

del 1948, che ne ha fatto il principio fondamentale del sistema vigente.

Esso è contenuto innanzitutto nel codice penale agli artt. 1 e 199:

l’art. 1 del c.p. vigente stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r

u n f a t t o c h e n o n s i a e s p r e s s a m e n t e p r e v e d u t o c o m e

r e a t o d a l l a l e g g e , n é c o n p e n e c h e n o n s i a n o d a

e s s a s t a b i l i t e ”;

l’art. 199 c.p. afferma che: “N e s s u n o p u ò e s s e r e s o t t o p o s t o a

m i s u r e d i s i c u r e z z a c h e n o n s i a n o e s p r e s s a m e n t e

s t a b i l i t e d a l l a l e g g e e f u o r i d e i c a s i d a l l a l e g g e

s t e s s a p r e v e d u t i ”.

Assume inoltre rango di precetto costituzionale, per il tramite dell’art. 25 nei commi 2° e

3° della Costituzione:

art. 25, 2° co., Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o s e n o n i n

f o r z a d i u n a l e g g e c h e s i a e n t r a t a i n v i g o r e p r i m a

d e l f a t t o c o m m e s s o ”;

art. 25, 3° co., Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e s o t t o p o s t o a

m i s u r e d i s i c u r e z z a s e n o n n e i c a s i p r e v i s t i d a l l a

l e g g e ”.

Come si vede, sia la Costituzione che il codice penale hanno riferito il principio,

accogliendo il s i s t e m a c d . d o p p i o b i n a r i o , sia alla pena che alle misure di

sicurezza.

2.2.1. Principio di legalità formale.

Da quanto esposto, risulta che sia il costituente sia il legislatore penale hanno accolto un

p r i n c i p i o d i l e g a l i t à f o r m a l e , inteso come “divieto di punire qualsiasi fatto che,

al momento della sua commissione, non sia espressamente previsto come reato dalla legge e

con pene che non siano dalla legge espressamente stabilite”.

Di conseguenza, non ha trovato cittadinanza, nel nostro ordinamento, la “c o n c e z i o n e

s o s t a n z i a l e d e l p r i n c i p i o d i l e g a l i t à ”, secondo cui deve considerarsi

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

reato ogni fatto socialmente pericoloso, anche se non espressamente previsto dalla legge, cui

deve quindi applicarsi la pena adeguata allo scopo1.

2.2.1.1. Definizione formale del reato.

Essendo inteso in senso formale, il principio di legalità implica una d e f i n i z i o n e

f o r m a l e d e l r e a t o , nel senso che si definisce “r e a t o ” , il fatto dell’uomo per la cui

realizzazione la legge prevede come conseguenza giuridica l’applicazione di una pena

criminale2.

2.3. Determinazioni giuridiche.

La portata del principio di legalità, nell’ordinamento vigente, viene generalmente articolata

nella enunciazione di quattro regole fondamentali, che sono:

la posizione di un comando o di un divieto penalmente sanzionato non può che

derivare dalla legge (la c.d. riserva di legge);

le leggi devono essere formulate in modo tale che il contenuto del divieto e le

relative conseguenze di carattere sanzionatorio risultino in maniera chiara dalla

norma di legge che li prevede (regola della tassatività e determinatezza della

fattispecie penale);

i reati sono tipici e nominati (principio della tipicità);

la legge penale non può avere efficacia retroattiva (irretroattività della legge

penale)

L’analisi di queste essenziali determinazioni del principio di legalità costituisce un

passaggio obbligato per la comprensione del suo significato e della sua reale portata nel diritto

vigente.

2.3.1. La riserva di legge in materia penale.

Il p r i n c i p i o d e l l a r i s e r v a d i l e g g e - il principio, cioè, secondo cui reati, pene

e misure di sicurezza non possono avere altra fonte che non sia la legge - è la determinazione

più ovvia (e in un certo senso omnicomprensiva) del principio di legalità, considerato nel suo

aspetto formale.

2.3.1.1. Ratio.

Il moderno principio della riserva di legge soddisfa esigenze di certezza giuridica e di

garanzia, in particolare:

sottrae la competenza penale al potere esecutivo evitandone l’arbitrio;

attribuisce esclusivamente al Parlamento il potere di scelta sulla politica criminale;

subordina il giudice alla legge evitando la possibilità di arbitri del potere

giudiziario.

1 Secondo i suoi sostenitori il principio di legalità sostanziale consente una più efficacia difesa della società ed

una giustizia più elastica e conforme alla coscienza sociale, in quanto da un lato, tende a colpire le condotte

effettivamente contrarie agli interessi della società, e, dall’altro permette di adeguare il diritto penale alla realtà

sociale in continuo mutamento, evitando fratture tra il diritto penale codificato e le sempre mutevoli esigenze di

difesa sociale. 2 Lo stesso Costituente e lo stesso legislatore esplicitamente accolgono la concezione formale del reato, usando il

primo l’espressione «in forza di una legge» e parlando li secondo di facto «preveduto come reato dalla legge».

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

2.3.1.2. Significato tecnico-giuridico che il termine “legge” assume nell’art. 25, 2° co., Cost.

Una volta così stabilita la ratio della riserva di legge in materia penale, risulta più agevole

definirne i l i m i t i e l’esatta p o r t a t a . La prima questione da risolvere concerne il

s i g n i f i c a t o t e c n i c o - g i u r i d i c o c h e i l t e r m i n e “ l e g g e ” a s s u m e

n e l l ’ a r t . 2 5 , 2 ° c o . , C o s t . (e, di conseguenza, nell’art. 1 c.p.).

Si tratta, più precisamente, di stabilire:

se nella sua nozione rientrino solo le leggi dello Stato, ovvero anche le leggi

regionali;

se, nel riferirsi alla legge, l’art. 25, 2°co., Cost., intenda solo la legge in senso

formale,e cioè quella formata e promulgata secondo i procedimenti di cui agli artt.

70-74 Cost., o anche le leggi delegate (art. 76 Cost.) e gli altri atti aventi forza di

legge, (in particolare i decreti-legge emanati dal Governo a norma dell’art. 77

Cost.);

se rientrano in tale ambito, anche gli atti della Comunità Europea;

infine se la consuetudine possa essere considerata fonte di diritto penale;

2.3.1.2.1. Esclusione della potestà legislativa delle Regioni in materia penale.

La questione della e v e n t u a l e p o t e s t à l e g i s l a t i v a d e l l e R e g i o n i i n

m a t e r i a p e n a l e si può ormai ritenere r i s o l t a i n s e n s o n e g a t i v o , nel senso che

le Regioni, tanto ordinarie che a statuto speciale, e le province di Trento e Bolzano, non

possono emanare norme penali, ne tanto meno modificarle o rimuoverle dall’ordinamento.

2.3.1.2.2. Leggi delegate e decreti legge.

L e g g i d e l e g a t e e d e c r e t i l e g g e in quanto fonti normative alle quali, sia pure

con particolari limitazioni, la Costituzione riconosce efficacia pari agli atti normativi a cui

compete la qualifica di legge in senso formale, sono ritenute f o n t e l e g i t t i m a d i

p r o d u z i o n e d i n o r m e p e n a l i 3.

2.3.1.2.3. Gli atti della comunità europea.

Quanto, poi, alle d i s p o s i z i o n i n o r m a t i v e e m a n a t e d a l l a

C o m u n i t à E u r o p e a , va riconosciuto che essa possano sia contribuire alla

specificazione (ma non all’intera configurazione) del precetto penale, sia condizionare

l’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice del diritto interno, in virtù del primato

del diritto comunitario, per cui la norma comunitaria deve sempre prevalere sulla norme

penale interna.

2.3.1.2.4. Consuetudine e diritto penale.

La c o n s u e t u d i n e - correttamente intesa quale il fenomeno della ripetizione

generalizzata, uniforme e costante di un determinato comportamento, sorretta e accompagnata

dalla convinzione del suo valore come norma giuridica - n o n p u ò e s s e r e i n n e s s u n

3 Si ritiene tuttavia, che il g i u d i c e n o n p o s s a f o n d a r e u n a c o n d a n n a s u l l a b a s e d i

u n d e c r e t o – l e g g e n o n a n c o r a c o n v e r t i t o i n l e g g e e che, quindi, rimane ancora atto

normativo del Potere Esecutivo, violando, in caso contrario, il principio sancito dal secondo comma dell’art. 25

Cost. (necessità della previsione espressa di legge) ma anche quello sancito dal secondo comma dell’art. 101

Cost. (sottoposizione dei giudici alla legge).

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

c a s o f o n t e p r i m a r i a d i u n p r e c e t t o p e n a l e , né determinare la cessazione

dell’efficacia di un precetto penale contenuto nella legge positiva4.

2.3.1.3. Il problema delle c.d. norme penali “in bianco”.

Con l’espressione n o r m a p e n a l e i n b i a n c o si designa l’ipotesi di una norma

penale contrassegnata dalla scissione del binomio precetto-sanzione, nel senso che essa

stabilisce sì la sanzione, ma rimette interamente ad una fonte subordinata la determinazione

del precetto.

Le norme penale in bianco sono state oggetto d’attenzione da parte della dottrina che ne ha

contestato la legittimità costituzionale in quanto lesivo del principio di riserva di legge.

Secondo questa dottrina, la riserva di legge in materia penale è assoluta, e dunque non

permette che norme secondarie possano concorrere alla creazione di una fattispecie penale.

La Corte Costituzionale è intervenuta sull’argomento, con due sentenze specificando che,

pur essendo la riserva di legge penale assoluta, è possibile che norme secondarie integrino

norme penali. La Corte Costituzionale ha stabilito che il rinvio è costituzionalmente legittimo

se si tratta di:

r i n v i o t e c n i c o : si ha nei casi in cui la norma di legge rinvia per la

determinazione o la maggiore specificazione della condotta vietata, ad una fonte

secondaria preesistente e ben definita. In questo caso il principio di legalità non

soffre alcuna lesione, perché, in realtà, la legge predetermina interamente il

precetto, sia pure mediante il rinvio ad un testo normativo, di carattere non

legislativo, di cui semplicemente evita, per economia di formulazione, di recepire

materialmente il contenuto;

r i n v i o p e r p r e s u p p o s i z i o n e : si ha nell’ipotesi in cui la legge

predetermina in via generale la condotta vietata (per esempio, la detenzione di

sostanze stupefacenti, o l’uso di additivi chimici non consentiti nella preparazione

di alimenti, ecc.), demandando però ad altra fonte (decreto ministeriale,

regolamento di esecuzione) di specificare, su un piano strettamente tecnico, i

presupposti per il suo verificarsi (di stabilire, per esempio, quali siano gli additivi

non consentiti, ovvero le sostanze stupefacenti). L’integrazione normativa può

risultare ammissibile, a condizione però che la legge predetermini almeno i criteri

in base ai quali la fonte secondaria concorrerà alla specificazione del precetto.

È i n o g n i c a s o i l l e g i t t i m a , l a n o r m a p e n a l e c h e r i n v i i a d

u n r e g o l a m e n t o o a d u n a t t o a m m i n i s t r a t i v o l a t o t a l e

d e t e r m i n a z i o n e d ’ e l e m e n t i e s s e n z i a l i d e l l a f a t t i s p e c i e 5.

4 Efficacia giuridica si riconosce invece alla c o n s u e t u d i n e i n t e r p r e t a t i v a che nel rispetto della

norma penale preesistente si limita ad enucleare il significato mutevole nel tempo e nello spazio di elementi di

una fattispecie (es. morale pubblica buon costume) ed alla c o n s u e t u d i n e i n t e g r a t i v a che concorre a

definire il contenuto dei precetti delle norme penali che rinviano a norme giuridiche preesistenti di rami

dell’ordinamento generale in cui la consuetudine può essere fonte del diritto (es. art. 51 c.p., per il diritto o

dovere che scrimina). 5 Tale modello è sicuramente incostituzionale, anche nell’ipotesi in cui il regolamento o l’atto amministrativo

siano preesistenti, in tal modo escludendo che la tecnica del rinvio formale sia compatibile con il principio della

riserva di legge. Tuttavia la Corte Costituzionale, rigettando le censure di incostituzionalità relative all’art. 650

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

2.3.2. Il principio di “tassatività e determinatezza” della fattispecie legale.

Il principio di legalità è comunque sostanzialmente eluso quando la previsione legislativa

sia così generica ed ambigua da non consentire la ricostruzione della condotta vietata.

Pertanto la norma penale deve fornire una descrizione, più o meno dettagliata del fatto

punibile: è cioè necessario che la fattispecie legale del reato sia delineata secondo i c r i t e r i

d i t a s s a t i v i t à e d e t e r m i n a t e z z a che agevolino la riconduzione del fatto storico al

modello astratto approntato dal legislatore (c.d. p r o c e d i m e n t i d i s u s s u n z i o n e )6.

In altri termini secondo il principio della tassatività le norme penali devono essere

formulate, in modo chiaro e determinato; deve essere tassativamente stabilito cosa è

penalmente rilevante e cosa è penalmente irrilevante.7

2.3.2.1. Ambito di applicazione.

Essendo un corollario del principio di legalità, il p r i n c i p i o d i

d e t e r m i n a t e z z a s i r i f e r i s c e n o n s o l o a l p r e c e t t o m a a n c h e

a l l a s a n z i o n e .

In particolare il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza costituzionale

è nel senso che non solo la pena debba essere legislativamente predeterminata e che la

predeterminazione riguardi sia le p e n e p r i n c i p a l i , le p e n e a c c e s s o r i e e i c.d.

e f f e t t i p e n a l i d e l l a c o n d a n n a ; ma altresì nel senso che la sanzione debba essere

prestabilita in forma non generica, e articolata e n t r o l i m i t i m i n i m i e m a s s i m i

r a g i o n e v o l i 8.

2.3.2.2. Funzioni.

Il principio di determinatezza svolge una serie di funzioni:

obbliga il legislatore all’esatta precisazione del fatto che costituisce il reato;

evita che il giudice possa determinare da solo quali comportamenti costituiscono

reati;

funge da guida al comportamento del cittadino, che è posto in grado di discernere

con esattezza il lecito dall’illecito;

garantisce lo stesso diritto di difesa dell’imputato, che risulterebbe menomato dalla

mancanza di una puntuale descrizione legale del fatto contestato.

cpc, ha affermato che il principio di legalità non può ritenersi violato quando sia una legge dello Stato a

predeterminare i caratteri, i presupposti, il contenuto e i limiti della fonte subordinata che concorre

all’integrazione del precetto, così che questa si ponga come mero svolgimento di una disciplina già tracciata

dalla legge penale. 6 Il principio di tassatività non impedisce l’impiego, nella formulazione delle leggi penali, dei c.d. e l e m e n t i

n o r m a t i v i (elementi definibili in base a norme giuridiche diverse da quella incriminatrice) o degli

e l e m e n t i d e s c r i t t i v i della fattispecie penale (definibili in base a dati di comune esperienza). Per i

primi non si pone alcun problema di determinatezza della fattispecie poiché, ad esempio, il concetto di altruità

della cosa, di cui al reato di furto, si ricava facilmente dalle norme civili in materia di proprietà e possesso; i

secondi rinviano, invece, a dei concetti (ad es. il comune senso del pudore) assai più incerti e mutevoli. In tal

caso il principio di tassatività può dirsi rispettato solo ove essi non risultino vaghi o indeterminati. 7 La legge, non può limitarsi ad esempio a dichiarare che il furto è reato, ma deve fornire il modello dell’azione

furtiva. 8 Da ciò si fa conseguire l ’ i l l e g i t t i m i t à c o s t i t u z i o n a l e d e l l e n o r m e p e n a l i c o n

s a n z i o n e i n d e t e r m i n a t a , a n c h e s o l t a n t o n e l m a s s i m o .

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

2.3.3. Il principio di tipicità.

Dalla riserva di legge e dalla necessaria determinatezza della fattispecie penale deriva il

p r i n c i p i o d e l l a t i p i c i t à . Poiché è reato solo quel fatto che il legislatore ha

espressamente e tassativamente considerato come tale, i reati sono t i p i c i e n o m i n a t i è

costituiscono, dunque, un “numero chiuso” 9. Logico sviluppo del principio di tipicità il

divieto di analogia nel campo penale.

2.3.3.1. Il divieto di analogia nel campo penale.

L’a n a l o g i a , è quel p r o c e d i m e n t o i n t e r p r e t a t i v o che consente di desumere

la regolamentazione dei casi non espressamente previsti dalla legge dalla disciplina dettata per

i casi simili (analogia l e g i s ) ovvero dai principi generali dell’ordinamento giuridico

(analogia i u r i s ). Esso costituisce pertanto uno degli strumenti attraverso cui l’ordinamento

giuridico provvede a colmare le eventuali lacune legislative.

Questo particolare procedimento di produzione normativa non è ammesso nel diritto

penale, come si evince dall’a r t . 1 4 d e l l e D i s p o s i z i o n i s u l l a l e g g e i n

g e n e r a l e , che stabilisce: “L e l e g g i p e n a l i e q u e l l e c h e f a n n o

e c c e z i o n e a r e g o l e g e n e r a l i o a d a l t r e l e g g i n o n s i a p p l i c a n o

o l t r e i c a s i e i t e m p i i n e s s e c o n s i d e r a t i ”.

Tuttavia la dottrina ha chiarito che t a l e d i v i e t o o p e r a s o l o p e r n o r m e

p e n a l i “ i n c r i m i n a t i c i ” (analogia in malam partem), quelle cioè che prevedono la

figura base del reato, nei suoi elementi costitutivi essenziali, le relative sanzioni principali e

accessorie, gli effetti penali della condanna, le eventuali circostanze aggravanti, le condizioni

di punibilità ecc10.

Restano infatti e s c l u s i d a l d i v i e t o , sempre secondo la dottrina, le n o r m e

“ s c r i m i n a n t i ” , ossia le norme che tolgono illiceità al fatto penalmente sanzionato, e

quelle che prevedono ipotesi di attenuazione della pena (analogia in bonam partem11), sempre

che non si tratti di norme eccezionali.

2.3.3.2. L’interpretazione estensiva.

Dalla interpretazione o integrazione analogica, va tenuta distinta l’i n t e r p r e t a z i o n e

e s t e n s i v a :

l’interpretazione analogica, infatti pur implicando un attività interpretativa della

legge, ha un accentuato carattere creativo; essa, infatti,consiste nel dare una

regolamentazione ad un caso non disciplinato, né espressamente né implicitamente,

dalla legge attraverso l’applicazione della disciplina prevista per un caso simile;

9 Il “furto” è quello, e soltanto quello, descritto dall’art. 624 c.p. per cui qualsiasi impossessamento di una cosa

mobile e non altrui, non potrà mai essere ricondotto a tale fattispecie tipica. 10

Per quanto attiene l’a n a l o g i a i n m a l a m p a r t e è pacifico che il divieto di applicazione analogica

concerna non solo le norme penali “incriminatrici”, ma si estenda anche a quelle disposizioni che concorrono, in

via generale a definire i presupposti della punibilità. 11

Tra le principali applicazioni della a n a l o g i a i n b o n a m p a r t e m ricordiamo: I) l’estensione del

difetto di imputabilità oltre i casi previsti dagli artt. 85 e ss. c.p., ad esempio si ritengono non imputabili il

selvaggio, il soggetto che ha vissuto in stato di segregazione sin dalla nascita e gli argati; II) l’estensione delle

scriminanti oltre il ristretto ambito previsto dalla legge; III) l’estensione anche alle cause concomitanti o

antecedenti della disciplina delle concause stabilita dal secondo comma dell’art. 41.

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

l’interpretazione estensiva, per contro, opera sempre nell’ambito di una norma ma

comporta la riconduzione sotto la disciplina della stessa norma di una ipotesi

apparentemente fuori dalla sua sfera. Quest’ultima interpretazione n o n

i n c o n t r a l e l i m i t a z i o n e d e l l ’ a r t . 1 4 d e l l e p r e l e g g i .

2.4. Le singole fonti del diritto penale.

Dopo aver esaminato il senso è la portata del “principio di legalità” è ora possibile

esaminare in concreto quali sono le f o n t i d e l d i r i t t o p e n a l e i t a l i a n o . Esse

sono:

le leggi costituzionali;

le leggi formali ordinarie;

le leggi delegate, tra cui rientrano anche i c.d. testi unici delegati (si ricordi che lo

stesso codice penale è un testo unico delegato);

i decreti legge;

i provvedimenti presidenziali di concessione e amnistia e di indulto;

i decreti governativi in tempo di guerra e i bandi militari (artt. 17-20 cod. pen. mil.

guerra), purché sussista la situazione prevista dall’art. 78 Cost. (dichiarazione dello

stato di guerra e attribuzione dei relativi poteri al governo da parte del parlamento);

i regolamenti e le direttive CE;

Non possono invece essere annoverate tre le fonti del diritto penale;

le leggi regionali;

le leggi provinciali di Trento e Bolzano;

le ordinanze di urgenza;

i regolamenti (nei limiti precisati);

le circolari;

la consuetudine

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

CC aa pp ii tt oo ll oo 33 °° L a l e g g e p e n a l e n e l t e m p o e n e l l o s p a z i o

3.1. Successioni di legge penali nel tempo.

Si ha s u c c e s s i o n e d i l e g g i quando una norma si estingue ed un’altra le subentra. Il

fenomeno successorio delle leggi penali è regolato, nel codice penale, dall’a r t . 2 il quale

distingue t r e d i s t i n t i c a s i .

3.1.1. La nuova norma configura come reato un fatto che in precedenza non era previsto

come tale.

Q u a n d o l a l e g g e c o n f i g u r a c o m e r e a t o u n f a t t o c h e i n

p r e c e d e n z a n o n e r a p r e v i s t o c o m e t a l e , si applica il principio della

irretroattività delle leggi penali incriminatrici.

3.1.1.1. Il principio di irretroattività.

Per il p r i n c i p i o d i i r r e t r o a t t i v i t à della legge penale è vietata l’applicazione di

norme penali incriminatici a fatti commessi prima della loro entrata in vigore1.

Il principio di irretroattività, nel nostro ordinamento, riguarda in generale, la legge2; per la

materia penale esso è sancito

all’art. 2, co. 1°, c.p.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r u n f a t t o

c h e , s e c o n d o l a l e g g e d e l t e m p o i n c u i f u c o m m e s s o 3,

n o n c o s t i t u i v a r e a t o ”;

ed è assurta al rango di principio costituzionale, attraverso la formulazione dell’art.

25, co. 2°, Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o s e n o n i n f o r z a

d i u n a l e g g e c h e s i a e n t r a t a i n v i g o r e p r i m a d e l f a t t o

c o m m e s s o ”.

3.1.2. La nuova norma non prevede più come reato un fatto che in precedenza era

considerato tale.

Se invece, l a n u o v a n o r m a n o n p r e v e d e p i ù c o m e r e a t o u n f a t t o

c h e i n p r e c e d e n z a e r a c o n s i d e r a t o t a l e , si applica, il principio di non

ultrattività.

3.1.2.1. Il principio di non ultrattività.

Secondo il p r i n c i p i o d i n o n u l t r a t t i v i t à d e l l a n o r m a p e n a l e , essa non

si applica ai fatti commessi dopo la sua abrogazione, e i suoi effetti cessano anche rispetto ai

1 Vige l’irretroattività sia nell’ipotesi in cui la legge istituisca un nuovo titolo di reato, sia quando il mutamento

degli elementi costitutivi di preesistenti fattispecie criminose rende punibili fatti che prima non lo erano. 2 Art. 11 delle disposizione di legge in generale: “la legge non dispone che per l’avvenire: esso non ha effetto

retroattivo”. 3 Il t e m p o i n c u i f u c o m m e s s o i l f a t t o dev’essere stabilito, per i fini che qui interessano,

avendo riguardo al tempo in cui si è r e a l i z z a t a n e l m o n d o e s t e r n o l a c o n d o t t a che la norma

sopravvenuta qualifica come reato. Se, infatti, ci si riferisse all’evento (cioè il risultato lesivo, casualmente

connesso all’azione, e di regola necessario per il configurarsi dell’illecito penale) si potrebbe incorrere proprio in

un’applicazione della legge penale, in flagrante contrasto con la ratio del divieto di irretroattività.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

fatti, commessi durante la sua vigenza e per i quali sia intervenuta una sentenza di condanna,

passata in cosa giudicata (a b o l i t i o c r i m i n i s ).

Queste conseguenze della c.d. abolitio criminis sono disciplinati dall’a r t . 2 , c o . 2 ,

c . p . che stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r u n f a t t o c h e ,

s e c o n d o u n a l e g g e p o s t e r i o r e , n o n c o s t i t u i s c e r e a t o 4; e , s e v i è

s t a t a c o n d a n n a , n e c e s s a n o l ’ e s e c u z i o n e e g l i e f f e t t i p e n a l i ”.

La norma viene spiegata sul rilievo che l’abolizione della incriminazione di un fatto

significa che questo non è più ritenuto contrastante con gli interessi della comunità:

l’applicazione della pena, in conseguenza della sua realizzazione, viene allora a mancare di

fondamento.

3.1.3. La nuova norma senza introdurre nuove reati o abolire reati preesistenti, si limita a

modificare il trattamento penale del fatto.

Un’ultima ipotesi è quella di s u c c e s s i o n e d i l e g g i m o d i f i c a t i v e , cioè di

leggi che senza introdurre nuove reati o abolire reati preesistenti, s i l i m i t a n o a

m o d i f i c a r e i l t r a t t a m e n t o p e n a l e d e l f a t t o , che conserva inalterato il suo

carattere di illecito penale.

3.1.3.1. Il principio del favore rei.

Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 2, comma 3, il quale stabilisce che “s e l a l e g g e

d e l t e m p o i n c u i f u c o m m e s s o i l r e a t o e l e p o s t e r i o r i s o n o

d i v e r s e 5, s i a p p l i c a q u e l l a l e c u i d i s p o s i z i o n i s o n o p i ù

f a v o r e v o l i 6 a l r e o s a l v o c h e s i a s t a t a p r o n u n c i a t a s e n t e n z a

i r r e v o c a b i l e 7” (c.d. p r i n c i p i o d e l f a v o r r e i ).

4 Secondo l’opinione dominante ricade nel fenomeno in esame anche l’abolizione della norma (non penale)

integratrice di una norma penale in bianco, mentre è controverso se si abbia abolitio criminis anche nel caso in

cui muti un elemento normativo della fattispecie (si pensi al delitto di calunnia, che consiste nell’incolpare

falsamente qualcuno di un reato, ove il fatto costituente il reato falsamente attribuito cessi di essere considerato

tale) o una norma integrativa extragiuridica (si pensi al venir meno, nella coscienza sociale, del carattere di

oscenità di taluni comportamenti). Va in ogni caso ricordato che l’abrogazione di una norma di portata più

specifica può far riespandere altre norme di portata più generale che incriminano comunque il comportamento

oggetto della norma abrogata (es.: la condotta dell’abrogata procurata impotenza può ricadere nel reato di lesione

personale). 5 A volte non è facile discernere se la legge successiva abroghi quella precedente, ai sensi del comma 2 (facendo

divenire lecito il comportamento prima vietato), oppure la modifichi semplicemente, ai sensi del comma 3

(continuando a prevedere come reato il comportamento precedente salva l’applicazione della norma più

favorevole). Secondo un primo criterio di natura sostanziale elaborato dalla dottrina tedesca, il problema può

essere risolto verificando se tra la norma anteriore e quella successiva esista una «continuità del tipo di illecito»

ossia un’identità del bene protetto e delle modalità di aggressione dello stesso: dove si ravvisi una tale continuità

dovrà identificarsi un fenomeno di successione di leggi modificative con applicazione della legge più favorevole

al reo. Più rigoroso e, dunque, più rispettoso del principio di irretroattività della legge penale incriminatrice, è il

criterio di natura formale che fa leva sull’esistenza o meno di un rapporto di continenza. Fra le due fattispecie si

ha modificazione quando la nuova legge penale contempla una fattispecie di portata più specifica rispetto a

quella precedente, sicché, in mancanza della norma successiva, quel fatto sarebbe rientrato nella norma

precedente. Secondo autorevole dottrina è possibile riscontrare una modificazione anche nell’ipotesi inversa, che

ricorre quando una fattispecie di portata generale succede ad una fattispecie di portata più specifica: in tal caso il

fenomeno successorio-modificativo si instaura esclusivamente con riferimento alle ipotesi già contemplate dalla

norma precedente ed inglobate in quella successiva. 6 Per stabilire tra due l e g g i quale sia la p i ù f a v o r e v o l e al reo, occorre porre a confronto i risultati che

deriverebbero dall’applicazione di ciascuna delle due norme alla fattispecie concreta: più favorevole sarà quella

che, applicata al fatto oggetto dell’esame del giudice, condurrà a conseguenze meno gravose per il reo. Una volta

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

Possono allora aversi due ipotesi:

la nuova legge apporti modificazioni sfavorevoli al reo: in questo caso si applicherà

la legge precedente;

la nuova legge apporti, invece, modificazioni favorevoli al reo: in tal caso si

applicherà la nuova legge, la quale avrà, quindi, efficacia retroattiva.

La ratio della norma risiede nel “principio superiore che al cittadino è assicurato il

trattamento penale più mite tra quelli stabiliti dalla legge a partire dal momento della

commissione del fatto fino alla sentenza irrevocabile”.

3.1.4. Successione di leggi temporanee, eccezionali.

L’a r t . 2 , c o m m a 4 , esclude l’operatività del principio di retroattività in favore del

reo riguardo a leggi temporanee8 ed eccezionali9. In questi casi si applica solo e sempre la

disposizione in vigore nel tempo in cui è stato commesso il fatto10.

La ratio della differente applicazione è che, se per le leggi temporanee ed eccezionali non

trovasse rigorosa applicazione il principio «tempus regit actum», gli autori dei reati ivi

descritti avrebbero la possibilità di eludere le corrispondenti sanzioni, specialmente per i fatti

commessi nell’imminenza dello scadere del termine o verso la fine dello stato eccezionale11.

3.1.5. Trattamento da riservare ai decreti legge non convertiti.

Fino alla sentenza costituzionale n. 51/85 C. Cost. era fortemente controversa in dottrina la

questione del trattamento da riservare, nel quadro della disciplina della successione di leggi

penali, alle norme penali contenute in un decreto legge non convertito in legge dalle Camere,

individuata la legge più favorevole, essa dovrà essere applicata in toto, non essendo possibile disciplinare alcuni

aspetti mediante l’applicazione di una legge ed altri applicando una disposizione legislativa diversa. La

determinazione del carattere più o meno favorevole di una norma nei confronti di un’altra va fatta tenendo conto

non solo delle rispettive pene edittali, ma del trattamento sanzionatorio che in concreto deriverebbe

dall’applicazione dell’una o dell’altra. Ad esempio, se la nuova legge prevede, rispetto alla precedente, una pena

più ridotta nel massimo ma più elevata nel minimo, si applicherà la legge precedente o successiva, a seconda,

rispettivamente, che il giudice intenda applicare al caso concreto la pena edittale minima o massima. Va infine

sottolineato che la regola della applicabilità della legge più favorevole non concerne soltanto i rapporti fra norme

incriminatrici speciali, ma altresì le variazioni intervenute in norme di parte generale da cui scaturisca un regime

più favorevole al reo. Un esempio può essere costituito dall’elevazione del limite di pena suscettibile di essere

sospesa condizionalmente (art. 163 e segg. c.p.) e dalla contestuale modificazione delle condizioni che ostano

alla sospensione stessa (cfr. art. 11 D. 1. 11 aprile 1974, n. 99 e art. 1041. 24 novembre 1981, n. 689). 7 S e n t e n z a i r r e v o c a b i l e : è la sentenza passata in giudicato immodificabile, in quanto tutti i mezzi

di impugnazione sono stati esperiti (per cui non è più ammessa impugnazione diversa dalla revisione), o non

sono più proponibili per il decorso dei termini per impugnare. 8 Sono, invece, t e m p o r a n e e quelle che hanno vigore entro un limite di tempo da esse determinato.

9 Le l e g g i e c c e z i o n a l i sono emanate in situazioni anormali (guerre, epidemie, terremoti) e non vanno

confuse con le leggi eccezionali di cui all’art. 14 preleggi che contengono eccezioni a regole generali. 10

In caso di successioni di leggi temporanee o eccezionali tra di loro, si ritiene applicabile il 3°– o il 4– comma

dell’art. 2, a seconda che la legge temporanea o eccezionale posteriore presenti la stessa o una diversa ratio di

disciplina rispetto all’anteriore. 11

La deroga al principio della retroattività della legge più favorevole fino a tempi recenti, interessava anche le

leggi finanziarie a norma dell’art. 20 L. 7 gennaio 1929, n. 4 per il quale «le disposizioni penali delle leggi

finanziarie si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni

medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione». Quindi anche nel caso in cui la legge

finanziaria fosse seguita da altra più favorevole essa continuava ad applicarsi ai fatti commessi sotto la sua

vigenza. Tuttavia, t a l e d e r o g a è s t a t a e l i m i n a t a dall’art. 24 del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n.

507, recante «Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della

L. 25 giugno 1999, n. 205» che ha espressamente abrogato l’art. 20 L. 7 gennaio 1929, n. 4.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

oppure convertito in legge, ma con emendamenti eliminativi di norme penali in esso

contenute.

La difformità di opinioni aveva origine dall’evidente discrasia fra la disciplina

costituzionale della materia e la norma contenuta nell’art. 2, co. 5 c.p.. Quest’ultima

disposizione estendeva infatti la disciplina generale della successione di leggi penali ai casi di

“decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge e nel caso di un decreto legge convertito

in legge con emendamenti”. L’art. 77, co. 3, Cost. stabilisce, però, che i decreti “perdono

efficacia sia dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro

pubblicazione”.

La perdita di efficacia ex tunc sembrava, dunque, inibire lo stesso ingresso di un

meccanismo di successione fra leggi, in quanto il fenomeno della successione presuppone per

definizione una sia pur temporanea validità della legge preesistente, che l’art. 77 co. 3, Cost.,

viceversa, esclude.

3.1.5.1. La sentente n. 51/85.

Con la ricordata s e n t e n z a n . 5 1 / 9 8 , la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo

il co. 5 dell’art. 2 c.p., “nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste la

disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dello stesso art. 2”.

Facendo salvo il riferimento al co. 1 dell’art. 2, la sentenza n. 51 ha quindi attribuito al

decreto legge non convertito la sola efficacia ricollegabile alla regola della irretroattività della

norma penale incriminatrice, per l’evidente prevalenza dell’irriducibile principio fissato

nell’art. 25, co. 2 Cost., anche rispetto alla previsione dell’art. 77; mentre ha escluso la

rilevanza del decreto legge non convertito, rispetto al fenomeno della successione di leggi

penali, così come regolato dai co. 2 e 3 dell’art. 2 c.p.

In altre parole, se con il d.l. è abrogata una incriminazione preesistente, la sua

“reviviscenza” a seguito della caducazione del d.1. non potrà spiegare effetti rispetto alle

condotte realizzate nel periodo di provvisoria vigenza della norma contenuta nel decreto, che

resteranno non punibili, in quanto non costituenti reato “secondo la legge del tempo” in cui

furono commesse (art. 2, co. 1 c.p.).

Ma né l’abolitio criminis, né la modificazione in senso più favorevole al reo potranno,

invece, spiegare effetto nei confronti delle condotte antecedenti all’emanazione del decreto, la

cui qualificazione giuridica resterà affidata alla legge previgente, o a quella posteriore al d.l.

non convertito, se più favorevole.

3.2. L’efficacia della legge penale nello spazio.

3.2.1. I reati commessi nel territorio italiano: il principio di territorialità.

Secondo il p r i n c i p i o d e l l a t e r r i t o r i a l i t à , tutti gli atti dello Stato, compresi

quelli legislativi, incontrano nel territorio12 il loro limite spaziale di efficacia. Il nostro

legislatore ha accolto, per il diritto penale, il principio della territorialità, sancendo:

12

Ai sensi dell’art. 2° co.: Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato il territorio della Repubblica e

ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come

territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge

territoriale straniera”.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

al primo comma dell’art. 3 c.p. : “L a l e g g e i t a l i a n a o b b l i g a t u t t i

c o l o r o c h e , c i t t a d i n i 13 o s t r a n i e r i , s i t r o v a n o n e l

t e r r i t o r i o d e l l o S t a t o , s a l v e l e e c c e z i o n i s t a b i l i t e

d a l d i r i t t o p u b b l i c o i n t e r n o o d a l d i r i t t o

i n t e r n a z i o n a l e ” (principio di obbligatorietà della legge penale);

al primo comma dell’art. 6 c.p.: “C h i u n q u e c o m m e t t e u n r e a t o

n e l t e r r i t o r i o d e l l o S t a t o è p u n i t o s e c o n d o l a l e g g e

i t a l i a n a ”.

3.2.1.1. Le immunità.

Le “eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”, di cui parla

l’art. 3 1° co. c.p., sono qualificate come i m m u n i t à p e n a l i e si identificano con un

complesso di situazioni tra loro diverse il cui effetto comune è la sottrazione di un soggetto

all’applicazione della sanzione penale.

3.2.1.1.1. Nozione.

Le i m m u n i t à sono particolari prerogative riconosciute a determinate persone (o classi

di persone) che adempiono funzioni o ricoprono uffici di particolare importanza; esse si

sostanziano nella esenzione di questi soggetti da ogni conseguenza penale, in ragione della

loro q u a l i f i c a p e r s o n a l e .

La ratio delle varie ipotesi di immunità va individuata nell’esigenza di tutela di particolari

funzioni costituzionali o delle relazioni internazionali, che richiedono determinate limitazioni

della potestà punitiva dello Stato, essenzialmente nei confronti di rappresentanti ed agenti di

Stati esteri.

3.2.1.1.2. Tipologia.

In r e l a z i o n e a l l ’ o g g e t t o di tale immunità si suole distinguere tra quelle a

c a r a t t e r e a s s o l u t o che comprendono qualunque reato commesso dal titolare, senza

distinzione tra attività compiuta nell’esercizio della funzione e attività extrafunzionale (è tale,

ad es., l’immunità del Pontefice)14 e quelle a c a r a t t e r e r e l a t i v o che operano per i

soli reati commessi in costanza di carica.

In r e l a z i o n e a l l ’ e f f i c a c i a si suole, invece, distinguere tra i m m u n i t à

s o s t a n z i a l i (o funzionali) e p r o c e s s u a l i : le prime riguardano, di regola, l’attività

funzionale ed escludono definitivamente la punibilità per atti compiuti, le opinioni espresse e i

voti dati nell’esercizio di funzioni (di diritto pubblico interno o internazionale); le seconde

attengono all’attività extrafunzionale e consistono nella frapposizione di ostacoli (es.:

l’autorizzazione a procedere) o di limiti all’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti

dei soggetti immuni.

13

Il 1° co. dell’art. 4 c.p. fornisce la n o z i o n e d i c i t t a d i n o i t a l i a n o , ai fini della obbligatorietà

della legge penale, ricomprendendovi “gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità

dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato”. 14

Le immunità assolute, inoltre, impediscono l’applicazione della pena e di ogni altra conseguenza penale anche

dopo il cessato esercizio della funzione.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

Infine in r e l a z i o n e a l l a f o n t e si distinguono le immunità derivanti dal

d i r i t t o p u b b l i c o interno e le immunità derivanti dal d i r i t t o

i n t e r n a z i o n a l e .

3.2.1.1.3. Le immunità derivanti dal diritto pubblico interno

Tali immunità hanno carattere funzionale, essendo legate alla titolarità di una pubblica

funzione; esse riguardano:

il C a p o d e l l o S t a t o (e il P r e s i d e n t e d e l S e n a t o quando svolge

funzioni di supplenza): secondo l’art. 90 Cost., questi «non è responsabile degli atti

compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per

attentato alla Costituzione»;

i m e m b r i d e l P a r l a m e n t o e i C o n s i g l i e r i r e g i o n a l i : costoro

non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio

delle loro funzioni, in base rispettivamente agli artt. 68 e 122 Cost.;

i g i u d i c i d e l l a C o r t e C o s t i t u z i o n a l e ed i c o m p o n e n t i d e l

C o n s i g l i o S u p e r i o r e d e l l a M a g i s t r a t u r a (anch’essi per le opinioni

espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni).

3.2.1.1.4. Le immunità derivanti di diritto internazionale.

Tali immunità trovano generale fondamento nel diritto internazionale, hanno

c a r a t t e r e p e r s o n a l e , e sono giustificate da ragioni di opportunità politica; tra esse,

per il loro rilievo, occorre ricordare quelle riguardanti:

I Capi di Stato esteri ed i Reggenti che si trovano in tempo di pace, nel territorio della

Repubblica;

il Sommo Pontefice (art. 8 del Trattato Lateranese);

i Ministri degli affari Esteri e i Membri stranieri dei Tribunali Arbitrali;

gli Agenti diplomatici esteri accreditati presso il Capo dello Stato;

i Consoli, i Vice consoli e gli Agenti consolari;

i reparti di truppe straniere che si trovano nel territorio dello Stato con

autorizzazione di quest’ultimo;

i diplomatici stranieri accreditati presso la Santa Sede;

i Membri del Parlamento Europeo;

i giudice della Corte dell’Aja e, in misura minore, i membri della Corte Europea dei

diritto dell’uomo;

norme particolari regola infine al giurisdizione penale rispetto ai militari stranieri

appartenenti della forze NATO di stanza in Italia.

Occorre tener presente che un soggetto, pur beneficiario di una delle indicate immunità di

diritto internazionale, può ben esser considerato penalmente responsabile delle azioni

compiute secondo la legislazione vigente nello Stato di appartenenza.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

3.2.1.2. Il luogo del commesso reato.

L’art. 6 c.p., precisa, al co. 2 : “I l r e a t o s i c o n s i d e r a c o m m e s s o n e l

t e r r i t o r i o d e l l o S t a t o , q u a n d o l ’ a z i o n e o l ’ o m i s s i o n e , c h e

l o c o s t i t u i s c e , è i v i a v v e n u t a i n t u t t o o i n p a r t e , o v v e r o

s i è i v i v e r i f i c a t o l ’ e v e n t o c h e è l a c o n s e g u e n z a

d e l l ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.

Ciò significa che si applicherà la legge penale italiana, ad esempio, sia all’ipotesi

dell’omicidio compiuto da chi, al di qua del confine di Stato, spara e uccide una persona che

si trova al di là del confine, sia all’ipotesi inversa; e che dovrà considerarsi “commesso nel

territorio dello Stato” anche quel reato, di cui solo un segmento si sia ivi realizzato: si pensi al

transito in Italia di un pacco postale contenente droga, proveniente da uno Stato estero e

destinato a persona residente in altro Stato estero.

3.2.2. I reati commessi all’estero: deroghe al principio di territorialità.

Il secondo comma del ricordato art. 3 stabilisce che: “L a l e g g e p e n a l e

i t a l i a n a o b b l i g a a l t r e s ì t u t t i c o l o r o c h e c i t t a d i n i o

s t r a n i e r i s i t r o v a n o a l l ’ e s t e r o , m a l i m i t a t a m e n t e a i c a s i

s t a b i l i t i d e l l a l e g g e m e d e s i m a o d a l d i r i t t o

i n t e r n a z i o n a l e ”;

Il capoverso dell’art. 3 prevede quindi la possibilità d i d e r o g h e a l p r i n c i p i o d i

t e r r i t o r i a l i t à : ciò si verifica allorquando sono puniti dallo Stato italiano e secondo leggi

italiane i reati commesso all’estero.

3.2.2.1. Reati commessi all’estero, sia dal cittadino che dallo straniero, incondizionatamente

punibili.

L’a r t . 7 c . p . sancisce l’applicabilità della legge penale italiana ad alcune categorie di

reati, ancorché c o m m e s s i i n t e r a m e n t e i n t e r r i t o r i o e s t e r o , s i a d a l

c i t t a d i n o c h e d a l l o s t r a n i e r o . Si tratta, in particolare:

dei delitti contro la personalità dello Stato;

dei delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo

contraffatto;

dei delitti di falsità in monete aventi corso legale nello Stato e di falsità in valori di

bollo o in carte di pubblico credito italiane;

dei delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri

o violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni;

di ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni

internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.

3.2.2.2. Delitti politici commessi all’estero, commessi sia dal cittadino che dallo straniero,

punibili a richiesta dal Ministro della Giustizia.

L’art. 8 1° e 2° co. c.p. afferma che: “I l c i t t a d i n o o l o s t r a n i e r o , c h e

c o m m e t t e i n t e r r i t o r i o e s t e r o u n d e l i t t o p o l i t i c o non compreso

tra quelli indicato nel numero 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a

r i c h i e s t a d e l M i n i s t r o d e l l a G i u s t i z i a .

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta

anche la querela”.

3.2.2.2.1. La nozione di “delitto politico” ai sensi dell’art. 8 c.p.

Il c o . 3 d e l l ’ a r t . 8 , stabilisce: “Agli effetti della legge penale, è d e l i t t o

p o l i t i c o ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto

politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in

tutto o in parte, da motivi politici”.

Come si vede, la definizione che del delitto politico fornisce l’art. 8, co. 3, è molto ampia.

Da essa si ricavano, tradizionalmente, due distinte categorie di delitti politici:

il d e l i t t o o g g e t t i v a m e n t e p o l i t i c o : che è quello che offende un

interesse politico dello Stato, nella sua nozione comprensiva di popolo, territorio,

sovranità, forma di governo, ecc.; si ritiene generalmente che non rientrino, invece,

nella categoria dei delitti oggettivamente politici quelli che offendono lo Stato-

amministrazione o il potere giudiziario. Sono altresì delitti oggettivamente politici -

per espressa statuizione dell’art. 8, co. 2 - q u e l l i c h e o f f e n d o n o u n

d i r i t t o p o l i t i c o d e l c i t t a d i n o , inteso come diritto di partecipare

alla formazione della volontà dello Stato: elezione delle rappresentanze politiche,

associazione in partiti politici, ecc.15;

il d e l i t t o s o g g e t t i v a m e n t e p o l i t i c o è invece il delitto comune che sia

“determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”16.

3.2.2.3. Delitti comune commesso all’estero dal cittadino italiano.

L’art. 9 c.p. afferma che: “I l c i t t a d i n o , che, fuori dei casi indicati nei due articoli

precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce

l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge

medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.

Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di

minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ovvero a istanza o a

querela della persona offesa.

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a

danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro

della giustizia, sempre che l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata

accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto”

15

Una fattispecie generale esemplificativa è costituita al riguardo dall’art. 294 c.p. («Attentati contro i diritti

politici del cittadino») stabilisce: «Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte

l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è

punito con la reclusione da uno a cinque anni». 16

Secondo la giurisprudenza prevalente perché un reato comune possa essere ritenuto soggettivamente politico è

necessario che sia qualificato da un movente strettamente ed esclusivamente politico; è necessario, cioè, che il

reo sia stato spinto a delinquere al fine di potere, a mezzo della sua azione, incidere sulla esistenza, costituzione

o funzionamento dello Stato, oppure favorire o contrastare idee, tendenze politiche, sociali o religiose, al

precipuo scopo di realizzare una precisa idea politica. Rientrano in questa categoria il cd. delitto anarchico e

quello commesso per finalità di terrorismo.

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3.2.2.4. Delitto comune commesso all’estero da uno straniero.

L’art. 10 afferma che: “L o s t r a n i e r o , che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8,

commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la

legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è

punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia

richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.

Se il delitto è commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è

punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che:

si trovi nel territorio dello Stato;

si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo ovvero della

reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;

l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal

Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui

egli appartiene.”

3.2.3. Rinnovamento del giudizio.

3.2.3.1. Per i reati commessi nel territorio italiano.

In relazione ai reati commessi nel territorio italiano il comma 1 dell’art. 11 afferma che:

“Nel caso indicato nell’articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se

sia stato giudicato all’estero”.

Il comma 1 della norma risponde all’esigenza di garantire in ogni caso l’applicazione della

legge italiana con riferimento ai reati realizzati nel territorio della Repubblica, conformemente

al principio di territorialità sancito nell’art. 617.

In riferimento all’ipotesi in esame, l’art. 138 c.p. afferma che “Quando il giudizio seguito

all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata, tenendo

conto della specie di essa; e, se vi è stata all’estero custodia cautelare18, si applicano le

disposizioni dell’articolo precedente”19.

3.2.3.2. Per i reati commessi fuori dal territorio dello Stato.

Mentre p e r i r e a t i c o m m e s s i f u o r i d a l t e r r i t o r i o d e l l o S t a t o

l’art. 11 2° co. afferma che “Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10 il cittadino o lo

straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il

Ministro della giustizia ne faccia richiesta”.

Dunque per i fatti commessi fuori dal territorio dello Stato (comma 2) l’esigenza di

garantire l’applicazione della legge italiana è meno imperiosa ed è perciò sottoposta ad una

17

Sul punto è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 10, c. 1, Cost. La

Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione in base alla considerazione che il principio del ne bis in

idem (divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto) non può essere considerato norma di diritto

internazionale generalmente riconosciuta (sentenza 18-4-1967, n. 48). 18

C u s t o d i a c a u t e l a r e : tra le misure cautelari personali, di tipo coercitivo, rappresenta la forma piena

di privazione della libertà. Essa ha luogo in un istituto penitenziario, sicché è detraibile dalla carcerazione

definitiva eventualmente da espiare. 19

Art. 137. “La custodia sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile si detrae dalla durata

complessiva della pena temporanea detentiva o dall’ammontare della pena pecuniaria. La custodia cautelare è

considerata, agli effetti della detrazione, come reclusione od arresto.

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preventiva valutazione politica che si estrinseca nella richiesta del Ministro della giustizia. In

ogni caso, la pena scontata all’estero è sempre computata e detratta da quella irrogata in Italia

(art. 138 c.p.).

Inoltre in riferimento all’ipotesi in esame l’art. 201 c.p. 1° co. afferma che “Quando, per un

fatto commesso all’estero, si procede o si rinnova il giudizio nello Stato, è applicabile la legge

italiana anche riguardo alle misure di sicurezza.”

3.2.4. Riconoscimento delle sentenze penali straniere.

Il principio di territorialità del diritto penale importerebbe la inapplicabilità e ineseguibilità

in Italia delle sentenze dei tribunali stranieri; tuttavia in alcuni casi è ammesso

eccezionalmente i l r i c o n o s c i m e n t o d e l l e s e n t e n z e s t r a n i e r e .

In particolare l’art. 12 1° co. c.p. prevede che Alla sentenza20 penale straniera pronunciata

per un delitto può essere dato riconoscimento:

per stabilire la r e c i d i v a 21 o un altro effetto penale della condanna, ovvero per

dichiarare l’a b i t u a l i t à 22 o la p r o f e s s i o n a l i t à 23 nel reato o la

t e n d e n z a a d e l i n q u e r e 24;

quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una p e n a

a c c e s s o r i a 25;

20

S e n t e n z a : è il provvedimento del giudice contenente la decisione che esaurisce il processo penale o

quanto meno una sua fase (es.: il primo grado di giudizio). Essa può avere un contenuto meramente processuale,

ad esempio quando dichiara l’incompetenza; ovvero un contenuto di merito allorché si pronuncia sulla

fondatezza o meno della pretesa punitiva, affermando o negando la colpevolezza dell’imputato. Nel primo caso

la sentenza è di condanna, nel secondo caso di assoluzione. 21

R e c i d i v a : rientra tra circostanze inerenti alla persona del colpevole e, comporta la possibilità di

infliggere un aumento di pena a chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro. È uno

degli effetti penali della condanna. 22

A b i t u a l i t à n e l r e a t o : è la condizione personale di chi con la sua persistente attività criminosa

dimostra di aver acquistato una materiale attitudine a commettere reati. Si tratta di una forma specifica di

pericolosità sociale. Rispetto alle contravvenzioni poi, l’abitualità non è mai presunta, ma deve essere dichiarata

dal giudice, allorché un soggetto, dopo essere stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni

della stessa indole, riporti condanne per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole e venga, perciò,

considerato dedito al reato. In seguito alla dichiarazione di abitualità nel reato il soggetto può essere sottoposta a

misura di sicurezza; è interdetto in via perpetua dai pubblici uffici; non può usufruire del beneficio della

sospensione condizionale della pena. 23

P r o f e s s i o n a l i t à n e l r e a t o : è una forma specifica di pericolosità sociale. Per l’esistenza della

professionalità nel reato la legge richiede che il reo riporti una condanna, trovandosi già nelle condizioni

richieste per la dichiarazione di abitualità; che avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta del reo e delle

altre circostanze previste dal capoverso dell’art. 133, si debba ritenere che il reo viva abitualmente anche in

parte, soltanto dei proventi del reato, c.d. sistema di vita. Tale requisito deve essere accertato, di volta in volta,

non esistendo professionalità presunta. Essa comporta la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia o

casa agricola per la durata minima di tre anni. La dichiarazione di professionalità nel reato si estingue per effetto

della riabilitazione. 24

T e n d e n z a a d e l i n q u e r e : è uno dei tre aspetti, assieme all’abitualità e professionalità nel reato,

della pericolosità sociale. La tendenza può essere dichiarata soltanto con la sentenza di condanna. Alla

dichiarazione consegue, come effetto, la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o casa di

lavoro, nonché gli altri effetti che conseguono alla dichiarazione di abitualità e professionalità. La tendenza a

delinquere non può essere dichiarata se l’inclinazione al delitto, è originata da vizio totale o parziale di mente. 25

P e n e a c c e s s o r i e : sono tali quelle che comportano una limitazione di capacità, attività o funzioni

oppure rendono maggiormente afflittiva la pena principale (la cui irrogazione è presupposto necessario per

l’applicazione delle pene accessorie). Esse conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa tanto

che, qualora siano state omesse dal giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna, possono essere applicate

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quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o

prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a m i s u r e d i s i c u r e z z a

p e r s o n a l i . In questo caso l’art. 201 2° c.p. afferma che “l’applicazione delle

misure di sicurezza stabilite dalla legge italiana è sempre subordinata

all’accertamento che la persona sia socialmente pericolosa”.

quando la sentenza straniera porta condanna alle r e s t i t u z i o n i 26 o a l

r i s a r c i m e n t o d e l d a n n o 27, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in

giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento

del danno, o ad altri effetti civili.

Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall’autorità

giudiziaria di uno Stato estero col quale e s i s t e t r a t t a t o d i e s t r a d i z i o n e . Se

questo non esiste, la sentenza estera può essere egualmente ammessa a riconoscimento nello

Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta28.”(tale richiesta non occorre se

viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nell’ultimo punto dell’elenco).

3.2.5. L’estradizione.

3.2.5.1. Nozione di estradizione.

L’e s t r a d i z i o n e è un istituto del diritto internazionale, consistente nella consegna di un

individuo, da parte dello Stato, ad un altro Stato, perché sia da questo giudicato

(e s t r a d i z i o n e p r o c e s s u a l e ) o sottoposto all’esecuzione della pena, se già

condannato (e s t r a d i z i o n e e s e c u t i v a ).

3.2.5.2. Tipi.

L’estradizione può essere:

a t t i v a , quando è lo Stato italiano che richiede ad uno Stato estero la consegna di

un individuo imputato o condannato in Italia;

p a s s i v a , quando è lo Stato italiano che riceve da uno Stato estero, la richiesta di

consegna.

3.2.5.3. Estradizione passiva.

3.2.5.3.1. Condizioni.

Per l’estradizione passiva, il codice penale (art. 13) pone le seguenti condizioni:

d’ufficio in sede esecutiva, purché siano determinate dalla legge nella loro specie e durata. Esse, inoltre,

soggiacciono al principio di riserva di legge, per cui la loro indicazione è tassativa, essendo espressamente

previste dal codice penale e dalle leggi speciali. Nel loro computo non si tiene conto del tempo in cui il soggetto

sconta la pena o è sottoposto a misura di sicurezza. La l. 19/90 ha sancito che la sospensione condizionale della

pena si estende alle pene accessorie. 26

R e s t i t u z i o n e : consiste nel ripristino della situazione di fatto preesistente al reato e da esso modificata

(c.d. restitutio in integrum). 27

R i s a r c i m e n t o d e l d a n n o : rappresenta la riparazione del pregiudizio arrecato dal reato per

equivalente, cioè mediante la corresponsione di una somma di denaro; esso opera nei n casi in cui non sia più

possibile o non sia soddisfacente la restituzione. 28

R i c h i e s t a : consiste, al pari della querela e dell’istanza, in una manifestazione di volontà punitiva.

Formulata dalla pubblica autorità competente per legge, è condizione di sola promuovibilità (e non anche di

proseguibilità) dell’azione penale.

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Ver.12-10-2016 24

Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione deve essere preveduto

come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera (c.d. requisito della

d o p p i a i n c r i m i n a b i l i t à )29;

non si deve trattare di reato per il quale le convenzioni internazionali facciano

espresso divieto di estradizione;

l’estradando deve essere straniero; se la domanda di estradizione riguarda, al

contrario, un cittadino italiano, l’estradizione è ammessa solo nei casi

espressamente previsti dalle convenzioni internazionali.

3.2.5.3.2. Casi in cui non è ammessa.

In ogni caso, comunque, l’estradizione non può essere concessa:

per reati politici (artt. 10 4° co.30 e 26 Cost.31)32, dal novero dei quali è escluso il

delitto di genocidio;

per motivi di razza, religione o nazionalità (L. n. 300/1963);

per reati puniti all’estero con la pena di morte (ve sent. Cort. Cost. 27 giugno 1996,

n. 223);

3.2.5.4. Il c.d. “principio di specialità” in tema di estradizione.

Per un principio generale dell’ordinamento internazione (principio che la dottrina chiama

“d i s p e c i a l i t à ” la richiesta di estradizione per determinati reati importa la preventiva

accettazione da parte dello Stato richiedente:

dell’obbligo di n o n p r o c e s s a r e l’estradato per u n f a t t o a n t e r i o r e

e d i v e r s o da quello per il quale è stato chiesto l’estradizione;

del dovere di n o n a s s o g g e t t a r e lo stesso ad p e n a d i v e r s a da quella

relativa al fatto per cui è stata concessa l’estradizione.

Il principio di specialità opera tanta nella estradizione attiva (art. 722 c.p.p.) quanto in

quella passiva (art. 699 c.p.p.).

29

Il c.p. non fa espressa menzione, invece, del c.d. p r i n c i p i o d i r e c i p r o c i t à – a cui si ispirano

diverse legislazioni che consiste nel subordinare la concessione dell’estradizione alla condizione di analogo

trattamento da parte dello Stato estero richiedente. 30

Art. 10 4° co. Cost.: “Non è ammessa l’estradizione per reati politici.” 31

Art. 26 Cost.: “L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle

convenzioni internazionali.

Non può in alcun caso essere ammessa per i reati politici”. 32

Ora il problema che si pone a riguardo è di stabilire se la nozione costituzionale del reato politico sia la stessa

che di esso fornisce l’art. 8, co. 2 c.p., e se, in tal caso le norme costituzionali contengano un mero rinvio (non

recettizio) alla formula della legge ordinaria o senz’altro la sua “costituzionalizzazione” (con la conseguente

necessità, in quest’ultimo caso, che si provveda con legge costituzionale alla ratifica di quelle convenzioni che

deroghino al divieto degli artt. 10 e 26 Cost.); o se, viceversa, dalla Carta costituzionale debba desumersi un

concetto diverso e autonomo del delitto politico. Nella opinione della dottrina più recente ai fini della

estradizione per reati politici (art. 10 e 26 Cost.) il concetto di delitto politico non coincide con quello delineato

dall’art. 8 co. 3 c.p.: la nozione costituzionale del delitto politico deve considerarsi autonoma. Nelle norme

costituzionali, infatti, il reato politico è posto a garanzia della persona umana, contro il pericolo di persecuzioni

politiche o processi discriminatori. Questa é la ratio del divieto costituzionale, in relazione allo scopo per cui é

stato posto. In tal senso l’art. 638 del nuovo c.p.p. ha ribadito il divieto di estradizione per i reati politici, in tutti

casi in cui ci sia fondato motivo di temere che l’imputato verrà sottoposto ad atti discriminatori per motivi di

razza, religione, nazionalità, lingua, opinioni politiche ovvero a pene o trattamenti disumani.

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO

Reati commessi sul territorio italiano Reati commessi sul territorio straniero

Da un cittadino

italiano

Da uno

straniero

Viene applicata le legge

penale italiana, sempre che

non sussista una immunità

Viene applicata la legge italiana in

queste ipotesi e a queste condizioni:

Reati indicati dall’art. 7 c.p.

commessi sia dal cittadino

straniero che italiano. Si

applica la legge italiana

incondizionatamente

Reati politici previsti dall’art. 8

c.p., commessi sia dal cittadino

straniero che italiano. Si applica la

legge italiana a richiesta del

Ministro della Giustizia

Delitti comuni, non

rientranti tra quelli

previsti dagli artt. 7- 8

Commessi da un

cittadino (art. 9 c.p.)

Delitto per il quale la

legge italiana stabilisce

l’ergastolo, o la

reclusione non inferiore

nel minimo a tre anni

Nel momento in cui

viene a trovarsi sul

territorio italiano, è

punito con la legge

italiana

Delitto per il quale è

stabilita una pena

restrittiva della

libertà personale di

minore durata.

Nel momento in cui

viene a trovarsi sul

territorio italiano, è

punito con la legge

italiana, a richiesta

del Ministro della

giustizia ovvero a

istanza o a querela

della persona offesa

Delitto commesso a

danno delle Comunità

europee, di uno Stato

straniero o di un

cittadino straniero

Nel momento in cui

viene trovarsi sul

territorio italiano, è

punito con la legge

italiana, a richiesta del

Ministro della

Giustizia, a condizione

che, l’estradizione di

lui, non sia stata

concessa o accettata

dal Governo dello

Stato in cui ha

commesso il delitto

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Ver.12-10-2016 26

Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

Commessi da uno straniero

(art. 10 c.p.)

Delitto a danno dello Stato o di un

cittadino, per il quale la legge

italiana stabilisce l’ergastolo, o la

reclusione non inferiore nel

minimo a un anno.

Delitto commesso a danno di uno Stato

estero o di uno straniero, per il quale

legge italiana stabilisce la pena

dell’ergastolo ovvero della reclusione

non inferiore nel minimo a tre anni.

Nel momento in cui viene a

trovarsi nel territorio italiano, è

punito con la legge italiana,

sempre che vi sia richiesta del

Ministro della giustizia, ovvero

istanza o querela della persona

offesa.

Nel momento in cui viene a trovarsi sul

territorio italiano, è punito con la legge

italiana, a richiesta del Ministro della

giustizia, a condizione che l’estradizione

di lui non sia stata conceduta, ovvero non

sia stata accettata dal Governo dello Stato

in cui egli ha commesso il delitto, o da

quello dello Stato a cui egli appartiene.

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Ver.12-10-2016 27

Manuale di Diritto Penale Introduzione alla dottrina del reato

CC aa pp ii tt oo ll oo 44 °° I n t r o d u z i o n e a l l a d o t t r i n a d e l r e a t o

4.1. Oggetto e funzione della teoria generale del reato.

La c.d. t e o r i a g e n e r a l e d e l r e a t o , o dottrina del reato, è quella parte della

scienza del diritto penale che mira ad individuare ed ordinare in forma sistematica gli

elementi che configurano, in via generale, la fisionomia del fatto penalmente rilevante.

Oggetto della teoria del reato è, in altre parole, il concetto giuridico del reato, inteso come

f a t t i s p e c i e a s t r a t t a e generale di esso: vale a dire quale enunciato logico che

scaturisce dal sistema normativo e che viene preliminarmente determinato, a livello teorico,

per indicare come deve essere definita la rilevanza giuridico-penale di un fatto (c o n c e t t o

d o m m a t i c o d e l r e a t o ).

4.2. Metodologie di costruzione del reato.

L’analisi del reato è stata storicamente condotta secondo metodologie differenti, a cui

corrisponde una differente prospettazione del concetto dommatico del reato. Attualmente, la

maggior parte della dottrina, si ispira a E. BEILING, la dove elabora un s c h e m a

t r i p a r t i t o d e l r e a t o .

Il reato secondo il giurista tedesco è formato da tra elementi I) la tipicità; II)

l’antigiuridicità; III) e la colpevolezza. Ove manchi uno di essi, non si avrà reato.

4.2.1. Tipicità.

Per t i p i c i t à , si intende la c o n f o r m i t à d e l f a t t o a l l a f a t t i s p e c i e

a s t r a t t a d e l i n e a t a d a l l e g i s l a t o r e , all’interno da un norma incriminatrice di

parte speciale.

La conformità al tipo è il contrassegno caratteristico ed elementare del fatto penalmente

rilevante; essa, però, non esaurisce la struttura dell’illecito penale, poiché, da sola, non

implica necessariamente anche la contrarietà del fatto con l’ordinamento giuridico. Non

esistono, infatti, fattispecie “in sé” antigiuridiche, ma soltanto realizzazione antigiuridiche di

una fattispecie.

È possibile, ad esempio, che l’uccisione di un uomo (azione conforme a quella descritta

nell’art. 575 c.p.) sia avvenuta in condizioni tali da doverla considerare lecita, come avviene

per il fatto commesso in stato di legittima difesa (art. 52 c.p.).

Va inoltre rilevato che all’interno del fatto tipico si perviene ad una preliminare distinzione

tra f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a e f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a ; alla prima si

assegnano elementi di carattere materiale, alla seconda elementi di ordine psichico.

In ogni reato si riscontrano, infatti un fatto materiale costituti dal comportamento umano,

positivo o negativo, e dalle conseguenze da esso prodotto (elemento oggettivo) ed un

atteggiamento della volontà del soggetto che ha posto in essere il fatto materiale (elemento

soggettivo).

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Manuale di Diritto Penale Introduzione alla dottrina del reato

4.2.2. Antigiuridicità.

Pertanto, solo la verifica dell’assenza di particolari condizioni di liceità della condotta (c.d.

c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e ) , permette, in realtà, di affermarne la contrarietà con il

diritto oggettivo (a n t i g i u r i d i c i t à ), di cui la conformità al tipo costituisce soltanto un

indizio.

In altri termini l’esistenza dell’antigiuridicità, infatti è bensì “indiziata” dalla constatazione

del fatto tipico, ma può essere affermata solo quando sia accertata la mancanza di cause di

giustificazione. Da BEILING in poi, la moderna teoria del reato esprimerà l’idea

dell’antigiuridicità mediante il riferimento alla m a n c a n z a d i c a u s e d i

g i u s t i f i c a z i o n e .

In tale prospettiva si ha una separazione tra fatto tipico, inteso come o g g e t t o d e l l a

v a l u t a z i o n e , e antigiuridicità intesa come v a l u t a z i o n e d e l l ’ o g g e t t o . Ne deriva

una netta separazione tra elementi descrittivi della fattispecie e momenti valutativi della

stessa.

Tuttavia il concetto dell’antigiuridicità implica solo la presa d’atto che l’esistenza di una

lesione di beni che contrasti con il diritto obiettivo e, non ha nulla a che vedere con l’esistenza

dei presupposti per una incolpazione, vale a dire un giudizio di riprovevolezza nei confronti

dell’autore.

4.2.3. Colpevolezza

Infatti affinché si abbia reato è necessario la c o l p e v o l e z z a ossia la volontà

riprovevole del soggetto agente.

Il contenuto di quest’ultima categoria non appare, tuttavia, definito in modo uniforme,

nell’ambito della stessa concezione tripartita. Originariamente ad essa, infatti, si assegnava, il

contenuto psichico dell’azione (dolo, colpa); mentre nell’evoluzione della dottrina del reato,

ci si è andati progressivamente orientato verso il superamento di questa c o n c e z i o n e

“ p s i c o l o g i c a ” della colpevolezza, a favore di una c o n c e z i o n e n o r m a t i v a di

essa, nella cui prospettiva i l g i u d i z i o d i r i p r o v e v o l e z z a d e l l ’ a g e n t e

d i p e n d e e s s e n z i a l m e n t e d a l l a v e r i f i c a d e i p r e s u p p o s t i d i

m a t u r i t à e n o r m a l i t à p s i c h i c a (da cui la legge fa dipendere l’imputabilità del

soggetto: art. 85 ss. c.p.) e delle altre condizioni, normativamente richieste per la

rimproverabilità della condotta.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

CC aa pp ii tt oo ll oo 55 °° L a f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a d e l f a t t o t i p i c o

5.1. Gli elementi della fattispecie oggettiva.

Sono elementi della f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a : I) l’autore; II) il soggetto passivo;

III) l’oggetto materiale del reato; IV) la condotta; V) l’evento; VI) l’offesa; VII) nesso di

causalità tra la condotta e l’evento.

5.2. L’Autore o soggetto attivo del reato.

5.2.1. Generalità.

Ogni reato è frutto del comportamento umano, e quindi ogni reato presuppone

necessariamente un soggetto che lo compie detto appunto s o g g e t t o a t t i v o : esso nel

codice penale talvolta è denominato “reo”, altre “agente” o “colpevole”.

Tutte le persone fisiche possono essere soggetti attivi del reato: ogni persona cioè ha

c a p a c i t à p e n a l e , ossia l’attitudine a porre in essere comportamenti rilevanti, senza

distinzione di età, sesso o altre condizioni soggettive.

Ne consegue che l’età, le situazioni di anomalia psico-fisica e le immunità non escludono

l’illiceità penale, ma sono rilevanti solo ai fini della concreta applicabilità della pena1.

5.2.2. Le persone giuridiche come soggetti attivi di un reato.

Nel nostro ordinamento n o n è a m m e s s a l a r e s p o n s a b i l i t à p e n a l e

p e r s o n e g i u r i d i c h e : tale irresponsabilità penale viene desunta dal principio

costituzionale della personalità della responsabilità penale. Il principio trova conferma nella

previsione di una obbligazione civile di garanzia a carico della persona giuridica per i reati

commessi dagli organi dell’ente nell’esèrcizio delle loro funzioni.

Si pone, allora, il problema di individuare i soggetti penalmente responsabili per i reati

commessi nell’esercizio dell’attività di enti o imprese. La giurisprudenza ha elaborato vari

criteri individuando come soggetto obbligato all’osservanza della norma penale e quindi

penalmente responsabile:

chi ha il potere o la rappresentanza dell’ente;

l’amministratore o il soggetto preposto al singolo settore della organizzazione

aziendale su delega dell’imprenditore: la presenza di una persona delegata non

esclude però la responsabilità penale dell’imprenditore delegante che, nella sua

veste di capo dell’impresa, è sempre titolare di un dovere di controllo e di vigilanza

sul corretto funzionamento della organizzazione aziendale;

chi è investito di funzioni che normalmente dipendono dalla qualità di

imprenditore.

1 In altri termini la qualità di “autore” è del tutto indipendente dal giudizio sulla colpevolezza del soggetto che

agisce e, in generale, dalla sua punibilità in concreto. Il minore non imputabile che sottrae un oggetto dal banco

di un supermercato o il figlio che ruba al padre (non punibile a norma dell’art. 649 c.p.) non per questo cessano

di essere “autori” del fatto tipico del furto; tanto è vero che tale loro qualità può rappresentare il punto di

riferimento per la punibilità o la maggiore punibilità di terzi che ne siano stati i complici e per l’esercizio di

un’azione civile per il risarcimento del danno.

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Ver.12-10-2016 30

Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.2.3. Distinzione dei reati in base al soggetto attivo.

Considerando come paramento di classificazione il soggetto attivo è possibile distinguere i

reati in comuni e propri.

5.2.3.1. Reati comuni.

Sono r e a t i c o m u n i quelli che possono essere commessi da ogni persona,

indipendentemente da particolari caratteristiche soggettive. In tale ipotesi di regola la norma

fa riferimento a «chiunque»: es. “Chiunque cagiona la morte di un uomo” (omicidio: art. 575

c.p.).

5.2.3.2. Reati propri.

In via generale sono r e a t i p r o p r i quei reati che possono essere commessi solo da

persone che rivestono particolari qualifiche giuridiche (pubblico ufficiale, imprenditore) o

particolare quali naturali (gestante). Tuttavia va specificati che i reati propri possono essere

“esclusivi” o “non esclusivi”.

5.2.3.2.1. Reati propri esclusivi.

I r e a t i p r o p r i e s c l u s i v i sono quei reati che possono essere commessi solo ed

esclusivamente da una persona avente una determinata qualifica (il c.d. i n t r a n e u s ). La

stessa condotta posta in essere da un soggetto non avente quella determinata qualifica, è

penalmente irrilevante: si pensi alla falsa testimonianza (art. 372) il cui autore può essere solo

il testimone.

5.2.3.2.2. Reati propri non esclusivi.

Sono r e a t i p r o p r i n o n e s c l u s i v i , i reati in cui il fatto è penalmente illecito

indipendentemente dalle qualità suo autore; tuttavia, quando a commetterli è un soggetto che

riveste una data qualifica, il reato stesso “muta titolo”, acquistando un nomen iuris ed una

gravità diversi dall’ipotesi comune2.

5.3. Il soggetto passivo del reato o persona offesa del reato.

Il s o g g e t t o p a s s i v o d e l r e a t o è la persona titolare del bene (o interesse) tutelato

dalla norma penale incriminatrice e leso dal reato3. Il codice parla di “p e r s o n a o f f e s a

d e l r e a t o ”4 (es.: soggetto passivo del delitto di furto è il proprietario della cosa rubata).

2 Si pensi al fatto di appropriarsi di denaro o cosa mobile altrui di cui già si abbia possesso: se a commetterlo è

un soggetto qualunque, il reato prende il nome di appropriazione indebita (art. 646); se a commetterlo è un

pubblico ufficiale o un incaricato do un pubblico servizio ed ha ad oggetto cose detenute per ragione dell’ufficio

o del servizio, il reato prende il nome di peculato (art. 314). 3 Soggetti passivi del reato possono essere sia persone fisiche, sia lo Stato (per es. nei delitti di cui agli artt. 241

ss. c.p.), la PA (artt. 315 ss. c.p.) o le persone giuridiche di diritto privato (ad es. società per azioni: art. 2621

c.c.); ma anche collettività non personificate (associazioni non riconosciute, fondazioni, partiti politici, ecc.). 4 La categoria del soggetto passivo concorre, come ogni altro elemento della fattispecie oggettivo–materiale, a

determinare il carattere tipico del fatto. Anche se, nella maggior parte dei reati, soggetto passivo può essere

“chiunque”, in non pochi casi le qualità personali del soggetto passivo sono determinanti, per stabilire l’esistenza

di un fatto tipico o per distinguere un fatto tipico dall’altro. La qualità di soggetto di età minore degli anni sedici,

non moralmente corrotto, è essenziale per il configurarsi della fattispecie oggettiva del reato di corruzione di

minorenne (art. 530 c.p.); quella di minore degli anni quattordici per la c.d. violenza carnale presunta (art. 519,

co. 2, n. 1); quella di donna minore degli anni diciotto per il fatto tipico della seduzione con promessa di

matrimonio (art. 526 c.p.); quella di donna non coniugata per il ratto a fine di matrimonio (art. 522 c.p.), ecc.; il

fatto tipico dell’oltraggio (art. 341 c.p.) si configura solo in quanto il soggetto passivo rivesta la qualità di

pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio; e così via.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.3.1. Distinzione con il soggetto passivo della condotta.

Occorre distinguere il soggetto passivo del reato dal s o g g e t t o p a s s i v o d e l l a

c o n d o t t a , cioè da colui su cui la condotta criminosa viene ad incidere immediatamente (e

che viene considerato, più propriamente, oggetto materiale della condotta, vedi infra).

Talvolta i due concetti coincidono: ad esempio, nell’omicidio il soggetto passivo è

l’ucciso, che è anche soggetto passivo della condotta. Invece, nel reato di automutilazione

fraudolenta per sottrarsi al servizio militare, soggetto passivo della condotta è lo stesso

soggetto attivo5, che si mutila, o si ferisce etc., per rendersi invalido alla leva, mentre soggetto

passivo del reato è lo Stato, titolare dell’interesse a che tutti i cittadini prestino il servizio

militare.

5.3.2. Distinzione con il danneggiato dal reato.

Occorre anche distinguere il soggetto passivo del reato dal d a n n e g g i a t o d a l

r e a t o 6, cioè da colui che dal reato ha subito un danno civilmente risarcibile, a n c h e

s e n z a e s s e r e t i t o l a r e d e l b e n e g i u r i d i c o p r o t e t t o 7.

Da parte sua il semplice danneggiato non ha alcun potere di querela, ma può solo esercitare

l’azione civile per ottenere il risarcimento dei danni. Ciò in quanto il diritto di querela (nei

casi di reati punibili a querela della persona offesa) spetta solo al soggetto passivo del reato.

5.3.3. Classificazione dei reati in base al soggetto passivo.

In base al soggetto passivo, i reati si distinguono in:

5.3.3.1. Reati a soggetto passivo determinato.

Sono r e a t i a s o g g e t t o p a s s i v o d e t e r m i n a t o quei reati il cui interesse

offeso, appartiene a soggetti ben individuabili.

5.3.3.2. Reati o soggetti passivo indeterminato o reati vaghi o vaganti.

Sono r e a t i o s o g g e t t i p a s s i v o i n d e t e r m i n a t o o r e a t i v a g h i

o v a g a n t i quei reati il cui interesse offeso appartiene ad una collettività indeterminata e

che pertanto offendono un numero indeterminato di individui (esempio: strage, naufragio,

etc.).

5.3.3.3. Reati senza vittime.

Sono r e a t i s e n z a v i t t i m e , o s e n z a s o g g e t t o p a s s i v o quei reati nei quali

non è facile individuare un bene giuridico “afferrabile”. Ne sono esempio i reati contro la

“moralità pubblica” nonché i reati c.d. “o s t a t i v i ”, cioè quelli a pericolo presunto o

astratto, che incriminano atti che rappresentano solo il presupposto di una concreta

aggressione.

5 Ne risulta che il soggetto passivo della condotta può anche coincidere col soggetto attivo.

6 Si tenga presente che soggetto passivo e persona danneggiata dal reato possono coincidere (così nel delitto di

lesioni) o risultare distinte (ad esempio nel delitto di omicidio). 7 Es.: nell’omicidio, soggetto passivo è la vittima dell’azione omicida; danneggiati, invece sono gli stretti

congiunti.

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Ver.12-10-2016 32

Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.4. L’oggetto materiale dell’azione.

Concettualmente la nozione di soggetto passivo differisce da quella di o g g e t t o

m a t e r i a l e 8 del reato che indica la persona (e in questo caso si parla di soggetto passivo

della condotta) o la cosa su cui ricade materialmente l’azione delittuosa9.

5.4.1. Distinzione dall’oggetto giuridico del reato.

L’oggetto materiale dell’azione non va confuso con l’o g g e t t o g i u r i d i c o d e l

r e a t o . Quest’ultimo è il bene giuridico o l’interesse giuridico tutelato dalla norma che

prevede il reato stesso: ad esempio nel furto di un portafoglio oggetto materiale della condotta

è, appunto, il portafoglio, mentre oggetto giuridico è il patrimonio.

È opinione comune che, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’individuazione dei

beni e degli interessi giuridici protetti dalle norme penali vada fatta con riferimento alla stessa

Costituzione. Avendo infatti il ricorso alla pena criminale natura di extrema ratio per il

legislatore, è necessario riservare tale ricorso solo ai fatti che offendono beni o interessi di

maggiore rilievo sociale, che sono solo quelli dotati di diretta rilevanza costituzionale o

socialmente considerati tali.

5.4.2. Distinzione dal corpo del reato

L’oggetto materiale del reato può coincidere con il c.d. “c o r p o d e l r e a t o ” nella cui

nozione legislativa rientrano “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso

nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.

5.4.3. La classificazione dei reati in base all’oggetto giuridico.

In base all’oggetto giuridico si distingue tra reati monoffensivi e reati plurioffensivi.

5.4.3.1. Reati monoffensivi.

Sono r e a t i m o n o f f e n s i v i , i reati che offendono un solo bene giuridico (ad esempio,

omicidio, lesioni, ingiuria, danneggiamento).

5.4.3.2. Reati plurioffensivi.

Sono r e a t i p l u r i o f f e n s i v i , i reati che offendono contemporaneamente più beni

giuridici. Per esempio, l’autore della rapina (art. 628) aggredisce contemporaneamente il

patrimonio e la libertà morale del soggetto passivo.

5.5. La condotta.

Con il termine c o n d o t t a si indica il comportamento umano che costituisce reato, ossia a

quel comportamento che corrisponde, nelle sue esterne modalità di realizzazione, a quella

descritto da una norma incriminatrice speciale.

8 In concreto in taluni casi le due nozioni coincidono (nei delitti di omicidio e lesioni ad es), in altri rimangono

distinte (ad es. nella mutilazione fraudolenta della propria persona di cui all’art. 642 c.p., soggetto passivo è

l’ente assicuratore, mentre l’oggetto materiale è l’autore del reato). 9 L’utilità della nozione di oggetto materiale sta nel fatto che anche la natura e la qualità dell’oggetto concorre a

definire la tipicità del fatto, dal punto di vista oggettivo–materiale. Le fattispecie del furto (art. 624 c.p.) e

dell’appropriazione indebita (art. 646 c.p.) si realizzano solo se oggetto materiale dell’azione è il denaro o la

cosa mobile altrui; il danneggiamento (art. 635 c.p.) è invece una fattispecie che può avere per oggetto anche

cose immobili; i delitti di offesa alla religione mediante vilipendio di cose (artt. 404, 405 c.p.) sussistono solo se

il vilipendio cade su cose “che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate

necessariamente all’esercizio del culto”; e così via.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Perché via sia reato, come vedremo non è sufficiente che vi sia una condotta, ma non vi

può essere reato senza una condotta: il comportamento dell’uomo è cioè l’elemento

fondamentale, necessario, ma non sufficiente affinché ricorra l’ipotesi di reato.

La condotta tipica può consistere in un comportamento positivo, cioè in un “fare”

(a z i o n e i n s e n s o s t r e t t o ), ovvero in un comportamento negativo, cioè nel “non fare”

qualcosa (o m i s s i o n e ).

È bene evidenziare fin d’ora che affinché un’azione (omissiva o commissiva) possa

considerarsi come una condotta penalmente rilevante è necessario che la stessa sia retta da

coscienza e volontà (vedi par. 6.2.)

5.5.1. La classificazione dei reati in base alla condotta.

In base al tipo di condotta si operano diverse distinzioni.

5.5.1.1. Reato commissivo, omissivo e misto

5.5.1.1.1. Il reato commissivo o di azione.

I r e a t i c o m m i s s i v i o d i a z i o n e sono quei rati che richiedono per la loro

realizzazione una azione (es. furto, rapina).

Secondo l’opinione dominante in dottrina, perché vi sia azione occorre un movimento

corporeo dell’uomo (intendendosi per tale, anche la parola) che si concretizzi in atti

esternamente visibili e manifestati.

5.5.1.1.1.1. La classificazione dei reati di azione in base al numero di atti in essi contenuti.

In base al numero di atti in essi contenuti in reati commissivi si distinguono in:

r e a t i u n i s u s s i s t e n t i : sono reati nei quali la condotta tipica si esaurisce con

la realizzazione di un solo atto (es. omicidio con un colpo di pistola);

r e a t i p l u r i s u s s i s t e n t i : reati in cui la condotta tipica per realizzarsi

abbisogna del compimento di una pluralità di atti (pensiamo alla preparazione ed

esecuzione di un attentato).

r e a t i a c o n d o t t a p l u r i m a : sono quei reati caratterizzati dal fatto che la

norma incriminatrice prende in considerazione un ventaglio più o meno ampio di

comportamenti, ciascuno dei quali è ritenuto rilevante per il configurarsi della

fattispecie tipica. (es. art. 635 c.p.: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o

rende, in tutto o in parte, ecc.”).

5.5.1.1.2. Il reato omissivo.

Sono r e a t i o m i s s i v i quei reati che richiedono per la loro realizzazione

un’omissione (es. omissione di referto; omissione di atti di ufficio; omissione di soccorso

etc.).

I reati omissivi si distinguono in reati omissivi propri (o “di pura omissione”) e impropri (o

“commissivi mediante omissione”).

5.5.1.1.2.1. Nozione ed essenza dell’omissione.

L’essenza del r e a t o o m i s s i v o , non è costituta dal semplice “non fare”, ma dal non

compiere un’azione (positiva) che si ci si attendeva.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Questa precisazione segnala il c a r a t t e r e n o r m a t i v o d e l c o n c e t t o d i

o m i s s i o n e p e n a l m e n t e r i l e v a n t e : essa non può essere concepita e descritta se

non in relazione ad un comportamento attivo che l’autore era tenuto a realizzare (es.: colui

che investe il pedone e, successivamente, omette di soccorrerlo è responsabile del reato di

omissione di soccorso proprio perché la legge stabilisce l’obbligo per chi ha investito una

persona di fermarsi e prestare a questa l’assistenza necessaria; se mancasse la norma che

prevede tale obbligo, l’omissione di soccorso non costituirebbe reato).

In questo senza deve essere considerata tuttora valida la tradizionale connotazione del reato

omissione quale t r a s g r e s s i o n e d i u n c o m a n d o , piuttosto che di un divieto (com’è,

invece, caratteristico del reato commissivo).

5.5.1.1.2.2. Condizioni affinché possa esserci una omissione penalmente rilevante.

Il giudizio sulla rilevanza penale di una condotta omissiva comporta la verifica di alcuni

presupposti essenziali.

l a p o s s i b i l i t à d i c o m p i e r e l ’ a z i o n e o m e s s a : per affermare

l’esistenza di un’omissione penalmente rilevante deve potersi affermare,

innanzitutto, la possibilità di compiere l’azione omessa: sia in generale, cioè da

parte di chiunque si trovasse nella condizione dell’autore, sia individualmente, da

parte dello specifico autore dell’omissione10;

e s i g i b i l i t à d e l l ’ a z i o n e : l’azione positiva che ci si attendeva

dall’autore deve poter essere concretamente pretesa; essa, quindi non deve essere

tale da esporre l’autore stesso, o altri, a rischi e pregiudizi non esigibili

(e s i g i b i l i t à d e l l ’ a z i o n e ).

I requisiti generali, appena descritti, di un’omissione penalmente rilevante devono,

naturalmente, essere inerenti a una c o n d o t t a d i o m i s s i o n e che sia t i p i c a : o per

essere conforme alla previsione espressa di un reato di omissione (proprio o improprio); o

perché tale da rientrare nello schema dell’equivalenza causale, di cui all’art. 40 c.p.

5.5.1.1.2.3. Reati omissivi propri.

Nei r e a t i o m i s s i v i p r o p r i , a integrare la fattispecie legale del reato basta il

mancato compimento dell’azione doverosa, senza necessità che si realizzi un qualsiasi evento

naturalistico - vale a dire una modificazione del mondo esterno - come conseguenza della

condotta omissiva.

Perché sussista il reato, è sufficiente che, in presenza di determinati presupposti oggettivi

e/o soggettivi, l’autore obbligato ad agire si astenga dal compiere l’azione che era tenuto a

compiere.

Classici delitti di pura omissione, contenuti nel c.p., sono, fra gli altri, l’omissione di

soccorso (artt. 593 c.p.), l’omessa denuncia di reato (artt. 361-364 c.p.), l’omissione di referto

10

Omettere di lanciarsi in acqua per trarre in salvo un bagnante in pericolo non costituisce omissione di

soccorso, se per le condizioni del mare o per la distanza del bagnante dalla riva, manca ogni chance di effettuare

il salvataggio. D’altra parte, chi non sa nuotare, non può salvare una persona che rischia di annegare in alto mare.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

(art. 365 c.p.), l’omesso collocamento di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire

disastri o infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.)11.

5.5.1.1.2.4. Reati omissivi impropri.

Sono r e a t i o m i s s i v i i m p r o p r i (o commissivi mediante omissione), invece, quelli

nei quali il soggetto ha causato, con la propria omissione, un dato evento (e per questo sono

reati di evento): tale è, ad esempio, il caso del cantoniere il quale, omettendo di manovrare

uno scambio, causa un disastro ferroviario (art. 430 e 449)

La norma che contiene la previsione generale dei r e a t i o m i s s i v i i m p r o p r i , è

l’a r t . 4 0 c o . 2 ° del codice penale che dispone: “non impedire un evento, che si ha

l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Dunque, il secondo comma dell’art. 40 pone una c l a u s o l a d i e q u i v a l e n z a t r a

i l n o n i m p e d i r e e d i l c a g i o n a r e , addossando un evento, posto in essere da altri o

da cause naturali, a quel soggetto cui la legge comandava di impedirlo.

In altri termini introduce un u l t e r i o r e c r i t e r i o n o r m a t i v o d i

i m p u t a z i o n e o g g e t t i v a , fondato (“per equivalenza”) sull’obbligo giuridico di

impedire l’evento.

Il secondo comma dell’articolo 40 svolge, in tale prospettiva, una f u n z i o n e

e s t e n s i v a , nel senso che, combinandosi con le norme di parte speciale che prevedono

ipotesi di reato commissivo, estende la punibilità al caso in cui l’evento sia stato cagionato

con una omissione12.

Una volta accertato che l’art. 40, 2° co., opera un’estensione della punibilità, sorge il

problema di stabilire se tale estensione costituisca regola generale o trova limiti.

In particolare non sono convertibili in reati omissivi impropri:

i cd. r e a t i d i m a n o p r o p r i a (che presuppongono una condotta attiva a

carattere personale: es. incesto), nei quali i reo deve porre in essere positivamente il

comportamento che integra gli estremi del reato a mezzo della sua persona;

i cd. r e a t i a b i t u a l i che presuppongono una certa condotta di vita sia frutto di

reiterazione di comportamenti positivi (es. maltrattamenti).

In generale la dottrina ritiene che non possono essere convertiti in fattispecie omissive

improprie quelle fattispecie la cui condotta è caratterizzata da note descrittive necessariamente

attinenti ad un comportamento positivo (es. furto con rapina)

Sono invece s u s c e t t i b i l i d i c o n v e r s i o n e i r e a t i c a u s a l m e n t e

o r i e n t a t i o a forma libera (vedi infra), per la cui consistenza basta che una condotta sia

causale, cioè idonea a cagionare l’evento tipico.

11

Dal punto di vista della struttura del fatto, i reati omissivi propri sono, per definizione, reati c.d. di p u r a

c o n d o t t a (cioè senza evento materiale); dal punto di vista dell’offesa, vanno inquadrati nella categoria dei

r e a t i d i p e r i c o l o p r e s u n t o . 12

Cosi, ad esempio, dal combinato disposto dell’art. 515 con l’art. 40 2° co., deriva che risponde di omicidio non

solo chi con una azione cagioni la morte di una persona, ma anche chi, avendo l’obbligo di impedire che quella

data persona morisse, non l’ha fatto (esempio: l’infermiere che doveva praticare un’iniezione e non l’ha fatto,

facendo così morire il paziente affidato alle sue cure).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.5.1.1.2.5. Le fonti dell’obbligo giuridico di impedire l’evento ed i soggetti obbligati.

Il presupposto fondamentale della responsabilità omissiva (sia propria che impropria)

risiede nel fatto che l’ordinamento pone a carico di un soggetto una “f u n z i o n e d i

g a r a n z i a 13” del bene oggetto di tutela, funzione da cui discende l’obbligo di agire che resta

inadempiuto.

Posto che nel reato omissivo proprio fonte del dovere di agire è solo la legge penale che

consente, quindi, di individuare agevolmente i soggetti tenuti, il problema assume pratica

rilevanza nel reato omissivo improprio.

Al proposito la dottrina tradizionale individuava quali fonti dell’obbligo giuridico di

impedire l’evento: I) la legge; II) il contratto; III) un ordine dell’autorità giudiziaria (sentenza,

ordinanza); IV) una precedente attività, pericolosa ma lecita, svolta dal soggetto (uso di

macchine pericolose. Attività lavorativa pericolosa etc.); V) la consuetudine; VI) la volontaria

assunzione (c.d. negotorium gestio).

5.5.1.1.3. Il reato misto o a condotta mista.

Sono r e a t i m i s t i o a c o n d o t t a m i s t a quei reati che richiedono per la loro

realizzazione, cumulativamente, sia un azione che un’omissione (es. reato di insolvenza

fraudolenta).

5.5.1.2. Reati a forma vincolata e a forma aperta.

Pur nel rispetto del principio di tassatività si distingue tra fattispecie a forma vincolata e

fattispecie a forma aperta.

Sono r e a t i a f o r m a a p e r t a o l i b e r a ( o casualmente orientati), quelli in cui la

condotta è incriminata indipendentemente dalle specifiche modalità in cui essa è compiuta ad

es.: l’art. 575 c.p. punisce chiunque cagiona la morte di un uomo.

Sono r e a t i a f o r m a v i n c o l a t a , quelli in cui la condotta è incriminata solo in

presenza di determinate modalità ad es: l’art. 438 c.p. incrimina chiunque cagiona

un’epidemia mediante diffusione di germi patogeni.

5.5.1.3. Reati abituali.

I r e a t i a b i t u a l i ( o a c o n d o t t a p l u r i m a ) sono reati generati dall’insieme di

più condotte reiterate nel tempo, le quali prese singolarmente, o non costituiscono reato (c.d.

reati abituali p r o p r i ) o costituiscono un reato diverso (c.d. reati abituali i m p r o p r i ). Un

esempio tipico è il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572).

5.6. L’evento.

Un ulteriore elemento della fattispecie oggettiva, è l’e v e n t o . Nella maggior parte dei

casi, infatti, la legge penale non si limita a descrivere l’azione o l’omissione vietata; ma

contiene, altresì, il riferimento espresso ad un accadimento, configurato come modificazione

della realtà esterna preesistente, che consegue alla condotta dell’autore.

13

Le posizioni di garanzia possono essere: I) or i g i n a r i e : nascono in capo al garante in virtù di una sua

particolare qualità (ad esempio i genitori hanno l’obbligo di garantire l’incolumità dei figli minori): II)

de r i v a t e : nascono in capo al garante a seguito di un trasferimento per contratto da parte del garante originale

(la baby setter subentra per contratto nella posizione di garanzia che era dei genitori).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

A riguardo bisogna operare una distinzione tra “offesa” e “evento”: per offesa si dovrebbe

intendere la lesione o messa in pericolo del bene protetto, quale requisito essenziale del fatto,

sostanzialmente coincidente con l’intero suo contenuto di disvalore; mentre alla nozione di

evento dovrebbe riservarsi un significato più ristretto, sostanzialmente coincidente con quella

dell’evento in senso naturalistico.

L’offesa, quindi, sarebbe presente in qualsiasi reato, ivi compresi quelle c.d. di pura

condotta,; l’evento, invece, sarebbe presente solo in quelle fattispecie in cui esso appare

isolabile dalla condotta, in quanto modificazione del mondo esterno sensibile.

5.6.1. Classificazione dei reati in base all’evento.

A secondo se l’evento sia previsto o meno come elemento costitutivo della fattispecie

legale, sia parla di reati di evento e reati di condotta.

5.6.1.1. I reati di evento (cd. reati eventi materiali).

I reati in rapporto ai quali la legge penale descrive, quale elemento costitutivo della

fattispecie legale, un determinato accadimento naturalistico (corrispondente, cioè, ad una

modificazione della c.d. “realtà sensibile”), ben distinto dalla condotta, anche se individuabile

come sua conseguenza, si dicono comunemente r e a t i d i e v e n t o (rectius: reati con

evento naturalistico o, più genericamente, con evento in senso materiale). Caratteristico reato

con evento naturalistico è l’omicidio.

5.6.1.2. I reati di pura condotta (cd. reati formali).

I reati la cui fattispecie legale si esaurisce nella descrizione del comportamento

incriminato, così da non consentire l’identificazione di un accadimento di tipo naturalistico,

che si possa isolare dalla condotta e distinguere da essa, come sua conseguenza, vengono

invece tradizionalmente definiti r e a t i d i p u r a c o n d o t t a ; e vengono distinti in r e a t i

d i p u r a a z i o n e e r e a t i d i p u r a o m i s s i o n e , a seconda che la condotta

incriminata consista in un fare o in un non fare (omettere).

Reato di pura azione, nel senso accennato è, il falso giuramento in giudizio civile (art. 371

c.p.). Reato di pura omissione è l’omissione di denuncia di reato (artt. 361 e 362 c.p.) da parte

di un p.u. o di un incaricato di p.s.

5.7. Il danno penale o offesa.

5.7.1. Generalità.

Il “d a n n o p e n a l e 14” prodotto dal reato consiste nell’o f f e s a d e l b e n e

g i u r i d i c o t u t e l a t o . Tale offesa costituisce per così dire l’”e v e n t o g i u r i d i c o ”

(che si distingue dall’evento materiale che proprio dei soli reati di evento), che come

evidenziato in precedenza e proprio di ogni reato anche di quelli di pura condotta.

L’offesa arrecata dal reato può assumere due forme: l e s i o n e o m e s s a i n

p e r i c o l o , a seconda che sia realmente leso il bene tutelato (es. omicidio consumato: la

14

Dal danno penale va distinto il d a n n o c i v i l e (materiale o morale) cioè il danno risarcibile secondo le

disposizioni degli artt. 2043 e ss. cod. civ. Mentre può esservi reato senza danno civilmente risarcibile (ad es.

coloro che formano un’associazione a delinquere, commettono il reato ex art. 416 c.p., ma non recano alcun

danno civilmente risarcibile ad alcuno), viceversa non può esistere un reato senza danno penale (o criminale),

cioè senza offesa ad un bene giuridico.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

persona è stata uccisa e il bene «vita» é stato distrutto), oppure sia stato solo minacciato (es.

omicidio tentato: si è cercato di uccidere una persona senza riuscirvi; il bene «vita» è stato

messo solo in pericolo, ma non è stato leso).

5.7.2. Classificazione dei reati in base al danno.

A secondo se il danno sia previsto o meno come elemento costitutivo della fattispecie

legale, sia parla di reati di danno e reati di pericolo15.

5.7.2.1. Reati di danno.

Sono r e a t i d i d a n n o quei reati che richiedono per il loro perfezionarsi l’effettiva

lesione o distruzione del bene giuridico protetto (ad es, l’omicidio).

5.7.2.2. Reati di pericolo.

Sono r e a t i d i p e r i c o l o quei reati che per il loro perfezionarsi richiedono la

semplice messa in pericolo del bene tutelato. L’effettiva lesione del bene è in questa ipotesi

solo potenziale.

Nell’ambito dei reati di pericolo si distingue tradizionalmente fra reati di pericolo concreto

e reati di pericolo astratto.

5.7.2.2.1. I reati di pericolo concreto od offensivo.

Sono r e a t i d i p e r i c o l o c o n c r e t o o d o f f e n s i v o , quei reati nei quali i l

p e r i c o l o é e l e m e n t o c o s t i t u t i v o d e l l a f a t t i s p e c i e i n c r i m i n a t r i c e ,

ed il giudice deve accertarne di volta in volta l’esistenza in concreto.

Ad esempio la circostanza che siano posti dei grossi massi sui binari di una linea

ferroviaria pochi minuti prima del passaggio di un convoglio, può costituire, la base di fatto

per il giudizio di pericolo richiesto dall’art. 432 c.p., che punisce la condotta di chi “pone in

pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti, per terra, per acqua e per aria”.

5.7.2.2.2. I reati di pericolo astratto o presunto o anche ostativi.

Sono r e a t i d i p e r i c o l o a s t r a t t o o p r e s u n t o , nei quali il legislatore

incrimina atti che rappresentano solo il p r e s u p p o s t o d i u n a c o n c r e t a

a g g r e s s i o n e .

In altri termini con i reati di pericolo astratto il legislatore incrimina un condotta

presumendone la pericolosità non essendo necessaria, per l’esistenza del reato, la sua concreta

sussistenza (es.; l’associazione per delinquere ex art. 416).

5.8. Il nesso di causalità fra condotta ed evento.

L’a r t . 4 0 , c o . 1 ° , c . p . , stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r

u n f a t t o p r e v e d u t o c o m e r e a t o d a l l a l e g g e , s e l ’ e v e n t o d a n n o s o

o p e r i c o l o s o , d a c u i d i p e n d e l ’ e s i s t e n z a d e l r e a t o , n o n è

c o n s e g u e n z a d e l l a s u a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.

Da ciò si evince, che affinché l’evento - e l’offesa che vi si connette - possa essere

attribuito sul piano oggettivo a un determinato autore, è necessario che fra la condotta e

l’evento sussista un r a p p o r t o d i c a u s a a d e f f e t t o 16.

15

Più precisamente in coerenza con l’assunto che la lesione o la messa in pericolo del bene protetto dalla norma

sia un requisito immancabile al fatto tipico (e che quindi sotto questo profilo, non esistono reati senza evento) si

dovrebbe parlare di r e a t i c o n e v e n t o d i d a n n o e di r e a t i c o n e v e n t o d i p e r i c o l o .

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Per “r a p p o r t o d i c a u s a l i t à ” si intende quindi il nucleo dei principi essenziali,

sulla cui base si decide dell’attribuzione di un determinato evento a un determinata condotta

(c.d. i m p u t a z i o n e o g g e t t i v a ).

Ma quando una condotta è causa di un evento? Per rispondere a tale domanda la dottrina ha

elaborate diverse dottrine, delle quali quelle più screditata risulta essere la t e o r i a d e l l a

s u s s u n z i o n e d e l r a p p o r t o c a u s a l e s o t t o l e g g i s c i e n t i f i c h e .

Secondo tale teoria, il nesso da causalità tra un data condotta e un dato evento si accerta

stabilendo che.

in base al procedimento logico controfattuale quella condotta non possa essere

eliminata senza che l’evento venga meno; essa è cioè, condicio sine qua non”

dell’evento stesso;

l’evento costituisca conseguenza di quella condotta secondo una legge scientifica, e

cioè secondo la migliore scienza ed esperienza del momento, che può coincidere

anche con le conoscenze di un solo uomo17.

16

Il nesso di causalità fra condotta ed evento può atteggiarsi non solo nei termini propri di un processo della

realtà naturale, o comunque percepibile con i sensi, e verificabile in via sperimentale; ma altresì come rapporto

di conseguenzialità fra una determinata condotta (che possiamo genericamente definire come antecedente

causale) e un determinato evento lesivo, la cui qualificazione come conseguenza può essere stabilita soltanto

sulla base di un carattere di “regolarità”, desunto da massime di esperienza che poco hanno a che vedere con le

leggi scientifiche che presiedono all’evoluzione della c.d. realtà naturale (imputazione oggettiva del reato). Ad es

il reato della truffa (art. 640) si realizza in presenza di “artifizi e raggiri” posti in essere con il fine di “indurre in

errore” taluno, e con l’effetti di “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. 17

Il riferimento all’evento verificatosi «hic et nunc» consente di risolvere adeguatamente casi particolari, come

quelli della cd. causalità alternativa ipotetica e della cd. causalità addizionale che, se risolti alla stregua della

teoria della equivalenza, porterebbero a soluzioni inaccettabili. Esaminiamo un caso di causalità alternativa

ipotetica: Tizio spara a Caio, uccidendolo, un istante prima che un fulmine lo colpisca; applicando la teoria della

«conditio sine qua non», se noi eliminiamo mentalmente il colpo di pistola di Tizio, Caio muore lo stesso, perché

di lì ad un istante lo incenerirà un fulmine: Tizio, dunque, non è causa della morte di Caio. In realtà, ciò che

rileva è l’evento concreto, così come si è verificato «hic et nunc» e, quindi, non già «morte di Caio», bensì,

«morte di Caio per colpo di pistola» e rispetto a tale evento è innegabile la causalità della condotta di Tizio. Ai

fini dell’accertamento del nesso causale, quindi, non hanno alcun rilievo le cd. cause alternative ipotetiche le

quali, appunto perché ipotetiche, non hanno mai operato e, quindi, non vanno prese in considerazione. Per

quanto riguarda il caso delle cause addizionali sono possibili due ipotesi, e cioè che le due cause hanno agito

cumulandosi (cd. causalità cumulativa) o che le due cause hanno agito insieme ma ciascuna era idonea a

cagionare l’evento (cd. doppia causalità). Costituisce ipotesi di causalità cumulativa il caso di Tizio e Caio che,

l’uno, all’insaputa dell’altro, propinano a Sempronio ciascuno dieci gocce di un veleno che è letale quando si

raggiunge la dose di venti gocce; morto Sempronio, potranno Tizio e Caio esser ritenuti causa dell’evento? Qui

la soluzione è semplice: in realtà in questo caso l’eliminazione mentale va operata con riferimento ad entrambe

le condizioni, perché le stesse hanno operato sommandosi, per cui entrambe hanno efficacia causale. Vediamo

invece l’ipotesi della cd. doppia causalità: Tizio e Caio, sempre all’insaputa l’uno dell’altro, propinano a

Sempronio ciascuno venti gocce di veleno, per cui ognuno compie un’azione di per sé idonea a cagionare la

morte di Sempronio. Applicando la teoria condizionalistica nella sua formulazione originaria si arriverebbe a

risultati paradossali: Tizio e Caio, infatti, ben potrebbero scagionarsi l’un l’altro, sostenendo ciascuno che la

propria condotta non è causale in quanto l’evento si sarebbe verificato ugualmente, per cui della morte di

Sempronio nessuno risponderebbe. In realtà, in questo caso, se si è esclusa l’ipotesi che una della due dosi ha

agito prima (in tal caso, infatti, solo essa avrebbe efficacia causale, ponendosi l’altra come causa alternativa

ipotetica e, perciò, irrilevante), tutte e due devono rispondere della morte di Sempronio: l’evento da considerare

verificatosi «hic et nunc», infatti, è «morte di Sempronio per l’effetto di quaranta gocce di veleno» e rispetto a

tale evento la condotta di Tizio e quella di Caio non possono non essere pensate cumulativamente senza che

l’evento venga a mancare.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.8.1.1. Il rapporto di causalità nei reati omissivi propri.

L’omissione, non essendo un elemento della realtà empirica, impedisce l’applicazione

delle normali regole inerenti alla verifica del nesso causale tra condotta ed evento proprio dei

reati di azione.

Ciò che va tenuto presente, allora, è l’azione dovuta che non è stata tenuta dall’agente; più

in particolare, occorre formulare un giudizio i p o t e t i c o o p r o g n o s t i c o teso a

verificare se in presenza dell’azione doverosa l’evento non si sarebbe verificato. Così

ragionando, l’omissione sarà causa dell’evento quando non può essere mentalmente sostituita

con l’azione dovuta senza che l’evento venga meno.

Trattandosi di un giudizio ipotetico la formula della “condicio sine qua non” non potrà

fornire certezze. In sostanza, nei reati omissivi improprio il nesso di causalità finisce col

configurarsi come una s t r u t t u r a p r o b a b i l i s t i c a .

5.8.2. Il concorso di cause colpose indipendenti.

5.8.2.1. Nozione.

Si ha c o n c o r s o d i c a u s e c o l p o s e (dette anche fattori colposi)

i n d i p e n d e n t i ogni qualvolta un determinato evento si verifica per effetto di più cause

dovute al comportamento di due o più soggetti, le quali, ancorché materialmente collegate,

sono tuttavia indipendenti l’una dall’altra e possiedono tutte efficienza causale rispetto

l’evento.

5.8.2.2. La disciplina prevista dall’art. 41.

5.8.2.2.1. Prima comma.: principio di equivalenza delle cause.

L’art. 41 c.p. stabilisce al primo comma “I l c o n c o r s o d i c a u s e

p r e e s i s t e n t i o s i m u l t a n e e o s o p r a v v e n u t e , a n c h e s e

i n d i p e n d e n t i d a l l ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e d e l c o l p e v o l e , n o n

e s c l u d e i l r a p p o r t o d i c a u s a l i t à f r a l ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e

e l ’ e v e n t o ”

Il comma 1 sancisce il principio dell’equivalenza delle cause, sicché quando l’agente ha

posto in essere una condotta che ha efficacia causale per produrre un evento, l’imputazione a

lui del fatto non è esclusa dall’intervento dell’operatività di altri fattori causali (antecedenti,

concomitanti, successivi).

Sicché, ad esempio, nel caso di morte di un pedone conseguente ad un investimento

automobilistico, la responsabilità del conducente del veicolo non è esclusa dal fatto che la

vittima era di salute malferma (causa preesistente) e che i sanitari hanno commesso errori

nella cura successiva all’investimento (causa sopravvenuta).

5.8.2.2.2. Secondo comma.

Il principio per il quale il concorso di cause estranee all’operato dell’agente (siano esse

antecedenti, concomitanti o successive) non esclude il rapporto di causalità trova

temperamento nel comma 2 dell’art. 41, il quale afferma che “L e c a u s e

s o p r a v v e n u t e e s c l u d o n o i l r a p p o r t o d i c a u s a l i t à q u a n d o

s o n o s t a t e d a s o l e s u f f i c i e n t i a d e t e r m i n a r e l ’ e v e n t o ”

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Quando la causa sopravvenuta18 (ed estranea) rispetto al fatto dell’agente è idonea da sola a

determinare l’evento, il soggetto non ne risponderà in quanto, in caso contrario, verrebbe leso

il principio della personalità della responsabilità penale sancita dall’art. 27 Cost.

Così, ad esempio, nel caso in cui il conducente di un veicolo investa un pedone

cagionandogli la frattura di un piede, e questi, accompagnato all’ospedale a bordo del veicolo

di un amico, patisce un grave incidente a seguito del quale decede, l’evento letale non potrà

ritenersi collegato casualmente alla condotta del primo conducente, in quanto il secondo

sinistro (causa sopravvenuta) è stato da solo idoneo a produrre la morte.

Sicché, in tal caso, può dirsi che il primo investimento non è causa della morte, bensì

occasione per lo svilupparsi di un altro separato e diverso processo causale dell’evento.

La dottrina e la giurisprudenza dominanti hanno precisato, pertanto, che in tema di

rapporto di causalità, la causa da sola sufficiente a determinare l’evento è quella che, non

soltanto appartiene ad una serie causale completamente autonoma rispetto a quella posta in

essere con la condotta dell’agente, ma anche quella che, pur inserendosi nella serie causale

dipendente dalla condotta dell’agente, opera per esclusiva forza propria nella determinazione

dell’evento, sicché la condotta dell’agente, pur costituendo un precedente necessario per

l’efficacia della causa sopravvenuta, assume rispetto all’evento stesso non il ruolo di fattore

causale, ma di semplice occasione.

Sempre il secondo comma dell’art. 41 afferma che “I n t a l c a s o , s e l ’ a z i o n e

o d o m i s s i o n e p r e c e d e n t e m e n t e c o m m e s s a c o s t i t u i s c e p e r

s é u n r e a t o , s i a p p l i c a l a p e n a p e r q u e s t o s t a b i l i t a ”.

Dunque, tornando all’esempio esposto in precedenza, il conducente pur non rispondendo di

omicidio colposo per l’operatività della prima parte del comma 2 dell’art. 41, ben potrà essere

chiamato a rispondere di lesioni colpose (nell’esempio: per la frattura provocata al piede).

5.8.2.2.3. Terzo comma.

Il terzo comma dell’art. 41 afferma che “Le disposizioni precedenti si applicano anche

quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.

Tale comma chiarisce che le regole dettate dall’art. 41 (principio di eguaglianza delle

cause: comma 1; limite di operatività del principio: comma 2) trovano applicazione non solo

quando le cause antecedenti, concomitanti o sopravvenute siano circostanze naturali o

fortuite, ma anche quando si tratti di comportamenti illeciti di altri soggetti.

Nell’esempio riportato nel primo esempio, la precedente malattia della vittima è un fatto

antecedente naturale, mentre l’errore terapeutico dei medici è un fatto illecito altrui

sopravvenuto.

18

La disciplina del comma 2 è dettata espressamente solo con riferimento alle «cause sopravvenute». Secondo

taluni, in via analogica, gli stessi principi dovrebbero applicarsi per l’ipotesi di cause concomitanti od

antecedenti.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.9. Classificazioni di reati.

5.9.1. Delitti e contravvenzioni.

L’art. 39 del c.p. vigente distingue i reati in delitti e contravvenzioni. Sono “d e l i t t i ” i

fatti costituenti reato, per i quali la legge stabilisce le pene dell’ergastolo, della reclusione o

della multa.

Sono “c o n t r a v v e n z i o n i ” quei fatti costituenti reato, per i quali è dalla legge

comminata la pena dell’arresto ovvero quella dell’ammenda (art. 17 c.p.).

5.9.1.1. Criterio di distinzione.

Non esiste altro criterio, che non sia quello del riferimento alla pena prevista dalla legge,

per stabilire se ci si trovi di fronte a un delitto o a una contravvenzione.

In linea meramente tendenziale, si può dire, tuttavia, che la scelta dell’incriminazione a

titolo contravvenzionale sia riservata agli illeciti caratterizzati: a) dall’inosservanza di norme a

carattere prevenzionistico cautelare; b) dall’inosservanza di norme concernenti la disciplina di

attività soggette ad un potere amministrativo.

5.9.1.2. Alcune differenze di disciplina.

La distinzione tra delitti e contravvenzioni, da farse in base alla pena stabilita, comporta

varie differenze di disciplina stabilite dalla legge stessa:

quanto all’elemento psicologico, salvo che la legge espressamente preveda una

contravvenzione dolosa (es.: art. 660 molestia o disturbo delle persone), tutte le

contravvenzioni sono punibili, sia se commesse con dolo, sia se commesse con

colpa (artt. 42- 43 ult. comma. c.p.);

il tentativo (art. 56) è ammesso solo per i delitti;

alcune circostanze del reato sono previste soltanto per i delitti (es. art. 61 n. 3, 7,

8,);

i reati commesso all’estero e punibili nel territorio dello Stato, salva l’eccezione

dell’art. 7 n. 5, sono soltanto delitti;

il reato politico e solo sempre un delitto (art. 8).

5.9.2. Distinzione dei reati in base al momento della consumazione.

In base al “m o m e n t o c o n s u m a t i v i d e l r e a t o ” , cioè in base al momento in cui

il reato si perfezione, si distingue tra reati istantanei e reati permanenti.

5.9.2.1. Concetto di consumazione del reato.

Un reato si dice “c o n s u m a t o ” quando sono stati realizzati tutti gli estremi descritti

dalla norma incriminatrice che lo prevede, compreso l’evento che incorpora, per così dire, la

lesione del bene protetto; e, quando si tratti di reati c.d. di mera condotta (cioè privi di evento

in senso naturalistico), quando si stata realizzata la condotta per intero la condotta incriminata.

5.9.2.2. Reati istantanei.

Sono r e a t i i s t a n t a n e i quei reati, la cui realizzazione del fatto tipico, integra ed

esaurisce l’offesa, in quanto la lesione del bene protetto non può persistere nel tempo (es. art.

575 omicidio).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Pertanto tutto ciò che avviene dopo la consumazione del rato può avere rilevanza solo ai

fini della sua punibilità in concreto, o nella sfera degli effetti giuridici di natura extrapenale,

ma non altera la fisionomia, ormai compiuta, della fattispecie oggettiva.

5.9.2.3. Reati permanenti.

Si parla di r e a t i p e r m a n e n t i quando il momento del perfezionamento del reato non

segna l’esaurimento della fattispecie, ma solo l’inizio di una fase di consumazione del reato

stesso, destinata a protrarsi per un certo tempo (es. art. 605 sequestro di persona).

In altri termini il reato permanente è contrassegnato dal perdurare nel tempo della lesione

di un bene giuridico, per effetto di una corrispondente condotta dell’autore.

Tale tipi di reati sono ipotizzabili solo in relazione a quei beni che è possibile comprimere

(ad es. libertà individuale).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

CC aa pp ii tt oo ll oo 66 °° L a f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a d e l r e a t o

6.1. Nozione.

Alla f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a del fatto tipico appartiene l’intero c o n t e n u t o

p s i c h i c o dell’azione od omissione che presenti i requisiti oggettivi di una condotta tipica.

6.1.1. Disciplina codicistica.

La disciplina codicistica della fattispecie soggettiva e contenuta negli artt. 42 e 43 cp.

6.1.1.1. L’art. 42.

In particolare l’art. 42 c.p. enuncia le regole generali, in base a cui un fatto “preveduto

dalla legge come reato” (rectius: oggettivamente tipico) può essere attribuito a un determinato

soggetto quale autore.

Questa disposizione definisce, cioè, i c r i t e r i p e r l a i m p u t a z i o n e

s o g g e t t i v a del fatto tipico: vale a dire i criteri, alla cui stregua si decide dell’attribuibilità

di un fatto penalmente rilevante a un determinato autore, al quale esso possa già attribuirsi,

dal punto di vista dei criteri della imputazione oggettiva.

6.1.1.2. L’art. 43

L’art. 43 c.p. contiene la nozione di delitto doloso, preterintenzionale e colposo. In altri

termini l’art. 43 stabilisce quali specie di atteggiamento psichico siano rilevanti per il

configurarsi della condotta tipica e ne descrive separatamente la struttura e il rapporto con gli

elementi della fattispecie oggettiva.

6.2. La coscienza e volontà dell’azione e dell’omissione come requisito generale della

condotta rilevante.

Il primo requisito di ordine psichico, che la legge richiede per il configurarsi di un fatto

penalmente rilevante è costituito dalla c.d. “ c o s c i e n z a e v o l o n t à ” dell’azione e

dell’omissione (c.d. s u i t a s ).

L’art. 42, co. 1°, c.p., infatti, stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r

u n ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e p r e v e d u t a d a l l a l e g g e c o m e r e a t o , s e

n o n l ’ h a c o m m e s s a c o n c o s c i e n z a e v o l o n t à ”.

Secondo la nostra legge, in altre parole, è suscettibile di una valutazione in termini di

tipicità, antigiuridicità, colpevolezza, soltanto la condotta (oggettivamente tipica) che sia

sorretta dalla volontà e assistita dalla consapevolezza del proprio operare nel mondo esterno.

Non sono “azione”, dunque, nel senso del diritto penale, i movimenti che si compiono

durante il sonno, le parole pronunciate sotto l’effetto della narcosi durante un intervento

chirurgico ecc1.

1 È ora possibile comprendere la d i f f e r e n z a c h e i n t e r c o r r e f r a l a c o s c i e n z a e l a

v o l o n t à d e l l ’ a z i o n e e d e l l ’ o m i s s i o n e prevista dall’art. 42, comma 1, e l a

c a p a c i t à d i i n t e n d e r e e d i v o l e r e di cui all’art. 85 c.p.. Secondo la prevalente dottrina,

l’art. 42 prevede un requisito essenziale dell’azione perché possa considerarsi come condotta, mentre l’art. 85 si

riferisce alla capacità di intendere e di volere del soggetto, inteso come capacità del soggetto di valutare le azioni

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

A riguardo va precisato che in relazione al reato omissivo, ovviamente, la coscienza e la

volontà non va riferita all’omissione, ma al comportamento che il soggetto ha tenuto nel

momento in cui doveva adempiere all’obbligo: se tale comportamento è cosciente e

volontario, lo sarà anche l’omissione; analogamente accadrà se il comportamento è

incosciente e involontario.

Non può pertanto ritenersi cosciente e volontaria l’omissione di chi era svenuto o in coma:

non risponderà di omissione di soccorso la persona cha alla vista del ferito insanguinato, sia

svenuta e sia rimasta in stato di incoscienza fino all’arrivo di un nuovo soccorritore.

6.3. La fattispecie de reati dolosi.

6.3.1. Il dolo come forma tipica della volontà colpevole.

Il dolo costituisce la f o r m a t i p i c a d e l l a v o l o n t à c o l p e v o l e , in quanto nel

silenzio del legislatore, i delitti previsti e puniti nella parte speciale del c.p. sono dolosi.

Tanto è vero che il 2°co. dell’art. 42 c.p. stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o

p e r u n f a t t o p r e v e d u t o d a l l a l e g g e c o m e d e l i t t o , s e n o n l ’ h a

c o m m e s s o c o n d o l o , s a l v i i c a s i d i d e l i t t o p r e t e r i n t e n z i o n a l e o

c o l p o s o e s p r e s s a m e n t e p r e v e d u t i d a l l a l e g g e ”.

Da qui ricaviamo la regola secondo la quale generalmente i l f a t t o t i p i c o v i e n e

s e m p r e i n t e s o c o m e d o l o s o dalla legge, mentre può essere preterintenzionale o

colposo solo quando detto esplicitamente.

6.3.2. Nozione di delitto doloso (art. 43 1° co. c.p.).

Del dolo nel nostro ordinamento si occupa in particolare l’a r t . 4 3 c . p . 1 ° c o . per il

quale “I l d e l i t t o è d o l o s o , o s e c o n d o l ’ i n t e n z i o n e , q u a n d o

l ’ e v e n t o d a n n o s o o p e r i c o l o s o c h e è i l r i s u l t a t o d e l l ’ a z i o n e o

d e l l ’ o m i s s i o n e d a c u i l a l e g g e f a d i p e n d e r e l ’ e s i s t e n z a d e l

d e l i t t o , è d a l l ’ a g e n t e p r e v e d u t o e v o l u t o c o m e c o n s e g u e n z a

d e l l a p r o p r i a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.

6.3.3. Ratio.

Con l’incriminazione del reato doloso di azione, la legge vieta la realizzazione finalistica,

con determinate modalità, di eventi socialmente indesiderati, corrispondenti alla lesione di

beni giuridici penalmente tutelati: la legge vieta, cioè, di volere (nel senso dell’art. 43 c.p.)

determinate condotte, in quanto antecedenti causali di determinate lesioni di beni.

6.3.4. Struttura

Dalla definizione del dolo contenuta nel 1° comma dell’art. 43 c.p. si evince la natura

complessa della sua struttura nell’ambito della quale si riscontrano:

un m o m e n t o i n t e l l e t t i v o : in quanto è necessario che l’autore si sia

prefigurato anticipatamente un determinato evento (corrispondente a quello

tipizzato nella norma incriminatrice) quale possibile conseguenza di una

determinata condotta;

che compie: capacità che manca alla persona inferma di mente, si essa sveglia o dormiente, mentre non manca

alla persona sana di mente anche se dorme.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

un m o m e n t o v o l i t i v o : in quanto è necessario che l’autore abbia

consapevolmente agito sulla base delle sue personali conoscenze ed esperienze, in

modo tale che dalla condotta posta in azione scaturisse appunto, come

conseguenza, l’evento previsto dalla norma incriminatrice speciale.

Momento intellettivo e momento volitivo sono egualmente imprescindibili nella nozione

del dolo, poiché non può darsi un atto di volontà, se esso non è fondato su una preventiva

rappresentazione delle conseguenze dei propri atti nel mondo esterno; né, d’altra parte, può

assumere alcuna rilevanza per il diritto una mera rappresentazione di possibili eventi, se ad

essa non segua un atto di volontà che metta in moto energie causali, dirette alla modificazione

della realtà preesistente.

In definitiva il dolo può definirsi, quindi, sia pure in maniera generica e necessaria di

ulteriori precisazioni, come r a p p r e s e n t a z i o n e e v o l o n t à d i r e a l i z z a r e i l

f a t t o c o s t i t u e n t e r e a t o .

6.3.4.1. Oggetto.

La dottrina dominate ritiene che il dolo, implica la conoscenza di tutti gli elementi che

sono necessari e sufficienti a realizzare la fattispecie obiettiva di un reato. Rientrano pertanto

nell’oggetto del dolo:

la c o n d o t t a t i p i c a : è cioè l’azione che costituisce il fato di reato, che deve

tanto preveduta che voluta (ad esempio, nel delitto di furto l’agente deve prevedere

e volere la sottrazione e l’impossessamento di cosa che sa di essere di altri: non è

richiesto sviamento, che si sappia che la cosa è di Tizio o d Caio, bastando la

consapevolezza dell’altruità);

t u t t i g l i a l t r i e l e m e n t i c h e i l r e a t o : ad es. le caratteristiche del

soggetto passivo (es. stato di gravidanza nel procurato aborto);

g l i e l e m e n t i n o r m a t i v i ( o v a l u t a t i v i ) d l f a t t o , cioè

quegli elementi che devono essere valutati in base ad altre regole (giuridiche e

non): ad es. l’altruità della cosa nel reato di furto deriva dalla orma civilista che

attribuisce la proprietà della cosa;

g l i e l e m e n t i n e g a t i v i d e l f a t t o (cioè e cause di giustificazione).

Nell’oggetto del dolo rientra anche a mancanza di cause di giustificazione. In

proposito non occorre che il soggetto sappia che non vi è alcuna causa di

giustificazione (c.d. rappresentazione positiva): è sufficiente ce egli non creda che

vi sia una causa di giustificazione (c.d. rappresentazione negativa);

l ’ e v e n t o n a t u r a l i s t i c o (ovviamente nei reati di evento), che deve

essere preveduto e voluto. Deve trattarsi d p revisione concreta: basta, cioè, che

l’agente abbia effettivamente previsto quell’evento, anche se esso appariva

imprevedibile per gli altri;

l ’ e v e n t o g i u r i d i c o , cioè la lesione o messa in pericolo del bene interesse

protetto: è anche esso oggetto della rappresentazione e volizione del soggetto

agente;

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

il n e s s o d i c a u s a l i t à fra la condotta e l’evento: è sufficiente che l’agente

si rappresenti il decorso causale nei sui tratti essenziali, rilevanti per la

configurazione del reato (ad es.: se taluno spinge una persona sotto un’auto per

ucciderla, risponde di omicidio anche se la vittima muore battendo la testa in terra e

non perché travolto dall’auto)2.

6.3.4.2. Il dolo nei reati omissivi.

Gli elementi costitutivi del dolo nei reati omissivi sono gli stessi che contrassegnano la

struttura del dolo nei reati di azione: anche nel reato omissivo l’autore deve rappresentarsi le

circostanze in cui la sua condotta si inserisce e deve volere la condotta omissiva, nonché (nei

reati omissivi impropri) l’evento ad essa ricollegabile secondo la regola dell’art. 40 cpv.

Naturalmente, essendo diversa la struttura della fattispecie oggettiva dei reati omissivi,

rispetto a quella dei reati di azione, non può non risultare parzialmente diverso l’oggetto del

dolo e diversa, correlativamente, la sua struttura.

Nell’essenziale il dolo dei reati omissivi è costituito dalla volontà di non compiere l’azione

dovuta, unito alla consapevolezza di poter agire nel senso richiesto dall’ordinamento.

Considerato analiticamente, questo secondo elemento del dolo include:

la c o n o s c e n z a d e l l e c i r c o s t a n z e d a c u i d e r i v a l ’ o b b l i g o d i

a g i r e ; ad esempio, a fini del dolo dell’omissione di soccorso, è necessaria la

percezione che taluno versa in una delle situazioni di pericolo, descritte dall’art.

593 c.p.;

la r a p p r e s e n t a z i o n e d e l l e c i r c o s t a n z e che abbiamo indicate come

presupposti generali dell’omissione penalmente rilevante; e cioè la possibilità

(generale e individuale) di compiere l’azione dovuta e la sua esigibilità in

concreto3.

Nei reati omissivi impropri, è inoltre necessario che l’autore percepisca il valore “causale”

della propria omissione: egli deve cioè rappresentarsi il fatto che l’intrapresa dell’azione

doverosa avrebbe, con alto grado di probabilità, evitato il verificarsi dell’evento. È infine

richiesta, da parte dell’autore, la consapevolezza dei presupposti, giuridici o di fatto, su cui si

radica la posizione di garante nei confronti del bene tutelato4.

2 Non rientrano, invece, nell’oggetto del dolo, perché non sono elementi essenziali del fatto: I) le circostanze; II)

le condizioni obiettive di punibilità. 3 Si dovrà, ad esempio, escludere il dolo dell’omissione di soccorso nel fatto di chi, trovandosi in una delle

situazioni descritte dal 1° co. dell’art. 593, ometta di darne avviso all’Autorità perché ignora l’esistenza di un

posto telefonico pubblico che potrebbe agevolmente raggiungere e crede, invece, che l’azione dovuta sia

realizzabile solo a patto di affrontare il guado di un torrente in piena. 4 Al proposito, c’è da osservare che la consapevolezza dei presupposti relativi alla posizione di garanzia non va

confusa con quella avente ad oggetto l’obbligo di agire che, nell’omissione, equivale alla consapevolezza del

dovere di non compiere l’azione vietata nei reati d’azione. Quanto detto rileva in materia di errore.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.3.5. Classificazioni e partizioni del dolo.

6.3.5.1. Dolo diretto e indiretto.

6.3.5.1.1. Dolo diretto.

6.3.5.1.1.1. Intenzionale o di primo grado.

Si ha d o l o d i r e t t o i n t e n z i o n a l e o d i p r i m o g r a d o ogni qualvolta l’evento

conseguito: I) è rispondente a quello voluto e rappresentato dell’agente, II) quando costituisce

il mezzo necessario per raggiungere quella finalità5; II) quando scaturisce, come conseguenza

che l’autore ritiene non evitabile, dall’uso dei mezzi prescelti per la realizzazione dello scopo.

In tutti e tre casi, all’autore può imputarsi, a titolo di dolo, la causazione dell’evento,

perché in tutti e tre i casi egli ha voluto quell’evento, come conseguenza della sua azione od

omissione.

6.3.5.1.1.2. Di secondo grado.

Si parla, invece, di d o l o d i r e t t o d i s e c o n d o g r a d o , in rapporto a quegli eventi

che rientrano nella volontà di azione dell’autore, in quanto costituiscono effetti secondari

altamente probabili (e comunque non sicuramente evitabili) delle concrete e specifiche

modalità della condotta posta in essere.

Alla rappresentazione dell’evento che l’autore si propone di realizzare non può infatti non

collegarsi la rappresentazione di altri eventi, quando essi costituiscano un effetto certo

(altamente probabile) della condotta prescelta: in questi casi, il soggetto che agisce è

consapevole che alla realizzazione del suo disegno si collegano ulteriori effetti, cioè altre

“conseguenze” nel senso dell’art. 43 c.p.

Quello che l’autore si rappresenta come conseguenza della sua azione, è in ogni caso da lui

voluto. Gli effetti secondari dell’azione, che l’agente si rappresenta come conseguenza di

essa, appartengono infatti alla sua volontà finalistica di azione, anche se per lui non rivestono

alcun interesse6.

6.3.5.1.2. Dolo indiretto (o “eventuale”).

Si ha d o l o i n d i r e t t o o e v e n t u a l e quando il risultato conseguente alla propria

azione, pur rappresentato, non è stato dell’agente direttamente ed intenzionalmente voluto.

Presupposto essenziale del dolo eventuale è che l’autore si sia rappresentato come

p o s s i b i l e l ’ a c c a d i m e n t o .

Per altro, la previsione dell’evento semplicemente come possibile, integra tuttavia una

ipotesi di dolo diretto, tutte le volte che l’agente si è impegnato proprio in vista di quel

risultato, anche se lo riteneva poco probabile.

5 Si ha dolo diretto di omicidio, ad esempio non solo quando si agisce allo scopo di uccidere qualcuno, ma anche

quando l’uccisione di un uomo è il mezzo prescelto per realizzare un evento di natura diversa, per esempio

uccidere una sentinella, allo scopo di penetrare in una istallazione militare. 6 Chi incendia uno stabile, o provoca l’affondamento di un battello, allo scopo di riscuotere un’assicurazione, pur

sapendo che in questo modo cagionerà, con ogni probabilità, la morte di un uomo che si trova nello stabile o a

bordo del battello, avrà agito dolosamente, non solo con riguardo alla fattispecie dell’incendio, ma anche rispetto

alla fattispecie dell’omicidio; anche se avrebbe volentieri fatto a meno di pagare un tale prezzo per raggiungere il

proprio scopo!

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

Es. chi spara contro taluno allo scopo di ucciderlo, è in dolo diretto, anche se ha agito con

la consapevolezza che a causa della notevole distanza il verificarsi dell’evento era assai poco

verosimile.

Ciò indica che i confini tra dolo diretto e dolo eventuale non sono poi così netti come

potrebbe sembrare. Riguardo al punto di vista dell’agente, lo spazio occupato dal dolo

indiretto o eventuale si può dire corrispondente a quello del dubbio (circa la possibilità che un

certo evento si verifichi).

La problematica del dolo eventuale sta dunque tutta nell’interrogativo: quando si può dire

voluto l’evento che l’autore si è rappresentato solo come possibile (ma dubbia) conseguenza

della propria condotta?

Per dare risposta a questa domanda, nella dottrina del dolo sono state proposte diverse

teorie. La formula più accreditata nella dottrina contemporanea è quella che identifica il dolo

eventuale con l’atteggiamento psicologico di chi, pur ritenendo in concreto la realizzazione

dell’evento una possibile conseguenza della propria azione, tuttavia non se ne astiene,

accettando quindi consapevolmente il rischio del suo verificarsi (t e o r i a

d e l l ’ a c c e t t a z i o n e d e l r i s c h i o ).

6.3.5.2. Dolo generico e dolo specifico.

6.3.5.2.1. Dolo generico.

Si ha d o l o g e n e r i c o quando è richiesta dalla legge la semplice coscienza e volontà

del fatto materiale, essendo indifferente per l’esistenza del reato il fine per cui si agisce.

6.3.5.2.2. Dolo specifico.

Si ha d o l o s p e c i f i c o , nei casi in cui ai fini dell’esistenza del reato si richiede che il

soggetto abbia agito per una particolare finalità, che tuttavia non deve necessariamente

realizzarsi perché il reato sia consumato, es. l’art. 624 richiede per la configurazione del furto

che il soggetto abbia agito “al fine di trarne profitto”.

6.3.5.3. Dolo generale.

Da non confondere con il dolo generico è il c.d. d o l o g e n e r a l e , che si quando

l’evento che pur costituendo l’originario oggetto del dolo, è tuttavia prodotto da una condotta

non più dolosa dell’agente7.

Es.: Tizio, agendo allo scopo di uccidere Caio, lo tramortisce, e, successivamente,

credendo di averlo ucciso, ne getta il corpo in un fiume, ove in realtà Caio muore per

annegamento.

6.3.5.4. Dolo di danno e dolo di pericolo.

Sa ha d o l o d i d a n n o quando il soggetto ha voluto effettivamente ledere il bene

protetto dalla norma (es. lesioni volontarie).

Si ha d o l o d i p e r i c o l o quando il soggetto ha voluto soltanto minacciare il bene

protetto (es. delitti di attentato)8.

7 La dottrina ritiene che in questo caso si configuri un concorso fra un mero tentativo di omicidio e un omicidio

colposo, la cui fattispecie corrisponde alla serie causale innescata dalla condotta dell’agente successiva

all’evento.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.3.5.5. Dolo iniziale e dolo concomitante.

Con riguardo al momento in cui il dolo si manifesta, si usa distinguere fra d o l o

i n i z i a l e , c o n c o m i t a n t e e s u c c e s s i v o , a seconda che il dolo: 1) sia presente

solo nel momento iniziale del processo causativo, che tuttavia si sviluppa in seguito, fino

all’evento, in assenza di dolo; 2) lo accompagni durante tutto il suo svolgersi; ovvero 3) sorga

solo dopo che l’agente ha realizzato, senza dolo, la fattispecie oggettiva di reato9.

Dovrebbe essere evidente che il dolo c.d. iniziale e il dolo c.d. successivo non

costituiscono in alcun modo ipotesi di dolo penalmente rilevante: in nessuna delle due ipotesi,

infatti, l’agente ha consapevolmente messo in moto le energie causali idonee a cagionare

l’evento (tutt’altra questione è se questo potrà essergli addebitato a titolo di colpa o se la

condotta successiva sia assistita o meno da un autonomo dolo concomitante). Nell’uno e

nell’altro caso, si tratta, in realtà, di figure, la cui residua utilità consiste nel concorrere a

delimitare l’ambito del dolo.

6.3.5.6. Dolo alternativo e dolo indeterminato.

Si ha d o l o a l t e r n a t i v o , quando l’agente vuole indifferentemente uno o più, fra gli

eventi che la sua azione può cagionare: come può essere il caso di chi spara contro un gruppo

di persone, prospettandosi come conseguenza della sua azione, indifferentemente, la morte o

il ferimento di una, due o più fra esse.

Si ha d o l o i n d e t e r m i n a t o 10, quando l’agente vuole, alternativamente o

cumulativamente, più eventi fra loro non compatibili, dei quali, però, uno solo può verificarsi;

e vuole, indifferentemente l’uno o l’altro di essi11.

6.3.5.7. Dolo d’impeto e dolo di proposito e dolo di premeditazione.

Il d o l o d ’ i m p e t o : ricorre quando il delitto è risultato di una d e c i s i o n e

i m p r o v v i s a e viene subito eseguito, senza nessun intervallo tra momento conoscitivo e

momento volitivo (es. colluttazione che segue immediatamente alla provocazione).

Il d o l o d i p r o p o s i t o : si ha allorché trascorre un considerevole lasso di tempo tra il

sorgere dell’idea criminosa e la sua attenzione concreta.

Nei casi in cui l’intervallo temporale è utilizzato per la preordinazione dei mezzi e delle

modalità dell’azione criminosa si ha d o l o d i p r e m e d i t a z i o n e .

8 La contrapposizione fra dolo di danno e dolo di pericolo costituisce, in sostanza, un riflesso della differente

struttura delle corrispondenti fattispecie oggettive, dal punto di vista delle tipologie dell’offesa. Si deve però

sottolineare che una fattispecie di danno può ben essere realizzata con dolo di pericolo, e viceversa. Es. : Tizio,

che intende danneggiare una chiusa (dolo di danno), risponde ai sensi dell’art. 427 c.p., del pericolo di

inondazione derivato dal fatto; se l’inondazione si verifica (reato di danno), ne risponde a titolo di dolo, anche se,

rispetto a tale disastro, ha inizialmente agito con mero dolo di pericolo. 9 Dolo soltanto iniziale si avrebbe, ad esempio, nel caso di Tizio che spiani un’arma contro Caio con l’intenzione

di uccidere, ma desista poi dallo sparargli: si chiede se a Tizio possa attribuirsi la morte di Caio conseguente

all’accidentale esplosione di un colpo dell’arma impugnata da Tizio. L’esempio usuale del dolo successivo è

quello del medico o dell’infermiere che, avendo somministrato accidentalmente ad un paziente una sostanza

letale in luogo del medicinale prescritto, avvedutosi di ciò, decida tuttavia di lasciar morire il paziente. 10

Sia il dolo alternativo che il dolo indeterminato sono forme particolari di dolo diretto di secondo grado. 11

È il caso di chi si configura come conseguenza alternativa della propria azione la morte, o il semplice

ferimento del soggetto passivo; si è fatto anche l’esempio di chi distribuisce a più persone, a scopo omicida, dei

confetti, dei quali uno solo è avvelenato.

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6.3.6. L’accertamento del dolo

L’esistenza del dolo trattandosi di un processo psicologico interiore, non può essere

direttamente provata; può solo essere ragionevolmente desunta da circostanze oggettive.

L’accertamento del dolo si fonda dunque interamente sulla utilizzazione di “r e g o l e d i

e s p e r i e n z a ” che tuttavia circostanze del singolo caso possono far disattendere .

In tutti i casi il dolo deve costituire oggetto di specifico e reale accertamento, dovendosi

considerare inammissibile il ricorso a qualsiasi presunzione dell’elemento psicologico.

Ovviamente la prova del dolo può risultare più o meno agevole, ma in nessun caso il dolo

può essere ritenuto implicitamente sussistente (d o l u s i n r e i p s a ). Tale idea deve essere

pertanto respinta in linea di principio, anche se può essere comprensibile che modalità di

azione del tutto univoche rendano superflua una specifica dimostrazione dell’esistenza del

dolo.

6.3.7. L’intensità del dolo.

Il dolo può presentare un’intensità diversa in relazione al grado di consistenza della

componente della rappresentazione e/o della volontà. L’intensità del dolo dipende da una serie

di fattori quali:

la durata del proposito criminoso: dunque il dolo di proposito sarà più intenso del

dolo d’impeto;

la consapevolezza maggiore o minore da parte del reo del carattere antisociale della

condotta;

il diverso atteggiarsi del momento volitivo (cosi il dolo diretto è più intenso del

dolo eventuale).

L ’ i n t e n s i t à d e l d o l o i n f l u i s c e s u l l a g r a v i t à d e l r e a t o e il

giudice deve tenerne conto nella determinazione e quantificazione della pena (art. 133 comma

1 n. 3).

6.4. La fattispecie dei reati colposi.

6.4.1. Nozione di delitto colposo.

L ’ a r t 4 3 , 1 c o m m a c . p . stabilisce che: “Il delitto è colposo o contro l’intenzione

quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa della

negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o

discipline”12.

6.4.2. Ratio.

Nell’incriminazione del reato colposo la legge punisce, i comportamenti che, per

definizione, sono indirizzati alla realizzazione di finalità penalmente indifferenti, quando da

essi scaturiscono eventi socialmente indesiderati (lesione di beni), rispetto ai quali

l’imprudenza, la negligenza, ecc., si presentano come antecedenti causali.

Si può dire, quindi, che dietro ogni norma incriminatrice che prevede una ipotesi di reato

colposo, si celi una norma generale che comanda di tenere costantemente sotto controllo i

12

In realtà la definizione codicistica è incompleta perché non tiene conto dei reati di pura condotta.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

decorsi causali connessi alla propria condotta, così da evitare che ne derivino eventi

socialmente indesiderati.

6.4.3. La struttura del tipo di fatto del reato colposo.

Dalla disposizione si evince che il t i p o d i f a t t o d e l r e a t o c o l p o s o (tipicità) si

compone di:

una f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a costituita dall’inosservanza di una regola

precauzionale (o regola di diligenza) e (nei reati colposi di evento) dalla

l’e s i s t e n z a d i u n n e s s o c a u s a l e f r a c o n d o t t a e d v i o l a z i o n e

d e l l a r e g o l a p r e c a u z i o n a l e , secondo le regole dell’imputazione

oggettiva.

e di una f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a costituita dalla mancata previsione del

danno o del pericolo per i beni protetti, come possibile conseguenza della propria

azione od omissione, e nei reati colposi di mera condotta, dalla mancata previsione

del rischio oggettivamente prevedibile.

La concreta esigibilità dell’osservanza delle regole di diligenza da parte del singolo autore

appartiene invece al piano della colpevolezza.

6.4.4. La fattispecie oggettiva.

Affinché si abbia l’esistenza della f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a del tipo di reato colposo,

non è necessario come avviene per i delitti dolosi accertare un nesso di causalità materiale tra

condotta ed evento, ma è necessario accertare che una r e g o l a d i d i l i g e n z a è stata

violata.

In altri termini la tipicità del fatto colposo si ricava, dal raffronto con un condotta

(ipotetica) caratterizzata dall’osservanza della diligenza oggettiva: qualsiasi condotta che resti

al di sotto della misura della diligenza richiesta integra la fattispecie oggettiva di un reato

colposo.

Ad esempio se due veicoli che precedono in opposte direzioni si scontrano in una curva,

provocando la morte di uno o più persone trasportate, si può ben dire che entrambi i

conducenti hanno cagionato tale evento, ma la fattispecie oggettiva dell’omicidio colposo sarà

stata realizzata solo da quello di essi che l’avrà cagionato in violazione di una regola di

condotta inerente alla circolazione stradale (per esempio, aver tagliato la curva).

6.4.4.1. Nei reati colposi di mera condotta.

Tuttavia va detto che l’accertamento di una condotta obiettivamente contraria alla regola

precauzionale, è sufficiente a definire la fattispecie oggettiva solo nei r e a t i c o l p o s i d i

m e r a c o n d o t t a , nei quali non è richiesta la verificazione di evento naturalistico13 come

effetto della condotta14.

13

Si tratta dunque, di fattispecie di pericolo astratto, in relazione alle quali la con stazione di un concerto

pericolo, eventualmente corso dai beni protetti, non è rilevante per la punibilità ma, al più per la determinazione

della gravità del fatto. 14

Le fattispecie colpose di mera condotta sono per lo più di carattere contravvenzionale (punibili perciò

alternativamente a titolo di dolo o colpa) e abbondano soprattutto nel diritto penale complementare, in specie

nella materia della prevenzione degli infortuni, della tutela dell’ambiente, della circolazione stradale, ecc.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.4.2. Nei reati colposi di evento.

Tanto è vero che nei r e a t i c o l p o s i d i e v e n t o 15 (per i quali è viceversa richiesta,

per la perfezione dell’illecito, il verificarsi di un accadimento naturalistico come conseguenza

della condotta vietata), è necessario che si accerti anche l’e s i s t e n z a d i u n n e s s o

c a u s a l e f r a c o n d o t t a e v i o l a z i o n e d e l l a r e g o l a p r e c a u z i o n a l e ,

come suo specifico (ed ineliminabile) antecedente; si deve cioè rappresentare la

concretizzazione del danno o del pericolo che la prescrizione della regola di diligenza violata

mirava appunto ad impedire.

Ad esempio chi procede a velocità eccessiva risponderà dei fatti connessi con la violazione

della specifica regola di diligenza che gli imponeva un’andatura più moderata (risponderà, da

esempio, dell’investimento di un pedone, reso inevitabile dalla necessità di un più ampio

spazio di frenatura richiesto dalla velocità); ma non certo per essersi trovato – avendo

marciato ad elevata velocità – esattamente nel luogo e nel momento in cui un incauto pedone

abbia intrapreso all’improvviso e senza alcuna cautela l’attraversamento della carreggiata!16.

6.4.4.2.1. In sintesi.

In sintesi, si può dire che la rilevanza del rapporto causale dipenda qui da una triplice

constatazione: 1) che l’evento si è prodotto in conseguenza di una condotta obiettivamente

contraria a una regola precauzionale; 2) che l’osservanza della regola avrebbe con ogni

probabilità evitato il prodursi dell’evento; 3) che la norma precauzionale trasgredita aveva

come scopo proprio quello di evitare la produzione dell’evento.

6.4.4.3. L’individuazione della regola diligenza (limiti).

Si è gia detto che la tipicità del fatto colposo si ricava, sempre dal raffronto con una

condotta (ipotetica), caratterizzata dall’osservanza della diligenza oggettiva; qualsiasi

condotta che resti al di sotto della misura di diligenza richiesta integra la fattispecie oggettiva

di un reato colposo (ovviamente di mera condotta).

In altri termini bisogna individuare quale era, la misura di diligenza oggettiva, che

l’ordinamento richiedeva, per la tutela dei beni tutelati

A tale scopo deve farsi riferimento al tipo di danno o pericolo che si mirava ad evitare

rispetto a dati beni–interessi; tuttavia, la misura di diligenza non può essere talmente elevata

da impedire la realizzazione di qualsiasi attività che si presenti anche minimamente

rischiosa. Vanno allora tenuti presenti due ordini di limiti:

15

Quanto ai reati colposi di evento, va detto innanzi tutto che in essi l’evento, al pari che nei reati dolosi, può

configurarsi si come evento di danno, sia come evento di pericolo (concreto). 16

La rilevanza del rapporto causale deve essere parimenti esclusa quando si stabilisca, con elevato grado di

certezza, che una condotta conforme alla regola precauzionale non sarebbe valsa ad evitare l’evento. Così, ad

esempio, l’oltrepassamento di una linea spartitraffico continua, in occasione di un sorpasso, non può giocare

alcun ruolo per un’ipotesi di colpa penalmente rilevante, in rapporto alla collisione che eventualmente si

verifichi a seguito di sbandamento verso sinistra del veicolo di cui si effettuava il sorpasso. E, invero, la

violazione della norma di comportamento che impone di non invadere la opposta corsia di marcia, non solo non

ha creato il rischio di una collisione con l’altro veicolo, ma – nello specifico esempio – l’ha addirittura

diminuito, poiché ha accresciuto la possibilità di evitare la collisione. Determinante è comunque la presa d’atto

che una condotta conforme alla diligenza obiettiva (sorpasso effettuato mantenendo il veicolo all’interno della

propria carreggiata di marcia) non sarebbe valso ad evitarne l’evento.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.4.3.1. Agente modello.

Innanzitutto l’agente sarà responsabile delle sole conseguenze oggettivamente

prevedibili, cioè tali per un uomo di media diligenza che ipoteticamente si trovi nella stessa

situazione incriminata (c . d . a g e n t e m o d e l l o ); nonché di quelle conseguenze che,

sebbene imprevedibili per l’agente modello, tali non siano per l’agente concreto dotato di

particolari conoscenze.

6.4.4.3.2. Rischio consentito.

Un secondo limite si ricava dal concetto del c . d . “ r i s c h i o c o n s e n t i t o ” (o

rischio socialmente adeguato), espressione con cui ci si riferisce a quella misura di rischio,

praticamente ineliminabile in molte attività (voli spaziali, traffico aereo, o anche

circolazione stradale), nel cui ambito una certa misura di rischio per i beni protetti è

irriducibile e intrinsecamente connessa allo svolgimento di questa attività.

Solo i comportamenti pericolosi che presentino un rischio ulteriore rispetto a quello

consentito rilevano ai fini del reato colposo, posto che il confine tra rischio tollerato e non,

va individuato caso per caso.

6.4.5. Fonti dell’obbligo di diligenza.

Va osservato che le norme incriminatici di reati colposi non presentano un aspetto

meramente descrittivo bensì normativo, esse dunque esigono ai fini della propria

specificazione, l’i n d i v i d u a z i o n e d e l l a r e g o l a d i d i l i g e n z a i n c o n c r e t o

v i o l a t a .

La norma incriminatrice fornisce, in altre parole, solo una sorta di “cornice”, che deve esse

di volta in volta riempita, mediante il riferimento ad altre norme, in cui l’obbligo di diligenza

si concretizza in modo più o meno accentuato.

In particolare l’ a r t . 4 3 c . p . oltre alla negligenza, imprudenza e imperizia, fa

riferimento alla “inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”; si tratta dei casi in

cui la condotta si presenta violativi di specifiche regole a carattere precauzionale contenute in

norme giuridiche, tecniche o di provenienza privata.

6.4.5.1. Negligenza, imprudenza e imperizia.

Perché sussista la colpa è necessario che l’evento sia prodotto da una particolare forma di

manifestazione della condotta, rientrante fra quelle tassativamente stabiliti dall’art. 43, cioè:

la n e g l i g e n z a è la mancanza di attenzione nel compimento di un attività.

l’i m p r u d e n z a è l’operare senza le dovute cautele (o nel mancato uso dei freni

inibitori), generando ovvero aumentando il rischio di un danno o pericolo;

l’i m p e r i z i a è un ipotesi di imprudenza qualificata, consistente nell’inettitudine

o incapacità professionale, generica o specifica, nota all’agente e di cui egli non

vuole tener conto.

6.4.5.2. La distinzione fra colpa generica e colpa specifica

Sulla distinzione operata dalla norma si basa la bipartizione della colpa in “g e n e r i c a ” e

“s p e c i f i c a ” : la prima consiste nella violazione di norme cautelari dettate dal comune

senso di esperienza (negligenza, imprudenza, imperizia); la seconda invece, discende dalla

trasgressione di specifiche regole di comportamento (regolamenti, leggi, ordini o discipline).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

La colpa specifica presenta rispetto a quella generica, il vantaggio di una più agevole

individuazione della regola di diligenza violata, difatti come dice l’art. 43 può trattarsi di una

norma di legge, anche penale, norma regolamentare, cioè contenuta in un atto normativo

promanato dall’autorità amministrativa e contenente regole generali per disciplinare lo

svolgimento di determinate attività.

6.4.6. La struttura psicologica della condotta colposa.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, due sono, le ipotesi di colpa penalmente

rilevante, riflesse nella definizione dell’art. 43 c.p.. Ad esse corrisponde la tradizionale

distinzione tra colpa cosciente e colpa incosciente.

6.4.6.1. Colpa cosciente.

Si ha c o l p a c o s c i e n t e quando l’autore, nell’atto in cui realizza una condotta

obiettivamente contraria ad un obbligo di diligenza, si rappresenta bensì come possibile

conseguenza della sua azione od omissione il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso

per il bene protetto, ma ritiene che l’evento stesso non si verificherà.

Esempio: A, mentre percorre in auto un luogo abitato a velocità sostenuta, si avvede che, a

breve distanza, un gruppo di ragazzi gioca a rincorrersi sul margine della strada, ma,

ciononostante, non diminuisce la velocità della vettura, ritenendo che potrà egualmente

evitare di investirli.

La struttura psicologica della colpa cosciente è, dunque, contrassegnata da un elemento

negativo, costituito dalla non-volizione dell’evento, e da un elemento positivo, costituito dalla

rappresentazione (previsione) dell’evento stesso, come possibile conseguenza dell’azione od

omissione, accoppiata alla convinzione (evidentemente fondata su una valutazione erronea)

che esso non si verificherà.

Sarà il caso di sottolineare che l’addebito di colpa cosciente non può che riguardare i soli

reati di evento, poiché, nei reati cd. di mera condotta, la consapevole violazione della regola

precauzionale presidiata dalla norma incriminatrice realizza senz’altro una ipotesi di

comportamento doloso.

Nell’ambito dei reati di evento, i casi di colpa cosciente pongono, d’altro canto, il

problema di una puntuale distinzione dalle ipotesi di dolo eventuale.

6.4.6.1.1. Il criterio discretivo tra colpa cosciente e dolo eventuale

Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente rimane tracciato - almeno a livello teorico -

in base a un criterio che assegna all’ambito dell’uno i casi in cui l’autore agisce sulla base di

una ragionevole previsione che l’evento oltre ad essere possibile sia anche probabile (cioè

possa effettivamente verificarsi) accettandone consapevolmente il rischio; e assegna, invece,

all’ambito della colpa cosciente i casi in cui l’autore ritiene possibile ma non probabile il

verificarsi dell’evento.

Nell’applicazione pratica, naturalmente, queste formule costituiscono solo un punto di

orientamento per la soluzione dei casi controversi; ma in nessun modo possono riflettere le

infinite sfumature con cui l’elemento psicologico del fatto si presenta nella realtà.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.6.2. Colpa incosciente.

Si ha, invece, c o l p a i n c o s c i e n t e quando l’agente, non solo non si rappresenta la

possibile verificazione dell’evento, ma trasgredisce la regola di diligenza in via del tutto

inconsapevole. (es. l’automobilista che imbocca una strada in contro senso, senza essersi

avveduto del segnale).

6.4.6.2.1. In sintesi il concetto di fattispecie soggettiva.

In sintesi alla f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a del reato colposo, appartiene, in primo

luogo, la non–volizione dell’evento, che nella colpa cosciente si organizza nella sua

previsione (accoppiata all’erronea convinzione che l’evento, in concreto non si verificherà); e,

nella colpa incosciente, si radica sulla mancata erronea rappresentazione delle circostanze –

oggettivamente conoscibili – da cui scaturisce l’obbligo di osservare una particolare regola di

diligenza.

In altri termini sussiste responsabilità colposa, non solo quando il soggetto abbia previsto

come possibile (e poco probabile) l’evento dannoso o pericoloso e ciò nonostante abbia agito

(colpa cosciente), ma anche quando tale previsione non si sia avuta per non avere l’agente

azionato i propri poteri di controllo, che gli avrebbero consentito di prevederlo e

conseguentemente evitarlo (colpa incosciente).

6.4.6.2.2. La misura soggettiva della colpa.

Una volta registrata l’esistenza di una condotta, cosciente e volontaria, che contrasti con

una regola oggettiva di diligenza (m i s u r a o g g e t t i v a d e l l a c o l p a ) e si presenti

con la caratteristica struttura psicologica della colpa (cosciente o incosciente), è però ancora

necessario – perché si possa muovere al soggetto un addebito di colpa—stabilire la concreta

e s i g i b i l i t à della regola di condotta violata, da parte del singolo e specifico autore

(m i s u r a s o g g e t t i v a d e l l a c o l p a ).

In realtà, la tematica della misura soggettiva della colpa, a stretto rigore, non appartiene al

piano del fatto tipico, ma concerne piuttosto il giudizio sulla colpevolezza dell’autore; e ciò

soprattutto quando alla categoria della colpevolezza ci si riferisca nell’accezione normativa di

essa.

È tuttavia opportuno anticipare qui la trattazione dell’argomento, su cui torneremo anche in

seguito, per la sua rilevanza ai fini di una compiuta intelligenza dei limiti della responsabilità

a titolo colposo.

L’accertamento della concreta esigibilità da parte del singolo autore costituisce, infatti, un

ulteriore presupposto dell’imputazione soggettiva a titolo di colpa, in quanto introduce

l’eventualità di uno scarto fra i limiti oggettivi della diligenza richiesta – riferibile al cd.

agente modello – e i limiti entro i quali l’osservanza della regola poteva essere pretesa da un

determinato autore.

In pratica, ciò significa che, una volta stabilito quale condotta era oggettivamente dovuta,

(in quanto idonea a scongiurare, in una determinata situazione, il rischio di una lesione di

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Ver.12-10-2016 57

Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

beni), si deve stabilire anche se quel determinato autore, alla stregua delle sue personali

capacità ed attitudini, era in grado di tenere la condotta richiesta17.

D a c i a s c u n a u t o r e p u ò e s s e r e p r e t e s o , i n f a t t i d i e s p r i m e r e , i n

u n a s i t u a z i o n e d a t a , i l m a s s i m o d e l l e s u e c a p a c i t à , e n o n o l t r e .

Al medico condotto che si trovi ad operare d’urgenza, con attrezzature di fortuna, non

potrà certo richiedersi lo stesso grado di perfezione tecnica che si pretende da un chirurgo

altamente qualificato, che agisca in condizioni ottimali dal punto di vista dell’igiene,

dell’assistenza e della strumentazione.

Da questi esempi, come si vede, emerge un importante criterio di valutazione della c.d.

m i s u r a s o g g e t t i v a d e l l a c o l p a , che si connette all’anormalità delle circostanze in

cui si agisce, quando esse determinano la non esigibilità dell’osservanza dei doveri di

diligenza, che può essere pretesa in condizioni normali.

6.4.6.2.3. Il grado della colpa

Anche la colpa è graduabile al pari del dolo; al variare del grado della colpa varia la gravità

del reato e di conseguenza la commisurazione della pena.

La dottrina ha proposto vari criteri per determinare il grado della colpa, in particolare può

essere utile valutare: I) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e la

condotta dovuta; la maggiore o minore prevedibilità dell’evento nella colpa incosciente; II) il

quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari; la colpa sarà tanto più grave

quanto più si poteva pretendere dall’agente l’osservanza della norma; III) i motivi che hanno

spinto l’agente ad agire in modo diverso da quello previsto dalla norma.

6.4.6.2.4. Colpa impropria.

Un particolare tipo di colpa è quella i m p r o p r i a che ricorre in casi eccezionali in cui

l’evento è voluto ma l’agente risponde di reato colposo e in particolare: I) eccesso colposo

nelle cause di giustificazione; II) errata supposizione di un causa di giustificazione; III) errore

determinato da colpa.

6.5. La fattispecie dei reati preterintenzionali.

L’art. 43 c.p. stabilisce che “i l d e l i t t o è p r e t e r i n t e n z i o n a l e , o o l t r e

l ’ i n t e n z i o n e , q u a n d o d a l l ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e d e r i v a u n e v e n t o

d a n n o s o o p e r i c o l o s o p i ù g r a v e d i q u e l l o v o l u t o d a l l ’ a g e n t e ” .

La “p r e t e r i n t e n z i o n e ” è, dunque, un c r i t e r i o n o r m a t i v o p e r

l ’ i m p u t a z i o n e s o g g e t t i v a d i u n e v e n t o n o n v o l u t o

d a l l ’ a u t o r e 18.

17

È evidente, ad esempio, che all’allievo conducente che stia esercitandosi alla guida, nel rispetto di tutte le

regole precauzionali del caso, difficilmente potrà essere mosso un addebito di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia

compiuto, di fronte aduna situazione di emergenza, una manovre, oggettivamente possibile, e idonea a

scongiurare un sinistro, qualora la manovre richiesta fosse, però, così spericolata, da richiedere una esperienza

nella guida, estranea per definizione all’allievo conducente. 18

Casi di delitto preterintenzionale sono l’omicidio preterintenzionale (art. 584) e l’aborto preterintenzionale

(art. 18, comma 2 L. 22-5-1978, n. 194).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

Nel delitto preterintenzionale si individua la volontà di un evento minore (percosse o

lesioni), che ne rappresenta la base dolosa, e la «non volontà» di un evento più grave (morte o

aborto), che è pur sempre conseguenza della condotta dell’agente.

Secondo un autorevole orientamento il delitto preterintenzionale è caratterizzato dalla

c o m b i n a z i o n e d i d o l o e c o l p a . Infatti ai fini della attribuibilità del fatto al

soggetto agente, è necessario che l’evento più grave, benché non voluto, sia frutto della

violazione di una regola cautelare.

6.6. La fattispecie dei reati contravvenzionali.

6.6.1. Forme dell’elemento psicologico delle contravvenzioni..

Il 4° co. dell’articolo 42, stabilisce che, nelle c o n t r a v v e n z i o n i , “c i a s c u n o

r i s p o n d e d e l l a p r o p r i a a z i o n e o d o m i s s i o n e c o s c i e n t e e

v o l o n t a r i a , s i a e s s a d o l o s a o c o l p o s a ”.

Per le contravvenzioni, pertanto, vale la regola dell’indifferenza dell’atteggiamento

psicologico, con cui il fatto viene commesso: dolo e colpa, cioè, sono ad egual titolo, e senza

bisogno di espressa previsione, validi criteri di imputazione soggettiva per questa specie di

illecito.

Se per la punibilità delle contravvenzioni è indifferente che vi sia dolo o colpa, occorrendo

almeno la colpa, tuttavia l’a r t . 4 3 c o m m a 4 precisa che «l a d i s t i n z i o n e t r a

r e a t o d o l o s o e r e a t o c o l p o s o s t a b i l i t a .... p e r i d e l i t t i , s i a p p l i c a

a l t r e s ì a l l e c o n t r a v v e n z i o n i , o g n i q u a l v o l t a p e r q u e s t e l a l e g g e

f a c c i a d i p e n d e r e d a t a l e d i s t i n z i o n e u n q u a l s i a s i e f f e t t o

g i u r i d i c o ».

La dottrina ne ha dedotto che il giudice dovrà accertare, comunque, la natura dolosa o

colposa delle contravvenzioni ai fini della: I) commisurazione della pena, che ai sensi dell’art.

133 presuppone l’accertamento dell’intensità del dolo e del grado della colpa; II)

continuazione, ammessa solo fra i reati dolosi; - dichiarazione di abitualità nel reato; III)

applicazione dell’amnistia, se questa è prevista solo per i reati colposi.

6.7. La responsabilità oggettiva.

L’art. 42, co. 3°, afferma che “L a l e g g e d e t e r m i n a i c a s i n e i q u a l i

l ’ e v e n t o è p o s t o a l t r i m e n t i a c a r i c o d e l l ’ a g e n t e , c o m e

c o n s e g u e n z a d e l l a s u a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.

Tale comma disciplina la c.d. r e s p o n s a b i l i t à o g g e t t i v a , che si realizza

allorché un soggetto è chiamato a rispondere dei risultati prodotti dalla propria condotta, in

base al mero rapporto di causalità, materiale, senza necessità che sia provata la sussistenza

della colpevolezza (dolo o colpa).

In sintesi, per i f a t t i a t t r i b u i t i a t i t o l o d i r e s p o n s a b i l i t à

o g g e t t i v a , o c c o r r e c h e s u s s i s t a i l f a t t o , l ’ e v e n t o , i l n e s s o

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

d i c a u s a l i t à , n o n n e c e s s i t a , i n v e c e , l ’ a c c e r t a m e n t o d e l

d o l o o d e l l a c o l p a 19.

A riguardo la d o t t r i n a rileva l’evidente contrasto tra le ipotesi di responsabilità

oggettiva con il principio di personalità della responsabilità penale dell’art. 27 Cost., che non

si limita solo ad imporre che nessuno venga punito per un fatto commesso da altri, ma

prevede anche che nessuno venga punito per un fatto non colpevole, cioè a lui non attribuibile

almeno a titolo di colpa.

La Corte Costituzionale in una celebra sentenza (n. 368/88) ha accolto le considerazione

della dottrina stabilendo “che il fatto imputato purché sia legittimamente punibile, deve

necessariamente includere almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più

significativi”.

Conseguenza di tale affermazione è un tendenziale ripudio delle ipotesi di responsabilità

oggettiva (per le quali vi è punibilità anche senza dolo o colpa). Benché alcune ipotesi, come

visto, permangano nel nostro codice, il legislatore si è attivato per limitarne i casi, come

recentemente ha fatto a proposito della riforma delle «circostanze» del reato

19

Per l’orientamento giurisprudenziale prevalente, la responsabilità oggettiva è prevista solo eccezionalmente

dal comma 3 dell’art. 42, il quale, inoltre, sembra riferirsi soltanto alle ipotesi delittuose. Concrete ipotesi di

responsabilità oggettiva, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, si configurano nell’ipotesi di

preterintenzione, reati commessi a mezzo della stampa, condizioni obiettive di punibilità (art. 44), aberratio

delicti, aberratio ictus bioffensiva, reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, concorso nel reato

proprio, delitti aggravati dall’evento.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

CC aa pp ii tt oo ll oo 77 °° L e c a u s e g e n e r a l i d i e s c l u s i o n e d e l f a t t o t i p i c o

7.1. Le ipotesi normative di esclusione del fatto penalmente rilevante.

Fatto tipico penalmente rilevante è solo quello che presenta tutti gli elementi oggettivi e

psicologici descritti dalla norma incriminatrice.

Si configurano, pertanto, c a u s e g e n e r a l i d i e s c l u s i o n e d e l l a

t i p i c i t à (o cause soggettive di esclusione del reato) in tutte quelle ipotesi in cui si deve

escludere la sussistenza di un requisito essenziale del fatto tipico. In particolare sono cause

soggettive di esclusione del reato quelle che eliminano il reato:

escludendo il nesso psichico richiesto dal comma 1 dell’art. 42 (“suitas”); in cui

rientrano i casi di forza maggiore e costringimento fisico;

escludendo l’elemento soggettivo del reato, cioè il dolo o la colpa: in cui rientrano

le ipotesi di caso fortuito ed errore.

7.2. Ipotesi normative di esclusione della suitas.

7.2.1. Forza maggiore

L ’ a r t . 4 5 c . p . stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per f o r z a

m a g g i o r e . Per forza maggiore si intende un’energia fisica proveniente dall’esterno, e non

riconducibile alla condotta di un terzo, che determina il movimento corporeo di un soggetto

escludendo da parte sua qualsiasi possibilità di padroneggiarne le conseguenze.

Es. colpo di vento che sospinga la persona investita, così da farla rovinare addosso ad altri

che conseguentemente riportano lesioni. Tale evento per il diritto penale viene espresso col

dire che il soggetto, non agisce ma viene agito dalla forza naturale che lo travolge (non agit,

sed agitur).

In tali casi il processo causativo dell’evento non appartiene al soggetto, e

conseguentemente la sua non è un’azione nel senso normativo descritto dall’art. 42 in quanto

priva della coscienza e volontà che costituiscono i presupposti minimi del comportamento

penalmente rilevante.

7.2.2. Costringimento fisico (art. 46 c.p.)

L’art. 46 c.p. stabilisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da

altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.

In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza.”

È il caso della sentinella che non potuto dare l’allarme in quanto legata ed imbavagliata da

un gruppo di sediziosi, o chi abbai ucciso perché un altro soggetto ha guidato la sua ano a

vibrare i colpo.

In queste ipotesi l’autore materiale del reato rappresenta solo un mezzo, una longa manus,

di un altro soggetto che la legge considera responsabile del reato (c.d. a u t o r e m d i a t o ) :

il c o s t r i n g i m e n t o f i s i c o costituisce in fondo, una figura specifica di forza

maggiore ed esclude quindi, anch’esso la coscienza e la volontà del soggetto costretto.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.3. Le ipotesi normative di esclusione dell’elemento psicologico del reato (dolo o colpa):

7.3.1. Caso fortuito.

L’art. 45 prevede che non è punibile chi ha commesso il fatto per c a s o f o r t u i t o . Per

caso fortuito si intende un avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce

d’improvviso nell’azione del soggetto indirizzandola verso esiti anormali. Es. il disco lanciato

da un discobolo, per effetto di un improvviso colpo di vento, devia il suo percorso e colpisce

una persona.

È chiaro che l’evento che si produce a causa del causo fortuito, non può in alcun modo,

nemmeno a titolo di colpa, essere ricondotto all’attività psichica dell’agente. In altri termini il

caso fortuito esclude l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa), sicché il fatto commesso

non costituisce illecito penale.

7.3.2. L’errore in generale.

7.3.2.1. Nozione.

Per la teoria generale del diritto, l’e r r o r e può essere definito come “una falsa

rappresentazione della realtà” (fenomenica o giuridica).

7.3.2.2. Classificazioni.

In relazione alle c o n s e g u e n z e che l’errore produce, si distingue tra:

e r r o r e p r o p r i o : è quello che fa ritenere il soggetto di agire, nel rispetto

della legge, mentre in realtà la viola;

e r r o r e i m p r o p r i o : viceversa, fa ritenere al soggetto di commettere un

illecito, mentre, in realtà il suo comportamento non viola nessuna norma penale

(esso da luogo al reato putativo, vedi in seguito).

A secondo del m o m e n t o in cui l’errore interviene, si distingue tra:

e r r o r e m o t i v o : è quello che interviene nella fase ideativa del reato,

incidendo in tal modo nel processo formativo della volontà;

e r r o r e i n a b i l i t à ; invece, è quello che interviene nella fase di esecuzione

del reato (dando luogo all’ipotesi di reato aberrate, vedi in seguito).

L’errore motivo, a sua volta si distingue in relazione all’aspetto sui cui cade in:

e r r o r e s u l f a t t o : che ha ad oggetto una situazione di fatto, una realtà

fenomenica. In altri termini il soggetto che cade in errore sul fatto crede di

realizzare un fatto diverso da quello vietato;

e r r o r e d i d i r i t t o (o errore sull’antigiuridicità) ha invece ad oggetto il

valore antigiuridico del fatto. In altri termini il soggetto che cade in errore di diritto

realizza un fatto identico a quello vietato dalla norma penale, credendo per errore

che non costituisca reato.

In questa sede tratteremo per ragioni sistematiche entrambi i tipi di errore, anche se l’errore

sull’antigiuridicità, non è affatto una causa di esclusione de fatto tipico, in quanto esclude,

solo il giudizio di riprovevolezza, e non anche la conformità del fatto concreto all’ipotesi

contemplata dalla norma incriminatrice (tipicità).

Quanto, infine, alla causa che lo ha determinato, si distingue in:

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

e r r o r e d i f a t t o : è quello in cui la rappresentazione della realtà, fenomenica

o giuridica, trova la sua causa in una falsa rappresentazione (o ignoranza) di una

situazione di fatto;

e r r o r e d i d i r i t t o : invece, è quello in cui la falsa rappresentazione della

realtà, fenomenica o giuridica, trova la sua causa in una falsa rappresentazione (o

ignoranza) di una norma giuridica.

7.3.3. L’errore sul fatto.

Si ha e r r o r e s u l f a t t o quando l’agente crede di realizzare un fatto diverso da quello

vietato.

L’errore sul fatto può essere sia di diritto che di fatto; avremo dunque:

e r r o r e d i f a t t o s u l f a t t o , quando la falsa rappresentazione della realtà

fenomenica dipende da falsa rappresentazione di una situazione di fatto;

e r r o r e d i d i r i t t o s u l f a t t o , quando la falsa rappresentazione della

realtà fenomenica dipende da falsa rappresentazione (o ignoranza) di una norma

giuridica.

7.3.3.1. L’errore di fatto sul fatto.

I l p r i m o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 7 c . p . stabilisce che: “L ’ e r r o r e s u l f a t t o

c h e c o s t i t u i s c e i l r e a t o e s c l u d e l a p u n i b i l i t à d e l l ’ a g e n t e ” .

L’errore di fatto che esclude la punibilità è quello cd. e s s e n z i a l e , quello cioè che cade

su uno degli elementi essenziali per la sussistenza del reato; così, chi per errore asporta una

cosa altrui credendola propria, non sarà punibile, in quanto per la sussistenza del furto occorre

al conoscenza dell’altruità della cosa.

Tuttavia va specificato che l’esecutore materiale del fatto non sfuggirà alla responsabilità

per delitto colposo qualora nell’indursi ad agire abbia violato elementari misure di cautela.

Tanto è vero che, l’art. 47 1° co. secondo capoverso afferma che “Nondimeno, se si tratta di

errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge

come delitto colposo”.

Ricapitolando la disciplina di tale tipo di e r r o r e è la seguente:

esso esclude sempre il dolo1 e, se s c u s a b i l e (cioè non dovuto a negligenza,

imprudenza e imperizia), esclude anche la colpa;

• viceversa, se i n e s c u s a b i l e , e cioè frutto di negligenza imprudenza e

imperizia, ossia di colpa, lascia sussistere la responsabilità a titolo di colpa

(ovviamente a condizione che il fatto sia punito come reato colposo).

Chiariamo con qualche esempio:

1 Dolo ed errore sul fatto si condiziono a vicenda, in un logica di r e c i p r o c a e s c l u s i o n e , dove c’errore

sul fatto non può esservi dolo, perché l’erronea rappresentazione della realtà inibisce anche una volizione

rilevante per l’elemento psicologico del reato. Se Caio, a cagione dell’erronea rappresentazione in base a cui

agisce, non era in condizioni di “prevedere” la morte di un uomo come conseguenza della propria azione, non

può neppure averla “voluta”, nel senso rilevante per l’art. 43 c.p.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

Tizio apre una lettere che gli è stata consegnata per errore, in quando diretta ad un

suo omonimo: in tal caso è innegabile che ci troviamo di errore scusabile e, quindi,

Tizio non dovrà rispondere dei reati di cui agli artt. 616-620;

Caio spara contro un ombra ed ammazza un uomo: è innegabile che in tal caso

l’errore è inescusabile in quanto dovuto a negligenza di Caio, che pertanto

risponderà di omicidio colposo;

7.3.3.1.1. L’errore sugli elementi specializzanti della fattispecie.

Il 2 ° c o m m a d e l l ’ a r t . 4 7 dispone che “l ’ e r r o r e s u l f a t t o c h e

c o s t i t u i s c e u n d e t e r m i n a t o r e a t o n o n e s c l u d e l a p u n i b i l i t à p e r

u n r e a t o d i v e r s o ”.

Ciò vuol dire che quando l’agente realizza la fattispecie oggettiva di un determinato reato,

rispetto al quale però per effetto dell’errore, manca il dolo, egli non cesserà per questo di

essere punibile per quel reato diverso, rispetto al quale egli era in dolo.

Chi ad esempio trattiene presso di se un minore contro la sua volontà, ma ritenendo per

errore che egli sia consenziente, non dovrà rispondere dei reati di sequestro di persona o di

violenza privata - di cui eventualmente ricorra la fattispecie oggettiva - ma dovrà, tuttavia

rispondere del delitto di “sottrazione consensuale di minorenni”, i cui estremi egli si

rappresentava compitamente e che, in realtà voleva commettere.

Tale disposizione trova applicazione in tutti i casi in cui l’errore dell’agente cada su un

requisito del fatto che abbia il ruolo di e l e m e n t o s p e c i a l i z z a n t e rispetto ad una

figura più generale (così ad es. risponderà di ingiuria, e non di oltraggio, il soggetto che

offende l’onore di un pubblico ufficiale ignorando tale qualità).

7.3.3.2. Errore di diritto sul fatto: l’errore sulla legge extrapenale.

L’art. 47 3° co. afferma che: “L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la

punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”.

La dottrina dominante, escludendo la rilevanza dell’errore su norma penale e quindi sul

precetto, salvo le ipotesi di errore inescusabile, con riguardo all’errore su norme extrapenali,

distingue tra n o r m e i n t e g r a t r i c i del precetto penale (per cui non vi sarebbe

l’efficacia scusante dell’errore) e n o r m e n o n i n t e g r a t r i c i (per le quali l’errore su

di esse avrebbe effetto di esclusione della colpevolezza: art. 47, c. 3).

Premesso che non ogni norma che si trovi al di fuori del codice penale è extrapenale, ben

potendo individuarsi norme penali in altri rami del diritto, si ritiene che siano integratrici

quelle che danno maggiore concretezza al precetto penale precisandolo (es.: il presupposto di

pubblico ufficiale nel reato di peculato), ovvero quelle integranti le norme penali in bianco

(es.: l’elenco delle sostanze stupefacenti, contenute in un decreto ministeriale, il cui traffico

costituisce reato).

Sono norme non integratrici tutte le altre norme extrapenali (es.: le norme sulla proprietà

che consentono di identificare il concetto di «altruità» della cosa nel reato di furto).

Sicché l’errore che verta sulle norme integratrici sarebbe irrilevante ai sensi dell’art. 5, in

quanto errore su legge penale, come tale inescusabile salve le ipotesi di scusabilità; l’errore su

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

norma non integratrice sarebbe invece rilevante per escludere la colpevolezza ai sensi del

presente comma dell’art. 47.

Per fare un esempio, se Tizio si impossessa di una cosa altrui scambiandola per propria a

seguito di erronea interpretazione del contenuto di una sentenza civile intervenuta

sull’argomento, cade in un errore di diritto che gli impedisce di riconoscere la «qualità»

dell’altruità della cosa, percezione necessaria per configurare il dolo del reato di furto.

7.3.3.3. L’errore sul fatto determinato dall’altrui inganno.

L ’ a r t . 4 8 c . p . stabilisce: “L e d i s p o s i z i o n i d e l l ’ a r t i c o l o p r e c e d e n t e

s i a p p l i c a n o a n c h e s e l ’ e r r o r e s u l f a t t o c h e c o s t i t u i s c e i l r e a t o

è d e t e r m i n a t o d a l l ’ a l t r u i i n g a n n o , m a i n t a l c a s o , d e l f a t t o

c o m m e s s o d a l l a p e r s o n e i n g a n n a t a r i s p o n d e c h i l ’ h a d e t e r m i n a t o

a c o m m e t t e r l o ”.

Anche qui, come nell’ipotesi di costringimento fisico, la legge prevede il

t r a s f e r i m e n t o d e l l a r e s p o n s a b i l i t à p e n a l e d a l l ’ a u t o r e m a t e r i a l e

d e l f a t t o , a l l ’ a u t o r e m e d i a t o d i e s s o .

Es. il caso in cui un cacciatore indica un compagno di battuta a sparare in direzione di un

cespuglio, dietro cui si intraveda una sagoma in movimento, assicurandogli che si tratti di un

cinghiale mentre sa benissimo che è un suo nemico.

Beninteso, l’esecutore materiale del fatto non sfuggirà alla responsabilità per delitto

colposo qualora nell’indursi ad agire sia pure per effetto dell’inganno perpetrato ai suoi danni,

abbia tuttavia violato elementari misure di cautela (come chiarito in precedenza).

7.3.4. L’errore sul diritto.

Si ha e r r o r e s u l d i r i t t o ( o sull’antigiuridicità) quando il soggetto vuole e realizza

un fatto identico a quello vietato dalla norma penale, credendo per errore che non costituisca

reato.

L’errore sul diritto può essere sia di diritto che di fatto; avremo dunque:

e r r o r e d i f a t t o s u l d i r i t t o , quando la falsa rappresentazione della

realtà giuridica dipende da falsa rappresentazione di una situazione di fatto;

e r r o r e d i d i r i t t o s u l d i r i t t o , quando la falsa rappresentazione della

realtà giuridica dipende da falsa rappresentazione (o ignoranza) di una norma

giuridica.

7.3.4.1. L’errore di diritto sul diritto: l’errore sulla legge penale o errore sul divieto.

L ’ e r r o r e s u l l a l e g g e p e n a l e o e r r o r e s u l d i v i e t o è disciplinato

dell’a r t i c o l o 5 che, con la regola per cui «n e s s u n o p u ò i n v o c a r e a p r o p r i a

s c u s a l ’ i g n o r a n z a d e l l a l e g g e p e n a l e » traspone, nel nostro ordinamento,

l’antico principio che si esprime col noto brocardo: «errorvel ignorantia iuris non excusat».

L’errore sulla legge penale, sia che si tratti di ignoranza della legge, sia di inesatta

interpretazione di essa, non esclude la responsabilità.

L’inflessibile disciplina di cui all’art. 5 è stata mitigata dalla s e n t e n z a 2 4 m a r z o

1 9 8 8 n . 3 6 4 d e l l a C o r t e C o s t i t u z i o n a l e c h e h a d i c h i a r a t o

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

l ’ i l l e g i t t i m i t à c o s t i t u z i o n a l e d e l l ’ a r t . 5 c . p . n e l l a p a r t e i n c u i

« n o n s i e s c l u d e d a l l a i n e s c u s a b i l i t à d e l l a i g n o r a n z a d e l l a l e g g e

f o r m a l e l ’ i g n o r a n z a i n e v i t a b i l e »: la Corte Costituzionale, quindi, ha dichiarato

scusabile, cioè penalmente rilevante e scriminante, l’e r r o r e i n e v i t a b i l e .

A tali conclusioni la Corte è giunta attraverso un’interpretazione combinata dei commi 1 e

3 dell’art. 27 Cost. Dal principio di «personalità» della responsabilità penale, nonché dalla

funzione rieducativa della pena, infatti, deve desumersi che l’ordinamento non ha ragione di

punire un soggetto il quale, pur avendo posto in essere un fatto di per sé rispondente ad una

fattispecie tipica di reato, non possa però essere rimproverato, neppure di leggerezza.

7.3.4.2. L’errore di fatto sul diritto.

7.3.4.2.1. L’erronea supposizione di un esimente..

L’art. 59 4° co. prevede che “Se l ’ a g e n t e r i t i e n e p e r e r r o r e c h e e s i s t a n o

c i r c o s t a n z e (qui “circostanze, si noti è utilizzato in senso atecnico) d i e s c l u s i o n e

d e l l a p e n a , q u e s t e s o n o s e m p r e v a l u t a t e a f a v o r e d i l u i ” .

7.3.4.2.1.1. Il significato dell’espressione “circostanze di esclusione della pena”

Con le espressione “c i r c o s t a n z e d i e s c l u s i o n e d e l l a p e n a ”, il codice ha

inteso designare tutte quelle i p o t e s i d i n o n p u n i b i l i t à che, da un lato,

presuppongono, la realizzazione di un fatto tipico e, dall’altro, non si riferiscono

all’imputabilità o ad altre condizione o qualità personali del soggetto, rilevanti per il giudizio

di colpevolezza, che non possono essere confuse per definizione, con quelle che appartengono

al piano dell’antigiuridicità.

Su piano terminologico, per questa categoria normativa è stata proposta - come equivalente

della locuzione “circostanze di esclusione della pena” - la denominazione di e s i m e n t i . Più

precisamente, le esimenti possono essere distinte in 3 sottogruppi: I) cause di giustificazione2

(vedi in seguito); II) scusanti3; III) limiti istituzionali di punibilità4.

2 Le c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e sono circostanze particolari in presenza delle quali un fatto - che di

regola costituisce reato - non è considerato tale, in quanto è la legge stesso che lo autorizza. 3 Mentre, alla categoria delle s c u s a n t i , appartengono quelle ipotesi di non punibilità, contenute nella parte

speciale del codice che appaiono informate al p r i n c i p i o d i n o n e s i g i b i l i t à della pretesa

normativa. L’idea della inesigibilità del comando, è alla base della punibilità delle azioni, commesse in una

situazione di necessità, rispetto alle quali non appaia però praticabile la logica della giustificazione, connessa alla

sostanziale prevalenza del bene che l’azione mira a proteggere, rispetto a quello che viene sacrificato. Un ipotesi

di “scusante”, è l’esimente prevista dall’art. 384 c.p. a favore di chi commetta favoreggiamento, falsa

testimonianza e altri reati contro l’amministrazione della giustizia, per salvare se stesso o un prossimo congiunto

da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Le scusanti si differenziano dalle cause di

giustificazione, in quanto in quest’ultime c’è sempre la prevalenza di un interesse giuridicamente tutelato; nelle

scusanti viceversa l’interesse che la legge prende in considerazione per l’esclusione della pena è solo

soggettivamente prevalente. Inoltre le scusanti, non vanno confuse con le cause di esclusione della colpevolezza,

o cause di esclusione della imputabilità, in quanto la rilevanza delle scusanti, precede, e non segue,

l’accertamento dell’imputabilità, e non può costituire la base per l’accertamento di una pericolosità sociale

dell’autore. 4 Mentre alla categoria dei l i m i t i i s t i t u z i o n a l i d e l l a p u n i b i l i t à , attengono quelle situazione in

cui il legislatore pur in presenza di un fatto antigiuridico e colpevole, p e r u n c r i t e r i o p o l i t i c o -

c r i m i n a l e d i o p p o r t u n i t à p r e f e r i s c e n o n a p p l i c a r e l a p e n a . Un esempio di limite

istituzionale di punibilità, ci è dato dall’art. 649 il dichiara non punibili i delitti non violenti contro il patrimonio

commessi in danno del coniuge non legalmente separato.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

In realtà alle sole cause di giustificazione compete, in realtà, di essere qualificate come

v e r e e p r o p r i e c a u s e d i e s c l u s i o n e d e l l ’ a n t i g i u r i d i c i t à , in quanto, dal

punto di vista della sistematica del reato, le esimenti diverse dalle cause di giustificazione

devono essere collocate in uno spazio intermedio fra l’antigiuridicità e la colpevolezza, poiché

da un lato, non escludono l’illiceità del fatto alla stregua dell’intero ordinamento giuridico; e

dall’altro, non hanno ancora alcun rapporto con i giudizi individualizzanti che contrassegnano

il momento della colpevolezza.

7.3.4.2.1.2. Ambito di applicazione.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione è pacifico, innanzi tutto che l’errore

contemplato dall’art. 59 ult. co. non riguarda i casi in cui l’agente s u p p o n g a c o m e

e s i s t e n t e u n a “ c i r c o s t a n z a d i e s c l u s i o n e d e l l a p e n a ” c h e i n

r e a l t à n o n è a f f a t t o p r e v i s t a d a l l a l e g g e , ovvero attribuisca ad una

esimente, effettivamente prevista, limiti di applicabilità diversi o più ampi (come nel caso di

chi ritenesse, ad esempio, lo stato di necessità riferibile anche alla salvaguardia di beni

patrimoniali).

In entrambe queste ipotesi l’errore sull’esimente configura, infatti, un errore (indiretto) sul

divieto, che non scusa (se non nei limiti oggi apposti all’art. 5c.p.) e non ricade, pertanto,

nell’ambito di applicazione dell’art. 59, ult. co.

Questa norma, in realtà, si riferisce alle ipotesi in cui il soggetto s u p p o n e

( e r r o n e a m e n t e ) l ’ e s i s t e n z a d e i p r e s u p p o s t i d i f a t t o d i u n a

e s i m e n t e : si rappresenta, cioè, per errore, una situazione di fatto tale che, se effettivamente

sussistente, renderebbe il fatto da lui commesso inquadrabile in una ipotesi esimente.

In tutte queste situazioni, al pari che nell’ipotesi di errore su una causa di giustificazione,

deve essere e s c l u s a l a c o l p e v o l e z z a d e l l ’ a g e n t e .

Esempi: Caio, in una strada buia, scambia l’amico, che scherzosamente gli si avvicina

agitando un bastone, per un aggressore, e lo ferisce; Sempronio porta via con se una cosa

altrui, equivocando sul significato di un gesto o di una parola del proprietario, che ha

scambiato per consenso all’impossessamento della cosa; Mevio, per salvarsi dal pericolo di un

incendio, danneggia gravemente l’altrui proprietà, ad es. svellendo un infisso, mentre esisteva

una diversa e agevole via di scampo. In questi casi, si parla di legittima difesa putativa, di

consenso putativo, di stato di necessità putativo, e così via.

7.3.4.2.1.3. L’erronea supposizione di un esimente determinata da colpa.

Tuttavia l’ultimo capoverso dell’art. 59 4° co afferma che: “T u t t a v i a , s e s i

t r a t t a d i e r r o r e d e t e r m i n a t o d a c o l p a , l a p u n i b i l i t à n o n è

e s c l u s a , q u a n d o i l f a t t o è p r e v e d u t o d a l l a l e g g e c o m e

d e l i t t o c o l p o s o ”.

In altri termini per dar luogo alla non punibilità, l’errore deve essere invincibile; in caso

contrario non esclusa la responsabilità a titolo di colpa. Esempio: Tizio, che credendo di

trovarsi in una situazione di difesa, ha reagito impulsivamente senza fare affatto attenzione

alla situazione concreta, in caso di uccisione del presunto aggressore risponderà di omicidio

colposo.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.3.4.2.2. L’errore sulle circostanze.

A seguito della riforma attuata con la legge 7-2-1990, n. 19 sul regime delle circostanze,

l’errore ha un rilievo diverso a seconda che cada su circostanze attenuanti o su circostanze

aggravanti; in particolare:

7.3.4.2.2.1. Errore sulla inesistenza di circostanze attenuanti: irrilevante.

L’e r r o r e s u l l a i n e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e a t t e n u a n t i è irrilevante, per

cui tali circostanze si applicano anche se, per errore, l’agente le ha ritenuto inesistenti (art. 59

1° co. c.p. 5).

7.3.4.2.2.2. Errore scusabile sulla inesistenza di circostanze aggravanti: rilevante

L’e r r o r e s c u s a b i l e s u l l a i n e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e a g g r a v a n t i

è, invece, rilevante, per cui se l’agente ha, per errore scusabile, ritenuto inesistenti una o più

circostanze aggravanti, le stesse non si applicano; se, invece, l’errore è stato determinato da

colpa, le circostanze aggravanti si applicano6 (art. 59 2° co. c.p.7).

7.3.4.2.2.3. Errore sulla esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti: irrilevante.

Nessun rilievo ha, invece, l ’ e r r o r e s u l l a e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e ,

a g g r a v a n t i o a t t e n u a n t i , che invece non esistono: tali circostanze, infatti, non si

applicheranno in nessun caso (art. 59 3° co. c.p.8).

7.3.4.2.2.4. Errore sulla persona offesa dal reato.

Una disciplina particolare in relazione alle circostanze, è prevista dall’art. 60 si evince che

in caso di e r r o r e s u l l a p e r s o n a o f f e s a d a l r e a t o :

non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano la

condizione o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole (1° co.)9;

devono, invece, essere valutate a favore dell’agente le circostanze attenuanti,

erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti

(2° co.)10;

nel caso in cui ineriscano al reato circostanze differenti dalle predette, troverà

applicazione l’ordinario regime di imputazione previsto dall’articolo 59 (3° co.)11.

5 A r t . 5 9 1 ° c o : “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente

anche se da lui non conosciute, o da lui ritenuti inesistenti”. 6 Quindi chi si impossessa di cose di ingente valore, risponderà di furto aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 7 solo se

conosceva il reale valore della cosa o era quanto meno, in condizioni di conoscerlo secondo i criteri di una

doverosa diligenza. 7 Art. 59 2° co.: “Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui

conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenuti inesistenti per errore determinato da colpa”. 8 Art. 59 3° co. c.p.: “Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non

sono valutate contro o favore di lui”. 9 Alla stregua di questa disposizione, non risponde, quindi, dell’aggravante di cui all’art. 577, n. 1 c.p. chi uccida

il proprio padre, scambiandolo però per un’altra persona, o chi commetta un reato in danno di un pubblico

ufficiale nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni (cfr. art. 61, n. 10 c.p.), ignorandone però la

qualifica. 10

Ciò significa, ad esempio, che l’attenuante della «provocazione» compete anche a chi uccide o ferisce taluno,

nella erronea convinzione di aver a che fare con la persona che ha commesso ai suoi danni un fatto ingiusto (cfr.

art. 62, n. 2 c.p.) 11

Il riesame dell’attuale portata dell’ari. 60 va completato con il riferimento al suo co. 3, che stabilisce: «Le

disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni

o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa». Con questa disposizione, motivata dal fine di apprestare una

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.4. Ulteriori cause di esclusione della tipicità.

7.4.1. Il reato putativo (art. 49 1° co,).

Il cd. r e a t o p u t a t i v o è disciplinato dal p r i m o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 , per cui

“n o n è p u n i b i l e c h i c o m m e t t e u n f a t t o c o s t i t u e n t e r e a t o , n e l l a

s u p p o s i z i o n e e r r o n e a c h e e s s o c o s t i t u i s c a r e a t o ” .

Come appare evidente dalla lettura della legge, il cd. «reato putativo» non costituisce reato

e, quindi, il soggetto che lo compie non è punibile.

La convinzione che un fatto (lecito) costituisca reato può dipendere da un errore di diritto12

o da un errore di fatto13.

Il t e r z o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 fa salvo il caso in cui concorrano nel fatto gli

elementi costitutivi di un reato diverso: in tale ipotesi, quindi, il soggetto risponderà di questo

diverso reato.

7.4.2. Il reato impossibile (art. 49 2° co.)

Il s e c o n d o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 stabilisce che «l a p u n i b i l i t à è e s c l u s a

q u a n d o , p e r l ’ i n i d o n e i t à d e l l ’ a z i o n e o p e r l ’ i n e s i s t e n z a

d e l l ’ o g g e t t o d i e s s a , è i m p o s s i b i l e l ’ e v e n t o d a n n o s o o

p e r i c o l o s o ».

È, questa, la figura del cd. r e a t o i m p o s s i b i l e , che, si verifica in due ipotesi: I) nel

caso di inidoneità dell’azione (esempio: Tizio intende uccidere Caio con una pistola

giocattolo); II) nell’ipotesi in cui manchi l’oggetto dell’azione e cioè l’oggetto materiale del

reato (la persona o la cosa su cui cade l’attività materiale del reato).

Per comprendere la figura del reato impossibile, occorre far riferimento al principio di

offensività. L’offensività è requisito essenziale per la configurazione e punibilità di un fatto

come reato, per cui, se l’esito di una certa azione non si sostanzia nella lesione (o messa in

pericolo) di un dato bene giuridico, l’azione stessa non è offensiva e, quindi, non può

costituire reato: ecco, pertanto, che il «reato impossibile» è tale proprio perché è impossibile

che si verifichi l’evento dannoso o pericolo (art. 49 comma 2).

rafforzata tutela ai soggetti più deboli (minori, infermi di mente, incapaci) il legislatore, circoscrivendo

l’efficacia dell’art. 60, ripristinava, dunque, la regola generale della rilevanza oggettiva delle circostanze. Nel

contesto dell’attuale normativa, però, il rinvio alla disciplina generale implica come conseguenza che, anche in

relazione alle circostanze concernenti l’età o altre condizioni e qualità fisico–psichiche della persona offesa,

debba valere la regola per cui l’agente può rispondere della circostanza aggravante solo se questa era da lui

conosciuta, o conoscibile con l’ordinaria diligenza. Non sarà dunque imputabile l’aggravante di cui all’art. 4,

legge n. 75/58 a colui che agevoli la prostituzione di una minorenne, credendola maggiorenne per errore

scusabile o di chi determini al suicidio un minore degli anni diciotto, ignorandone incolpevolmente la minore età

(cfr. art. 580, in rel. all’art. 579, n. 1 c.p.). 12

Reato putativo per errore di diritto è quello di chi crede erroneamente che il fatto da lui commesso è punito da

una norma penale. 13

Si ha invece reato putativo per errore di fatto in una delle seguenti ipotesi: a) il soggetto crede di commettere

un reato, mentre in realtà manca uno degli elementi essenziali richiesti per la sua sussistenza: è il caso di chi

asporta una cosa propria credendola altrui; b) il soggetto crede di commettere un reato, mentre agisce in presenza

di una causa di giustificazione: è il caso di chi crede di rubare mentre in realtà sussiste il consenso dell’avente

diritto; e) il soggetto crede erroneamente di avere uno dei requisiti richiesti per commettere un reato proprio: è il

caso di chi, ritenendosi imprenditore, crede di commettere bancarotta.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

CC aa pp ii tt oo ll oo 88 °° L ’ a n t i g i u r i d i c i t à e l e c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e

8.1. Premessa.

L’a n t i g i u r i d i c i t à consiste nel contrasto tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico.

Perché un determinato fatto possa considerarsi antigiuridico (e quindi costituire “reato”),

non è sufficiente la corrispondenza tra il fatto e la fattispecie legale; in alcuni casi, infatti,

determinate condotte — che di regola costituiscono «reato» — non sono considerate tali, in

quanto è la legge stessa che le autorizza o addirittura le impone: tali situazioni particolari sono

comunemente indicate come c a u s e o g g e t t i v e d i e s c l u s i o n e d e l r e a t o ,

c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e o s c r i m i n a n t i .

Nella struttura del reato, l’antigiuridicità si sostanzia dunque nella mancanza delle

c.d.”cause di giustificazione”. In dottrina vengono definite c a u s e d i

g i u s t i f i c a z i o n e (o cause di oggettive di esclusione dal reato) quelle situazioni

normativamente previste, in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme

ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico. Pertanto, in presenza di tali

situazioni, un fatto che sarebbe altrimenti reato, tale non è perché norma permissiva lo

consente o lo impone.

Le scriminanti vengono inquadrate nella più ampia categoria delle c i r c o s t a n z e d i

e s c l u s i o n e d e l l a p e n a o e s i m e n t i che a loro volta, vengono suddivise in:

c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e , vere e proprie cause di esclusione

dell’antigiuridicità (ad es.: il consenso dell’avente diritto, la legittima difesa, lo

stato di necessità);

s c u s a n t i , fondate sull’inesigibilità della pretesa normativa (si pensi

all’esclusione della punibilità in caso di assistenza ai partecipi di banda armata o

associazione per delinquere, se il fatto è commesso «in favore di un prossimo

congiunto», prevista dagli artt. 307 e 418)

e l i m i t i i s t i t u z i o n a l i d e l l a p u n i b i l i t à , in base ai quali lo stato

rinuncia alla pretesa di obbedienza per ragioni di opportunità politico-criminale (si

pensi al caso di non punibilità per i delitti non violenti contro il patrimonio

commessi in danno del soggetto appartenente all’ambito familiare, caso previsto

dall’art. 649).

8.1.1. La fonte delle singole fattispecie permissive.

La norma permissiva può essere r i n v e n u t a n o n s o l o n e l d i r i t t o p e n a l e ,

m a a n c h e i n a l t r i r a m i d e l l ’ o r d i n a m e n t o g i u r i d i c o . Ne deriva

l’impossibilità di fornire un catalogo esaustivo delle cause di giustificazione che al contrario

corrispondono ad un elenco aperto suscettivo di essere arricchito per via interpretativa.

8.1.1.1. La mancanza del di divieto di analogia.

In tale prospettiva va evidenziato che in materia di cause di giustificazione infatti n o n

v i g e i l d i v i e t o d i a n a l o g i a , e ciò per almeno due buone ragioni: I) in primo luogo

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le disposizioni che contemplano ipotesi di non punibilità non sono propriamente norme penali

(quand’anche contenute nel codice penale); II) inoltre il divieto di analogia opera in malam

parte (cioè quando si tratti della creazione di nuova forma incriminatrice) e non in bonam

partem, quindi non impedisce l’estensione del principio ispiratore di una norma limitativa

della responsabilità penale.

8.2. Il consenso dell’avente diritto.

8.2.1. L’art. 50 c.p.

L’a r t . 5 0 c . p . stabilisce che: “N o n è p u n i b i l e c h i l e d e o p o n e i n

p e r i c o l o u n d i r i t t o c o l c o n s e n s o d e l l a p e r s o n a c h e p u ò

v a l i d a m e n t e d i s p o r n e ”.

Esempi: Tizio presta il suo consenso alla distruzione di un piccolo manufatto di sua

proprietà, perché Caio possa raggiungere con un escavatore il suo fondo allo scopo di

eseguirvi dei lavori; Sempronio consente a un ricercatore di inoculargli il virus del raffreddore

per poter studiare le capacità immunizzanti di tale procedimento.

8.2.2. La ratio.

Il fondamento specifico di questa ipotesi di non punibilità viene generalmente indicato nel

venir meno dell’interesse, da parte dell’ordinamento, alla tutela di un bene giuridico, alla cui

integrità lo stesso titolare del bene non mostra di avere interesse (ovvero subordina tale

interesse al raggiungimento di un diverso scopo, il cui conseguimento è per lui di prevalente

importanza).

8.2.3. Distinzione dall’ipotesi in cui il consenso esclude la stessa tipicità del fatto

Presupposto per l’applicabilità della causa di giustificazione in esame è che né il dissenso

né il consenso assurgano ad elementi costitutivi del reato; in tal caso, infatti, il consenso fa

venir meno non solo l’antigiuridicità bensì lo stesso fatto tipico.

Così, ad esempio, se io mi introduco nella casa di Tizio perché da lui invitato (e, quindi col

suo consenso), non sarò scriminato dal delitto di violazione di domicilio per aver commesso il

fatto col consenso del titolare dello ius excludendi ma perché non ho commesso alcuna

violazione di domicilio.

8.2.4. La natura giuridica e la revoca.

Secondo la dottrina, il consenso andrete qualificato come un a t t o g i u r i d i c o i n

s e n s o s t r e t t o , e cioè come permesso col quale si attribuisce al destinatario un potere di

agire che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce

alcun diritto in capo all’agente; da tale natura del consenso deriverebbe la sua

r e v o c a b i l i t à i n o g n i t e m p o , a meno che l’attività consentita, per le sue

caratteristiche, non possa essere interrotta se ad non ad avvenuto esaurimento.

Dunque il consenso è per sua natura revocabile e la revoca produce l’effetto di farlo venir

meno appena esteriorizzata; ovviamente se l’agente non era a conoscenza della revoca potrà

sempre invocare il consenso putativo ex art. 59 3° co. (vedi infra).

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8.2.5. L’oggetto del consenso.

O g g e t t o d e l c o n s e n s o d e v e e s s e r e u n d i r i t t o d i s p o n i b i l e :

per individuare quali, tra i beni giuridici tutelati dalle norme penali, possono ritenersi

disponibili e quali indisponibili, ci si avvale di un criterio guida secondo il quale sono

indisponibili quei diritti che soddisfano, oltre all’interesse individuale del titolare, anche

interessi superindividuali appartenenti alla collettività. In particolare:

sono, d i s p o n i b i l i : i diritti patrimoniali (salvi i casi in cui la legge ne limita la

disponibilità); alcuni diritti inerenti alla personalità morale (es.: l’onore; al riguardo

si è affermato che il consenso è valido soltanto se riferito ad offese episodiche);

parzialmente disponibile, nei limiti posti dall’art. 5 c.c., è il bene dell’integrità

fisica;

sono invece d i r i t t i i n d i s p o n i b i l i : gli interessi che fanno capo allo Stato,

alla collettività non personificata (ordine pubblico, incolumità pubblica, economia

pubblica, fede pubblica), agli enti pubblici, alla famiglia; il diritto alla vita della

singola persona ed il diritto alla libertà personale (in particolare la libertà psico-

motoria).

8.2.6. I requisiti di validità del consenso.

Il consenso è un mero atto giuridico sempre revocabile; ed è valido se presenta i seguenti

requisiti:

p r e s t a t o d a l t i t o l a r e d e l l ’ i n t e r e s s e p r o t e t t o : legittimato a

prestare il consenso è il titolare dell’interesse protetto dalla norma e cioè colui che,

altrimenti, sarebbe il soggetto passivo del reato; se più sono i titolari del diritto il

consenso è valido solo se prestato da tutti;

il titolare del diritto, per poter validamente esprimere il proprio consenso ne deve

avere la capacità: la teoria maggioritaria ritiene che tale capacità di agire si risolva

in una c a p a c i t à d i i n t e n d e r e e d i v o l e r e d a a c c e r t a r e

c a s o p e r c a s o : occorre, quindi che il giudice verifichi di volta in volta che il

consenziente possegga una maturità sufficiente a comprendere il significato del

consenso prestato.

per essere efficace, ovviamente il consenso deve essere p r e s t a t o

l i b e r a m e n t e : un “consenso” prestato per effetto di minaccia o violenza non è,

evidentemente, un vero consenso;

deve essere i m m u n e d a e r r o r e e d o l o : non deve, cioè, essere stato

prestato per effetto di un inganno, perpetrato dall’autore del fatto o da terzi; né deve

comunque essere viziato da un errore di chi presta il consenso1;

1 Da ciò deriva la necessità (particolarmente rilevante in casi delicati come nel trattamento medico-chirurgico)

che chi presta il consenso sia perfettamente informato e consapevole di ciò cui consente, dovendo infatti

riguardare tutti gli aspetti dell’azione che il destinatario andrà a compiere (così, ad esempio, nel caso di consenso

ad un’operazione medico-chirurgica è necessario che il paziente sia a conoscenza della diagnosi e sia al corrente

degli eventuali pericoli che l’operazione può comportare).

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f o r m a : il consenso, poi, d e v e e s s e r e m a n i f e s t a t o a l l ’ e s t e r n o

s e n z a v i n c o l i d i f o r m a , essendo sufficiente che la volontà sia comunque

riconoscibile; esso può anche essere desunto dal comportamento oggettivamente

univoco dell’avente diritto (c.d. c o n s e n s o t a c i t o );

il consenso deve essere infine a t t u a l e , cioè deve sussistere al momento in cui il

fatto viene compiuto: se prestato anteriormente, quindi è necessario che non sia

stato revocato, mentre se successivo non scrimina (almeno che non si tratti di

consenso putativo o presunto: vedi infra).

8.2.7. Consenso putativo e il consenso presunto.

Si ha c o n s e n s o p u t a t i v o quando l’agente suppone erroneamente esistente il

consenso della persona titolare del diritto; in tal caso chi agisce non è punibile in base all’art.

59 3° co. c.p.

Si ha, invece, c o n s e n s o p r e s u n t o quando l’agente sa che non vi è il consenso, ma

compie ugualmente l’azione perché essa appare vantaggiosa per l’avente diritto (si pensi a chi

si introduce nell’abitazione del vicino allo scopo di spegnere l’incendio).

Si ritiene pertanto che, per attribuire efficacia giustificante a un consenso solamente

presunto, ma in realtà non esistente, sia necessario che l’erronea convinzione dell’autore sia

fondata su circostanze tali, da lasciar desumere con elevato grado di probabilità l’esistenza del

consenso, o da giustificare la ragionevole presunzione che esso sarebbe stato dato, se il

titolare del bene fosse stato a conoscenza delle circostanze che hanno indotto l’autore a

compiere il fatto.

In particolare il consenso presunto giustifica sia:

un’azione intrapresa nell’interesse del titolare che configura un’ipotesi di

negotiorum gestio (oltre l’esempio già proposto di chi si introduca nell’abitazione

altrui per spegnere un incendio, si menziona di solito quella dell’intervento

chirurgico di pronto soccorso su soggetto in stato di incoscienza);

un’azione rispetto alla quale pare manchi un interesse del soggetto passivo alla

tutela del bene (si pensi alla moglie che regali gli abiti smessi del marito ad un

mendicante o chi si impossessi di qualche frutto caduto da un albero ed

abitualmente non raccolto dal proprietario).

8.3. L’esercizio di un diritto.

8.3.1. Nozione.

Ai sensi dell’a r t . 5 1 non è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o p e r

e s e r c i t a r e u n p r o p r i o d i r i t t o .

8.3.2. Ratio.

La ratio di tale disposizione risiede nel p r i n c i p i o d i n o n c o n t r a d d i z i o n e : se

l’ordinamento ha attribuito ad un soggetto un diritto e la conseguente facoltà di agire l’azione

riconosciuta non può integrare un fatto penalmente rilevante.

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8.3.3. La nozione e fonte del diritto ai sensi dell’art. 51.

Ai sensi dell’art. 51 per d i r i t t o si intende q u a l s i a s i p o t e r e g i u r i d i c o d i

a g i r e (diritti soggettivi, diritti potestativi, facoltà giuridiche).

F o n t e d e l d i r i t t o scriminante può essere una legge in senso stretto, un regolamento,

un atto amministrativo, un provvedimento giurisdizionale (sentenze, ordinanze, decreto), un

contratto di diritto privato, la consuetudine, una fonte comunitaria.

8.3.4. I limiti dell’esercizio del diritto.

L’’esistenza e l’esercizio del diritto non sono sufficienti ad escludere automaticamente la

punibilità del fatto commesso; occorre, altresì, che la stessa norma che riconosce il diritto

consenta, almeno implicitamente, di esercitarlo mediante quella determinata azione che di

regola costituisce reato. Ciò posto, possiamo distinguere due ordini di limiti

l i m i t i i n t r i n s e c i : sono desumibili dalla ratio e dal contenuto astratto della

norma da cui promana il diritto (così, ad esempio, il potere di distruggere la cosa

propria incontra come limiti intrinseci quelli fissati dall’art. 423, c. 2, secondo cui

è punito chi incendia la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per la incolumità

pubblica);

l i m i t i e s t r i n s e c i : si ricavano dal complesso dell’ordinamento giuridico,

compreso quello penale, e sono volti alla salvaguardia di quei diritti o interessi che

risultano, sulla base di un giudizio di bilanciamento, di valore uguale o maggiore

di quello del cui esercizio si discute. Così ad es. il diritto di cronaca giornalistica,

riconosciuto dell’art. 21 Cost., trova un limite nell’esigenza di tutelare l’onore e la

dignità della persona quali valori di pari rango costituzionale. Ecco che il diritto di

cronaca é correttamente esercitato se riguardi notizie veritiere, sia esercitato con

adeguate modalità e sussista un interesse pubblico alla loro conoscenza.

8.4. L’adempimento del dovere.

8.4.1. Nozione.

Sempre ai sensi dell’art. 51 n o n è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o

p e r a d e m p i e r e u n d o v e r e i m p o s t o d a u n n o r m a g i u r i d i c a o i n u n

o r d i n e l e g i t t i m o d e l l ’ a u t o r i t à .

Esempio classico di adempimento di un dovere è quello dell’agente di polizia che procede

a un arresto in flagranza privando così taluno della libertà personale.

8.4.2. Ratio.

La ratio di tale disposizione va individuata nel p r i n c i p i o d i n o n

c o n t r a d d i z i o n e : l’ordinamento non può, ad un tempo, imporre un certo

comportamento e vietarlo.

Questa esimente ha in comune con quella dell’esercizio del diritto il fatto di consistere in

un comportamento ammesso dalla legge. Tuttavia mentre l’esercizio del diritto presuppone

una possibilità di scelta se agire o meno, l’adempimento del dovere presuppone che il

comportamento sia imposto al soggetto.

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8.4.3. Fonti del dovere.

Il dovere può scaturire da un “norma giuridica” o da “un ordine legittimo della pubblica

autorità”.

8.4.3.1. Dovere determinate da una norma giuridica.

Per n o r m a g i u r i d i c a s’intende qualsiasi regola di diritto, scritta o consuetudinaria,

sia del potere legislativo che del potere esecutivo (regolamento) (esempi: agente di polizia

giudiziaria il quale compie una perquisizione domiciliare; ufficiale giudiziario che procede a

un pignoramento etc.).

8.4.3.2. Dovere derivante da ordine dell’Autorità.

Per o r d i n e si intende ogni manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un

inferiore perché questi tenga un determinato comportamento. L’ordine, per essere vincolante,

deve essere l e g i t t i m o sia dal punto di vista formale che sostanziale.

Dal p u n t o d i v i s t a s o s t a n z i a l e devono ricorro tutti i presupposti della legge per

l’emanazione dell’ordine.

Dal p u n t o d i v i s t a f o r m a l e :

deve essere emanato nella forma e secondo la procedura prescritta dalla legge;

tra colui che da l’ordine e colui che lo riceve deve esserci un rapporto di

supremazia-subordinazione di diritto pubblico;

il superiore deve essere competente ad emanarlo;

l’inferiore deve competente ad eseguirlo.

8.4.3.2.1. L’ipotesi di ordine illegittimo: la responsabilità.

S e l ’ o r d i n e è i l l e g i t t i m o , l a r e s p o n s a b i l i t à d e l r e a t o

r i c a d e s e m p r e s u l p u b b l i c o u f f i c i a l e c h e l o h a i m p a r t i t o

(art. 51 2° co. c.p.2) .

Tuttavia va specificato che il requisito della legittimità dell’ordine comporta che il

subordinato abbia il diritto e il dovere di sindacare se esso sia legittimo; tale sindacato investe

non solo la legittimità formale, ma anche la legittimità sostanziale dell’ordine. Ciò comporta

che l’esecutore dell’ordine risponde in concorso con chi ha dato l’ordine a meno che:

per errore di fatto abbai ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo3 (art. 51 3° co.4);

la legge non gli consenta alcun sindacato sulla legittimità dell’atto (art. 51 4° co.

c.p.5). Si fa riferimento a rapporti di subordinazione di natura militare o assimilati

2 Il comma 2 dell’art. 51 afferma che “S e u n f a t t o c o s t i t u e n t e r e a t o è c o m m e s s o p e r

o r d i n e d e l l ’ A u t o r i t à , d e l r e a t o r i s p o n d e s e m p r e i l p u b b l i c o u f f i c i a l e c h e

h a d a t o l ’ o r d i n e ”. 3 Se, ad esempio, un soldato, credendo che sussista ancora lo stato di assedio in una città, obbedisce all’ordine di

un suo ufficiale di sparare contro alcuni passanti, non risponderà del reato a causa dell’errore sul fatto in cui

versa. In tal caso, l’impunità deriva dalla considerazione che l’errore di fatto esclude il dolo. 4 Art. 51 3° co.: “Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto

di obbedire ad un ordine legittimo”. 5 Il comma 4 dell’art. 51 afferma che: “Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli

consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”.

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(es.: agenti di polizia, pompieri etc.); in tali casi la legge impone l’obbligo della più

stretta e pronta obbedienza6.

8.5. La difesa legittima.

8.5.1. L’art. 52 c.p.

La l e g i t t i m a d i f e s a è prevista dall’art. 52 che afferma: “N o n è p u n i b i l e c h i

h a c o m m e s s o i l f a t t o , p e r e s s e r v i s t a t o c o s t r e t t o d a l l a n e c e s s i t à

d i d i f e n d e r e u n d i r i t t o p r o p r i o o a l t r u i c o n t r o i l p e r i c o l o

a t t u a l e d i u n ’ o f f e s a i n g i u s t a , s e m p r e c h e l a d i f e s a s i a

p r o p o r z i o n a t a a l l ’ o f f e s a ”.

8.5.2. Ratio.

Alla base della non punibilità dell’azione commessa in stato di legittima difesa vi è il

diritto di autotutela del singolo e le esigenze di difesa del diritto contro l’illecito.

8.5.3. Elementi.

Affinché si abbia legittima difesa vi deve essere quindi un’aggressione accompagnata da

una reazione.

8.5.3.1. Aggressione.

L’a g g r e s s i o n e deve presentare i seguenti caratteri:

o g g e t t o d e l l ’ a g g r e s s i o n e d e v e e s s e r e u n d i r i t t o : la

dottrina intende il termine diritto in un’accezione ampia comprensiva di qualsiasi

d i r i t t o s o g g e t t i v o d e l l a p e r s o n a , alla vita, alla integrità fisica,

delle personalità, dignità personale, riservatezza, immagine, nonché del patrimonio,

attribuito a tutela di un interesse individuale (la legittima difesa implica infatti una

facoltà di autotutela non è esercizio da parte dei privati di funzioni di polizia).

Inoltre si ricorsi che è legittima, è anche la difesa di un diritto altrui (intendendosi

per «altrui» anche uno sconosciuto), la c.d. d i f e s a a l t r u i s t i c a o

s o c c o r s o d i f e n s i v o ;

i n g i u s t i z i a d e l l ’ a g g r e s s i o n e : l’offesa può consistere anche in una

minaccia o in una omissione (è il caso di Tizio che, ponendosi davanti alla porta,

impedisce a Caio di entrarvi). L’ingiustizia si verifica allorquando l’offesa sia

c o n t r a i u s (cioè contraria a precetti dell’ordinamento giuridico) o n o n i u r e ,

cioè non deve essere espressamente autorizzata dall’ordinamento giuridico, per cui

non può invocare tale scriminante il ladro che reagisce contro il pubblico ufficiale,

il quale tenti nell’adempimento dei propri doveri funzionali, di trarlo in arresto;

d e v e d a r l u o g o a d u n p e r i c o l o a t t u a l e e

i n v o l o n t a r i o : si ritiene che affinché l’aggressione possa legittimare una

difesa, è necessario che la prima dia luogo ad un pericolo attuale7 e involontario8.

6 L’insindacabilità, però, è solo sostanziale mai formale, p e r c u i s a r à s e m p r e p o s s i b i l e

p e r i l s u b o r d i n a t o v e r i f i c a r e : l a f o r m a d e l l ’ o r d i n e ; l ’ a t t i n e n z a

d e l l ’ o r d i n e a l s e r v i z i o ; l a c o m p e t e n z a d e l l ’ a u t o r i t à o r d i n a n t e . In

particolare, secondo la dottrina, nell’ipotesi di manifesta criminosità dell’ordine l’inferiore non è più vincolato

alla pronta obbedienza ma ha il diritto-dovere di opporre un rifiuto; è il caso dell’ufficiale di polizia, ubriaco o

impazzito che ordina di sparare su una pacifica folla.

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8.5.3.2. Reazione.

La reazione consta di tre elementi:

c o s t r i z i o n e : sebbene discusso, generalmente si ammette che la costrizione

sia elemento essenziale della legittima difesa, distinto dalla necessità (l’art. 52

dispone, infatti: “... costretto dalla necessità ...”). La costrizione implica un conflitto

di interessi nell’ aggredito, il quale deve trovarsi nell’alternativa “bloccata” di

reagire o di essere offeso: non ricorre, quindi, quando l’ agente ha intenzionalmente

provocato o ha consapevolmente accettato o non evitato il pericolo9;

n e c e s s i t à d i d i f e n d e r s i : la “necessità di difendersi” importa che la

reazione rappresenti la soluzione inevitabile per sottrarsi alla offesa e sia

obiettivamente idonea il neutralizzarla. Sia l’inevitabilità che l’idoneità vanno

valutate in concreto.

p r o p o r z i o n e c o n l ’ o f f e s a : la proporzionalità sussiste ove il male

provocato dall’aggredito all’aggressore risulta essere inferiore, uguale o

tollerabilmente superiore a quello subito; pertanto, non vi è proporzione quando

con un bastone o con altro corpo contundente si uccida chi, con lo stesso, si

limitava a percuotere. La sussistenza del rapporto di proporzione tra offesa e

reazione, è normalmente, oggetto di accertamento da parte del giudice. Tuttavia, a

seguito dei correttivi effettuati sul testo dell’art. 52 c.p. ad opera della L. 13

febbraio 2006, n. 59, tale proporzione è presunta per legge ove l’aggressione

avvenga nel domicilio dell’aggredito o nel suo luogo di lavoro, nei limiti e nelle

condizioni di cui ai neointrodotti commi 2 e 3 dell’articolo 52.

8.6. L’uso legittimo delle armi.

8.6.1. L’art. 53 c.p..

L’art. 53 afferma che: “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è

punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso

ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è

costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e

comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione,

7 Attualità del pericolo è ovviamente, esclusa, quando il pericolo di offesa è stato altrimenti scongiurato, e quindi

non è più esistente, al momento dell’azione; ma anche quando l’offesa è stata ormai irrimedibilmente consumata:

in tal caso, infatti, non di azione “difensiva” si tratterebbe, bensì una azione “punitiva”, e cioè di mera ritorsione.

Si pensi a chi percuota o ferisca taluno, incontrandolo casualmente in strada, avendolo riconosciuto come colui il

quale più volte, in precedenza, si é introdotto abusivamente nel suo fondo. 8 Anche se l’art. 52, a differenza dell’art. 54 (vedi infra), non richiede espressamente l’estremo della

involontarietà del pericolo, la giurisprudenza costante afferma l’inapplicabilità dell’esimente a favore di chi sia

messo volontariamente nella situazione di pericolo, conoscenza il rischio cui andava incontro. 9 È in questa chiave che va affrontata la problematica del c.d. c o m m o d u s d i s c e s s u s : espressione con

cui ci si riferisce alle ipotesi in cui il soggetto poteva, senza rischio alcuno, sottrarsi al pericolo con la fuga,

cosicché non si potrebbe dire che egli si trovava “costretto” a reagire. In questo caso la reazione difensiva resta

del tutto legittima, se la fuga - pur costituendo una reale alternativa - esporrebbe tuttavia l’aggredito a rischi

analoghi, o addirittura maggiori di quelli creati dall’aggressione; o a rischi diversi, ma egualmente gravi (si pensi

al pericolo di un infarto), per lui o per i terzi (ad es., i passanti che potrebbero essere investiti nel caso di una

precipitosa fuga in macchina).

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disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro

di persona.

La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico

ufficiale, gli presti assistenza.

La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo

di coazione fisica.”

8.6.2. Ratio

Tale norma trova il suo fondamento giuridico nella necessità di consentire al pubblico

ufficiale l’uso delle armi al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio.

8.6.3. Soggetti che possono invocare l’esimente.

Quella prevista dall’art. 53 è una e s i m e n t e p r o p r i a , nel senso che possono

invocarla solo i soggetti da essa indicati (in pratica possono invocarla solo quei p u b b l i c i

u f f i c i a l i c h e , p e r m o t i v i d i u f f i c i o , p o s s o n o p o r t a r e a r m i

s e n z a l i c e n z a , è cioè soltanto gli appartenenti alla forza pubblica: polizia, carabinieri,

guardia di finanza etc.).

L’esimente in esame è applicabile inoltre a t u t t i i s o g g e t t i , c h e s u l e g a l e

r i c h i e s t a d e l p u b b l i c o u f f i c i a l e , g l i p r e s t i n o a s s i s t e n z a .

La richiesta del p.u. al privato è “legale”, quando è stata fatta nei limiti e nei casi previsti

dagli artt. 652 c.p. e 380 c.p.p. In ogni caso la richiesta deve essere formulata espressamente

dal pubblico ufficiale e deve intervenire prima dell’uso delle armi, non essendo sufficiente un

consenso a posteriori.

8.6.4. Condizioni per l’applicazione.

8.6.4.1. L’impossibilità di invocare la legittima difesa e l’adempimento del dovere.

L’art 53 esordisce con l’affermare “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli

precedenti…”. Da tale clausola di riserva si evince che la causa di giustificazione in esame ha

n a t u r a s u s s i d i a r i a , essendo invocabile solo qualora difettino i presupposti della

legittima difesa e dell’adempimento del dovere.

8.6.4.2. Il fine di adempiere un dovere di ufficio.

Il pubblico ufficiale deve essere indotto ad agire al fine di adempiere un dovere del proprio

ufficio: vengono esclusi pertanto dalla previsione legislativa non solo i casi in cui il soggetto

abbia di mira un fine privato (es.: uno scopo di vendetta), ma anche i casi in cui abbia per fine

l’adempimento di una facoltà e non un dovere del proprio ufficio.

8.6.4.3. La necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza o di impedire la

consumazione dei delitti di strage, etc.

Il pubblico ufficiale deve essere costretto ad usare le armi in situazioni di assoluta

necessità; il ricorso alle armi deve essere una e x t r e m a r a t i o cui si può fare ricorso

soltanto quando il fine non può raggiungersi in altro modo, salvaguardando sempre l’integrità

fisica degli individui (es.: ricorrendo all’uso di idranti, lacrimogeni etc.). Tra l’interesse offeso

e quello tutelato dall’adempimento del dovere deve esserci proporzione.

Tale necessità deve essere quella di:

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Ver.12-10-2016 78

Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

r e s p i n g e r e u n a v i o l e n z a : con il termine “v i o l e n z a ” si intende

qualsiasi impiego di forza fisica posto in essere nei confronti del pubblico ufficiale.

Non è richiesto che essa configuri il reato previsto dall’art. 336 (violenza o

minaccia a pubblico ufficiale), essendo sufficiente una qualsiasi violenza purché si

concretizzi in un atteggiamento minaccioso;

v i n c e r e u n a r e s i s t e n z a : la dottrina ritiene che nel concetto di

resistenza a cui fa riferimento l’art. 53 va fatta rientrare tanto la r e s i s t e n z a

a t t i v a , che si concreta nell’effettiva opposizione di una forza illegittima, quanto

quella p a s s i v a , quale l’inerzia o la fuga per impedire al pubblico ufficiale di

adempiere un dovere di ufficio10. Perché si configuri la resistenza non è necessaria

che ricorrano gli estremi per il reato di cui all’art. 337 (resistenza a un pubblico

ufficiale);

i m p e d i r e l a c o n s u m a z i o n e d e i d e l i t t i di: I) strage; II)

naufragio; III) sommersione; IV) disastro aviatorio; V) omicidio volontario; VI)

rapina a mano armata; VII) sequestro di persona11.

8.7. Lo stato di necessità.

8.7.1. L’art. 54 c.p.

Ai sensi dell’art. 54 c.p. “N o n è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o p e r

e s s e r v i s t a t o c o s t r e t t o d a l l a n e c e s s i t à d i s a l v a r e s é s t e s s o o

a l t r i d a l p e r i c o l o a t t u a l e d i u n d a n n o g r a v e a l l a p e r s o n a d a l u i

n o n v o l o n t a r i a m e n t e c a u s a t o n é a l t r i m e n t i e v i t a b i l e s e m p r e c h e

i l f a t t o s i a p r o p o r z i o n a t o a l p e r i c o l o ”.

8.7.2. La differenza rispetto alle altre cause di giustificazione.

Ciò che contrassegna lo stato di necessità, rispetto ad altre cause di giustificazione in

particolare la legittima difesa e l’uso legittimo delle armi - non è l’esistenza di un conflitto di

interessi, in quanto tale; né la necessità di agire per la salvaguardia di un bene giuridico (dati,

questi, comuni anche ad altre ipotesi), ma l’impossibilità di inserire il conflitto di interessi in

uno schema di contrapposizione fra “diritto” e “illecito”.

Nella legittima difesa, ad esempio, all’origine del pericolo per il bene, c’è, per definizione,

la condotta ingiusta di un aggressore; e la reazione difensiva, in presenza degli altri requisiti,

si “giustifica” appunto in quanto si dirige contro un interesse dell’aggressore.

Vi sono, però, innumerevoli situazioni, in cui la necessità di agire con prontezza per

scongiurare un pericolo incombente non può essere ricondotta a questo schema. Può accadere,

10

Esempi di resistenza passiva sono quella opposta dagli scioperanti che si distendono sui binari per impedire il

passaggio dei treni, oppure la fuga per sfuggire alla cattura. 11

L’ultimo comma dell’art. 53 richiama gli altri casi in cui la legge consente l’uso della armi. Rientrano tra essi:

I) l’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica da parte della forza pubblica per l’esecuzione dei

provvedimenti di pubblica sicurezza, quando gli interessati non vi ottemperino (art. 5 T.U.L.P.S.); II) l’uso di

armi da parte degli agenti di polizia per impedire i passaggi abusivi delle frontiere dello Stato o per arrestare

persone in attitudine di contrabbando (l. 4-3-1958, n. 100); III) l’uso di armi per impedire le evasioni dei detenuti

o violenza tra i medesimi (art. 41, l. 26-7-1975, n. 354). In tali casi, naturalmente l’uso delle armi è legittimo

quando ricorrono le condizioni indicate nelle stesse norme che lo prevedono, senza che siano richieste anche le

condizioni di cui all’art. 53 c.p.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

innanzi tutto, che la situazione di pericolo non sia in alcun modo riconducibile a una condotta

umana, ma sia l’effetto di eventi naturali - e perciò giuridicamente del tutto neutri - come

l’incendio causato da un fulmine, o il naufragio di una imbarcazione a seguito di una

improvvisa tempesta.

Ma, soprattutto, quale che sia la fonte del pericolo, può comunque accadere che l’azione

diretta a scongiurarlo implichi il pregiudizio dell’interesse di un terzo, perfettamente estraneo

al determinarsi della situazione pericolosa.

Si pensi, da un lato, a chi sia costretto a sfondare l’uscio di una casa altrui, per cercare

riparo da una bufera di neve che l’ha colto durante una escursione in alta montagna; dall’altro,

a chi si impossessi di un’autovettura, per sfuggire all’inseguimento di un malvivente che lo

minaccia con una pistola; o, infine, al naufrago che impedisca a un compagno dì sventura di

aggrapparsi alla provvidenziale tavola di ponte, a cui egli si è afferrato, e che non potrebbe

sostenere il peso di entrambi.

In tutti questi casi - pur così diversificati sotto molti profili - l’insorgere della situazione di

pericolo, da cui ha origine la necessità, non può essere ricondotta a un comportamento del

soggetto, la cui sfera giuridica viene ad essere intaccata dall’azione “necessitata”. Ciò

nonostante , si opera una distinzione tra:

stato di necessità “d i f e n s i v o ”: allorché la fonte del pericolo è in qualche modo

riconducibile alla sfera del titolare dell’interesse che viene sacrificato: come nel

caso di chi provveda a demolire un manufatto del vicino, che minaccia di crollare

rovinosamente, con pericolo per l’incolumità delle persone;

stato di necessità “a g g r e s s i v o ”: quando il terzo colpito nei suoi interessi è

completamente estraneo rispetto alla situazione pericolosa da cui nasce la necessità

di agire: come nell’esempio dei due naufraghi, o di chi trovi rifugio dalla bufera in

un’abitazione altrui.

8.7.3. Gli elementi.

Affinché si configuri la fattispecie dello stato di necessità vi deve essere quindi un pericolo

accompagnato ad una azione lesiva.

8.7.3.1. Il pericolo.

La situazione di pericolo si sostanza nel “pericolo attuale di una danno grave alla persona”;

indifferente è la fonte di tale situazione (forze naturali o animali, aggressione di un uomo)

purché:

i l p e r i c o l o s i a a t t u a l e : analogamente alla legittima difesa, il pericolo,

nella stato di necessità deve essere attuale: attualità non vuol dire solo imminenza

del danno bensì anche probabilità che esso si verifichi senza implicare che il danno

sia incombente;

i l d a n n o s i a i d o n e o a m i n a c c i a r e u n d a n n o g r a v e

a l l a p e r s o n a : mentre la legittima difesa è riconosciuta all’individuo per la

tutela di qualsiasi “diritto”, l’azione commessa in stato di necessità va esente da

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

pena, solo quando si sia trattato di scongiurare un “danno grave12 alla persona”13.

È chiaro dunque che lo stato di necessità n o n r i c o r r e m a i q u a n d o

l ’ e v e n t o t e m u t o s i a d i n a t u r a p a t r i m o n i a l e ;

per l’applicabilità dell’esimente dello stato di necessità, l’art. 54 richiede anche,

esplicitamente, che il pericolo n o n s i a s t a t o v o l o n t a r i a m e n t e

c a u s a t o d a l l ’ a g e n t e . Nella situazione di pericolo da cui ha origine la

necessità il soggetto deve essere capitato involontariamente: se egli non ha subito

l’alternativa, ma l’ha, viceversa, creata, o ha contribuito a crearla14, la sua azione

non può essere scusata (né tanto meno giustificata), poiché non sussistono i

presupposti su cui si fonda l’irriducibilità della scelta e la conseguente costrizione

ad agire15.

8.7.3.2. L’azione lesiva.

L’a z i o n e l e s i v a di chi reagisce deve essere:

i n e v i t a b i l e (o costretta): nel senso che il soggetto deve trovarsi nella

alternativa di agire o subire un danno grave alla persona. Non è ritenuta sufficiente

una semplice necessità, ma occorre che la stessa sia imperiosa e cogente, tale da

non lasciare altra scelta che quella di ledere il diritto di un terzo. Pertanto quando la

commissione del reato è evitabile, ad es. con la fuga, l’azione dell’agente non è mai

giustificabile;

p r o p o r z i o n a t a a l p e r i c o l o : l’orientamento tradizionale fonda tale

giudizio di proporzione sul rapporto di valore tra i beni confliggenti, di modo che

sussiste la proporzione tra fatto e pericolo quando il bene minacciato (es.: vita)

prevalga o, almeno equivalga a quello sacrificato (es.: integrità fisica).

8.7.4. Il c.d. soccorso di necessità.

L’art. 54 legittima la reazione oltre che per salvare un proprio diritto anche per salvare un

diritto altrui; si tratta del cd. s o c c o r s o d i n e c e s s i t à , figura particolare e

controversa tra le cause di giustificazione.

Per effetto di tale figura, infatti, è consentito a chiunque di interferire nell’ordine naturale

delle cose, mutando a proprio arbitrio situazioni di fatto a favore o a sfavore di un soggetto

piuttosto che di un altro: così, ad esempio, nel caso della zattera in grado di reggere un solo

naufrago, chi, avendo visto un naufrago già vicino alla zattera ed avendo visto nel contempo

avvicinarsi a nuoto un suo amico, può, per favorire quest’ultimo, annegare il primo per

12

Per quanto attiene la g r a v i t à del danno essa va determinata sia da un punto di vista q u a l i t a t i v o (in

relazione cioè all’importanza del bene minacciato), sia da un punto di vista q u a n t i t a t i v o (se il pericolo di

lesione è graduabile): in materia di incolumità fisica, ad esempio, è ovvio che la perdita di un arto è altra cosa da

una momentanea, anche se fastidiosa reazione allergica. 13

Il danno grave alla persona: non è da intendere in maniera ristretta, e cioè con riferimento ai soli danni alla vita

ed alla integrità fisica, ma in senso più ampio, cioè con riferimento a tutti quei d a n n i anche m o r a l i che

possono incombere sulla persona: così potrà ben invocare lo stato di necessità la bagnante che, avendo perduto in

mare un pezzo del costume, rubi un asciugamani per coprirsi e salvare così il proprio pudore. 14

In altri termini per la dottrina prevalente è «volontario» il pericolo causato con dolo o anche con colpa. 15

Pertanto non potrà invocare la scriminanti dello “stato di necessità” il delinquente che, nel corso di una rapina,

si faccia scudo di un passante per sottrarsi ai colpi esplosi dai poliziotti.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

permettere al secondo di salvarsi, e non risponderà di alcun reato, ben potendo invocare l’art.

54.

Ciò spiega perché molti autori auspicano l’abolizione di tale figura o, quanto meno, una

più decisa limitazione, come ad esempio restringere l’ipotesi solo a favore dei congiunti o ai

soli casi in cui il bene salvato sia superiore a quello sacrificato (es.: Tizio ruba una medicina

per salvare una persona che ne ha urgente bisogno).

8.7.5. Limiti dello stato di necessità ex art. 54 c.p 1° co.

Il 2° comma dell’art. 54 c.p. e s c l u d e l ’ a p p l i c a b i l i t à della disposizione

contenuta nel 1° comma “ a c h i h a u n p a r t i c o l a r e d o v e r e g i u r i d i c o

a d e s p o r s i a l p e r i c o l o ” .

Così non potrà invocare la scriminante in parola il comandante della nave che, per porsi

sull’unica scialuppa rimasta, sacrifichi la vita di un passeggero.

8.7.6. Lo stato di necessità determinato dall’altrui minaccia: il costringimento psichico

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 54 “la disposizione della prima parte di quest’articolo

si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia, ma in tal caso del

fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretto a commetterlo”.

È questa l’ipotesi del c.d. c o s t r i n g i m e n t o p s i c h i c o che si verifica quando un

soggetto venga costretto da altro soggetto a tenere un certo comportamento antigiuridico. In

altri termini, colui che viene costretto a compiere l’azione, si trova nell’alternativa di

compiere l’azione stessa o di soggiacere al male minacciato (es.: automobilista che provoca

un investimento perché spinto a correre sotto la minaccia di una pistola).

La disposizione, come si vede, è analoga a quella contenuta nell’art. 46, co. 2°, in materia

di “costringimento fisico”. La differenza tra violenza fisica e minaccia (alias: violenza

morale) impedisce, però, nel caso dell’art. 54, di parlare di autore mediato.

L’esecutore materiale del fatto, cioè la persona minacciata, ne è infatti, da ogni punto di

vista, anche l’autore, sia pure non punibile: colui che ha posto in essere la minaccia agisce, a

sua volta, come concorrente nel reato, a s s u m e n d o i l r u o l o d e l

“ d e t e r m i n a t o r e ” , avendo determinato in altri il proposito criminoso.

8.7.7. Differenza con la legittima difesa rispetto alle conseguenze civili.

In materia di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. stabilisce che non è responsabile chi

cagiona un danno per legittima difesa; l’art. 2045 c.c. stabilisce che chi compie un fatto

dannoso in stato di necessità, deve corrispondere al danneggiato un equo indennizzo

determinato dal giudice con equo apprezzamento (c.d. r e s p o n s a b i l i t à d a a t t o

l e c i t o ).

8.8. L’eccesso colposo.

8.8.1. Nozione.

L’e c c e s s o c o l p o s o si configura ogni qualvolta esistono i presupposti di fatto della

causa di giustificazione, me il soggetto ne travalica i limiti.

Dall’eccesso colposo occorre distinguere l’e r r o n e a s u p p o s i z i o n e d i u n a

e s i m e n t e (art. 59): “mentre in quest’ultima la causa di giustificazione non esiste nella

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

realtà ma soltanto nella mente di chi agisce, nell’eccesso colposo la scriminante di fatto esiste

ma l’agente supera colposamente i limiti del comportamento consentito”16.

8.8.2. L’art. 55 c.p.

La figura in esame ha assunto, nel codice vigente, un’autonoma fisionomia ed è

disciplinata dall’art. 55. il quale afferma che: “Q u a n d o n e l c o m m e t t e r e t a l u n o

d e i f a t t i p r e v e d u t i d a g l i a r t i c o l o 5 1 , 5 2 , 5 3 e 5 4 17, s i e c c e d o n o

c o l p o s a m e n t e i l i m i t i s t a b i l i t i d a l l a l e g g e o d a l l ’ o r d i n e

d e l l ’ A u t o r i t à o v v e r o i m p o s t i d a l l a n e c e s s i t à , s i a p p l i c a n o l e

d i s p o s i z i o n i c o n c e r n e n t i i d e l i t t i c o l p o s i , s e i l f a t t o è

p r e v e d u t o d a l l a l e g g e c o m e d e l i t t o c o l p o s o ”.

8.8.3. Condizione per l’applicabilità.

C o n d i z i o n i p e r l ’ a p p l i c a b i l i t à dell’art. 55 sono:

l’attività deve essere iniziata in presenza di una scriminante effettivamente esistente

ex artt. 51, 52, 53, 54 (nonché ex art. 50);

si siano superati per colpa i limiti dell’agire consentito dalla scriminante. L’eccesso

colposo, in quanto si risolve in un abuso del diritto determinato da errore, p u ò

e s s e r e s o l o c o l p o s o (non essendo concepibile un errore doloso).

inoltre, la volontà dell’agente deve essere sempre diretta a realizzare quel fine che,

a fronte della determinata situazione di fatto esistente, rende giustificato quel

comportamento lesivo: come ne caso di chi vistosi assalito da uno sconosciuto con

un frustino scambia erroneamente il frustino per un arma da punta reagendo una

pugnalata mortale. Al contrario, se il fine è diverso non è applicabile la figura in

esame: è il caso di Tizio che, pur rendendosi conto che Caio lo sta aggredendo con

pugni e calci, volontariamente pugnala e uccide l’aggressore avendo riconosciuto in

lui un suo acerrimo nemico; in tal ipotesi, infatti, l’agente, essendo ben a

conoscenza della situazione reale e dei mezzi necessari per raggiungere il fine

consentito, volontariamente supera i limiti dell’agire scriminato, dato che la volontà

è diretta ad un fine criminoso, onde l’eccesso è doloso e l’agente risponderà a titolo

di dolo del reato commesso.

8.8.4. Tipologia.

Si distinguono due forme di eccesso colposo.

8.8.4.1. Primo tipo.

Il primo si ha quando si cagiona un determinato risultato volutamente perché si valuta

erroneamente la situazione di fatto (la tradizione manualistica annovera questa forma di

16

È possibile, peraltro, la coesistenza della scriminante putativa con l’eccesso colposo; in altri termini, è

configurabile un eccesso colposo che si innesta su di una situazione scriminante erroneamente supposta; è il caso

di chi, ritenutosi aggredito erroneamente e giustificatamente, reagisce sproporzionatamente per negligenza,

imprudenza o imperizia. A tale forma di eccesso parte della dottrina e della giurisprudenza estende la disciplina

contenuta nell’art. 55, dato che tale norma esprime un principio di carattere generale. 17

È opinione comune che la disciplina dell’eccesso colposo pur essendo dettata solo in relazione agli artt 51–54

c.p. si applichi anche ai casi di eccesso nell’azione giustificata dal consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.).

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

eccesso colposo fra le ipotesi di c.d. c o l p a i m p r o p r i a , in quanto si osserva, l’agente

vuole l’evento lesivo che concreta l’eccesso).

Es. Mevio esperto di arti marziali, scambiando per la fondina di una pistola il borsello

legato alla cintola del suo aggressore, sopravvalutando la necessità della difesa impugna un

bastone e tramortisce l’avversario anticipandone l’attacco.

8.8.4.2. Secondo tipo.

Il secondo si verifica quando, valutata esattamente la situazione di fatto, l’agente per

imprudenza, imperizia o negligenza nell’attività esecutiva, eccede producendo un evento più

grave di quello che sarebbe stato necessario cagionare, es. Sempronio, ufficiale di polizia

giudiziaria nell’ammanettare taluno usa impropriamente l’attrezzo, provocando una grave

lesione ossea ai polsi del catturato.

Quando si tratti di un uso improprio dei mezzi di azione, lo schema della condotta riflette

in modo del tutto puntuale la struttura della responsabilità colposa. In ogni caso ciò che conta

è che l’agente sia stato determinato dalla volontà di conseguire l’obiettivo consentito.

In mancanza, ove la volontà sia diretta alla realizzazione di un fatto criminoso, l’eccesso è

doloso e il soggetto deve rispondere a titolo di dolo.

Ove non sia possibile muovere un addebito in termini di colpa, anche se il risultato eccede

i limiti della causa di giustificazione, il fatto resta pienamente giustificato. Pertanto nel caso di

Caio che rimane mortalmente colpito nell’addome a seguito di un improvviso movimento pur

avendo l’aggredito correttamente mirato a parti non vitali, si applicherà la norma sulla

legittima difesa, non essendo l’eccesso riconducibile alla colpa dell’autore.

8.8.5. L’eccesso colposo nelle varie cause di giustificazione.

8.8.5.1. Eccesso colposo nell’esercizio del diritto o adempimento del dovere.

Per aversi tale eccesso occorre che: l’attività sia iniziata nell’esercizio di un diritto o

nell’adempimento di un dovere; si siano superati, per colpa, i limiti posti dalla legge o

dall’ordine.

È il caso del poliziotto, particolarmente emotivo, che spara contro uno scioperante che gli

si para contro minacciosamente, mentre con un po’ di coraggio avrebbe facilmente potuto

ridurlo all’impotenza affrontandolo con i pugni.

8.8.5.2. Eccesso colposo nella legittima difesa.

Tale eccesso postula l’esistenza di una situazione di fatto in cui si concreta la causa di

giustificazione, e si qualifica altresì per il superamento colposo dei limiti imposti dalla

necessità della difesa.

La volontà, quindi, deve essere quella di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo

attuale di una offesa ingiusta mentre, per colpa, debbono esser superati i limiti della

proporzione tra difesa ed offesa imposti dall’art. 52.

Tale eccesso, quindi, è configurabile solo quando sussistano tutti gli elementi della

scriminante«de quo», salvo quello della proporzione fra difesa ed offesa. Ad esempio, sarà

responsabile di omicidio colposo chi uccide quando per difendersi o salvarsi sarebbe stato

sufficiente percuotere.

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Ver.12-10-2016 84

Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

8.8.5.3. Eccesso colposo nello stato di necessità.

Anche qui i presupposti sono quelli comuni: inizio dell’azione alla presenza dello stato di

necessità e superamento per colpa dei limiti imposti dall’art. 54. Va solo notato che l’eccesso

colposo si verifica, nello stato di necessità, per eccesso dei mezzi più che nel fine, quando si

supera cioè la proporzione fra il pericolo e l’azione lesiva.

Devesi in ogni caso tener presente che i limiti nello stato di necessità sono molto più severi

che non nella legittima difesa, dato che, come detto, l’offesa è rivolta contro una persona

incolpevole, per cui della proporzione si dovrà tener conto in maniera molto più rigorosa.

8.8.5.4. Eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi.

È stato ad es. considerato eccesso colposo l’aver fatto uso delle armi per impedire la fuga

dei rapinatori, causando la morte dell’ostaggio; ciò in quanto la vita dell’ostaggio è un bene

preminente da tutelare, e l’uso delle armi deve cessare quando gli aggressori se ne facciano

scudo (Cass. 15-7-1991).

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Ver.12-10-2016 85

Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

CC aa pp ii tt oo ll oo 99 °° L a c o l p e v o l e z z a e l ’ i m p u t a b i l i t à

9.1. La colpevolezza.

9.1.1. Nella struttura del reato.

Alla constatazione della tipicità e dell’antigiuridicità corrisponde la presa d’atto che una

condotta umana, conforme a quella descritta in una norma incriminatrice speciale, si è posta

in contrasto con un precetto dell’ordinamento giuridico, penalmente sanzionato; ma, per la

punibilità del suo autore, è ancora necessario che si stabilisca se esistono i presupposti per

affermare che egli è anche personalmente responsabile per la realizzazione del fatto tipico

antigiuridico.

Secondo l’impostazione tradizionale, la responsabilità del singolo autore dipende dalla

possibilità di muovergli, a livello personale, un rimprovero per la commissione del fatto

illecito.

Il problema quindi, attiene alla possibilità di formulare, a carico del soggetto, un giudizio

di «rimproverabilità» del fatto. Nonostante alcune opinioni contrarie, per individuare la

categoria della colpevolezza si può ricorrere all’equazione “c o l p e v o l e z z a -

p o s s i b i l i t à d i m u o v e r e u n r i m p r o v e r o ”.

La colpevolezza si riassume, così in un “g i u d i z i o d i r i m p r o v e r a b i l i t à ” a carico

del soggetto che abbia agito in contrasto con l’ordinamento, pur avendo la possibilità di

comportarsi diversamente1.

Anziché una realtà psicologica, dunque, la colpevolezza esprime un giudizio normativo e

graduabile secondo concetti di valore, essendo la volontà diversamente rimproverabile a

seconda della sua maggiore o minore antidoverosità.

D’altra parte può essere mosso solo a chi era in grado di comprendere il valore delle sue

azioni ed adeguarle al diritto, cioè solo a chi al momento del fatto era capace di intendere e di

volere e cioè, in termini penalistici, imputabile.

Ne consegue, allora che: I) l’imputabilità diventa presupposto della colpevolezza; II) il non

imputabile non potrà mai essere ritenuto autore di un “reato”, e quindi egli non può

commettere “reati” ma solo fatti antigiuridici.

9.1.2. Il principio di colpevolezza nella prospettiva costituzionale.

9.1.2.1. Il principio di “personalità” della responsabilità penale: art. 27 1° co.

Il principio di colpevolezza (nulla poena sine culpa) viene assurto nel nostro ordinamento

a rango di principio costituzionale del diritto penale attraverso l’a r t . 2 7 1 ° C o s t .

afferma che “La responsabilità penale è personale” (p r i n c i p i o d i “ p e r s o n a l i t à ”

d e l l a r e s p o n s a b i l i t à p e n a l e ).

1 Risiede qui allora la ratio giustificatrice dell’intervento statuale: il trovarsi nella condizione di essere

rimproverato legittima l’ordinamento ad irrogare al sanzione penale per il fatto commesso.

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Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

La dottrina è infatti praticamente concorde nel ritenere che la regola contenuta nel 1 °

comma dell’art. 27 cost. altro non esprima se non l’esigenza della colpevolezza individuale

come presupposto inderogabile della responsabilità penale2.

Si osserva giustamente che il carattere “personale” della responsabilità penale esprime

l’esigenza di un legame psicologico e non meramente causale tra fatto ed autore, ne consegue

che non basta cagionare un evento lesivo per muovere un rimprovero all’agente e quindi per

applicargli una pena, ma è necessario anche l’esistenza dei presupposti per una attribuibilità

sul pino soggettivo.

9.1.2.1.1. La sentenza costituzionale 364/88 e il suo significato per la dottrina della

colpevolezza.

In tempi relativamente recenti la Corte costituzionale ha fornito un contributo decisivo alla

identificazione del principio di “personalità” della responsabilità penale ex art. 27 Cost. con il

principio di colpevolezza.

In precedenza invece, la Corte Costituzionale aveva ripetutamente interpretato l’art. 27, 1°

co. nel prevenante significato di un divieto di responsabilità per “fatto altrui” 3.

In particolare con la s e n t . n ° 3 6 4 / 8 8 la Corte Costituzionale ritiene che, con il

carattere “personale” della responsabilità penale, l’art. 27, co. 1 ° volesse esprimere non solo e

non tanto l’esclusione della responsabilità per fatto altrui, quanto piuttosto la necessità che il

fatto sia “opera” di chi lo ha commesso: non dal punto di vista della materiale causazione, ma

in quanto prodotto delle scelte di un agente che si trovasse in condizioni di governare i propri

impulsi psichici e di orientarli nell’una piuttosto che nell’altra direzione.

Ma non basta. Nella stessa sentenza, e per la prima volta, la Corte Costituzionale ha

collegato in modo significativo il 1° co. dell’art. 27 con il 3° co. della stessa disposizione, ove

si stabilisce, fra l’altro, che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”. La

Corte ha infatti testualmente osservato che, “comunque si intenda la funzione rieducativa [...]

essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della

fattispecie tipica”. Non avrebbe senso - precisa espressamente la Corte - la “rieducazione” di

chi, non essendo almeno “in colpa” (rispetto al fatto) non ha, certo, “bisogno” di essere

“rieducato”.

Il collegamento fra colpevolezza e prevenzione è dunque del tutto esplicito; così come

estremamente esplicita è l’adesione della Corte all’idea che il nucleo del concetto di

colpevolezza consista nella “rimproverabilità” del fatto e che il primo, necessario

“presupposto” per la formulazione del “rimprovero” sia dato dalla tipicità del fatto, non solo

sotto il profilo oggettivo, ma anche sotto il profilo degli elementi “subiettivi” di esso,

identificati con il dolo e con la colpa.

Si deve anche rilevare che, nel punto in cui distingue nettamente l’elemento psicologico

del reato (quale “primo necessario presupposto” della punibilità) dalla “valutazione e

rimproverabilità del fatto stesso”, la Corte costituzionale legittima ulteriormente sia le

2 Pertanto i costituenti con l’art. 27, 1° co. non hanno voluto semplicemente stabilire l’esclusione di forme di

responsabilità per “fatto altrui”. 3 Si parla di r e s p o n s a b i l i t à p e r f a t t o a l t r u i nei casi in cui un soggetto è chiamato a rispondere

penalmente di un fatto commesso da altra persona, senza aver dato alcun contributo causale al suo verificarsi.

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Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

moderne concezioni “normative” della colpevolezza, sia una nozione del fatto tipico che

valorizzi la funzione tipizzante del dolo e della colpa.

9.1.2.2. Principio di colpevolezza e responsabilità oggettiva.

Conseguenza minima del carattere “personale” della responsabilità penale - così come

definita dalla Corte Costituzionale - sembra essere l ’ i l l e g i t t i m i t à c o s t i t u z i o n a l e

d e l l e d i s p o s i z i o n i c h e s i c o n f i g u r i n o c o m e i p o t e s i d i

r e s p o n s a b i l i t à o g g e t t i v a : basate, cioè, sul mero rapporto di causalità materiale fra

condotta ed evento, anche in assenza di un elemento psichico, rilevante per la colpevolezza

(dolo, colpa, preterintenzione).

9.2. L’imputabilità.

9.2.1. L’art. 85 c.p.

L’a r t . 8 5 c.p. stabilisce che: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r u n

f a t t o p r e v e d u t o d a l l a l e g g e c o m e r e a t o , s e a l m o m e n t o i n

c u i l o h a c o m m e s s o n o n e r a i m p u t a b i l e . È i m p u t a b i l e c h i

h a l a c a p a c i t à d i i n t e n d e r e e d i v o l e r e ”.

La c a p a c i t à d i i n t e n d e r e consiste nella capacità di rendersi conto della realtà

esterna e del valore assunto dai propri comportamenti nel rapporto con essa e con i terzi.

La c a p a c i t à d i v o l e r e , invece, costituisce l’attitudine ad uniformare le proprie

azioni al pensiero, cioè di determinarsi in modo autonomo e conforme a ciò che si giudica

doversi fare.

Affinché sussista l’imputabilità, è necessario che il soggetto sia fornito sia dell’una che

dell’altra capacità, di guisa che se la verifica della capacità d’intendere dia esito negativo sarà

superfluo procedere a quella avente ad oggetto la capacità di volere, di cui la prima è

presupposto essenziale.

In definitiva, l’imputabilità consiste nella maturità psichica e nella sanità mentale, ed

esprime un modo di essere dell’individuo nel momento in cui ha commesso il reato.

La portata della regola di cui all’art. 85 c.p. meglio si coglie allorché si faccia riferimento

alla funzione della pena; ed infatti, non avrebbe senso sottoporre a pena un soggetto che,

essendo privo della capacità d’intendere e di volere, non è in grado di comprenderne il

significato rieducativo né, a monte, quello volto alla prevenzione dei reati.

9.2.2. Le cause di esclusione dell’imputabilità.

L’imputabilità può essere esclusa o diminuita da alcune circostanze espressamente indicate

dagli. artt. 88 e segg: 1) la minore età; 2) il vizio di mente: 3) il sordomutismo; 4)

l’ubriachezza; 5) l’intossicazione da sostanze stupefacenti; 6) la cronica intossicazione da

alcool o sostanze stupefacenti;.

Tuttavia le cause codificate di esclusione dell’imputabilità non sono tassative, nel senso

che la capacità di intendere e di volere può essere esclusa da fattori diversi da quelli

legislativamente previsti.

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Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

9.2.2.1. Minore età.

Fino al compimento dei 14 anni c’è la presunzione assoluta della assenza della capacità di

intendere e di volere.

Nei confronti di un minore di anni infra quattordicenne responsabile di un delitto giudicato

pericolo sono applicabili: I) misure di sicurezza del riformatorio giudiziario e della libertà

vigilata; II) le misure amministrative dell’affidamento al servizio sociali minorile o del

collocamento in una casa di rieducazione.

Dai 14 ai 18 anni l’imputabilità deve essere accertata caso per caso dal giudice con

riferimento alla singola violazione compiuta dal minore

9.2.2.2. Infermità di mente.

9.2.2.2.1. Vizio totale di mente.

Si ha v i z i o t o t a l e d i m e n t e , quando la infermità è tale da comportare un assoluta

mancanza della capacità di intendere e di volere.

9.2.2.2.1.1. Profilo sanzionatorio

Comporta sotto il profilo del trattamento penale: I) il proscioglimento dell’imputato; II)

l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in un ospedale psichiatrico.

9.2.2.2.2. Vizio parziale di mente.

Si ha v i z i o p a r z i a l e di mente, quando la capacità d intendere e di volere non manca

del tutto ma è gradatamente scemata.

9.2.2.2.2.1. Profilo sanzionatorio.

Sotto il profilo sanzionatorio comporta una diminuzione di pena e l’applicazione della

misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di cura e custodia da eseguirsi dopo che la

pena è stata scontata.

9.2.2.3. Sordomutismo.

Nell’ipotesi di s o r d o m u t i s m o l’imputabilità deve accertarsi caso per caso.

Il sordomuto infatti: I) viene considerato imputabile se è capace di intendere e di volere; II)

è parificato alla persona affetta da vizio totale di mente se la capacità di intendere e di volere

non sussiste; III) è parificato alla persona affetta da vizio parziale di mente se la capacità di

intendere e di volere è grandemente scemata.

9.2.2.4. Ubriachezza.

9.2.2.4.1. Ubriachezza accidentale.

L’u b r i a c h e z z a a c c i d e n t a l e deriva da caso fortuito o da forza maggiore. Se

l’ubriachezza è piena il soggetto non è imputabile. Se l’ubriachezza non è piena ma è tale da

scemare grandemente la capacità di intendere e di volere fruisce di una diminuzione di pena.

9.2.2.4.2. Ubriachezza volontaria o colposa.

L’u b r i a c h e z z a v o l o n t a r i a o c o l p o s a , non esclude né diminuisce la

imputabilità.

9.2.2.4.3. Ubriachezza preordinata.

L’u b r i a c h e z z a p r e o r d i n a t a , non esclude né diminuisce la imputabilità, ma da

luogo ad un aumento della pena in applicazione del principio di cui all’art. 87.

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Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

9.2.2.4.4. Ubriachezza abituale.

L’u b r i a c h e z z a a b i t u a l e comporta un aumento di pena e l’applicazione della

misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia se il soggetto venga

riconosciuto anche socialmente pericolo.

L’art. 94 2° co. afferma che: “Agli effetti della legge penale, è considerato u b r i a c o

a b i t u a l e chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza”.

9.2.2.5. L’intossicazione da sostanze stupefacenti.

Il codice parifica l’azione di tali sostanze all’ubriachezza. Da ciò deriva che:

se l’uso delle sostanze in parola non può ascriversi a colpa dell’agente, ha luogo il

proscioglimento o la diminuzione della pena secondo che la capacità di intendere e

di volere non esista o sia grandemente scemata;

se, invece, la particolare ebbrezza derivante dal loro uso risale alla volontà

dell’agente, la responsabilità è completa;

se essa è preordinata o abituale, si fa luogo ad un aumento di pena;

9.2.2.6. Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti.

L’art. 95 c.p. afferma che “Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta

da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli

88 e 89”

La norma in esame sottopone dunque l’intossicato al medesimo regime del soggetto affetto

da vizio totale o parziale di mente con conseguente non punibilità o punibilità con pena ridotta

rispettivamente nel caso di assenza della capacità d’intendere o volere ovvero di capacità

grandemente scemata.

9.2.2.7. Determinazione in altri dello stato d’incapacità allo scopo di far commettere un

reato.

L’art. 86 afferma che: “S e t a l u n o m e t t e a l t r i n e l l o s t a t o

d ’ i n c a p a c i t à d ’ i n t e n d e r e o d i v o l e r e , a l f i n e d i f a r g l i

c o m m e t t e r e u n r e a t o , d e l r e a t o c o m m e s s o d a l l a p e r s o n a

r e s a i n c a p a c e r i s p o n d e c h i h a c a g i o n a t o l o s t a t o d i

i n c a p a c i t à ”.

Per esempio nell’ipotesi in cui Tizio somministra a Caio a sua insaputa una sostanza

stupefacente al fine di fargli commettere un delitto, del reato commesso risponderà Tizio e

non Caio.

È pacifico che la disposizione in esame trova applicazione esclusivamente nei casi in cui lo

s t a t o d i i n c a p a c i t à p r o c u r a t o i n a l t r i s i a t o t a l e : in caso contrario

anche l’esecutore materiale del reato deve risponderne, per cui trova sicuramente applicazione

la disciplina del concorso di persone nel reato.

9.2.2.8. L’incapacità preordinata di intendere e di volere: actiones liberae in causa.

9.2.2.8.1. Nozione.

Si parla di a c t i o n e s l i b e r a e i n c a u s a , nell’ipotesi di azioni compiute in uno

stato di incapacità procurato dal soggetto stesso allo scopo di commettere un reato che in

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Manuale di Diritto Penale La colpevolezza e l’imputabilità

condizioni normali non avrebbe commesso oppure allo scopo di far attribuire il reato allo

stato di incapacità.

9.2.2.8.2. Disciplina.

Non si applica la prima parte dell’articolo 85 c.p. quindi l’agente verrà ritenuto capace di

intendere e di volere e sarà penalmente responsabile del reato commesso, in particolare:

se tra il fatto programmato e il fatto realizzato c’è omogeneità, l’agente risponderà

a titolo di dolo del reato commesso;

se tra il fatto programmato e il fatto realizzato non c’è omogeneità, l’agente

risponderà dei reato commesso a titolo di colpa o di preterintenzione a seconda che

sussista l’una o l’altra.

9.2.3. Gli stati emotivi e passionali.

L’art. 90, al fine di escludere ogni possibile dubbio circa la incidenza sulla psiche del

soggetto egli s t a t i e m o t i v i o p a s s i o n a l i , afferma che essi n o n

e s c l u d o n o n e d i m i n u i s c o n o l ’ i m p u t a b i l i t à .

S t a t o e m o t i v o è quello che importa un turbamento improvviso e passeggero sulle

psiche del soggetto.

S t a t o p a s s i o n a l e è quello dell’emozione più profonda e duratura della psiche del

soggetto, come l’amore, l’odio, la gelosia etc.

Tali stati anche se privi di rilevanza in merito al giudizio di imputabilità p o s s o n o

c o s t i t u i r e c i r c o s t a n z e a t t e n u a n t i , come nelle ipotesi previste dai nn. 2 e

dell’art. 62 c.p.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

CC aa pp ii tt oo ll oo 11 00 °° L e f o r m e d i m a n i f e s t a z i o n e d e l r e a t o

10.1. Reato circostanziato.

10.1.1. Nozione.

Si ha r e a t o c i r c o s t a n z i a t o , quando il reato non solo è presente nel suo nucleo

essenziale, ma appare altresì specificato o “arricchito” da ulteriori c i r c o s t a n z e , ossia, da

modalità particolari della sua esecuzione (per es. il mezzo adoperato) o da speciali circostanze

di fatto (tempo, luogo, ecc.: per es. il domicilio) o, infine, da qualità, condizioni e

atteggiamenti di carattere soggettivo (per es.: l’ufficio rivestito dall’autore, il movente, una

relazione di parentela con la vittima) che la legge considera rilevanti ai fini di una maggiore o

minore gravità del reato, con conseguente incidenza sulla misura della pena applicabile.

10.1.2. Le circostanze.

10.1.2.1. Nozione.

Le c i r c o s t a n z e , sono dunque elementi accidentali o accessori del reato che

determinano una maggiore o minore gravita del reato influendo concretamente sulla

determinazione della pena.

10.1.2.2. Funzione delle circostanze.

La f u n z i o n e delle circostanze è di adeguare la sanzione del reato al reale disvalore del

fatto e limitare il potere del giudice nella determinazione della pena.

10.1.2.3. I diversi tipi di circostanze e il loro regime giuridico.

Le circostanze del reato si prestano ad essere classificate e/o contrapposte secondo diversi

criteri.

10.1.2.3.1. Circostanze tipiche e indefinite o discrezionali.

I n b a s e a l d i v e r s o l i v e l l o d i p r e d e t e r m i n a z i o n e

n o r m a t i v a del loro contenuto, è possibile distinguere fra:

c i r c o s t a n z e t i p i c h e o d e f i n i t e : sono quelle rispetto alle quali la legge

definisce chiaramente quale sia l’elemento accidentale (es. modalità esecutiva del

reato), a cui consegue l’aumento o la diminuzione della pena;

c i r c o s t a n z e i n d e f i n i t e o d i s c r e z i o n a l i : sono quelle rispetto alle

quali l’elemento accidentale, a cui consegue l’aumento o la diminuzione della pena

non è definito. Come avviene nel caso in cui, la legge si limita a stabilire che la

pena sia aumentata, «nei casi più gravi» o, al contrario, diminuita nei casi «di lieve

entità»: ipotesi, queste, abbastanza ricorrenti soprattutto nel c.d. diritto penale

complementare. In questo caso l’aumento o la diminuzione della pena conseguono

qui a un apprezzamento, ex post, del giudice, in ordine all’entità del contenuto di

offesa che contrassegna il fatto in concreto.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.1.2.3.2. Circostanze oggettive e soggettive.

A norma dell’art. 70 c.p., le circostanze devono essere distinte1:

c i r c o s t a n z e o g g e t t i v e : che concernono “la natura, la specie, i mezzi,

l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o

del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso”;

c i r c o s t a n z e s o g g e t t i v e : che concernono “la intensità del dolo o il grado

della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il

colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole”2.

10.1.2.3.3. Circostanze aggravanti e circostanze attenuanti.

A seconda che la gravità del reato risulti accresciuta o, viceversa, diminuita per effetto di

una particolare circostanza, ci si trova rispettivamente di fronte a c i r c o s t a n z e

a g g r a v a n t i , ovvero a c i r c o s t a n z e a t t e n u a n t i .

Le circostanze, sia aggravanti che attenuanti, possono indurre una modificazione non solo

quantitativa, ma anche qualitativa della pena: possono comportare, cioè, il passaggio dalla

reclusione alla multa, o viceversa; dalla reclusione all’ergastolo; in qualche caso, anche il

passaggio da delitto a contravvenzione, o viceversa3.

10.1.2.3.4. Circostanze ad effetto proporzionale e autonome.

Si definiscono c i r c o s t a n z e a e f f e t t o p r o p o r z i o n a l e quelle circostanze

aggravanti o attenuanti in presenza delle quali l’aumento o la diminuzione della pena si

esplicano secondo un rapporto predeterminato di proporzione rispetto alla pena-base (es.: la

pena è aumentata fino a un terzo, fino al triplo, fino alla metà, ecc.).

Si definiscono, viceversa, a u t o n o m e le circostanze, in presenza delle quali la legge

stabilisce una pena di specie diversa (es. art. 577, co. 1 c.p.), ovvero determina per il reato

circostanziato una diversa cornice edittale, indipendente da quella prevista per il reato-base e

non parametrata su un determinato rapporto proporzionale con essa (es. artt. 625, 640, co. 1

c.p.).

10.1.2.3.5. Circostanze a effetto comune e a effetto speciale.

Si distingue, inoltre, fra:

c i r c o s t a n z e a e f f e t t o c o m u n e : sono quelle circostanze che

comportano un aumento o una diminuzione della pena f i n o a d u n t e r z o di

quella prevista dal reato base;

1 La distinzione fra circostanze oggettive e soggettive rileva essenzialmente in materia di concorso di persone nel

reato, con riguardo al problema della loro estensibilità a tutti coloro che hanno partecipato al reato. 2 Il co. 2 dello stesso art. 70 precisa che per circostanze “inerenti alla persona del colpevole” si intendono quelle

che “riguardano la imputabilità e la recidiva”. 3 Oltre al caratteristico effetto di aumento o diminuzione della pena, all’applicazione delle circostanze

conseguono anche altri effetti, sia di diritto penale che di diritto processuale. Tra i primi, il più rilevante è

senz’altro quello che si riferisce alla prescrizione del reato: le circostanze concorrono, infatti, alla

determinazione della pena edittale massima, da cui dipende il tempo necessario alla estinzione del reato (art. 157,

co. 2 e 3). La presenza di una circostanza influisce, in qualche caso, sulla perseguibilità di ufficio, o a querela,

del reato (art. 582, co. 2, 583, 590, co. 5, 646, co. 3 c.p.). Sul piano processuale, le circostanze a effetto speciale

e quelle che comportano una pena di specie diversa concorrono a determinare la competenza (art. 4 c.p.p.) e i

limiti di applicabilità delle misure cautelari personali (art. 278 c.p.p.) e l’obbligo o la facoltà di arresto (art. 379

c.p.p.).

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

c i r c o s t a n z e a e f f e t t o s p e c i a l e : sono quelle circostanze che

comportano un aumento o una diminuzione della pena s u p e r i o r e a d u n

t e r z o 4.

Da notare, infine, che a norma degli artt. 64 e 65, n. 3 c.p., quando la legge non determina

altrimenti la misura dell’aumento o della diminuzione di pena conseguente all’applicazione di

una circostanza aggravante o attenuante, la pena si intende rispettivamente aumentata o

diminuita fino a un terzo.

10.1.2.3.6. Circostanze comuni e speciali

Si definiscono c o m u n i le circostanze, aggravanti o attenuanti, previste nella parte

generale del codice (artt. 61, 62, 112, 114) in quanto potenzialmente applicabili a qualsiasi

reato o, comunque, ad una serie di reati non preventivamente determinati o determinabili.

Si definiscono s p e c i a l i , per contro, le circostanze previste dalla legge con esclusivo

riferimento a singoli reati (es. artt. 625, 628, co. 3, 648, co. 2 c.p.) o a determinati gruppi di

reati (es. art. 311 c.p.).

10.1.2.3.7. Circostanze intrinseche ed estrinseche.

La dottrina distingue, inoltre, le circostanze in “ i n t r i n s e c h e ” e d

“ e s t r i n s e c h e ” , a seconda che ineriscano alla condotta penalmente rilevante, ovvero

siano estranee alla realizzazione del tatto criminoso, attenendo più strettamente alla capacità a

delinquere.

10.1.2.3.8. Circostanze antecedenti, concomitanti e successive

Parte della dottrina distingue anche le circostanze in a n t e c e d e n t i , c o n c o m i t a n t i

e s u c c e s s i v e , a seconda che precedano, accompagnino o seguano la condotta del

soggetto agente.

10.1.2.3.9. Circostanze obbligatorie e facoltative.

Le circostanze vengono, infine, distinte in o b b l i g a t o r i e e f a c o l t a t i v e , a seconda

che il giudice, una volta stabilita l’esistenza della circostanza, debba, o semplicemente possa

far luogo all’aumento o alla diminuzione di pena.

10.1.3. I criteri di imputazione delle circostanze.

I criteri di imputazione delle circostanze sono stati modificati con la legge 7-2-1990, n. 19

che ha inciso sul primo comma dell’art. 59: la vecchia norma stabiliva che le circostanze

operavano obbiettivamente, determinando aumenti o diminuzioni di pena e prescindendo dalla

loro conoscenza o conoscibilità da parte dell’agente.

Tale criterio apparve contrario al principio di colpevolezza e soggettività della

responsabilità penale, soprattutto perché in caso di circostanza aggravante veniva a

determinarsi un aumento di pena senza che l’elemento che lo determinava potesse essere

collegato ad una volontà dell’agente.

4 Le circostanze autonome e le circostanze a effetto speciale sono accomunate da un particolare regime giuridico

nelle ipotesi di concorso omogeneo di circostanze.

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Ver.12-10-2016 94

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.1.3.1. Circostanze attenuanti.

Le c i r c o s t a n z e a t t e n u a n t i sono valutate oggettivamente anche se l’agente non le

conosceva o per errore le riteneva inesistenti (art. 59 1° co. c.p.). Per esse vige ancora, quindi,

a differenza delle circostanze aggravanti, il criterio di imputazione oggettiva.

10.1.3.2. Circostanze aggravanti.

Le c i r c o s t a n z e a g g r a v a n t i sono imputate all’agente secondo il principio di

colpevolezza, cioè sono valutate a suo carico solo se da lui conosciute o ignorate per colpa o

ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (art. 59 2° co. c.p.).

In altri termini della circostanza aggravante può essere fatto carico al reo solo a condizione

che, rispetto ad esso, si possa muovere un rimprovero in termini di colpa.

A questa regime sono soggette tutte le circostanze aggravanti e, pertanto, la regola dell’art.

59, co. 2 concerne anche le ipotesi corrispondenti ai c.d. reati aggravati dall’evento (in

relazione ai quali la formula della conoscenza o conoscibilità della circostanza, che si ricava

dall’art. 59, co. 2, va intesa nel senso della rappresentazione o rappresentabilità dell’evento

stesso come conseguenza della propria azione o omissione).

10.1.3.2.1. I c.d. reati aggravati dall’evento.

Si parla genericamente di r e a t i a g g r a v a t i ( o q u a l i f i c a t i ) d a l l ’ e v e n t o in

tutti i casi nei quali il verificarsi di un determinato evento lesivo, come conseguenza della

condotta del reo (indipendentemente da ogni previsione o volontà), determina l’applicazione

di una pena più grave di quella prevista per la stesse fattispecie di condotta, in assenza

dell’evento, o in presenza di un evento meno grave5.

10.1.4. Applicazione delle circostanze.

10.1.4.1. Nel caso in cui ricorra una sola circostanza.

Quando si deve applicare una sola circostanza, aggravante o attenuante, il procedimento di

applicazione è, ovviamente, assai elementare; ma differisce, tuttavia, a seconda che si tratti di

circostanza a effetto proporzionale o autonoma.

10.1.4.1.1. Nel caso di circostanza a effetto proporzionale.

Nel primo caso, il giudice praticherà l’aumento o la diminuzione in misura proporzionale

(un terzo, la metà, ecc.) sulla pena-base, che avrà preventivamente determinata come se la

circostanza non ricorresse (art. 63 1° co c.p.).

10.1.4.1.1.1. Quando si tratta di una circostanza aggravante: limiti.

Quando si tratta di circostanza aggravante a effetto proporzionale, si ricordi che ai sensi

dell’art. 64: “Quando ricorre una circostanza aggravante, e l’aumento di pena non è

determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il

reato commesso.

Nondimeno, la pena della reclusione da applicare per effetto dell’aumento non può

superare gli anni trenta”.

5 L’art. 243 c.p., ad esempio, nel co. 1 punisce con la reclusione non inferiore a dieci anni la condotta di chi

“tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo

Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo”; nel co. 2 stabilisce che, “se la guerra segue o

se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo “.

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Ver.12-10-2016 95

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.1.4.1.1.2. Quando si tratta di una circostanza attenuante: limiti.

Quando si tratta di circostanza attenuante a effetto proporzionale, si ricordi che ai sensi

dell’art. 65, qualora la diminuzione della pena non è determinata dalla legge :

alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni;

alle altre pene sono diminuite in misura non eccedente un terzo.

10.1.4.1.2. Nel caso di circostanza autonoma.

Quando si tratti di applicare, invece, una circostanza autonoma, poiché in presenza di

questa la pena è fissata dalla legge in modo indipendente da quella prevista per il reato, non

circostanziato - e quindi diversa per specie o per limiti edittali - il giudice procederà a

stabilirne in concreto la misura, tra il minimo e il massimo, come se si trattasse di un reato a

sé stante: utilizzerà, quindi, al riguardo, i criteri indicati nell’art. 133 c.p. per la

commisurazione della pena.

10.1.4.2. Nel caso di concorso di circostanze.

È opportuno distinguere il concorso di circostanze omogenee dal concorso di circostanze

eterogenee.

10.1.4.2.1. Concorso omogeneo di circostanze.

Si ha di c o n c o r s o c . d . o m o g e n e o d i c i r c o s t a n z e , quando ricorrano più

circostanze, tutte aggravanti o tutte attenuanti. A riguardo si possono prospettare tra ipotesi:

quando t u t t e l e c i r c o s t a n z e s o n o e f f e t t o p r o p o r z i o n a l e , la

regola generale, stabilita nell’art. 63, co. 2 c.p. è che i singoli aumenti o

diminuzioni della pena, quale che sia l’ordine in cui si proceda alla valutazione

delle varie circostanze, s i a p p l i c a n o , u n o d i s e g u i t o a l l ’ a l t r o ,

sulla quantità di pena risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente;

quando t u t t e l e c i r c o s t a n z e s o n o a u t o n o m e (cioè stabiliscono

una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato) o a e f f e t t o

s p e c i a l e ., a norma dell’art. 63, co. 4 e 5 c.p., si applicherà s o l t a n t o l a

c i r c o s t a n z a a c u i c o n s e g u a i l m a g g i o r

a g g r a v a m e n t o , o l a m a g g i o r a t t e n u a z i o n e d i p e n a ; ma

il giudice può, rispettivamente, aumentare o diminuire la pena.

quando p a r t e d e l l e c i r c o s t a n z e s o n o a e f f e t t o c o m u n e

e p a r t e s o n o c i r c o s t a n z e a u t o n o m e , o c i r c o s t a n z e a

e f f e t t o s p e c i a l e , a norma dell’art. 63, co. 3 c.p., il giudice dovrà tenere

conto in primo luogo di quest’ultima circostanza, e applicare l’ulteriore (o gli

ulteriori) aumenti o diminuzioni di pena, derivanti dalle circostanze a effetto

comune, calcolandoli sulla pena risultante dall’applicazione delle circostanze a

effetto speciale.

10.1.4.2.1.1. Limiti al concorso di più circostanze aggravanti.

A norma dell’art. 66 c.p., per effetto del cumulo di circostanze aggravanti, comunque

conseguito, la pena da applicare non potrà superare alcuni limiti. In particolare:

quando si tratti di circostanze ad effetto comune: la pena da applicare non può

eccedere il triplo del massimo stabilito per il reato semplice;

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

quando si tratti di circostanze a effetto speciale, la pena non potrà comunque

eccedere:

o gli anni trenta, se si tratta della reclusione;

o gli anni cinque; se si tratti di arresto;

o e, rispettivamente, diecimilatrecentoventinove euro o

duemilasessantacinque euro, se si tratta della multa o dell’ammenda;

ovvero, rispettivamente, trentamilanovecentottantasette euro o

seimilacentonovantasette euro, se il giudice si avvale della facoltà di

aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133bis.

10.1.4.2.1.2. Limiti al concorso di più circostanze attenuanti.

I limiti delle diminuzioni di pena, nell’ipotesi di concorso di più circostanze attenuanti,

sono stabiliti dall’art. 67 c.p., a norma del quale, la pena da applicare quando concorrono più

circostanze attenuanti, non può essere comunque inferiore agli anni dieci, quando per il delitto

la legge stabilisce la pena dell’ergastolo e, sempre che si tratti di circostanze a effetto comune,

non può risultare inferiore ad un quarto della pena-base.

10.1.4.2.2. Concorso eterogeneo di circostanze.

Si ha c o n c o r s o e t e r o g e n e o d i c i r c o s t a n z e quando nel medesimo reato

concorrano contemporaneamente circostanze aggravanti e attenuanti.

Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 69 c.p. il quale prevede che le c i r c o s t a n z e

e t e r o g e n e e n o n p o s s o n o m a i a p p l i c a r s i c o n g i u n t a m e n t e . A norma

dell’art. 69, infatti, il giudice deve in ogni caso procedere ad un giudizio di comparazione fra

le due serie di circostanze contrapposte.

In particolare qualora le aggravanti sono ritenute prevalenti6 (g i u d i z i o d i

p r e v a l e n z a ), non si tiene conto della diminuzione di pena stabilita per le attenuanti, e

viceversa.

Ne caso in cui, invece, vi sia equivalenza (g i u d i z i o d i e q u i v a l e n z a ) tra

aggravanti ed attenuanti si applica la pena che sarebbe stata inflitta senza il concorso di alcuna

circostanza.

Con l’entrata in vigore del D.L. n. 99/74 il giudizio di prevalenza o di equivalenza è

ammesso anche per le circostanze per le quali la legge prevede una pena di specie diversa o

determina la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato ed ancora per quelle

inerenti alla persona del colpevole (imputabilità, recidiva).

10.1.4.2.3. Concorso apparente di circostanze.

Il c o n c o r s o a p p a r e n t e d i c i r c o s t a n z e a g g r a v a n t i o a t t e n u a n t i è in

realtà disciplinato direttamente dall’art. 15 c.p. (espressamente richiamato dall’art. 68) che,

regola in via generale il fenomeno del concorso di norme, assegnando in ogni caso efficacia

esclusiva alla norma che abbia, rispetto all’altra, o alle altre norme, carattere di specialità, per

6 Questo modus procedendi, secondo la normativa attualmente vigente, opera del tutto indipendentemente dal

numero, dalla natura e dal carico di valore o disvalore giuridico delle singole circostanze, aggravanti o

attenuanti.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

il fatto di prevedere uno o più elementi o requisiti ulteriori (c.d. specializzanti) rispetto alle

norme concorrenti.

10.1.4.2.4. Ipotesi in cui ricorrano più circostanze, una delle quali “contiene in se un’altra

circostanza”.

L’ari. 68 c.p. disciplina anche il caso del concorso fra circostanze, una delle quali sia

compresa nell’altra e stabilisce che, in tal caso, si applica soltanto la circostanza che comporti,

rispettivamente, il maggior aumento o la maggiore diminuzione di pena.

Nell’ipotesi che le circostanze concorrenti importino lo stesso aumento o la stessa

diminuzione di pena, a norma dell’art. 68, co. 2, «si applica un solo aumento o una sola

diminuzione di pena»7.

10.1.5. Le singole circostanze.

10.1.5.1. Circostanze aggravanti comuni.

Sono circostanze a g g r a v a n t i c o m u n i , quelle la cui applicazione comporta un

a u m e n t o d e l l a p e n a f i n o a u n t e r z o , secondo le regole, e con i limiti degli artt.

63, 64 e 66 c.p. Esse sono ai sensi dell’art. 61 c.p.:

l’avere agito per motivi abietti8 e futili9 (soggettiva);

l’avere commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per

conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la

impunità di un altro reato10 (soggettiva);

l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento (soggettiva)11;

7 In verità, posto che si tratta di una ipotesi diversa, per definizione, da quelle riconducibili al rapporto di

“specialità” ex art. 15, risulta particolarmente problematico definire e circoscrivere il rapporto di continenza a

cui si riferisce l’art. 68. La dottrina tende a identificarlo con il rapporto c.d. di interferenza, o di specialità

reciproca, nel senso che esse presentano un nucleo comune ed elementi reciprocamente eterogenei, che, in

concreto, potrebbero essere tutti contemporaneamente presenti. 8 È a b i e t t o il motivo considerato, secondo il comune sentire, ripugnante e spregevole.

9 È f u t i l e il motivo sproporzionato rispetto all’azione delittuosa tanto da apparire un pretesto più che la causa

determinante del reato. 10

L’aggravante, che ha natura soggettiva, regola il fenomeno della c o n n e s s i o n e t r a r e a t i , sotto il

duplice profilo teleologico e conseguenziale; e punisce una più intensa criminosità della condotta dell’agente, la

cui determinazione soggettiva nella consumazione del reato-fine è manifestata dal rifiuto di arretrare di fronte

all’eventualità di perpetrare altro reato. In particolare, si ha c o n n e s s i o n e t e l e o l o g i c a quando un

reato (c.d. reato-mezzo) è commesso al fine di eseguirne un altro (c.d. reato-fine) (es.: porto abusivo d’arma per

commettere un omicidio). Non è necessario che il reato-fine sia effettivamente commesso, e qualora ciò

avvenisse avremmo un concorso di reati. Si ha invece c o n n e s s i o n e c o n s e g u e n z i a l e quando un

reato è commesso al fine di occultarne un altro o per assicurare a sé o ad altri, il prezzo, il prodotto, il profitto o

l’impunità di un altro reato (es.: occultamento di cadavere dopo la commissione di un omicidio). Particolarmente

problematica risulta la compatibilità tra l’aggravante in esame e il reato continuato, specie dopo la l. 200/1974

che ha esteso l’applicazione di tale figura anche alle ipotesi di più violazioni di diverse disposizioni di legge.

Mentre, infatti, la giurisprudenza continua a considerare compatibile tale circostanza con la continuazione nel

reato, sulla base della diversa natura del nesso teleologico o conseguenziale e dell’unicità del disegno criminoso,

la dottrina esclude tale compatibilità in quanto si aumenterebbe all’interno di uno stesso ordinamento, che un

medesimo fenomeno (quale la connessione di più reati) possa al contempo dar luogo ad un trattamento più

favorevole (continuazione) ed a un aumento di pena (aggravante). Peraltro, con riferimento al fenomeno della

connessione conseguenziale, tale compatibilità risulta esclusa solo laddove i reati connessi rientrino

nell’originario disegno criminoso. 11

Trattasi della c.d. c o l p a c o s c i e n t e , che ricorre quando l’evento, non voluto né considerato di sicuro

accadimento, si presenti come altamente possibile e probabile in riferimento alla condotta posta in essere. È il

caso del conducente d’auto che, confidando nella propria abilità, guida in maniera spericolata, producendo così

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

l’aver adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone (oggettiva)12;

l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la

pubblica o privata difesa (oggettiva)13;

l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è volontariamente

sottratto alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura odi

carcerazione spedito per un precedente reato (soggettiva);

l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio,

ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal

reato un danno patrimoniale di rilevante gravità (oggettiva);

l’aver aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso

(controversa)14;

l’aver commesso il fatto con abuso di poteri, o con violazione di doveri inerenti ad

una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un

culto (soggettiva)15;

l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di

un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un

culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno

Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio

(oggettiva);

l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero

con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di

ospitalità (soggettiva);

l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio

nazionale;

l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore

all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione.

un evento lesivo, che, sebbene prevedibile, era convinto di poter scongiurare proprio grazie alla sua abilità. La

colpa cosciente è compatibile con l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale. 12

Per «s e v i z i e » si intende l’inflizione di sofferenze fisiche non necessarie per la realizzazione del reato (ad

esempio, torturare senza necessità un sequestrato); mentre l’estremo della «cr u d e l t à » ricorre quando si

infliggono sofferenze di ordine morale, contrastanti col sentimento di umanità ed esorbitanti dai mezzi necessari

per la esecuzione del reato (ad es. costringere la vittima designata a scavarsi la fossa). 13

È circostanza di natura oggettiva, che va tradizionalmente sotto il nome di aggravante della «m i n o r a t a

d i f e s a ». Le condizioni che determinano la minore capacità di difesa o autodifesa devono essere note

all’agente, tanto è vero che la legge richiede che di esse il colpevole abbia «profittato». La minorata difesa può

riferirsi, come si evince agevolmente dal tenore letterale della norma, a condizioni inerenti al «luogo» in cui il

fatto viene realizzato (si pensi alla sottrazione di oggetti da una casa abbandonata in tutta fretta dai suoi abitanti a

seguito di una calamità naturale), al «tempo» (ad es. la notte), o alle «persone» (si pensi all’aggressione ai danni

di una persona incapace di difendersi o di reagire, come ad es. chi si trova con un braccio o una gamba

ingessata). 14

Gli esempi proposti in dottrina e in giurisprudenza sono quelli di chi ostacola i soccorsi dopo un ferimento,

ovvero rimuove un bendaggio con cui la vittima cerca di tamponare la ferita, o del calunniatore che si adopera

per far arrestare il calunniato. 15

Questa aggravante, di natura soggettiva, si applica ovviamente solo quando l’abuso non rappresenti già

elemento costitutivo del reato base.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.1.5.2. Circostanze attenuanti comuni.

Il catalogo delle a t t e n u a n t i c o m u n i , alla cui applicazione consegue, per ciascuna

di esse, la d i m i n u z i o n e d e l l a p e n a f i n o a u n t e r z o (art. 65 c.p., con le

varianti e i limiti di cui ai successivi artt. 66 e 67) è contenuto nell’art. 62 c.p., che elenca le

seguenti circostanze:

l’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale (soggettiva)16;

l’avere reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui (soggettiva)17;

l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni

o assembramenti vietati dalla legge o dall’autorità, e il colpevole non. è delinquente

o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza (soggettiva);

l’avere, nei delitti contro il patrimonio, cagionato alla persona offesa un danno

patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro,

l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale

tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità

(oggettiva);

l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del

colpevole il fatto doloso della persona offesa (oggettiva)18;

l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento

di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del

giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’ari. 56, adoperato

spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o

pericolose del reato (oggettiva).

16

Sono di particolare valore morale e sociale quei motivi che non solo godono dell’approvazione della coscienza

comune, ma risultano altresì apprezzabili sotto il profilo etico o sociale. La circostanza ha carattere soggettivo,

concernendo l’intensità del dolo. Secondo alcuni l’attenuante ricorre, ad esempio, in caso di eutanasia. La

giurisprudenza ha escluso l’applicazione dell’attenuante nei seguenti casi: causa d’onore (Cass. I, 8-2-88);

necessità di sopperire ai bisogni familiari (Cass. IV, 17-8-89); movente della gelosia (Cass. V, 4-7-91); motivo

politico animato da finalità eversive o terroristiche (Cass. I, 14-7-89); ritorsione e vendetta (Cass. VI, 18-11-88). 17

Tale circostanza attenuante avente natura soggettiva, ricorre sotto la definizione di p r o v o c a z i o n e .

Essa consta di due elementi essenziali: l’uno, soggettivo, inerisce allo s t a t o d ’ i r a , che determina

nell’agente un impulso emotivo incontrollabile, fonte della condotta criminosa; l’altro, oggettivo, è relativo al

f a t t o i n g i u s t o a l t r u i che tale stato emotivo ha determinato nell’autore del reato. L’ingiustizia del

fatto, che deve essere oggettivamente riscontrabile, è tale non solo sotto il profilo strettamente giuridico, ma

anche per quanto concerne il rispetto delle regole della civile convivenza. Tali elementi, oltre che logicamente,

sono legati anche sotto il profilo cronologico: non si richiede tuttavia che tra di essi vi sia un legame di

immediatezza, potendo intervenire la reazione dell’agente anche dopo un intervallo di tempo più prolungato,

purché ciò non spezzi la relazione con l’ingiusto comportamento del provocatore. L’attenuante in parola non è

stata riconosciuta nei seguenti casi: nel reato di rissa (Cass. I, 14-12-92); a favore di chi ha patito l’interruzione

di una relazione sentimentale (Cass. I, 19-12-84); a favore di chi s’è visto rifiutare la proposta di regolarizzare,

mediante il matrimonio, in un’unione di fatto (Cass. I, 19-1-87); a favore di chi abbia dato origine all’altrui

provocazione con un proprio comportamento ingiusto o in caso di reciproche provocazioni (Cass. I, 24-10-96). È

stata, invece, riconosciuta nei seguenti casi: infedeltà coniugale (Cass. I, 4-12-92); mancato adempimento di

un’obbligazione in relazione al modo della sua esteriorizzazione (Cass. I, 7-3-88). 18

Tale attenuante richiede che la vittima del reato ponga in essere una condotta volontaria che si inserisca quale

antecedente causale dell’evento, nella serie delle cause determinatrici del fatto.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.1.5.3. Le attenuanti “generiche”.

L’a r t . 6 2 b i s d e l c . p . stabilisce che: “Il giudice, indipendentemente dalle

circostanze prevedute nell’art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse,

qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in

ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può

anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto art. 62”.

10.1.5.3.1. Natura giuridica.

Le a t t e n u a n t i g e n e r i c h e sono circostanze:

c o m u n i : essendo a queste interamente assimilate nel regime giuridico;

i n d e f i n i t e e d i s c r e z i o n a l i : essendo rimessa al giudice la ricerca e

l’apprezzamento del valore attenuante;

o b b l i g a t o r i e e n o n f a c o l t a t i v e n e l l ’ a p p l i c a z i o n e : nel senso

che, una volta riconosciuta l’esistenza del dato circostanziale suscettibile di essere

apprezzato a titolo di attenuanti generiche, il giudice deve obbligatoriamente

tenerne conto per la diminuzione della pena.

o g g e t t i v e e s o g g e t t i v e : trattandosi di circostanze individuale volta a volta

in relazione alla concretezza del singolo caso, le attenuanti non possono essere

definite a priori oggettive e soggettive.

sono c o n s i d e r a t e i n o g n i c a s o c o m e u n a s o l a c i r c o s t a n z a

che può concorrere cori una o più delle circostanze dell’art. 62. Tali «circostanze»

possono ricercarsi ovunque e perciò anche fuori dei criteri individuati dall’articolo

133 attraverso un’analisi completa e concreta del singolo fatto (es.: la gelosia di un

giovane che esasperato dalla civetteria della fidanzata la uccide, può costituire o

non un valore attenuante, ai sensi dell’art. 62bis, a seconda delle circostanze

dell’episodio, che deve essere valutato nella sua concretezza e complessità).

10.2. Delitto tentato.

10.2.1. Nozione di delitto tentato o tentativo.

Il d e l i t t o t e n t a t o o t e n t a t i v o ricorre quando il reato si presenti incompiuto: o

perché non si è realizzata la lesione di beni a cui la condotta era diretta (Tizio esplode un

colpo di fucile contro Caio ma sbaglia la mira e il colpo va vuoto): o perché la stessa condotta

esecutiva del reato non è portata a compimento (Sempronio si introduce in una appartamento

per rubare, ma viene sorpreso e messo in fuga dal proprietario mentre fruga nei cassetti, prima

ancora di essersi impossessato di alcunché).

10.2.2. La rilevanza del delitto tentato nel nostro ordinamento.

È chiaro che il d e l i t t o t e n t a t o rappresenta un i p o t e s i d i e s t e n s i o n e d e l l a

t i p i c i t à , nel senso che l’ordinamento dichiara ugualmente punibili condotte che, in quanto

privi dell’elemento “evento dannoso” non potrebbero di per sé integrare la fattispecie di un

reato.

Tuttavia va evidenziato che a differenza di altri ordinamenti - in cui la punibilità o non

punibilità del tentativo è espressamente sancita con riferimento ai singoli reati - il legislatore

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

italiano ha optato per una generalizzazione della rilevanza penale del tentativo (in presenza di

determinati requisiti).

La fattispecie generale e astratta del «delitto tentato» scaturisce dalla combinazione delle

singole ipotesi di delitto, incriminate nella parte speciale del codice, con lo schema generale,

delineato nell’art. 56 c.p. (in mancanza del quale il tentativo di un delitto non sarebbe

punibile, per carenza di tipicità).

La fattispecie del tentativo, quindi, non è pensabile, a prescindere dai singoli tipi di delitto:

in altre parole, non è configurabile una fattispecie «astratta» di delitto tentato, ma solo

fattispecie di tentato omicidio, tentata truffa, tentata violenza carnale, ecc.

Nonostante la dipendenza strutturale dalla corrispondente ipotesi di delitto consumato, la

fattispecie del delitto tentato è tuttavia da considerarsi come fattispecie autonoma, dotata di

una sua specifica tipicità e contrassegnata da una autonoma cornice edittale di pena, sia pure

determinata, per relationem, attraverso il riferimento alla pena prevista per il reato consumato.

A ciò si allude quando si sottolinea che il delitto tentato è, a suo modo, un delitto perfetto,

in quanto costituito da un determinato fatto tipico (risultante dalla combinazione dell’art. 56

con le singole norme incriminatrici della parte speciale), dotato di un suo peculiare contenuto

di offesa, a cui accedono gli ulteriori predicati dell’antigiuridicità e della colpevolezza19.

10.2.3. Ambito di operatività del delitto tentato rispetto al procedimento di realizzazione di

un reato.

Per individuare l’ambito di operatività della figura in esame, occorre precisare che ogni

reato è il risultato dì un particolare procedimento, costituito da quattro fasi:

quella della ideazione del reato;

la fase di preparazione dello stesso (fase meramente eventuale propria dei reati di

particolare complessità);

quella esecutiva (che corrisponde alla attivazione, o al non impedimento, dei

decorsi causali che conducono, sul piano oggettivo, alla produzione dell’offesa);

ed, infine, la fase della consumazione (che coincide con il momento della

produzione dell’offesa del bene protetto, nella forma del danno o in quella del

pericolo)20.

19

Dal generale riconoscimento del delitto tentato come autonomo titolo di reato si fanno derivare effetti giuridici

non irrilevanti: si ritiene, infatti, comunemente, che le conseguenze giuridiche normativamente connesse alla

consumazione di un delitto non possano intendersi automaticamente estese alla corrispondente ipotesi di delitto

tentato. In mancanza di una espressa previsione normativa, ad esempio, tutte le volte che la legge fa riferimento,

per un determinato effetto, alla misura della pena (per es., in materia di amnistia, prescrizione del reato, pene

accessorie, ecc.), dovrà aversi riguardo alla cornice di pena relativa all’ipotesi del delitto tentato, e non a quella

del delitto consumato, per stabilire la disciplina delle ipotesi di tentativo. 20

Un r e a t o si dice “c o n s u m a t o ” quando sono stati realizzati tutti gli estremi descritti dalla norma

incriminatrice che lo prevede, compreso l’evento che incorpora, per così dire, la lesione del bene protetto; e,

quando si tratti di reati c.d. di mera condotta (cioè privi di evento in senso naturalistico), quando sia stata

realizzata la condotta per intero la condotta incriminata. In altri termini il r e a t o è p e r f e t t o quando si

sono verificati tutti i requisiti della norma incriminatrice, mentre si consuma quando raggiunge la massima

gravità concreta.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

In virtù del principio per cui «cogitationis poenam nemo patitur», l’attività che non vada

oltre la prima fase non assume rilevanza per il diritto penale, neanche nella forma del

tentativo.

Mentre l’avvenuta consumazione del reato sottrae ogni spazio di rilevanza alla figura del

tentativo, e alla relativa disciplina che, per definizione, concerne le ipotesi in cui il fatto tipico

non è stato realizzato per intero. L’ambito della rilevanza giuridica del tentativo ha dunque a

che fare con i due stadi intermedi della realizzazione criminosa.

10.2.4. Struttura.

L’art. 56 1°co. afferma che: “C h i c o m p i e a t t i i d o n e i i n m o d o n o n

e q u i v o c o a c o m m e t t e r e u n d e l i t t o , r i s p o n d e d i d e l i t t o

t e n t a t o , s e l ’ a z i o n e n o n s i c o m p i e o l ’ e v e n t o n o n s i

v e r i f i c a ”.

10.2.4.1. Fattispecie oggettiva.

Dall’art. 56 c.p. si ricavano agevolmente, almeno in via di prima approssimazione, gli

elementi costitutivi essenziali della fattispecie di delitto tentato, vale a dire i requisiti della

condotta punibile come tentativo. Essi sono:

la idoneità degli atti compiuti a realizzare il delitto alla cui consumazione essi erano

diretti;

la direzione «non equivoca» degli atti compiuti alla commissione del delitto in

questione;

la mancata consumazione del delitto o l’interruzione della stessa condotta tipica,

per cause diverse da una volontaria risoluzione dell’agente.

10.2.4.1.1. L’idoneità degli atti.

A norma dell’art. 56 c.p., come sappiamo, per la punibilità del tentativo si richiede il

compimento di «a t t i i d o n e i » a commettere un delitto.

Questo essenziale requisito del «delitto tentato» si inquadra in modo del tutto coerente

nella concezione, accolta nel nostro sistema penale, del reato come lesione o messa in

pericolo di un bene giuridico.

La condotta punibile come tentativo, in altre parole, deve presentare, accanto al disvalore

di azione, impresso alla condotta dalla direzione soggettiva degli atti, anche uno specifico

disvalore di evento, corrispondente al pericolo di lesione a cui il bene tutelato si è trovato

esposto, per effetto del compimento di atti rivolti a realizzare il fatto tipico di un determinato

delitto.

Dal punto di vista dommatico, l’inidoneità degli atti21 di tentativo si configura, perciò,

come una causa di esclusione della fattispecie del delitto tentato, così come delineata nell’art.

56.

Ma quali sono i criteri di giudizio e i parametri valutativi, alla cui stregua deve essere

apprezzata l’idoneità degli atti, nel delitto tentato?

21

Va precisato che il requisito dell’idoneità va riferito agli atti e non ai mezzi utilizzati per realizzarli, in quanto

il mezzo, in se stesso, non può essere idoneo o inidoneo (si pensi al classico esempio dell’acqua zuccherata che è

inidonea ad avvelenare una persone ma che può ben cagionare la morte di un diabetico).

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

Lo schema del giudizio in base al quale si stabilisce l’idoneità degli atti di tentativo a

realizzare il reato, è quello della c.d. «p r o g n o s i p o s t u m a » di cui si è già parlato a

proposito dei reati di pericolo concreto.

Si tratta di una valutazione che è doppiamente caratterizzata dal fatto di essere, da un lato,

un giudizio che viene formulato ex post e, dall’altro, un giudizio, appunto, «prognostico» che,

r i p o r t a n d o s i i d e a l m e n t e a l l a s i t u a z i o n e e x a n t e , deduce dalle

circostanze esistenti in quel momento la verosimiglianza di una probabile verificazione del

fatto che l’agente si proponeva di realizzare con la sua condotta.

Il relativo giudizio si configura, dunque, come prognosi di rilevante possibilità della

lesione (o della concreta messa in pericolo) del bene tutelato e deve tener conto di tutte (e

soltanto) le circostanze effettivamente esistenti e note all’agente, al momento del compimento

dell’ultimo atto della serie causale posta in essere, ai fini della produzione del risultato a cui la

condotta mirava.

In altre parole, il giudice, collocandosi idealmente nella posizione in cui l’agente si trovava

al momento del fatto, dovrà accertare, sulla base delle conoscenze di un uomo medio (il c.d.

agente modello), eventualmente «arricchite» delle ulteriori conoscenze dell’autore, se gli atti

compiuti, tenuto conto delle circostanze concrete del fatto, rendevano probabile la

consumazione del reato, come effetto della condotta dell’autore.

10.2.4.1.2. L’univocità degli atti.

Per la punibilità del tentativo, oltre l’idoneità degli atti, l’art. 56 richiede che essi siano

“ d i r e t t i i n m o d o n o n e q u i v o c o ” a l l a c o m m i s s i o n e d i u n d e l i t t o .

Negli orientamenti più recenti della dottrina, si ritiene che i comportamenti sono univoci

“allorquando, considerati in sé medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro

natura ed essenza, rilevino - secondo le norme di esperienza - l’intenzione, il fine

dell’agente”.

10.2.4.1.3. La mancata consumazione del delitto.

Un altro elemento della fattispecie oggettiva è la m a n c a t a c o n s u m a z i o n e d e l

d e l i t t o . Rispetto a tale elemento si opera una distinzione tra: I) tentativo compiuto; II)

tentativo incompiuto22.

10.2.4.1.3.1. Tentativo compiuto.

Si ha t e n t a t i v o c o m p i u t o quando l’intera azione tipica sia stata compiuta, senza

però che ne sia seguito l’evento avuto di mira dall’agente (es., taluno esplode contro un terzo,

a scopo omicida, uno o più colpi di pistola, che vanno però a vuoto).

10.2.4.1.3.2. Tentativo incompiuto.

Si ha t e n t a t i v o i n c o m p i u t o quando condotta tipica sia stata realizzata solo

parzialmente (ad es., un ladro viene sorpreso dalla forza pubblica mentre sta perforando con la

fiamma ossidrica una cassaforte allo scopo di asportarne il contenuto).

22

Le due ipotesi sono del tutto assimilate per quanto attiene alle sanzioni applicabili, a differenza di quanto era

stabilito nel c.p. del 1889, che distingueva espressamente - anche ai fini della pena, la figura del delitto tentato

(corrispondente al tentativo “incompiuto”) da quella del delitto mancato (corrispondente al tentativo “perfetto”).

La distinzione fra tentativo compiuto e tentativo incompiuto ha importanza, come vedremo, soprattutto in

rapporto alla configurabilità della c.d. desistenza volontaria.

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Ver.12-10-2016 104

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.2.4.2. Fattispecie soggettiva.

I l t e n t a t i v o è p u n i b i l e e s c l u s i v a m e n t e a t i t o l o d i d o l o , non solo

perché manca la previsione espressa della punibilità colposa richiesta dal terzo comma

dell’art. 42, ma soprattutto perché “atti diretti in modo non equivoco” possono essere solo

quelli dolosi.

Il d o l o n e l t e n t a t i v o , inoltre, deve essere quello del reato consumato: non è

concepibile, infatti, il dolo in quanto tale: quindi, se io sparo verso Tizio volendo solo

“tentare” l’omicidio, non risponderò di tentato omicidio ma, eventualmente, di altro reato,

quale ad esempio la minaccia grave.

Si sottolinea, però, che l’accertamento del dolo, a differenza che nel delitto consumato,

precede, e non segue, la valutazione che concerne la rilevanza degli elementi della fattispecie

oggettiva. Solo in rapporto al fine perseguito dall’agente, e in relazione al suo concreto piano

di azione, è possibile infatti stabilire l’idoneità e l’univocità degli atti compiuti.

10.2.5. Campo di applicazione.

10.2.5.1. Casi in cui è ammesso.

È ammissibile il tentativo:

nei r e a t i d i p e r i c o l o a s t r a t t o o p r e s u n t o : essendo

perfettamente ipotizzabile (e del tutto giustificabile da un punto di vista politico-

criminale) la rilevanza di atti idonei, univocamente diretti a produrre la situazione

normativamente ritenuta pericolosa, che per un intervento esterno siano bloccati sul

nascere. Si pensi a chi viene sorpreso e bloccato mentre sta cospargendo di benzina

una costruzione, allo scopo di appiccarvi il fuoco (cfr. art. 423, co. 1, c.p.).

nei d e l i t t i o m i s s i v i i m p r o p r i (o commissivi mediante omissione):

nei quali, secondo la dottrina, il delitto tentato è configurabile sia nella forma del

tentativo compiuto che in quella del tentativo incompiuto. Si pensi alla madre che

ometta di nutrire il proprio bambino, allo scopo di farlo morire, senza tuttavia

riuscire nell’intento;

nei r e a t i d i p u r a c o n d o t t a (senza evento materiale): in tali cassi

ovviamente il delitto tentato è, configurabile s o l o n e l l a f o r m a d e l

t e n t a t i v o i n c o m p i u t o (sempre che gli atti compiuti risultino idonei,

rispetto ai successivi sviluppi dell’iter criminis, così come progettati dall’autore),

perché se la condotta descritta dalla norma incriminatrice si è interamente

realizzata, in presenza della idoneità e univocità degli atti compiuti, c’è quanto

basta per la consumazione del reato;

nei r e a t i u n i s u s s i s t e n t i : in tali casi il delitto tentato è concepibile,

s o l o n e l l a f o r m a d e l t e n t a t i v o p e r f e t t o (o delitto mancato):

per la configurabilità del tentativo incompiuto (o delitto tentato in senso stretto) si

richiede infatti che la condotta si configuri come un iter criminis frazionabile, così

da potersi concepire la interruzione dell’azione esecutiva.

nei r e a t i a b i t u a l i : a riguardo pur con qualche perplessità, si ammette la

configurabilità del tentativo, in base al rilievo che è possibile ipotizzare il

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

compimento, «senza successo, di atti idonei e diretti in modo non equivoco a

commettere quei fatti che, da soli o aggiungendosi ai precedenti, avrebbero

integrato la serie minima richiesta per l’esistenza del reato abituale»;

nei r e a t i p e r m a n e n t i : sempre che la condotta esecutiva sia frazionabile e

l’interruzione dell’iter criminis intervenga prima che si realizzi la situazione, il cui

instaurarsi e la cui eventuale permanenza nel tempo corrisponde alla peculiare

forma in cui si manifesta la consumazione di questo tipo di reato. Un tentato

sequestro di persona, dunque, è configurabile solo se l’iniziativa fallisca sul

nascere, ad esempio per la resistenza della vittima mentre si tenta di trascinarla via.

10.2.5.2. Casi in cui non è ammesso.

Invece n o n è a m m i s s i b i l e i l t e n t a t i v o :

n e l l e c o n t r a v v e n z i o n i , riferendosi l’art. 56 ai soli delitti23;

nei d e l i t t i d i a t t e n t a t o 24, poiché il quid richiesto in questi casi per

configurarsi tentativo punibile è già sufficiente alla consumazione del delitto;

nei r e a t i d i p e r i c o l o c o n c r e t o : perché in questi tipi di illecito la

condotta che determina l’insorgere di un pericolo di lesione per il bene giuridico

assume ber ciò solo rilevanza come reato consumato;

nei d e l i t t i o m i s s i v i p r o p r i (o puri): l’opinione tradizionale è orientata

ad escludere l’ammissibilità del tentativo, in base al rilievo che, se il termine utile

per compiere l’azione doverosa non è ancora scaduto, il non averla compiuta non

implica ancora violazione dell’obbligo mentre, una volta scaduto il termine, il reato

è consumato25;

nei d e l i t t i c o l p o s i (come evidenziato in precedenza), dal momento che la

condotta colposa, per definizione, non può consistere in «atti (...) diretti (...) a

commettere» un delitto.

nei d e l i t t i p r e t e r i n t e n z i o n a l i : in questo caso il tentativo non è mai

configurabile poiché la relativa fattispecie è costituita proprio dalla condotta tipica

di un delitto minore, che ha però come conseguenza, l’evento di un delitto più

grave. Il delitto più grave è infatti un delitto consumato, rispetto al quale

23

La dottrina riconduce questa limitazione - oltre che alla generica minor gravità delle contravvenzioni - anche

al fatto che le contravvenzioni rappresentano, per lo più, forme anticipate di tutela di determinati beni giuridici,

strutturalmente, perciò, non compatibili con la figura del tentativo. 24

Vengono denominati anche d e l i t t i a c o n s u m a z i o n e a n t i c i p a t a , in quanto sono delitti

consistenti in atti diretti a ledere il bene protetto e dalla legge elevati a delitti perfetti, mentre potrebbero

costituire tutt’al più un tentativo o anche meno di un tentativo, come quando la legge richiede solo la direzione

degli atti e non anche l’idoneità e la univocità. Tali delitti hanno la finalità di anticipare la soglia di tutela del

bene protetto, apprestando una sanzione punitiva più intensa per la sola messa in pericolo del bene stesso,

solitamente di notevole rilevanza. 25

Nella dottrina più recente, emerge tuttavia la tendenza a ritenere configurabile il tentativo anche nei delitti

omissivi propri, con riguardo essenzialmente alle ipotesi in cui l’obbligato, prima della scadenza del termine,

compia atti positivi idonei diretti in modo non equivoco a rendere impossibile l’adempimento: come nel caso del

p.u. che predisponga la propria partenza per un lontano paese in coincidenza con la scadenza del termine utile

per il compimento di un atto dovuto; o di chi, essendo tenuto al soccorso ex art. 593 c.p., tenti di allontanarsi dal

luogo di un incidente, ma venga costretto dai presenti a prestare il dovuto soccorso.

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mancavano, comunque, gli atti «diretti a» realizzarlo; mentre gli atti diretti a

realizzare il delitto minore ripetono la loro peculiare rilevanza dal fatto di aver

cagionato un evento «più grave» di quello voluto, restando con ciò esclusa, a norma

dell’art. 15 c.p., la loro rilevanza come atti di tentativo.

10.2.6. Trattamento sanzionatorio.

Le pene per il delitto tentato sono più lievi rispetto al reato consumato: infatti, in base

all’art. 56 2° comma, al tentativo si applica: I) la reclusione non inferiore a 12 anni, se per il

reato consumato è stabilito l’ergastolo; II) la pena diminuita da 1/3 a 2/3, negli altri casi.

10.2.6.1. Tentativo e circostanze.

La regola generale, in materia di r a p p o r t i t r a d e l i t t o t e n t a t o e

c i r c o s t a n z e , è quella della compatibilità tra delitto tentato e tutte le circostanze

(aggravanti o attenuanti), ad esclusione soltanto di quelle concernenti un’attività che

nemmeno parzialmente sia stata posta in esecuzione e di quelle che presuppongono l’avvenuta

consumazione del reato.

A fronte di tale impostazione la dottrina più moderna distingue tra: I) tentativo

circostanziato di delitto: II) tentativo di delitto circostanziato.

10.2.6.1.1. Tentativo circostanziato di delitto.

Il t e n t a t i v o c i r c o s t a n z i a t o d i d e l i t t o ricorre quando le circostanze

riguardano direttamente il tentativo e sono compiutamente realizzate nel contesto della stessa

azione tentata: o perché preesistente all’azione stessa (quando si tratti, ad esempio, di qualità

personali, dei motivi a delinquere, .dei rapporti fra il colpevole e l’offeso); o perché

l’accompagna nel suo svolgersi (tempo, luogo, modalità esecutive della condotta)

In questi casi, l’aumento o la diminuzione di pena che consegue alla applicazione della

circostanza opera non sulla pena base prevista per il reato consumato, ma su quella stabilita

per il delitto tentato.

10.2.6.1.2. Tentativo di delitto circostanziato.

Al t e n t a t i v o d i d e l i t t o c i r c o s t a n z i a t o appartengono invece i casi in cui

viene in questione il tentativo di un delitto che, se fosse pervenuto alla consumazione, sarebbe

stato qualificato da una o più circostanze aggravanti o attenuanti: si pensi, per tutte, alla

circostanza aggravante del danno patrimoniale di particolare gravità e alla contrapposta

attenuante del danno di lieve entità.

Parte della dottrina e la giurisprudenza prevalente ammettono tale figura, poiché l’art. 56

c.p. può combinarsi non solo con le figure tipiche di reati semplici, ma anche con quelle

circostanziate: ne consegue che tutte le circostanze inerenti al delitto voluto sono applicabili al

tentativo, ad eccezione di quelle che presuppongono la consumazione (ad esempio, la

restituzione della cosa ex art. 62, n. 6).

10.2.7. Desistenza e recesso.

10.2.7.1. La desistenza volontaria dal tentativo.

10.2.7.1.1. Nozione.

Per d e s i s t e n z a v o l o n t a r i a a l t e n t a t i v o , si intende l’interruzione volontaria

dell’attività criminosa da parte dell’agente prima del compimento dell’intera condotta.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

Essa rappresenta quindi una speciale ipotesi di non punibilità degli atti di tentativo.

10.2.7.1.2. Trattamento sanzionatorio.

Il t e r z o c o m m a d e l l ’ a r t . 5 6 c . p . stabilisce: “Se il colpevole volontariamente

desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi

costituiscano per sé un reato diverso”.

Naturalmente, è fatta salva la responsabilità del “colpevole” per il reato diverso, che egli

abbia eventualmente realizzato, prima di interrompere il tentativo del delitto che aveva di

mira.

Chi, ad esempio, interrompe un’azione di furto che implichi l’effrazione di una serratura,

risponderà di “danneggiamento” (art. 635 c.p.), se avrà desistito dopo aver danneggiato più o

meno gravemente la serratura stessa.

10.2.7.1.3. Ambito di applicazione: solo del tentativo incompiuto

La formulazione dell’art. 56 rende manifesto che la speciale ipotesi di irrilevanza degli atti

di tentativo, in esso prevista, concerne esclusivamente la figura del t e n t a t i v o

i n c o m p i u t o (o delitto tentato in senso stretto) mentre è strutturalmente incompatibile con

l’ipotesi del c.d. delitto mancato.

Non è possibile, infatti, “desistere” da un’azione che si è già compiuta per intero. Chi ha

definitivamente liberato le energie causali dirette alla produzione dell’evento, può soltanto,

con una nuova azione, impedire il verificarsi dell’evento: ipotesi, questa, prevista dai

successivo co. 4 dell’art. 56.

10.2.7.1.4. La desistenza nei reati omissivi.

Se nei delitti commissivi è sufficiente, ad integrare la desistenza, che l'agente arresti in

itinere il compimento degli atti diretti a commettere il delitto, nei d e l i t t i o m i s s i v i ,

all'inverso, si richiede, ai fini della desistenza, che l'autore si attivi nella direzione opposta:

quella, cioè, del compimento dell'azione doverosa.

10.2.7.1.4.1. Reati omissivi impropri.

In particolare, nei r e a t i c o m m i s s i v i m e d i a n t e o m i s s i o n e , si richiede che

l'agente intraprenda la condotta dovuta: come nel caso della madre che riprende a nutrire

l'infante, che aveva deciso di lasciar morire.

10.2.7.1.4.2. Reati omissivi propri.

Quanto ai r e a t i o m i s s i v i p r o p r i , la desistenza appare configurabile negli stessi

termini; nei limiti, beninteso, in cui sia configurabile, in astratto, la stessa fattispecie del

tentativo.

Si può, ad esempio, ipotizzare come desistenza volontaria dall'omissione di un atto di

ufficio il comportamento del p.u. che, essendo partito per luoghi lontani allo scopo di porsi

nelle condizioni di non compiere l'atto nei termini dovuti, discenda dall'aereo al primo scalo e

ritorni in sede, in tempo per adempiere ai doveri del suo ufficio.

10.2.7.2. Il recesso attivo o pentimento operoso.

10.2.7.2.1. Nozione.

Per r e c e s s o a t t i v o o p e n t i m e n t o o p e r o s o si intende il volontario

impedimento dell’evento da parte dell’agente che ha già posto in essere l’attività delittuosa.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.2.7.2.2. Trattamento sanzionatorio.

L’a r t . 5 6 4 ° c o . c . p . stabilisce che, se il colpevole di un delitto tentato,

“volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per delitto tentato, diminuita

da un terzo alla metà”.

L’art. 56, co. 4, prevede, dunque, una c i r c o s t a n z a a t t e n u a n t e s p e c i a l e (in

quanto riferibile esclusivamente alla fattispecie del delitto tentato) e altresì ad e f f e t t o

s p e c i a l e , consistente in una condotta susseguente al compimento dell’azione e diretta

volontariamente ad impedire il verificarsi dell’evento a cui l’azione era diretta26.

10.2.7.2.3. Rapporto con la desistenza volontaria.

Desistenza e recesso sembrano dunque, presentarsi come fattispecie rigidamente

alternative, poiché l'una è inerente ad una azione “che non si compie”, mentre l'altro

presuppone, per definizione, un tentativo perfetto.

La desistenza sarebbe configurabile solo fin quando l'agente conserva la piena padronanza

finalistica dei decorsi causali diretti a produrre l'evento; il recesso, invece, implica che i

decorsi causali siano protesi in modo autonomo, e ormai non più dipendenti dalla volontà

dell'agente, verso la produzione del risultato; in modo che l'iniziativa che “impedisce l'evento”

non potrebbe che configurarsi come un'attività di tutela del bene, successiva all'esaurimento

dell'attività esecutiva, diversa ed antitetica da essa27.

Tuttavia la netta distinzione di principio fra desistenza e recesso attivo, non esclude

tuttavia le difficoltà che si incontrano in concreto, nello stabilire se se si è di fronte a una

desistenza o un recesso.

10.3. Il concorso di persone nel reato.

10.3.1. Nozione e tipologia.

Si ha “c o n c o r s o d i p e r s o n e n e l r e a t o ” quando il reato è il frutto del contributo

di più persone, le cui energie e le cui volontà convergono verso la produzione di un evento di

lesione di beni giuridici28.

Il concorso di persone può essere necessario o eventuale. Alla categoria dei r e a t i a

c o n c o r s o n e c e s s a r i o , appartengono quelle figure di reato che, per la loro

commissione necessitano della partecipazione di due o più persone, le cui condotte possono

muovere nella stessa direzione (come nei reati associativi), o l’una verso l’altra (come nella

bigamia o nella corruzione), ovvero l’una contro l’altra (come nella rissa). In altri termini

26

Si differenzia dalla circostanza attenuante prevista dall’art. 62 co. 6 c.p. (c.d. r a v v e d i m e n t o p o s t

d e l i c t u m ) perché in quest’ultima “il soggetto si attiva ad evento avvenuto, per eliminarne o attenuarne gli

effetti dannosi o pericolosi”, mentre nel recesso attivo “si richiede che l’evento sia effettivamente impedito”. 27

N e i r e a t i o m i s s i v i diventa interessante distinguere il recesso dalla desistenza: a) la madre che ha

omesso di nutrire il neonato per alcune ore, desiste se riprende a nutrirlo, risultando tale azione sufficiente allo

scopo; b) recede se, invece, l’interruzione dell’iter criminis richiede il compimento di un’azione diversa e

ulteriore rispetto a quella omessa: nell’esempio, se dovrà portare il bambino in ospedale per le cure necessarie a

salvarlo. 28

Es.: Tizio e Caio cooperano nell’asportare una pesante cassaforte, allo scopo di impossessarsi del suo

contenuto; Mevio fornisce a Sempronio una chiave che gli consente dì introdursi in una casa per rubare, ovvero

rafforza in modo decisivo il suo proposito criminoso, assicurandogli che provvederà a “piazzare” la refurtiva; o,

addirittura, lo induce a commettere il fatto, sottolineando la prospettiva di un facile arricchimento.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

sono reati a concorso necessario quei reati, che per la loro natura, non possono che essere

commessi da due o più persone (c.d. r e a t i p l u r i s o g g e t t i v i ) .

Invece alla categoria dei r e a t i a c o n c o r s o e v e n t u a l e , appartengono i reati che

per la loro natura possono essere commessi indifferentemente da una o più persone (è il caso,

ad esempio, di più persone che sparino contemporaneamente contro la stessa vittima)29.

10.3.2. L’art. 110 c.p.

Nel nostro ordinamento, la norma-base per la d i s c i p l i n a d e l c o n c o r s o

e v e n t u a l e 30 è dettata dall’a r t i c o l o 1 1 0 c . p . il quale, ispirandosi al principio della

pari responsabilità penale dei concorrenti, stabilisce “q u a n d o p i ù p e r s o n e

c o n c o r r o n o n e l m e d e s i m o r e a t o c i a s c u n a d i e s s e s o g g i a c e a l l e

p e n e p e r q u e s t e s t a b i l i t e ”.

In particolare, può dirsi che l’art. 110 ha una f u n z i o n e e s t e n s i v a

dell’ordinamento penale, in quanto crea, accanto alla figura criminosa monosoggettiva

(compiuta, cioè, da un solo autore), una corrispondente figura plurisoggettiva. Nasce così una

nuova fattispecie tipica (fattispecie plurisoggettiva eventuale) diversa ed ulteriore rispetto alla

norma incriminatrice speciale che comprende tutte le forme di compartecipazione

(istigazione, agevolazione etc.) e ne giustifica la punibilità.

In altri termini l’art. 110 consente di punire, oltre ai concorrenti che pongono in essere la

condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice, anche quelli che pongono in essere azioni

atipiche che, in base alla norma incriminatrice, non sarebbero punibili (ad esempio, l’attività

di istigazione al furto senza partecipazione alla sottrazione ed all’impossessamento della

cosa): s o n o d u n q u e r i c o n d u c i b i l i a l l a f a t t i s p e c i e c o n c o r s u a l e t u t t e

l e c o n d o t t e d o t a t e d i e f f i c a c i a e z i o l o g i c a n e i c o n f r o n t i

d e l l ’ e v e n t o l e s i v o .

10.3.2.1. Il significato della locuzione “medesimo reato”.

Soprattutto in passato era controverso se, nel reato commesso da più persone, si sarebbe

dovuta ravvisare una pluralità reati autonomi (anche se coordinati ed amicati in relazione

all’evento), ovvero un r e a t o u n i c o con la caratteristica della pluralità di soggetti attivi:

oggi la dottrina dominante ritiene trattarsi di reato unico argomentando, tra l’altro, dalla stessa

lettera dell’art. 110 ove si parla di concorso di persone “nel medesimo reato”.

Pertanto si pone il problema di determinare quale sia l’e s a t t o s i g n i f i c a t o d e l l a

l o c u z i o n e “ m e d e s i m o r e a t o ” , che nella struttura della norma costituisce il punto

di partenza delle condotte dei “concorrenti”.

29

Il fenomeno del concorso eventuale si distingue da quello dell’a s s o c i a z i o n e a d e l i n q u e r e ,

nelle sue varie forme. I reati associativi infatti sono, innanzitutto, reati plurisoggettivi (o a concorso necessario:

possono essere commessi soltanto da più persone, almeno tre) ed, inoltre, presuppongono, tra gli associati, un

vincolo stabile e diretto alla realizzazione di un numero indefinito di reati. Nel concorso eventuale, invece,

l’accordo tra i soggetti è di tipo occasionale e limitato alla realizzazione di un determinato numero di reati. 30

Si discute se la disciplina dettata dagli artt. 110 ss. per il concorso eventuale di persone nel reato sia

applicabile anche al concorso necessario, che si verifica allorquando il reato può essere commesso soltanto da un

certo numero di persone. La dottrina più recente è nel senso dell’applicabilità di tale disciplina, che ha carattere

generale, purché si tratti di norme che non siano espressamente derogate dalla disciplina appositamente prevista

per il reato plurisoggettivo (così l’aggravante del numero di persone di cui al n. 1 dell’art. 112 non sarà

applicabile ai delitti di cui agli artt. 305 e 416).

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

In particolare si pone il problema di stabilire se alla locuzione “reato”, adoperata nell’art.

110 c.p. può assegnarsi il significato che essa tradizionalmente nel linguaggio della dottrina:

vale dire il significato di “fatto tipico, antigiuridico, colpevole”.

In altri termini, la domanda che ci si pone è la seguente: è necessario, affinché si abbia

concorso di persone, che tutti i concorrenti abbiano posto in essere una condotta tipica, che

ognuno di loro non sia autorizzato da una causa di giustificazione, e che tutti siano colpevoli,

oppure è necessario semplicemente che si ponga in essere in concorso una condotta

tipicamente criminale?

10.3.2.1.1. La colpevolezza: irrilevante.

L a c o l p e v o l e z z a d i t u t t i i c o n c o r r e n t i n o n è n e c e s s a r i a .

Difatti anche quando uno dei concorrenti sia non punibile o non imputabile, comunque la

fattispecie si qualifica come concorso e si applicherà la relativa disciplina e non già quella del

reato monosoggettivo.

Ciò si desume chiaramente dall’art. 119 co 1: “Le circostanze soggettive le quali escludono

la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla

persona a cui si riferiscono”. Infatti, se è vero che tra le circostanze soggettive, applicabili

esclusivamente a coloro cui si riferiscono, sono da ricomprendere (anche se atecnicamente)

l’inimputabilità o la mancanza di dolo, ciò significa che la fattispecie criminosa si considera

concorsuale anche se taluno dei concorrenti sia incapace di intendere o di volere o agisca

senza volontà.

Ad analoga conclusione conduce l’ultimo comma dell’art. 112 che prevede l’applicabilità

delle aggravanti di cui ai nn. 1, 2, 3 anche “se taluno dei compartecipi al fatto non è

imputabile o non è punibile”.

10.3.2.1.2. L’antigiuridicità: irrilevante.

Ma dallo stesso art. 119 c.p. e in particolare dal co. 2 di questa disposizione, si deduce

anche l’ i r r i l e v a n z a d e l c a r a t t e r e “ a n t i g i u r i d i c o ” del fatto in cui si

concorre, ai fini della struttura del concorso di persone nel “reato”.

L’art. 119, co. 2, stabilisce, infatti: “Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno

effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”, collocando così, manifestamente, il

fenomeno della compartecipazione criminosa in uno stadio che è logicamente antecedente alla

valutazione della sussistenza di una esimente capace di escludere il carattere antigiuridico del

fatto.

10.3.2.1.3. La tipicità.

I dati che si ricavano dall’interpretazione confortano, dunque, l’opinione concorde della

dottrina e della giurisprudenza, circa il fatto che la base di riferimento per il configurarsi di

condotte di concorso nel “reato” sia costituita dalla realizzazione di una fatto che sia

conforme a una fattispecie legale dell’incriminazione (= fatto tipico), a prescindere dalla sua

antigiuridicità e della colpevolezza personale dell’autore, o degli autori, del fatto.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.3.3. Gli elementi del concorso di persone.

Per potersi avere concorso di persone nel reato è necessaria la presenza di quattro elementi:

I) la pluralità di agenti; II) la realizzazione dell’elemento oggettivo del reato; III) il contributo

causale concorrente al verificarsi dell’evento; IV) la volontà effettiva di cooperare nel reato.

È chiaro che i primi tre elementi fanno parte della fattispecie oggettiva, mentre l’ultimo fa

parte della fattispecie soggettiva.

10.3.3.1. La pluralità di agenti: le forme del concorso criminoso

La p l u r a l i t à d e i c o n c o r r e n t i costituisce il primo requisito essenziale del

concorso di persone. Occorre, dunque, che il reato (che può essere commesso anche da un

solo soggetto) sia di fatto realizzato almeno da due persone.

Si ricordi, come già evidenziato, che si ha comunque concorso, con l’applicazione della

relativa disciplina, anche quando uno dei due compartecipi (se il reato è commesso da due

persone) o più compartecipi (due se, ad esempio, il reato è commesso da tre persone), siano

non punibili o non imputabili, come si desume, in particolare dall’art. 112 u.c. Quest’ultimo

prevede l’applicabilità delle aggravanti (del numero di persone, della promozione e direzione

dell’azione criminosa e dell’induzione alla stessa di persone sottoposte da parte di chi abbia

autorità su di esse) anche quando uno dei compartecipi non è punibile né imputabile.

Nel complesso, la normativa, sul concorso di persone convalida, in primo luogo, la

dicotomia tradizionale che distingue le f o r m e d e l c o n c o r s o d i p e r s o n e nella

categorie di concorso morale e del concorso materiale.

10.3.3.1.1. Concorso morale.

Il c o n c o r s o m o r a l e si manifesta nella f a s e d e l l a i d e a z i o n e del reato e

individua due differenti figure: I) determinatore; II) istigatore.

10.3.3.1.1.1. Determinatore.

Il d e t e r m i n a t o r e è colui che fa sorgere in altrui un proposito criminoso che prima non

esisteva (ad es.: il c.d. mandante).

Ai riguardo va evidenziato che ai sensi dell’art. 111 c.p. (che non prevede, secondo la

giurisprudenza dominante un titolo specifico di reato, bensì soltanto una circostanza

aggravante): “Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero

non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questo

commesso, e la pena è aumentata. Se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in

flagranza la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà, la

pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in

flagranza, da un terzo a due terzi.”

Da ciò si evince che il d e t e r m i n a t o r e d e v e e s s e r e c o n f i g u r a t o c o m e

a u t o r e , in quanto (com)possiede il dominio finalistico sul fatto, in quanto chi approfitta

della immaturità o della condizione di impunità di altri per indurlo a delinquere, si assume in

tal modo una sorta di “paternità” del fatto (che non può essere, viceversa, riconosciuta in una

condotta di semplice agevolazione, per quanto causalmente rilevante).

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10.3.3.1.1.2. Istigatore.

L’i s t i g a t o r e è invece il compartecipe che si limita a rafforzare in un’altra persona un

proposito criminoso già esistente31.

L’art. 115, co. 3, attribuisce rilevanza penale all’istigazione, stabilendo la non punibilità

dell’istigatore nel caso in cui l’istigazione non sia accolta o, se accolta, il reato non sia

commesso. Da ciò si può ricavare implicitamente che, quando l’istigazione è accolta ed il

reato commesso, l’istigatore ne risponde a titolo di concorso, ex art. 110 c.p.

L’istigatore di regola non è autore, ma lo diventa se possiede il dominio finalistico

sull’azione (es. capo indiscusso di un organizzazione criminale).

10.3.3.1.2. Concorso materiale.

Il c o n c o r s o m a t e r i a l e si manifesta nella f a s e d i e s e c u z i o n e del reato, e

individua le seguenti figure: I) l’autore in senso materiale; II) il coautore; III) il complice.

10.3.3.1.2.1. L’autore materiale: la signoria sul fatto

L’a u t o r e m a t e r i a l e , è colui che possiede la s i g n o r i a s u l f a t t o

c o l l e t t i v o , ossia la disponibilità, dell’azione plurisoggettiva, nel senso che la

commissione del “reato” dipende dalla sua decisione.

La qualità di autore, perciò, è sempre posseduta da chi esegue il fatto tipico; ma può essere

(com)posseduta anche da soggetti che, in un diverso contesto, sarebbero da considerarsi

semplici partecipi, in virtù del carattere “accessorio” della loro condotta, rispetto alla condotta

dell’autore o degli autori.

Chi si limita ad istigare altri a commettere un reato, non per questo decide se, quando e con

quali modalità esecutive il fatto sarà commesso, poiché queste decisioni spettano interamente

all’esecutore; e perciò l’istigatore, di regola, non è autore.

Ma se si pensa al capo indiscusso di un’organizzazione criminale che ordini a un gregario

di sopprimere un avversario (e che, con eguale autorità, può impedire, fino all’ultimo

momento, che l’omicidio avvenga) si deve riconoscere che le cose stanno in modo diverso.

10.3.3.1.2.2. Il coautore (correità).

Il c o a u t o r e , è sia chi insieme ad altri, detiene la signoria sul fatto32, sia che insieme ad

altri esegui in tutto o in parte l’azione tipica.

10.3.3.1.2.3. Il complice o partecipe.

È c o m p l i c e o p a r t e c i p e colui che apporta un qualsiasi tipo di aiuto alla

preparazione o all’esecuzione del reato (fornire il veleno, fare da palo, ecc.).

31

Quanto alle modalità con cui può estrinsecarsi la condotta istigatoria, è pacifico che essa possa avvalersi dei

mezzi più vari: dalla più insidiosa e subdola forma di stimolo (ivi compresa l’apparente dissuasione) al vero e

proprio mandato, alla rappresentazione dei vantaggi di un’azione criminosa, al suggerimento, ecc.; ma

l’istigazione non si può concretare in forme che non implichino in qualche modo un incitamento all’azione, e

perciò non è sufficiente, come si è già accennato, la mera “connivenza” o l’adesione morale, sia pure

manifestata, quando non si sia tradotta in un influsso psichico sull’autore. 32

Nell’esecuzione frazionata del reato, ad esempio, la qualità di coautori compete non soltanto a tutti coloro che

realizzano, divedendosi i compiti, l’azione esecutiva del reato; ma più in generale a tutti coloro, che abbiano

decisa e predisposta nei particolare l’azione criminosa, anche se l’esecuzione concordata venga poi affidata

soltanto a uno, o più fra i concorrenti.

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Ver.12-10-2016 113

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.3.3.2. Realizzazione dell’elemento oggettivo del reato.

Ai fine della sussistenza della fattispecie concorsuali è necessario che i contributi dei

singoli concorrenti devono confluire nella r e a l i z z a z i o n e d e l l a f a t t i s p e c i e

o g g e t t i v a d e l r e a t o .

Le condotte con cui si può concorrere in un reato assumono rilevanza per una ipotesi di

compartecipazione criminosa solo in quanto, o costituiscono esse stesse azioni esecutive del

reato, ovvero accedano ad una condotta esecutiva altrui: se il reato non viene “commesso” - e

se, cioè, nella realtà esterna non viene realizzato almeno in parte, il fatto tipico - le condotte di

partecipazione al reato progettato, eventualmente già compiute da taluno dei “concorrenti”

risultano, infatti irrilevanti per l’applicazione della pena.

10.3.3.2.1. L’art. 115 c.p.

In particolare dall’a r t . 1 1 5 c . p . 33 si evince che ai fine della punibilità non sono,

sufficienti, il semplice accordo34 (quando ad esso non segua la commissione del reato

concordato) o la semplice istigazione (accolta o non accolta), qualora il reato non sia

commesso: in entrambi i casi (c.d. q u a s i - r e a t i ) si ravvisano, tuttavia, indici di

pericolosità sociale, è sarà possibile l’applicazione della misure di sicurezza (art. 115 ult. co.

c.p.) della libertà vigilata (art. 229 n. 2 c.p.).

È, del resto pacificamente, riconosciuto che la regola dell’irrilevanza dettata dall’art. 115

espressamente per l’istigazione e per l’accordo non seguiti dalla commissione del reato, si

applica in base alla medesima ratio, anche alle c o n d o t t e c . d . d i a g e v o l a z i o n e e

ogni altra forma di complicità, quando sia mancato ogni atto di esecuzione del reato.

Si deve ribadire, per altro, che l’art. 115 c.p., nello stabilire la non punibilità dei

concorrenti “per il solo fatto” dell’accordo non seguito dalla commissione del reato, non

esclude affatto l’autonoma rilevanza delle condotte di partecipazione, che, per quanto

“atipiche”, tuttavia costituiscono esse stesse atti di esecuzione del reato35.

10.3.3.3. Il contributo causale al verificarsi dell’evento.

Sulla natura dell’efficacia causale delle azioni concorrenti, sono state prospettate varie

teorie:

33

L’art. 115 c.p. afferma che: “S a l v o c h e l a l e g g e d i s p o n g a a l t r i m e n t i ,

q u a l o r a d u e o p i ù p e r s o n e s i a c c o r d i n o a l l o s c o p o d i c o m m e t t e r e

u n r e a t o , e q u e s t o n o n s i a c o m m e s s o , n e s s u n a d i e s s e è p u n i b i l e

p e r i l s o l o f a t t o d e l l ’ a c c o r d o .

Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se la istigazione è stata accolta,

ma il reato non è stato commesso.

Qualora la istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato di istigazione a un delitto, l’istigatore può essere

sottoposto a misura di sicurezza”. 34

Nella n o z i o n e d i a c c o r d o rientrano, naturalmente tutte l’attività di preparazione del reato, che ne

precedono la realizzazione: messa a punto del piano criminoso, predisposizione o messa a punto dei mezzi, ecc. 35

Dare il segnale convenuto con i complici perché aprano il fuoco sulla vittima designata, costituisce di per sé

atto (iniziale) di un tentativo di omicidio; e resta punibile come tale, anche se coloro che dovrebbero

“materialmente” eseguire il reato se ne stiano inerti, rinunziando per qualsivoglia motivo a procedere all’azione

omicida.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.3.3.3.1. Teoria condizionalistica

Secondo questa teoria, accolta dagli stessi compilatori del codice, per aversi concorso

occorre che la condotta di ciascun partecipe sia stata conditio sine qua non del reato, nel senso

che senza di essa il fatto di reato non sarebbe stato commesso.

10.3.3.3.1.1. Pecche della teoria.

Tuttavia seguendo tale teoria, si escludono dal concorso di persone tutte le ipotesi in cui

l’attività del partecipe si sia poi rivelata inutile (si pensi al caso di colui che ha fornito gli

strumenti da scasso per aprire una cassaforte, poi trovata aperta) o sia stata addirittura dannosa

(cd. socio maldestro: si pensi al caso del correo che, per la sua incapacità, ha fatto fallire

l’impresa criminosa portando all’arresto dei correi).

10.3.3.3.2. Teoria dell’aumento del rischio.

Secondo questa teoria si ha contributo causale alla realizzazione dell’evento in tutte quelle

ipotesi in cui il contributo appariva ex ante, e cioè al momento in cui è stato promesso o

prestato, idoneo ad aumentare il rischio di realizzazione del reato.

10.3.3.3.2.1. Pecche della teoria.

Questa teoria, col far riferimento ad una idoneità ex ante della condotta, finisce col dare

accesso nel nostro sistema al tentativo di concorso, che è invece espressamente escluso

dall’art. 115.

10.3.3.3.3. Teoria della causalità agevolatrice.

Si sostiene che è concorsuale l’attività che abbia almeno facilitato o agevolato la

realizzazione del reato.

Questa teoria, che appare oggi quella maggiormente accolta in dottrina e giurisprudenza,

non ripudia del tutto le altre teorie, ma ritiene solo che esse vadano integrate proprio col

criterio dell’agevolazione: sarà, dunque, causale non solo la condotta che appare come

conditio sine qua non dell’evento, ma anche quella che ha reso possibile la commissione del

fatto, facilitandone o agevolandone la realizzazione, e ciò indipendentemente dal fatto che

poi, in concreto, si sia effettivamente dimostrata utile o efficace (es.: il caso del palo che, per

il suo atteggiamento impacciato, attira l’attenzione dei passanti).

10.3.3.4. La volontà effettiva di cooperare nel reato.

Posto che il reato commesso in concorso è sempre un reato doloso (a differenza della

cooperazione colposa in cui il reato e colposo: vedi infra), va precisato c h e

l ’ e l e m e n t o p s i c o l o g i c o d i c h i “ c o n c o r r e ” , i m p l i c a o l t r e l a

v o l o n t à d i r e a l i z z a r e i l f a t t o a n c h e l a v o l o n t à d i

c o l l a b o r a r e c o n a l t r i n e l l a r e a l i z z a z i o n e d i e s s o .

Si ritiene, tuttavia, comunemente, che non occorra la reciproca consapevolezza dell’altrui

concorso, ma che sia sufficiente la coscienza di concorrere nel reato, anche quando esista

unilateralmente36.

36

“Concorre”, dunque, nel reato, anche la domestica infedele che, in odio ai suoi datori di lavoro, essendo venuta

casualmente a conoscenza che nella notte si perpetrerà un furto in casa, lasci di proposito socchiusa la porta

dell’abitazione, per facilitare l’accesso ai ladri. Certo, la sua incriminabilità dipenderà dall’effettiva esecuzione

del reato - quanto meno nella forma del tentativo - ma ciò non toglie che risulti comunque indifferente

l’esistenza di un accordo preventivo con gli autori materiali del reato.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

In ultima analisi, l’elemento psicologico della partecipazione risulta caratterizzato

essenzialmente da un c o n t e n u t o d i a d e s i o n e alla condotta dell’esecutore o degli

esecutori (che, come si è detto, possono anche esserne all’oscuro) e che, talora, si traduca

nell’affidamento sulla decisione e sull’iniziativa di altri.

10.3.4. Il trattamento sanzionatorio dei concorrenti.

Il principio della pari responsabilità dei concorrenti (accolto il linea tendenziale dal vigente

codice penale) non esclude la possibilità di g r a d u a r e l a r e s p o n s a b i l i t à di ciascuno,

a secondo del contributo apportato alla realizzazione del fatto criminoso: in proposito, il

giudice potrà far ricorso sia agli indici forniti in generale dall’art. 133 c.p. per la

commisurazione della pena, sia alle circostanze aggravanti ed attenuanti applicabili

specificamente al concorso.

10.3.4.1. Circostanze aggravanti.

L’art. 112 c.p., afferma che: “La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:

1) se il numero delle persone che sono concorse nel reato è di cinque o più, salvo che la

legge disponga altrimenti37;

2) per chi, anche al di fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od

organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono

concorse nel reato medesimo38;

3) per chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a

commettere il reato persone ad esso soggette39;

4) per chi, fuori del caso preveduto dall’art. 111, ha determinato a commettere il reato

un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o deficienza psichica, ovvero si è

comunque avvalso degli stessi o con gli stessi ha partecipato nella commissione di un

delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza40.

La pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non

punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per

il quale è previsto l’arresto in flagranza.

Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione

del delitto, ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal n. 4 del primo comma, la

37

Tale aggravante si fonda sul particolare allarme sociale che genera la partecipazione di un numero elevato di

persone ad una determinata impresa criminosa. 38

Questa circostanza aggravante colpisce la condotta di chi ha rivestito una posizione di dominio dell’azione

collettiva, esercitando sui concorrenti una supremazia che - in qualsiasi forma si sia concretata - gli attribuisce in

ogni caso la qualità di correo. Mentre, per l’applicazione dell’aggravante, si richiede una particolare portata

dell’attività di direzione e organizzazione, tale da costituirne una condizione di efficienza, se non addirittura una

conditio sine qua non non del reato, non è tuttavia necessario che fra chi promuove od organizza la cooperazione

nel reato e gli altri concorrenti intercorra un particolare rapporto di dipendenza o di soggezione. 39 La posizione di soggezione cui si fa riferimento può derivare da rapporti di subordinazione connessi

all’investitura di pubblici impieghi o funzioni, all’appartenenza ad uno stesso nucleo familiare, a qualsiasi

soggezione di indole privata e ancora a qualunque relazione di fatto. 40

Tale aggravante assume carattere di complementarietà rispetto a quella contenuta nell’art. 111 il cui ambito

applicativo è circoscritto alle sole ipotesi in cui la persona determinata risulti essere di età inferiore a 14 anni

ovvero totalmente inferma. Occorre, inoltre, sottolineare come il concetto di deficienza psichica non coincide

con quello di vizio di mente ma comprende qualunque condizione intellettiva e spirituale di minore resistenza

alla altrui opera di coazione psicologica o di suggestione.

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Ver.12-10-2016 116

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

pena è aumentata fino alla metà e, in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata

fino ai due terzi.

Gli aggravamenti di pena stabiliti nei numeri 1, 2 e 3 di questo articolo si applicano anche

se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile41”.

Le circostanze aggravanti prevedute nell’art. 112, secondo il costante orientamento della

giurisprudenza, possono ricorrere anche congiuntamente e, conseguentemente, cumularsi fra

loro ai fini della pena.

10.3.4.2. Circostanze attenuanti.

Ai sensi dell’art. 114 c.p., la pena può essere diminuita:

qualora il giudice ritenga che l’opera prestata da alcuno dei concorrenti abbia avuto

minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato; l’attenuante non

si applica se ricorre uno dei casi indicati dall’art. 112 c.p.;

nei confronti di chi è stato indotto alla partecipazione da persona che esercita su di

lui un’autorità, direzione o vigilanza, come pure per il minore degli anni 18 o per la

persona in stato di infermità o deficienza psichica.

10.3.4.2.1. Concessione.

L’attenuante di cui all’art. 114 c.p. è m e r a m e n t e f a c o l t a t i v a , ed è affidata al

potere discrezionale del giudice di merito: ai fini della sua concessione, il giudice dovrà

valutare la particolarità del fatto e la personalità del reo, per ritenere opportuna una riduzione

della pena edittale.

10.3.4.3. I limiti di comunicabilità delle circostanze ordinarie.

Il “reato” a cui si concorre può, naturalmente, risultare “ circostanziato “, vale a dire

presentare gli estremi per l’applicazione di una o più circostanze, aggravanti o attenuanti,

ordinarie.

Poiché solo in alcune ipotesi la circostanza aggravante si può dire inerente all’intera

fattispecie plurisoggettiva (come è, ad es., per l’aggravante del danno di rilevante entità: art.

61, n. 7 c.p.; per l’omologa attenuante del “danno lieve”: art. 62, n. 4, c.p.), si è posto,

tradizionalmente, il problema della comunicabilità o estensibilità agli altri concorrenti delle

circostanze, in qualche modo radicate alle qualità o ai comportamenti di taluno soltanto fra

essi.

10.3.4.3.1. Circostanza soggettive.

Per quanto attiene le c i r c o s t a n z e s o g g e t t i v e , l’art. 118, così come modificato

dalla L. 7-2-1990, n. 19., afferma che “le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene

concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze

inerenti alla persona del colpevole, devono e s s e r e v a l u t a t e s o l t a n t o r i g u a r d o

a l l e p e r s o n e c u i s i r i f e r i s c o n o ”

10.3.4.3.2. Circostanze oggettive.

Per le circostanze oggettive, invece, vale la disciplina dettata dall’art. 59, esse posso essere

attenuati o aggravanti. Le a t t e n u a n t i si applicano per il solo fatto di concorrere nel reato.

41 Questa precisazione finale conferma che nel nostro ordinamento può concorrere nel reato anche un soggetto

non imputabile o non punibile.

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Ver.12-10-2016 117

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

Mentre le a g g r a v a n t i si applicano solo se conosciute dal concorrente o se ignorate

per colpa o se ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.

10.3.4.4. Circostanze oggettive e soggettive di esclusione della pena.

L’art. 119 prima comma afferma che: “Le c i r c o s t a n z e s o g g e t t i v e l e

q u a l i e s c l u d o n o l a p e n a per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno

effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono”.

Ricordiamo che la categoria delle circostanza soggetti di esclusione della pena coincide

con la categoria delle c a u s e g e n e r a l i d i e s c l u s i o n e d e l l a t i p i c i t à 42.

Dunque qualora l’autore abbia compiuto il reato per errore sul fatto, tale cause soggettiva di

esclusione della pena non si estende anche ai suoi complici.

Il secondo comma afferma a sua volta che: “L e c i r c o s t a n z e o g g e t t i v e c h e

e s c l u d o n o l a p e n a h a n n o e f f e t t o p e r t u t t i c o l o r o c h e s o n o

c o n c o r s i n e l r e a t o ”. Ricordiamo le circostanza oggetti di esclusione della pena si

identificano anche con il termine esimenti. Quindi se l’autore ha reagito per legittima difesa,

godranno di tale cause di giustificazione anche tutti i soggetti che lo hanno aiutato a

difendersi.

10.3.5. La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto.

10.3.5.1. L’ipotesi.

Nell’ipotesi di concorso di persone nel reato, può accadere che uno o più dei concorrenti

eseguano un reato non voluto da uno o più degli altri compartecipi (es.: Tizio, Caio e

Sempronio si accordano per commettere un furto, ma al momento dell’esecuzione, Caio usa

violenza alla vittima, trasformando il furto in rapina).

Di tale fatto diverso od ulteriore rispondono anche i concorrenti che non volevano la

commissione dell’ulteriore reato, a condizione, però, che il reato diverso fosse uno sviluppo

logicamente prevedibile del reato inizialmente programmato.

Ad esempio, se Tizio incarica Caio, noto pluriomicida, di eseguire una rapina a mano

armata, e quest’ultimo nel corso dell’azione uccide il rapinato che aveva opposto resistenza,

anche Tizio risponderà dell’omicidio benché egli avesse dato mandato solo per la rapina.

Da ciò si evince che, l’ipotesi disciplinata dall’art. 116 è una ipotesi di c o n c o r s o

a n o m a l o , poiché nella condotta del partecipe manca, per definizione, il dolo del reato

“diverso”, e spesso non è neppure riscontrabile un atteggiamento riconducibile alla colpa.

42

In tale categoria rientra anche la d e s i s t e n z a v o l o n t a r i a che, pertanto, esime dalla pena soltanto

il concorrente o i concorrenti che desistono volontariamente dall’azione criminosa che non ha ancora completato

il suo iter esecutivo. Non è, tuttavia, agevole stabilire in quali casi ricorra una desistenza volontaria in relazione

ad un reato che si manifesta in forma concorsuale. Infatti, secondo un orientamento più rigoroso, affinché si

configuri una desistenza ex art. 56, comma 3 è necessario che il concorrente (sebbene non esecutore materiale

ma semplice partecipe) impedisca la commissione del reato anche da parte degli altri concorrenti; secondo un

diverso orientamento è invece sufficiente che il concorrente, il quale assuma il ruolo di semplice partecipe,

elimini completamente il contributo da lui fornito alla realizzazione dell’impresa criminosa (ancorché essa sia

portata a compimento dai concorrenti che non abbiano desistito). Così, ad esempio, dovrebbe andare esente da

pena il soggetto che avendo fornito i mezzi per realizzare il reato, li abbia ritirati prima della loro utilizzazione.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

10.3.5.2. L’art. 116.

L’ipotesi de qua trova regolamentazione nell’art. 116, per il quale “quando il reato

commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se

l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di

quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave”.

10.3.5.2.1. Ambito di applicazione.

Al riguardo si deve subito sottolineare che l’applicazione di questa norma richiede come

requisito imprescindibile la realizzazione dolosa del fatto “diverso” da parte dell’esecutore.

Se, infatti, l’evento diverso da quello voluto è realizzato dall’esecutore per colpa, ovvero

rientri nello schema del delitto preterintenzionale, la soluzione va cercata in altre disposizioni.

10.3.5.2.1.1. Se l’evento è realizzato con colpa: aberratio delicti.

Tanto è vero che se l’evento è realizzato con colpa, va applicato l’art. 83 c.p.43 (c.d.

aberratio delicti). Ad esempio, Tizio, incaricato da Caio di danneggiare una vetrina

lanciandovi contro un sasso, per un errore di mira manchi la vetrina e ferisca il commesso,

entrambi i concorrenti risponderanno di lesioni colpose (oltre che, beninteso, di concorso in

tentativo di danneggiamento ) nei limiti dell’art. 83.

L’art. 116 entrerà, invece, in gioco se l’esecutore, anticipando la reazione difensiva del

commesso, abbia a colpirlo volontariamente con il sasso destinato alla vetrina.

10.3.5.2.1.2. Se si realizza un delitto preterintenzionale.

Si resta egualmente al di fuori della sfera di applicabilità dell’art. 116, nel caso in cui

l’esecutore realizzi un delitto preterintenzionale: uccida, ad esempio, non volendolo, la

persona che ha avuto mandato di ferire o percuotere.

In questo caso, entrambi i concorrenti risponderanno di omicidio preterintenzione, se in

entrambi sussisteva il dolo del reato meno grave.

10.3.6. Il concorso nel reato proprio.

Oltre che nel reato comune il concorso è possibile anche nel cd. reato proprio.

10.3.6.1. Concorso nel reato proprio esclusivo.

Nel caso del r e a t o p r o p r i o e s c l u s i v o , il concorso con l’intraneo determinano ex

novo la rilevanza penale del fatto.

10.3.6.1.1. Condizioni.

Nel caso del reato proprio esclusivo il concorso è possibile a d u e c o n d i z i o n i e cioè:

l’azione tipica venga posta in essere dal c.d. i n t r a n e o , cioè dalla persone che

riveste la qualifica richiesta per la commissione del fatto: così ad esempio, nella

falsa testimonianza è solo il testimone che può dire il falso, mentre eventuali suoi

concorrenti possono solo svolgere azione di istigazione o rafforzamento del

proposito criminoso;

l’e s t r a n e o , cioè chi non riveste la qualifica richiesta per commettere il reato,

conosca la qualità dell’intraneo. Non è in alcun modo configurabile, infatti il

43

“...se, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso

da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla

legge come delitto colposo”

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Ver.12-10-2016 119

Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

concorso, qualsiasi titolo, in un reato di incesto, o di falsa testimonianza, se non

patto che il concorrente estraneo sia a conoscenza della particolare qualità

dell’autore.

10.3.6.2. Concorso nel reato proprio non esclusivo.

In caso di c o n c o r s o n e l r e a t o p r o p r i o n o n e s c l u s i v o , si ha un mutamento

del titolo, in quanto il fatto commesso costituirebbe in ogni caso un reato comune: il caso, ad

esempio, in cui la qualità di pubblico ufficiale, rivestita da uno dei concorrenti, “trasforma”

una appropriazione indebita in peculato.

10.3.6.2.1. L’art. 117.

La natura unitaria del reato commesso in concorso, tuttavia, non consente che i due o più

concorrenti siano chiamati a rispondere di reati diversi: da ciò la disciplina dettata dell’a r t .

1 1 7 , per il quale “se per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra

il colpevole o l’offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche

gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può,

rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti,

diminuire la pena44“.

Con questa norma quindi il nostro ordinamento, assimila quanto al titolo – e salva la

diminuzione facoltativa di pena – la responsabilità del concorrente estraneo a quella del c.d.

intraneo.

10.3.6.3. In sintesi.

Un soggetto privo della qualifica personale, cd. estraneo può concorrere ex art. 110 c.p.

alla realizzazione di un reato proprio; per l’affermazione della sua responsabilità è necessaria

la consapevolezza di concorrere ad un reato proprio e cioè la consapevolezza della qualifica

dell’altro concorrente.

Quando l’estraneo ignori la qualifica dell’intraneo:

se si tratta di un reato proprio esclusivo non risponde di alcun reato;

se si tratta di un reato proprio non esclusivo si verifica un mutamento del titolo del

reato ex art. 117 e l’estraneo risponde ugualmente del reato proprio.

10.3.7. La cooperazione nei delitti colposi.

10.3.7.1. Nozione.

Per c o o p e r a z i o n e c o l p o s a , si intende un concorso di persone nel reato (colposo),

in cui manca la volontà dei soggetti di cooperare ai fini della realizzazione del fatto

criminoso.

10.3.7.2. Requisiti strutturali della cooperazione nel delitto colposo.

I r e q u i s i t i s t r u t t u r a l i della cooperazione nel delitto colposo sono dunque:

p l u r a l i t à d i a g e n t i ;

r e a l i z z a z i o n e d e l l ’ e l e m e n t o o g g e t t i v o d e l r e a t o ;

44

Il p o t e r e d i s c r e z i o n a l e del giudice nell’applicazione dell’attenuante, dovrà essere orientato dalla

q u a l i t à d e l l ’ o p e r a p r e s t a t a d a l c o n c o r r e n t e n o n q u a l i f i c a t o , che a seconda dei

casi potrà agire da mero partecipe o da coautore e che proprio in relazione al ruolo rivesto potrà giovarsi o meno

dell’attenuante di cui all’ultima parte dell’art. 117.

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Manuale di Diritto Penale Le forme di manifestazione del reato

c o n t r i b u t o c a u s a l e a l l a r e a l i z z a z i o n e d e l l ’ e v e n t o ;

l a n o n v o l o n t à d i c o n c o r r e r e c o n l a p r o p r i a

c o n d o t t a a l l a r e a l i z z a z i o n e d i u n f a t t o c r i m i n o s o : tale

requisito distingue il concorso colposo (ossia la cooperazione) dal concorso doloso;

l a c o n s a p e v o l e z z a d i c o n t r i b u i r e a d u n c o n d o t t a

c o l p o s a a l t r u i 45: tale requisito consente di distinguere il concorso colposo

dal mero concorso di azioni (o cause) colpose indipendenti da cui derivano tanti

reati colposi quanti sono gli agenti (si pensi al caso di due automobilisti che, l’uno

all’insaputa dell’altro, cagionino un incidente per avere entrambi contravvenuto alle

norme del codice della strada).

10.3.7.3. Trattamento sanzionatorio.

L’art. 113 c.p. afferma che: “Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla

cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto

stesso.

La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando

concorrono le condizioni stabilite nell’art. 111 e nei numeri 3 e 4 dell’articolo 112”.

45

Come nel caso in cui il passeggero incita l’autista a procedere a velocità eccessiva, a causa della quale di li a

poco l’automobile sbanda e investe un pedone. Mentre non potrà essere accusato di cooperazione colposa colui

che recida in un bosco dei remi secchi e li abbandoni momentaneamente sul luogo, ove successivamente altri li

accenda, imprudentemente, provocando un incendio.

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Ver.12-10-2016 121

Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

CC aa pp ii tt oo ll oo 11 11 °° C o n c o r s o d e i r e a t i , c o n c o r s o d i n o r m e

11.1. Il concorso dei reati.

11.1.1. Nozione.

Si ha c o n c o r s o d e i r e a t i , nell’ipotesi in cui uno stesso soggetto viola più volte la

legge penale e, perciò deve essere giudicato per più reati.

11.1.2. Tipologia.

Il concorso dei reati può essere formale, materiale o apparente.

11.1.2.1. Concorso materiale.

Si ha c o n c o r s o m a t e r i a l e , se l’agente, con p i ù a z i o n i o d o m i s s i o n i , viola

diverse disposizioni di legge (concorso materiale e t e r o g e n e o ) dando vita a reati diversi1,

ovvero viola più volte la stessa disposizione di legge (concorso materiale o m o g e n e o ) ,

realizza cioè più volte lo stesso reato2.

11.1.2.2. Concorso formale.

Si ha c o n c o r s o f o r m a l e ( o i d e a l e ) , se l’agente, c o n u n a s o l a a z i o n e

o d o m i s s i o n e , viola più disposizioni di legge3 (concorso formale e t e r o g e n e o ),

ovvero realizza più violazioni della medesima disposizione di legge4 (concorso formale

o m o g e n e o ).

11.1.2.3. Concorso materiale apparente.

Si ha c o n c o r s o m a t e r i a l e a p p a r e n t e quando la molteplicità di reati è solo

apparente, in quanto la violazione della norma penale è sostanzialmente unica (esempio: Tizio

facendo violenza si congiunge sessualmente con una donna; in questo caso, non si hanno due

reati autonomi, ma uno solo: violenza sessuale). Ma in tal caso più propriamente si tratta di

c o n c o r s o a p p a r e n t e d i n o r m e .

11.1.3. Sistemi sanzionatori nel concorso dei reati.

11.1.3.1. Tipologia.

In astratto tre sistemi sanzionatori sono concepibili per la disciplina del concorso dei reati:

I) cumulo giuridico; II) cumulo materiale; III) I) assorbimento.

11.1.3.1.1. Cumulo giuridico.

Secondo il s i s t e m a d e l c u m u l o g i u r i d i c o si applica l a p e n a p i ù g r a v e

c o n u n a u m e n t o c o r r i s p o n d e n t e non alla somma delle altre pene, ma a d u n a

c o n g r u a q u o t a f i s s a t a d a l l a l e g g e .

1 Come nell’ipotesi di chi, dopo aver commesso una rapina, ruba un’auto per fuggire e, durante la fuga, investe e

uccide, per colpa, un passante. 2 Come nel caso di chi commette in successione ravvicinata più furti ovvero uccide una dopo l’altra, con distinte

azioni, più persone. 3 Es.: colpo di pistola che uccide una persona e rompe una vetrina.

4 Es. frase ingiuriosa rivolta nei confronti di più persone.

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Ver.12-10-2016 122

Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

11.1.3.1.2. Cumulo materiale.

Secondo il s i s t e m a d e l c u m u l o m a t e r i a l e , la pena da applicare equivale alla

somma aritmetica delle p e n e d a i n f l i g g e r e p e r i s i n g o l i r e a t i i n

c o n c o r s o .

11.1.3.1.3. Assorbimento.

Secondo s i s t e m a d e l l ’ a s s o r b i m e n t o si applica solo la p e n a p r e v i s t a p e r

i l r e a t o p i ù g r a v e e non si tiene conto del reato minore. A questo criterio la nostra

legge fa ricorso solo in materia di concorso fra circostanze.

11.1.3.2. Nel concorso materiale.

Per i (pochi) casi, tuttora ricadenti nella disciplina del concorso materiale di reati, appare

ancora vigente il regime del c.d. c u m u l o m a t e r i a l e d e l l e p e n e .

11.1.3.2.1. Limiti.

Gli effetti del cumulo sono temperati in qualche misura dalle disposizioni di cui all’art. 78

c.p. ove si stabilisce che, in conseguenza del cumulo, non può comunque e s s e r e

e c c e d u t o i l l i m i t e d i t r e n t ’ a n n i , p e r l a r e c l u s i o n e e d i s e i a n n i

p e r l ’ a r r e s t o .5

11.1.3.2.2. Ipotesi di applicazione.

Il regime sanzionatorio stabilito per i casi di concorso materiale di reati si applica sia

quando “con una sola sentenza o con un solo decreto si deve pronunciare condanna per più

reati contro una stessa persona” (art. 71 c.p.), sia quando, “dopo una sentenza o un decreto di

condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente alla

condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze

o più decreti di condanna6.

11.1.3.2.3. Casi particolari.

Una sorta di cumulo giuridico sui generis è previsto tuttavia dell'art. 72, per il caso in cui

concorrano più delitti, ciascuno dei quali comporti la pena dell'ergastolo: in questa ipotesi, si

applica tale ultima pena con l'aggiunta dell'isolamento diurno da sei mesi a tre anni (art. 72,

co. 1).

Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell'ergastolo con uno o più delitti

che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni,

si applica la pena dell'ergastolo con l'isolamento diurno da due a diciotto mesi (art. 72, co. 2).

A norma dell'art. 73, co. 2, infine, quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali

debba infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica

l'ergastolo.

11.1.3.3. Nel concorso formale.

In virtù del D.L n. 99/74, il trattamento sanzionatorio previsto per il concorso formale è

equiparato a quello del reato continuato (art. 81 c.p.); perciò non si applica più il cumulo

5 Si ricordi inoltre che si ha un deroga a tale disciplina in casi di reato continuato.

6 Se però il nuovo reato è stato commesso durante l’esecuzione di una pena o dopo che l’esecuzione stessa si è

interrotta, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, i temperamenti del cumulo operano con riferimento

alla sola pena residua, e non all’intera pena, allo scopo di evitare ingiustificate impunità.

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Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

materiale delle pene (previsto nel codice Rocco) ma si applica, invece, il c u m u l o

g i u r i d i c o .

11.1.3.3.1. L’art. 81 c.p.

L’a r t . 8 1 1 ° c o . stabilisce che: “È punito con la p e n a c h e d o v r e b b e

i n f l i g g e r s i p e r l a v i o l a z i o n e p i ù g r a v e a u m e n t a t a s i n o a l t r i p l o

chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più

violazioni della medesima disposizione di legge “.

Il terzo comma dello stesso art. 81 fissa poi un “tetto” alla pena applicabile per effetto del

cumulo, con lo stabilire che la pena unica inflitta non può comunque essere superiore a quella

che sarebbe applicabile “a norma degli articoli precedenti”, e cioè per effetto di “cumulo

materiale” delle pene da infliggere per i singoli reati.

11.1.4. Le eccezioni alla disciplina del concorso materiale: il reato continuato.

11.1.4.1. Nozione.

Si ha r e a t o c o n t i n u a t o quando con più azioni od omissioni esecutive di un

medesimo d i s e g n o c r i m i n o s o , si commettono, anche in tempi diversi, più violazione

della stessa o di diverse disposizioni.

Pertanto il reato continuato non è altro che un i p o t e s i d i c o n c o r s o materiale d e i

r e a t i , contrassegnata però dalla circostanza che le diverse violazioni di legge sono legato fra

loro dalla identità del c.d. d i s e g n o c r i m i n o s o .

11.1.4.2. La struttura.

Dall’art. 81, cpv. risultano con chiarezza gli elementi del reato continuato, che sono

costituiti: 1) da una pluralità di azioni od omissioni; 2) da una pluralità di corrispondenti

violazioni di legge; 3) dalla identità del c.d. “disegno criminoso “.

11.1.4.2.1. Pluralità di azioni od omissione.

La p l u r a l i t à d i c o n d o t t e , va intesa come pluralità di condotte autonome che

sfociano in più episodi criminosi e non, quindi, come più atti unificabili in un’unica azione.

11.1.4.2.2. Pluralità di violazioni di legge.

Quanto alla p l u r a l i t à d i v i o l a z i o n i d i l e g g e , sarà il caso di ricordare, che, a

seguito della riforma del 1974, assumono pari rilevanza, sia le ripetute violazioni della stessa

norma incriminatrice (r e a t o c o n t i n u a t o o m o g e n e o ) , sia la violazione di

disposizioni diverse (r e a t o c o n t i n u a t o e t e r o g e n e o ), anche tra loro completamente

eterogenee (furto, lesioni, detenzione di armi, danneggiamento) purché cementate dal

“medesimo disegno criminoso”.

11.1.4.2.3. Disegno criminoso.

Il m e d e s i m o d i s e g n o c r i m i n o s o , è il coefficiente psicologico che unisce i vari

reati, e che consente di distinguere la continuazione dal mero concorso di reati.

Secondo la dottrina il “medesimo disegno criminoso”, va inteso come volizione di uno

s p e c i f i c o s c o p o u n i t a r i o alla cui attuazione sono diretti i diversi fatti

genericamente programmati; infatti solo l’esistenza di una p r o s p e t t i v a f i n a l i s t i c a

u n i t a r i a può giustificare un trattamento sanzionatorio più favorevole (cumulo giuridico),

evidenziando il fatto che l’agente ha ceduto una sola volta al proposito criminoso e, quindi,

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Ver.12-10-2016 124

Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

una sua minore capacità a delinquere (si pensi a chi rubi un’arma e, poi, la detenga al solo

scopo di ferire un nemico).

11.1.4.3. Il trattamento sanzionatorio del reato continuato.

Ai fini della pena, i diversi fatti che compongono il reato continuato vengono trattati come

un unico reato punito con la p e n a c h e d o v r e b b e i n f l i g g e r s i p e r l a

v i o l a z i o n e p i ù g r a v e 7, a u m e n t a t a s i n o a l t r i p l o , comunque, in misura

m a i s u p e r i o r e a quella che sarebbe applicabile in base al c u m u l o m a t e r i a l e 8.

11.1.5. Le eccezioni alla disciplina del concorso formale: il reato aberrante.

11.1.5.1. Premessa.

Con l’espressione “ a b e r r a t i o ” o “ r e a t o a b e r r a n t e ” si denominano quelle

ipotesi in cui il soggetto agente realizza, per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa,

un reato diverso da quello voluto, o cagiona un’offesa nei confronti di una persona diversa da

quella che voleva offendere9.

Il codice prevede due ipotesi di reato aberrante: l’“aberratio ictus” (art. 82) e l’”aberratio

delicti” (art. 83).

11.1.5.2. L’aberratio ictus.

Con riferimento alla figura dell’aberratio ictus sono possibili due diverse ipotesi concrete.

11.1.5.2.1. L’aberratio ictus “monolesiva”.

11.1.5.2.1.1. Nozione.

L’a b e r r a t i o i c t u s “ m o n o l e s i v a ” (disciplinata dal comma 1 dell’art. 82),

concerne l’ipotesi di chi, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa cagiona

l’offesa - quella voluta o un’offesa omogenea - a persona diversa da quella predestinata: è il

caso, per es., del soggetto che, nel tentativo di assassinare una persona, ne uccide un’altra per

errore (il proiettile, deviando, ha un soggetto anziché un altro) o per altra causa (nel momento

in cui l’agente preme il grilletto la persona presa di mira cade e viene colpito altro soggetto).

11.1.5.2.1.2. Trattamento sanzionatorio.

L’aberratio ictus monolesiva comporta che l’autore risponde (a titolo di dolo) del delitto

realizzato nei confronti della persona diversa come se l’avesse commesso in danno della

7 Per individuare il concetto di “v i o l a z i o n e p i ù g r a v e ” vi è stato un acceso dibattito dottrinario e

giurisprudenziale. Secondo un orientamento ormai superato, per individuare la violazione più grave necessitava

far riferimento alle pene che in concreto il giudice riteneva di dover irrogare per ciascuno dei reati concorrenti,

considerando sia la pena edittale, che l’influenza delle circostanze aggravanti od attenuanti. Secondo l’odierno

prevalente orientamento, che è sostenuto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per

determinare la violazione più grave occorre aver riguardo al titolo dei reati concorrenti ed alla previsione astratta

delle pene edittali previste; solo quando tali pene sono identiche nel minimo e nel massimo (come nel caso di

concorso formale omogeneo), può farsi riferimento all’incidenza di altri criteri come quelli di cui all’art. 133:

pertanto, in caso di concorso formale tra una violenza sessuale ed un incesto il primo reato è da considerarsi più

grave, in quanto la pena edittale astratta prevista dal codice è di entità maggiore. Segnando il criterio del titolo di

reato, i delitti devono ritenersi sempre più gravi delle contravvenzioni. 8 L a r a t i o d e l t r a t t a m e n t o s a n z i o n a t o r i o p i ù m i t e , r i s p e t t o a l c u m u l o

m a t e r i a l e delle pene, viene identificata in un assunto di politica criminale: l’identità del medesimo disegno

criminoso dimostrerebbe una minore riprovevolezza del comportamento complessivo dell’agente. 9 Sotto il profilo dell’inquadramento sistematico, tali fattispecie sono riportabili nell’ambito del c.d. e r r o r e –

i n a b i l i t à , il quale incide nella fase esecutiva del reato.

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Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

persona che voleva offendere, salvo, per quanto riguarda le eventuali circostanze che

seguiranno, il regime previsto dall’art. 60 per il caso di errore sulla persona.

Pertanto, non si fa carico all’autore delle aggravanti, oggettivamente ricorrenti, che

concernono la persona dell’offeso o i suoi rapporti con il colpevole, mentre si applicano a

favore del reo le attenuanti dello stesso tipo, erroneamente supposte.

Risponderà, quindi, di omicidio semplice, e non aggravato ex art. 577, n. 1, c.p. sia chi,

volendo uccidere il proprio padre, uccide invece un passante, sia chi, volendo uccidere un

terzo, uccide per errore il padre.

Inoltre ove sussistano i requisiti di una esimente, reale o putativa, essa dovrà trovare

applicazione anche nei casi di aberratio ictus, salva in ogni caso l’applicabilità delle

disposizioni in materia di eccesso colposo e di errore ex art. 59 ult. co., c.p.

11.1.5.2.2. L’aberratio ictus “bi- o plurilesiva”.

11.1.5.2.2.1. Nozione.

L ’ a b e r r a t i o i c t u s “ b i - o p l u r i l e s i v a ” si ha quando si offendono

contemporaneamente tanto la vittima predestinata che una o più persone diverse, essa è

disciplinata dal 2° co. dell’art. 82.

11.1.5.2.2.2. Elemento soggettivo.

L’autore nell’aberratio ictus plurilesiva risponde a titolo di dolo dell’evento voluto nei

confronti della vittima designata, mentre risponde a titolo di responsabilità oggettiva

dell’evento ulteriore non voluto nei confronti delle persone offese per errore (senza necessità,

quindi, per tale ulteriore evento di ricercare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato,

fermo restando la necessità dell’esistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento

verificatosi).

Secondo la giurisprudenza nell’ipotesi disciplinata dall’art. 82 2° co, una sola delle offese,

quella alla vittima designata, deve essere voluta e quindi attribuita a titolo di dolo, mentre

l’ulteriore offesa non deve essere voluta neanche nella forma estrema del dolo eventuale: in

tal caso, infatti, cesserebbe di operare la disposizione dell’art. 82, ricadendosi inevitabilmente

nell’ipotesi del concorso formale di reati.

11.1.5.2.2.3. Trattamento sanzionatorio.

Ai sensi del 2° co. dell’art. 82 nell’ipotesi di aberratio ictus “plurilesiva”, il colpevole

soggiacerà (a titolo di dolo) alla p e n a s t a b i l i t a p e r i l r e a t o p i ù g r a v e ,

a u m e n t a t o f i n o a l l a m e t à .

11.1.5.3. L’aberratio delicti.

11.1.5.3.1. Nozione.

Si ha a b e r r a t i o d e l i c t i nei casi in cui il soggetto agente, per errore nei mezzi di

esecuzione o per altra causa, realizza un evento diverso da quello che si proponeva10.

10

È questo il caso di chi, sempre per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, cagiona un reato

diverso da duello voluto ed il fatto commesso è preveduto dalla legge come delitto colposo: è il caso di Tizio che

vuole ammazzare Caio e gli spara contro, ma, mentre tira, Caio cade e il proiettile colpisce materie infiammabili

provocando un incendio; Tizio risponderà di incendio colposo. Se invece, il proiettile rompe una vetrina, Tizio

non risponderà di danneggiamento, in quanto tale delitto è punito dalla legge solo a titolo di dolo.

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Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

L’aberratio delicti va tenuta distinta dal reato preterintenzionale. Benché in tutte e due le

figure si ha un evento voluto e uno non voluto, va precisato che nel delitto preterintenzionale

l’vento non voluto è della stessa specie di quello voluto, rappresentandone lo sviluppo in

forma più grave, nell’aberratio delicti, l’evento non voluto è sempre di indole diversa e non

necessariamente più garve.

11.1.5.3.2. Trattamento sanzionatorio.

L’a r t . 8 3 c . p . afferma che: “Fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente se, per

errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento

diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto,

quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”

11.1.5.3.3. L’aberratio delicti con evento plurimo.

Se, in presenza di aberratio delicti, si producono più eventi (p r l u r i o f f e n s i v a ), l’art.

83, co. 2, c.p., stabilisce che: “Se il colpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si

applicano le regole del concorso di reati”.

Ciò comporta che l’agente risponderà, in concorso:

a titolo di dolo, dell’evento voluto (anche se soltanto come tentativo, ove di

quest’ultimo soltanto ricorrano i presupposti);

a titolo di colpa per l’evento (o gli eventi) non voluto (o non voluti).

11.1.5.4. Differenza con il concorso formale di reati.

In entrambi i casi di reato aberrante, come si vede, sembrano essere presenti, sul piano

oggettivo, gli estremi di una rilevanza del fatto, per una ipotesi di concorso formale di reati:

con una sola condotta, infatti, il soggetto ha dato luogo a una duplice violazione di legge;

l’una relativa a un fatto rimasto nello stadio del tentativo, l’altra relativa a un fatto consumato.

In entrambi i casi, per contro, vi è una differenza essenziale rispetto alle ipotesi “normali”

del concorso formale di reati, ove l’agente si rappresenta e vuole tutte le violazioni di legge,

oggettivamente realizzate.

Nel reato aberrante, invece, per definizione, l’evento che concretamente si realizza - o

perché in sé diverso da quello voluto, o perché ridondante in danno di persona diversa da

quella designata - non corrisponde ai propositi dell’agente: è, cioè, un evento non voluto.

11.2. Il concorso di norme.

11.2.1. Nozione.

Si parla, di c o n c o r s o d i n o r m e ( o c o n f l i t t o d i n o r m e a p p a r e n t i

c o e s i s t e n t i ) quando due o più norme incriminatrici si presentano, almeno prima facie,

come applicabili a una medesima condotta11.

La dottrina evidenzia che il c.d. concorso (o conflitto) di norme penali è, per definizione,

c o n c o r s o a p p a r e n t e , essendo evidente che ogni singola fattispecie concreta,

penalmente rilevante, non può che essere ricondotta ad una sola norma; essendo impensabile

11

Il concorso di norme va distinto dal concorso di reati. In quanto nell’ipotesi di concorso di reati si hanno più

azioni (concorso materiale) o una sola azione (concorso formale o ideale) ma sempre più reati, nel caso di

conflitto apparente di norme coesistenti si ha un'unica azione e un unico reato.

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Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

che sia contemporaneamente disciplinata sulla base di due o più regole non omogenee,

contenute in norme diverse12.

Tanto è vero che il p r i n c i p i o d e l “ n e b i s i n i d e m ” s o s t a n z i a l e

esclude che per uno stesso ed unico fatto una persona possa essere chiamata a rispondere a

titoli diversi di reato.

11.2.2. I criteri per dirimere il conflitto apparente di norme.

Discusso è in dottrina quanti e quali sono i criteri per dirimere il conflitto apparente di

norme, e quindi, per il realizzare il principio del ne bis in idem sostanziale.

In astratto tra sono i criteri applicabili.

il c r i t e r i o d i s p e c i a l i t à , secondo il quale se fra due norme esiste un

rapporto di genere e specie, la norme speciale prevale su quella generale13;

il c r i t e r i o d i s u s s i d i a r i e t à , in base al quale le c.d. norme sussidiarie

si applicano solo se non possono trovare applicazione altre norme primarie14;

il c r i t e r i o d i c o n s u n z i o n e ( o d i a s s o r b i m e n t o ) , in base al

quale se uno stesso fatto rientra sotto al previsione di due norme aventi portata

diversa, la norma di portata maggiore assorbe le norme di portata minore (tale

criterio trova applicazione nei casi di reato complesso e reato progressivo).

11.2.3. Il reato complesso.

11.2.3.1. Nozione.

Il r e a t o c o m p l e s s o o c o m p o s t o , per espressa definizione normativa, ricorre

“quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un

solo reato, fatti che costituirebbero, per sé soli, reato” (art. 84, co. l, c.p.)15.

In tal caso sempre a norma dell’art. 84 co. 1°, non si applicano le disposizioni sul concorso

di reati e sul reato continuato, ma si applica solo la disposizione che prevede il reato

complesso (in altri termini il reato complesso è trattato come reato unico).

Il altri termini il reato complesso viene inquadrato nella riguarda del concorso apparente di

norme è quindi è trattato come reato unico.

12

Ad uno stesso fatto - tanto per spiegarsi con un esempio - non possono certo applicarsi contemporaneamente

l’art. 625, n. 4 (furto commesso con destrezza o strappando la cosa di mano o di dosso alla persona) e l’art. 628

del c.p. (rapina); ma occorrerà stabilire, in base al principio di tipicità (supra, vol. I, Parte 2a, I, 3), sotto quale

delle due disposizioni incriminatrici debba essere “sussunta” l’ipotesi concreta. 13

Il criterio di specialità, previsto dall’art 15 del c.p. il quale stabilisce: “Q u a n d o p i ù l e g g i

p e n a l i o p i ù d i s p o s i z i o n i d e l l a m e d e s i m a l e g g e p e n a l e r e g o l a n o

l a s t e s s a m a t e r i a , l a l e g g e o l a d i s p o s i z i o n e d i l e g g e s p e c i a l e

d e r o g a a l l a l e g g e o a l l a d i s p o s i z i o n e d i l e g g e g e n e r a l e , s a l v o

c h e s i a a l t r i m e n t i s t a b i l i t o ”. 14

Il criterio di sussidiarietà è accolto anche dal codice penale, in cui frequentemente si ritrovano norme di

chiusura del sistema punitivo, norme cioè che dichiarano la loro applicabilità “se il fatto non è previsto come

reato da altra norme”, salvo che il fatto costituisca più grave reato” o con espressioni simili. 15

Esempio classico di reato complesso è la rapina (art. 628 c.p.) la cui fattispecie legale ricomprende in sé,

interamente, la fattispecie del furto (art. 624 c.p.), poiché contempla il fatto di chi, per procurare a sé o ad altri un

ingiusto profitto, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene; e, nello stesso tempo,

l’ipotesi della violenza privata (art. 610 c.p.), perché contempla l’uso della violenza o della minaccia, dirette a

costringere taluno a fare, tollerare od omettere alcunché (nella specie, diretta a ottenere la consegna della cosa

mobile o a subirne la sottrazione).

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Ver.12-10-2016 128

Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

La riunione di più reati in un solo può assumere due distinte forme:

nella prima (reato complesso speciale): i singoli reati vi rientrano tutti come

elementi costitutivi, dando luogo a un nuovo titolo di reato. Esempio la rapina (art.

628), che è composta dal reato di furto (art. 624) più la violenza privata (art. 610);

nella seconda (reato aggravato – o circostanza complesso): i singoli reati che

formano il reato composto vi rientrano l’uno come elemento costitutivo e l’altro

come circostanze aggravante, lasciando inalterato il titolo del reato base.

11.2.3.2. Disciplina.

In ordina alla disciplina, il reato complesso viene regolato come un r e a t o u n i c o (art.

84 c.p.); in particolare:

l’a r t . 8 4 , 2 ° c o . c . p . stabilisce che quando la legge, nella determinazione

della pena, per il reato complesso, si riferisce alle pene stabilite per i singoli reati

che lo costituiscono non possono essere superati i limiti massimi indicati negli artt.

78 e 79.

l’a r t . 1 3 1 c . p stabilisce che si procede sempre d’ufficio se per taluno dei reati

che sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti si deve procedere d’ufficio.

l’art. 170, 2° co. c.p. stabilisce che la causa estintiva di un reato che è elemento

costitutivo o circostanze aggravante, di un reato complesso non si estende al reato

complesso16.

11.2.4. Il reato progressivo e la progressione criminosa.

11.2.4.1. Nozioni.

Il r e a t o p r o g r e s s i v o si configura quando l’agente, da un condotta iniziale che

realizza un tipo di reato, pone in essere un nuovo reato che presuppone il primo, come nel

caso di passaggio di sequestro di persone alla riduzione in schiavitù.

Mentre ricorrono gli estremi delle c.d. p r o g r e s s i o n e c r i m i n o s a nei casi in cui

si ha il passaggi contestuale da un reato ad un altro più grave, contente il primo, per effetto di

risoluzioni criminose successive, come nel caso di chi addice una persona dopo averle causato

lesioni17.

11.2.4.2. Disciplina.

Per quanto riguarda la disciplina giuridica occorre distinguere:

nei casi di reato progressivo, la norma violata è unica (e corrisponde a quella che

prevede il reato maggiore), unico è il dolo (risoluzione criminosa unitaria), unica è

16

Merita di essere menzionato, inoltre, il co. 3 dell’art. 301 c.p., che prevede la non applicabilità della disciplina

del reato complesso, con conseguente ingresso delle norme sul concorso di reati, quando l’offesa alla vita,

all’incolumità, alla libertà o all’onore del Presidente della Repubblica e degli altri soggetti menzionati negli artt.

276, 277, 278, 295, 296, 297 e 298 c.p. è considerata dalla legge come elemento costitutivo o circostanza

aggravante di altro reato. 17

Le due fattispecie si differenziano perché la progressione criminosa non presuppone la realizzazione di unico

fatto (come, invece, il reato progressivo), ma di più fatti posti in essere continuamente. La progressione

criminosa postula, inoltre, una pluralità di risoluzioni criminose (il soggette agente prima decide di causare

lesione, poi di uccidere); il reato progressione postula una risoluzione criminosa unitaria (il soggette agente

decide di ridurre in schiavitù il soggetto passivo, e non può fare ciò senza averlo prima sequestrato).

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Manuale di Diritto Penale Concorso dei reati, concorso di norme

la pena applicabile (quella prevista per il “reato maggiore”), secondo la disciplina

detta dall’art. 84 c.p.

nei casi di progressione criminosa, all’applicazione di un’unica pena (quella

prevista per il reato più grave) si perviene invocando l’operatività del principio

dell’assorbimento. L’orientamento che appare preferibile, ritiene tuttavia che

l’assorbimento (e l’applicazione della sola pena prevista per il reato più grave)

possa operare soltanto con riguardo a norme che tutelino beni-interessi identici:

fuori da questi casi, dovrebbe applicarsi il regime previsto dall’art. 81 c.p.

(concorso di reati).

11.2.4.3. Antefatto e postfatto non punibili.

Connesse al reato progressivo sono, poi, le figure dell’a n t e f a t t o e del p o s t f a t t o

n o n p u n i b i l i .

La prima ricorre quando un reato meno grave costituisce il mezzo ordinario per

commettere un reato più grave (come nel caso di possesso ingiustificato di grimaldelli seguito

da furto).

La seconda, invece, si ha quando una volta commesso un reato, eventuali successivi reati

che ne costituiscono il normale sbocco restano assorbiti nel primo, come nel caso della

spendita di monete falsificate realizzata dallo stesso soggetto che in precedenza ha

contraffatto le monete.

11.2.4.3.1. Disciplina.

Quanto alla disciplina, parte della dottrina sostiene la non punibilità delle due figure in

virtù del principio dell’assorbimento; altri autori, invece, sostengono l’applicazione della

disciplina nel concorso di reati.

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Manuale di Diritto Penale La capacità a delinquere

CC aa pp ii tt oo ll oo 11 22 °° L a c a p a c i t à a d e l i n q u e r e

12.1. Nozione.

La c a p a c i t à a d e l i n q u e r e , consiste nella disposizione o inclinazione

dell’individuo a commettere fatti in contrasto con la legge penale.

Mentre l’imputabilità costituisce il presupposto necessario della responsabilità, per cui è

penalmente responsabile (e perciò punibile) solo il soggetto che al momento del fatto era

capace di intendere e di volere, la capacità a delinquere (o capacità criminale) indica il livello

di responsabilità sulla cui base, fra l’altro, si gradua la pena da applicare per il reato

commesso.

12.2. L’accertamento.

L’art. 133 2° co. c.p. afferma che nel valutare la pena da irrogare: “Il giudice deve tener

conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

1) dai motivi a delinquere1 e dal carattere del reo2;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,

antecedenti al reato3;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato4;

4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.

1 Nella ponderazione della capacità a delinquere, il giudice terrà conto innanzitutto degli impulsi di natura

psichica che, operando nella categoria degli «affetti» (avidità, altruismo, amor di patria, gelosia, desiderio di

vendetta etc.) dirigono l’agire dell’uomo, risultando ora pienamente presenti alla sua coscienza (si parla, in tal

caso, di motivi consapevoli), ora mascherati da processi psicoanalitici di autogiustificazione (i c.d. motivi

inconsci). La rilevanza di questi ultimi nel procedimento di commisurazione giudiziale della pena è da taluno

ritenuta dubbia, in quanto non potrebbe considerarsi competente il magistrato a emettere giudizi su pulsioni non

manifeste della psiche. Le cause psichiche dell’agire umano sono suscettibili di giudizi di riprovevolezza ovvero

di apprezzabilità sociale. I motivi, pertanto, sono, di volta in volta, qualificati — e ai fini del trattamento

sanzionatorio, diversamente valutati — come nobili o antisociali, dotati di maggiore o minore intensità (anche

sotto il profilo della permanenza temporale), idonei oppure no, secondo diversi parametri di efficienza

propulsiva, a determinare l’uomo nella sua azione criminosa. 2 Il c a r a t t e r e d e l r e o è nozione che rinvia alle diverse componenti della personalità umana:

biologiche, etiche, psichiche. Il riferimento normativo, secondo alcuni autori, riguarderebbe esclusivamente i

profili innati della personalità (rientrando, invece, più propriamente, le componenti socio-ambientali nella

previsione dell’art. 133, c. 2, n. 4). Altri sottolineano, di contro, il contenuto dinamico del carattere umano, in

quanto risultante dall’interazione tra temperamento e fattori ambientali. 3 La vita e la condotta del reo antecedenti al reato costituiscono significativi indici della sua attitudine al crimine.

Come ha chiaramente evidenziato la Corte di Cassazione, «gli elementi di valutazione per la quantificazione

della pena da irrogare possono essere tratti liberamente da condotte e situazioni diverse da quelle strettamente

inerenti al reato». A parte le generiche manifestazioni di devianza (es.: alcolismo), vengono qui in rilievo: a) i

precedenti giudiziari (es.: provvedimenti di interdizione o inabilitazione; dichiarazioni di fallimento etc.); b) i

precedenti penali (es.: condanne pregresse; controversa è, invece, la valutabilità delle sentenze di

proscioglimento per amnistia propria). 4 La capacità a delinquere si desume, altresì, dal comportamento precedente (una lunga esitazione prima del

delitto è indice di una minor riprovevolezza dell’agire criminoso), contemporaneo (atteggiamento, ad esempio,

particolarmente cinico nella perpetrazione di un delitto contro la persona), o successivo alla commissione del

reato (es.: comportamento processuale di collaborazione del reo).

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Manuale di Diritto Penale La capacità a delinquere

12.3. Le forme di pericolosità criminale.

Il codice penale disciplina quattro ipotesi specifiche di pericolosità criminale: I) la

recidiva; II) l’abitualità criminosa; III) la professionalità nel reato; IV) la tenenza a

delinquere.

12.3.1. Recidiva.

12.3.1.1. Nozione.

La r e c i d i v a è la condizione di chi, dopo essere stato condannato (con sentenza passato

in giudicato) per un reato, ne commette un altro.

Quando una tale situazione si verifica, il nostro c.p. prevede che il reo possa essere (quindi

l ’ a u m e n t o d i p e n a i n s e g u i t o a l l a r e c i d i v a è f a c o l t a t i v o )

assoggettato ad un aumento della pena da infliggere in concreto, secondo una misura

crescente, in relazione a taluni indici di gravità del recidivismo, da un punto di vista

criminologico.

12.3.1.2. Tipologia.

Il codice, all’art 99, distingue tre forme di recidiva.

12.3.1.2.1. Semplice.

La r e c i d i v a s e m p l i c e , coincide al caso descritto dal co. 1 dell’art. 99, vale a dire

all’ipotesi in cui venga commesso un reato dopo aver subito la condanna irrevocabile per un

altro reato di diversa indole.

Per questa ipotesi, è previsto dalla legge l’a u m e n t o f i n o a u n s e s t o della pena da

infliggere per il nuovo reato.

12.3.1.2.2. Aggravata.

La recidiva è a g g r a v a t a quando:

quando il nuovo reato è della “stessa indole”5 del precedente (r e c i d i v a

s p e c i f i c a );

quando il nuovo reato è stato commesso nei 5 anni dalla condanna precedente

(recidiva i n f r a q u i n q u e n n a l e );

quando il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, o

durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della

pena.

La recidiva aggravata può importare un aumento della pena da infliggere fino ad 1/3, se

concorre una sola delle tre circostanze che la determinano, fino alla metà se ne concorre più di

una.

12.3.1.2.3. Recidiva reiterata:

Si ha recidiva a g g r a v a t a allorché il nuovo reato è commesso da chi è già recidivo.

5 La definizione dei reati “della stessa indole” è fornita dall’art. 101 c.p., dal quale si ricava che reati della stessa

indole sono non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge ma anche quelli che, pur

essendo preveduti da disposizioni diverse, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni,

desumibili o dalla natura dei fatti che li costituiscono, o dai motivi a delinquere. Della stessa indole dovranno

considerarsi, dunque, reati diversi ma in qualche modo omogenei (per es. truffa, bancarotta fraudolenta, frode

fiscale, ecc.) tutti però determinati da motivi di lucro, sia fatti non omogenei, come ad esempio un omicidio e un

danneggiamento, entrambi ispirati ad intenti di prevaricazione di indole mafiosa.

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Manuale di Diritto Penale La capacità a delinquere

Può essere, a sua volta, semplice o aggravata e comportare, nel caso di recidiva semplice,

l’aumento della pena fino alla metà, nel caso di recidiva aggravata l’aumento può essere fino

a 2/3 ovvero da 1/3 ai 2/3 nel caso di cui ricorrano più ipotesi di recidiva aggravata.

La ratio dell’aumento di pena deve ravvisarsi nel fatto che la ricaduta nel reato dimostra

una volontà persistente nel delinquere e perciò una maggiore capacità criminale.

12.3.1.3. Computo.

Al fine di stabilire la recidiva del soggetto, occorre tenere conto non solo delle condanne

regolarmente portate ad esecuzione ma anche:

delle condanne condizionali;

delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della

pena, che non si estende agli effetti penali (esempio: amnistia impropria, indulto,

prescrizione della pena).

Non bisogna invece tener conto delle condanne per le quali vi è stata la riabilitazione

Inoltre si ricordi che in nessuna caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può

superare l’entità di pena risultante dal cumulo delle sanzioni irrogate con le condanne

precedenti alla commissione del nuovo reato6.

12.3.2. L’abitualità criminosa.

12.3.2.1. Nozione.

L’a b i t u a l i t à c r i m i n o s a è la condizione è la condizione personale di chi con la

sua persistente attività criminosa dimostra di avere acquistato una notevole attitudine a

commettere reati.

12.3.2.2. Tipologia.

Il legislatore ha previsto due specie di abitualità criminosa:

l’a b i t u a l i t à p r e s u n t a (art. 102 c.p.) che si ha quando il reo è stato

condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per

tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi non contestualmente entro

dieci anni, e riporta un’altra condanna per un delitto non colposo, della stessa

indole e commesso entro i dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti;

l’a b i t u a l i t à r i t e n u t a d a l g i u d i c e (art. 103 c.p.) si ha quando il

reo, condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto

colposo se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il

quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del reo e delle altre

circostanze indicate dal cpv. dell’art. 133, ritiene che il colpevole è «dedito al

delitto».

Rispetto alle contravvenzioni poi, l’abitualità non è mai presunta, ma deve essere

dichiarata dal giudice, allorché un soggetto, dopo essere stato condannato alla pena

dell’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporti condanne per un’altra

6 L’istituto della recidiva è stato ritenuto compatibile con il vincolo della continuazione. Ne consegue che,

sussistendone le condizioni, si applicano sul reato base, l’aumento di pena per la recidiva e quella per la

continuazione.

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Manuale di Diritto Penale La capacità a delinquere

contravvenzione, anche della stessa indole e venga, perciò, considerato dedito al reato (art.

104 c.p.).

12.3.2.3. Effetti

In seguito alla dichiarazione di abitualità criminosa il soggetto

può7 essere sottoposto alla misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia

agricola o casa di lavoro per la durata minima di due anni;

è interdetto in via perpetua dai pubblici uffici;

non può usufruire del beneficio della sospensione condizionale della pena.

l’inapplicabilità dell’amnistia e dell’indulto, se il decreto non dispone

diversamente;

l’esclusione della prescrizione della pena per delitti;

il raddoppiamento del termine stabilito per ottenere la riabilitazione;

l’espiazione della pena in stabilimenti speciali (che non esistono).

Si ricordi che le disposizioni relative di alla dichiarazione di abitualità si applicano anche

se, per i vari reati, è pronunciata condanna con una sola sentenza (art. 107 c.p.).

12.3.2.4. Estinzione

La dichiarazione di professionalità (la pari della dichiarazione di abitualità) si estingue per

effetto della riabilitazione.

12.3.3. La professionalità nel reato.

12.3.3.1. Nozione

Per l’esistenza della professionalità la legge richiede:

che il reo riporti una condanna, trovandosi già nelle condizioni richieste per la

dichiarazione di abitualità;

che, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta del reo e alle altre

circostanze previste dal capoverso dell’art. 133 c.p., si debba ritenere che il reo viva

abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato, cd. sistema di vita (art.

105 c.p.) (es.: il ricettatore di professione). Tale requisito deve essere accertato, di

volta in volta, non esistendo professionalità presunta.

12.3.3.2. Effetti.

La dichiarazione di professionalità comporta la misura di sicurezza dell’assegnazione ad

una colonia o casa agricola per la durata minima di tre anni e gli altri effetti della abitualità

criminosa.

Si ricordi che le disposizioni relative di alla dichiarazione professionalità nel reato (al pari

di quelle relative alla dichiarazione di abitualità) si applicano anche se, per i vari reati, è

pronunciata condanna con una sola sentenza (art. 107 c.p.).

7 Si badi che, l’applicazione della misura di sicurezza non sarà una conseguenza automatica della dichiarazione

di abitualità o professionalità, ma seguirà tale dichiarazione solo se verrà accertata in concreto la pericolosità

dell’imputato.

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Manuale di Diritto Penale La capacità a delinquere

12.3.3.3. Estinzione

La dichiarazione di professionalità (la pari della dichiarazione di abitualità) si estingue per

effetto della riabilitazione.

12.3.4. La tendenza a delinquere.

12.3.4.1. Nozione.

La t e n d e n z a a d e l i n q u e r e è al speciale “inclinazione al delitto che trovi la sua

causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole”.

Pur traendo origine da fattori endogeni, innati nel soggetto, al tendenza a delinquere non è

una vera è propria infermità. Tanto è vero che, ai sensi dell’art. 108 c.p., la tendenza

delinquere non può essere dichiarata se l’inclinazione al delitto è originata da vizio totale o

parziale di mente.

Condizioni oggettive per la dichiarazione di “tendenza a delinquere” sono:

che il reo abbia commesso un delitto doloso o preterintenzionale (è sufficiente ,

quindi, anche un solo delitto);

che si tratti di delitto che offenda la vita o l’incolumità individuale;

che tale delitto, per sé ed unitamente alle circostanze indicate nel capoverso

dell’art. 133 c.p, rilevi al tendenza a delinquere.

12.3.4.2. Effetti.

Alla dichiarazione consegue, come effetto, la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una

colonia agricola o casa di lavoro per la durata minima di quattro anni, nonché gli altri effetti

che conseguono alla dichiarazione di abitualità o professionalità.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

CC aa pp ii tt oo ll oo 11 33 °° L e s a n z i o n i

13.1. Premessa.

La s a n z i o n e c r i m i n a l e è la conseguenza della commissione del fatto tipico,

antigiuridico e colpevole; essa è l’espressione diretta della potestà punitiva dello stato.

Pene, misure di sicurezza, misure di prevenzione costituiscono il sistema delle sanzioni

criminali e la triplice espressione di interventi attraverso cui l’ordinamento reprime e previene

i reati.

13.2. Le pene.

13.2.1. La fisionomia della pena nell’ordinamento vigente.

13.2.1.1. Nozione.

La p e n a c r i m i n a l e è la sanzione che consegue alla violazione di un precetto

penale.

Rispetto alle altre sanzioni, che pur impropriamente si indicano a volte col termine “pena”,

la “pena” in senso stretto (pena criminale) ha come carattere essenziale l’a f f l i t t i v i t à :

essa cioè tende ad infliggere al soggetto cui è comminata una vera e propria sofferenza.

Oltre ad essere afflittiva, la pena criminale è e s c l u s i v a m e n t e p u n i t i v a , non

porta cioè ad alcuna riparazione o risarcimento per la violazione compiuta.

In quanto inflitta dallo Stato, la pena è altresì una s a n z i o n e p u b b l i c a e si

differenzia dalle altre sanzioni pubbliche perché è sempre comminata dall’Autorità

Giudiziaria a seguito di “processo penale”.

Si può, perciò, definire la pena criminale come “la sofferenza (privazione o diminuzione di

un bene individuale, in special modo della libertà di movimento) comminata dalla legge

penale ed irrogata dall’Autorità Giudiziaria mediante processo a colui che viola un comando

della legge medesima”.

13.2.1.2. Teoria sul fondamento della pena.

Il principale problema teorico che pone la pena criminale è quello relativo alla sua stessa

ragion d’essere: ci si chiede, cioè, perché sia necessario ricorrere ad una sanzione non

risarcitoria ma afflittiva.

Le teorie tradizionali della pena vengono solitamente distinte in due gruppi fondamentali:

teorie c.d. assolute e teorie c.d. relative. Alle teorie assolute corrisponde l’enunciato latino (si

punisce perché si è peccato). Alle teorie relative corrisponde l’enunciato latino (si punisce

affinché non si pecchi).

13.2.1.2.1. Teorie assolute o retributive.

Le t e o r i e a s s o l u t e o t e o r i e r e t r i b u t i v e non attribuiscono alla pena

alcuna funzione da perseguire, ma la vedono esclusivamente come il mezzo per riaffermare il

principio di giustizia violato dal reo. Essa, dunque, viene concepita come il male che deve

essere inflitto per il male che si è fatto.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.1.2.2. Teorie relative o della prevenzione.

Le t e o r i e r e l a t i v e d e l l a p e n a , viceversa, appaiono interamente rivolte al

futuro (i reati che potrebbero essere commessi dallo stesso soggetto che ha già violato la legge

penale, o da altri): e perciò si definiscono teorie della prevenzione. Fanno parte delle teorie

relative la teoria dell’intimidazione e la teoria dell’emenda.

13.2.1.2.2.1. Teorie dell’intimidazione (o della prevenzione generale).

La t e o r i a d e l l ’ i n t i m i d a z i o n e (o della prevenzione generale) attribuisce alla

pena la funzione d dissuadere gli altri consociati dal violare i precetti, funzione che essa

svolge intimidendo i consociati stessi con la minaccia di quel male che è, appunto, la pena.

13.2.1.2.2.2. Teorie dell’emenda (o della prevenzione speciale).

La t e o r i a d e l l ’ e m e n d a (o della prevenzione speciale) guarda alla pena non già in

funzione della collettività ma in funzione dello stesso reo: per tale teoria, infatti, la funzione

della pena è quella di impedire che il reo in futuro delinqua nuovamente. Tale effetto può

essere realizzato attraverso la rieducazione, la dissuasione o la neutralizzazione del

condannato.

13.2.1.3. Il principio di umanizzazione e rieducazione.

Il principio di umanizzazione e rieducazione della pena è, nell’ordinamento vigente,

sancito dall’art. 27, co. 3, Cost., per il quale: “L e p e n e n o n p o s s o n o

c o n s i s t e r e i n t r a t t a m e n t i c o n t r a r i a l s e n s o d i u m a n i t à ”

(principio di umanizzazione) e d e v o n o t e n d e r e a l l a r i e d u c a z i o n e d e l

c o n d a n n a t o (principio di rieducazione)”.

Un corollario del principio di umanizzazione è dato dal 4° comma dell’art. 27 Cost., per il

quale “N o n è a m m e s s a l a p e n a d i m o r t e , s e n o n n e i c a s i

p r e v i s t i d a l l e l e g g i m i l i t a r i d i g u e r r a ”194.

Il principio di umanizzazione e rieducazione della pena è pacificamente accolto in

giurisprudenza, e rileva anche in ordine alla commisurazione della pena da applicare in

concreto al reo, secondo gli indici di cui all’art. 133 c.p.;

In proposito, la Suprema Corte ha, di recente, avuto modo di sostenere che “il principio

costituzionale della finalità rieducativa della pena (art. 27, 3° comma, Cost.), che informa

tutto il sistema penale e non soltanto la fase dell’esecuzione, si riflette sul meccanismo

delineato nell’art. 133 c.p., orientando il potere discrezionale del giudice. Ne consegue che la

commisurazione della pena non può prescindere dalle finalità rieducative, da determinare in

relazione alla gravità del reato e alla personalità dell’imputato”.

Il principio di rieducazione quale legittimazione e funzione della pena, é stato, d’altro

canto, posto dai giudici della Corte Costituzionale alla base di alcune recenti sentenze; in esse

si è evidenziato che la reintegrazione, l’intimidazione, la difesa sociale (variamente poste, in

dottrina, a fondamento dell’applicazione della pena), non possono mai pregiudicare la

funzione rieducativa posta dall’art. 27, co. 3, Cost. come fondamentale finalità della pena.

194

Il principio si ripercuote: I) sul trattamento penitenziario dei soggetti condannati a pene detentive; II) sulla

sostituzione delle pene detentive brevi con le c.d. sanzioni sostitutive (artt. 53 ss. L. 689/1981); III) sul regime

carcerario (c.d. legge Gozzini - L. 10-10-1986, n. 663, contenente significative modifiche alla L. 26-7-1975, n.

354); IV) sull’applicazione di misure alternative alla detenzione (L. n. 354/ 1975, con le successive modifiche.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

D’altro canto, proprio in virtù delle finalità rieducative della pena, la Corte ha sottolineato

la necessità della possibilità di conoscere la legge penale, mancando la quale, non avrebbe

senso l’irrogazione della pena ad un soggetto che (per l’ignoranza inevitabile della legge

penale) non avrebbe alcun bisogno di esser “rieducato”.

Inoltre, il principio di rieducazione deve essere ritenuto immediatamente vincolante (oltre

che per il legislatore) anche per tutti i giudici (sia per quelli che svolgono attività di

cognizione, sia per quelli che presiedono all’esecuzione della pena), e per le autorità

carcerarie.

13.2.2. La determinazione della pena.

13.2.2.1. Generalità

Tranne qualche rarissima eccezione, di regola la pena per i singoli reati è indicata solo tra

un massimo c/o un minimo: spetta al giudice, caso per caso, determinare la pena da infliggere;

egli gode al riguardo di un potere discrezionale, pur se è tenuto ad indicare nella motivazione

del provvedimento di condanna le ragioni della sua concreta determinazione.

Tale discrezionalità del giudice non è tuttavia illimitata (e non potrebbe esserlo senza

contrastare il dettato costituzionale - in particolare l’art. 101, comma 2 Cost. -): è lo stesso

legislatore, infatti, che fissa ì criteri per la determinazione della pena.

13.2.2.2. I criteri per la determinazione della pena.

13.2.2.2.1. L’art. 133

Nell’esercizio del suo potere discrezionale di determinare in concreto la pena, il giudice

deve tener conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole (art. 133).

13.2.2.2.1.1. La gravità del reato.

La g r a v i t à d e l r e a t o va desunta:

dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra

modalità dell’azione;

dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

13.2.2.2.1.2. La capacità a delinquere.

La c a p a c i t à a d e l i n q u e r e del colpevole, a sua volta, va desunta:

dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,

antecedenti al reato;

dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

13.2.2.2.1.3. La funzione di garanzia dell’art. 133.

La disposizione contenuta nell’art. 133 è senz’altro una delle più importanti di tutto il

codice penale: è ad essa, infatti, che è affidata, come ha più volte ribadito la stessa Corte

Costituzionale, la funzione di garantire, ai fini di una più efficiente ed equilibrata giustizia, il

processo di individualizzazione della pena (così la citata sent. n. 104 del 1968).

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

In tale processo di individualizzazione della sanzione, peraltro, il giudice non è tenuto a

valutare puntualmente tutti gli elementi previsti dall’articolo 133 c.p., bastando, a fondare il

corretto uso del suo potere discrezionale, l’indicazione solo di quelli ritenuti rilevanti in

funzione della decisione del caso concreto (così Cass. 5-8-1999, n. 9963).

13.2.2.3. L’art. 133bis.: la valutazione delle condizioni economiche del reo agli effetti della

determinazione della pena pecuniaria

L’art. 133bis, introdotto nel codice penale dalla legge 689, sancisce che “nella

determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tener conto, oltre

che dei criteri indicati dall’articolo precedente, anche delle condizioni economiche del reo”

(comma 1), e “può aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al triplo, o

diminuirle sino ad un terzo, quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la

misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa”

(comma 2).

Nell’attuale formulazione dell’art. 133bis non par dubbio che le condizioni economiche del

reo non costituiscono circostanza (aggravante o attenuante, a seconda del caso) in senso

tecnico, quanto, piuttosto, un elemento di valutazione di cui il giudice si serve per individuare

in concreto la pena.

L’esclusione della natura di circostanza in senso tecnico alle condizioni suddette importa

senz’altro la loro sottrazione al regime sostanziale proprio di tali elementi accidentali del

reato, ed in particolare la sottrazione al giudizio di prevalenza o equivalenza di cui all’art. 69.

13.2.3. Le pene principali e le pene accessorie.

Il codice vigente distingue tra pene principali e accessorie. A norma dell’art. 20, l e

p e n e p r i n c i p a l i s o n o i n f l i t t e d a l g i u d i c e c o n l a s e n t e n z a

d i c o n d a n n a , q u e l l e a c c e s s o r i e c o n s e g u o n o a l d i r i t t o d i

c o n d a n n a , c o m e e f f e t t i p e n a l i d i e s s a .

13.2.3.1. Le pene principali.

13.2.3.1.1. Per i delitti e per le contravvenzioni.

L’ art. 17 c.p., dal canto suo, elenca le pene principali, distinguendo fra quelle stabilite per

i delitti e quelle previste per le contravvenzioni.

13.2.3.1.1.1. Per i delitti.

Le p e n e p r i n c i p a l i c o m m i n a t e p e r i d e l i t t i sono attualmente:

l’e r g a s t o l o ;

la r e c l u s i o n e ;

la m u l t a .

13.2.3.1.1.2. Per le contravvenzioni

Mentre le p e n e p r i n c i p a l i s t a b i l i t e p e r l e c o n t r a v v e n z i o n i

sono:

l’a r r e s t o ;

l’a m m e n d a .

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.3.1.2. Pene detentive e pecuniarie.

L’art. 18 c.p. classifica le pene principali secondo un diverso criterio, che concerne il loro

contenuto, denominando “pene detentive”, o “restrittive della libertà personale” (caratterizzate

dalla privazione della liberta personale), l’ergastolo, la reclusione e l’arresto; pene

“pecuniarie” (caratterizzate nel pagamento di una somma di denaro) la multa e l’ammenda195.

13.2.3.1.2.1. Pene detentive.

Sono p e n e d e t e n t i v e :

l’e r g a s t o l o : l’art. 22 c.p. afferma che: “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è

scontata in uno degli istituti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con

l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro

aperto”196;

la r e c l u s i o n e : l’art. 23 c.p. afferma che: “La pena della reclusione si estende

da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli istituti a ciò

destinati con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato alla

reclusione, che scontato almeno un anno della pena può essere ammesso al lavoro

aperto”197;

l’a r r e s t o : l’art. 25 c.p. afferma che: “La pena dell’arresto si estende da cinque

giorni a tre anni, ed scontato in uno degli istituti a ciò destinati o in sezione

speciali, con l’obbligo di lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato

all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati

nell’istituto, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedente occupazioni”.

195

Le pene pecuniarie possono essere fisse o proporzionali (art. 27 c.p.). Si dicono f i s s e quando sono

determinate, a livello edittale, in limiti prestabiliti fra un minimo e un massimo. Si dicono p r o p o r z i o n a l i ,

quando la loro entità è commisurata a un dato variabile (ad esempio il valore di una cosa, come l’oggetto del

reato, il suo profitto, ecc.) e risulta dalla sua moltiplicazione per un coefficiente stabilito (es. art. 252 c.p.: “multa

pari al quintuplo del valore della cosa o dell’opera”). A norma dell’art. 27 le pene proporzionali “non hanno

limite massimo”. 196

Per la sua dubbia compatibilità con il principio rieducativo, la costituzionalità della pena dell’ergastolo è stata

ripetutamente contestata; anche se una risalente sentenza della C. Costituzionale ebbe a dichiarare “non fondata”

la relativa eccezione di legittimità, sulla base di una concezione “polifunzionale” della pena, che valorizzava, fra

gli scopi della pena, accanto all’obiettivo della rieducazione del condannato, “la prevenzione generale, la difesa

sociale e la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati delinquenti”. Quest’orientamento esce,

tuttavia, sostanzialmente confermato anche dalla sentenza costituzionale 28 aprile 1994, n. 168, che ha sancito

l’inapplicabilità dell’ergastolo ai minori degli anni diciotto, esplicitamente diversificando la portata dell’art. 27,

co. 3 Cost., in rapporto ai soggetti considerati nell’art. 31, co. 2 Cost. Sta di fatto che, a seguito di varie

modifiche legislative intervenute in materia, risultano comunque largamente ridimensionate le riserve di ordine

costituzionale sull’ergastolo. Il condannato all’ergastolo, infatti, attualmente è ammesso a godere della

liberazione condizionale (infra, IV 2.5) dopo che abbia scontato ventisei anni di pena; può inoltre godere della

liberazione anticipata (infra, III, 2.1) e del regime di semilibertà (infra, III, 2.1), dopo aver scontato venti anni di

pena (art. 14 e 18 della 1. n. 663/86) 22. Cionondimeno, persistono, accanto a tenaci difese della pena perpetua,

non meno vigorose tendenze abolizioniste; in tempi relativamente recenti (1981), è stato indetto sull’argomento,

nel nostro paese, anche un referendum popolare, che si è tuttavia concluso col diniego della proposta di

abrogazione dell’ergastolo. 197

La legge 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, precisa ulteriormente i principi sulla cui base

dovrebbe aver luogo l’esecuzione della pena della reclusione, prescrivendo in particolare che il trattamento

penitenziario risponda alle particolari esigenze della personalità del condannato; che siano agevolati i rapporti

del recluso con il mondo esterno e con la famiglia; che il lavoro non abbia carattere afflittivo e che sia

remunerato in misura non inferiore ai due terzi delle tariffe sindacali.

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Ver.12-10-2016 140

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.3.1.3. Pene pecuniarie.

Le p e n e p e c u n i a r i e sono:

la m u l t a : l’art. 24 c.p. afferma che: “La pena della multa consiste nel pagamento

allo Stato di un somma non inferiore a euro 50, né superiore a 50.000 euro. Per

delitti determinati da motivi di lucro, se le legge stabilisce soltanto la pena della

reclusione può aggiungere la multa di lire diecimila a lire quattro milioni”198;

l’a m m e n d a : l’art. 26 c.p. afferma che: “La pena dell’ammenda consiste nel

pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20 né superiore a euro

10.000”. È la pena pecuniaria prevista per le contravvenzioni; la sua disciplina è del

tutto analoga a quella della multa.

13.2.3.2. Le pene accessorie.

La sola caratteristica comune a tutte le pene accessorie è la loro

c o m p l e m e n t a r i e t à r i s p e t t o a l l a p e n a p r i n c i p a l e .

L’art. 19 c.p. elenca separatamente le p e n e a c c e s s o r i e previste per i delitti e

quelle previste per le contravvenzioni.

Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza

di condanna199.

13.2.3.2.1. Per i delitti

13.2.3.2.1.1. L’interdizione dai pubblici uffici.

L’i n t e r d i z i o n e d a i p u b b l i c i u f f i c i , a norma dell’art. 28 c.p., priva il

condannato del diritto di elettorato, attivo e passivo e di ogni altro diritto politico; di ogni

pubblico ufficio e di ogni incarico, non obbligatorio, di pubblico servizio; di gradi, titoli, e

dignità accademiche, decorazioni e, in genere, diritti onorifici e della capacità di assumerli200.

198

La disciplina concernente l’applicazione e l’esecuzione della pena della multa è stata significativamente

innovata dalla legge n. 689/81 (“Modifiche al sistema penale”). Oltre ad aggiornare i limiti minimo e massimo

della multa, questa legge, ampliando una facoltà già contemplata nel precedente testo dell’art. 24 c.p., ha

stabilito in via generale il principio che, nell’irrogazione delle pene pecuniarie, il giudice debba in ogni caso

tener conto delle condizioni economiche del reo (art. 133 bis, co. 1, c.p.) e, in particolare, che possa aumentarle

sino al triplo del massimo previsto per legge, ovvero diminuirle fino a un terzo, “ quando, per le condizioni

economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia

eccessivamente gravosa” (art. 133 bis, co. 2, c.p.). Con il successivo art. 133 ter, sempre introdotto dalla legge

689/81, si è altresì prevista la possibilità che, in ragione delle condizioni economiche del condannato, il

pagamento avvenga in rate mensili, da tre a trenta, ciascuna per un ammontare non inferiore a trentamila lire. 199

Da notare che, secondo l’opinione prevalente della dottrina, il catalogo delle pene accessorie contenuto

nell’art. 19 c.p., non può essere considerato come una elencazione tassativa; e, di fatto, le leggi speciali

contemplano non pochi casi di pene accessorie non ricomprese nell’elenco dell’art. 19. 200

Si tratta, come si vede, di una sanzione interdittiva assai grave, anche dopo che, a seguito di un duplice

intervento della C. Costituzionale 27, sono venute parzialmente meno le previsioni di cui al n. 5 dell’art. 28, che

prevedeva la perdita “degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro

ente pubblico” e al co. 3 dello stesso articolo, che stabiliva la perdita, in caso di interdizione temporanea, della

capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, “ i predetti diritti, uffici, servizi, qualità,

gradi, titoli e onorificenze”. Con una prima decisione la C. Costituzionale ha dichiarato illegittime le disposizioni

menzionate limitatamente alla parte in cui i diritti in esse previsti “traggono titolo da un rapporto di lavoro”; e

con una seconda decisione ha dichiarato illegittimo l’art. 28, n. 5 anche “per quanto attiene alle pensioni di

guerra”. L’abrogazione delle disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale, la perdita, la riduzione o

la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro ente pubblico al conseguimento e al godimento

della pensione o di altri assegno e indennità dipendenti dalla cessazione del rapporto di lavoro, o dalle pensioni

di guerra è stato comunque sancito anche per legge (1. 8 giugno 1966, n. 424 e 1. 18 dicembre 1970, n. 1089).

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Ver.12-10-2016 141

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

L’interdizione dai pubblici uffici può essere perpetua o temporanea:

L’interdizione p e r p e t u a consegue di diritto alla condanna all’ergastolo o alla

reclusione per un tempo non inferiore ai cinque anni, e alla dichiarazione di abitualità o

professionalità nel delitto e di tendenza a delinquere.

l’interdizione t e m p o r a n e a ha una durata non inferiore a un anno e non superiore a

cinque. Essa consegue alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni (in

questo caso ha la durata di cinque anni) e alla condanna per delitti commessi con l’abuso dei

poteri o con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio.

L ’ i n t e r d i z i o n e d a i p u b b l i c i u f f i c i n o n s i a p p l i c a n e l

c a s o d i c o n d a n n a p e r d e l i t t o c o l p o s o .

13.2.3.2.1.2. L’interdizione da una professione o da un arte.

L’i n t e r d i z i o n e d a u n a p r o f e s s i o n e o d a u n ’ a r t e (art. 30 c.p.)

priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte,

industria, o un commercio o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso, o una

speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’autorità, e ne comporta la decadenza.

Non può avere durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salvi i casi

espressamente stabiliti dalla legge. Consegue alle condanne per delitti commessi con abuso di

una professione, arte, mestiere, ecc., o con violazione dei relativi doveri.

13.2.3.2.1.3. L’interdizione legale.

L’i n t e r d i z i o n e l e g a l e (art. 32) consegue alle condanne di maggior gravità. È

legalmente interdetto il condannato all’ergastolo ed è legalmente interdetto, durante

l’esecuzione della pena, il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque

anni, sempre che non si tratti di condanna per delitto colposo.

L’interdizione legale priva il soggetto della capacità di agire: si applicano pertanto, per ciò

che concerne l’amministrazione e la disponibilità dei beni e la rappresentanza nei relativi atti,

le norme della legge civile sull’interdizione giudiziale. L’interdizione legale produce anche la

sospensione, per la durata della pena, dell’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il

giudice disponga altrimenti.

13.2.3.2.1.4. L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese

L’i n t e r d i z i o n e d a g l i u f f i c i d i r e t t i v i d e l l e p e r s o n e

g i u r i d i c h e e d e l l e i m p r e s e (art. 32bis c.p.) è stata introdotta come pena

accessoria nel codice dalla legge 689/81 e mira a rafforzare la risposta sanzionatoria ai reati

connessi con l’esercizio di un’attività imprenditoriale.

L’art. 32bis, prevede che l’interdizione consegua “ad ogni condanna alla reclusione non

inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti

all’ufficio”.

Essa priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di

amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale, nonché ogni altro ufficio con potere

di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore.

In mancanza di espressa determinazione normativa, la durata dell’interdizione, a norma

dell’art. 37 c.p., è pari a quelle della pena principale. L’interdizione dagli uffici direttivi non si

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Ver.12-10-2016 142

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

applica nel caso di condanna per delitto colposo alla reclusione inferiore a tre anni e nel caso

di inflizione della sola pena pecuniaria.

13.2.3.2.1.5. L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione

L’i n c a p a c i t à d i c o n t r a t t a r e c o n l a p u b b l i c a

a m m i n i s t r a z i o n e (art. 32 c.p.) costituisce anch’essa una novità introdotta con la

legge 689/81.

Essa consegue alla commissione dei delitti indicati nell’art. 32quater201 e di altri reati,

espressamente indicati da altre norme incriminatrici, contenute in leggi speciali. Non può

avere durata inferiore a un anno né superiore a tre anni; comporta il divieto di concludere

contratti con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.

Per la sua applicazione si richiede che i reati ai quali essa consegue siano stati commessi

“in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad esse”; così

modificandosi l’originaria previsione dell’art. 32quater che era riferita ai fatti commessi “a

causa o in occasione dell’esercizio di un’attività imprenditoriale “.

13.2.3.2.1.6. La decadenza o la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori (art. 34

c.p.).

La d e c a d e n z a o l a s o s p e n s i o n e d a l l ’ e s e r c i z i o d e l l a

p o t e s t à d e i g e n i t o r i sono regolate dell’art. 34 c.p. che, nel primo comma

stabilisce: “ La legge determina i casi nei quali là condanna importa la decadenza dalla potestà

dei genitori”.

Le ipotesi contemplate nel codice sono quelle della condanna all’ergastolo e della

condanna per incesto e per particolari ipotesi dei delitti contro la moralità pubblica e il buon

costume (cfr. art. 541 c.p.).

A norma dell’art. 34, co. 2, la condanna per delitti commessi con abuso della potestà dei

genitori importa la sospensione dell’esercizio di tale potestà per un periodo di tempo pari al

doppio della pena inflitta. Sia la decadenza che la sospensione dell’esercizio della potestà dei

genitori comportano l’incapacità di esercitare qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni

del figlio, in base alle norme del tit. IX del libro 1 del c.c. (art. 34, co. 3 e 4).

13.2.3.2.2. Per le contravvenzioni.

Pene accessorie per le c o n t r a v v e n z i o n i sono:

la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte;

la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

13.2.3.2.2.1. La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte

La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. Consegue ad ogni condanna

per contravvenzione, commessa con abuso della professione, arte, ecc., ovvero con violazione

201

Si tratta, per una buona parte, dei delitti contro la P.A. (quelli previsti dagli artt. 316 bis, 317, 318, 319, 319

bis, 320, 321, 322, 353, 355, 356 c.p.), dei delitti di associazione per delinquere, semplice e di tipo mafioso (artt.

416 e 416 bis c.p.), del delitto di “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro” (art. 437

c.p.); dei delitti di “aggiotaggio” (artt. 501 e 501 bis c.p.), della truffa ai danni dello Stato e delta truffa diretta al

conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 640, cpv. n. 1, 640 bis c.p.), “commessi in danno o in vantaggio di

un’attività imprenditoriale “.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

dei relativi doveri, quando la pena principale inflitta non è inferiore a un anno di arresto; la

sospensione non può essere di durata inferiore ai quindici giorni, né superiore a due anni.

Il contenuto sanzionatorio della sospensione è identico a quello della corrispondente

interdizione; non comporta, però, la decadenza dal permesso, dall’abilitazione, ecc., così che,

decorso il periodo di sospensione, l’esercizio della professione, dell’arte, ecc., può essere

ripreso senza necessità di una nuova autorizzazione.

13.2.3.2.2.2. La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese

La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Anche questa

pena accessoria è stata introdotta con la 1. 689/81 ed ha contenuto identico a quello della

corrispondente misura interdittiva. Consegue ad ogni condanna all’arresto per

contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio;

non può avere durata inferiore a quindici giorni o superiore a due anni.

13.2.3.2.3. La pubblicazione della sentenza di condanna.

La pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36 c.p.), come sappiamo, è p e n a

a c c e s s o r i a comune ai delitti e alle contravvenzioni. Consegue alla condanna nei casi

stabiliti dalla legge.

Questa pena accessoria è disposta in sentenza e consiste nella pubblicazione della sentenza

di condanna (di regola “per estratto”, ma il giudice può anche disporne la pubblicazione per

intero) per una sola volta su uno o più giornali; la pubblicazione è eseguita di ufficio, ma a

spese del condannato.

13.2.3.2.4. Pene accessorie perpetue o temporanee.

Le pene accessorie possono essere p e r p e t u e o t e m p o r a n e e . In questo secondo

caso, la loro durata, quando non è stabilita espressamente dalla legge, corrisponde alla durata

della pena principale.

13.2.4. Le pene sostitutive.

13.2.4.1. Nozione.

Le “sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi” (comunemente dette “p e n e

s o s t i t u t i v e ”) posso essere irrogate dal giudice, nell’atto in cui emette una sentenza di

condanna, in luogo della pena detentiva (reclusione, arresto) comminata per il reato.

13.2.4.2. Ratio.

L’introduzione delle c.d. pene sostitutive ha ampliato il ventaglio delle sanzioni a

disposizione del giudice penale che, da un lato, viene dotato di un ulteriore strumento per una

più puntuale individualizzazione della pena; dall’altro, è posto comunque in condizioni di

scongiurare, per i reati meno gravi, gli effetti desocializzanti della carcerazione, senza per

questo rinunciare alla funzione dissuasiva che la concreta inflizione della pena esercita sul

condannato, rispetto alla commissione di ulteriori reati.

13.2.4.3. Contenuto e regime delle singole sanzioni sostitutive.

Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi sono: la semidetenzione, la libertà

controllata e la pena pecuniaria.

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Ver.12-10-2016 144

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.4.3.1. La semidetenzione.

La s e m i d e t e n z i o n e , sanzione con cui il giudice può sostituire le pene detentive

fino a un anno, comporta l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti di

pena e una serie di limitazioni (divieto di detenere a qualsiasi titolo armi ed esplosivi,

sospensione della patente di guida, ritiro del passaporto e sospensione della validità, ai fini

dell’espatrio, di altri documenti equipollenti, infine l’obbligo di conservare e presentare agli

organi di polizia l’ordinanza contenente le limitazioni imposte).

13.2.4.3.2. Libertà controllata

La l i b e r t à c o n t r o l l a t a - utilizzabile, in alternativa alla semidetenzione, per

sostituire le pene detentive non superiori a sei mesi - comporta: il divieto di allontanarsi dal

comune di residenza, se non previa autorizzazione per i soli motivi di studio, lavoro, famiglia

o salute; l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno negli uffici di P.S. o presso il

comando dell’arma dei C.C. territorialmente competente; nonché le ulteriori limitazioni

previste per la semidetenzione con riguardo alle armi ed esplosivi, all’espatrio, ecc.

Le prescrizioni imposte - fermo restandone il contenuto minimo appena descritto - possono

tuttavia essere modificate dal magistrato di sorveglianza, che ha la facoltà di adattarle alla

concreta situazione del condannato.

13.2.4.3.3. La pena pecuniaria.

La p e n a p e c u n i a r i a può sostituire le pene detentive non superiori a tre mesi.

Nell’operare la sostituzione, il giudice deve attenersi a un criterio di ragguaglio che prevede

l’equivalenza fra un giorno di pena detentiva e 75.000 lire di multa o ammenda.

Un giorno di detenzione equivale invece, rispettivamente, a un giorno di semidetenzione e

a due giorni di libertà controllata. Il giudice, cioè, nel sostituire la pena detentiva, irrogherà la

semidetenzione per una durata uguale a quella della reclusione o dell’arresto, preventivamente

determinata; la libertà controllata per un tempo doppio, rispetto alla durata della

corrispondente pena detentiva sostitutiva.

13.2.4.3.4. L’inosservanza.

L’inosservanza delle prescrizioni imposte al condannato ha come conseguenza la

conversione della restante parte di pena sostitutiva nella pena detentiva sostituita, secondo i

criteri di ragguaglio sopra indicati (art. 66 1. 689/81). Lo stesso effetto produce la revoca della

pena sostitutiva, che ha luogo in due casi: 1) quando sopraggiunge una delle condanne, per

fatti commessi anteriormente alla sostituzione della pena che avrebbero impedito

l’applicazione della pena sostitutiva; 2) la condanna a una pena detentiva, per un fatto

commesso successivamente alla irrogazione della pena sostitutiva.

13.2.4.4. Condizioni per l’applicazione.

Due sono le condizioni cui è subordinata la sostituzione della pena detentiva breve:

13.2.4.4.1. Limiti quantitativi.

Occorrono, in primo luogo, determinati limiti quantitativi nella pena detentiva da

infliggere, ed in particolare il giudice, nell’irrogare una pena detentiva non superiore a tre

mesi (un mese, nella disciplina previgente), può sostituirla con una qualsiasi delle sanzioni

sostitutive

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

Quando si tratti di una pena superiore a tre ma non superiore a sei mesi (da uno a tre mesi

in precedenza), può sostituirla con la semidetenzione o con la libertà controllata; mentre,

quando ritenga di irrogare una pena superiore a sei mesi e non superiore a un anno, ha a

disposizione la sola misura della semidetenzione. Questi limiti si dilatano fino al triplo nelle

ipotesi di reato continuato e di concorso di reati.

13.2.4.4.2. Particolare situazione soggettiva.

Occorre infine che il colpevole si trovi in una particolare situazione soggettiva. Tali

condizioni sono indicate dall’art. 59 L. 689/91

13.2.4.5. Applicazione della sanzione sostitutiva.

Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi si applicano sia di ufficio che su richiesta

dell’imputato.

In presenza delle condizioni oggettive e soggettive citate, l’applicazione della sanzione

sostitutiva rientra nei poteri discrezionali del giudice, il quale:

a) valuterà tutti i criteri indicati nell’art. 133, dando particolare rilievo alla possibilità che

il colpevole si asterrà per il futuro dal violare ulteriormente la legge penale;

b) valuterà la possibilità che il condannato adempia alle prescrizioni impostegli, non

potendo operare la sostituzione “quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute”;

c) sceglierà, tra le pene sostitutive (ed ovviamente nell’osservanza dei limiti quantitativi

prima visti), quella più idonea al reinserimento sociale del condannato.

Riguardo al computo delle pene, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 57 della legge, un

giorno di pena detentiva equivale a un giorno di semidetenzione e a due giorni di libertà

controllata.

13.2.4.6. Ipotesi escluse.

L’applicabilità delle sanzioni sostitutive è tuttavia esclusa, per taluni reati, il cui elenco è

contenuto nell’art. 60 della 1. 689/8132.

Esse, inoltre, non possono essere applicate a determinati soggetti (art. 59 1. 689/81), e cioè:

a) a coloro che siano stati già condannati complessivamente a due anni di reclusione ed

abbiano commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente; b) a coloro che siano

stati condannati due volte per reati della stessa indole; c) a coloro nei cui confronti una pena

sostitutiva precedentemente inflitta sia stata convertita in pena detentiva ovvero sia stato

revocato il regime di semilibertà; d) infine a chi abbia commesso il reato durante il tempo in

cui era sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione

della sorveglianza speciale.

13.2.4.7. L’inosservanza e la revoca.

L’inosservanza delle prescrizioni imposte al condannato ha come conseguenza la

conversione della restante parte di pena sostitutiva nella pena detentiva sostituita.

Lo stesso effetto produce la revoca della pena sostitutiva, che ha luogo in due casi: 1)

quando sopraggiunge una delle condanne, per fatti commessi anteriormente alla sostituzione

della pena che avrebbero impedito l’applicazione della pena sostitutiva; 2) la condanna a una

pena detentiva, per un fatto commesso successivamente alla irrogazione della pena sostitutiva.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.4.8. Il problema dell’applicabilità della sospensione condizionale alle sanzioni

sostitutive.

A giudizio della Cassazione, nel caso di sanzioni sostitutive applicate su richiesta

dell’imputato, il giudice non può ordinare la sospensione condizionale: quest’ultima, infatti, è

un beneficio valevole per le sentenze di condanna e, pertanto, non è consentita nei confronti di

quelle che, ex art. 77 della legge stessa, dichiarano l’estinzione del reato.

13.2.4.9. Effetti dell’applicazione della sanzione sostitutiva

Per qualsiasi effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata si considerano

come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena sostituita, ad eccezione

delta pena pecuniaria che si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena

detentiva.

13.2.5. Misure alternative alla detenzione.

Il principio per cui la pena deve tendere al reinserimento e alla rieducazione del

condannato ha portato alla introduzione nel nostro ordinamento delle m i s u r e

a l t e r n a t i v e a l l a d e t e n z i o n e che dovrebbero abituare il condannato al

reinserimento nella vita sociale agevolando l’opera di risocializzazione; tali misure possono

incidere solo sulla fase delle esecuzione della pena detentiva e loro adozione rientra nella

competenza del Tribunale di Sorveglianza.

13.2.5.1. Tipologia.

Le misure previste sono: I) affidamento in prova al servizio sociale; II) semilibertà; III)

liberazione anticipata; IV) detenzione domiciliare.

13.2.6. La punibilità.

La punibilità è la possibilità giuridica di applicare la pena in presenza di un fatto che

costituisce reato.

In dottrina si distingue: I) punibilità in astratto che sorge quando sussistono tutti i

presupposti richiesti dalla legge per l’inflizione della pena; II) punibilità in concreto che sorge

con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

13.2.6.1. Presupposti per l’applicabilità.

Per il sorgere della punibilità occorrono tre elementi: I) commissione di un reato; II)

assenza di causa personale di esclusione della pena (immunità, non imputabilità); III)

presenza di eventuali condizioni obiettivi di punibilità.

13.2.7. Cause di estinzione.

La punibilità può estinguersi per effetto di alcune cause previste dalla legge; si distingue a

proposito tra: I) cause di estinzione del reato che estinguono la punibilità in astratto; II) cause

di estinzione della pena che estinguono la punibilità in concreto.

13.2.7.1. Del reato.

La cause di estinzione del reato estinguono la punibilità in astratto, che sorge quando

sussistono tutti i presupposti richiesti dalla legge per l’inflizione della pena.

Negli artt. 150-170 del c.p., la nostra legge prevede, quali cause di estinzione del reato: I)

la morte del reo prima della condanna; II) la remissione della querela; III) l’amnistia; IV) la

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

prescrizione del reato; V) l’oblazione; VI) la sospensione condizionale della pena; il perdono

giudiziale.

13.2.7.1.1. Rilevanza esclusivamente processuale.

Si è sostenuto, anzi, da parte di alcuni, che, le c.d. cause di estinzione del reato avrebbero

una rilevanza esclusivamente processuale, paralizzando l’esercizio dell’azione penale e, con

essa, il processo: in particolare quando il sopravvenire della causa estintiva - come avviene di

regola - non richiede, anzi esclude, il previo accertamento della responsabilità penale.

D’altra parte l’effetto estintivo, sul piano giuridico-penale, non è affatto assoluto: il reato

“estinto” continua infatti a produrre taluni effetti, se è vero che di esso si tiene conto ai fini

della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato (art. 106 c.p.); che, a norma

dell’art. 170, co. 1, c.p., l’estinzione del reato presupposto, non comporta l’estinzione del

reato che lo presuppone; che la causa estintiva di un reato che sia elemento costitutivo di un

reato complesso non si estende al reato complesso (art. 170, co. 2); che, infine, l’estinzione di

taluno dei reati connessi non esclude l’aggravamento di pena eventualmente derivante dalla

connessione.

13.2.7.1.2. La morte del reo (art. 150 c.p.).

L’art. 150 c.p. afferma che: “La morte del reo prima della condanna, estingue il reato”.

La morte estingue tutti gli effetti penali del reato, ad sopravvivono solo le obbligazioni

civile nascenti dal reato (restituzione, risarcimento del danno) che saranno poste a carico degli

eredi.

13.2.7.1.3. L’amnistia.

13.2.7.1.3.1. Nozione.

L’amnistia è un atto legislativo di carattere generale, con il quale lo Stato rinuncia alla

punizione di un certo numero di reati - per lo più selezionati in base all’entità della pena -

commessi anteriormente al provvedimento202.

13.2.7.1.3.2. Procedimento (art. 79 Cost così come modificato dalla L.Cost. n. 1 del 1992)

Ai sensi dell’art. 79 Cost. l’amnistia è concessa con legge deliberata a maggioranza dei due

terzi dei componenti di ciascuna Camera.

13.2.7.1.3.3. Propria e impropria.

L’amnistia si distingue in “propria” e “impropria”203.

L’amnistia si dice propria quando interviene prima della condanna definitiva. In tal caso, a

norma dell’art. 151, co. 1, “estingue il reato” e ogni altro effetto penale di esso

Si dice impropria l’amnistia applicata dopo una sentenza di condanna definitiva (perché

intervenuta successivamente): in tal caso essa “fa cessare l’esecuzione della condanna e le

pene accessorie” (art. 151, co. 1); non, invece, gli altri effetti penali della condanna (per es. ai

fini della recidiva, della dichiarazione di abitualità nel reato, della sospensione condizionale di

una successiva condanna, ecc.). Per tale essa è causa di estinzione della pena e non del reato.

202

Beninteso, come per ogni altra causa di estinzione del reato, l’applicazione dell’amnistia è subordinata

all’evidenza di prove di innocenza dell’imputato che, quando sussiste, determina l’assoluzione nel merito (art.

129 c.p.p.). 203

L’amnistia, sia propria che impropria, non estingue le obbligazioni civili nascenti dal reato, salvo che si tratti

della obbligazione civile per la multa o per l’ammenda (art. 158 c.p.).

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Ver.12-10-2016 148

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.7.1.3.4. Nel concorso dei reati.

Nel concorso di reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è stata concessa (art.

151, co. 2).

13.2.7.1.3.5. Nel reato continuato.

Quanto al reato continuato, secondo la concorde interpretazione della giurisprudenza le

diverse violazioni che lo compongono riacquistano la loro autonomia, nel senso che l’amnistia

si applicherà solo a quelli che rientrano nell’amnistia per il titolo e per l’epoca della

commissione (c.d. scioglimento del cumulo).

13.2.7.1.3.6. Casi di esclusione.

L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99 c.p., né ai

delinquenti abituali, professionali o per tendenze ma è fatta salva l’ipotesi che lo stesso

provvedimento di amnistia disponga diversamente (art. 151, co. 4).

13.2.7.1.3.7. Rinunciabilità.

A seguito della sentenza costituzionale 14 luglio 1971, n. 175, l’amnistia è sempre

rinunciabile da parte del soggetto che dovrebbe beneficiarne, ma che abbia, viceversa,

interesse a una pronuncia che escluda la sua colpevolezza e renda, eventualmente,

improponibili azioni civili nei suoi confronti.

13.2.7.1.4. La prescrizione.

13.2.7.1.4.1. Nozione.

Per prescrizione si intende la rinuncia della Stato a far valere la propria pretesa punitiva in

considerazione del lasso di tempo trascorso dalla commissione di un reato, o da un momento

successivo, stabilito in casi particolari dalla legge.

13.2.7.1.4.2. Ratio.

Il fondamento, pacificamente riconosciuto, della estinzione è qui costituito dall’affievolirsi

delle esigenze di prevenzione, sia generale che speciale, connesse con la incriminazione, e

con l’inopportunità, correlativa, dell’esercizio della funzione repressiva, a distanza di molto

tempo dal fatto.

13.2.7.1.4.3. Termini.

A norma dell’art. 157 c.p., l’estinzione del reato per prescrizione matura: 1) in venti anni,

quando la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; 2) in

quindici anni, quando la pena prevista è la reclusione non inferiore a dieci anni; 3) in dieci

anni, se la pena è della reclusione non inferiore a cinque anni; 4) in cinque anni, se la pena

prevista è quella della reclusione inferiore a cinque anni o la multa.

Le contravvenzioni si estinguono per prescrizione in tre anni, se si tratta di contravvenzioni

punibili con l’arresto; in due anni, quando si tratti di contravvenzione punibile con la sola

ammenda.

13.2.7.1.4.4. Decorrenza del termine di prescrizione del reato.

Quanto alla decorrenza del termine di prescrizione del reato, l’art. 158 c.p. stabilisce che

esso decorre: per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il delitto tentato, dal

giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è

cessata la permanenza; per il reato continuato, dal giorno in cui è cessata la continuazione.

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Ver.12-10-2016 149

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

Quando, però, la punibilità del reato dipende dal verificarsi di una condizione, il termine

decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. In ogni caso, il dies a quo non si

computa nel termine.

13.2.7.1.4.5. Sospensione

La sospensione implica una sorta di pausa nel corso della prescrizione, dimodoché questa

riprende a decorrere, una volta cessata la causa della sospensione, ferma restando la validità

del periodo già trascorso, ai fini del computo finale, nel senso che i due periodi - prima e dopo

la sospensione - si sommano fra loro.

La sospensione della prescrizione ha luogo, a norma dell’art. 159, co. 1 c.p.: a) nei casi di

autorizzazione a procedere; b) nelle ipotesi di questioni deferite ad altro giudizio; c) in ogni

altro caso, in cui una particolare disposizione di legge imponga la sospensione del processo

penale. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della

sospensione; nell’ipotesi di autorizzazione a procedere, dal giorno in cui l’autorità competente

accoglie la richiesta.

13.2.7.1.4.6. L’interruzione.

L’interruzione della prescrizione toglie invece efficacia al tempo già trascorso prima

dell’effetto interruttivo; dimodoché il termine ricomincia a decorrere ex novo.

Il corso della prescrizione è interrotto, a norma dell’art. 160, dal compimento di alcuni atti

qualificati di esercizio della pretesa punitiva che dimostrano l’attualità e la persistenza

dell’interesse pubblico alla repressione del fatto.

Gli atti interruttivi della prescrizione sono innanzi tutto la sentenza di condanna e il decreto

di condanna; inoltre una serie di atti dell’A.G., fra cui l’ordinanza che dispone le misure

cautelari, la richiesta di rinvio a giudizio, il provvedimento di fissazione del giudizio

preliminare, il decreto che dispone il giudizio, ecc., appunto per il significato, che essi

assumono, di conferire attualità alla pretesa punitiva dello Stato204.

13.2.7.1.5. Oblazione.

13.2.7.1.5.1. Nozione.

L’oblazione è una causa di estinzione riservata alle contravvenzioni. Essa consiste nel

pagamento di una somma di denaro di entità proporzionale rispetto alla misura massima della

pena edittale stabilita per la contravvenzione, con effetto di estinzione del reato.

13.2.7.1.5.2. Ratio.

La ratio dell’oblazione, è quella di definire in tempi brevi, e in termini economicamente

convenienti, un contenzioso, sia pure penale, ma comunque di minima importanza.

13.2.7.1.5.3. Comune e speciale.

Il c.p. prevede, attualmente, due tipi di oblazione.

La prima, detta oblazione comune (art. 162 c.p.), può aver luogo quando si tratti di una

contravvenzione per cui la legge prevede la sola pena dell’ammenda, e a condizione che il

contravventore presenti domanda di oblazione prima dell’apertura del dibattimento ovvero

204

Nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, la sospensione e l’interruzione della prescrizione spiegano

effetti contro tutti i concorrenti nel reato; del pari, quando si procede congiuntamente per più reati connessi, la

sospensione o l’interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri reati (art. 161 c.p.).

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

prima del decreto di condanna e che adempia tempestivamente all’obbligo di pagamento

assunto.

Nell’oblazione comune l’entità della somma da pagare è pari a un terzo della pena

massima stabilita dalla legge; l’effetto estintivo consegue automaticamente al verificarsi delle

suddette condizioni.

Con l’art. 126 della legge 689/81 è stata introdotta nel sistema un secondo tipo di

oblazione, detta oblazione speciale (art. 162 bis c.p.). L’innovazione ha sensibilmente esteso

l’ambito di applicazione dell’istituto, perché ha reso praticabile l’oblazione anche nel caso di

contravvenzioni punibili alternativamente con l’arresto o con l’ammenda.

In questo caso, l’ammontare della somma da versare é pari alla metà del massimo della

pena edittale; ma, ciò che più conta, l’ammissione all’oblazione non è automatica.

Essa è infatti esclusa se è contestata la recidiva reiterata, ovvero se è ritenuta l’abitualità

nelle contravvenzioni ovvero la professionalità nel reato e quando permangono le

conseguenze dannose del reato; inoltre, in ogni altro caso in cui il giudice, “avuto riguardo

alla gravità del fatto” (art. 162 bis, co. 4) ritenga di dover respingere la domanda.

Nelle ipotesi di oblazione speciale, tuttavia, la relativa domanda, se respinta, può essere

riproposta dal contravventore fino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo

grado.

13.2.7.1.6. Remissione della querela.

13.2.7.1.6.1. Nozione.

La remissione della querela è l’atto con cui il querelante manifesta la volontà di revocare il

diritto di querela già esercitato205.

13.2.7.1.6.2. Requisiti.

La remissione non può essere sottoposta a obblighi e condizioni e, per spiegare effetto

estintivo, deve intervenire prima della condanna definitiva, salvi i casi per i quali la legge

disponga altrimenti (art. 152, co. 3 c.p.).

13.2.7.1.6.3. Effetti.

A norma dell’art. 152 c.p., la remissione della querela estingue i reati, perseguibili a

querela, per i quali la querela era stata proposta.

13.2.7.1.6.4. Processuale e extraprocessuale.

Sempre a norma dell’art. 152 c.p., la remissione della querela può essere “processuale” ed

“extraprocessuale”, a seconda che si estrinsechi in un atto del processo, rivestito di

determinate formalità, ovvero al di fuori di esso

In questo secondo caso, la remissione della querela può essere sia espressa, sia tacita; è

tacita, quando consiste in comportamenti incompatibili con la volontà di persistere

nell’istanza di punizione (pubblica riconciliazione, composizione della lite in forme che

escludano una volontà di ottenere la punizione del querelato, ecc.).

205

Se più sono stati i querelanti, il reato si estingue solo se interviene la remissione da parte di tutti i querelanti;

se, tra più persone offese dal reato, una soltanto ha proposto querela, l’eventuale remissione da parte sua non

pregiudica il diritto degli altri di sporgere querela (art. 154 c.p.).

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Ver.12-10-2016 151

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.7.1.6.5. Accettazione

Per assumere efficacia estintiva del reato, la remissione dev’essere accettata -

espressamente o tacitamente - dal querelato, o per meglio dire non deve essere da questo

ricusata206.

13.2.7.1.6.6. Casi in cui non è ammessa.

La remissione della querela non è ammessa nei delitti contro la libertà sessuale e nel delitto

di corruzione di minorenne, in rapporto ai quali la querela proposta è dichiarata dalla legge

irrevocabile (art. 542, co. 2, c.p.). Gli artt. 153 e 155 c.p. disciplinano l’esercizio del diritto di

remissione e della facoltà di accettare la remissione, quando si tratti di minori o incapaci.

13.2.7.1.7. La sospensione condizionale della pena.

13.2.7.1.7.1. Nozione.

La sospensione condizionale della pena consiste nell’ordine, dato dal giudice con la

sentenza di condanna, che l’esecuzione della pena inflitta resti sospesa per un determinato

periodo di tempo; l’effetto di estinzione del reato, che giustifica la collocazione normativa

dell’istituto, si verifica alla fine del periodo di sospensione, se non sopravvengono cause di

revoca della sospensione stessa, che comportano l’esecuzione della pena “sospesa”.

13.2.7.1.7.2. Limiti oggettivi.

Secondo il testo vigente dell’art. 163 c.p., possono essere sospese condizionalmente le

condanne alla pena della reclusione o dell’arresto in misura non superiore a due anni, ovvero

a pena pecuniaria che, sola o congiunta a pena detentiva, e ragguagliata a norma dell’art. 135,

sia equivalente a una pena detentiva non superiore, nel complesso, a due anni.

Questo limite è elevato a due anni e sei mesi per i minori degli anni ventuno e per chi ha

superato gli anni settanta; a tre anni, per i minori degli anni diciotto.

13.2.7.1.7.3. Limiti soggettivi.

Il co. 4 dell’art. 164, dopo aver stabilito che la sospensione condizionale “non può essere

concessa più di una volta”, precisa, tuttavia, che “il giudice, nell’infliggere una nuova

condanna, può disporre la sospensione condizionale, qualora la pena da infliggere, cumulata

con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti

dall’art. 163”, e cioè i due anni di reclusione.

La sospensione condizionale della pena, per altro, non può essere conceduta al delinquente

o contravventore abituale o professionale.

13.2.7.1.7.4. Durata.

La sospensione dura 5 anni per i delitti e 2 anni per le contravvenzioni e se all’esito del

periodo il reo non ha commesso un reato della stessa indole, il precedente reato è estinto e non

ha luogo l’esecuzione delle pene sia principali che accessorie.

13.2.7.2. Della pena.

Le cause estintive a differenza delle cause di estinzione del reato, hanno una più ampia

latitudine di effetti - in specie quella che intervengono prima della sentenza definitiva, le quali

implicano una vera e propria rinuncia dello Stato all’esercizio della potestà punitiva - le cause

206

Nell’ipotesi di concorso di più persone nel reato, la remissione della querela a favore anche di uno solo fra i

concorrenti si estende a tutti, ma non produce effetti nei confronti di chi l’abbia eventualmente ricusata (art. 155

c.p.).

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

di estinzione della pena non hanno altro effetto se non, appunto, quello di impedire o far

cessare l’esecuzione della pena concretamente inflitta al reo.

Esse presuppongono necessariamente l’esistenza di una sentenza di condanna definitiva (la

cui esecuzione resta paralizzata o modificata), lasciando impregiudicata ogni altra

conseguenza giuridica del reato per il quale la condanna è stata pronunciata.

Le cause di estinzione delle pena previste dal codice sono: I) la morte del reo dopo la

condanna; II) l’amnistia impropria; III) la prescrizione della pena; l’indulto; IV) la grazia, 1°

V) liberazione condizionale; VI) la riabilitazione; VII) la non menzione della condanna nei

certificati del casellario giudiziale.

13.2.7.2.1. Morte del reo dopo la condanna (art. 171 c.p.).

L’estinzione della pena a seguito della morte del reo, intervenuta dopo la condanna (art.

171 c.p.) è un’implicazione del tutto ovvia del principio mors omnia solvit.

C’è solo da rilevare che la morte del reo, pur estinguendo ogni effetto della condanna, ivi

comprese le obbligazioni civili per il pagamento delle multe o delle ammende, non estingue

però la confisca, né le obbligazioni civili derivanti dal reato.

13.2.7.2.2. La prescrizione della pena.

13.2.7.2.2.1. Nozione.

La prescrizione della pena è una rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva

e porta alla estinzione della punibilità in concreto; può verificarsi solo dopo una sentenza o

decreto irrevocabile di condanna non eseguiti. Ha per oggetto solo le pene principali ed è

sempre esclusa per l’ergastolo.

13.2.7.2.2.2. Ratio.

Il fondamento di questa causa di estinzione della pena viene rinvenuto non tanto nel venir

meno dell’interesse della collettività all’esecuzione, quanto soprattutto nella scarsa

plausibilità, da un punto di vista specialpreventivo, della esecuzione di una pena a grande

distanza di tempo dalla sua concreta inflizione.

13.2.7.2.2.3. Tempo necessario.

La pena della reclusione si estingue decorso un periodo pari al doppio della pena inflitta e

in ogni caso non superiore a 30 anni e non inferiore a 10

La pena della multa si estingue dopo il decorso di 10 anni, mentre la pena dell’arresto

dell’ammendo dopo 5 anni

13.2.7.2.2.4. Dies a quo

Il termine di prescrizione decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di

condanna, ovvero dalla data in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione

della pena, già iniziata.

13.2.7.2.2.5. Casi esclusi.

L’estinzione non opera nel caso di recidivi aggravati o reiterati, e dei delinquenti abituali,

professionali o per tendenza, né nei confronti di chi, durante il tempo necessario al

prescriversi della pena, abbia riportato una condanna alla reclusione per un delitto della stessa

indole.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

13.2.7.2.3. Indulto.

13.2.7.2.3.1. Nozione.

L’indulto è un atto di clemenza generale che opera esclusivamente sulla pena principale

che viene in tutto o in parte condonata o commutata in altre specie di pena dello stesso genere.

13.2.7.2.3.2. Procedimento.

Ai sensi dell’art. 79 Cost. l’indulto è concessa con legge deliberata a maggioranza dei due

terzi dei componenti di ciascuna Camera.

13.2.7.2.4. Grazia.

13.2.7.2.4.1. Nozione.

La grazia è un atto di clemenza del Capo dello Stato, che a differenza dell’indulto a

carattere particolare. Essa presuppone una sentenza irrevocabile di condanna e opera solo

sulla pena principale

13.2.7.2.5. La liberazione condizionale.

13.2.7.2.5.1. Nozione.

La liberazione condizionale è premio concesso al condannato che durante il periodo di

detenzione ha dato prova costante di buona condotta.

13.2.7.2.5.2. Condizioni.

Le condizioni generali per l’applicazione della liberazione condizionale sono: a) che il

condannato abbia scontato una parte della pena e che la pena residua non superi i cinque anni;

b) che abbia tenuto un comporta mento costituente sicuro indice di ravvedimento; c) che abbia

adempiuto le obbligazioni civili nascenti dal reato (o che si trovi nell’impossibilità di

adempierle).

13.2.7.2.5.3. Revoca.

La liberazione condizionale è soggetta a revoca, se durante il periodo di libertà sotto

condizione la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole,

ovvero trasgredisce agli obblighi impostigli con la libertà vigilata. 2.6.

13.2.7.2.6. La riabilitazione.

La riabilitazione (artt. 179-181 c.p.) può intervenire dopo il decorso di cinque anni

(termine raddoppiato per i recidivi qualificati e per i delinquenti abituali, professionali e per

tendenze) dal giorno in cui 1° pena principale è stata eseguita o si è altrimenti estinta.

Essa estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la

legge non disponga altrimenti.

13.2.7.2.6.1. Condizioni

Ulteriori condizioni per la riabilitazione sono: 1) che il condannato abbia dato prove

effettive e costanti di buona condotta; 2) che non sia stato sottoposto a misure di sicurezza,

tranne che si tratti della espulsione dello straniero dallo Stato o di confisca, ovvero che il

provvedimento sia stato revocato; 3) che abbia adempiuto le obbligazioni civili nascenti dal

reato o che dimostri l’impossibilità di adempierle. Si ritiene che, in presenza degli indicati

presupposti, sussista un vero e proprio diritto del condannato alla riabilitazione.

13.2.7.2.6.2. Revoca.

La riabilitazione é revocata di diritto, se il riabilitato commette entro cinque anni un delitto

non colposo, per il quale riporti una nuova condanna alla reclusione non inferiore a tre anni.

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

La non menzione della condanna nei certificati del casellario giudiziale.

La non menzione della condanna, disciplinata nell’art. 175 c.p., non è, in realtà, una causa

di estinzione della pena, ma solo una limitazione degli effetti della condanna penale.

Essa consiste, infatti, in un provvedimento giudiziale, dato in uno alla sentenza di

condanna, con cui si stabilisce che della condanna stessa non si faccia menzione nei certificati

rilasciati dal casellario.

13.3. Misure di sicurezza.

L’ordinamento italiano vigente, prevede e disciplina la possibilità di applicare, come

conseguenza della commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato (o di fatti che,

sotto questo profilo, sono equiparati al reato) determinate misure di sicurezza, come mezzo

per prevenire l’ulteriore commissione di reati da parte del soggetto.

13.3.1. Tipologia.

Le misure di sicurezza si distinguono in: a) personali, che limitano la libertà personale del

soggetto; b) patrimoniali, che incidono soltanto sul patrimonio del soggetto.

13.3.1.1. Misure di sicurezza personali.

Le misure di sicurezza personali possono essere, a loro volta, detentive e non detentive.

13.3.1.1.1. Detentive.

Misure di sicurezza detentive sono:

l’assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro (per i delinquenti abituali,

professionali o per tendenza);

l’assegnazione ad una casa di cura e di custodia (per i condannati a pena diminuita

per infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti, e

sordomutismo);

il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (per gli imputati prosciolti per le

stesse cause di cui sopra);

il riformatorio giudiziario (per i minori non imputabili o condannati a pena

diminuita).

13.3.1.1.2. Non detentive.

Misure di sicurezza non detentive sono:

la libertà vigilata, consistente in una serie di limitazioni e di prescrizioni imposte

per evitare nuove occasioni di reato (ad esempio, l’obbligo di dedicarsi una stabile

attività lavorativa, l’obbligo di non ritirarsi la sera dopo una certa ora, l’obbligo di

non accompagnarsi a pregiudicati, etc.);il divieto di soggiorno, consistente

nell’obbligo di non soggiornare in uno o più comuni ovvero in una o più province;

il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche,

l’espulsione dello straniero dallo Stato.

13.3.1.2. Misure di sicurezza patrimoniali

Misure di sicurezza patrimoniali sono:

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Ver.12-10-2016 155

Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

la cauzione di buona condotta, consistente nel deposito di una somma di danaro

presso la Cassa delle ammende, variabile da lire 200.000 a lire 4.000.000, per la

durata massima di 5 anni. Se il soggetto commette un nuovo reato punito con pena

detentiva durante tale periodo, la somma viene incamerata; altrimenti, decorso il

termine, essa viene restituita;

la confisca, consistente nella espropriazione a favore dello Stato di cose che

servono a commettere il reato (es.: gli arnesi da scasso) o che ne sono il prodotto o

il profitto, ovvero di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione

costituisce reato (es.: armi, monete false).

13.4. Misure di prevenzione.

Le misure di prevenzione costituiscono uno strumento predisposto dallo stato per tutelare

la società da qui soggetti che, per le loro abitudini di vita, costituiscono un grave pericolo per

la sicurezza pubblica. Esse sono disposte a differenza delle misure di sicurezza,

indipendentemente dalla commissione di un delitto.

Tra le misure di prevenzione, vanno ricordate quelle di cui alla L. 1423/1956 (rimpatrio

con foglio di via obbligatorio, sorveglianza speciale di pubblica sicurezza) ed alla c.d. L.

646/1982, la legge Rognoni La Torre, di fondamentale importanza tra le c.d. leggi antimafia

(sequestro, confisca).

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

Sommario

CAPITOLO 1° ............................................................................................................. 2

1.1. Il diritto penale. .............................................................................................................................................. 2 1.1.1. Nozione. .................................................................................................................................................... 2 1.1.2. Funzione. .................................................................................................................................................. 2 1.1.3. Caratteri. ................................................................................................................................................... 2

1.2. Norme di diritto penale. ................................................................................................................................. 3 1.2.1. Nozione. .................................................................................................................................................... 3 1.2.2. Caratteri. ................................................................................................................................................... 4 1.2.3. Elementi. ................................................................................................................................................... 4

1.3. Le fonti normative del diritto penale italiano. ............................................................................................. 4 1.3.1. Codice penale ........................................................................................................................................... 4 1.3.2. Disposizioni costituzionali. ....................................................................................................................... 5 1.3.3. Codici penali militari di pace e di guerra. ................................................................................................. 5 1.3.4. Diritto penale complementare ................................................................................................................... 5

CAPITOLO 2° ............................................................................................................. 6

2.1. Nozione. ........................................................................................................................................................... 6

2.2. Il principio di legalità nell’ordinamento italiano. ........................................................................................ 6 2.2.1. Principio di legalità formale. .................................................................................................................... 6

2.3. Determinazioni giuridiche. ............................................................................................................................ 7 2.3.1. La riserva di legge in materia penale. ....................................................................................................... 7 2.3.2. Il principio di “tassatività e determinatezza” della fattispecie legale. ..................................................... 10 2.3.3. Il principio di tipicità. ............................................................................................................................. 11

2.4. Le singole fonti del diritto penale. ............................................................................................................... 12

CAPITOLO 3° ........................................................................................................... 13

3.1. Successioni di legge penali nel tempo. ......................................................................................................... 13 3.1.1. La nuova norma configura come reato un fatto che in precedenza non era previsto come tale. ............. 13 3.1.2. La nuova norma non prevede più come reato un fatto che in precedenza era considerato tale. ............. 13 3.1.3. La nuova norma senza introdurre nuove reati o abolire reati preesistenti, si limita a modificare il

trattamento penale del fatto. ............................................................................................................................. 14 3.1.4. Successione di leggi temporanee, eccezionali. ....................................................................................... 15 3.1.5. Trattamento da riservare ai decreti legge non convertiti. ........................................................................ 15

3.2. L’efficacia della legge penale nello spazio. ................................................................................................. 16 3.2.1. I reati commessi nel territorio italiano: il principio di territorialità. ....................................................... 16 3.2.2. I reati commessi all’estero: deroghe al principio di territorialità. ........................................................... 19 3.2.3. Rinnovamento del giudizio. .................................................................................................................... 21 3.2.4. Riconoscimento delle sentenze penali straniere. ..................................................................................... 22 3.2.5. L’estradizione. ........................................................................................................................................ 23

CAPITOLO 4° ........................................................................................................... 27

4.1. Oggetto e funzione della teoria generale del reato. .................................................................................... 27

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

4.2. Metodologie di costruzione del reato. ......................................................................................................... 27 4.2.1. Tipicità. ................................................................................................................................................... 27 4.2.2. Antigiuridicità. ........................................................................................................................................ 28 4.2.3. Colpevolezza .......................................................................................................................................... 28

CAPITOLO 5° ........................................................................................................... 29

5.1. Gli elementi della fattispecie oggettiva. ...................................................................................................... 29

5.2. L’Autore o soggetto attivo del reato. ........................................................................................................... 29 5.2.1. Generalità. ............................................................................................................................................... 29 5.2.2. Le persone giuridiche come soggetti attivi di un reato. .......................................................................... 29 5.2.3. Distinzione dei reati in base al soggetto attivo. ...................................................................................... 30

5.3. Il soggetto passivo del reato o persona offesa del reato. ............................................................................ 30 5.3.1. Distinzione con il soggetto passivo della condotta. ................................................................................ 31 5.3.2. Distinzione con il danneggiato dal reato. ................................................................................................ 31 5.3.3. Classificazione dei reati in base al soggetto passivo. .............................................................................. 31

5.4. L’oggetto materiale dell’azione. .................................................................................................................. 32 5.4.1. Distinzione dall’oggetto giuridico del reato............................................................................................ 32 5.4.2. Distinzione dal corpo del reato ............................................................................................................... 32 5.4.3. La classificazione dei reati in base all’oggetto giuridico. ....................................................................... 32

5.5. La condotta. .................................................................................................................................................. 32 5.5.1. La classificazione dei reati in base alla condotta. ................................................................................... 33

5.6. L’evento. ........................................................................................................................................................ 36 5.6.1. Classificazione dei reati in base all’evento. ............................................................................................ 37

5.7. Il danno penale o offesa. ............................................................................................................................... 37 5.7.1. Generalità. ............................................................................................................................................... 37 5.7.2. Classificazione dei reati in base al danno. .............................................................................................. 38

5.8. Il nesso di causalità fra condotta ed evento. ............................................................................................... 38 5.8.2. Il concorso di cause colpose indipendenti............................................................................................... 40

5.9. Classificazioni di reati. ................................................................................................................................. 42 5.9.1. Delitti e contravvenzioni. ........................................................................................................................ 42 5.9.2. Distinzione dei reati in base al momento della consumazione................................................................ 42

CAPITOLO 6° ........................................................................................................... 44

6.1. Nozione. ......................................................................................................................................................... 44 6.1.1. Disciplina codicistica. ............................................................................................................................. 44

6.2. La coscienza e volontà dell’azione e dell’omissione come requisito generale della condotta rilevante. 44

6.3. La fattispecie de reati dolosi. ....................................................................................................................... 45 6.3.1. Il dolo come forma tipica della volontà colpevole. ................................................................................. 45 6.3.2. Nozione di delitto doloso (art. 43 1° co. c.p.). ........................................................................................ 45 6.3.3. Ratio. ...................................................................................................................................................... 45 6.3.4. Struttura .................................................................................................................................................. 45 6.3.5. Classificazioni e partizioni del dolo. ....................................................................................................... 48 6.3.6. L’accertamento del dolo ......................................................................................................................... 51 6.3.7. L’intensità del dolo. ................................................................................................................................ 51

6.4. La fattispecie dei reati colposi. .................................................................................................................... 51

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

6.4.1. Nozione di delitto colposo. ..................................................................................................................... 51 6.4.2. Ratio. ...................................................................................................................................................... 51 6.4.3. La struttura del tipo di fatto del reato colposo. ....................................................................................... 52 6.4.4. La fattispecie oggettiva. .......................................................................................................................... 52 6.4.5. Fonti dell’obbligo di diligenza. ............................................................................................................... 54 6.4.6. La struttura psicologica della condotta colposa. ..................................................................................... 55

6.5. La fattispecie dei reati preterintenzionali. .................................................................................................. 57

6.6. La fattispecie dei reati contravvenzionali. .................................................................................................. 58 6.6.1. Forme dell’elemento psicologico delle contravvenzioni.. ...................................................................... 58

6.7. La responsabilità oggettiva. ......................................................................................................................... 58

CAPITOLO 7° ........................................................................................................... 60

7.1. Le ipotesi normative di esclusione del fatto penalmente rilevante. .......................................................... 60

7.2. Ipotesi normative di esclusione della suitas. ............................................................................................... 60 7.2.1. Forza maggiore ....................................................................................................................................... 60 7.2.2. Costringimento fisico (art. 46 c.p.) ......................................................................................................... 60

7.3. Le ipotesi normative di esclusione dell’elemento psicologico del reato (dolo o colpa): .......................... 61 7.3.1. Caso fortuito. .......................................................................................................................................... 61 7.3.2. L’errore in generale. ............................................................................................................................... 61 7.3.3. L’errore sul fatto. .................................................................................................................................... 62 7.3.4. L’errore sul diritto. .................................................................................................................................. 64

7.4. Ulteriori cause di esclusione della tipicità. ................................................................................................. 68 7.4.1. Il reato putativo (art. 49 1° co,). .............................................................................................................. 68 7.4.2. Il reato impossibile (art. 49 2° co.) ......................................................................................................... 68

CAPITOLO 8° ........................................................................................................... 69

8.1. Premessa. ....................................................................................................................................................... 69 8.1.1. La fonte delle singole fattispecie permissive. ......................................................................................... 69

8.2. Il consenso dell’avente diritto. ..................................................................................................................... 70 8.2.1. L’art. 50 c.p. ........................................................................................................................................... 70 8.2.2. La ratio. .................................................................................................................................................. 70 8.2.3. Distinzione dall’ipotesi in cui il consenso esclude la stessa tipicità del fatto ......................................... 70 8.2.4. La natura giuridica e la revoca. ............................................................................................................... 70 8.2.5. L’oggetto del consenso. .......................................................................................................................... 71 8.2.6. I requisiti di validità del consenso. ......................................................................................................... 71 8.2.7. Consenso putativo e il consenso presunto............................................................................................... 72

8.3. L’esercizio di un diritto. ............................................................................................................................... 72 8.3.1. Nozione. .................................................................................................................................................. 72 8.3.2. Ratio. ...................................................................................................................................................... 72 8.3.3. La nozione e fonte del diritto ai sensi dell’art. 51. .................................................................................. 73 8.3.4. I limiti dell’esercizio del diritto. ............................................................................................................. 73

8.4. L’adempimento del dovere. ......................................................................................................................... 73 8.4.1. Nozione. .................................................................................................................................................. 73 8.4.2. Ratio. ...................................................................................................................................................... 73 8.4.3. Fonti del dovere. ..................................................................................................................................... 74

8.5. La difesa legittima. ....................................................................................................................................... 75

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

8.5.1. L’art. 52 c.p. ........................................................................................................................................... 75 8.5.2. Ratio. ...................................................................................................................................................... 75 8.5.3. Elementi. ................................................................................................................................................. 75

8.6. L’uso legittimo delle armi. ........................................................................................................................... 76 8.6.1. L’art. 53 c.p.. .......................................................................................................................................... 76 8.6.2. Ratio ....................................................................................................................................................... 77 8.6.3. Soggetti che possono invocare l’esimente. ............................................................................................. 77 8.6.4. Condizioni per l’applicazione. ................................................................................................................ 77

8.7. Lo stato di necessità. ..................................................................................................................................... 78 8.7.1. L’art. 54 c.p. ........................................................................................................................................... 78 8.7.2. La differenza rispetto alle altre cause di giustificazione. ........................................................................ 78 8.7.3. Gli elementi. ........................................................................................................................................... 79 8.7.4. Il c.d. soccorso di necessità. .................................................................................................................... 80 8.7.5. Limiti dello stato di necessità ex art. 54 c.p 1° co. .................................................................................. 81 8.7.6. Lo stato di necessità determinato dall’altrui minaccia: il costringimento psichico ................................. 81 8.7.7. Differenza con la legittima difesa rispetto alle conseguenze civili. ........................................................ 81

8.8. L’eccesso colposo. ......................................................................................................................................... 81 8.8.1. Nozione. .................................................................................................................................................. 81 8.8.2. L’art. 55 c.p. ........................................................................................................................................... 82 8.8.3. Condizione per l’applicabilità. ................................................................................................................ 82 8.8.4. Tipologia. ................................................................................................................................................ 82 8.8.5. L’eccesso colposo nelle varie cause di giustificazione. .......................................................................... 83

CAPITOLO 9° ........................................................................................................... 85

9.1. La colpevolezza. ............................................................................................................................................ 85 9.1.1. Nella struttura del reato........................................................................................................................... 85 9.1.2. Il principio di colpevolezza nella prospettiva costituzionale. ................................................................. 85

9.2. L’imputabilità. .............................................................................................................................................. 87 9.2.1. L’art. 85 c.p. ........................................................................................................................................... 87 9.2.2. Le cause di esclusione dell’imputabilità. ................................................................................................ 87 9.2.3. Gli stati emotivi e passionali. .................................................................................................................. 90

CAPITOLO 10° ......................................................................................................... 91

10.1. Reato circostanziato. .................................................................................................................................. 91 10.1.1. Nozione. ................................................................................................................................................ 91 10.1.2. Le circostanze. ...................................................................................................................................... 91 10.1.3. I criteri di imputazione delle circostanze. ............................................................................................. 93 10.1.4. Applicazione delle circostanze. ............................................................................................................ 94 10.1.5. Le singole circostanze. .......................................................................................................................... 97

10.2. Delitto tentato. .......................................................................................................................................... 100 10.2.1. Nozione di delitto tentato o tentativo. ................................................................................................. 100 10.2.2. La rilevanza del delitto tentato nel nostro ordinamento. ..................................................................... 100 10.2.3. Ambito di operatività del delitto tentato rispetto al procedimento di realizzazione di un reato. ......... 101 10.2.4. Struttura. ............................................................................................................................................. 102 10.2.5. Campo di applicazione........................................................................................................................ 104 10.2.6. Trattamento sanzionatorio. ................................................................................................................. 106 10.2.7. Desistenza e recesso. .......................................................................................................................... 106

10.3. Il concorso di persone nel reato. .............................................................................................................. 108 10.3.1. Nozione e tipologia. ............................................................................................................................ 108 10.3.2. L’art. 110 c.p....................................................................................................................................... 109 10.3.3. Gli elementi del concorso di persone. ................................................................................................. 111

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Manuale di Diritto Penale Le sanzioni

10.3.4. Il trattamento sanzionatorio dei concorrenti. ...................................................................................... 115 10.3.5. La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto. ................................................. 117 10.3.6. Il concorso nel reato proprio. .............................................................................................................. 118 10.3.7. La cooperazione nei delitti colposi. .................................................................................................... 119

CAPITOLO 11° ....................................................................................................... 121

11.1. Il concorso dei reati. ................................................................................................................................. 121 11.1.1. Nozione. .............................................................................................................................................. 121 11.1.2. Tipologia. ............................................................................................................................................ 121 11.1.3. Sistemi sanzionatori nel concorso dei reati. ........................................................................................ 121 11.1.4. Le eccezioni alla disciplina del concorso materiale: il reato continuato. ............................................ 123 11.1.5. Le eccezioni alla disciplina del concorso formale: il reato aberrante. ................................................ 124

11.2. Il concorso di norme. ................................................................................................................................ 126 11.2.1. Nozione. .............................................................................................................................................. 126 11.2.2. I criteri per dirimere il conflitto apparente di norme. .......................................................................... 127 11.2.3. Il reato complesso. .............................................................................................................................. 127 11.2.4. Il reato progressivo e la progressione criminosa. ................................................................................ 128

CAPITOLO 12° ....................................................................................................... 130

12.1. Nozione. ..................................................................................................................................................... 130

12.2. L’accertamento. ........................................................................................................................................ 130

12.3. Le forme di pericolosità criminale. ......................................................................................................... 131 12.3.1. Recidiva. ............................................................................................................................................. 131 12.3.2. L’abitualità criminosa. ........................................................................................................................ 132 12.3.3. La professionalità nel reato. ................................................................................................................ 133 12.3.4. La tendenza a delinquere. ................................................................................................................... 134

CAPITOLO 13° ....................................................................................................... 135

13.1. Premessa. ................................................................................................................................................... 135

13.2. Le pene....................................................................................................................................................... 135 13.2.1. La fisionomia della pena nell’ordinamento vigente. ........................................................................... 135 13.2.2. La determinazione della pena. ............................................................................................................ 137 13.2.3. Le pene principali e le pene accessorie. .............................................................................................. 138 13.2.4. Le pene sostitutive. ............................................................................................................................. 143 13.2.5. Misure alternative alla detenzione. ..................................................................................................... 146 13.2.6. La punibilità. ....................................................................................................................................... 146 13.2.7. Cause di estinzione. ............................................................................................................................ 146

13.3. Misure di sicurezza. .................................................................................................................................. 154 13.3.1. Tipologia. ............................................................................................................................................ 154

13.4. Misure di prevenzione. ............................................................................................................................. 155