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Facoltà di Ingegneria CONCETTI DI BASE DI CHIMICA GENERALE Dispense di Chimica per il I anno dei Corsi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale Ingegneria Meccanica Ingegneria Nucleare e della Sicurezza e Protezione Prof. Ing. M. De Sanctis G. Lovicu, PhD

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Facoltà di Ingegneria

CONCETTI DI BASEDI CHIMICA GENERALE

Dispense di Chimica per il I anno dei Corsi di Laurea in

Ingegneria Aerospaziale Ingegneria Meccanica

Ingegneria Nucleare e della Sicurezza e Protezione

Prof. Ing. M. De SanctisG. Lovicu, PhD

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INDICE:Introduzione 1

Atomi,, molecole, ioni 6

Proprietà Periodiche degli elementi 25

Stechiometria 30

Termochimica 39

Legami Chimici 46

Geometria Molecolare 58

Gas 75

Passaggi di Stato e Diagrammi di Stato 81

Le Soluzioni 87

Equilibrio Chimico 98

Acidi e Basi: Equilibri Chimici in Soluzione 103

Cinetica Chimica 112

Combustione 121

Termodinamica Chimica 127

Elettrochimica 135

Nomenclatura 146

Elementi di Chimica Organica 155

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CONCETTI DI BASE DI CHIMICA GENERALE

La chimica si occupa dello studio delle sostanze, in special modo della loro struttura, composizione, proprietà, e possibili trasformazioni.L’impatto che la chimica ha con tanti aspetti della vita quotidiana è enorme: dallo sviluppo delle materie plastiche, alla messa a punto dei prodotti farmaceutici, ai fertilizzanti per incrementare la produzione del cibo, allo sfruttamento energetico del petrolio e del carbone. In contrapposizione, le maggiori conoscenze nel campo della chimica hanno anche portato a danni ambientali per la produzione di sostanze tossiche a seguito di incidenti.Da un punto di vista conoscitivo, l’approfondimento delle conoscenze di chimica è essenziale per poter interagire in modo meno passivo con la moltitudine delle sostanze, prodotti chimici commerciali, materiali metallici, polimerici, ceramici ecc. che ci circondano, così come per comprendere le trasformazioni della materia che accadono tutti i giorni sotto i nostri occhi.La chimica in questo senso si rivolge alla materia, che possiamo definire come qualsiasi cosa nell’universo che occupa spazio ed ha una massa.La materia esiste in 3 stati fisici:

STATO GASSOSO → non ha volume e forma propria. Può essere compresso

STATO LIQUIDO → ha volume proprio ma non forma propria. Incomprimibile

STATO SOLIDO → ha volume proprio e forma propria. Incomprimibile

Molte forme della materia non sono chimicamente pure. Per sostanza pura si intende una materia con una ben precisa composizione e proprietà.Ogni sostanza ha una serie di proprietà fisiche e chimiche.

PROPRIETA’ FISICHE PROPRIETA’ CHIMICHESono quelle che possiamo misurare senza cambiare l’identità di base della sostanza:

ColoreDensità

punto di fusionedurezza

Sono proprietà che descrivono il modo con cui una sostanza può modificarsi o “reagire” per formare altre sostanze:

infiammmabilità

Le modificazioni che le sostanze possono subire possono quindi essere di tipo FISICO, quando il cambiamento che esibiscono non modifica la loro identità di base, oppure di tipo CHIMICO, quando la sostanza si trasforma in una altra sostanza chimicamente differente.Le miscele sono combinazioni di diverse sostanze in cui ognuna di esse mantiene la sua identità chimica. Queste possono essere OMOGENEE o ETEROGENEE.Le miscele sono eterogenee quando sono individuabili due o più fasi e i componenti sono distinguibili a occhio nudo o con l’ausilio di un microscopio (UNA SOSPENSIONE è una miscela eterogenea tra un solido e un liquido; una EMULSIONE è una miscela. tra due liquidi immiscibili). Le miscele sono omogenee quando si presentono in una unica fase ed i componenti non sono più distinguibili. Si dicono anche “soluzioni”.Poiché in una miscela ogni componente mantiene le sue proprietà fisiche, possiamo separare i suoi componenti sfruttando proprio le differenze di proprietà fisiche (ad es. fili di ferro e di oro separati con un magnete). Possiamo però sfruttare anche le differenze di proprietà chimiche (dissoluzione del ferro con acido e filtrazione per recuperare l’oro). Allo stesso modo si può agire per separare i

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costituenti di una soluzione solida omogenea (ad es. acqua + sale, per evaporazione e successiva condensazione dell’acqua).La diversa abilità che le sostanze hanno di muoversi attraverso i vari mezzi può essere usata parimenti per separare i costituenti di una miscela. Questa è la base della CROMATOGRAFIA (letteralmente “scrittura dei colori”).Le sostanze pure possono essere ELEMENTI o COMPOSTI, a seconda che non possano o possano essere decomposte per via chimica in sostanze più semplici. (ad es. l’idrogeno, H, è un elemento mentre l’acqua, H2O, è un composto).

Malgrado l’enorme numero di materiali presenti nel nostro mondo, sono fino ad oggi conosciuti solo 109 elementi. La loro abbondanza in natura varia grandemente. Ad es. la crosta terrestre è per il 90% costituita da soli 5 elementi: ossigeno, silicio, alluminio, ferro e calcio.Nella seguente tabella si riportano gli elementi più comuni con l’indicazione del relativo simbolo chimico:

Carbonio (C) Alluminio (Al)Fluoro (F) Bario (Ba) Idrogeno (H, latino Hydrogen) Calcio (Cl)Iodio (I) Elio (He, lat. Helium)Azoto (N, latino Nitrogen) Magnesio (Mg)Ossigeno (O) Platino (Pt)Fosforo (P, lat. Phosphorous) Rame (Cu, lat. Cuprum)Zolfo (S, lat. Sulfur) Potassio (K, lat. Kalium)Mercurio (Hg, lat. Hydrargyrum (=argento liquido))

I composti sono sostanze costituite da due o più elementi legati chimicamente in DEFINITE PROPORZIONI DI MASSA (legge di Proust, 1800). Ad es. l’H2O è un composto costituito da due elementi, idrogeno e ossigeno, in rapporto di massa fisso e costante (11% H e 89% O). L’acqua come composto ha proprietà fisiche ben diverse dai suoi elementi costitutivi. L’H2O non è un elemento, in quanto con l’impiego dell’elettricità si può scindere nei suoi elementi costituitivi H e O (nelle loro forme stabili gassose, H2 e O2). Non è nemmeno una semplice miscela di H2 e O2 in quanto, ha proprietà fisiche e chimiche molto differenti dai suoi elementi, come visibile dalla seguente tabella:

H2O H2 O2

Stato fisico (a TAMB e PAMB) liquido gassoso gassosoTeb 100 °C - 253 °C - 183 °C

densità 1.00 g/cm3 0.084 g/l 1.33 g/lÈ combustibile? NO SI NO

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UNITA’ DI MISURA Molte proprietà della materia sono quantitative e quindi associate a numeri. Nella comunità scientifica internazionale si impiegano le unità di misura che fanno riferimento al sistema metrico decimale. Si utilizza come riferimento il sistema internazionale delle unità di misura, SI dove sono definite 7 unita di misura fondamentali:

Quantità fisica Nome Unità AbbreviazioneMassa Chilogrammo Kg

Lunghezza Metro mTempo Secondo s

Corrente Elettrica Ampere ATemperatura Kelvin K

Intensità luminosa Candela CdQuantità di sostanza Mole mole

Altre quantità, come velocità (m/s) o il volume (m3) si possono derivare da queste unità fondamentali.Nel SI si impiegano una serie di prefissi per indicare frazioni decimali o multipli:

Tera 1012 TGiga 109 GMega 106 MChilo 103 KDeci 10-1 dCenti 10-2 cMilli 10-3 mMicro 10-6 µNano 10-9 nPico 10-12 p

Le proprietà delle materie possono essere intensive o estensive . Le proprietà intensive sono quelle che non dipendono dalla quantità di materia in oggetto (colore, densità, temperatura) al contrario di quelle estensive (massa, volume, ecc.).

Nella pratica ci si trova a lavorare con i valori delle varie grandezze, e pertanto con numeri. E’ necessario, però, distinguere 2 tipi di numeri :NUMERI ESATTI sono i valori conosciuti con esattezza

1 inch= 2.54 cm1 Km= 1000 m

NUMERI INESATTI Sono i numeri ottenuti per mezzo di misure sperimentali.2.1438±0.0007 5 cifre significative

Se l’errore della misura non è specificato si intende che sia pari a ± una unità dell’ultima cifra significativa della misura. (Es: 5.56 cm significa 5.56±0.01 cm) Tale convenzione non è universalmente accettata e spesso si utilizza un’errore pari alla metà di questo (5.56±0.005 cm).

Nel condurre dei calcoli numerici è utile ricordare che:

1. Nella moltiplicazione e divisione: il risultato deve essere espresso con un numero di cifre significative pari a quelle della misura con il minor numero di c.s.

ad. esempio Area = (7,502 cm) × (4,1cm)

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Il risultato, considerando tutte le cifre che la calcolatrice riporta è 30,7531 cm2 Il fattore con numero minore di cifre significative (2) è 4,1 cm, per cui anche il risultato dovrà avere 2 cifre significative, pertanto, considerando che il risultato è più vicino a 31 che a 30 cm2, si avrà:

(7,502 cm) × (4,1cm) = 31 cm2

2. Nella addizione/sottrazione ciò che conta è la posizione delle ultime cifre significative degli addendi: un esempio chiarirà quanto detto:

Gli addendi sono: 20.4 1.322 83L’ultima cifra significativa del primo addendo è il 4, situato nella prima posizione dopo la virgola;quella del secondo addendo è il 2 (il secondo 2) situata nella terza posizione dopo la virgola; quella del terzo addendo è il 3, situato nella posizione delle unità.

La somma dei tre addendi è pari a 104.722, ma non tutte queste cifre sono significative. L’ultima cifra significativa è quella relativa alle unità; pilotata dal terzo addendo che in tale posizione ha la sua ultima cifra significativa. Il risultato andrà pertanto troncato e sarà pari a 105.

Come visto, con l’uso dei calcolatori si ottengono di norma numeri con un numero di cifre molto maggiori a quelle significative. E’ buona norma condurre i calcoli con tutte le cifre e poi troncare solo alla fine seguendo le regole prima riportate. In questo modo si evita di introdurre errori dovuti al troncamento delle varie misure.

Un ultimo accenno è sull’analisi dimensionale che ci permette, utilizzando i fattori di conversione, di passare da un’unità di misura ad un’altra, o anche di controllare che il risultato ottenuto abbia le unità di misura corrette.

Per condurre una conversione da una unità di misura ad un’altra è necessario utilizzare un fattore pari al rapporto fra le unità desiderate e le unità date, secondo il seguente schema:

UNITA’ DATE xdate.unità

desiderate.unità= unità desiderate

Es. A quanti millimetri corrispondono 3 inch?

in un pollice ci sono 2,54 cm, per cui il fattore cercato è pari a inch

cm54.2 , inoltre in un centimetro ci

sono 10 millimetri, per cui l’altro fattore sarà cm

mm10 . Da cui, seguendo lo schema

precedentemente riportato, si ha:

3 inch × 2.54 inchcm

× 10 cmmm

= 76.2 mm

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Le molecole sono costituite dall’unione di due o più atomi fortemente legati tra loro.

Elementi presenti in natura come molecole biatomiche222222 I,BrCl,F,H,O

Le molecole di composti contengono più di un tipo di atomi

H2O CO2 CO CH4

Acqua anidride monossido metano carbonica di carbonio

Le formule chimiche che indicano l’effettivo numero e tipo di atomi presenti in una molecola si dicono formule molecolari; quelle che indicano solo il numero relativo degli atomi di ciascun tipo presenti nella molecola si dicono formule empiriche

Es. Perossido di idrogeno H2O2

Formula empirica HO Formula molecolare H2O2

Infine le formule di struttura indicano in aggiunta come gli atomi sono legati tra loro:

O O O

H H H Acqua Acqua Ossigenata

H

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ATOMI, MOLECOLE, IONI

Nei tempi antichi, molto prima della nascita della chimica moderna, i filosofi greci (Aristotele, Empedocle) suggerivano che la natura fosse costituita da 4 elementi fondamentali: acqua, aria, terra e fuoco. Nel 1661 Robert Boyle definì per primo un elemento come una sostanza che non può essere decomposta in sostanze più semplici.

Detto questo, rimangono comunque aperte una serie di domande:1. Cosa rende un elemento diverso da un altro?2. Perché alcuni elementi hanno proprietà fisiche e chimiche molto simili?3. Perché un composto è differente da un miscuglio o miscela?4. Come e perché gli elementi si combinano a formare i composti?

La risposta a questi quesiti è stata lo sviluppo della teoria atomica della materia, che costituisce la base della chimica moderna.Nei tempi antichi i filosofi greci come Platone e Aristotele ritenevano che la materia fosse infinitamente divisibile. Solo Democrito si staccava dal coro, ritenendo che la materia fosse composta da piccole e indivisibili unità, che chiamò atomos (che significa appunto “indivisibile”). L’idea della materia infinitamente divisibile tuttavia restò credo corrente fino all’inizio dell’800. Nel frattempo molti studiosi si interessavano alla costituzione della materia e si fecero importanti scoperte sulla modalità di svolgimento delle reazioni chimiche e sulle relazioni quantitative che ne emergono. Tali esperienze non concordavano con l’idea di materia divisibile infinitamente .Nel 1807 John Dalton propose una teoria per spiegare i risultati dei suoi esperimenti, formulando una serie di postulati:

1. Ogni elemento è composto da particelle estremamente piccole chiamate atomi;2. Tutti gli atomi di un dato elemento sono uguali;3. Gli atomi di elementi diversi hanno proprietà diverse (inclusa la massa);4. Gli atomi di un dato elemento non mutano in altri elementi nel corso di reazioni chimiche: gli atomi non si creano né si distruggono nel corso delle reazioni chimiche;5. I composti si formano quando si combinano tra loro due o più elementi.

Questi concetti possono illustrarsi facendo riferimento alla Fig.1.

Fig.1: in (a): atomi di elementi diversi (denominati 1 e 2) divisi da un setto; in (b) composto formato da atomi delle specie 1 e 2: il rapporto fra le quantità di atomi di 1 e di 2 è fisso e costante; in (c) miscela formata da atomi delle specie 1 e 2: in questo caso non c’è restrizione alcuna nel valore del rapporto fra le quantità di atomi di 1 e di 2.

Questi postulati inoltre contengono in sè numerose e importanti leggi della chimica.

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Legge della conservazione della massa (1789, A.L. Lavoisier):“In ogni reazione chimica la somma delle masse delle sostanze poste a reagire (reagenti) è uguale alla somma delle masse delle sostanze che si ottengono alla fine (prodotti)”.

Legge delle proporzioni definite (1799, J.L.Proust):“Il rapporto tra le masse degli elementi di un determinato composto chimico è fisso e costante”.

Legge delle proporzioni multiple (1803, Dalton):se A e B formano diversi composti, allora le masse di B che possono combinarsi con una data massa di A, sono tra loro in un rapporto di numeri interi e piccoli.

Ad es. H2O e H2O2:In H2O per ogni grammo di idrogeno si hanno 8 grammi di ossigeno;in H2O2 per ogni grammo di idrogeno si hanno 16 grammi di ossigeno.

⇒ Il rapporto fra le quantità di ossigeno nei due composti con l’idrogeno è pertanto 2:1 (in proporzione l’H2O2 contiene il doppio dell’ossigeno presente nell’H2O).

La teoria di Dalton fornisce inoltre una nuova risposta alla domanda:“Cosa rende un elemento diverso da un altro?”ovvero: “Gli elementi sono differenti tra loro perché composti di atomi diversi”.

Si pone tuttavia la domanda su come gli atomi di elementi diversi possano differire tra loro e per dare risposta dobbiamo andare a scoprire meglio la struttura atomica della materia. Per Dalton l’atomo era concepito ancora come un oggetto indivisibile. Dal 1850 si incominciò a pensare all’atomo come costituito da un insieme di particelle (dette pertanto subatomiche).Prima di introdurre le diverse teorie e modelli atomici proposti, è utile fare un cenno storico sulle scoperte fondamentali che hanno permesso poi di formulare questi modelli.

In un tubo sotto vuoto l’applicazione di un’alta tensione tra due elettrodi metallici provoca la scarica di una radiazione catodica nota come raggio catodico, evidenziabile grazie alla fluorescenza di alcuni materiali.

Fig.2: (a) in un tubo catodico gli elettroni si muovono dall’elettrodo negativo (catodo) verso quello positivo (anodo).(b) Deflessione di un raggio catodico provocata dall’applicazione di un campo elettrico;(c) Deflessione di un raggio catodico provocata dall’applicazione di un campo magnetico.

Tale raggio è composto da cariche elettriche negative, come dimostrato dal fatto che un materiale colpito da un raggio catodico si carica negativamente. Inoltre i raggi catodici originati da materiali diversi hanno le stesse caratteristiche. Pertanto si è concluso che i raggi catodici sono costituiti da un flusso di particelle cariche negativamente, tutte uguali fra loro, chiamate elettroni e che questi sono uno dei componenti base della materia.

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Fig.3: Foto di un tubo catodico che mostra l’influenza di un campo elettrico e magnetico sulla traiettoria di un raggio catodico.

Le nozioni di base sulle particelle cariche elettricamente ci dicono che:• Cariche elettriche simili si respingono• Cariche elettriche dissimili si attraggono

I risultati sperimentali mediante studi sui raggi catodici con applicazione di campi elettrici e campi magnetici permisero di individuare (THOMSON, 1897) il rapporto fra la CARICA e la MASSA dell’elettrone risultato pari a 1,76·108 C/g.

Fig.4: Esperienza di Thomson: dalla deflessione di un fascio di raggi catodici sottoposto all’azione di un campo elettrico e di uno magnetico noti è possibile calcolare il rapporto fra la carica e la massa degli elettroni.

A questo punto bastava determinare o la carica dell’elettrone o la massa dell’elettrone per poter risalire all’altra quantità.

Millikan nel 1909 mise a punto un’esperienza detta “della goccia d’olio” con cui determinò la carica dell’elettrone che risultò pari a 1,60·10-19 C. Pertanto risulta:

Massa elettrone (e-) = grammi

coulombs1076.1

coulombs1060.18

19

⋅ −

= 9.10 · 10-28 g

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Fig.5: Schema dell’apparato utilizzato da Millikan per la determinazione della carica dell’elettrone.

Parallelamente a questi studi, altri ricercatori scoprirono un’altra proprietà di alcune sostanze, la radioattività, scoperta che permetterà di evidenziare molte proprietà della struttura atomica.Sempre impiegando come strumentazione scientifica il tubo a raggi catodici, nel 1895 Röntgen scoprì che quando questi ultimi colpiscono certi materiali, si genera un altro tipo di radiazione invisibile, capace di attraversare indisturbata molti oggetti, di non essere deflessa dall’imposizione di campi magnetici e capace di impressionare le lastre fotografiche. Röntgen chiamò questa nuova radiazione ad alta energia raggi X.Contemporaneamente Becquerel, che stava studiando il fenomeno della fosforescenza, scoprì che alcuni minerali di uranio erano fosforescenti al buio ed emettevano raggi ad alta energia. Alla emissione spontanea di radiazioni dette il nome di radioattività. Dal minerale contenete uranio, chiamato pecblenda, Madame Curie isolò l’elemento uranio, U.Rutherford nello stesso periodo studiava il fenomeno della radioattività e scoprì tre tipi di radiazione naturale da radioattività:• I raggi γ indeflessi dal campo elettrico equivalenti ai raggi X generati dal raggio catodico, cioè

radiazioni non cariche elettricamente e ad alta energia.• I raggi β deflessi dal campo elettrico come il raggio catodico, costituiti però da elettroni

fortemente accelerati e da considerarsi l’equivalente radioattivo del raggio catodico .Si determinò inoltre che tali particelle trasportano una carica negativa pari a –1.

• I raggi α particelle di grande massa e cariche positivamente, che trasportavano una carica pari a +2.

Fig.6: Comportamento dei diversi tipi di radiazione emessa da sostanze radioattive, in seguito ad interazione con campi elettrici.

Rutherford scoprì che i raggi α si combinavano con gli elettroni a formare il gas nobile elio, He. Pertanto concluse che i raggi α erano costituiti dal corpo carico positivamente dall’atomo di elio.

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Sulla base di tutte queste esperienze, THOMSON (1897) formulò il primo modello atomico, in cui si supponeva che gli elettroni (che, come scoperto, avevano una massa molto piccola rispetto a quella totale dell’atomo) costituissero una porzione dell’atomo carica negativamente, in particolare erano particelle cariche negativamente immerse in una matrice uniformemente carica di carica positiva.

Fig.7: Modello atomico di Thomson: l’atomo è composto da una sfera uniformemente positivamente carica in cui sono “immersi” gli elettroni.

Tuttavia, le successive esperienze di Rutherford (1909) sconfessarono tale modello. Infatti egli scoprì che quando un fascio di raggi α impattava una sottile lastra di oro accadeva che :i) una gran parte dei raggi α passava indisturbata;ii) una piccola parte subiva scattering di piccola entità (veniva cioè deflessa di angoli di ~1o); iii) alcune particelle venivano retro-scatterate, cioè “rimbalzavano” all’indietro.

Fig.8: Esperimento di Rutherford.

Tali risultati erano spiegabili solo se veniva fatta una particolare ipotesi.Nel 1911 Rutherford quindi postulò che la maggior parte della massa atomica e tutta la sua carica positiva risiedesse in una regione estremamente densa dell’atomo chiamato nucleo. La maggior parte del volume totale dell'atomo era invece spazio vuoto, in cui si muovevano gli elettroni attorno al nucleo in orbite circolari, secondo un modello di tipo planetario.Dall’inizio del secolo ad oggi si è scoperto un gran numero di particelle (numero tuttora crescente) costituenti il nucleo atomico. Tuttavia per i chimici solo tre particelle subatomiche hanno interesse

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in quanto influenzano il comportamento chimico dei vari elementi. Queste sono il protone, il neutrone e l’elettrone.Il protone ha la stessa carica elettrica di un elettrone e cioè 1,602·10-19C, ma di segno opposto.Per le cariche delle particelle atomiche e subatomiche ci si riferisce di norma a multipli di tale carica. Pertanto un elettrone ha carica –1 e un protone carica +1. I neutroni non hanno carica elettrica e risiedono insieme ai protoni nel nucleo. Il numero di elettroni è uguale a quello dei protoni e l’atomo è nel suo complesso elettricamente neutro. Gli elettroni sono tenuti vicini al nucleo dalla forza di attrazione elettrica.La massa atomica è in massima parte concentrata nel nucleo e si assume come riferimento :

UNITA’ DI MASSA ATOMICA u.m.a = 1.66053·10-24 g

1 protone ha una massa pari a 1,0073 amu1 neutrone ha una massa pari a 1,0087 amu1 elettrone ha una massa pari a 5,486x10-4 amu

Per avere un’idea di quanto sia vuoto lo spazio atomico attorno al nucleo basti pensare che il diametro atomico varia da 1 ÷ 5 Å mentre il diametro del nucleo è dell’ordine di 10-4 Å. Pertanto in proporzione, se il nucleo fosse grande quanto una moneta di 2 cm di diametro, ci sarebbe attorno ad esso uno spazio pari ad un diametro di 2·10+4 = 20.000 cm = 200m.

Fig.9: Confronto fra le dimensioni del nucleo e quelle dell’intero atomo.

A questo punto possiamo rispondere alla domanda:“Che cosa rende un atomo di un elemento differente da un atomo di un altro elemento?”Risposta: “il numero dei protoni contenuti nel nucleo”, cioè ogni atomo di un certo elemento

ha lo stesso numero di protoni e tale numero è detto carica atomica.Uno stesso elemento può avere un numero variabile di neutroni associati e in tal caso si parla di isotopi di quell’elemento o nuclidi (ad es. il carbonio ha due principali isotopi naturali: il carbonio 12, C12

6 , e il carbonio 14, C146 ).

Nel simbolo di un isotopo di un certo elemento si indica con un pedice a sinistra il “numero atomico”, Z, (cioè il numero di protoni nel nucleo) e con un apice a sinistra il “numero di massa”, A, (cioè il numero totale di protoni e neutroni).

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Esempio Applicativo:Datazione di reperti organici mediante misure del contenuto di C14

6 (chiamato “carbonio quattordici”). Il C14

6 è radioattivo (al contrario dell’altro isotopo) e cioè decade in un atomo di azoto ed un elettrone secondo la seguente reazione di decadimento radioattivo:

−+→ eNC 147

146 .

Rispetto alla classificazione della radioattività dovuta a Rutherford e analizzata in precedenza, siamo di fronte ad una radioattività di tipo β.

Evidentemente la concentrazione di carbonio 14 di un certo campione varia nel tempo, a seguito del procedere della reazione scritta. Particolare importanza ha a questo proposito il concetto di tempo di dimezzamento, cioè il tempo dopo il quale la concentrazione è la metà di quella iniziale. Nel caso in questione il tempo di dimezzamento è pari a circa 5730 anni.Si suppone che negli ultimi 50.000 anni il rapporto fra le quantità di C14

6 e di C126 nell’atmosfera

non sia cambiato e sia considerabile pertanto costante. Da un punto di vista chimico il carbonio 14 è assolutamente identico al carbonio 12 e pertanto, come esso, viene incorporato nella CO2 e in tutti gli altri composti del carbonio. In particolare tramite la CO2 viene fissato per fotosintesi dalle piante e successivamente passa in tutti gli organismi viventi, animali o vegetali che siano. Pertanto finchè l’animale o la pianta sono in vita, il rapporto C14

6 / C126 si mantiene costante, e pari

a quello dell’atmosfera. Quando l’animale o la pianta muore, invece, il C146 non viene reintegrato e

la quantità totale presente diminuisce gradualmente secondo il caratteristico tempo di dimezzamento. Confrontando pertanto il rapporto C14

6 / C126 nel reperto con quello dell’atmosfera si

può datare il reperto organico considerato. Viste le ipotesi, tale tipo di datazione non è efficace per reperti risalenti a più di 50000 anni, in quanto con buona probabilità il rapporto C14

6 / C126

dell’atmosfera assumeva valori differenti da quello attuale.Il principio esposto è applicabile anche per la datazione delle rocce, ma in questo caso si utilizzano altri composti radioattivi, come ad esempio il decadimento:

PbU 206238 →più complesso di quello del carbonio 14 in quanto passa attraverso un gran numero di decadimenti intermedi.

Dalla teoria atomica di Dalton (1807), che comunque pensava l’atomo come particella indivisibile, nella prima metà dell’800 si condussero numerosi esperimenti sulle proprietà fisiche e chimiche degli elementi, conosciuti a quel tempo e questo grande lavoro di classificazione portò Mendeleev a classificare gli elementi in una Tavola Periodica. Tale classificazione partiva dall’osservazione che molti elementi mostrano forti similitudini tra loro: al crescere del numero atomico, le proprietà chimiche e fisiche degli elementi mostravano infatti variazioni periodiche.Gli elementi posti lungo una colonna mostrano caratteristiche chimiche e fisiche simili e si chiamano famiglie o gruppi .Ad esempio elementi come il Li, Na, K (metalli alcalini) sono tutti elementi soffici e fortemente reattivi e vengono tutti (nella scala dei numeri atomici) dopo elementi poco reattivi come He, Ne, Ar detti gas nobili .

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Fig.10: Tavola periodica degli elementi.

Alla domanda: “Perchè alcuni elementi hanno proprietà fisiche e chimiche molto simili?” si può rispondere che (come si spiegherà meglio nel seguito): “Le differenze tra gruppi diversi, così come le similitudini all’interno di una stessa famiglia, dipendono direttamente dalla configurazione elettronica degli elementi”.

La scoperta delle configurazioni elettroniche è stata possibile grazie ad una delle teorie più importanti del XX secolo la teoria dei quanti.Questa teoria si sviluppò per spiegare le proprietà dell’energia radiante (cioè la luce).L’energia radiante (la luce di una lampadina, così come i raggi X del dentista) o radiazione elettromagnetica, che in tutte le sue forme si muove nel vuoto alla velocità della luce (c≅3,00x108m/s) ed ha caratteristiche simili al movimento che osserviamo quando gettiamo un oggetto nello stagno costituito da una determinata periodicità.

Fig.11: Parametri di un moto ondoso: (a) la distanza fra punti corrispondenti di due onde adiacenti si dice “lunghezza d’onda”; (b) il numero di oscillazioni nell’unità di tempo di un dato punto dell’onda è detto “frequenza”.

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L’onda elettromagnetica associata all’energia radiante si caratterizza allo stesso modo, mediante la lunghezza d’onda λ (o la frequenza ν) legata dalla relazione λν=c.

Fig.12: Onde elettromagnetica di bassa e alta frequenza, corrispondenti a grande e piccola lunghezza d’onda, rispettivamente.

Come detto, le diverse forme di energia radiante possono avere proprietà assai diverse, come per esempio i raggi X e la luce solare, differenti sostanzialmente per la loro lunghezza d’onda λ.

Fig.13: Lunghezze d’onda delle varie componenti dello spettro elettromagnetico.

La lunghezza d’onda dei raggi cosmici è estremamente piccola ed è dell’ordine del nucleo atomico, mentre quella delle onde radio può essere anche di 100m. E’ conoscenza comune che la radiazione infrarossa, collegata al calore può causare bruciature, mentre i raggi X possono danneggiare i tessuti e indurre il cancro. Tali differenze dipendono essenzialmente dalla differente lunghezza d’onda di questa forma di energia radiante, risultando quelle a maggior frequenza (minor lunghezza d’onda) più energetiche.

La relazione quantitativa tra energia e frequenza è la base della teoria dei quanti sviluppata da Max Planck nel 1900.La teoria dei quanti di Planck si sviluppò per spiegare lo spettro di emissione del Corpo Nero (ad es. il colore rosso che assume una resistenza riscaldata con il passaggio di corrente). Planck teorizzò

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che l’energia radiante assorbita o emessa dal corpo nero non era continua ma costituita da “pacchetti discreti di energia” multipli di una unità base chiamata quanto di energia.

∆E = hν, 2hν, 3hν,……relazione tra energia e frequenza dell’energia radiante

Dove h è la costante di Plance pari a 6,63·10-34 J·s

Pertanto ad una determinata frequenza ν il più piccolo incremento di energia scambiabile èhν detto quanto di energia

Tale osservazione era sconvolgente per l’epoca, visto che le leggi della fisica mostravano che l’energia poteva trasformarsi da una forma all’altra in modo continuo, come per esempio tra energia potenziale ed energia cinetica. Un esempio di variazione continua e variazione discreta è il confronto delle frequenze dei suoni di un violino e quelli di un pianoforte. Il violino non possiede “tastiere” e la frequenza di oscillazione delle varie corde può essere modulata a piacimento dall’esecutore. Lo stesso non è possibile per un pianista, che invece può produrre solo suoni a ben determinate lunghezze d’onda, vincolate dai tasti del pianoforte.Come esempi applicativi della teoria dei quanti, si può citare l’effetto fotoelettrico e gli spettri continui e di linea.

L’effetto fotoelettricoQuando una luce colpisce una superficie metallica, può causare emissione di elettroni (effetto fotoelettrico). Per ogni metallo c’è una frequenza minima al di sotto della quale non si può causare emissione di e-, qualsiasi sia l’intensità del fascio luminoso. Einstein fu capace di spiegare tale fenomeno. Egli assimilò l’onda elettromagnetica ad un flusso di piccoli pacchetti di energia, chiamati fotoni ciascuno costituito da un quanto di energia. In tal modo anche l’energia radiante viene considerata quantizzata.

Fig.14: L’effetto fotoelettrico. Quando fotoni sufficientemente energetici incidono su una superficie metallica si ha emissione di elettroni dal metallo, come si può vedere in (a). L’effetto fotoelettrico è la base delle fotocellule mostrate in (b). Gli elettroni emessi sono indirizzati verso l’altro elettrodo, positivo. Il risultato è una corrente che scorre nel circuito.

L’energia dei fotoni Efotoni = hν dipende quindi esclusivamente dalla frequenza .Quando un fotone è assorbito dalla materia, l’energia viene trasferita agli elettroni dei suoi atomi. Se tale energia è

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superiore a quella che li lega al nucleo positivo, allora si liberano e l’eccesso di energia si traduce in energia cinetica con la quale fuoriescono dalla materia

Ecin = hν - Ea

Spettri continui e spettri a righe.Le sorgenti luminose comuni (sole, lampadine) emettono radiazioni composte da numerose lunghezze d’onde. Ad esempio le componenti di emissione della luce di una lampadina possono essere osservate grazie all’uso di un prisma e alcune componenti della luce solare dalle particelle di pioggia o dalla nebbia.

Fig.15: Quando un fascio di luce bianca viene fatto passare attraverso un prisma viene prodotto uno spettro continuo di luce visibile. La luce bianca può originare dal sole o da una semplice lampadina a incandescenza.

In questi casi lo spettro prodotto è continuo, cioè nell’intervallo di frequenze della luce visibile come negli esempi, i vari colori degradano tra loro.Tuttavia non tutte le sorgenti emettono su uno spettro continuo.Per esempio diversi gas emettono su frequenze e danno quindi colori diversi (oltre al neon si usano altri gas, così come i vapori di sodio delle comuni lampade di illuminazione stradale emettono una luce gialla. Uno spettro che contiene solo alcune lunghezze d’onda viene detto spettro a righe.

Fig.16: Parte dello spettro d’emissione dell’idrogeno in cui compaiono le quattro linee più intense. Questo spettro si ottiene facendo passare un sottile fascio di luce emessa da una lampada a idrogeno attraverso un prisma. La lampada emette luce quando gli atomi d’idrogeno sono eccitati in una scarica elettrica.

Un tale tipo di spettro viene esibito dall’idrogeno quando eccitato da una scarica elettrica e la luce prodotta successivamente separata da un prisma. Nel 1885, JOHANN BALMER osservò che le sole

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4 frequenze emesse nel visibile dall’idrogeno erano correlate da una formula estremamente semplice

6,5,4,3nconn1

21C 22 =

−⋅=ν

dove C = cost = 3,29·1015 s-1

La semplicità di tale relazione fu spiegata solo 30 anni più tardi grazie al modello atomico di BOHR.

L’atomo di BohrNel 1914 Bohr spiegò lo spettro a righe dell’atomo di idrogeno appoggiandosi alla scoperta della natura nucleare dell’atomo di Rutherford e alla nuova visione di Einstein dell’energia radiante fatta di pacchetti di energia (fotoni). L’idea innovativa era quella di supporre che l’assorbimento o l’emissione di energia dell’atomo di idrogeno corrispondevano a variazioni ben definite di energia degli elettroni all’interno degli atomi. La struttura atomica tipo “sistema solare” con gli elettroni in orbita attorno al nucleo si scontrava con la fisica classica, in quanto sulla base di questo modello si sarebbe dovuta verificare una emissione continua di energia radiante (ogni carica accelerata emette radiazione elettromagnetica) nonché, a seguito della perdita di energia dell’elettrone, la sua caduta sul nucleo. Bohr semplicemente asserì che la fisica classica non era adeguata a descrivere l’atomo e formulò la sua teoria su una serie di postulati così riassumibili:1) L’elettrone si muove attorno al nucleo su orbite circolari e solo le orbite di un certo raggio corrispondenti a prefissare energie sono permesse. Un elettrone in movimento su un’orbita, ha sempre la stessa energia e non precipita sul nucleo.2) L’elettrone può assorbire o emettere energie passando da un’orbita di una certa energia ad un’altra tramite l’assorbimento o l’emissione di radiazione elettromagnetica. La frequenza della radiazione (ν) e la differenza di energia (∆Ε) fra le orbite sono legate dalla seguente relazione:

ν∆ hE =Nel modello di Bohr ad ogni orbita circolare permessa si assegna un numero, n, detto numero quantico principaleTramite il modello di Bohr è possibile calcolare il raggio delle orbite degli elettroni e la loro energia, avendo come parametro il solo numero quantico principale:

Raggio delle orbite:,...3,2,1ncon)m103,5(nr 112

n =⋅⋅= −

Energia degli elettroni dell’orbita n-esima:

J1018,2Rconn1RE 19

H2Hn−⋅=

−=

RH = Costante di Rydberg

Differenze d’energia fra i livelli:

ν∆ hRn1

n1EEE H

fiif =

−=−=

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Per l’idrogeno la rimozione dallo stato fondamentale (n = 1) di un elettrone fino a n= ∞ si definisce energia di ionizzazione.Il modello di Bohr fu importante perché introdusse il concetto di stati energetici quantizzati. Tuttavia era in grado di spiegare solo atomi con 1 solo elettrone come H, He+ Li++.Per atomi più complessi venne in aiuto una nuova teoria chiamata meccanica quantistica o meccanica ondulatoria.L’idea di base di De Broglie fu quella di notare che se l’energia radiante può essere vista con natura non solo ondulatoria ma anche corpuscolare (come fotone di EINSTEIN) allora anche una massa, in appropriate condizioni può mostrare una natura ondulatoria. In tal modo l’elettrone in orbita attorno al nucleo non deve essere localizzato necessariamente in orbite circolari di raggio prefissato.La relazione sviluppata da De Broglie fu la seguente:

mvh=λ dove mv è la quantità di moto della particella

e cioè ad una massa m che si sposta ad una velocità v è associabile un’onda di materia di lunghezza d’onda λ.A questa teoria si innestò il principio d’indeterminazione di Heisenberg che, partendo dalla natura duale corpuscolare–ondulatoria dell’elettrone in movimento attorno al nucleo, stabilisce che è impossibile determinare contemporaneamente la posizione e il momento dell’elettrone in movimento attorno al nucleo. In tal modo la meccanica quantistica applicata alla struttura atomica da SCHRODINGER, che formulò un’equazione d’onda le cui soluzioni descrivono in pratica gli stati energetici ammissibili per l’elettrone, prendendo in debita considerazione le proprietà ondulatorie legate al suo movimento attorno al nucleo. Le soluzioni dell’equazione di SCHRODINGER forniscono un’indicazione sulla densità probabilistica di trovare in una certa regione attorno al nucleo, in un certo momento, un elettrone che abbia quella specifica energia permessa.

Fig.17: Distribuzione della densità elettronica dell’idrogeno nello stato fondamentale.

Quindi, contrariamente al modello di Bohr in cui venivano individuate delle orbite circolari di uno specifico raggio su cui gli elettroni avevano una specifica energia, con la meccanica quantistica si rappresentano le probabilità, più comodamente configurabili sotto forma di distribuzione della densità elettronica. In Fig.17 è rappresentata la distribuzione di densità elettronica per l’atomo di idrogeno nel suo stato fondamentale.Le varie soluzioni all’equazione di SCHRODINGER forniscono quindi delle diverse distribuzioni di densità elettronica a diversi livelli energetici, distribuzioni a cui si da il nome di orbitali (ben diversi dalle orbite). La rappresentazione della struttura atomica si complica quindi notevolmente rispetto a quella semplice di BOHR. Dall’impiego di 1 solo numero quantico n, si passa all’impiego di 3 numeri quantici, necessari a descrivere le diverse soluzioni all’equazione di SCHRODINGER . Queste diverse soluzioni sono in sostanza i diversi orbitali possibili, ciascuno con una propria geometria e ciascuno legato ad uno specifico livello energetico.

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Questi tre numeri quantici sono:

NUMERO QUANTICO PRINCIPALE “n”:Dà un’indicazione dell’energia dell’elettrone.Caratteristiche: può assumere solo valori interi (1,2,3…).Quando n cresce, l’elettrone ha un’energia maggiore e passa più tempo lontano dal nucleo.

NUMERO QUANTICO AZIMUTALE “l”:Descrive la geometria dell’orbitale.Per un dato valore di “n” può assumere valori compresi tra 0 e n-1: 0< l < n-1ad esempio per n = 2 l può essere 0 o 1

per n = 3 l può essere 0 o 1 o 2Al posto dei valori numerici, per convenzione, si utilizza più spesso una notazione di tipo letterale:

s per l=0;p per l=1;d per l=2;f per l=3;g per l=4;

NUMERO QUANTICO MAGNETICO “ml”:Descrive l’orientamento nello spazio dell’orbitale.Può assumere valori compresi tra –l e +l: -l< ml< l

Forma e direzione degli orbitali di tipo “s” (a), di tipo “p” (b) e di tipo “d” (c). In (a) si possono inoltre vedere le variazioni dimensionali degli orbitali al variare del numero quantico principale.

Tutti gli orbitali con lo stesso n costituiscono un guscio elettronico.Tutti gli orbitali con gli stessi valori di n e l costituiscono un sottoguscio elettronico.Applichiamo ora tale approccio al semplice atomo di idrogeno che ha un solo elettrone. Nella rappresentazione dell’atomo di idrogeno tutti gli orbitali con lo stesso numero quantico n hanno la stessa energia. Questo però non accade negli atomi con più elettroni., per i quali il livello energetico, per un certo valore di n, cresce al crescere di l. Cioè per il guscio avente n=3, dove abbiamo gli orbitali s,p,d, l’energia dell’orbitale risulta Es< Ep < Ed.

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Fig.18: Schema dei livelli energetici degli orbitali in un atomo idrogenoide (con un solo elettrone), a sinistra, e per un atomo polielettronico, a destra. Gli schemi non sono in scala.

Questo perché in atomi con più elettroni, l’energia dell’elettrone dipende dalla carica nucleare effettiva Zeff che lo attrae verso il nucleo, e cioè quanto realmente l’elettrone situato ad un certo livello energetico interagisce con la carica del nucleo. Un elettrone di un orbitale più esterno, infatti, sperimenta una interazione di attrazione elettrostatica con il nucleo positivo minore di un elettrone più interno e più vicino al nucleo, poiché agisce un effetto di schermo elettrostatico (vedi Fig.19).

Fig.19: Effetto di schermo della carica positiva nucleare da parte degli elettroni più interni per un elettrone di un atomo polielettronico.

La situazione finale è quella di una differenziazione dei livelli energetici degli orbitali, come nello schema a destra della Fig.18.

Nel caso specifico si vedrà che per alcuni atomi il livello 4s è minore del 3d.Ma cosa impone ad un elettrone di risiedere in un particolare orbitale?

Prima di rispondere a questa domanda è essenziale introdurre un’ulteriore proprietà dell’elettrone: lo spin elettronico.

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Quando gli scienziati studiavano lo spettro di atomi costituiti da più elettroni, si resero conto che le righe di emissione erano non singole ma in realtà costituite da 2 linee molto vicine tra loro (il che significa con energie molto vicine ma comunque diverse). Si postulò quindi che egli elettroni avessero un’altra proprietà intrinseca., anch’essa quantizzata, chiamata spin; cioè, vedendo l’elettrone come una sfera in rotazione, lo spin è il senso di rotazione attorno al suo asse .Si introdusse allora un quarto numero quantico per gli elettroni ms che può assumere i valori + ½ o -½. in funzione del senso di rotazione dell’elettrone attorno al suo asse (vedi Fig.20).

Fig.20: Gli elettroni si comportano come se fossero delle sfere cariche che ruotano rispetto ad un asse interno. I valori dello spin corrispondono ai due diversi sensi di rotazione che l’elettrone può avere.

Una carica in rotazione produce un campo magnetico e, pertanto, i diversi sensi di rotazione degli elettroni producono campi magnetici opposti, che inducono l’effetto di separazione delle linee di spettro dell’atomo.Lo spin elettronico è un punto cruciale per comprendere le strutture elettroniche degli atomi. Grazie al Principio di esclusione di Pauli, si è arrivati a capire che ciascun elettrone in un atomo è individuato da un solo set di valori di n, l, ml, ms e che non possono esserci due elettroni aventi lo stesso set di numeri quantici. Dato che ms può solo assumere 2 valori, ciò vuol dire che ciascun orbitale elettronico non può contenere più di due elettroni e questi elettroni devono avere spin opposti.Questa restrizione ha permesso di capire finalmente la STRUTTURA DELLA TABELLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI.

Un esempio applicativo dello spin:La risonanza magnetica nucleare

La diagnosi medica può trarre enormi vantaggi dall’osservare dall’esterno dettagli interni del corpo umano. I raggi X comunemente usati hanno numerosi svantaggi: non si possono distinguere tessuti malati da quelli sani, la risoluzione è gravemente compromessa dalla sovrapposizione dei vari tessuti, sono radiazioni ad alta energia e quindi dannose e possono portare al cancro. Recentemente si è sviluppata la Risonanza Magnetica Nucleare: il nucleo, così come l’e-, possiede anch’esso un senso di rotazione attorno al suo asse e si comporta pertanto come un piccolo magnete. In assenza di campo magnetico, i 2 spin hanno la stessa energia. Quando il nucleo è posto all’interno di un campo magnetico esterno, i nuclei si possono allineare

parallelamente o in opposto al campo magnetico in ragione del loro spin. L’allineamento in

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parallelo ha un’energia inferiore dell’allineamento in opposizione e tale differenza è quantizzata ∆E.

Fig.21: Effetto dell’applicazione di un campo magnetico sui livelli energetici di uno spin nucleare. In assenza di campi esterni i due spin antiparalleli sono isoenergetici.

Se i nuclei degli atomi vengono irradiati con dei fotoni di energia proprio pari a ∆E, si possono indurre i nuclei allineati in parallelo ad invertire il senso di rotazione e portarsi in allineamento antiparallelo. Nella RMN si sfrutta questo effetto sul nucleo dell’idrogeno, presente praticamente in tutti i tessuti e fluidi del corpo umano. Il diverso assorbimento di energia irradiata (si usano impulsi in radio frequenza per fornire proprio il ∆E necessario per questo effetto sui protoni) viene rilevato con apparecchiature sofisticate che forniscono immagini di impressionante risoluzione a differenti profondità del corpo umano. Si ottengono vere e proprie “sezioni” (evitando problemi di sovrapposizione) che una volta elaborate forniscono immagini tridimensionali.Le radio frequenze non sono pericolose a questi dosaggi.

La configurazione elettronicaLa nuova chiave di lettura della Tabella Periodica degli Elementi individuata da LEWIS è che le proprietà degli elementi si ripetono non solo quando gli elementi si organizzano in numero crescente di numero atomico, ma anche in numero crescente di elettroni.Pertanto, la periodicità delle proprietà fisiche e chimiche devono essere legate in qualche modo al ripetersi dello stesso tipo di configurazione elettronica. LEWIS suggerì che gli elettroni sono organizzati in gusci elettronici e che quando si riempie un guscio , gli elettroni aggiuntivi devono sistemarsi in un nuovo guscio. Inoltre LEWIS notò che i gas nobili sono un gruppo di elementi molto poco reattivi chimicamente e quindi corrispondono al riempimento totale di un guscio elettronico.Siamo qui ad una svolta importante nella comprensione della diversa reattività chimica degli elementi: IL COMPORTAMENTO CHIMICO PUO’ ESSERE VISTO IN TERMINI DI TENDENZA DI UN ATOMO AD ASSUMERE LA CONFIGURAZIONE ELETTRONICA RELATIVA AD UN GUSCIO ELETTRONICO CHIUSO, perdendo, acquisendo o mettendo in compartecipazione elettroni con altri atomi.Ad esempio il sodio di N.A. 11, è un elemento molto reattivo che, perdendo 1 elettrone e- diventa ione Na+, acquisendo la configurazione elettronica di un guscio chiuso del gas nobile Neon con N.A.10.Bisogna quindi capire in che modo gli elettroni riempiono i gusci elettronici e come possano ripetersi periodicamente configurazioni elettroniche simili scorrendo lungo la Tavola Periodica.

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La configurazione elettronica più stabile o configurazione fondamentale di un atomo è quella in cui gli elettroni sono negli stati energetici di minor energia possibile. Se non fosse vero il principio di esclusione di Pauli, allora tutti gli e- sarebbero sull’orbitale 1s. Tuttavia non possono esistere due e- con gli stessi numeri quantici e quindi, per ciascun orbitale possono esserci al massimo 2 elettroni.Gli elettroni quindi andranno a posizionarsi su orbitali elettronici di energia via via crescente, non più di 2 per orbitale.Si possono rappresentare tali riempimenti impiegando i diagrammi orbitali o la configurazione elettronica di seguito indicati.REGOLA DI HUND: per orbitali DEGENERI (cioè aventi la stessa energia), la configurazione di minore energia è quella in cui il numero di elettroni con lo stesso spin è massimo.

Un modo comodo per abbreviare la rappresentazione della configurazione elettronica è quello di impiegare la configurazione del gas nobile precedente a quell’elemento nella T.P.. Ad es:

Na [ Ne] 3s1

Li [ He] 2s1

K [ Ar] 4s1

Si può notare facilmente che questi elementi di una stessa famiglia (metalli alcalini) hanno una configurazione elettronica del guscio esterno del tutto analoga ed è proprio per questo che esibiscono proprietà chimiche simili. Gli elettroni del guscio esterno si dicono elettroni di valenza e gli orbitali su cui risiedono orbitali di valenza.

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PROPRIETA’ PERIODICHE DEGLI ELEMENTI

Gli elementi di uno stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica degli orbitali più esterni (orbitali di valenza) ed esibiscono per questo forti similarietà di proprietà chimico-fisiche. Si è visto infatti che un atomo polielettronico può essere visto come costituito da un nucleo attorno al quale gli elettroni sono delocalizzati in successive nubi di elettricità di varia forma e dimensione (orbitali) sempre più lontani dal nucleo all’aumentare del numero quantico principale n. Gli elettroni più lontani dal nucleo sono quelli meno fortemente legati ad esso, in quanto aumenta la distanza e aumenta la schermatura dalla carica nucleare. Sono questi elettroni che partecipano principalmente all’instaurarsi dei legami chimici, in quanto le energie in gioco nelle reazioni chimiche sono di entità relativamente modesta.Tuttavia, in funzione della loro posizione nella T.P. vi sono, nella stessa famiglia, anche significative differenze. Ad esempio N ([He] 2s2 2p3) e As ([Ar] 4s2 3d10 4p3) fanno entrambi parte del gruppo 5A; tuttavia gli orbitali di valenza hanno alcune differenze: 1) differente n; 2) As ha l’orbitale 3d pieno e l’N non l’ha proprio. Queste differenze comportano per gli elementi alcune variazioni di proprietà.Ogni volta che ci muoviamo lungo una colonna della tabella T.P. aumenta di 1 unità il numero quantico principale n. Come detto, LEWIS, riferiva tutti gli orbitali con lo stesso valore di n come guscio elettronico. Una visualizzazione dell’idea di Lewis si ottiene graficando la distribuzione della carica elettronica dei gas nobili He, Ne, Ar.

Fig.23: Densità elettronica in funzione della distanza dal nucleo per gli atomi di He, Ne e Ar.

He 1s2

Ne 1s2 2s2 2p6

Ar 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6

La densità elettronica radiale corrisponde in pratica alla probabilità di trovare l’elettrone ad una certa distanza dal nucleo centrale.Si può osservare che l’orbitale 1s dell’Ar è molto più vicino al nucleo di quarto non lo sia l’1s dell’He. Questo perché la carica nucleare dell’He è solo +2 mentre quella dell’Ar è +18. Dato che gli elettroni 1s sono gli elettroni più vicini al nucleo, essi non sono schermati efficacemente dagli altri elettroni. Pertanto nell’Ar l’1s viene “spinto” molto più vicino al nucleo per la maggior attrazione dovuta alla carica nucleare. Per lo stesso motivo il guscio n=2 dell’Ar è più vicino al nucleo del guscio n=2 del Ne.

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Vediamo ora come variano alcune proprietà che dipendono fortemente dalla configurazione elettronica dell’atomo:1 Raggio atomico2 Energia di ionizzazione3 Affinità elettronica

RAGGIO ATOMICOSi è visto dal modello quanto-meccanico che un atomo non ha un confine ben delineato che possa servire a definire con precisione la sua dimensione. In relazione ai legami chimici che gli atomi possono formare tra di loro e con altri atomi, possiamo definire raggio atomico come il raggio di una sfera che comporta la distanza di legame osservata quando le sfere arrivano a toccarsi. Per esempio, se la distanza di legame in una molecola di Br2 (Br-Br) è pari a 2,286 Å, allora si assume che il raggio atomico del Br sia 1,14 Å. Le distanze di legame, e quindi, i raggi atomici, degli elementi non sono comunque di facile determinazione sperimentale.

Fig.24: Andamento del Raggio atomico degli elementi in funzione del loto numero atomico.

Si osserva quanto segue:1. Muovendosi lungo un periodo il guscio interno è sempre lo stesso. Aumentando la carica nucleare, e non essendo gli elettroni progressivamente aggiunti capaci di schermare efficacemente gli altri, si riduce progressivamente il raggio atomico.2. Muovendosi lungo una colonna, il numero di elettroni esterni rimane immutato, mentre aumenta il numero quantico principale e quindi la dimensione dell’orbitale e quindi aumenta progressivamente il raggio atomico.

Fig.25: Variazioni del raggio atomico degli elementi lungo gruppi e periodi della tavola periodica.

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ENERGIA DI IONIZZAZIONEL’energia di ionizzazione, I, è l’energia richiesta per rimuovere un elettrone da un atomo o ione gassoso. L’energia di prima ionizzazione si riferisce al primo elettrone rimosso, secondo lòa reazione:

−+ +→ eMM )g()g(Maggiore è il valore di I e maggiore era il legame che l’e- aveva con il nucleo. Dalla tabella seguente, che riporta i valori delle energie di ionizzazione di vari elementi appartenenti allo stesso periodo, si osserva facilmente che:

1. Per ciascun elemento le energie di prima, seconda, terza, ionizzazione hanno valori crescenti;2. Una volta giunti alla configurazione elettronica relativa al guscio interno, per strappare un altro elettrone occorre fornire un’energia molto alta.

Fig.26: Andamento dell’energia di ionizzazione degli elementi in funzione del loto numero atomico.

Tali evidenze suggeriscono ancora una volta che solo gli elettroni più esterni, e cioè quelli al di là del guscio interno del gas nobile, sono disponibili al trasferimento o compartecipazione di elettroni nelle reazioni chimiche.Lungo la T.P. si osservano i seguenti trend:

1. Lungo uno stesso periodo l’energia di prima ionizzazione generalmente cresce. (diminuisce il raggio atomico e aumenta la carica nucleare).

2. Lungo la stessa famiglia l’energia di prima ionizzazione generalmente decresce (la carica nucleare effettiva non cambia molto, mentre aumenta il raggio atomico).

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AFFINITA’ ELETTRONICAGli atomi che acquisiscono un elettrone divengono ioni negativi:

)g()g( MeM −− →+La variazione di energia che ha luogo quando si aggiunge un e- ad un atomo o ad uno ione si definisce affinità elettronica, E. Per un atomo neutro o uno ione positivo, tale variazione energetica è spesso in negativo, cioè si libera energia.In generale:1. L’affinità elettronica E è più negativa muovendosi lungo un periodo;2. L’affinità elettronica E non cambia molto muovendosi lungo una colonna;

Fig.27: Andamento dell’affinità elettronica degli elementi in funzione del loto numero atomico.

METALLI E NON METALLI

Le proprietà descritte sono relative ai singoli atomi degli elementi. Tuttavia ad eccezione dei gas nobili, nessuno degli elementi esiste in natura sotto forma di atomi singoli. Le proprietà degli elementi che possiamo osservare comunemente sono quelle di grandi aggregati di atomi. Gli elementi possono essere divisi in 3 grandi categorie:metalli, non metalli, metalloidi

Metalli Non MetalliCaratteristica brillantezza; Opachi, di vario colore;Malleabili, duttili I solidi sono usualmente fragili, possono

essere duri o soffici;Buona conducibilità termica, elettrica; Cattivi conduttori termici e elettrici;

La maggior parte degli ossidi sono basici La maggiore parte degli ossidi sonocomposti acidi;

In soluzione acquosa come cationi ioni positivi; in soluzione acquosa come anioni ioni negativi;

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Fig.28: Variazione del carattere metallico degli elementi in funzione della posizione all’interno della tavola periodica.

I metalli tendono a perdere elettroni nelle reazioni chimiche e a divenire cationi (ioni con carica positiva). Ad esempio,

)s(22

)s(2)s( ONi2ONi2 −+→+Gli ossidi metallici sono ossidi basici che per reazione con l’acqua formano idrossidi metallici

)s(22)s( )OH(CaOHCaO →+

)s(22)s( )OH(NiOHNiO →+

Gli ossidi metallici reagiscono con gli acidi a formare sali, secondo lo schema seguente:OHNiSOSOHNiO 2)aq(4)aq(42)s( +→+

I non Metalli tendono a perdere elettroni ed a divenire anioni (ioni con carica negativa). In generale, tendono ad acquisire gli elettroni che gli mancano per raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile (ottetto). La maggior parte degli ossidi di non metalli (anidridi) sono ossidi acidi, cioè se reagiscono con acqua danno luogo ad acidi:

)aq(322)g(2 COHOHCO →+

)aq(422)g(3 SOHOHSO →+Gli ossidi di non metalli (anidridi) si sciolgono in soluzioni basiche a dare sali:

OHNaCONaOH2CO 2)aq(3)aq()g(2 +→+

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STECHIOMETRIA

La legge di conservazione della massa di Lavoiser (1789) asserisce che: “Gli atomi non sono nè creati nè distrutti nel corso di una qualsivoglia reazione chimica. La stechiometria (“dal greco misura dell’elemento”) si occupa delle reazione quantitative tra le sostanze che partecipano ad una reazione chimica:

)l(2)g(2)g(2 OH2OH2 →+ (g)= gassoso, (l) =liquido, (s)= solido, (aq) =soluzione acquosa

A primo membro dell’equazione vengono riportati i reagenti, a destra (a secondo membro) i prodotti della reazione.

Quando è uguale il numero di atomi di ciascun elemento presenti in entrambi i lati della freccia, la reazione si dice bilanciata.

Alcuni tipi di reazioni comuni sono:

• COMBUSTIONE IN ARIASono reazioni rapide che producono una fiamma. La maggior parte delle reazioni di combustione coinvolgono l’O2 dell’aria come reagente. La combustione degli idrocarburi (sostanze che contengono solo C, H, come CH4 e C3 H8 (propano)) produce CO2 + H2O (a meno che l’O2 presente sia in quantità insufficiente).

)g(2)g(2)g(2)g(83 OH4CO3O5HC +→+

Anche i composti che contengono atomi di ossigeno oltre che atomi di carbonio e idrogeno, per combustione producono OHCO 22 + .

• REAZIONI DI COMBINAZIONESono reazioni in cui due o più sostanze reagiscono per formare un solo prodotto.

CBA →+

Ad es. )s()g(2)s( MgO2OMg2 →+

)g(2)g(2)s( COOC →+

)g(3)g(2)g(2 NH2H3N →+

)s(2)l(2)s( )OH(CaOHCaO →+

• REAZIONI DI DECOMPOSIZIONEReazioni in cui un singolo reagente va a formare due o più sostanze. Molti composti si comportano così quando riscaldati ad alta temperatura:

CBA +→

Es: )g(2)s(3 O3KCl2KClO2 +→

)g(2)s()s(3 COCaOCaCO2 +→

Coefficiente stechiometrico

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• REAZIONI DI SINGOLO SPOSTAMENTOReazioni in cui un elemento rimpiazza un altro in un composto (gli elementi sono spesso idrogeno o un metallo):

BAXBXA +→+

Es: )g(2)aq(2)s( HFeClHCl2Fe +→+

)s()aq(4)aq(4)s( CuZnSOCuSOZn +→+

• REAZIONI DI DOPPIO SPOSTAMENTOReazioni in cui atomi o ioni scambiano partner:

BXAYBYAX +→+

Es: )s(4)aq()aq(42)aq(2 BaSOKBr2SOKBABr +→+

)l(2)aq(2)aq()aq(2 OH2CaClHCl2)OH(Ca +→+

Questi sono solo esempi di alcune reazioni comuni. Esistono numerosi altri tipi di reazioni caratterizzate da alcune caratteristiche preminenti (reaz. di idrolisi, di disproporzione ecc.)

La trasformazione delle specie chimiche reagenti in quelle prodotte dalla reazione può essere totale (REAZIONE COMPLETA o QUANTITATIVA) e in questo caso si usa una singola freccia (→), oppure più frequentemente solo parziale (REAZIONE DI EQULIBRIO) e in questo caso si impiega una doppia freccia (↔). Tuttavia occorre ricordare che la reazione espressa attraverso un’eq. chimica non dà alcuna informazione sugli aspetti energetici (se avviene o meno) (∆G, ∆S, ∆H di reazione) né sugli aspetti cinetici (quanto velocemente avviene).Nell’eq. chimica vengono indicate solo le specie che compaiono o si formano.Se nella reazione sono coinvolti ioni, la somma algebrica delle cariche elettriche che compaiono nei due termini dell’eq. chimica deve essere la stessa (BILANCIAMENTO DELLE CARICHE) Se in una reazione si forma un precipitato si pone il segno a ↓ destra della relativa formula. Se si sviluppa un gas si pone il segno ↑.Ad esempio:

↓→+ − AgClClAg )aq()aq(

↑++↓→+ ++22

2)aq(3 HOHZnAgClOH2Zn

La massa atomica relativa al carbonio 12 è pari a 12 uma (unità di massa atomica).1 uma = 1,66056 x 10-24g (dodicesima parte della massa dell’isotopo 12C)

Se consideriamo una quantità in grammi di carbonio pari alla sua massa atomica, relativa, cioè 12g in essa è contenuto un numero di Avogadro di atomi pari a 6,0023·1023. La massa atomica di un elemento è in realtà la massa atomica media, calcolata considerando le masse dei vari isotopi esistenti e la loro relativa abbondanza.Si definisce massa molare la massa in grammi di una sostanza che corrisponde alla mole e si esprime in g/mol . La massa molare di una sostanza o peso formula è calcolato sommando i pesi atomici degli elementi costitutivi la formula molecolare e arrotondando alla prima cifra decimale. Una MOLE di qualsiasi cosa atomo, molecola, ione ecc.) contiene un numero di Avogadro (6,02·1023) di quell’oggetto.

Utilizzando il concetto di mole possiamo ottenere informazioni quantitative, quindi macroscopiche, da una reazione chimica bilanciata.

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Ad es: Quanti grammi di Cu possono essere ottenuti da 1,00g di calcopirite CuFeS2?

2CuFeS2 (s)+5O2(g) 2 Cu (s)+ 2FeO(s)+4SO2(g)

Moli Cu FeS2= (1,00g Cu Fe S2) ( 1 mole Cu Fe S2 ) 183 g Cu Fe S2

= 5,46·10-3 moli Cu Fe S2

I coefficienti stechiometrici della reazione chimica bilanciata ci dicono che due moli di CuFeS2 si ottengono 2 moli di Cu. Pertanto

Moli Cu = (5,46·10-3 Moli CuFeS2) ( 2 moli Cu ) = 5,46 ·10-3 moli Cu

2 moli CuFeS2

grammi di Cu = 5,46·10-3 Moli Cu · ( 63.5 g Cu ) = 0,347g Cu 1 mole Cu

La sequenza di calcolo è quindi:

grammireagente

molireagente

moliprodotto

grammiprodotto

pesoformulareagente

Coefficientistechiometrici

pesoformulaprodotto

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REAZIONI ACQUOSE E STECHIOMETRIA DELLE SOLUZIONI

Una soluzione è un miscuglio omogeneo di due o più sostanze. Si chiama in genere solvente la sostanza presente in maggior quantità, mentre le restanti sostanze si chiamano soluti e si dicono disciolte nel solvente. La soluzione acquosa è una soluzione con solvente acqua. La concentrazione di un soluto si esprime mediante la molarità:

MOLARITA’ = moli di soluto 1 l di soluzione

Ad. Es. una soluzione 2 M di CuSO4 è una soluzione che contiene 2 moli di CuSO4.

Volendo variare la concentrazione di una data soluzione, basta ricordarsi che

Min. Vin = Mfin . VfinAd esempio, se si vuole diluire una soluzione 18M di H2SO4 e preparare 300 ml di soluzione 3M (18M) .Vin = 3M. (300ml) → Vin = 50 mlELETTROLITI

Molte sostanze si dissociano in ioni quando si sciolgono in acqua. Sebbene l’acqua non sia di per se un buon conduttore di elettricità la presenza di ioni in soluzione porta quest’ultima ad essere un buon conduttore. I composti ionici solubili si dicono elettroliti. Molte altre sostanze molecolari non formano ioni quando si sciolgono in acqua e sono perciò non elettroliti in quanto non formano soluzioni conduttive (ad es. lo zucchero C12 H22O11 sciolto in acqua).Si distinguono inoltre gli elettroliti forti dagli elettroliti deboli. Gli elettroliti forti sono in buona parte composti ionici totalmente dissociati in acqua. Composti come l’ HCl, l’NaCl, Na2SO4 ecc. si dissociano totalmente in acqua dando i rispettivi ioni (H+, Cl-), (Na+, Cl-), (2Na+, SO4

-2).Gli elettroliti deboli sono invece composti che si ionizzano in acqua in modo incompleto. Per esempio l’acido acetico CH3COOH è un elettrolita debole che si dissocia secondo la reazione:CH3COOH(aq) CH3COO-

(aq) + H+(aq)

Come detto la doppia freccia indica che la reazione è significativa in entrambe le direzioni. Si instaura cioè un equilibrio chimico e cioè ad un dato momento la reazione nei due sensi di marcia si bilancia e tale equilibrio determina le concentrazioni relative tra le specie indissociate e le specie ioniche (cioè la velocità con cui procede da sinistra verso destra e in senso contrario è la stessa).Per indicare invece un elettrolita forte HCl (aq) H+

(aq) + Cl-(aq)

Tuttavia occorre non confondere la forza di un elettrolita con la quantità con cui quell’elettrolita può disciogliersi in acqua. L’acido acetico è solubilissimo in acqua ma non è un elettrolita forte, mentre Ba (OH)2 è poco solubile, ma la quantità che riesce a sciogliersi è completamente dissociata, ed è quindi un elettrolita debole.

ACIDI, BASI, SALI

Gli ACIDI sono sostanze capaci di donare uno ione idrogeno e quindi aumentare la concentrazione dello ione H+

(aq) in soluzione. L’H+ è solamente un protone, per cui gli acidi vengono anche detti donatori di protoni. Esistono acidi monoprotici, diprotici e poliprotici in funzione di quanti protoni possono donare per ogni molecola

numero di moliiniziali =

numero di molifinali

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−+ + → ClHHCl OH 2 monoprotico

−+−

−+

+ →

+ →

24

OH4

OH42

SOHHSO

HSOHSOH

2

42

diprotico

Le basi sono sostanze che possono reagire con, o accettare, H+. Ad esempio l’OH- reagisce prontamente con H+ a dare H2O:

OHOHH 2→+ −+

Gli idrossidi come 2)OH(Ca,NaOH , ecc. sono basi che, quando sciolti in acqua, forniscono

ioni −OH . Tuttavia anche composti che non contengono −OH possono essere basi:

)aq()aq(423 OHNHOHNH −+ +↔+

Le basi e gli acidi che sono elettroliti forti sono anche detti basi/acidi forti. Le basi/acidi che sono elettroliti deboli sono detti basi/acidi deboli. Gli acidi forti sono molto pochi (HCl, HBr, HI, HNO3, HClO4, H2SO4). Le basi forti sono quelle del gruppo 1A (LiOH, NaOH, KOH) e del gruppo 2A (Ca(OH)2, Ba(OH)2, Sr(OH)2

I SALI sono composti ionici che possono essere formati sostituendo uno o più ioni idrogeno di un acido con un altro ione positivo. Ad esempio NaCl, NiSO4, CaCO3, ecc. La maggior parte dei sali sono elettroliti forti.

REAZIONI DI NEUTRALIZZAZIONESono reazioni in cui un acido in soluzione viene mescolato con una soluzione contenente una base. Se 1 mole di HCl reagisce con 1 mole di NaOH si forma 1 mole di sale NaCl ed una mole di H2O

HCl + NaOH(aq) H2O + NaCl(aq)

IN FORMA IONICA

H+ + Cl-(aq) + Na+

(aq) + OH- (aq) H2O(l) + Na+(aq) + Cl-

(aq)

IN FORMA IONICA NETTA

H+(aq) + OH- (aq) H2O(l)

Per poter scrivere la reazione in forma ionica bisogna essere sicuri che:• la sostanza sia solubile• la sostanza sia un elettrolita forte

acido base sale + acqua +

ioni spettatori

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REAZIONI DI DOPPIO SCAMBIOSeguono lo schema generale AX + BY AY + BX

Esempio: AgNO3(aq) + KCl (aq) AgCl (s) + KNO3(aq)

E’ valido il seguente principio:“Le reazioni di doppio scambio hanno luogo solo se esiste una reale forza motrice per la reazione”.Tale forza motrice può essere costituita da • La formazione di un solido insolubile (un precipitato);• La formazione di un gas che si sviluppa dalla soluzione ;• La formazione sia di un elettrolita debole o un non elettrolita;

Esaminiamo tali aspetti delle reazioni di doppio scambio

1. Reazioni di PrecipitazioneLe reazioni di doppio scambio che portano alla formazione di un composto insolubile si dicono reazioni di precipitazione. Un precipitato è il prodotto di reazione che si separa dalla soluzione.La solubilità di una sostanza è la quantità di quelle sostanza che può essere disciolta in una certa quantità di solvente. Si può assumere per il proseguo che una sostanza con solubilità minore di 0,001 moli/l è da considerarsi insolubile.Per predire se si formerà un dato precipitato da una soluzione, occorre conoscere la sua solubilità. Non esistono regole semplici per farlo. Tutti i composti ionici dei metalli alcalini (Gruppo 1A) e dello ione ammonio NH-

4 sono solubili in acqua.

Solubili in H2O

NO-3 tutti i nitrati sono solubili

CH3C00- tutti gli acetati sono solubiliCl - tutti i cloruri sono solubili, eccetto AgCl, Hg2Cl2, PbCl2

Br- tutti i bromuri e gli ioduri sono solubili eccetto AgBr, Hg2Br2, HgBr2, PbBr2, I- tutti gli ioduri sono solubili, eccetto AgI, Hg2I2, HgI2, PbI2

SO--4 tutti i solfati eccetto CaSO4, BaSO4, PbSO4, Hg2SO4, Ag2SO4

Insolubili in H2O

S2- tutti i solfuri sono insolubili, eccetto quelli del gruppo 1A e 2A e (NH4)2SCO3

2- tutti i carbonati sono insolubili, eccetto quelli degli elementi 1A e (NH4)2CO3

PO42- tutti i fosfati sono insolubili, eccetto quelli degli elementi 1A e (NH4)3PO4

OH- tutti gli idrossidi sono insolubili, eccetto quegli elementi 1A, Ba(OH)2 e Ca(OH)2

2. Reazioni con sviluppo di gas Il prodotto di una reazione di doppio scambio può essere un gas che ha scarsa solubilità in acqua.Esempi:

2H Cl (aq)+ Na2S(aq) H2S(g)↑ + 2NaCleq. ionica: 2H+ (aq) + S-2 (aq) H2S (g)

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Anche i carbonati e i solfiti reagiscono con gli acidi a dare sviluppo di gas. Questi derivano rispettivamente dall’acido carbonico H2CO3 e dall’acido solforoso H2SO3 che, se presenti in soluzione oltre certe concentrazioni, sono instabili e si decompongono:

H2CO3 (aq) H2O (l) + CO2 (g) ↑

H2SO3 (aq) H2O (l) + SO2 (g) ↑

Ad esempio il bicarbonato di sodio NaHCO3 è utilizzato per neutralizzare l’acidità gastrica, dando tra i prodotti di reazione CO2 .3. Reazioni con formazione di H2O o di un elettrolita deboleReazioni di spostamento si verificano anche quando gli ioni interagiscono per formare acqua oppure elettroliti deboli o non elettroliti che rimangono disciolti in soluzione. La formazione di H2O si ha nelle neutralizzazioni tra un acido e un idrossido o anche ossido alcalino.

Mg(OH)(s) + 2 HCl (aq) MgCl2 (aq) + 2 H2O(l)

NiO(s) + 2 HNO3 (aq) Ni(NO3)2 (aq) + H2O(l)

Anche la formazione di un elettrolita debole o di un non elettrolita può rappresentare la forza motrice di una reazione di spostamento.

HCl(aq) + CH3COONa(aq) CH3COOH(aq) + NaCl(aq)

REAZIONI DI OSSIDAZIONE E DI RIDUZIONEQuando un metallo si corrode perde elettroni. Per esempio il ferro in soluzione acida deareata:

↑+→+ ++)g(2)aq(

2)aq()s( HFeH2Fe

• Quando un atomo, molecola, o ione perde elettroni e si carica più positivamente si dice che si è ossidato• Quando un atomo, molecola, o ione acquista elettroni e si carica più negativamente si dice che si è ridottoNon può esistere una reazione di sola ossidazione o di sola riduzione perché nelle reazioni chimiche non esistono elettroni liberi: esistono quindi solo reazioni combinate di ossidoriduzione (redox). In una reazione redox la specie A che cede elettroni alla specie B è la specie riducente (che a sua volta si ossida), mentre la specie B che acquista elettroni è la specie ossidante (che a sua volta si riduce); il numero di elettroni persi dal riducente e acquistati dall’ossidante è uguale.Anche se usualmente si parla di sostanze ossidanti e di sostanze riducenti, bisogna ricordare che il CARATTERE OSSIDANTE O RIDUCENTE di una sostanza E’ CONDIZIONATO DAL PARTNER DELLA REAZIONE.

REAZIONI DI SPOSTAMENTOSono reazioni che seguono lo schema: BAXBXA +→+Le reazioni che più ci interessano sono quelle in cui A = metallo e BX = acido o sale metallico:Fe (s) + Ni (NO3)2 (aq) Fe (NO3)2 (aq) + Ni(s) Zn (s) + 2 HCl(aq) ZnCl2 (aq) + H2 (g)

Caso di elettrolita debole(acido debole)

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Li Li Li + + e-

K K K + + e-

Ba Ba Ba +2 + 2 e-

Ca Ca Ca +2 + 2 e-

Na Na Na + + e-

Mg Mg Mg+2 + 2 e-

Al Al Al +3 + 3 e-

Mn Mn Mn +2 + 2 e-

Zn Zn Zn +2 + 2 e-

Cr Cr Cr +3 + 3 e-

Fe Fe Fe +2 + 2 e –

Co Co Co +2 + 2 e-

Ni Ni Ni +2 + 2 e-

Pb Pb Pb +2 + 2 e-

H2 H2 2H + + e-

Cu Cu Cu +2 + 2 e-

Ag Ag Ag+ + e-

Pt- Pt Pt +2 + 2 e-

Au Au Au +2 + 2 e-

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A seconda della facilità con cui i metalli possono ossidarsi in soluzione, si può tracciarsi la SERIE DELLE ATTIVITA’ in cui si catalogano i metalli in ordine decrescente di tendenza. Tale serie permette di predire la possibilità che ha un metallo di spostare un altro da un suo sale. Un metallo è capace di spostare tutti gli elementi al di sotto di esso dai loro composti.

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SINTESI CHIMICA

Le procedure sperimentali per ottenere composti sintetici complessi possono essere spesso lunghe e laboriose. Al contrario, l’ottenimento di sali non complessi da reazioni in soluzione acquosa è relativamente semplice.Supponiamo di voler ottenere del PbSO4. Tale composto è insolubile in acqua, per cui possiamo farlo precipitare mettendo in contatto due sali solubili, uno contenente Pb+2 e uno contenete SO4

-2.

forma molecolare Na2SO4 (aq) + Pb(NO3)2 (aq) PbSO4 (s) ↓ + 2 Na NO3

forma ionica netta Pb+2(aq) + SO4

-2(aq) PbSO4 (s) ↓

Una volta precipitato il sale insolubile, si può filtrare la soluzione per separarlo dalla fase acquosa, lavare con acqua pura per eliminare tracce della soluzione ed essiccare il filtrato. In questa reazione si possono impiegare quantità stechiometricamente equivalenti dei due sali oppure un eccesso di uno dei due (in questo caso la quantità di sale insolubile formata sarà stabilita dalla quantità del reagente in difetto).Come forza motrice del processo si può utilizzare anche un diverso percorso di reazione:

forma molecolare PbO (s) + H2SO4 PbSO4 (s) ↓ + H2O (l)

forma ionica PbO (s) + 2H+(aq) +SO4

-2(aq) PbSO4 (s) ↓ + H2O (l)

In questo caso non rimangono sali solubili in soluzione. Si può usare un leggero eccesso di H2SO4 .Nel caso si voglia preparare un sale solubile, bisogna fare in modo che sia l’unico sale che rimane in soluzione. Supponiamo di voler preparare CuBr2 molto solubile. Si può fare:

CuSO4 (aq) + BaBr2 (s) BaSO4 (s) ↓ + CuBr2 (aq)

e poi allontanare il BaSO4 per filtrazione.Alternativamente si può preparare CuBr2 sfruttando come forza motrice la formazione di un gas:

CuCO3 (s) + 2HBr (aq) CuBr2 (aq) + H2O (l) + CO2 ↑

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RELAZIONI ENERGETICHE NELLA CHIMICA: TERMOCHIMICA

La termodinamica (T.D.) si occupa dello studio dell’energia e delle sue trasformazioni. Come si vedrà meglio in seguito, il suo obiettivo è quello di sviluppare un trattamento matematico dell’equilibrio chimico e delle forze motrici alla base delle reazioni chimiche.La termochimica è un aspetto della T.D. che si occupa delle relazioni esistenti tra reazioni chimiche e variazioni di energia. Per energia s’intende la capacità di svolgere lavoro (meccanico, elettrico, ecc.) e/o scambiare calore.Nello studio della T.C. sono di interesse gli scambi di lavoro e calore nei sistemi chimici come ad esempio il lavoro di comprensione di un gas o il lavoro necessario a separare un elettrone dal nucleo o il calore liberato durante la combustione di una benzina.

Esistono varie forme di energia. L’energia cinetica 2cin mv

21E = è legata alla massa e alla velocità

di un oggetto/molecola, mentre l’energia potenziale, genericamente indicata con la lettera V, esprime l’entità del lavoro che un oggetto/molecola, può compiere in virtù della posizione relativa ad un altro oggetto (ad esempio un martello tenuto ad una certa altezza ha una certa energia potenziale in virtù della forza di gravità, così come un elettrone ha una energia potenziale quando posto vicino al nucleo atomico positivo a causa della forza di attrazione elettrostatica esistente tra loro).Esistono varie altre forme di energia (elettrica, nucleare, chimica ecc.) ma tutte possono essere considerate come energie di tipo cinetico/potenziale quando si ragiona a livello atomico o molecolare.Nel SI l’unità di misura dell’energia e il JOULE (J)

Per SISTEMA TERMODINAMICO s’intende ogni percettibile quantità di materia su cui si possa effettuare una osservazione macroscopica. Tutto l’esterno al S.T. in osservazione è chiamato “ambiente esterno”.Un S.T. si definisce:• ISOLATO: quando non può scambiare con l’esterno nè materia nè energia.• CHIUSO: quando non può scambiare materia, ma può scambiare energia.• APERTO: quando può scambiare con l’esterno sia materia che energia.

Descrivere TD-mente lo stato di un sistema significa dare i valori del numero di parametri (temperatura, pressione, composizione), chiamate VARIABILI DI STATO, che definiscono univocamente il sistema.

ENERGIA (joule) 1 J = 1 Kg.

POTENZA (watt) 1 W = 1

CALORIA (cal) 1 cal = 4.184 J

molto spesso usata per esprimere le variazioni di energia nelle reazioni chimiche

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La TD tratta ESCLUSIVAMENTE sistemi T.D in EQUILIBRIO, cioè sistemi le cui proprietà fisiche e chimiche non variano nel tempo (e quindi i valori delle variabili di stato che li definiscono).La T.D. si articola essenzialmente su due principi; il primo esprime l’impossibilità di creare o di distruggere energia, che può quindi trasformarsi soltanto da una forma all’altra, il secondo esprime l’impossibilità di trasformare integralmente il calore in lavoro.La TERMOCHIMICA deriva direttamente dall’applicazione del 1° Principio alle reazioni chimiche. Dall’elaborazione di entrambi i principi derivano invece i concetti essenziali che consentono di interpretare razionalmente l’andamento dei fenomeni chimici, e cioè poter prevedere se una certa reazione, in determinate condizioni sperimentali, PUO’ AVERE LUOGO SPONTANEAMENTE O MENO.E’ importante rilevare che nel caso in cui la T.D. preveda la spontaneità di una certa reazione, non dà comunque alcuna informazione nè sulla velocità nè sul meccanismo molecolare con cui avverrà, nè sulla velocità di avanzamento della stessa. Tali informazioni sono fornite da un’altra branca della chimica: la CINETICA CHIMICA

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA“L’energia può essere convertita da una forma all’altra, ma non può essere nè creata, nè distrutta”.

Nel presente corso si utilizzeranno le seguenti convenzioni di segno per il calore ed il lavoro:

L’energia interna U è la somma di tutte le forme di energia legate alla costituzione del sistema, come ad esempio l’energia dovuta ai legami tra nucleo ed elettroni, fra atomi, e l’energia nucleare ecc. (l’energia interna è un energia di tipo potenziale e quindi l’eventuale energia cinetica posseduta dal sistema in relazione ad un suo eventuale moto non sarebbe compresa in U).Non è possibile determinare con esattezza l’entità dell’energia potenziale di un sistema. Tuttavia, per un dato set di valori delle variabili di stato che definiscono un S.T. sappiamo che la U del sistema ha un determinato valore. Ciò che interessa è la variazione del valore di U che un S.T. subisce nel corso di una trasformazione e non i valori assoluti di V prima e dopo la trasformazione. Tali variazioni possono facilmente misurarsi. La 1° legge della T.D., per come scritta, esprime il fatto che l’energia interna U è una FUNZIONE DI STATO: il valore di essa dipende unicamente

Sistema termodinamico

- Q

+ Q

+ L - L

∆U = Q + L

U = ENERGIA INTERNA

Q = CALORE SCAMBIATO CON L’ESTERNO

L = LAVORO SCAMBIATO CON L’ESTERNO

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dallo stato in cui il sistema si trova e non da come vi sia pervenuto. Ne consegue che il valore ∆U legato ad una certa trasformazione dipende soltanto dallo stato iniziale e finale e non dal cammino percorso.Per esempio opposto, il lavoro svolto da un sistema non è una funzione di stato (consideriamo una batteria che scaricandosi può fornire una quantità totale di energia ∆U e consideriamo due diversi impieghi come per esempio in una torcia elettrica o in una automobilina. I contributi possibili di Q e L a dare lo stesso ∆U possono differire sensibilmente. Q e L non sono cioè VARIABILI DI STATO.In chimica interessa essenzialmente il lavoro di tipo elettrico e il lavoro meccanico fatto per espandere/comprimere i gas (Lavoro di tipo P-V). Si può mostrare facilmente che il lavoro che accompagna l’espansione di un gas (lavoro fatto contro l’atmosfera/ambiente esterno e quindidi segno negativo) è con Patm= cost:

L = - P∆V dove V= volume del gas

Tale lavoro, calcolato a P = cost = Patm ha interesse pratico per le reazioni chimiche che ci interessano.

Si ha quindi a P= cost Qp = ∆U + P∆V = ∆H

Alla quantità ∆H = Hfinale-Hiniziale = ∆U + P∆V si dà nome ENTALPIA o CALORE DI REAZIONEDato che U, P, V sono funzioni o variabili di stato, ne deriva che anche l’entalpia H è una funzione di stato.

ENTALPIA DI REAZIONE La variazione di entalpia associata ad una reazione chimica risulta:

∆H = ΣHProdotti - ΣHReagenti

∆H > O calore assorbito→Reazione endotermica∆H < O calore sviluppato →Reazione esotermica

Bisogna osservare che:

1. L’ENTALPIA E’ UNA PROPRIETA’ ESTENSIVA. Cioè il ∆H come valore è direttamente proporzionale alla quantità di reagente consumato.2. LA VARIAZIONE DI ENTALPIA PER UNA REAZIONE E’ UGUALE IN ENTITA’ MA OPPOSTA IN SEGNO PER LA REAZIONE INVERSA.3. LA VARIAZIONE DI ENTALPIA PER UNA REAZIONE DIPENDE DALLO STATO DEI REAGENTI E DEI PRODOTTI.

Il fatto che l’entalpia H sia una funzione di stato ci permette di calcolare l’entalpia di una certa reazione dalla conoscenza della variazione di entalpia associata ad altre reazioni.

LEGGE DI HESS: “Se una reazione procede attraverso una certa serie di passaggi intermedi, il ∆H della reazione sarà uguale alla somma delle variazioni entalpiche dei passaggi singoli”.

Ciò vale a dire che il ∆H della reazione complessiva non dipende del tipo e dal numero di passaggi intermedi (cammino di reazione).Possiamo quindi calcolare il ∆H di qualsiasi processo, tutte le volte che individuiamo un cammino di cui conosciamo il ∆H dei singoli passaggi. Tale potenzialità è importante, poichè vi sono reazioni per cui non è agevole o addirittura possibile determinare sperimentalmente il ∆H di reazione.

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Dall’esempio qui sotto appare che la quantità di calore generato dalla combustione del CH4 è indipendente dal numero di reazioni che si considerano.

Esistono tabulati in letteratura con i valori dei Calori di Vaporizzazione (per convertire liquidi in gas), dei Calori di Combustione (per bruciare una sostanza con ossigeno) e cosi via. Di particolare importanza come dato termochimico è il calore di formazione di un composto dai suoi elementi costitutivi ∆Hf . Dato che l’entità del ∆H di una qualsivoglia reazione dipende dalle condizioni di temperatura, pressione e stato fisico (gas, liquido, solido, forma cristallina) dei reagenti e dei prodotti ci si riferisce spesso all’entalpia standard ∆H° quando la reazione avviene in condizioni stabilite STANDARD, che sono P=1atm, T=298K (25C°) e a partire dalla forma più stabile delle sostanze in queste condizioni.In tal modo il CALORE (Entalpia) STANDARD DI FORMAZIONE di un composto (∆Hf [KJ/mole]) è la variazione di entalpia che accompagna la formazione di 1 mole di quella sostanza dai suoi elementi, tutti considerati nel loro stato STANDARD.

Ad esempio: 2C(grafite) +3H2 (g) + 21

O2 (g) C2H5OH (l) ∆Hf o = - 277,7 moleKJ

CALCOLO DEL CALORE DI REAZIONE

Conoscendo i calori standard di formazione dei reagenti e dei prodotti di una reazione chimica e applicando La LEGGE DI HESS, è possibile calcolare la VARIAZIONE DI ENTALPIA STANDARD di quella reazione. La relazione da applicare è la seguente:

)reagenti(o

f)prodotti(o

fro HmHnH ∑∑ −= ∆∆∆

dove: Σ = sommatoria estesa a tutti i componenti (reagenti/prodotti)n = coefficiente stechiometrico del/dei prodottim = coefficiente stechiometrico del /dei reagenti

Ad esempio: Calcolare il calore di combustione del propano conoscendo i ∆Hf dei prodotti e dei reagenti

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C3H8 (g) + 5O2 (g) → 3CO2 (g) + 4H2O (l)

)]O(H5)HC(H[)]OH(H4)CO(H3[H 2f83f2f2fr °+°−°+°=° ∆∆∆∆∆

KJ2220)]0.(5)85,103.(1[)]8,285(4)moleCO

KJ5,393)(moliCO3[(H2

2r −=+−−−+−=°∆

Una utile applicazione della legge di HESS è il calcolo della variazione entalpica associata a reazioni che, per difficoltà di carattere sperimentale, non permettono una determinazione diretta.Ad esempio, si vuole conoscere l’entalpia standard di formazione del metano

C (s) + 2 H2 (g) CH4 (g) ∆H°f = ?

La determinazione sperimentale pone dei problemi in quanto nelle condizioni in cui carbonio e idrogeno reagiscono non si ha formazione solo di CH4 ma di una miscela di idrocarburi diversi

prodotti

∆H°f (CH4) = - 393,50 + (- 571,70) – (- 890,36) = -74,84 KJ

CALORIMETRIA

Il valore del ∆H si può determinare sperimentalmente misurando il flusso di calore associato alla reazione a pressione costante. Tale flusso può produrre una variazione di temperatura di alcune sostanze appositamente impiegate, permettendo quindi una misura sperimentale. La misura sperimentale del flusso termico si chiama CALORIMETRIA e l’apparecchiatura impiegata CALORIMETRO.La variazione di temperatura subita da un corpo quando assorbe o cede calore è determinata dalla capacità termica definita come l’energia richiesta per aumentare la sua temperatura di 1 °C.

reagentiC,2H

2,

2O2

C + 2 H2

∆H°f (CH

4)=X

CH4

CO2,

2H2O

2H2+O

2 2H

2O ; ∆H°= 2(-285,85) KJ

∆H°≈-890 KJ

2 O2

C + O2 CO

2 ; ∆H°= - 393,5 KJ

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La capacità termica C è espressa dal rapporto TqC

∆= dove q è il calore totale scambiato e ∆T è la

variazione di temperatura subita.

La capacità termica di un oggetto dipende dalla sua massa e dalla sua composizione. Per le sostanze pure si definisce:

Il calore specifico per una data forma (solido, liquido, gassoso) può variare in principio con la temperatura a cui si effettui la misurazione. Tuttavia tali variazioni sono in genere modeste e in questo contesto verranno ignorate. Infine, per le sostanze gassose si dovrebbe sempre specificare se il calore specifico di quella sostanza è stato determinato a pressione oppure a volume costante. Vale la relazione Cp = Cv +R R= costante universale dei gas. Naturalmente per i solidi e per i liquidi si considera Cp≅Cv, sebbene a volte sia spesso un’approssimazione grossolana (mediamente Cp è maggiore di Cv di ∼10% nei liquidi e ∼3% nei solidi).

CALORI SPECIFICI DI ALCUNE SOSTANZE

composto T (°C) Calore specifico(J/g°C)

H2O (l) 15 4,184H2O (s) -11 2,03Al (s) 20 0,89C (s) 20 0,71Fe (s) 20 0,45Hg (s) 20 0,14

CaCO3 (s) 0 0,85MgO (s) 0 0,87HgS (s) 0 0,21

Calore Specifico(capacità termica specifica)

capacità termica per 1 g di sostanza (J/g°C)

Capacità termica molarecapacità termica per 1 mole di sostanza (J/mole°C)

NOTA: la caloria (cal) è definita come la quantità di calore necessaria ad innalzare di 1 °C 1 g di H

2O liquida il calore specifico dell’acqua liquida è 1cal/g°C = 4.184 J/g°C

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CALORIMETRIA A PRESSIONE COSTANTE

Molto usata per le reazioni in soluzioni, che si svolgono a pressione costante. Si può usare un semplice apparato isolato termicamente con l’esterno, determinando il calore di reazione

Qp= ∆H

BOMBA CALORIMETRICA

E’ un dispositivo molto impiegato nello studio delle reazioni di COMBUSTIONE. La sostanza da studiare, spesso una sostanza organica viene posta in un piccolo recipiente all’interno di un reattore sigillato (BOMBA) capace di resistere ad altre pressioni. Nella bomba calorimetrica è possibile immettere ossigeno (viene messo in eccesso alla sostanza da studiare) e disporre di contatti elettrici per innescare la reazione. Il tutto viene sigillato e immesso in un calorimetro, essenzialmente un contenitore isolato, insieme ad una quantità nota di acqua. Quando tutti i componenti si stabilizzano termicamente, si fa procedere la combustione e si misura l’incremento di temperatura subita dal calorimetro, che sarà proporzionale al calore di combustione sviluppato attraverso la capacità termica del calorimetro stesso

T.Cq ocalorimetrsviluppato ∆−=

La capacità termica del calorimetro può essere conosciuta lasciando bruciare un campione che rilascia una quantità nota di calore. La reazione avviene a volume costante, ma si può risalire al ∆H della reazione, medianteH = U + PV definizione ∆H = ∆U + ∆PV = ∆U + P∆V + V∆P ma a volume costante è ∆V=0, quindi

∆H = ∆U + V∆P = qv + V∆Pessendo ∆U = qv a volume costante

Tuttavia, anche quando lo sviluppo di un gas di reazione porta a grandi variazioni di pressione, il fattore V∆P è relativamente piccolo e, in prima approssimazione può essere trascurato.

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LEGAMI CHIMICI

Ogni sistema in natura tende a diminuire il proprio contenuto di energia. Pertanto la tendenza di due o più atomi, uguali o diversi, a formare legami spontaneamente comporta liberazione di energia e si potrà scrivere A + B → AB + energia, quest’ultima ceduta all’esterno. Si definisce “legame chimico” la forza attrattiva che si stabilisce tra due o più atomi, uguali o diversi, permettendo loro di unirsi formando molecole o aggregati cristallini. Lo studio dei legami chimici può essere affrontato seguendo due teorie diverse:1. TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (Lewis) indicato con la sigla VB (Valence Bond);2. TEORIA DELL’ORBITALE MOLECOLARE indicata con la sigla MO (Molecular Orbital).

La prima teoria è meno rigorosa ma più utile per un corso di base in quanto permette di visualizzare con facilità la geometria delle molecole, da cui si traggono molte proprietà chimiche.La differenza di base fra le due teorie è che la teoria VB postula che gli atomi costituenti la molecola conservano la loro identità e che si legano fra loro mediante gli elettroni esterni, conservando cioè inalterata la loro struttura elettronica interna. Nella teoria MO, invece, si ammette che nella formazione della molecola gli atomi non conservino la loro identità, e che tutti gli elettroni si distribuiscano su nuovi ORBITALI MOLECOLARI che, estesi all’intera molecola, costituiscono nel loro insieme l’elemento legante di tutti i nuclei. Nella teoria MO la struttura della molecola è concepita analoga alla struttura dell’atomo: in questo esiste un nucleo attorno al quale gli elettroni sono distribuiti su orbitali atomici monocentrici; nella molecola esiste un insieme di nuclei attorno ai quali sono distribuiti su orbitali molecolari policentrici gli elettroni che appartenevano ai singoli atomi di partenza.

Si possono classificare i legami fondamentali in tre gruppi principali:1. LEGAME IONICO. Si riferisce alle forze elettrostatiche che esistono tra particelle di carica opposta. Gli ioni possono formarsi da atomi che trasferiscono uno o più elettroni da un atomo all’altro. Le sostanze ioniche sono in genere costituite da metalli +non metalli.

2. LEGAME COVALENTE. Risulta dalla messa a comune di elettroni tra due atomi. L’esempio classico di tale legame è quello che si instaura tra elementi non metallici.

3. LEGAME METALLICO. E’ il legame dei metalli solidi come il ferro, il rame, l’alluminio. Nei metalli, ogni atomo è legato a numerosi atomi adiacenti. Gli elettroni di legame sono relativamente liberi di muoversi attraverso l’intera struttura tridimensionale.

Esistono poi delle interazioni attrattive fra molecole (meno forti delle fondamentali), responsabili dello stato fisico delle sostanze, che si chiamano LEGAMI SECONDARI.

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RAPPRESENTAZIONE degli ATOMI SECONDO LEWIS e REGOLA dell’OTTETTO

Il termine VALENZA di un elemento si riferisce alla sua capacità di formare legami chimici. In origine, veniva determinata dal numero di atomi di idrogeno con cui un elemento si combinava (nel CH4 la valenza del C e -4, nell’H2O la valenza dell’ossigeno è -2).Gli elettroni di valenza sono gli elettroni che prendono parte ai legami chimici e sono quelli che risiedono negli orbitali più esterni dell’atomo, nel guscio di valenza. Si usa rappresentare gli atomi evidenziando solo la configurazione elettronica esterna, indicando gli elettroni con punti posti attorno al simbolo dell’atomo e mettendo in evidenza gli eventuali doppietti elettronici detti LONE PAIRS mediante l’avvicinamento fra loro di due punti.

Atomo Strutt. Elettronica Elettr, est Lewis

K 1s2 2s2 2p6 3s2 3p64s n=4 K

O 1s2 2s2 2p4 n=2 O

Cl 1s2 2s2 2p6 3s2 3p5

n=3 Cl

La configurazione elettronica caratterizzata dalla di otto elettroni s2p6 prende il nome di ottetto ed è una configurazione di grande stabilità e cioè di basso contenuto di energia. Gli atomi spesso acquistano, perdono, o mettono in compartecipazione elettroni per realizzare una tale configurazione esterna (REGOLA DELL’OTTETTO). Fanno eccezione a questa regola l’idrogeno, ovviamente, e numerosi composti con n > 2 tra cui i metalli di transizione che possono impegnare nei legami anche orbitali di tipo d.

s p p p

s p p p

s p p p

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• ••

• •

• •

• •

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LEGAME IONICOSi definisce LEGAME IONICO il legame che si stabilisce tra due ioni di carica opposta, dovuto a forze di attrazione elettrostatica.Quando il metallo sodio, Na, viene posto in contatto con gas cloro, Cl2, si verifica una violenta reazione con formazione di cloruro di sodio NaCl, composto da ioni Na+ e Cl- :

2Na (s) + Cl2 (g) 2NaCl(s)

Questi ioni sono disposti nel solido NaCl in un reticolo tridimensionale regolare.La formazione di Na+ da Na e di Cl- da Cl2 implica che un elettrone è stato perso dall’atomo di sodio e acquistato da quello di cloro

Na + Cl Na+ + Cl

Entrambi gli ioni acquisiscono così una configurazione elettronica esterna 2s2 2p6 (ottetto)Nella formazione dei cristalli ionici si trovano energie molto negative

Na(s)+ 1/2 Cl2(g) →NaCl(s) AH°f= -410g KJ/mol

(a)Struttura cristallina del cloruro di sodio. Ogni ione Na+ è circondato da 6 ioni Cl-, ed ogni Cl- è circondato da 6 Na+. Questo si può vedere più chiaramente in (b), in cui è maggiormente visibile la disposizione cubica.

Questo è dovuto alla liberazione di energia di origine elettrostatica, indicata come energia reticolare, che rende il cristallo un sistema stabile. L’energia reticolare è l’energia che si libera quando gli ioni postivi e gli ioni negativi, partendo da distanza infinita uno dall’altro, (quindi da energia potenziale zero) si uniscono a formare una mole di cristallo ionico.Partendo dagli atomi costituenti allo stato gassoso, la formazione del cristallo ionico non procede in quanto l’affinità per l’elettrone di uno degli atomi è maggiore dell’energia di ionizzazione dell’altro (i valori assoluti di Ea più elevati sono comunque inferiori dei più bassi valori di Ei) ma proprio perchè a tale passaggio si accoppia una produzione di energia elettrostatica dovuta all’avvicinamento degli ioni di segno opposto nella formazione del cristallo. Se la differenza fra Ei

e Ea è elevata, l’energia reticolare può non essere sufficiente a superare questa differenza e il composto ionico non si forma.Per questa ragione, il legame ionico si stabilisce di norma tra elementi metallici ed elementi non metallici.

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Composto LiF LiI KF KI MgF2 MgOEn. Reticolare (KJ/mol) 1024 744 815 641 2910 3938

Come si rileva dalla tabella l’energia reticolare aumenta all’aumentare della carica degli ioni. Il bilancio tra le energie di ionizzazione e l’entità dell’energia reticolare determina in pratica la carica positiva che assumerà lo ione metallico nel cristallo ionico. Ad. Esempio

Mg + O Mg+2 + O (1)

Mg + Cl + Cl Mg+2 +2 Cl (2)

In (2) il magnesio perde anche il secondo elettrone perchè l’energia di seconda ionizzazione è più che recuperata dall’aumento di energia reticolare nel composto MgCl2. In 1 si mostra che anche per l’elemento non metallico è il bilancio tra affinità elettronica ed energia reticolare che determina l’entità della carica negativa acquisita dallo ione non metallo. Nell’esempio è applicata anche la regola dell’ottetto, che tuttavia risulta verificata non per tutti gli elementi. Per i metalli di transizione dei gruppi IB e IIB si osservano cariche rispettivamente di +1 (Cu+, Ag+, Au+) e di +2 (Zn+2, Cd+2, Hg+2) nei composti ionici, perchè la perdita degli elettroni dell’orbitale s più esterno lascia un guscio di 18 elettroni sottostante completamente riempito (qualcosa che rassomiglia alla configurazione di un gas nobile).Per la maggior parte dei metalli di transizione, che hanno configurazione elettronica ns2(n-1)dx

oppure ns1(n-1)dx con n=4,5,6 e x = 1÷ 10 non esistono regole semplici che stabiliscono quale carica assumerà lo ione e la maggior parte di essi può dar luogo a ioni di carica negativa diversa.

DIMENSIONE DEGLI IONILa dimensione degli ioni è molto importante nel determinare il modo in cui vanno poi a compattarsi nei cristalli e nell’entità delle energie reticolari in gioco.La dimensione di uno ione dipende dalla sua carica nucleare, dal numero di elettroni che possiede e dal tipo di orbitali in cui gli elettroni più esterni risiedono. Appare ovvio che gli ioni positivi, CATIONI, siano più PICCOLI degli atomi da cui provengono, così come gli ioni negativi, ANIONI, siano di dimensioni maggiori degli atomi originari.

CARATTERISTICHE DEI CRISTALLI IONICIIn conseguenza delle energie di legame in gioco, le sostanze ioniche hanno temperature di fusione elevate. Sono sostanze cristalline e fragili, mostrando fratture per clivaggio (distacco lungo piani cristallini). Le forze elettrostatiche mantengono gli ioni in una disposizione tridimensionale ben definita e rigida. I cristalli ionici sono cattivi conduttori di elettricità, poichè gli ioni sono fissi nelle loro posizioni reticolari.

• ••

•• •

• ••

•• • •

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-2

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•• • •

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-1

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•• • •

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LEGAME COVALENTETantissime sostanze chimiche che ci circondano non hanno le caratteristiche dei materiali ionici, essendo gas, liquidi o solidi con basso punto di fusione.Lewis introdusse il concetto che un atomo può acquisire la configurazione elettronica esterna di un gas nobile anche METTENDO IN COMPARTECIPAZIONE elettroni con altri atomi. Si definisce legame covalente il legame che si realizza mediante la condivisione di una o più coppie (doppietti) di elettroni da parte di due atomi, che in tal modo acquistano la configurazione elettronica stabile (ottetto).Per le molecole biatomiche di H2 e Cl2

H • + • H H H

Cl + Cl

Come anche rappresentato nello schema si verifica una compenetrazione delle atmosfere elettroniche dei due atomi a cui si dà nome di ricopertura. Quest’ultima zona, essendo ad elevata densità di carica negativa, costituisce l’elemento legante tra i due nuclei positivi. Si dice allora che i due atomi di H e Cl nell’esempio hanno messo a comune una coppia di elettroni stabilendo un legame semplice. In molte molecole possono instaurarsi legami multipli (doppi o tripli)Ad es:

N + N N N (N N)

I legami multipli hanno energie di legami maggiori dei legami semplici e quindi distanze interatomiche minori.

N-N N=N N≡N1.47Å 1.24Å 1.10Å

Quando il legame si stabilisce tra atomi dello stesso elemento si parla di legame omopolare. Il legame covalente si dice polare se si stabilisce tra atomi di elementi differenti tra cui esiste una differenza di ELETTRONEGATIVITA’.

ELETTRONEGATIVITA’ e POLARITA’ DI LEGAME

L’elettronegatività di un atomo è definita come l’abilità dello stesso in una certa molecola di attrarre verso di se gli elettroni. Naturalmente questa proprietà è correlata all’affinità elettronica e all’energia di ionizzazione dell’atomo isolato. Un atomo che ha un’alta energia di ionizzazione ed una affinità elettronica molto negativa, tenderà sia ad attrarre elettroni dagli altri atomi, sia a non farsi strappare elettroni, risultando quindi molto ELETTRONEGATIVO.I valori numerici dell’elettronegatività ricavati da PAULING vanno da un massimo di 4,0 per il fluoro ad un minimo di 0,7 per il cesio. Bisogna tener presente che le elettronegatività sono MISURE APPROSSIMATE delle tendenze RELATIVE degli elementi ad attrarre elettroni nei

STRUTTURE DI

LEWIS

H H••

••

•• • •

• ••

•• • •

Cl•• • •

• •

Cl

••

• •

• ••• Cl Cl • •

•• • •

• •••

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•• •

• •

• ••

••

• • •• • •

••

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legami chimici (l’elettronegatività del cloro nei composti PCl3 e ClO3- può differire sensibilmente

poiché varia il tipo di ambiente chimico in cui tale elemento è situato).

Le coppie di elettroni messi a comune tra due atomi differenti possono anche non essere condivise in modo uguale. Si possono verificare due casi estremi: in un caso si formano legami tra atomi uguali (come in H2,Cl2, N2) e quindi le coppie elettroniche sono ugualmente condivise (legame omeopolare) e nel caso opposto non vi è pratica conpartecipazione di elettroni, poichè vi è un pratico trasferimento di quest’ultimi da un atomo all’altro (legame ionico, Na+Cl-).I legami che si instaurano nella maggior parte delle sostanze covalenti sono in qualche modo intermedi tra questi due estremi.Un legame covalente NON POLARE o OMOPOLARE è quello in cui gli elettroni sono condivisi in modo uguale tra gli atomiUn legame COVALENTE POLARE si verifica, quando uno degli atomi esercita una attrazione per gli elettroni più forte dell’altro.Se la differenza di forza di attrazione per gli atomi è abbastanza grande, viene a costituirsi un legame IONICO.Le differenze di elettronegatività tra due atomi possono indicare facilmente la maggiore o minore polarità del loro legame. Ad es:

Composto F2 HF LiFDifferenze di elettronegatività 0 1.9 3.0

Tipo di legame non polare cov. polare ionico

Si avrà quindi nella molecola HF una condivisione non uguale degli elettroni di valenza tra H e F

Quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tra gli atomi, maggiore è il carattere polare del legame.

Si è parlato in precedenza di OSSIDAZIONE e di RIDUZIONE in termini di perdita o di acquisto di elettroni da parte di una specie chimica. Supponendo per il legame covalente polare che, invece di trasferimenti di frazioni di carica dell’elettrone, si realizzino trasferimenti totali di elettroni

δ+

Hδ-

F oppure H F

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dall’elemento meno elettronegativo a quello più elettronegativo, si vengono a determinare cariche nette per gli atomi chiamate NUMERI DI OSSIDAZIONE.In pratica il numero di ossidazione di un atomo in un legame covalente polare è la carica che quell’atomo possederebbe se il legame chimico fosse ionico.Sebbene si possono determinare i numeri di ossidazione degli atomi usando le formule di Lewis ed i valori di elettronegatività, è più comodo impiegare le seguenti regole:

1. IL NUMERO DI OSSIDAZIONE DI UN ELEMENTO NELLA SUA FORMA ELEMENTARE E’ ZERO;2. IL NUMERO DI OSSIDAZIONE DI UNO IONE MONOATOMICO E’ PARI ALLA SUA CARICA;3. NEI COMPOSTI BINARI, ALL’ELEMENTO DI MAGGIORE ELETTRONEGATIVITA’ SI ASSEGNA UN NUMERO DI OSSIDAZIONE NEGATIVO PARI ALLA SUA CARICA IN COMPOSTI IONICI SEMPLICI DELL’ELEMENTO.Ad es.: PCl3 (P+3 Cl3

-1);4. LA SOMMA DEI NUMERI DI OSSIDAZIONE DEVE ESSERE ZERO PER TUTTI I COMPOSTI NEUTRALI E PARI ALLA CARICA GLOBALE PER LE SPECIE IONICHE

(CO3) -2 (C +4 O 3-2 ) -2

NOTA: a) l’idrogeno ha N.O. = +1 quando è legato con un elemento più elettronegativo (la maggior parte dei non metalli) e N.O. = -1 quando è legato con elementi meno elettronegativi (la maggior parte dei metalli).b) l’ossigeno ha quasi sempre N.O. = -2 ad eccezione che nei perossidi molecolari (H2O2 ad es.) e nello ione perossido O2

-2 con N.O. = -1Gruppo della Tavola

Periodica Elementi n.o.

1 Li, Na, K +12 Be, Mg, Ca, Sr, Ba +23 B, Al +34 C, Si +4

5 N, P, As, SbBi

-3, +3, +5+3

6 OS

-2, (-1)-2, +4, +6

7

FClBrI

-1-1, +1, +3, +5, +7

-1, +1, +5-1, +1, +5, +7

Elementi di transizione

CrMn

Fe, Co, NiPt

Cu, HgAgAu

Zn, Cd

+2, +3, +6+2, +3, +4, +6, +7

+2, +3+2, +4+1, +2

+1+1, +3

+2

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ALTRI TIPI DI LEGAME COVALENTE

Si parla di legame covalente dativo quando la coppia di elettroni di legame proviene da uno solo dei due atomi (atomo donatore) e viene “ospitato” dall’altro atomo (atomo accettore). Il legame dativo si indica con una (→) freccia rivolta verso l’atomo accettore . Ad es. nell’acido clorico HClO3

Si parla infine di LEGAME DI COORDINAZIONE, caso particolare di legame dativo, nel caso ad esempio dello ione ammonio NH4

+ o dello ione idronio H3O+

FORMULE DI LEWIS e RISONANZA

Per rappresentare in quale modo gli atomi si legano in una molecola si usano le FORMULE di STRUTTURA, nelle quali ogni legame viene rappresentato con un trattino. Le FORMULE DI LEWIS mettono in evidenza il completamento dell’ottetto di ciascun atomo della molecola per mezzo delle coppie di elettroni di legame Le formule di Lewis per la maggior parte dei composti e ioni si possono tracciare seguendo la procedura seguente:1. Si sommano gli elettroni di valenza da tutti gli atomi. Se la specie è uno ione, si somma un elettrone per ogni carica negativa dell’anione, o si sottrae un elettrone per ogni carica positiva del catione;2. Si scrivono i simboli degli atomi coinvolti, in modo da mostrare quali atomi sono legati tra loro. Gli atomi sono in genere riportati nella formula chimica nello stesso ordine nel quale sono connessi nella molecola/ione (ad es. HCN). Quando un atomo centrale ha un gruppo di altri atomi legati ad esso, si riporta di norma per primo (ad es. CO3

-2 , CCl4);3. Si traccia un legame singolo tra ciascun atomo legato insieme;4. Si completa l’ottetto degli atomi legati all’atomo centrarle (l’idrogeno ha bisogno di due soli elettroni)5. Si dispongono tutti gli elettroni rimanenti sull’atomo centrale, anche nel caso risultasse più di un ottetto.6. Se non ci sono abbastanza elettroni per dare un ottetto sull’atomo centrale, provare con legami multipli.

: O. .

. .: Cl

. .

. . :

: O :. .

. .O : H . .

. .O ← Cl −− OH

↓ O

H H + | |H −−N : +H+ → H − N → H − N → H | | H H

. . . .H − O : + H+ → [ H − O → H ]+

|H

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ESEMPI

5+(3 x 7) = 26 elettroni di valenza

Cl P Cl Cl P Cl

Cl Cl

Si raggiunge l’ottetto anche per l’atomo centrale P O.K.

1+4+5 = 10 elettroni di valenza

H C N non si raggiunge l’ottetto per l’atomo centrale C, quindi H C N

7 + (3 x 6) + 1 = 26 elettroni di valenza

O Cl O

O

PCl3

P gruppo 5A 5 elettroni di valenza

Cl gruppo 7A 7 elettroni di valenza

Legami singoli +

completamento ottetto atomici

• ••• • •

• •

• •

• •••

• •

••

••

•• • •

• •

• •

• •••

• •

••

•• sistemati a

24 el. di valenza

HCN

H gruppo 1° 1 elettrone di valenza

C gruppo 4A 4 elettroni di valenza

N gruppo 5A 5 elettroni di valenza

••

• •

• •

ClO3-

••

• •

• •

• • • •

• •

• •

• •

• •

• •

-

54

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RISONANZA

Spesso si incontrano sostanze in cui la disposizione degli atomi non è adeguatamente descritta da una sola struttura di Lewis . Per L’ozono O3 , sono possibili due strutture:

Una sola di queste non rappresenta la molecola di ozono, perchè prevederebbe distanze di legame differenti tra gli atomi (presenza di un singolo legame e di 1 doppio legame), mentre l’osservazione sperimentale smentisce tale situazione. Le strutture di Lewis mostrate sono equivalenti, eccetto che per la disposizione degli elettroni. Si dice allora che la molecola reale risulta un IBRIDO DI RISONANZA delle varie formule di struttura che si possono scrivere. Nell’esempio il doppio legame si considera delocalizzato su tutti e tre gli atomi.

ECCEZIONI ALLA REGOLA DELL’OTTETTO

In alcuni casi non è possibile applicare la regola dell’ottetto (esempi)1. Molecole in cui il numero di elettroni è dispari (ClO2,NO, NO2)2. Molecole in cui un atomo non raggiunge l’ottetto (BF3)3. Molecole in cui un atomo ha più di un ottetto (PCl5 , ICl-

4)

ENERGIA DEI LEGAMI COVALENTI

L’energia di legame è la variazione di entalpia ∆H richiesta per rompere un particolare legame in una mole di sostanza allo stato gassoso. Nelle molecole poliatomiche in cui vi sono più legami di uno stesso tipo si assume una forza di legame media per quel tipo di legame. Per esempio, nell’atomizzazione del metano:

Una molecola caratterizzata da un’elevata energia di legame ha scarsa tendenza a reagire chimicamente ed è quindi molto stabile.

NOTA. Nei casi in cui non sono direttamente disponibili dati sui ∆Hf° delle sostanze che partecipano ad una reazione chimica, è possibile anche utilizzare le conoscenze delle energie di legame nei reagenti e nei prodotti per calcolare il ∆Hr

• •

• •

• • O

• •

O• •

• • O

• •

• •

O

• •

O• •

• •

• • O

(g)H

H

H

C H C•

• + 4 H •(g) ∆H = + 1660 KJ

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ESPLOSIVI

Le grandi quantità di energia immagazzinate nei legami chimici trovano esempio pratico negli esplosivi. Un esplosivo è una sostanza liquida o solida che soddisfa i seguenti requisiti:1. deve decomporsi in modo molto esotermico;2. i prodotti di decomposizione devono essere gassosi, in modo che la reazione generi una pressione di gas elevatissima;3. la sua decomposizione deve avvenire in modo estremamente rapido;

Per avere una reazione estremamente esotermica, bisogna che l’esplosivo abbia legami chimici molto deboli e deve decomporsi in sostanze con legami chimici molto forti. Confrontando le energie di legame, si osserva che

N≡N, C≡O, C=Osono tra i legami più forti; infatti gli esplosivi danno di norma come prodotti N2 , CO , CO2 gassosi.

La nitroglicerina è un liquido giallo-paglierino altamente instabile.

)g(2)g(2)g(2)g(2)l(9353 OOH10CO12N6ONHC4 +++→

Si noti come, al contrario delle reazioni di combustione, non c’è bisogno di un reagente. La nitroglicerina liquida, essendo così instabile, non può essere usata tal quale come esplosivo. Alfred Nobel scoprì che mescolandola con un materiale assorbente (terre diatonee) si poteva ottenere un esplosivo solido più stabile e sicuro, la DINAMITE.

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GEOMETRIA MOLECOLARE

Le strutture di Lewis bidimensionali non danno alcuna indicazione sulla forma delle molecole. Quest’ultima dipende dagli ANGOLI DI LEGAME, cioè gli angoli tra le linee che congiungono i nuclei degli atomi nella molecola. Gli angoli di legame, assieme alle lunghezze di legame, definiscono, con precisione la dimensione complessiva e la geometria della molecola.

Nel descrivere le geometrie molecolari si inizia per comodità con le molecole che contengono due o più atomi di B legate ad un atomo centrale A, cioè del tipo ABn. La geometria molecolare può essere in molti casi prevista impiegando la TEORIA DELLA REPULSIONE DELLE COPPIE DI ELETTRONI DI VALENZA (VSEPR = valence-shell electron-pair repulsion model).Se si uniscono per una estremità due, tre e poi quattro palloncini, questi si dispongono naturalmente come mostrato in figura: cioè, al fine di minimizzare le interazioni tra loro, si dispongono il più lontano possibile uno dall’altro.

L’idea di base della VSEPR è che LA MIGLIORE DISPOSIZIONEDI UN DATO NUMERO DI DOPPIETTI ELETTRONICI E’ QUELLO CHE MINIMIZZA LE FORZE DI REPULSIONE TRA LORO.Nel tracciare le strutture di Lewis vi sono i DOPPIETTI DI LEGAME e i DOPPIETTI DI NON LEGAME (LONE PAIRS).Per considerare correttamente le azioni repulsive occorre considerare tutti i doppietti elettronici. Ad esempio:

•• • •

• •

• •

• •••

• •

••

••

CCl Cl

Cl

• • ••

•• Cl

Struttura di lewis

58

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La GEOMETRIA MOLECOLARE di una molecola è la disposizione degli atomi nello spazio. Sebbene la geometria dei doppietti elettronici nell’NH3 sia tetragonale, la geometria molecolare deve essere rappresentativa solo della disposizione atomica, che risulta quindi TRIGONALE PIRAMIDALE. La tabella seguente riassume le geometrie molecolari che possono verificarsi quando un atomo centrale ha 4 o meno doppietti elettronici (molecole o ioni che obbediscono alla regola dell’ottetto).L’applicazione del modello VSEPR a molecole che contengono doppi o tripli legami deve essere intesa nel considerare i legami multipli come quelli singoli nell’influenzare la geometria molecolare. Tuttavia, considerando che i legami multipli hanno una densità di carica negativa superiore a quella dei legami singoli, la loro presenza modifica gli angoli di legame, poiché esercitano una forza repulsiva maggiore

H N H

H

• •

C

H

H

O116°

122°

122°

invece che tutti i 120° come nel caso ideale

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Anche i doppietti elettronici di valenza non impiegati nei legami esercitano una maggiore forza repulsiva rispetto a quelli impegnati nei legami.

CH4 NH3 H2O

Quando l’atomo centrale di una molecola ABn è dal terzo periodo in poi della tabella periodica, allora questo può avere più di quattro doppietti elettronici e le geometrie molecolari possono essere numerose, vedi tabella

C

H

HH 109,5°

H

N

• •

HH 107°

H

O

• •

• •H 104.5°

N

60

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NOTA: nelle molecole e ioni che non hanno un atomo singolo centrale, si può usare il modello VSEPR comunque. Ad esempio nell’ CH3COOH

MOMENTO DIPOLARE

La forma di una molecola e la polarità dei suoi legami determinano la distribuzione di carica nella molecola. Una molecola si dice POLARE quando i centri delle cariche positive e delle cariche negative non coincidono. Tutte le molecole diatomiche con legame polare sono polari. Ad esempio

Il grado di polarità si esprime con il MOMENTO DIPOLARE µ = Q.r dove Q = carica agli estremi del dipolo e r = distanza tra le cariche. I momenti dipolari si misurano in Debye D = 3,33.10-30

coulomb.metro. La polarità di una molecola contenete due o più atomi dipende sia dalla polarità dei legami, sia dalla geometria della molecola. Il momento dipolare di una molecola sarà la somma VETTORIALE dei dipoli generati dai legami. Per cui non è detto che in una molecola in cui sono presenti dei dipoli di legame si presenterà un momento dipolare complessivo.

Il modello VSEPR prevede in modo semplice la forma delle molecole ma non spiega perché esistono i legami tra gli atomi. Grazie alla meccanica quantistica si può spiegare il perché di certe geometrie molecolari in termini degli orbitali atomici impiegati dagli atomi nel formare i legami.L’uso delle formule di struttura e l’applicazione delle regole dell’ottetto permettono di illustrare in modo qualitativo il legame covalente, ma non spiegano PERCHE’ questo si forma.

CH

O

C

H

H

O H• •

• •

• •

• •

geometria tetraedrica

trigonale planare

Geometria angolata

H F

O CC

doppi legami

Momento dipolare = 0

H H

O

Momento dipolare complessivo

H H

O

δ-

δ+

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La teoria VSPER è utile per prevedere la formula delle molecole, ma non è in grado di spiegare COME queste coppie di elettroni si sistemano nello spazio. Per conoscere più a fondo il comportamento degli elettroni nelle molecole si ricorre di nuovo ai principi della meccanica ondulatoria, che spiega come interagiscono fra loro gli orbitali degli atomi quando si sovrappongono per formare legami.

TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB)

Nella teoria del legame covalente si è visto che gli atomi mettono in compartecipazione elettroni. Ciò facendo si viene a creare una concentrazione di elettroni tra i nuclei. La teoria del legame di valenza VB per i legami chimici nasce dal mettere assieme il concetto di Lewis di legame con doppietti elettronici e l’idea degli orbitali atomici.Nella teoria VB, l’incremento di densità elettronica tra i due nuclei ha luogo quando un orbitale di un atomo si sovrappone parzialmente con quello di un altro atomo; in questa regione di sovrapposizione gli elettroni di legame condividono uno spazio comune tra i nuclei, come per altre vie rappresentato nelle strutture di Lewis.La distanza internucleare, in pratica la lunghezza di legame a cui si sistemano gli atomi, sarà determinata dall’equilibrio tra le forze di attrazione tra le atmosfere elettroniche e i nuclei positivi e le forze di repulsione tra i nuclei, una volta che si verifica parziale sovrapposizione delle atmosfere elettroniche.

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LEGAMI σ

Derivano dalla sovrapposizione di due orbitali s, oppure di un orbitale s ed uno p, oppure di due orbitali p contrapposti tra loro. In ogni caso, il ricoprimento tra gli orbitali comporta un aumento di densità elettronica nella regione tra i nuclei.

Legami di tipo σ fra orbitali s e p e fra orbitali di tipo p.

LEGAMI π

Derivano dalla sovrapposizione di due orbitali p orientati perpendicolarmente rispetto all’asse interatomico. Le regioni di ricopertura sono quelle laterali sopra e sotto l’asse interatomico

Legami di tipo π fra orbitali di tipo p. Nella maggior parte dei casi i legami sono di tipo σ. I legami doppi sono costituiti da un legame σ ed uno π, mentre i legami tripli da uno σ e due π.

H H

1 legame σ

H

H

H

H

C C

1 legame σ1 legame π

••

••N N

1 legame σ2 legami π

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ORBITALI IBRIDI

Non sempre un atomo, legandosi ad altri atomi, usa i suoi orbitali atomici . In diversi casi, gli orbitali fondamentali (s, p, d) SI RICOBINANO subendo IBRIDI con forme e proprietà direzionali nuove. L’ibridizzazione è una trattazione matematica mediante la quale più orbitali di energia poco diversa vengono “mescolati” e poi ridivisi in un pari numero di orbitali ibridi isoenergetici. In pratica, sebbene l’idea delle ricoperture degli orbitali atomici permette di capire il meccanismo di formazione dei legami covalenti, con l’ibridizzazione si può riconciliare la formazione dei legami degli orbitali atomici alle reali geometrie assunte dalle molecole.

ORBITALI IBRIDI sp Si consideri una molecola di BeF2 allo stato gassoso. La formula di Lewis prevede una geometria lineare

I rilievi sperimentali confermano tale ipotesi e mostrano inoltre la presenza di due legami Be-F identici. Per il fluoro non ci sono problemi, perché ha un elettrone spaiato su un orbitale esterno 2p (config. esterna 1s2 2s2 2p5); per il Be invece sarebbe possibile formare legami con gli atomi di F,

Be :

solo se passa dallo stato fondamentale ad uno stato in cui 1 elettrone nell’orbitale 2s viene promosso ad un orbitale 2p con spesa di energia.

Tuttavia, in questo caso, i due legami covalenti stabiliti con gli atomi di F non potrebbero essere identici, poiché l’elettrone nell’orbitale 2p ha contenuto di energia superiore a quello nel 2s. Si può spiegare il rilievo sperimentale di due legami identici B-F supponendo un MESCOLAMENTO dell’orbitale s con un orbitale p, con formazione di due nuovi orbitali IBRIDI (processo di IBRIDIZZAZIONE) di tipo sp con geometria come quella rappresentata in figura

••

• •

• •

F Be F

• •

• •

••

1s 2s 2p

1s 2s 2p

64

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Il diagramma orbitale può essere rappresentato come:

Gli orbitali ibridi sp hanno un lobo di maggiori dimensioni e possono quindi meglio orientarsi rispetto agli altri atomi; questo garantisce inoltre maggiori ricoperture elettroniche e quindi legami più forti.

Esempio di ibridizzazione sp nella molecola BeF2.

ORBITALI IBRIDI sp2 e sp3 Gli orbitali ibridi sp2 derivano dal mescolamento di un orbitale s e due orbitali p (sp3 → 1s + 3p).

Analogamente si interpreta l’ibridizzazione sp3 come mescolamento di un orbitale s con orbitali p. Ne consegue una geometria molecolare TETRAEDRICA.

2s 2p 2sp 2p

ibridizzazione

65

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Esempi:

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IBRIDIZZAZIONE CHE COINVOLGE ORBITALI d

Si considerano orbitali ibridi sp3d (geometria molecolare TRIGONALE BIPIRAMIDALE) e orbitali ibridi sp3d2 (geom. molecolare ottaedrica)

Tipologie di ibridizzazioni, con relative geometrie molecolari e alcuni esempi.

ORBITALI IBRIDI E LEGAMI MULTIPLI

Si può impiegare il concetto di ibridizzazione per spiegare il legame in molecole con presenza di doppi legami. Ad esempio l’etilene C2H4 ha un doppio legame H2C=CH2 e angoli di legame tutti a 120°, suggerendo una ibridizzazione degli orbitali del carbonio tipo sp2 per legarsi mediante legami σ all’altro carbonio ed ai due atomi di idrogeno. Dato che il carbonio ha 4 elettroni di valenza, dopo ibridizzazione sp2 un elettrone in un orbitale p non ibridizzato:

L’orbitale 2p non ibridizzato è diretto perpendicolarmente al piano che contiene i tre orbitali ibridi sp2. I tre orbitali ibridi sp2

formano legami σ (C C + 2 C H), mentre i due orbitali non ibridizzati del carbonio possono compenetrarsi “lateralmente”, con densità elettronica concentrata sopra e sotto l’asse del legame C C, dando luogo ad un legame π. Quindi si può concludere che il doppio legame C = C è costituito da un legame σ e da un legame π. Sebbene non sia possibile osservare direttamente un legame π, diversi

2s 2p

promozione

2s 2p

Ibridizzaz.

Sp2 2p

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rilievi sperimentali concordano con tale ipotesi (lunghezza del legame C − C nell’etilene 1,34 Å minore che C − C in singolo legame 1,54 Å ecc).Nello stesso modo è possibile spiegare i legami tripli, supponendo come nel caso dell’acetilene, C2H2 (H-C ≡ C-H), una ibridizzazione sp.

ESEMPIO La formaldeide, CH2O, che esibisce una molecola planare ha la seguente struttura:

Usando il modello VSEPR, dovremmo predire per gli angoli di legame intorno a C circa 120° (geometria trigonale planare). Tale circostanza suggerisce orbitali ibridi sp2 per la formazione di legami σ; rimane un orbitale 2p sul carbonio, perpendicolare al piano contenente i tre legami σ. Per l’ossigeno, possiamo predire per i due lone pairs e per il legame σ C –O una geometria trigonale planare, ed anche per l’ossigeno rimane un orbitale 2p perpendicolare al piano dei tre legami σ . Viene quindi a formarsi un ulteriore legame π e quindi si spiega il doppio l egame C=O.

Tipologie di legami nella molecola della formaldeide. Gli atomi di carbonio e di ossigeno risultano ibridizzati sp2.

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LEGAME A ELETTRONI DELOCALIZZATI

In tutte le molecole prima viste, gli elettroni di legame sono localizzati, cioè gli elettroni σ e π sono associati totalmente con i due atomi che formano il legame. In alcune molecole, e special modo in quelle che esibiscono più di una forma di risonanza, non è possibile descrivere il legame come localizzato. Per esempio nel benzene C6H6.

La distanza di legame C – H nel benzene è 1,40 Å (intermedia tra i valori C – C 1,54 Å e C = C 1,34 Å), la molecola è planare e gli angoli di legame sono tutti 120°. In corrispondenza dei doppi legami possiamo fermare tre legami π, ma questi non possono essere in una posizione stabile (altrimenti ci sarebbero tre distanze di legame minori delle altre). Si suppone quindi che i tre legami π siano estesi a tutti e 6 gli atomi di C, siano cioè delocalizzati. Tale situazione dona alla molecola del benzene una peculiare stabilità chiamata aromaticità.

Molecola del benzene

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LEGAMI SECONDARII legami secondari includono le interazioni tra molecole, sia polari che apolari, genericamente indicate come forze di Van der Walls che comprendono: interazione dipolo – dipolo, interazione tra molecole non polari, il legame a idrogeno. I legami DIPOLO–DIPOLO sono legami elettrostatici in cui sono coinvolti dipoli. Si possono generare interazioni elettrostatiche di 5 tipi:

• 1. ione – dipolo• 2. ione – dipolo indotto• 3. dipolo – dipolo• 4. dipolo – dipolo indotto• 5. dipolo indotto – dipolo indotto

Sebbene spesso si indichino i legami chimici, in cui è coinvolto un dipolo come LEGAMI VAN DER WAALS, quest’ultimi sono in senso stretto solo i legami 3 e 4 . Il legame 5 è dovuto alle forze tre particelle non polari, dette FORZE DI LONDON .Questi legami, assieme al legame di IDROGENO, costituiscono la base delle forze intermolecolari che influezano fortemente molte proprietà dei liquidi e dei solidi. Come prima detto, le forze ione – dipolo sono molto importanti nelle soluzioni di sostanze ioniche in liquidi polari (per es. NaCl in acqua). Queste energie di legami sono deboli: variano da pochi KJ a poche decine KJ/mole (di legame).

FORZE IONE – DIPOLOUna forza ione – dipolo si instaura tra uno ione e la carica parziale alla terminazione di una molecola polare. Come visto, la separazione di carica in una molecola polare genera un momento dipolare µ misurato in DEBYE [D]. Uno ione positivo sarà dalla parte negativa di un dipolo, mentre uno ione negativo dalla parte positiva. L’energia di legame sarà E ∝ Q µ/d2

Dove Q = carica dello ione µ = momento del dipolo

d = distanza dal centro dello ione al punto centrale del dipolo

Come si può vedere in figura, lo ione positivo (per es. lo ione K+ in una soluzione acquosa di K+Cl-) si circonda di molecole polari H2O che si orientano attorno allo ione per interazione IONE - DIPOLO. Si dice che lo ione è idratato. Analogamente avviene per lo ione di carica negativa (ad esempio Cl-).

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FORZE DIPOLO – DIPOLO

Sono forze che si instaurano tra molecole neutre polari. Le molecole polari si attraggono quando la parte negativa dello ione si trova vicino alla parte positiva di un’altra molecola. Le forze dipolo – dipolo sono significative solo quando le molecole si trovano molto vicine tra loro e sono comunque più deboli delle forze ione – dipolo. Nei liquidi, le molecole dipolari sono libere di muoversi una rispetto all’altra, per cui si ritrovano a volte orientate in modo da attrarsi e a volte in modo da respingersi. Tuttavia quando sono posizione tale da attrarsi, passano più tempo vicine che non lontana, per cui l’effetto complessivo è un’attrazione reciproca.

Esempi di interazioni dipolo-dipolo. In (a) e (b) sono mostrate forze di tipo attrattivo, in (c) e (d) forze di tipo repulsivo.

FORZE DI LONDON

Le forze di London possono spiegare quali forze intermolecolari tengono assieme atomi o molecole non polari. Il fatto che anche i gas non polari possono essere liquefatti indica che deve esserci una qualche forza di attrazione tra le molecole.London teorizzò che il moto degli elettroni in un atomo o in una molecola può comunque creare un momento dipolare ISTANTANEO . La polarità istantanea presente in un certo atomo/molecola può influenzare in un certo istante anche il moto degli elettroni un atomo/molecola vicina, cioè indurre un simile momento dipolare anche a quest’ultima. Questo causa una attrazione tra atomi/molecole, come rappresentato in figura per due atomi di Elio, He.

Esempio di forza dipolo indotto – dipolo indotto fra atomi del gas nobile elio, He.

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La facilità con cui la distribuzione di carica può essere distorta da una forza esterna è chiamata POLARIZZABILITA’. In generale, le molecole di maggiori dimensioni sono più facilmente polarizzabili, perchè hanno gli elettroni più lontani dal nucleo. Quello che si verifica quindi, è che le forze di LONDON o FORZE DI DISPERSIONE crescono al crescere del peso molecolare, come deducibile dalla temperature di ebollizione riportate.

Teb (K) Teb (K)F2 85.1 He 4.6Cl2 238.6 Ne 27.3Br2 332.0 Ar 87.5I2 457.6 Kr 120.9

Xe 166.1

LEGAME IDROGENO

L’acqua possiede numerose proprietà e caratteristiche che la distinguono da altre sostanze di simile peso molecolare e polarità. Ha un’alta temperatura di ebollizione, un alto valore del calore specifico e un alto valore del calore latente. Tutte queste proprietà indicano che le forze intermolecoalri tra le molecole di H2O sono forti in modo inaspettato.Questo è dovuto al LEGAME DI IDROGENO, che è uno speciale tipo di attrazione intermolecolare che esiste tra l’atomo di idrogeno impegnato in un legame polare (in modo particolare un legame H – F, H – O, H – N) e un doppietto elettronico non condiviso o un atomo elettronegativo (di solito F, O, N in un’altra molecola)Il legame idrogeno è un legame dipolo – dipolo sui generis. Elementi come F, O, N sono molto elettronegativi, e un legame tra idrogeno e questi elementi è di conseguenza molto polare. Inoltre, l’atomo di idrogeno non ha elettroni interni e la parte positiva del dipolo nel legame (ad es. H – F) è, in pratica, un protone positivo quasi interamente esposto. Questa carica positiva esposta può quindi essere attratta dalla carica negativa di un atomo elettronegativo posto nelle vicinanze. Inoltre, essendo l’idrogeno quasi privato del tutto dell’ elettrone, e quindi molto piccolo, può avvicinarsi molto all’atomo elettronegativo della molecola vicina e quindi interagire con esso in modo sensibile. Le energie del legame di idrogeno sono tra 4 KJ/mole a 25 KJ/mole, e quindi inferiori a quella dei legami chimici fondamentali, ma comunque molto maggiori delle forze dipolo – dipolo o delle forze di London. Nell’acqua il legame idrogeno è anche responsabile della struttura “aperta” del ghiaccio solido e quindi della minor densità di quest’ultimo rispetto alla fase liquida.

Legame fra le molecole di acqua nel ghiaccio. Tali legami idrogeno molto forti donano particolari proprietà all’acqua solida.

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LEGAME METALLICO

La maggioranza degli elementi (3/4) sono metalli che presentano strutture cristalline compatte in cui ogni atomo interagisce con 8 o 12 atomi adiacenti. Il legame nei metalli è troppo forte per essere dovuto a forze di London e non può essere di tipo covalente, perchè non ci sono abbastanza elettroni di valenza per stabilirli; non può essere neanche di tipo ionico, in quanto i metalli hanno proprietà assolutamente diverse dai cristalli ionici.

Esempio di legame metallico. Gli ioni positivi sono legati tramite la nube di elettroni delocalizzati che occupano tutto il solido.Per spiegare tali caratteristiche si suppone che gli atomi costituenti un cristallo metallico conservino inalterata la struttura dei livelli interni completi, ma perdano gli elettroni di valenza, che vanno a distribuirsi su nuovi orbitali ESTESI A TUTTO IL CRISTALLO. Pertanto, tali elettroni non appartengono più ai singoli atomi ma sono delocalizzati sull’intero cristallo.Si può immaginare un cristallo metallico come un reticolo di ioni postivi immersi in UN MARE DI ELETTRONI, distribuiti su orbitali in numero uguale a quello degli orbitali di valenze degli atomi costituenti il cristalloQuesta interpretazione del legame metallico permette di interpretare molte delle proprietà degli stessi.

Come noto, i metalli sono ottimi conduttori di elettricità e di calore.L’elevata conducibilità elettrica deriva dal numero straordinariamente grande di orbitali (chiamati anche metallici) disponibili, estesi sull’intero cristallo, su ciascuno dei quali comunque possono esistere 2 soli elettroni (principio di esclusione di Pauli) e dalla differenza di energia straordinariamente piccola tra due orbitali successivi. Da questa struttura energetica derivano le peculiari proprietà metalliche.Si supponga di formare un cristallo di Li progressivamente, cioè aggiungendo man mano gli atomi uno dopo l’altro . Il Li ha un elettrone di valenza sull’orbitale 2s di energia E.Il secondo atomo di Li si legherà al primo ed i due elettroni complessivamente andranno ad occupare le posizioni di minima energia, cioè l’orbitale di più bassa energia lasciando libero un orbitale. N atomi di Li occuperanno gli orbitali di più bassa energia e lasceranno liberi gli altri: si

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ha quindi la formazione di una banda di energie, detta banda di valenza.Se si ha una specie atomica con lo stato s completo ed esistano anche elettroni p, con meccanismo analogo si avrà una banda s completamente occupata e una banda p parzialmente occupata. In un generico cristallo, queste bande di energia possono ricoprirsi o essere adiacenti (METALLO CONDUTTORE) oppure esser separate da una differenza di energia ∆E (non conduttore – non metallo se ∆E > 400KJ mole; semiconduttore – semimetallo se 50 < ∆E < 175 KJ/mole).La buona conduzione dell’elettricità del metallo a cui si impone, ad es., una differenza di potenziale sta nella capacità degli elettroni (che accelerano e si muovono nella direzione del campo elettrico) di assorbire questi aumenti di energia e cioè è possibile solo se sono disponibili livelli energetici VUOTI compatibili con tali livelli.

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GASL’aria che respiriamo consiste essenzialmente di N2 (78%) e O2 (21%) in forma molecolare. Molti altri elementi non metallici esistono in condizioni normali sotto forma di gas : Ne, He, H2, F2, Cl2, Ar, Kr, Xe, così come molti composti molecolari(HCN, H2S, CO, CO2, CH4 N2O, NO2, NH3, SO2). In condizioni appropriate, le sostanze normalmente liquide o solide esistono anche allo stato gassoso, in questi casi indicati come vapori. Ad esempio, una bottiglia chiusa contenente ghiaccio e acqua a O°C ha in equilibrio anche vapor d’acqua. I gas sono capaci di estendersi a tutto il volume disponibile e sono comprimibili. Possono inoltre miscelarsi tra loro in qualsiasi proporzione, anche se i rispettivi liquidi sono tra loro completamente immiscibili.Le proprietà caratteristiche dei gas derivano dal fatto che le molecole individuali sono relativamente lontane tra loro. Basti pensare che l’aria che respiriamo è costituita da un numero di molecole che occupa solo 0,1% del volume inspiratoo. Pertanto, ciascuna molecola si comporta in buona misura come se le altre molecole non ci fossero. Questo spiega il perchè dei gas differenti si comportano poi sostanzialmente allo stesso modo.Per contro, le molecole singole in un liquido sono tra loro più vicine (occupano il 70% dello spazio totale) e in questo caso le forze attrattive che si instaurano tra molecole possono trattenerle assieme.PRESSIONE = FORZA Nel S. I unità di misura Pascal Pa = N

Superfice Pascal m2

La pressione atmosferica standard, che corrisponde alla pressione tipica al livello del mare,è la pressione sufficiente a sostenere il peso di una colonna Hg alta 760 mm.

1 atm 760 mmHg = 760 torr 1,01325x105 Pa

Barometro a mercurio inventato da Torricelli.

TEMPERATURALa temperatura di un corpo è una misura della tendenza del calore a sfuggire da esso: la temperatura è una proprietà della materia a cui si deve la possibilità dei corpi di trasferire calore dall’uno all’altro, per conduzione(contatto diretto) e/o irraggiamento.

SCALE TERMOMETRICHE

Scala T.D. Assoluta

KELVIN

Scala convenzionale

CELSIUSScala convenzionale

FAHRENHEIT

K

°C

°F

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Nota: La scala CELSIUS divide in 100 parti uguali l’intervallo di temperatura di congelamento e di ebollizione dell’H2O in presenza d’aria, P = 1atm. A tali temperature sono stati dati i valori convenzionali di O°C e 100°C rispettivamente. La scala Kelvin è una scala assoluta, nel senso che trova basi teoriche nella termodinamica; cioè il rapporto tra due valori di temperatura in questa scala rappresenta anche il rapporto tra quantità di calore assorbito e quantità di calore ceduto in un ciclo Carnot che operi fra tali temperature.

Valgono le reazioni tK = t°C+273,15

tF = 32+1,8 t°C

LEGGI DEI GAS I gas si dicono ideali quando rispondono a certi requisiti che verranno poi esposti nella TEORIA CINETICA. Per igas ideali valgono le seguenti leggi:

Equazione di Boyle (1660) (P.V)T = cost (legge isoterma T = cost)

Equazione di Charles (1787)VT

P

= cost (legge isocora V = cost)

Equazione di Gay Lussac (1803) =

pTV

cost (legge isobara P = cost)

Legge di Avogadro =

P,TnV

cost

Da tutte queste relazioni ottenute empiricamente ne consegue che

=⇒∝

PnTRV

PnTV

equazione nota come EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI

Il termine R si dice COSTANTE UNIVERSALE dei GAS e il suo valore numerico dipende dalle unità di misura usate per P, V e T

UNITA’ VALORE NUMERICO DI R

molKatm.. 0,08206

molKcal. 1,987

molKJ. 8,314

P.V = n.R.T

(“Il volume di un gas a T e P costanti è proporzionale al numero di moli del gas”)

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NOTA: la temperatura nella PV=nRT deve essere SEMPRE espressa in gradi KelvinIl volume occupato da una mole di gas in CONDIZIONI NORMALI (sono denominate così le condizioni 0°C, 1 atm) è pari a:

( )( ) ( )

41,22atm1

K15,273mol.K/atm.08206,0mol1P

nRTV ===

Le leggi di Boyle, Charles e Gay-Lussac si ritrovano come casi particolari della più generale legge dei gas ideali.

MISCELE GASSOSE E PRESSIONI PARZIALI

John Dalton osservò che la pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle pressioni parziali dei singoli gas, cioè:

Ptotale = P1 + P2 +……..+ Pq = Σ Pi

Inoltre la pressione parziale di ciascun gas che fa parte di una miscela di gas a comportamento ideale è uguale alla pressione che quel gas eserciterebbe se occupasse da solo il volume totale disponibile, cioè:

P1V1 = n1RT; P2V2 = n2RT; …….; PqVq = nqRT

(P1 + P2 +……+ Pq)V = (n1 + n1 + ……+ nq)RT

Ne deriva che Pnn

Ptot

11 = ; P

nn

Ptot

22 = ; P

nn

Ptot

qq =

il generico rapporto tot

inn

si indica come FRAZIONE MOLARE del gas i e rappresenta la

PERCENTUALE delle molecole di quel gas i rispetto alle molecole totali della miscela.

Naturalmente ∑ =i

i 1nn

TEORIA CINETICA DEI GAS: LEGGE DI MAXWELL-BOLTZMANN

La teoria cinetica dei gas spiega perché i gas perfetti si comportano in un certo modo, per esempio perché si espandono se riscaldati a P = cost, o perché aumentano di pressione se compressi a temperatura costante. Tale teoria si basa sulle seguenti ipotesi:

1. I gas consistono di un grande numero di molecole in continuo, casuale movimento;2. Il volume totale di tutte le molecole del gas è trascurabile rispetto al volume in cui il gas è

contenuto;3. Le forze attrattive e repulsive tra le molecole del gas sono trascurabili;

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4. L’energia può essere trasferita tra le molecole durante le collisioni, ma l’energia cinetica MEDIA delle molecole non cambia nel tempo, fino a che la temperatura rimane costante. In altre parole, le collisioni sono PERFETTAMENTE ELASTICHE;

5. L’energia cinetica media delle molecole è proporzionale alla temperatura assoluta. Ad una determinata temperatura, le molecole di QUALSIASI GAS hanno la stessa energia cinetica media.

La teoria cinetica rende comprensibile il concetto di pressione e temperatura a livello molecolare. La PRESSIONE di un gas è determinata sia dalla FREQUENZA per unità di area che DALL’IMPULSO impartito dalla COLLISIONE delle molecole contro le pareti del contenitore del gas. La TEMPERATURA ASSOLUTA del gas è una MISURA dell’energia cinetica MEDIA delle sue molecole. Quindi, se la temperatura di un gas passa da per es. 300 K a 600 K, allora l’energia cinetica delle sue molecole raddoppia. Pertanto, il moto molecolare aumenta al crescere della temperatura.

Distribuzione della velocità molecolare per l’azoto a 0 °C (curva con il massimo più marcato) e a 100 °C.

La figura sopra riportata mostra la distribuzione delle velocità molecolari all’interno del gas N2 a 0°C e 100°C. Le velocità più probabili delle molecole sono quelle quelle relative al massimo delle curve (up). La VELOCITÀ MEDIA u si può dimostrare essere u = 1,128 up .Dalla figura risulta, e questo è un comportamento generale, che all’aumentare della temperatura si ha un appiattimento della curva di distribuzione delle velocità e un conseguente aumento della velocità più probabile e della velocità media delle molecole. L’energia cinetica media delle molecole è quindi esprimibile come:

2cin um

21E = ed è strettamente legata alla temperatura attraverso la formula KT

23Ecin = .

Le leggi dei gas trovate empiricamente possono essere interpretate facilmente mediante la teoria cinetica appena esposta:

1. Effetto di aumento di volume a T=cost (legge di Boyle PV=cost)

Se T = cost allora la u delle particelle e quindi Ecin sono costanti. L’aumento del volume, tuttavia, comporta tragitti delle particelle più lunghi e quindi un numero di collisioni tra loro e con le pareti del contenitore minori nell’unità di tempo→PRESSIONE MINORE

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2. Effetto di un aumento di T a V=cost (legge di Charles =

VTP

cost)

Un aumento di T implica u e Ecin delle particelle maggiori. Quindi, rimanendo V=cost ci saranno più collisioni (e più energiche) per unità di tempo contro le pareti del contenitore→PRESSIONE MAGGIORE

DEVIAZIONE DAL COMPORTAMENTO IDEALE: EQUAZIONE DI VAN DER WAALS PER I GAS PERFETTI

L’equazione di stato dei gas ideali non è del tutto rispettata dai gas reali. La deviazione dal

comportamento ideale si può ben osservare considerando che per un gas ideale nRTPV = e per 1

mole di gas ideale si deve sempre avere 1=RTPV

.

(a) Andamento del parametro PV/RT in funzione della pressione per 1 mole di gas diversi alla temperatura di 300 K. I dati relativi alla CO2 sono relativi a 313 K in quanto la CO2 liquefà a circa 300 K ad alte pressioni.

(b) Andamento del parametro PV/RT in funzione della pressione per 1 mole di azoto a 3 diverse temperature. Al crescere della temperatura il comportamento dei gas si avvicina a quello dei gas perfetti.

Come si rileva dal grafico, le deviazioni dal comportamento ideale sono grandi alle alte pressioni, mentre alle basse pressioni (diciamo minori di 10 atm) sono in genere trascurabili. Le deviazioni però dipendono molto anche dalla temperatura e, al crescere di quest’ultima, decrescono. In generale, si può dire che le deviazioni dal comportamento ideale crescono alle temperature vicino alla temperatura di liquefazione del gas.

Si può comprendere come la temperatura e la pressione influenzino la non idealità considerando due fattori ipotizzati trascurabili nella TEORIA CINETICA:

• Le molecole di un gas possiedono volumi finiti;• Quando le molecole sono vicine tra loro, diventano significative le forze attrattive

Considerando che ad alte pressioni, e quindi con molecole serrate tra loro, il volume realmente a disposizione per il movimento delle particelle è minore del volume del contenitore e risulterà:Videale = Vreale – n.b dove b = volume occupato da una mole di particelle di gas, detto anche COVOLUME.

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Alle alte pressioni, quindi, usare nell’espressione RTPV

il volume del contenitore invece che il reale

volume a disposizione del gas, comporta un incremento numerico di RTPV

, responsabile per

l’andamento crescente delle curve. Inoltre , alle alte pressioni, la vicinanza tra le molecole del gas rende non più trascurabili le forze di attrazione reciproca , le quali hanno come effetto quello di ridurre la forza con cui le molecole colpiscono le pareti del contenitore e quindi l’entità delle variazioni di quantità di moto; quindi la pressione è minore che per un gas ideale

2

2

VnaPP realeideale +=

Indicando con P,V i valori di Preale, Vreale, l’equazione di stato del gas ideale ( nRTVP idid = ) risulta

così modificata nel caso di un gas reale: ( ) nRTnbVVnaP =−

+ 2

2

nota come E.Q. di Van Der WAALS . I valori di a e b per alcuni gas sono riportati nella seguente tabella.

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PASSAGGI DI STATO E DIAGRAMMI DI STATO

Si è detto che le sostanze possono presentarsi in più stati di aggregazione, presentandosi come FASE GASSOSA, FASE LIQUIDA O FASE SOLIDA.

GAS LIQUIDO SOLIDO cristallinoDisordine totale. Disordine. Disposizione ordinataLa maggior parte dello Le particelle o cluster Le particelle possono vibrarespazio è vuoto. di particelle sono libere ma sono in posizioniLe particelle sono comple di muoversi relativamente determinate.tamente libere nel moto alle altre Le particelle sono date le grandi distanze Le particelle sono vicine vicine tra loro.di separazione e l’ineffi tra loro.cacia delle forze di attrazione.

Ogni passaggio di stato ed ogni transizione di fase (per transizione di fase si intende ad es. il passaggio di una sostanza da una fase solida ad un altra) implica scambio di energia con l’esterno. Nello schema riportato occorre fornire energia al sistema andando verso destra(∆H°>O), mentre è il sistema a cedere energia all’ambiente andando verso sinistra. (∆H°<O).

Le variazioni energetiche che accompagnano i passaggi di stato sono correlate alle FORZE INTERMOLECOLARI che vanno a formarsi oppure rompersi. Andando verso stati più disordinati, bisogna fornire energia per vincere le forze intermolecolari. Nel processo di FUSIONE la variazione di entalpia associata è chiamata entalpia di fusione o CALORE DI FUSIONE (il calore di f. del ghiaccio è 6,012 KJ/mol). Si parla parimenti di CALORE DI VAPORIZZAZIONE per vaporizzare un liquido (il c. di vaporizzazione dell’H2O è pari a 40,67 KJ/mol). Si noti che il calore di fusione è minore in valore del c. di vaporizzazione, cioè costa meno energia permettere alla molecola di muoversi una rispetto all’altra che separarle completamente.

raffreddamento +compressione

riscaldamento +riduzione di pressione

raffreddamento

riscaldamento

STATO SOLIDO

STATO LIQUIDO

STATO GASSOS

O

FUSIONE

SOLIDIFICAZIONE LIQUEFAZIONECONDENSAZIONE

EVAPORAZIONE

SUBLIMAZIONE

BRINAMENTO

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VARIAZIONE DI ENTALPIA E TEMPERATURA DURANTE RISCALDAMENTOAnalizzeremo i fenomeni che si verificano durante il progressivo riscaldamento di un solido, attraverso un esempio numerico.Si tracci il diagramma entalpia molare – temperatura – e si calcolino le variazioni entalpiche che hanno luogo durante riscaldamento di 1 mole di ghiaccio a –25° fino a vapor d’acqua a 125° e 1 atm. I calori specifici del ghiaccio, dell’acqua e del vapore sono rispettivamente 2,09; 4,18; 1,84 J/g.°C.

Regola generale:calcolo calore sensibile Q = MCp∆Tcalcolo calore latente Q = Mλ

LIQUEFAZIONE DEI GAS – TEMPERATURA E PRESSIONE CRITICA

I gas possono essere liquefatti comprimendoli a temperatura opportuna. All’aumentare della temperatura aumenta l’energia cinetica delle particelle e diventa sempre più difficile liquefare un gas. Per ogni sostanza esiste una temperatura al di sopra della quale il gas non può essere liquefatto, qualsiasi sia la pressione imposta. Tale temperatura è detta temperatura critica e la pressione alla quale si riesce a portare il gas vicino alla liquefazione è detta pressione critica. Per H2O la TCR è pari a 647,6 K; PCR = 217,7 atm. Per la CO2, TCR = 304,3K e PCR = 73,0 atm. Si consideri per la CO2 il processo di liquefazione. Nel diagramma PV riportato di seguito, se abbiamo un gas nelle condizioni del punto A ed eseguiamo una compressione isoterma a 30,5°C seguiremo il tratto di isoterma AB corrispondente alla compressione di un gas reale. Aumentando la pressione fino a 71,8 atm si porta a condensazione il gas e si entra nella campana liquido – vapore, dove si verifica liquefazione a T e P costanti, fino a completamento nel punto C. L’ulteriore aumento di pressione non comporta evidenti riduzioni di volume del liquido. Al di sopra della TCR = 31,01°C, qualunque

TRATTO : AB Calore sensibile riscaldamento

del ghiaccio da –25°C a 0°C∆H

AB = Mc

p∆T=18.2,09.25=

=0,94 KJTRATTO : BC Calore latente di fusione a T =

=cost= 0°C∆H

BC = Mλ

∆HBC

= (1mol)(6,01)==6,01 KJ

TRATTO : CD Calore sensibile riscaldamento

acqua da 0°C →100°C∆H

CD = Mc

p∆T=18.4,18.100=

=7,52 KJ

TRATTO : DE

Calore latente di evaporazione ∆H

DE = 1.40,67=40,67 KJ

TRATTO : EF

Calore sensibile riscaldamentovapor d’acqua da 100°C→125°C∆H

EF = Mc

p∆T=18.1,84.25=

=0,83 KJ

E

F

D

B C

-25

100

125

T(°C)

A Qp (KJ)4816

Ghiaccio calore sensibile

ghiaccio → acquacalore latente

AcquaCalore

sensibile

acqua → vaporecalore latente

vaporecalore

sensibile

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sia la pressione a cui si porta il gas reale, non si entra più nella campana liquido – vapore e non si può liquefare il vapore. Per temperature abbastanza superiori della TCR il gas reale si comporta come un gas ideale e l’isoterma sul diagramma PV diviene un ramo di iperbole.

Isoterme nel diagramma P-V della CO2.

Quando una sostanza è al di sopra della TCR si comporta come un gas, ma se aumentiamo moltissimo la pressione, la sua densità può avvicinarsi molto a quella di un liquido. In tali condizioni di FLUIDO SUPERCRITICO, la sostanza può comportarsi come un solvente e, in quanto tale, disciogliere altre sostanze. Su queste basi si basano molti processi di estrazione con solventi supercritici, come ad esempio, l’estrazione della caffeina dai chicchi di caffè e l’estrazione della nicotina dal tabacco mediante impiego di CO2 supercritico. Dato che il potere solvente del fluido supercritico aumenta/diminuisce all’aumentare/diminuire della sua densità, per separare e recuperare il solvente CO2 dall’estratto, basterà diminuire la sua pressione o aumentare la sua temperatura.

EQUILIBRIO LIQUIDO – VAPORE E TENSIONE DI VAPORESupponiamo di riempire parzialmente un contenitore chiuso, in cui è stato fatto il vuoto, con una certa quantità di etanolo liquido. Subito l’etanolo inizierà ad evaporare e la pressione esercitata dal vapore nello spazio sopra al liquido a crescere. Dopo un certo tempo la pressione si stabilizzerà ad un valore costante; la pressione di vapore in equilibrio con il suo liquido (vapore saturo) è detta TENSIONE DI VAPORE e ogni temperatura ha un valore diverso da sostanza a sostanza.

La tensione di vapore di una sostanza può essere interpretata a livello molecolare. Nel liquido, come nel gas, le molecole hanno una certa distribuzione di velocità ed una certa frazione di particelle avrà l’energia cinetica sufficiente a distaccarsi dalla superficie libera del liquido ed entrare in fase di vapore. Al crescere delle particelle in fase di vapore, si raggiungeranno pressioni sempre maggiori, ed aumenterà progressivamente anche il numero di molecole in fase vapore che in virtù del loro moto colpiranno la superficie liquida e torneranno in fase liquida (condensazione). Quando questi due processi contrapposti si bilanciano, cioè quando il numero di particelle che si liberano dal liquido nell’unità di tempo è uguale al numero di molecole gassose che rientrano in fase liquida nell’unità di tempo, si realizza un EQUILIBRIO DINAMICO, la pressione del vapore è stabile nel tempo (tensione di vapore).

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Inclinazione =

logP

1/T

Figura in alto: Spiegazione microscopica della pressione di vapore.Figura in basso: Frazione di particelle della superficie del liquido con un’energia cinetica sufficiente a passare in fase gassosa.

Naturalmente, quando l’evaporazione ha luogo in un contenitore aperto, questo equilibrio dinamico non può stabilirsi e la sostanza liquida evapora del tutto. Vi sono sostanze che evaporano più velocemente di altre. Ad esempio, la benzina ha una tensione di vapore più alta di quella dell’acqua ed evapora più velocemente (è cioè più volatile). La tendenza all’evaporazione è molto legata alla temperatura, dato che all’aumentare di quest’ultima aumenta l’energia cinetica delle molecole e quindi la tendenza a sfuggire dlla superficie del liquido. La relazione tra tensione di vapore e temperatura è espressa dall’equazione di CLAUSIUS-CLAPEYRON.

Dove vH∆ =entalpia di evaporazione. Questa relazione ci dice che riportando in un grafico LogP e 1/T , si ritrova una relazione lineare e quindi una retta di

inclinazione RH v

303,2∆−

. In pratica,

conoscendo due punti sperimentali, cioè la tensione di vapore di una sostanza a due diverse temperature, possiamo tracciarci la retta e determinare così il valore di vH∆ dalla sua inclinazione, così come le tensioni di vapore ad altre temperature.

Quando la tensione di vapore di un liquido raggiunge la pressione esterna che agisce sulla sua superficie, si sviluppano bolle di vapore all’interno del liquido e si raggiunge l’ebollizione. La temperatura di ebollizione di un liquido ad 1 atm di pressione (pressione ambiente si dice PUNTO DI EBOLLIZIONE NORMALE. Si può quindi dire che l’EBOLLIZIONE è il passaggio

CRT

HP v +∆−=303,2

log

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tumultuoso di un liquido o vapore che interessa tutta la massa del liquido. Si definisce CALORE LATENTE DI VAPORIZZAZIONE e l’energia richiesta per la trasformazione in vapore di una massa unitaria di liquido.Esistono diversi equilibri dinamici tra gli stati di aggregazione della materia. In condizioni opportune di T e P si può verificare l’equilibrio tra un solido e il suo liquido, anche in presenza dello stato vapore. Un diagramma di stato riassume per via grafica le condizioni di equilibrio tra i diversi stati della materia, così come predice in quale fase quella sostanza risulta stabile ad una certa T e P. Nel diagramma qualitativo a fianco si osserva :

1. La linea A – B è la curva della tensione di vapore del liquido e rappresenta l’equilibrio liquido – vapore. Alla P = 1 atm si legge la temperatura di ebollizione normale della sostanza. Questa curva finisce al PUNTO CRITICO (B) , dove si legge TCR e PCR. Ad di là di questo punto le fasi liquida e gassosa diventano indistinguibili.2. La linea AC rappresenta la variazione della pressione di vapore del solido come sublimazione

alle varie temperature.3. La linea A – D rappresenta la variazione del punto di fusione del solido al variare della

pressione. La temperatura di fusione (identica in valore alla temperatura di solidificazione) ad 1 atm è detta PUNTO DI FUSIONE NORMALE.

4. Il punto A dove si intersecano le tre curve è detto PUNTO TRIPLO, in cui tutte e 3 le fasi sono in equilibrio per quel set di temperatura e pressione. Gli altri punti sulle curve rappresentano invece l’equilibrio tra 2 sole fasi. Gli altri punti del diagramma corrispondono a condizioni nelle quali esiste stabilmente una sola fase.

Si riporta a titolo di esempio il diagramma di stato nell’acqua (non in scala). Il punto triplo dell’acqua, O, (4,58 mm Hg, 001°C) e il punto critico, D, (218 atm, 374,1°C) risultano particolarmente importanti, ed è bene ricordarli a memoria.

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Diagramma di stato dell’acqua in cui sono indicati il punto triplo e il punto critico.

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LE SOLUZIONI E LORO PROPRIETA’

Come già detto in precedenza, la maggior parte delle sostanze che ci circondano non sono sostanze pure ma miscugli di più sostanze. Molte di questi sono miscugli omogenee, cioè i loro componenti sono dispersi uniformemente a livello molecolare, e in tal caso si chiamano soluzioni.Le soluzioni possono essere liquide, gassose o solide. Il componente presente in maggior quantità viene di norma chiamato solvente e gli altri componenti soluti.Le soluzioni gassose sono costituite da due o più gas o vapori diffusi uno nell’altro . Considerata la loro perfetta miscibilità, un sistema costituito da due o più gas costituisce sempre una soluzione (p. es. l’aria). Le soluzioni liquide sono costituite da un gas, un liquido o un solido disciolti in un liquido. Le soluzioni più comuni sono liquido – liquido e solido - liquido (esempio di quest’ultima sono le SOLUZIONI ACQUOSE dove il solvente è l’acqua).

Stato della soluzione Stato del solvente Stato del soluto Esempio

GAS GAS GAS ARIA

LIQUIDO LIQUIDO GAS Ossigeno in acquaSol. Gas - liquido

LIQUIDO LIQUIDO LIQUIDO Alcool in acquaSol. Liquido - liquido

LIQUIDO LIQUIDO SOLIDO Sale in acquaSol. Solido - liquido

SOLIDO SOLIDO GAS Idrogeno nell’acciaioSol. Gas - solido

SOLIDO SOLIDO SOLIDO Cromo nel ferroSol. Solido - solido

Le soluzioni solide sono costituite da un gas o un solido disciolto in un altro.Ci occuperemo in modo specifico delle SOLUZIONI LIQUIDE.

Modi per esprimere la concentrazione di una soluzione liquida.

• PERCENTO IN PESO = Massa del componente in soluzione X 100 Massa totale della soluzione

• PARTI PER MILIONE (ppm) = Massa del componente in soluzione X 106

Massa totale della soluzione

Si usa per soluzioni molto diluite e corrisponde a mg comp Kg soluz.

• FRAZIONE MOLARE DEL COMP. = moli del componente(si indica con X comp) moli totali dei componenti

• MOLARITA’ (M) = moli di soluto Litri di soluzione

• MOLALITA’ (m) = moli di soluto Kg. di solvente

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Per soluzioni acquose diluite il valore numerico di M – m sono pressochè uguali, perchè 1Kg di soluzione acquosa ha un volume di ∼ 1L. Tuttavia la molalità, contrariamente alla molarità, non cambia con la temperatura e questo fa comodo in certe applicazioni.

• NORMALITA’ (N) = Equivalenti di solutoLitro di soluzione

Un EQUIVALENTE è definito a seconda del tipo di reazione che stiamo esaminando. Per una reazione acido – base, un equivalente di un acido è la quantità che fornisce 1 mole di H+; un equivalente di una base è la quantità che reagisce con una mole di H+.In una reazione di ossido – riduzione, un equivalente è la quantità di sostanza che prende o perde una mole di elettroni.

Reazioni Equivalente – Massa

REAGENTE PRODOTTO Tipo reazione Massa di 1 mole di reagente

Massa 1 di equivalente di reagente (g)

H2SO4 SO=4 Acido (2H+) 98.0 98/2 = 49,0

Al (OH)3 Al3+ Base (30H-) 78.0 78/3 = 26,0

KMnO4 Mn2+ Riduzione (5 e-) 158,0 158/5 = 31,6

KMnO4 MnO2 Riduzione (3 e-) 158,0 158/3 = 52,7

Na2C2O4 CO2 Ossidazione (2 e-) 134,0 134/2 = 67,0

NOTA. Un equivalente del reagente A reagisce sempre con un equivalente del reagente B. (per ciascun tipo di reazione).Per esempio, nella tabella H2SO4 reagisce come acido a formare ioni SO=

4 perdendo 2 ioni H+. Quindi, 1 mole di H2SO4 (98g) saranno 2 equivalenti in una reazione acido – base. Se 1 mole di H2SO4 è sciolta in abbastanza acqua da formare 1 L di soluzione, si può esprimere la sua concentrazione sia come 1M o come 2N

ML

mole 11

1 = NL

iequivalent 21

2 =

La normalità è sempre un multiplo intero della molarità. In una reazione acido base questo multiplo intero è il numero di H+ e OH- disponibili nella formula chimica della sostanza. Nelle reazioni REDOX è il numero di elettroni acquistati o ceduti da una unità di formula della sostanza.

IL PROCESSO DI PASSAGGIO IN SOLUZIONE

Si è visto che le sostanze nello stato liquido e nello stato solido sono soggette a forze intermolecolari che le tengono assieme. Anche tra particelle di soluto e solvente esistono tali forze attrattive. Come regola generale, ci si può attendere che si formino delle soluzioni quando l’entità delle forze attrattive soluto-solvente siano comparabili a quelle che esistono tra le stesse particelle di soluto e tra le stesse particelle di solvente. Ad esempio, la sostanza ionica NaCl si scioglie bene in acqua a causa dell’interazione attrattiva tra gli ioni e le molecole polari dell’acqua. Nella figura

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riportata si mostrano le interazioni tra le molecole di H2O e gli ioni Na+ e Cl- di un cristallo di NaCl. Gli ioni, una volta separati dal cristallo e passati in soluzione, si SOLVATANO (quando il solvente è H2O si dice che si IDRATANO), circondandosi di molecole polari di acqua opportunamente orientate.

Esempio dell’idratazione degli ioni Na+ e Cl-, in seguito al passaggio in soluzione del cloruro di sodio.

Questo accade perché le molecole di acqua esercitano un’attrazione su Na+ e Cl- tale da vincere le forze di attrazione di questi due ioni nel cristallo solido di NaCl. Questo esempio suggerisce che bisogna considerare, per il processo di passaggio in soluzione, tre interazioni attrattive:

1. Interazioni soluto- soluto2. Interazioni solvente-solvente3. Interazioni soluto- solvente

La variazione di entalpia associata al costituirsi di una soluzione (AH sol) risulterà dalla somma delle variazioni di entalpia di ciascuno di questi processi

321 HHHH sol ∆+∆+∆=∆

Il ∆Hsol potrà essere maggiore/minore di 0 (endotermica/esotermica) a seconda che il valore di ∆H3

sia minore/maggiore di ∆H1 + ∆H2 . Ad esempio, quando NaOH solido viene aggiunto all’acqua, dà luogo ad una reazione molto esotermica ∆Hsol = - 44,48 KJ/mol. Al contrario, quando si scioglie il NH4NO3 solido in acqua si ha una reazione endotermica con ∆Hsol = +26,4 KJ/mol. Tuttavia, se la reazione di passaggio in soluzione è troppo endotermica, la soluzione non si forma. Il ∆H3 deve essere di valore comparabile a ∆H1 + ∆H2 . Per questo motivo la sostanza ionica NaCl non si discioglie nella benzina (sostanza non polare), in quanto le molecole di idrocarburo non polari possono esercitare solo deboli forze di attrazione con gli ioni Na+ e Cl- , non capaci di compensare le energie richieste per separare tra loro gli ioni stessi. Allo stesso modo, l’acqua come liquido polare, non riesce a sciogliere liquidi non polari come CCl4, in quanto le molecole d’acqua sono tenute assieme da legami idrogeno relativamente forti e questi

endotermica

endotermica

esotermica

89

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dovrebbero essere vinti per disperdere le molecole di H2O nel liquido non polare. Tuttavia il valore e segno di ∆Hsol non è l’unico fattore da considerare nello stabilire la spontaneità della formazione di una soluzione. Vi sono infatti casi in cui il valore di ∆Hsol è veramente molto piccolo, come nel caso del miscelamento di due sostanze non polari come CCl4 ed esano C6H14 , dove si formano rapidamente soluzioni anche se i legami intermolecolari coinvolti sono deboli interazioni di LONDON. Questo accade perché nel formare una soluzione di due composti, aumenta il grado di disordine del sistema e questa circostanza come si vedrà meglio in seguito è indice di spontaneità del processo. Naturalmente, se vi sono forze intermolecolari sufficientemente forti da impedire il movimento delle molecole oppure barrire fisiche di qualunque genere, il processo, anche se comporta un aumento del disordine del sistema, non avrà luogo. Infine, è importante puntualizzare che nello stabilire le condizioni di spontaneità di una reazione di qualsiasi genere interviene sia un fattore energetico e un fattore di disordine (entropico).

SOLUZIONI SATURE E SOLUBILITA’

Man mano che un soluto solido si scioglie in un solvente, la concentrazione delle particelle di soluto nella soluzione aumenta, e aumenta anche la probabilità che alcune particelle di soluto collidano contro la superficie del solido e rientrino a farne parte (CRISTALLIZZAZIONE). Quando una soluzione raggiunge l’equilibrio in presenza di soluto indisciolto si dice essere SATURA, cioè non è possibile sciogliere altro soluto. Si instaura in tali condizioni un equilibrio dinamico (vedi figura):

La quantità di soluto necessaria a raggiungere la saturazione è detta SOLUBILITA’ di quel soluto in quel dato solvente. Per le soluzioni solido – liquide si può definire come la quantità del soluto (espressa in grammi) che si scioglie in 100 g di solvente per dare una soluzione satura. In una soluzione diluita, la quantità di soluto è assai inferiore rispetto al limite di saturazione, mentre in una soluzione concentrata la quantità di soluto è di poco inferiore rispetto al limite di saturazione.

SOLUTO + SOLVENTE SOLUZIONEdissolvimento

cristallizzazione

90

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FATTORI CHE INFLUENZANO LA SOLUBILITA’

SOLUBILITA’ DEI GAS NEI LIQUIDI1. Interazioni soluto-solvente

Si consideri la solubilità dei gas nell’acqua. Si può osservare come questa aumenti al crescere della massa molecolare.

Solubilità (M)N2 6,9x 10-4

CO 1,04x 10-3

O2 1,38x 10-3

Ar 1,50x 10-3

Kr 2,79x 10-3

Questo possiamo capirlo considerando che le interazioni soluto-solvente sono sempre del tipo forze di London, che crescono al crescere delle dimensioni e quindi della massa delle molecole del gas. Vi sono alcuni gas come il Cl2 in acqua che mostra solubilità molto maggiori di quelle di gas simili in massa molecolare. In questi casi vuol dire che intervengono vere e proprie REAZIONI CHIMICHE tra soluto e solvente. I liquidi polari tendono a sciogliersi facilmente nei solventi polari. Quando due liquidi si sciolgono in tutte le proporzioni sono detti MISCIBILI altrimenti PARZIALMENTE MISCIBILI; quando non si sciolgono affatto sono detti IMMISCIBILI. Si può generalizzare dicendo che: le sostanze con forze attrattive molecolari simili tendono ad essere solubili una nell’altra.

2. Effetto della pressione La solubilità di un gas in un solvente aumenta all’aumentare della pressione parziale del gas sul solvente. Per contro, la solubilità dei solidi e dei liquidi non varia apprezzabilmente con la pressione. Tale influenza per un gas si può interpretare facilmente in termini dei diversi equilibri dinamici che si stabiliscono tra le molecole di gas soluto e molecole di gas in fase gassosa al variare della pressione parziale del gas. La relazione tra pressione parziale del gas Pg e solubilità del gas nella fase soluzione Cg è nota come LEGGE DI HENRY: Cg = K Pg

dove K = costante di Henry, il cui valore numerico differisce per ciascuna coppia soluto-solvente. Questa relazione indica che la solubilità di un gas in un liquido è direttamente proporzionale alla sua pressione parziale nella fase gassosa. Ad esempio, la solubilità di N2 in H2O a 25°C è pari a 5,3 x 10-4 M in corrispondenza di una pressione parziale di N2 nell’aria di 0,79 atm. La costante di Henry per N2 in H2O è pari a: K = Pg

Cg

K = atm

molatmmol

.10.8,6

78,0/10.3,5 4

4

−−

=

Se si raddoppia la pressione parziale di N2 , la legge di Henry predice valori di solubilità doppi.

a) b)

91

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NOTA: l’effetto della pressione sulla solubilità è sfruttata dagli imbottigliatori di bevande carbonatate come champagne, birra, ecc. Queste bevande vengono imbottigliate imponendo una pressione di CO2 leggermente superiore a 1 atm. Quando si aprono le bottiglie all’aria la pressione parziale di CO2 sopra il liquido diminuisce e si sviluppano bolle di gas nella soluzione.

3. Effetto della temperatura La solubilità dei gas nei liquidi in genere diminuisce all’aumentare della temperatura, vedi la figura seguente. (questa è la ragione dell’inquinamento termico dei laghi e dei corsi d’acqua: l’acqua calda si concentra sulla superficie essendo meno densa e impedisce il rifornimento di O2 negli strati più profondi, comportando problemi seri per la sopravvivenza delle specie acquatiche e dei pesci).

Solubilità di alcuni gas in acqua in funzione della temperatura. Le solubilità sono espresse in millimoli per litro di soluzione, e si riferiscono ad una pressione della

fase gassosa pari a 1 atm.

Al contrario, la temperatura fa aumentare la solubilità di molte specie ioniche in acqua, come mostrato in figura.

Solubilità di alcune specie ioniche in acqua.

92

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PROPRIETA’ COLLIGATIVE

Alcune proprietà fisiche delle soluzioni differiscono sensibilmente da quelle del solvente puro. Ad esempio, l’acqua pura solidifica a 0°C, mentre le soluzioni acquose a temperature minori. Il glicol propilenico viene aggiunto all’acqua del radiatore della macchina come antigelo, poiché abbassa il punto di congelamento della soluzione; l’aggiunta di glicol innalza anche la Teb delle soluzioni rispetto a quella dell’acqua pura.Questi sono alcuni esempi di proprietà fisiche che dipendono dalla concentrazione e non dal tipo delle particelle di soluto. Tali proprietà si dicono PROPRIETA’ COLLIGATIVE. Oltre agli esempi citati si ricordano la riduzione della tensione di vapore e la PRESSIONE OSMOTICA.

1. Abbassamento della tensione di vapore Si è detto in precedenza che la tensione di vapore che si instaura sopra un liquido è il risultato di un equilibrio dinamico: la velocità alla quale le molecole lasciano la superficie del liquido per passare in fase vapore uguaglia la velocità alla quale le molecole gassose ritornano alla superficie del liquido

Pertanto, l’aggiunta di un soluto non volatile nel liquido ridurrà la capacità di delle molecole di solvente di muoversi dalla fase liquida alla fase gassosa; allo stesso tempo, non si ridurrà la velocità alla quale le molecole di solvente dalla fase gassosa tornano alla fase liquida. Si assiste quindi ad una riduzione della tensione di vapore della soluzione rispetto alla tensione di vapore del solvente puro. Ad esempio, se mettessimo in un contenitore sigillato due beaker, uno con acqua pura e l’altro con una soluzione di zucchero, dopo un certo tempo osserveremmo il totale passaggio del solvente acqua nel beaker contenete la soluzione di zucchero.

LEGGE DI RAOULT

La legge di Raoult esprime quantitativamente la tensione di vapore di soluzioni contenenti soluti non volatili

PA = XAPAo

dove PA = tensione di vapore della soluzione, PAo = tension e di vapore del solvente e XA =

frazione molare del solvente. (moli solvente ) moli solv. + moli sol

Ad esempio, la tensione di vapore dell’acqua a 20°C è 17,5 mm Hg. Si supponga adesso di aggiungere glucosio C6H12O6 all’acqua, mantenendo costante la temperatura, fino a raggiungere

20,06126

=OHCX . La tensione di vapore dell’acqua diventa

solvente

soluto non volatile

93

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PA = XAPAo = 0,8.17,5 mm Hg =14 mm Hg

La riduzione di tensione di vapore ( ) oABA

oA

oAA

oAA PXXPPXPP =−=−=∆ 1 (XA +XB = 1)

Nel nostro esempio 20,06126

=OHCX →∆PA = 0,2.17,5 mm Hg = 3,5 mm HgLe soluzioni che seguono la legge di Raoult sono dette SOLUZIONI IDEALI. Le soluzioni reali si avvicinano molto al comportamento ideale quando sono diluite e quando il soluto e il solvente sono vicini in dimensioni molecolari e simili nella forza e tipo di attrazioni molecolare.

2. Innalzamento della temperatura di ebollizione Si è visto in precedenza che la pressione di vapore di un liquido cresce al crescere della temperatura. Il liquido bollirà quando la sua tensione di vapore uguaglierà il valore della pressione esterna agente sulla sua superficie . Dato che i soluti non volatili abbassano la tensione di vapore della soluzione, sarà necessario incrementare la temperatura per portare a ebollizione la soluzione. La figura riportata mostra come si modifica la curva della tensione di vapore dell’acqua pura in funzione della temperatura (linea a tratto piena descritta dal diagramma di stato dell’H2O), quando nell’acqua vengono disciolte piccole, successive quantità di soluto (linee tratteggiate)L’innalzamento della Teb (∆Teb) è direttamente proporzionale al numero di particelle di soluto per mole di molecole di solvente. Sappiamo che la molalità, m, esprime il numero di moli di soluto per 1000g di solvente(che rappresenta un numero fisso di moli di solvente), quindi ∆Teb

∝ m secondo relazione la: ∆Teb = Kb dove Kb è detta COSTANTE EBULLIOSCOPICA, caratteristica di ciascun solvente, il cui valore si può determinare dalla relazione :

evs

ebeb Hn

RTtK∆

==.

cos2

dove Teb = temperatura di ebollizione del solvente puro in gradi Kelvin, R = costante univrsale dei gas perfetti, ns = numero di moli di solvente contenute in 1000 g di solvente, ∆Hev = entalpia di evaporazione.

Pressione di vapore in funzione della temperatura per un solvente puro e per una soluzione dello stesso solvente con un soluto non volatile. E’ mostrata la variazione della temepartura di ebollizione, ∆Tb, e quella della temperatura di congelamento, ∆Tf (vedi dopo).

94

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In tabella sono mostrati i valori delle costanti crioscopica ed ebulliocopica di alcuni solventi.

SPECIE CHIMICA Tfus

K∆Hfus

kJ.mol-1Kcr

K.mol-1KgTeboll

K∆Hev

kJ.mol-1Keb

K.mol-1KgAcqua H2O 273,15 6,02 1,86 373,15 40,67 0,51

Solfuro di carbonio CS2 161,16 4,28 3,83 318,16 27,33 2,34Acido acetico H3CCOOH 289,76 11,21 3,74 391,66 24,31 3,15

Cloroformio CHCl3 209,66 9,34 4,67 334,36 29,50 3,76Benzene C6H6 278,66 10,28 4,90 353,26 31,99 2,53

Nitrobenzene C6H5NO2 278,86 11,34 7,02 483,96 45,75 5,24Fenolo C6H5OH 316,16 10,56 7,40 455,16 45,48 3,56Cicloesano C6H12 279,66 2,73 20,0 354,16 31,40 2,79

Come si può leggere dalla tabella, la Keb per l’acqua è pari a 0,51 KgmolK. pertanto una

soluzione 1m in soluto non volatile bollirà a 0,51° C in più della Teb dell’acqua pura.

31 Abbassamento della temperatura di congelamento Il punto di congelamento corrisponde ad una temperatura alla quale la pressione di vapore delle fasi liquida e solida sono uguali. La temperatura di congelamento di una soluzione si abbassa perché normalmente il soluto non è solubile nella fase solida del solvente (quando si congela una soluzione acquosa, il solido che si separa è praticamente ghiaccio puro). Tuttavia, se il soluto non è volatile, la pressione di vapore della soluzione si riduce in ragione della frazione molare di soluto, mentre la tensione di vapore del solido rimane praticamente inalterata. Questo implica che la temperatura alla quale le due pressioni si eguaglieranno sarà più bassa. Anche in questo caso ∆Tf ∝ m (molalità) e quindi ∆Tf = Kf .m con Kf = costante crioscopica e Tf = temperatura di fusione del solvente puro in gradi K. Vale la relazione:

fs

ff Hn

RTK

∆=

.

2

I valori di Kf per alcuni solventi sono riportati nella tabella precedente.

4. Osmosi e Pressione osmotica

Certi materiali, comprese molte membrane in sistemi biologici e sostanze sintetiche come il cellophane, sono SEMIPERMEABILI. Cioè, quando in contatto con una soluzione, permettono il passaggio di alcune molecole, ma non di altre. Alcune membrane permettono il passaggio delle piccole molecole di solvente, ma bloccando il passaggio delle molecole più grandi di soluto o quello degli ioni. Questa semipermeabilità è dovuta ad un reticolo di piccolissimi pori all’interno della membrana. Si supponga di disporre a separazione di due soluzioni di diversa concentrazione una membrana che permetta solo il passaggio delle molecole di solvente. Le molecole di solvente possono attraversare la membrana in entrambe le direzioni, ma essendo la concentrazione di solvente maggiore nella soluzione meno concentrata in soluto, si verificherà ad un maggior passaggio di molecole di solvente dalla soluzione meno concentrata in soluto a quella più concentrata in soluto. Questo processo è chiamato OSMOSI.E’ importante ricordare che il FLUSSO NETTO DI SOLVENTE E’ SEMPRE VERSO LA SOLUZIONE PIU’ CONCENTRATA.Supponiamo di avere solvente puro e una soluzione a concentrazione Co separati da una membrana semipermeabile come in figura. Se lasciamo evolvere il sistema, il passaggio di

95

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solvente verso la soluzione creerà un dislivello a cui corrisponde in pratica una differenza di pressione ∆P. Per contro, possiamo applicare una pressione sulla superficie della soluzione in modo da impedire il flusso di solvente.

La pressione necessaria a prevenire l’osmosi è detta PRESSIONE OSMOTICA, π, della soluzione. Sperimentalmente si verifica che la pressione osmotica segue una legge simile formalmente alla legge dei gas perfetti

πV = nRT dove V = volume della soluzione, R = costante dei gas, T = temperatura in gradi Kelvin.Si può scrivere

MRTRTVn =

=π dove M = molarità della soluzione

• Due soluzioni ad uguale concentrazione si dicono ISOTONICHE• Una soluzione con minore pressione osmotica si dice IPOTONICA• Una soluzione con maggiore pressione osmotica si dice IPERTONICA

Proprietà colligative delle soluzioni di elettroliti

Si è detto che le proprietà colligative delle soluzioni dipendono dalla CONCENTRAZIONE TOTALE delle particelle di soluto, senza distinguere tra ioni o molecole. Si possono verificare scostamenti sensibili. Per esempio, ci aspetteremmo che una soluzione 0,1 m di NaCl mostrasse un abbassamento crioscopico di 0,2.1,86 = 0,372 °C, dato che in soluzione ci sarà 0,1 m di Na+ e 0,1 m di Cl- . In realtà per una tale soluzione si misura ∆Tcr = 0,348 °C , cioè un effetto minore rispetto all’atteso. Tale situazione si verifica anche per altri elettroliti forti quando in concentrazione sensibile . Le differenze rilevate sono dovute alle forze di attrazione tra gli ioni. Durante il loro moto, gli ioni di carica opposta collidono

+ −

+

Na + C

l-

+

+

coppia ionica

Na+

+

+

+

+

Cl-+

+

+

96

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e “si incollano ” tra loro per brevi momenti. Mentre sono insieme, i due ioni si comportano come se fossero una singola particella, formando COPPIE IONICHE. In tal modo si riduce il numero di particelle indipendenti presenti nella soluzione e quindi si riduce l’effetto in termini di proprietà colligative (∆Teb , ∆Tcr , π).Una misura dell’entità effettiva della DISSOCIAZIONE DI UN ELETTROLITA è il FATTORE di VAN’T HOFF, i , che esprime il rapporto tra il valore attuale di una proprietà colligativa e il valore calcolato assumendo che la sostanza sia un non-elettrolita, cioè indissociato nella soluzione. Ad esempio

aelettrolitnonunpercalcolatotmisuratot

if

f

∆∆

=

Il valore ideale di i può essere determinato per un sale semplicemente osservando il numero di ioni per formula unitaria. Per esempio, per NaCl iideale = 2 , per K2SO4 iideale = 3 (2 K+ + 1 SO4

-).Nella tabella si mostrano i fattori di Van’t Hoff osservati per sostanze differenti a diluizioni differenti

Composto Concentrazione 0,100 m 0,010 m 0,001 m valore limite

1,00 1,00 1,00 1,00NaCl 1,87 1,94 1,97 2,00

K2SO4 2,32 2,70 2,84 3,00MgSO4 1,21 1,53 1,82 2,00

Si osservano chiaramente due trend:• Quanto più la soluzione è diluita, più il valore di i si avvicina al valore ideale;• Più bassa è la carica degli ioni, minore è la scostamento dal valore di i ideale, quindi meno sensibile è il fenomeno di formazione di coppie ioniche in soluzione.Entrambi questi andamenti sono congruenti con le forze agenti di natura elettrostatica: la forza d’interazione tra le particelle cariche decresce quando la loro separazione aumenta e come la loro carica diminuisce.

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EQULIBRIO CHIMICO

Una reazione chimica sui dice COMPLETA quando i reagenti si trasformano completamente in prodotti. Per esempio la reazione

Zn + H2SO4 + H2 Si svolge fino all’esaurimento di uno dei due reagenti (o di entrambi se sono in rapporti stechiometrici). Si dice che tale reazione è completamente spostata verso destra, cioè verso i prodotti, o che è IRREVERSIBILE (cioè può avvenire solo in un senso). Esistono tuttavia molte reazioni che in date condizioni sono INCOMPLETE: esse cioè non giungono a completamento perché i prodotti che man mano si formano nella reazione reagiscono tra loro a ridare i prodotti di partenza, sono cioè REAZIONI REVERSIBILI, cioè reazioni che possono avvenire in entrambi i sensi.Si sono già incontrate molte reazioni chimiche in cui si raggiungono dopo un certo tempo delle condizioni di equilibrio, (tensione di vapore, soluzioni sature in presenza di corpo di fondo ecc.) Per una generica reazione .

(diretta) (inversa)

A ← →

vb

vf

B f = forward; b = backward

Si parla di equilibrio chimico quando la reazione diretta (da sinistra verso destra)e la reazione inversa (da destra a sinistra) avvengono CONTEMPORANEAMENTE e con LA STESSA VELOCITA’, cioè nell’unità di tempo la quantità di reagenti che si trasformano in prodotti è uguale alla quantità di prodotti che si trasformano in reagenti.

[ ]AKv ff =

[ ]BKv bb = vf = vb ⇒ [ ][ ] KBA

KK

b

f == (costante a temp. costante)

COSTANTE DI EQUILIBRIO

Quando si raggiungono le condizioni di equilibrio dinamico le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti rimangono costanti nel tempo (condizioni stazionarie).

conc

entra

zion

e

raggiuntol’equilibrio

tempo

[A]

[B]

Kf [A]

Kb [B]

velo

cità

tempo

raggiuntol’equilibrio

98

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Per una generica reazione aA +bB ← →

cC + dD

in condizioni di equilibrio [ ] [ ][ ] [ ]ba

dc

BADCK = = COSTANTE DI EQUILIBRIO

Questa espressione esprime la LEGGE DELL’EQUILIBRIO CHIMICO o LEGGE DELLE MASSE:“ In un equilibrio chimico, il rapporto fra il prodotto dei valori delle concentrazioni delle specie formate nella reazione e l’analogo prodotto della specie di partenza ancora presenti, ciascuna concentrazione elevata ad una potenza uguale al relativo coefficiente stechiometrico, è costante a temperatura costante”.Per le reazioni che avvengono in soluzione, si impiegano le concentrazioni espresse come molarità e per le reazioni in fase gassosa le pressioni parziali

aA +bB → cC + dD [ ] [ ][ ] [ ]ba

dc

c BADCK = b

Ba

A

dD

cC

p PPPPK..=

Per convertire il valore della costante di equlibrio da concentrazioni a pressioni parziali

MRTRTVnP =

= ( ) n

Cp RTKK ∆= ∆n = (c+d) – (a+b)

dove ∆n = variazione del numero di moli di gas andando dai reagenti ai prodotti (ad esempio per H2

(g) + I2 (g) → 2 HI (g) ∆n = 2 – (1 + 1) = 0)

NOTA: le espressioni riportate per Kc e Kp sono valide per applicazioni numeriche. In realtà tutte le costanti di equilibrio sono adimensionali.

EQUILIBRI OMOGENEI ED ETEROGENEI

Molti equilibri importanti a livello industriale coinvolgono sostanze tutte nella stessa fase. Questi equilibri si dicono OMOGENEI. Tuttavia, vi sono equilibri che si stabiliscono tra sostanze in fasi diverse; in questo caso si parla di equilibri ETEROGENEI. Ad esempioCaCO3 (s) CaO(s) + CO2 (g)

Per questo equilibrio [ ][ ]

[ ]3

2

CaCOCOCaOK =

Tuttavia, essendo per una sostanza liquida o solida la concentrazione pari alla densità diviso la massa molare

3

3

//

cmmol

molgcmg

Mdensità ==

ed essendo la densità variabile con la temperatura[ ] [ ]2

2 3tancos2tancos

1tancosCOte

teCOte

K ==

[ ]2' 3tancos COteKK ==

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Nell’espressione della costante si possono ignorare i solidi ed i liquidi, poiché si incorporano le loro concentrazioni costanti nel valore della costante di equilibrio. L’equilibrio

CaCO3(s) ↔ CaO(s)+ CO2(g)

che porterà sempre alla stessa concentrazione di CO2, fintanto che esistono tutte e tre le specie e qualsiasi siano le quantità relative di CaO e CaCO3 presenti . Se uno di questi tre componenti viene a mancare, non si può raggiungere un tale equilibrio.

Le applicazioni delle costanti di equilibrio sono essenzialmente:

1. Predizione della direzione di reazioneSupponiamo di considerare l’equilibrio a 472 °C ⇒ N2 (g) + 3H2 (g) 2NH3 (g)

Per questa reazione si conosce Kc =0,105 alla temperatura di 472 °C. Supponiamo quindi di avere delle concentrazioni iniziali

[NH3] = 2M [N2] = 1M [H2] = 2MVogliamo sapere se, partendo da tali condizioni, la reazione procede e in quale senso. Si calcola il quoziente di reazione Q che è formalmente analogo alla Kc ma con le concentrazioni iniziali di reagenti e prodotti.

[ ][ ] [ ] === 5,0

1.223

2

23

2

23

NHNH

Q

Essendo Kc = 0,105 < Q allora vuol dire che le sostanze a destra della reazione chimica reagiranno per formare le sostanze quelle poste a sinistra → cioè la reazione si svolge da destra verso sinistra per raggiungere le condizioni di equilibrio. Il contrario accade se fosse risultato Kc

> Q. Se Kc = Q allora siamo già all’equilibrio.

2. Calcolo delle concentrazioni all’equilibrio

Per calcolare le concentrazioni che si stabiliranno una volta raggiunto l’equilibrio, si tabulano le concentrazioni iniziali, le variazioni di tali concentrazioni e le concentrazioni finali di equilibrio. Di norma si usa l’espressione della costante di equilibrio per ricavare un’equazione con un’incognita da risolvere (vedi esercizi).

FATTORI CHE INFLUENZANO L’EQUILIBRIO: PRINCIPIO DI LE CHATELIER o DELL’EQUILIBRIO MOBILE

“Se un sistema in equilibrio viene variato con un cambio di TEMPERATURA, PRESSIONE, o CONCENTRAZIONE di uno dei componenti, il sistema reagirà modificando la sua posizione di equilibrio in modo da contrastare per quanto possibile l’effetto del disturbo imposto”.

1. CASO - Variazione delle concentrazioni dei reagenti o dei prodotti. Se un sistema chimico è all’equilibrio e noi aggiungiamo una sostanza (sia un reagente o un prodotto), la reazione si muoverà in modo da stabilire un nuovo equilibrio consumando parte della sostanza aggiunta. Per contro, la rimozione di una sostanza comporterà lo spostamento della reazione nella direzione di reazione in cui si forma più di quella sostanza.Per esempio per la reazione N2 (g) + 3H2 (g) 2NH3 (g)

100

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supposta all’equilibrio, l’aggiunta di un reagente come H2 provoca lo spostamento verso destra della reazione, quindi un consumo di almeno parte della quantità di H2 aggiunta e quindi formazione di una maggiore quantità NH3

Parimenti, se allontaniamo dall’equilibrio il prodotto NH3(g), per esempio liquefacendolo, la reazione si sposterebbe verso destra nel tentativo di formare più NH3(g).

2. CASO. Effetti di variazione di pressione e volume

Se un sistema è all’equilibrio e la pressione totale viene aumentata per l’applicazione di una maggiore pressione esterna, il sistema reagirà spostando l’equilibrio nella direzione che in cui si contiene tale aumento di pressione. Per cui, se il sistema e gassoso nel complesso o in parte, l’equilibrio si sposterà nella direzione che riduce il numero di moli di gas. Per contro, abbassando la pressione mediante un aumento di volume, si causerà uno spostamento nella direzione in cui si producono molecole di gas.Ad esempio, la reazione N2(g) + 3H2(g) 2NH3 (g) per cui ∆n = 2- (1+3) = -2 (diminuzione del numero di moli) sarà favorita da un aumento della pressione, poichè è una reazione che avviene con diminuzione del numero di moli passando dai reagenti ai prodotti. Se una reazione con presenza di fase gassosa avviene senza variazione del numero di moli passando dai reagenti ai prodotti, allora non sarà influenzata da una variazione di pressione

3. CASO. Effetto di una variazione di temperaturaSi può facilmente prevedere tale effetto considerando le reazioni esotermiche (∆H<O) ed endotermiche (∆H>O) scritte come:

ENDOTERMICHE : Reagenti + CALORE Prodotti

ESOTERMICHE : Reagenti CALORE + Prodotti

e trattare il calore come fosse un reagente o un prodotto. Quindi, se viene introdotto calore in un sistema che è all’equilibrio, e l’equilibrio si sposterà in modo da assorbire calore. Pertanto una reazione endotermica verrà favorita da un incremento di temperatura e una reazione esotermica verrà sfavorita (spostamento da destra verso sinistra). Tali influenze si esercitano, in questo caso, tramite una variazione nel valore di K eq.

conc

entra

zion

e

equilibrio iniziale nuovo equilibrioH

2

NH3

N2

aggiunta H2

101

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ENDOTERMICHE: T ⇒ K ESOTERMICHE: T ⇒ K ↓

Si può dimostrare che la dipendenza K (T) è espressa tramite la relazione

2

lnRTH

dTKd o

P ∆= EQUAZIONE DI VAN’T HOFF

dove ∆H° = Entalpia standard di reazione Integrando nell’intervallo di temperature tra T1 e T2 e considerando la Kp

∫ ∫∆=2

1

2

12lnP

P

K

K

T

TP dtRT

HKd Nota:supponendo che tra T1 e T2 ∆H=cost

−∆=

−∆=

12

12

211

2 11lnTTTT

RH

TTRH

KK

P

P

Questa relazione consente:1. Noti i valori dell’entalpia Kp1 e Kp2 alle temperature T1 e T2, di calcolare l’entalpia di reazione ∆H;2. Noti i valori dell’entalpia di reazione e della costante di equilibrio ad una certa temperatura (ad es. Kp1 a T1), di calcolare la costante di equilibrio Kp2 ad un’altra temperatura (T2)

EFFETTO DEI CATALIZZATORIUn catalizzatore cambia la velocità con cui si raggiunge l’equilibrio ma non cambia il valore della costante di equilibrio.Con riferimento alla figura a fianco vf e vb sono accelerate con l’intervento del catalizzatore ma sempre in eguale misura.

Ea(f)

reagenti

catalizzata

Ea(b)

prodotti

non catalizz

vb

Vf

102

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ACIDI e BASI EQUILIBRI IONICI IN SOLUZIONE

I chimici hanno da sempre cercato di correlare le proprietà degli acidi e delle basi alla loro composizione e struttura molecolare.

L’acido cloridrico gassoso è così solubile in acqua perché reagisce con questa a formare idrogeno idrato e ioni cloruro idrati.

H Cl (g) H2O H+(aq)+Cl-

(aq)

NOTA. In realtà in soluzione acquosa esiste lo ione H+ idrato (H+ H2O H3O+)

Nel proseguo si può impiegare anche H+(aq) per semplicità. Tuttavia, è importante ricordare che una

soluzione acida viene a formarsi attraverso una reazione chimica in cui un acido trasferisce un protone (H+) all’acqua.BRONSTED per primo riconobbe che il comportamento acido – base di una sostanza poteva essere dovuto alla sua capacità di trasferire protoni. Bronsten propose che: “ Un acido può essere definito come una sostanza capace di donare un protone e una base come una sostanza capace di accettare un protone”.Quindi, quando l’HCl gassoso si scioglie in acqua, si comporta da acido, donando un protone all’H2O; l’H2O contemporaneamente si comporta da base accettando un protone

H+ + : O..

H

H

→ OH

..

H

H

+

H

HOHCl +

acidobase

Cl +

H HH

O

+

103

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Il concetto di sostanza acido – base di Bronsted è ben più generalizzato rispetto alla definizione data da Arrhenius, in quanto può essere applicato anche a reazioni che avvengono in fase vapore e non soltanto a quelle in fase liquida. In ogni equilibrio acido-base, sia la reazione in avanti che quella in senso inverso coinvolgono un trasferimento di protoni.

)aq()aq(4)l(2)aq(3 OHNHOHNH −+ +↔+

Verso destra l’H2O cede un protone all’NH3, per cui l’H2O è l’acido e l’NH3 è la base. In direzione inversa l’NH4

+ dona un protone all’OH-, per cui l’NH4+ è acido e l’OH- è base. Si delineano quindi

delle coppie acido-base coniugate:

acido base coniugata

)aq()aq(4)l(2)aq(3 OHNHOHNH −+ +↔+

base acido coniugato

La “forza” di una sostanza acida sarà proporzionale a quanto più fsaacilmente quella sostanza tenderà a cedere un protone. Tale forza potrà essere grande solo nel acaso in cui la sua base coniugata sarà debole, cioè sarà bassa la sua tendenza ad accettare protoni. In altre parole, un acido sarà un acido forte solo se la sua base coniugata è una base debole.

Scala di “forza” di alcuni acidi e basi di uso comune.

104

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DISSOCIAZIONE dell’H2O e scala del pHL’acqua ha un comportamento ANFOTERO, cioè può comportarsi sia come acido che come base.L’acqua può agire sia da un donatore che da accettare di protoni verso se stessa, secondo un meccanismo di autoionizzazione:

Scrivendo l’equilibrio con H+(aq) invece che con H3O+

(aq)

la cui costante di equilibrio è [ ][ ]

[ ]OHOHHK2

−+

=

essendo [ ]OH 2 molto grande e ≈ cost per soluzioni diluite

[ ] [ ] [ ] )25(10.0,1cos 142 CatOHHKOHK W °==== −−+

Questa importante costante di equilibrio si chiama prodotto ionico dell’acqua.

• Una soluzione acquosa per cui [ ] [ ] 710−−+ == OHH si dice NEUTRA• Una soluzione acquosa per cui [ ] [ ]−+ > OHH è ACIDA• Una soluzione acquosa per cui [ ] [ ]−+ < OHH è BASICA

Il pH di una soluzione indica la concentrazione [ ]+H espressa come il negativo del logaritmo in base 10 della concentrazione molare di H+

[ ]

>

=

<

⇒−= +

BASICAsoluzionepHNEUTRALEsoluzionepHACIDAsoluzionepH

HpH7

7

7

log

L’insieme dei valori di ph, compresi naturalmente tra o e 14 costituisce la scala del pH.

pKw = pH + pOH = 14

H O :..

H

→← OH

..

H

H

+ H O :..

H

+

+ : O ..

..H

-

←→2H

2O

(l) H

3O+

(aq) + OH-

(aq)

H2O

(l)

→← H+

(aq) + OH-

(aq)

105

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CALCOLO DEL pH DI UNA SOLUZIONE DI ACIDO FORTE

Gli acidi forti sono quegli acidi completamente dissociati in H2O. In realtà di acidi forti ce ne sono pochi. I più comuni: HCl, HBr, HI, HNO3, HClO4, H2SO4. Alle normali concentrazioni, questi acidi sono l’unica fonte significativa di ioni H+ e l’H+ proveniente dalla dissociazione dell’H2O può essere trascurata. Per cui, [H+] normalmente coincide con la concentrazione analitica dell’acido. Ad esempio, il pH di una soluzione 0,1 M di HNO3

[ ] [ ][ ] ( )acidodellanaliticaioneconcentrazCCH

pHHHNOM

AA '

11,0 3

==

=⇒==+

+

CALCOLO DEL pH DI UNA SOLUZIONE DI ACIDO DEBOLE

La maggior parte delle sostanze acide sono acidi deboli. L’entità della loro ionizzazione in un mezzo acquoso può essere espressa tramite la costante d’equilibrio per la reazione di ionizzazione

HX (aq) H+(aq) + X-

(aq)

[ ][ ][ ]HX

XHK a

−+

= Ka = constante di dissociazione acida

Partendo da una concentrazione iniziale di acido debole CA, si avrà all’equilibrio

HX ↔ H+ + X-

HX H+ X-

Inizio Ca 0 0Variazione -x +x +xEquilibrio Ca-x X x

xCxxK

aa −

⋅=

ipotizzando che x<<Ca si ha Ca –x ≈ Ca e possiamo scrivere :

a

2a C

xK = da cui aa3 CK]OH[x ⋅== + e aa CKLogpH ⋅−=

Data l’ipotesi introdotta, il risultato è valido se x < 5%Ca.

ESEMPI

Calcolare il pH di ciascuna delle seguenti soluzioni acquose:

1. 0.025M HNO3 HNO3 → H+

(aq) + NO3- (aq) completamente dissociato

[ ] [ ]( ) 60,15,2log210.5,2log

025.02

3

=−=−=

===−

−+

pHMCNOH A

2. 0,824 g di HClO4 in 0,50 l di soluzione

→←

106

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HClO4 → H+(aq) + ClO4

- completamente dissociato

[ ]l

mol

lmole

gg

CH A 0164,05,0.5,100

824,0===+

210.64,1log −−=pH

3. 0,025M di HCl (Ka =3,0.10-8)[ ]

( ) 7,2log510.7,2log

10.7,210.5,2.10.3.5

528

−=−=

===−

−−−+

pH

MCKH aa

L’equilibrio di dissociazione dell’acqua , gli equilibri di dissociazione degli acidi e basi deboli e le proprietà degli elettroliti forti dei sali possono determinare l’instaurarsi in una soluzione di più EQUILIBRI COESISTENTI aventi o uno o più ioni a comune. Esempi di equilibri multipli sono l’IDROLISI SALINA , i SISTEMI TAMPONE e gli EQUILIBRI DI SOLUBILITA’

1. SOLUZIONI ACQUOSE DI SALISi è visto quando un sale si scioglie in acqua , si può assumere che sia completamente in forma dissociata, dato che praticamente tutti i sali sono elettroliti forti. Di conseguenza, le proprietà acido – base dei sali in soluzione dipenderanno dal comportamento dei loro cationi e anioni.Molti ioni sono infatti capaci di reagire con l’acqua e generare H+

(aq) oppure OH-(aq). A queste

reazioni si dà il nome IDROLISI.

++

−−

+⇔+

+⇔+

)()()(2

)()()(2)(

aqaql

aqaqlaq

HYOHOHY

OHHXOHX

Il pH di una soluzione di un sale può essere qualitativamente predetta considerando catione il catione e l’amione che compongono il sale. Un approccio semplice è quello di considerare le forze relative degli acidi e delle basi da cui derivano i sali (in pratica i Ka e Kb):1. Sali provenienti da un acido forte e base forte, come ad esempio Na Cl e Ca(NO3)2 e HNO3.

Essendo tutti acidi e basi forti, sono completamente dissociati in soluzione (Ka - Kb molto grandi) e quindi i relativi cationi e amioni non subiscono idrolisi. Il pH di queste soluzioni è neutro.

2. Sali che provengono da una base forte e da un acido debole (Kb grande, Ka piccolo). Ad esempio Na ClO e CH3COONaClO-

(aq) +H2O(l) ⇔ HClO(aq) + OH-(aq)

CH3COO-(aq) + H2O(l) ⇔ CH3COOH(aq) + OH-

(aq) In questi casi si producono ioni OH- e le soluzioni sono basiche con pH > 7

3. Sali che derivano da una base debole e da un acido forte. Ad esempio NH4Cl e Al(NO3)3 (Ka

grande, Kb piccolo)

( ) ++

++

+⇔+

+⇔+

)()(3)(23

)(

)()(4)(2)(4

33 aqaqlaq

aqaqlaq

HOHAlOHAl

HOHNHOHNH

In questi casi si producono ioni H+ e le soluzioni sono acide con pH < 7

TIPICHE REAZIONI DI IDROLISI

107

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4. Sali che derivano da un acido debole e da una base debole. Ad esempio CH3COONH4. In questi casi entrambi gli ioni idrolizzano

++

−−

+⇔+

+⇔+

)()(4)(2)(4

)()(3)(2)(3

aqaqlaq

aqaqlaq

HOHNHOHNH

OHCOOHCHOHCOOCH

In questi casi si possono confrontare i valori delle costanti di equilibrio Ka e Kb se Ka < Kb → idrolisi basica e pH > 7se Ka > Kb → idrolisi acida e pH < 7

CALCOLO DEL pH DI IDROLISI

SALE → ACIDO DEBOLE / BASE FORTE [ ] ia

W CKKOH =−

NOTA: Ci è facilmente desumibile dalla concentrazione del sale (ad esempio per NaCN Ci = Csale; per Ba(CN)2 Ci = 2Csale)

SALE → ACIDO FORTE / BASE DEBOLE [ ] ib

W CKKH =+

SALE → ACIDO DEBOLE / BASE DEBOLE [ ]b

aW K

KKH =+

Consideriamo per esempio il caso di un sale che proviene da un acido debole e da una base forte (ad. Esempio NaClO, CH3COONa, ecc.). Vogliamo calcolare il pH di una soluzione di CH3COONa di concentrazione Cs.

In soluzione acquosa il sale è completamente disciolto nei suoi ioni (in quanto è un elettrolita forte):−+ +→ )aq(3)aq(3 COOCHNaCOONaCH

Lo ione Na+ non subisce idrolisi poiché proviene da una base forte completamente dissociata. Infatti se subisse idrolisi si avrebbe:

++ +→+ HNaOHOHNa 2 ,

ma l’NaOH è completamente dissociato per cui:OHNaHOHNaNaOHH 2+=++→+ ++−++ ,

cioè siamo tornati al punto di partenza. Lo ione Na+ non subisce idrolisi, in pratica, perché la sua base coniugata NaOH (Bronsted) è una base forte.Per contro lo ione CH3COO- subisce idrolisi secondo la seguente reazione:

−− +→+ )aq()aq(3)l(2)aq(3 OHCOOHCHOHCOOCHin quanto l’acido coniugato CH3COOH è un acido debole (Ka = 1,8·10-5). In pratica, lo ione

CH3COO- in soluzione acquosa deve necessariamente stabilire un equilibrio anche con la forma indissociata dell’acido per rispettare l’equilibrio regolato dalla costante acida Ka. L’equilibrio di idrolisi prima scritto è regolato dalla costante di idrolisi Ki:

]COOCH[]OH][COOHCH[

K3

3i −

−= .

Moltiplicando e dividendo per [H3O+] si ottiene:

108

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a

w

33

33i K

K]OH][COOCH[

]OH][OH][COOHCH[K == +−

+−.

Per determinare [OH-], e quindi il pH della soluzione, si risolve l’equilibrio sempre allo stesso modo:

CH3COOH CH3COO- H+

Inizio 0 Cs 0Variazione +x -x +xEquilibrio x Cs-x x

E si ha quindi:

a

w

si K

KxC

xxK =−

⋅= .

Supponendo che x<<Cs, si ottiene:

sa

w

sa

w CKK

]OH[xC

xxKK

==⇒⋅= − .

L’assunzione fatta (x<<Cs) si ritiene valida se x<5%Cs. Altrimenti si torna indietro e si risolve senza approssimazioni l’equazione di secondo grado.

SOLUZIONI TAMPONE

Le soluzioni tampone sono soluzioni acquose di opportune specie chimiche in grado di minimizzare l’effetto sul pH di moderate aggiunte di acidi o basi forti. Le soluzioni tampone sono in genere costituite da un acido debole e da un sale di tale acido con base forte, oppure da una base debole e un sale di tale base con acido forte. L’azione TAMPONE del sistema è determinata dalla presenza di una coppia coniugata acido – base: la forma acida capace di neutralizzare le piccole aggiunte di una base e la forma basica capace di neutralizzare le piccole aggiunte di sale.

Ad esempio CH3COOH + CH3COONa 1oppure NH4OH + NH4Cl 2

Una soluzione ha proprietà tamponanti se è costituita da una acido debole e dalla sua base coniugata (o viceversa da una base debole e dal suo acido coniugato), in concentrazioni tra loro uguali o poco diverse; i valori di queste concentrazioni vanno scelti secondo criteri che vengono indicati nel seguito.Riportiamo un esempio che mostri il meccanismo mediante il quale una soluzione tampone mantiene praticamente costante il valore del suo pH per aggiunta di acidi o di basi.Calcoliamo le variazioni di pH che si hanno per aggiunta di 10-3 mol di HCl a (1) 1 l di acqua o a (2) 1 l di soluzione acquosa contenente una concentrazione di acido acetico, CH3COOH, 0,1 M e una concentrazione di ioni CH3COO- pari a 0,1 M.

Caso 1.L’acqua pura ha pH = 7. Dopo aggiunta di 10-3 mol di HCl si ha [H+] = 10-3 ⇒ pH = 3.La variazione di pH è pertanto pari a 4.

109

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Caso 2.Il pH della soluzione prima dell’aggiunta dell’HCl si calcola dalla reazione d’equilibrio:

)l(2)aq(3)aq()aq(3 OHCOOCHOHCOOHCH +→+ −− ,sapendo che la costante acida dell’acido acetico vale 1,8·10-5:

745.4pH108,11,01,0108,1]H[ 55 =⇒⋅=⋅= −−+

L’aggiunta dell’acido sposta l’equilibrio della reazione verso la formazione di acido acetico, e lo farà fino a che l’eccesso di ioni H+ derivanti dall’HCl non sarà esaurito.Si ha quindi una diminuzione della concentrazione di ioni CH3COO- di 0,001 ed un contemporaneo aumento di concentrazione dell’acido acetico della stessa quantità. Per cui si ha:

735.4pH1084,1001,01,0001,01,0108,1]H[ 55 =⇒⋅=

−+⋅= −−+

La variazione di pH è ora solo di 0,01.

L’aggiunta di 10-3 mol di HCl ha provocato una diminuzione di pH pari a 4 in 1 litro di acqua pura, e di 0,01 in un volume uguale della soluzione di CH3COOH/CH3COO- considerata. Quest’ultima è quindi una soluzione tampone.

Il pH di una soluzione tampone si calcola:

caso 1 [ ]s

aa C

CKOH =+3

a

ia C

CpKpH log+=

caso 2 [ ]s

bb C

CKOH =−

b

ib C

CpKpH log+=

Nota. Ci è la concentrazione dello ione che in quella soluzione proviene dal sale e che subisce idrolisi salina. Pertanto, nella soluzione tampone

HCN+NaCN → Ci = Cs; nella soluzione tamponeHCN+Ba (CN)2 → Ci = 2Cs

EQUILIBRI DI SOLUBILITA’DI SALI POCO SOLUBILI

Affinchè esista un equilibrio tra una sostanza solida ed una sua soluzione, la soluzione deve essere satura e in contatto con del solido indisciolto. Per esempio, in una soluzione satura di Ba SO4 in contatto con Ba SO4 solido, l’equilibrio si può scrivere come:

Il solido è un composto ionico e quindi è un elettrolita. Pertanto, tutto quello che si scioglie è completamente dissociato in soluzione, formando cationi e anioni idratati.Come è detto in precedenza a proposito degli equilibri eterogenei, la concentrazione del solido è costante, per cui si potrà scrivere

[ ][ ] tSOBaK ps cos4 == −−++

Dove Kps = prodotto di solubilità del sale.

BaSO4(s)

Ba2+(aq)

+SO4

2-(aq)

110

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Le regole per scrivere l’espressione del Kps in sale sono le stesse prima viste per l’espressione delle costanti di equilibrio.

Solubilità e Kps

Il Kps ci dice quale dev’essere il valore del prodotto degli ioni componenti il composto, ciascuno elevato al suo coefficiente, quando si raggiunge l’equilibrio di saturazione. La solubilità di una sostanza è invece la quantità che so discioglie per formare una soluzione satura. Mentre la solubilità di una sostanza può variare in funzione ad esempio della presenza di altri soluti (la solubilità di Mg(OH)2 varia in funzione del pH), il Kps ha un solo valore per una data sostanza ad una data temperatura. Naturalmente è possibile dalla conoscenza della solubrità risalire al valore di Kps e viceversa.

ESERCIZIO: Il Kps per CaF2 è 3,9x10-11 e 25°. Qual è la sensibilità del CaF2 in H2O in g/L ?

Per 1 mol CaF2 che si scioglie si formano

+

Fmol

Camol

2

1 2

. Indicando con x la solubilità in L

mol del

CaF2 [ ]

[ ]

=

=→

+

xF

xCa

2

2

MxxxK ps4112 10.1,210.9,3)2..( −− =→==

La massa di CaF2 che si scioglie in acqua in 1L di soluzione sarà:

solLCaFg 224 10.6,11,78.10.1,2 −− = con 78,1 = massa molare.

Effetto a ione comuneSe a una soluzione di bromuro d’argento AgBrsi aggiunge ad esempio del bromuro di potassio KBr

avente lo ione Br- a comune con AgBr, la concentrazione [ Br- ] aumenta e l’equilibrio AgBr(s) ↔ Ag+

(aq) + Br-(aq), si sposta a sinistra. Pertanto, l’aggiunta di uno ione a come alla soluzione

satura di un elettrolita poco solubile, DIMINUISCE la sua solubilità.

CaF2(S)

Ca2+(aq)

+ 2F-(aq)

111

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CINETICA CHIMICA

La cinetica chimica è un’area della chimica che si occupa della VELOCITA’ e dei MECCANISMI con cui si svolgono le reazioni chimiche. I fattori che maggiormente influenzano la velocità di una reazione chimica sono:1. CONCENTRAZIONE DEI REAGENTI : la maggior parte delle reazioni chimiche procedono più velocemente se si aumenta la concentrazione di uno o più reagenti;2. TEMPERATURA alla quale procede la reazione: la velocità di reazione aumenta all’aumentare della temperatura;3. PRESENZA DI UN CATALIZZATORE : la velocità di reazione può spesso essere aumentata aggiungendo sostanze chiamate catalizzatori. Queste sono sostanze che svolgono tale azione senza essere consumate nella reazione;4. AREA SUPERFICIALE DEI REAGENTI SOLIDI O LIQUIDI O DEI CATALIZZATORI : le reazioni che coinvolgono solidi spesso procedono più velocemente se si aumenta l’area superficiale dello stesso.

VELOCITA’ DI REAZIONE

La velocità con cui procede una reazione chimica si può esprimere come la variazione nella concentrazione di un reagente o di un prodotto in un certo arco di tempo. Le unità sono di norma molarità al secondo (M/s). Per una reazione del tipo A→B avremo quindi

velocità media = [ ] [ ]

tB

tA

∆∆=

∆∆−

velocità istantanea = [ ] [ ]

dtBd

dtAd =−

I valori numerici della velocità di una reazione si acquisiscono per VIA SPERIMENTALE. Si può sempre esprimere la velocità di una reazione in termini di SCOMPARSA dei reagenti o COMPARSA dei prodotti. Naturalmente i coefficienti stechiometrici della reazione diranno in quali rapporti essi sono. Ad esempio

2A→B + C [ ] [ ] [ ]

tC

tB

tA

∆∆+

∆∆=

∆∆− 22

Supponiamo di considerare una generica reazione e di avere acquisito sperimentalmente l’andamento nel tempo delle concentrazioni di un reagente. Si osserva che la velocità istantanea, data dai valori delle tangenti lungo la curva sperimentale, decresce nel tempo, cioè al diminuire della concentrazione del reagente e quindi all’aumentare della concentrazione dei prodotti della reazione.

[A]

tempo

t*velocità istantanea

al tempo t*

112

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In generale, la velocità di una reazione aumenta all’aumentare della concentrazione dei reagenti. Un modo per studiare l’effetto della concentrazione sulla velocità di reazione è quello di determinare in che modo questa dipende dalla concentrazione iniziale. Per esempio, per la reazione

)(2)(2)(2)(4 2 OHNNONH gaqaq +→+ −+

si ottengono i seguenti dati per via sperimentale

[ ] INNO −2

(M)[ ] INNH +

4

(M)velocità reazione iniziale

(M/s)0,200 0,0100 5,4.10-7

0,200 0,0200 10,8.10-7

0,200 0,0400 21,5.10-7

0,200 0,0600 32,3.10-7

0,0202 0,200 10,8.10-7

0,0404 0,200 21,6.10-7

0,0606 0,200 32,4.10-7

0,0808 0,200 43,3.10-7

Questi dati mostrano che variando la [ ]+4NH oppure la [ ]−

2NO cambia la velocità di reazione.

Inoltre, raddoppiando [ ]−2NO con [ ]+

4NH = cost, raddoppia la velocità. Se quadruplica [ ]−2NO a

[ ]+4NH = cost la velocità quadruplica. Le stesse osservazioni si ripetono variando [ ]+

4NH e mantenendo costante [ ]−

2NO . Pertanto, tale proporzionalità può esprimersi scrivendo:VELOCITA’ = K [ ]+

4NH [ ]−2NO

dove K = COSTANTE CINETICA della reazione, dipendente dalla reazione in oggetto e dalla temperatura.Scopo delle misure delle concentrazioni dei reagenti in funzione del tempo è di giungere all’espressione della velocità di reazione in funzione delle concentrazioni, perché è questo il punto di partenza per giungere alla conoscenza del MECCANISMO DI REAZIONE, come si vedrà in seguito.L’espressione della velocità di reazione ha come forma generale

VELOCITA’ = K [ ]mreagente 1 [ ] ....2 nreagenteI coefficienti m ed n si chiamano ORDINI DI REAZIONE e la loro somma è l’ORDINE GLOBALE DI RAZIONE.Per la reazione prima riportata, quindi, si dirà che è del primo ordine rispetto a +

4NH (così come a −2NO ) e complessivamente è del secondo ordine.

Le unità della costante di velocità K dipenderanno dall’ordine globale di reazione.

NOTA: per via sperimentale si può rilevare la velocità di reazione e, osservando cosa accade variando la concentrazione iniziale dei reagenti, determinare per ciascuno di essi l’ordine di reazione, giungendo così anche all’ordine di reazione globale. Solo a volte, i coefficienti m e n coincidono con i coefficienti stechiometrici della reazione. Questo accade perché le reazioni chimiche avvengono spesso con un meccanismo a due o più stadi successivi ed è la velocità dello stadio più lento quella che determina la velocità globale della reazione.

113

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L’espressione della velocità di reazione ci dice come essa varia al variare della concentrazione dei reagenti. Tale espressione può essere convertita in equazioni che permettono di stabilire quale sia la concentrazione dei reagenti o dei prodotti ad un certo istante nel corso della reazione. Tale conversione è qui mostrata per reazioni del primo ordine e del secondo ordine complessivo.

REAZIONI DEL PRIMO ORDINEAd esempio A → prodotti

Velocità = v = [ ] [ ]AKtA =

∆∆− [ ] ttKA t cosln +=−

Indicando con [ ] oA la concentrazione di A, nota, al tempo t = 0 si ha

[ ] [ ][ ] [ ] [ ]ot

o

to A

tKAtK

AAtA log

303,2log

303,2logcosln +−=⇒−=⇒=−

In un diagramma log[A]-t, tale relazione è lineare ed è quindi rappresentata da una retta di

inclinazione 303,2K− .

REAZIONI DEL SECONDO ORDINE

Ad esempio: 2A→prodotti

Velocità = v =[ ] [ ] 2AKtA =

∆∆− da cui si deriva [ ] [ ] ot A

tKA

11 +=

In un diagramma [ ]A1

-t tale relazione è lineare ed è rappresentata da una retta di inclinazione pari a

K.

NOTA IMPORTANTE: l’ordine di una reazione non può essere stabilito in base alla sua equazione chimica, ma solo mediante misure di velocità di reazione.

VELOCITA’ DI REAZIONE E TEMPERATURA

La velocità della maggior parte delle reazioni chimiche CRESCE all’aumentare della temperatura. Nell’espressione della velocità di reazione la costante cinetica è tale ad una certa temperatura, ma varia fortemente al variare di quest’ultima (T↑ →K↑).Ci si possono porre le seguenti domande:• se una reazione è energeticamente favorita, che cosa le impedisce di avvenire immediatamente?• perché la temperatura ha un effetto così marcato sulla velocità delle reazioni chimiche?Per rispondere a queste domande bisogna introdurre il concetto di ENERGIA DI ATTIVAZIONE.Sappiamo dalla teoria cinetica dei gas che l’energia cinetica media delle molecole di gas cresce al crescere della temperatura. Pertanto, se al crescere della temperatura cresce anche la velocità di reazione, vuol dire che energia cinetica media delle molecole e velocità di reazione sono correlate. Nel 1888 ARRHENIUS suggerì che le molecole devono possedere una certa quantità minima di energia cinetica per poter reagire tra loro.

114

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Traiettoria percorsa

dal baricentro

La situazione è simile a quella rappresentata in figura. Se vogliamo far cadere la lastra dalla posizione 1 alla posizione 2, a cui corrisponde un contenuto di energia potenziale U minore, sebbene tale trasformazione è energeticamente favorevole, occorre una certa quantità di energia (lavoro) per innescare il processo che procede poi spontaneo.Per esempio nella reazione di conversione di metil-isonitrile ad acetonitrile (reazione del primo ordine)

H3C − N ≡ C : → H3C − C ≡ N :

si può immaginare di passare attraverso uno stato intermedio in cui la porzione di molecola N ≡ C si dispone lateralmente:

H3C − N ≡ C : → → H3C − C ≡ N :

Sebbene il legame chimico sia più stabile nel prodotto acetonitrile che non nel composto di partenza, si richiede una certa quantità di energia per forzare la molecola in una configurazione relativamente instabile di un composto intermedio, che poi darà luogo al prodotto finale. Arrhenius chiamò la barriera energetica da superare ENERGIA DI ATTIVAZIONE (Ea).Il composto intermedio tra reagenti e prodotti a cui corrisponde un massimo di energia è chiamato COMPLESSO ATTIVATO. Le molecole di gas trasferiscono energia durante le collisioni. Per cui in un certo periodo di tempo, un

certo numero di molecole di isonitrile potrebbero acquisire abbastanza energia da superare la

Mg

h1

h2

F

21

Mg

U = Mgh

U = Mgh1

E

U = Mgh2

H3C • • •

: N

≡ C

:

∆E

H3C − N ≡ C :

Ea

energia

coordinata di reazione

H3C − C ≡ N :

115

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barriera energetica e convertirsi in acetonitrile. Aumentando la temperatura, l’energia cinetica media delle molecole aumenta ed una frazione maggiore di molecole può raggiungere il minimo di energia richiesta per la reazione. Tuttavia, oltre a dover collidere con sufficiente energia, le specie reagenti devono farlo in posizioni relative che risultino favorevoli al formarsi dei nuovi legami. Ne risulta che per la maggior parte delle reazioni, solo una frazione delle collisioni sono efficaci, cioè possiedono sufficiente energia per la reazione, e portano davvero alla formazione dei prodotti. Per esempio, in una miscela di H2 e I2 a P e T ambiente subisce circa 1010 collisioni/secondo. Se fossero tutte efficaci, la reazione procederebbe e finirebbe in meno di 1 secondo. Per contro, solo circa 1 collisione ogni 1013 collisioni ha luogo nell’orientazione favorevole e con energia sufficiente a far formare i prodotti. Se aumentiamo la temperatura, aumenta il numero di collisioni e quindi la frazione di molecole con sufficiente energia per reagire → aumenta la velocità di reazione. Per la reazione tra H2 e I2 , la velocità triplica ogni 10°C di aumento della temperatura.

EQUAZIONE DI ARRHENIUS

Si è prima detto che all’aumentare della temperatura la velocità con cui procede una reazione chimica aumenta. Il fattore che varia nell’espressione della velocità con la temperatura è la costante di velocità K, in accordo con l’EQUAZIONE DI ARRHENIUS

RTaE

eAK−

= .

dove A = fattore di frequenza, che si può assumere come costante con la temperatura (è un fattore correlato alla frequenza delle collisioni e alla probabilità che le collisioni avvengano in posizione favorevoli alla reazione), Ea = energia di attivazione, R = costante dei gas, T = temperatura assoluta.NOTA: Ea diminuisce → K aumentaSi può quindi scrivere, passando ai logaritmi

ARTEK a lnln +−=

frazione di molecole

Energiacinetica

Energia minima

richiesta per la reazione

T minore

T maggiore

116

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In un diagramma lnK1/T tale relazione è lineare ed è rappresentata da una retta di inclinazione

RTaE

− . Quindi, conoscendo la velocità di reazione a due differenti temperature, si può calcolare il

valore di Ea. Se K1 e K2 sono le costanti di velocità alle temperature T1 e T2 si può scrivere

−=

122

1 11lnTTR

EKK a

Conoscendo ad esempio K1 a T1 e Ea, si può calcolare K2 a T2, oppure conoscendo K1 a T1 e K2 a T2, si può calcolare Ea.

CENNI SUI MECCANISMI DI REAZIONE

Una equazione chimica bilanciata indica le sostanze che sono presenti all’inizio della reazione e quelle prodotte al termine della stessa. Tuttavia, l’equazione chimica NON FORNISCE ALCUNA INFORMAZIONE SULLE REALI MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELLA REAZIONE.Lo studio del Meccanismo di Reazione fornisce invece indicazioni dettagliate sull’ordine con cui i legami vengono rotti e poi formati sulle variazioni nelle posizioni relative degli atomi nel corso della reazione.In altre parole, sono pochissime le reazioni che avvengono con un unico atto reattivo tra sostanze reagenti a dare prodotti (in questi rari casi si parla di reazione elementare), mentre alla maggior parte avviene mediante una serie più o meno lunga di atti reattivi, cioè di reazioni intermedie, che lo studio – teorico sperimentale del meccanismo di reazione cerca di individuare.Ad esempio la reazione NO2 + CO (g) → NO(g) + CO2 (g) si è dimostrato avvenire (a T < 225°C) attraverso due reazioni, il cui effetto complessivo è quello descritto dall’equazione chimica riportata sopra:

NO2 (g) + NO2 (g)→ NO3(g) + NO (g)

NO3 (g) + CO (g) → NO2(g) + CO 2(g) ____________________________________________________

2 NO2 (g) + NO3 (g) + CO (g) → NO2(g) + NO3 (g) + NO (g) + CO 2(g)

Le reazioni intermedie che descrivono il meccanismo di reazione sono reazioni elementari. L’NO3

non è nè un reagente nè un prodotto nella razione complessiva e viene chiamato intermedio o complesso attivato.

intermedio di NO3 (g)

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Il numero di molecole che partecipano come reagenti in uno di questi singoli passaggi di reazione definisce la molecolarità della singola reazione di passaggio dei reagenti iniziali ai prodotti finali. Le reazioni mono – e bi – molecolari hanno reale possibilità statistica di avvenire, quelle tri – molecolari sono alquanto improbabili. Si ricordi, tuttavia, che ha senso parlare di molecolarità di una reazione, solo nel caso questa sia una reazione elementare. Nel tracciare un certo cammino di reazione attraverso una serie di reazioni intermedie, tutte elementari, si avrà per ciascuna di esse una certà velocità di reazione. La reazione intermedia con la minore velocità di reazione, sarà quella che determinerà la velocità di reazione globale. Tale reazione intermedia costituisce la RESISTENZA CONTROLLANTE della reazione.

CATALISI E CATALIZZATORI

Un catalizzatore è una sostanza che, anche se presente in piccole quantità, fa variare la velocità di una reazione, si ritrova chimicamente inalterata alla fine di essa, non compare nella equazione chimica di reazione e non altera il valore della costante di equilibrio. Ad esempio, se si scioglie un cubetto di zucchero in H2O a 37°C, questo si scioglie ma non si ossida e, volendo, potremmo recuperarlo essenzialmente inalterato anche dopo diversi giorni. Se invece lo ingeriamo, questo sarà subito ossidato secondo la reazione:

C12H22O11 (aq) + 12 O2(aq) → 12 CO2 (aq) + 11 H2O

L’incremento notevole di velocità di reazione è dovuta alla presenza nel sistema biochimico del nostro organismo di catalizzatori chiamati enzimi, cioè molecole proteiche che catalizzano specifiche reazioni biochimiche.E’ importante osservare che la presenza di un catalizzatore fa aumentare la velocità di reazione grazie ad una diminuzione dell’energia di attivazione necessaria all’ingresso del processo. Ciò è dovuto al fatto che il catalizzatore fa svolgere la reazione per una via diversa, cioè con reazioni intermedie diverse, per le quali è richiesta un’energia di attivazione minore. Quando il catalizzatore agisce nel senso di rallentare una certa reazione chimica, si dice invece INIBITORE.

CATALISI OMOGENEAUn catalizzatore presente nella stessa fase dei componenti della reazione è un catalizzatore omogeneo.Per esempio, la decomposizione del perossido di idrogeno in soluzione acquosa

2 H2O2(aq) → 2 H2O(l) + O2 (g)

è una reazione estremamente lenta, senza la presenza di un catalizzatore.Il Br2, anch’esso presente in soluzione acquosa, può catalizzare e quindi aumentare notevolmente la velocità di reazione

)(2)(2)()(22)(

)(2)()()(22)(2

222

22

OHBrHOHBr

OHBrOHBr

aqaqaqaq

gaqaqaqaq

+→++

++→++−

+−

118

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Affinché queste reazioni intermedie risultino un cammino catalitico per decomposizioni dell’H2O2, occorre che entrambe abbiano una energia di attivazione sensibilmente minore della reazione non catalizzata.

CATALISI ETEROGENEA

Un catalizzatore eterogeneo esiste in una fase diversa da quella delle molecole reagenti. Ad esempio, una reazione tra molecole in fase gassosa può essere catalizzata da un ossido metallico finemente suddiviso. La reazione in questo caso ha luogo molto velocemente sulla superficie del catalizzatore solido. Dato che questo avviene comunemente con catalizzatori solidi (metalli o ossidi metallici), industrialmente si preparano in modo da avere grandi superfici specifiche.L’atto iniziale nella catalisi eterogenea è normalmente l’adsorbimento delle specie reagenti. L’adsorbimento si riferisce al legame delle molecole su una superficie; ha luogo perchè gli atomi o ioni superficiali sono molto reattivi e quindi in grado di concentrare le specie reagenti sulla superficie, stabilendo forze di attrazione tipo forze di Van Der Waals (adsorbimento fisico, relativamente debole) o forze dell’ordine di grandezza dei legami chimici veri e propri (chemioadsorbimento).In realtà, non tutti gli atomi o ioni della superficie sono attivi, poichè possono esserci varie impurezze che bloccano molti siti potenziali di reazione e quindi bloccare il procedere della reazione. I siti su cui le molecole reagenti possono adsorbirsi si dicono centri attivi. Il numero di siti attivi per quantità unitaria di catalizzatore dipendono dalla natura dello stesso, dal metodo di preparazione e dal suo trattamento prima dell’uso.I reagenti adsorbiti sulla superficie del catalizzatore, vengono a trovarsi in concentrazione maggiore che nella fase gassosa, e già questo è un fattore di incremento della velocità di reazione. Inoltre formano con gli atomi o ioni dei centri attivi dei COMPLESSI ATTIVATI che richiedono energie di attivazione minori di quella richiesta dai complessi attivati attraverso cui procederebbe la reazione non catalizzata.

ESEMPIO : CONVERTITORI CATALITICILe marmitte catalitiche delle nostre automobili sono impiegate per ridurre l’inquinamento atmosferico causato dai gas di scarico. Tra le sostanze nocive che vanno a costituire lo smog si ricordano il monossido di carbonio CO, monossido e diossido di azoto NO, NO2 e vari idrocarburi

2H2O

2 + Br

2

2Br2

−+H2O

2+2H++O

2 2H2O+O

2+Br

2

catalizzata

non catalizzata

Energia

cammino di reazione

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incombusti. Le marmitte catalitiche svolgono la funzione di rimuovere tali sostanze prima che vengano scaricate nell’atmosfera mediante

OHCOO

22

2

(CxHy) iidrocarbur CO, +→

NO, NO2 → N2

Queste due diverse funzioni richiedono l’uso di due differenti catalizzatori, capaci di buone efficienze a temperature molto differenti e capaci di essere attivi anche in presenza di veleni del catalizzatore, provenienti dai numerosi additivi delle benzine. I catalizzatori delle reazioni (1) sono in genere ossidi di metalli di transizione e metalli nobili come il platino. Ad esempio, si possono impiegare miscele di due ossidi differenti CuO e Cr2O3. Questi materiali sono supportati da una struttura che favorisce il massimo contatto tra i gas discarico e la superficie del catalizzatore (ad esempio, struttura in alluminio Al2O3 a “nido d’ape”). Questi catalizzatori funzionano adsorbendo ossigeno gassoso comunque presenti nei gas di scarico ; e l’adsorbimento indebolisce il legame O – O nell’O2, rendendo così gli atomi di ossigeno più disponibili per la reazione con CO e con gli idrocarburi incombusti anch’essi adsorbiti. I catalizzatori per la reazione tipo (2) sono ancora ossidi di metalli a transizione e metalli nobili. Tuttavia i catalizzatori più efficienti in una reazione, sono in genere meno efficienti per l’altra. Occorre quindi usare due differenti componenti.L’efficienza ci CO + idrocarburi è molto alta: si riduce del 96% l’emissione di CO + idrocarburi è del 76% quella di NO e NO2.I costi sono comunque elevati (si usa anche Platino) e tali convertitori sono incompatibili con gli additivi per incrementare il numero di ottano del carburante, come il piombo tetraetile Pb (C2H5)4, che avvelena il catalizzatore bloccandone i siti attivi.

1) Ossidazione del CO e degli idrocarburi a CO2 e H2O

2) Riduzione degli ossidi di azoto a N2

120

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COMBUSTIONE

Il termine combustione si riferisce ad una vasta gamma di fenomeni naturali e provocati (incendio di un bosco, l’esplosizione di una miscela gassosa in un motore, ecc.) ed è difficile dare una definizione rigorosa e di validità generale ad un fenomeno così complesso. Si può comunque dire che la combustione è un processo di ossidazione rapido, che avviene con emissione di luce e di calore (fiamma), durante il quale l’energia chimica di degrada in energia termica.Formiamo la seguente terminologia:

1. COMBUSTIBILE: il composto o la miscela di composti (allo stato di gas o di vapore) o il materiale solido, che reagiscono con un gas comburente(di solito ossigeno o una miscela contenente ossigeno);2. COMBURENTE O OSSIDANTE: l’ossigeno o altro gas che reagisce con il combustibile;3. INERTE: un gas che non reagisce né con il combustibile né con l’ossidante;4. FIAMMA: emissione di radiazioni luminose come parte dell’energia sviluppata dalla combustione;5. ESPLOSIONE: combustione nella quale l’intera miscela disponibile reagisce con velocità crescente e con un rapido aumento della pressione. Si distingue in deflagrarazione e detonazione in base all’aumento di pressione, che è di 8 volte la pressione iniziale per la deflagrazione e di oltre 40 volte per la detonazione, nella quale l’onda di pressione precede generalmente il fronte di reazione;6. INNESCO: dispositivo impiegato per fornire l’energia necessaria a dare inizio alla reazione (energia di attivazione);7. ACCENSIONE: inizio della reazione di c. per effetto dell’innesco. Si considerano due tipi di accensione: accensione provocata (da una scarica elettrica, da un filo incandescente ecc.) e autoaccensione (si riscalda l’intera miscela fino a che la reazione ha inizio);8. ESTINZIONE (spegnimento): arresto dell areazione di c. prima che l’intera miscela combustibile abbia reagito.

La grande maggioranza delle c. avvengono in fase gassosa. Quando all’inizio sono presenti solidi o liquidi, il processo complessivo comporta l’evaporazione o decomposizione del solido e del liquido, seguite dalla reazione esotermica in fase gassosa (o in fase vapore) (fa eccezione la combustione del coke):PROCESSI DI COMBUSTIONESottoclassi del fenomeno indicate da R.A. STREHLOV (1968):a) processi omogenei o quasi omogenei come le esplosioni o le reazioni che si svolgono in reattore

tra gas ben miscelati;b) le fiamme di diffusione;c) le fiamme di gas – premiscelate;d) aerodinamica delle fiamme;e) detonazione;f) combustione nei motori;

Da tale classificazione si deduce la complessità dei fenomeni che avvengono durante una combustione.In atmosfera ossidante quasi tutti i composti organici (oltre ai gas combustibili inorganici come H2O ecc.) bruciano se vengono riscaldati al di sopra di una certa temperatura, detta temperatura di ignizione (fenomeno non ancora ben chiarito), con emissione di luce.In generale, le teorie sulla c. si basano su concetti chimico – fisici generali di specie attive (radicali liberi, costituiti da frammenti di molecole attivi o atomi liberi) che agiscono da trasportatori di catena e di reazioni a catena. Tali specie attive costituiscono l’inizio di catena che evidentemente ha

121

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un’origine termica. Si una propagazione di catena per cui altre specie attive si formano a spese delle prime formate, per poi comportare l’ottenimento dei prodotti finali della c.Se si raggiungono condizioni stazionarie per la combustione, si ammette come ipotesi che le concentrazioni di tutte le specie attive presenti siano costanti nel tempo. Se invece si verifica una ramificazione della catena, che consiste in un processo in cui si produce più di una specie attiva, può capitare che la velocità con cui si producono i radicali sia molto superiore a quella di terminazione degli stessi e, in tal caso, può verificarsi l’esplosione. Quando invece per una serie di ragioni, si evita l’accumulo di specie attive trasportatori di catena, si ha combustione regolare.L’andamento di una reazione di combustione dipende molto dalle condizioni di temperatura e pressione, dal rapporto tra i reagenti e dalla eventuale presenza di una terza specie (ad esempio un inerte).

Con riferimento alla figura a fianco (miscela H2 – O2) alla temperatura A–AI un aumento di pressione non modifica le condizioni di combustione lenta fino ad un valore critico P4, oltre il quale si ha l’esplosione. All’aumentare della temperatura, si notano due distinte regioni di c. lenta e c. esplosiva in relazione ad un aumento di pressione. Esaminando la cinetica della stessa reazione in funzione della temperatura, si nota che all’aumentare di quest’ultima, la velocità di reazione prima aumenta, poi diminuisce, quindi aumenta definitivamente. Da questo comportamento si deduce che la reazione avviene a bassa temperatura in modo diverso che ad alta temperatura. La reazione di c., rappresentata dall’eq. chimica semplice 2H2+O2→2H2O, avviene attraverso numerose reazioni intermedie con formazione di specie attive come complessi attivati. Se la temperatura agisce in questo modo anomalo sulla cinetica della reazione, vuol dire che agisce diversamente sulla cinetica di formazione e trasformazione di tali composti attivi, che agiscono come prima detto da trasportatori di catena. Tali composti sono H•, ••

O , OH•

e HOO•. A quest’ultimo, relativamente poco attivo, si attribuisce un’influenza determinante sul comportamento cinetico apparentemente anomalo in funzione della temperatura.

Nel caso della c. di composti più complessi dell’idrogeno, e ancor più nel caso di miscele di più componenti, l’interpretazione dei fenomeni del processo complessivo è assai più difficile, poiché in funzione delle condizioni operative, possono formarsi numerosi e diversi prodotti. Entrano in

A

Al

P4

Lenta

B

Bl

P1

P2

P3

Pres

sion

e

Temperatura

Esplosiva

Miscela O2−

H2

Velo

cità

di r

eazi

one

Temperatura

esplosiva

esplosiva

Miscela O

2−H

2

122

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gioco anche la completezza del processo e la qualità dei prodotti. Così con miscele reagenti povere, con eccessi di carburante rispetto alla quantità stechiometrica, il processo può andare a completezza (con produzione di H2O e CO2); con miscele ricche, cioè con eccesso di combustibile, non solo parte del combustibile non reagisce, ma dopo la c. sono presenti prodotti di ossidazione incompleta.

LIMITI DI INFIAMMABILITA’

L’avvio di una c. in grado di autosostenersi entro un amiscela gassosa richiede quattro condizioni:1. Presenza di un combustibile;2. Disponibilità di ossigeno(libero o combinato);3. Temperatura superiore a una certa soglia;4. Il rapporto tra la quantità di combustibile e quella d’ossigeno sia compreso entro limiti ben

determinati, noti come limiti di infiammabilità.

Il limite inferiore di infiammabilità rappresenta la concentrazione minima del combustibile che consente la formazione di una fiamma in grado in grado di propagarsi a tutta la miscela.Il limite superiore rappresenta la concentrazione massima del combustibile in corrispondenza del quale il comburente è insufficiente per reagire come prima detto.La propagazione della fiamma in una miscela gassosa combustibile è la conseguenza del trasferimento di energia (calore) da uno strato del gas allo stato immediatamente successivo. Se il gas o vapore infiammabile è diluito con eccesso di aria tale che il vapore sviluppato dall’accensione è insufficiente a far salire la temperatura degli stati adiacenti di gas fino al punto di accensione , la fiamma non si propaga e si estingue. Se invece è presente un eccesso di sostanza combustibile (sopra il limite superiore), essa funzionerà da diluente, fino ad impedire la propagazione della fiamma.

I limiti di infiammabilità di un combustibile dipendono dalla temperatura e dalla pressione (e anche dalla direzione nella quale si fa avvenire la combustione ↓ →). La pressione influisce allargando i limiti di infiammabilità (soprattutto innalzando il limite superiore).

Etan

o %

vol

l

8 16 24 32 40 48

8

16

24

32

40

48

N2 diluente % in volume

P atm

18 atm

35 atm

65 atm

Effetto della diluizione con N

2 sulla

infiammabilità dell’etano a differenti

temperature

123

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L’aumento della temperatura aumenta i limiti di infiammabilità.

BILANCIO DI MATERIA ED ENERGETICO

Si possono impostare i bilanci di materia e di energia con gli usuali procedimenti. Tuttavia, non essendo perfettamente note per le miscele complesse di combustibili le esatte composizioni le esatte composizioni chimiche, nel campo della combustione si impiegano procedimenti di calcolo e termini di gergo a se stanti. In luogo della variazione entalpica di reazione ∆H°r si fa riferimento al POTERE CALORIFICO, che corrisponde in pratica al ∆H°r con il segno cambiato e riferito anziché alla mole del combustibile, al Kg o m3 del combustibile. Il potere calorifico è uguale alla somma delle quantità di calore sviluppata nella combustione di ciascun elemento, usando per il carbonio il calore di c. del carbonio amorfo e per lo zolfo il calore di c. del FeS2 a SO2 e Fe2O3.

ELEMENTO Pot. Calorico Pot. Calorifica Kcal/kmol kcal/kgCarbonio 96650 8054Idrogeno(sup) 68318 33928Idrogeno(Inf) 57798 28557Zolfo 70920 2160

Potere calorifico superiore = 8054 C + 33928 H + 2160 S

Il potere calorifico può essere determinato per via calorimetrica o si può calcolare dall’analisi elementare impiegando l’equazione di DULONG riportata in tabella (errore ∼ 3%). Si distingue tra potere calorifico superiore e inferiore nel caso il combustibile contenga idrogeno e acqua; al termine della c. l’acqua può essere raccolta come vapore o come liquido (la differenza è in pratica il calore latente dell’H2O). Tuttavia, dato che nelle c. reali l’acqua non viene condensata, il potere calorifico inferiore dà indicazioni più attendibili del calore che la c. può fornire.

Proprietà di combustioneDei principali costituenti i combusibili

C H S O N

Peso atomico 12,010 1,008 32,06 16,00 14,008

Potere calorifico superiore Kcal/Kg 8054 33928 2160

Aria teorica in peso Kg/Kg comb. 11,48 34,26 4,30

Aria teorica in volume m3 Kg7comb 9,35 27,90 3,51

TEMPERATURA DI COMBUSTIONE

La temperatura raggiungibile teoricamente dai prodotti di c. è un dato di rilevante interesse pratico e dipende dal potere calorifico del combustibile e dalla capacità termica dei prodotti della

124

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combustione. Si definisce temperatura teorica di fiamma la temperatura massima raggiunta da una c. completa, in condizioni adiabatiche (senza cioè dispersione di calore con l’ambiente esterno), con la quantità stechiometrica di aria (o di ossigeno). Tale temperatura è ovviamente più alta nella c. con ossigeno.

LE FIAMMEUna gran parte dei processi di c., realizzata per trasformare l’energia chimica del combustibile in energia meccanica e/o calore, si basa sulle fiamme.Una possibile classificazione delle fiamme:a) se il combustibile e il comburente costituiscono una miscela prima dell’inizio della reazione, si parla di fiamma premiscelata; se invece si mescolano solo al momento della reazione si ha una fiamma di diffusione (vedi figura)b) a seconda del regime di flusso dei gas attraverso la zona di reazione, si possono considerare fiamme laminari e fiamme turbolente.

Un aspetto fondamentale della tecnologia delle fiamme è la STABILIZZAZIONE DELLA FIAMMA, un fenomeno che comporta l’interazione tra una fiamma e una superficie solida sulla quale essa viene per così dire “INCOLLATA”.Teoricamente una fiamma può sempre venire stabilizzata bilanciandone la velocità di propagazione con la velocità di erogazione del gas. In pratica, entrano in gioco numerosi altri fattori che devono venire considerati se non si vuole incorrere in fenomeni di ritorno o di distacco delle fiamme.Le c. vengono realizzate all’interno di camere di combustione, differenti per dimensioni, forma e materiali da costruzione (e anche come principio di funzionamento). Si distinguono tre tipi:1. Per trasmissione diretta del calore sviluppato a materiali presenti nella camera di c. o disposti

lungo il cammino (forni industriali per vetro, cemento, trattamento termico dei metalli);2. per trasmissione indiretta del calore a un gas o liquido, per il trattamento di una parete (di solito

un sistema di tubazioni). Ad. es. caldaie per acqua calda, generazione di vapore ecc;3. per produrre energia meccanica utilizzando la spinta dei gas di combustione sotto pressione e ad

alta temperatura. Ad es. i motori alternativi, a ciclo otto e ciclo diesel e le turbine a gas.

Altezza di fiamma

Prodotticombustione

ProdottiCombustione

+combustione

comburente

combustibile

Fiamma di diffusione

fiamma di diffusione con l’aria

miscela gas combustibile-aria

Fiamma premiscelata

comburente

fronte di fiamma

cono interno

125

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CONTROLLO DELLA COMBUSTIONE

Un’accurata regolazione del rapporto aria-combustibile è indispensabile per conseguire il massimo rendimento delle combustioni. Assume quindi grande importanza l’analisi dei gas di combustione (apparecchio di ORSAT), specie per quanto riguarda i componenti CO2, CO, e O2. Da questi dati, nota la composizione chimica del combustibile, si può stabilire l’eccesso d’aria più appropriato all’applicazione specifica.

126

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TERMODINAMICA CHIMICA

Nei lezioni precedenti si sono date risposte a due quesiti importanti:1. Qual è la velocità con cui procede una reazione chimica?2. Quanto vicino si riesce ad andare alla completezza della reazione?

La risposta alla prima domanda è stato lo studio della velocità di reazione, e la risposta alla seconda domanda è stata la conoscenza della costante di equilibrio.Si è visto che le velocità di reazione sono principalmente controllate dall’energia, in questo caso l’energia di attivazione. Inoltre, è stato introdotto il concetto di equilibrio chimico da un punto di vista cinetico: si è detto infatti che l’equilibrio si raggiunge quando le due opposte velocità di reazione si uguagliano. Essendo le velocità di reazione legate intimamente all’energia, appare evidente che anche l’equilibrio chimico lo sia.La termodinamica chimica (T.D.) stabilisce i concetti fondamentali per studiare i trasferimenti di energia tra i sistemi chimici o fisici sotto forma di calore o lavoro. Le basi della T.D. sono il PRIMO e SECONDO PRINCIPIO. Ci siamo già occupati prima di energia a proposito del 1a

Principio della Termodinamica e del concetto di entalpia e di entalpia di reazione.Si è anche detto che le reazioni esotermiche (∆Hr <O),che avvengono con sviluppo di calore, sono in genere favorite e cioè sono in buona parte reazioni spontanee. Tuttavia, vi sono reazioni endotermiche (∆Hr <O) che avvengono altrettanto spontaneamente(fusione del ghiaccio a TAMB o dissoluzione del NH4NO3 in acqua); pertanto l’entalpia da sola non basta a definire in modo assoluto la condizione di spontaneità. Come si vedrà studiando il 2° e 3° Principio della termodinamica, oltre all’entalpia, è molto importante considerare il grado di disordine di un sistema chimico nel caso di una reazione. Si introdurrà una nuova grandezza, detta energia libera, che combina sia il contributo entalpico che la variazione di disordine e che potrà essere usata per stabilire la spontaneità o meno di una certa reazione chimica.

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Quando specifichiamo un certo processo o trasformazione, la prima legge della TD ci aiuta a definire i trasferimenti di energia in termini di calore e lavoro scambiato, ma non aiuta a predire se quel processo o trasformazione di fatto avviene.La seconda legge della TD invece esprime la nozione che esiste una direzione preferenziale in cui un sistema non in equilibrio si muove, cioè una direzione in cui il sistema evolve in modo spontaneo.Si consideri l’esempio di un’espansione adiabatica (senza alcun scambio di calore tra il sistema T.D. e l’ambiente esterno) di un gas nel vuoto, vedi figura.

VA = VB

1 atm

A B

vuoto0,5 atm

A B

0,5 atm

127

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Durante l’espansione, il gas non assorbe né cede calore (∆H=O), eppure il processo è SPONTANEO.

Si consideri un altro esempio: un cubetto di ghiaccio a TAMB

=25 C°H2O(S) → H2O(l)

Il processo è endotermico (∆Hr° <O),eppure sappiamo bene che è spontaneo .Si consideri ancora un altro esempio: la dissoluzione di KCl in H2O.Anche in questo caso il processo di dissoluzione è endotermico. Tuttavia, si osservi che gli ioni passano da una struttura cristallina compatta e ordinata, allo stato di ioni idratati molto più liberi di muoversi nella fase liquida e quindi in uno stato di maggiore disordine. Per contro, le molecole di acqua che vanno a idratare gli ioni, vanno da uno stato più

disordinato (quando erano libere di muoversi nel solvente) ad uno stato più ordinato “agganciandosi” agli ioni del sale. La trasformazione quindi nel suo complesso implica sia processi di ordinamento che processi di disordine configurazionale.Nel complesso, nell’intera trasformazione di dissoluzione del sale prevale un processo di disordine, così come accade negli esempi precedenti.Il grado di disordine in termini di TERMODINAMICA STATISTICA è espresso dalla relazione:

S = K lnWDove K è una costante(costante di BOLTZMANN) e W rappresenta il numero di stati configurazionali che quel dato sistema può assumere.Matematicamente, la variazione di entropia (∆S) è espressa dal rapporto:

TQ

S rev=∆

Dove Qrev è la quantità di calore scambiata da un sistema reversibilmente con l’ambiente e T è la temperatura assoluta del sistema.Si può quindi dedurre che la spontaneità è associata ad un aumento di disordine di un sistema. La casualità è espressa da una grandezza termodinamica chiamata entropia, a cui si dà il simbolo S. Più un sistema è disordinato, più grande è la sua entropia. La variazione di entropia di un sistema ∆S=Sfinale- Siniziale dipende solo dallo stato finale e iniziale del sistema e non dal cammino percorso, cioè l’entropia è una funzione di stato.

∆S>O→ maggiore disordine∆S<O→ minor disordine

Il secondo principio della T.D. si può esprimere in molti modi diversi. In questo contesto, pensando ad un sistema isolato (cioè un sistema che non scambia nè calore nè lavoro con l’esterno), come ad

+ − + − + − + −

+ − + − + − + −

+ − + − + − + −

+ − + − + − + −

O

H

H

+ O

HH

OH

H

H H

molecolaH

2O

128

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esempio risulta l’universo che ci circonda nel suo insieme, si può enunciare il 2° principio secondo R. CLAUSIUS: “L’universo, tramite le trasformazioni spontanee, tende verso lo stato più probabile, che è quello di massimo disordine, cioè di massima entropia”. Il secondo principio della T.D. si può quindi esprimere: ∆Stotale = ∆Ssistema + ∆Sambiente ≤ 0 cioè “la variazione totale di entropia (∆Stotale) è maggiore di 0 nelle trasformazioni spontanee (irreversibili) è uguale a 0 nelle trasformazioni reversibiliQuesto significa, in altre parole, che tutte le reazioni spontanee che avvengono all’interno del sistema isolato universo, comportano un aumento di entropia e cioè un aumento di disordine. I valori dell’entropia, che possono essere interpretati a livello molecolare come moti translazionali, vibrazionali e rotazionali delle molecole, partono da un valore zero definito dal terzo principio della T.D.: “L’entropia di un cristallo puro allo zero assoluto è zero: S(0 K) = 0”.Al crescere della temperatura da 0 K, gli atomi del reticolo cristallino iniziano ad accumulare energie sotto forma di vibrazioni attorno alla loro posizione fissa reticolare. L’entropia cresce, poichè il numero di energie possibili che gli atomi o molecole possono avere si accresce; in altre parole il reticolo possiede una entropia maggiore perchè il numero di possibili stati energetici in cui le molecole o atomi sono distribuiti è più grande. Se continuiamo a riscaldare il solido fino a fusione, si osserverà un subitaneo e forte incremento dell’entropia, poichè adesso gli atomi o molecole non sono più obbligati a risiedere in posizioni fisse, ma sono liberi di muoversi nell’intero volume a disposizione.

Al crescere della temperatura l’entropia riprende a crescere gradualmente, fino a esibire un’altra forte variazione al punto di ebollizione. Qui l’aumento di disordine è notevole, perchè il volume in cui le molecole possono trovarsi è aumentato in modo considerevole.Impiegando misure sperimentali sulla variazione della capacità termica con la temperatura, si può determinare l’entropia assoluta S delle diverse sostanze ad ogni temperatura (essendo S(0 K)=0 →∆S=ST-SO=ST) assumendo con riferimento lo zero di entropia di un solido cristallino puro. I valori di entropia delle sostanze a 298 K e P = 1 atm sono noti come entropie standard S° con dimensioni

KmolJ . Una volta note le entropie delle varie

sostanze si può calcolare la variazione di entropia standard associata ad una reazione chimica:

aA+bB+….⇔ pP+qQ+…

[ ] [ ]∑∑ −=∆

++−++=∆

j

oreagentij

i

oprodottii

oreazione

oB

oA

oQ

oP

o

SSS

bSaSqSpSS

)()()(

)()()()( ........

S

temperatura K 0

solido liquido gas

fusione

ebolliz.

129

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ENERGIA LIBERA DI GIBBS. EQUILIBRIO CHIMICO

Si è visto prima che nello stabilire se una reazione avviene o meno spontaneamente hanno importanza sia gli aspetti prettamente energetici (∆Hr) che gli aspetti prettamente configurazionali (∆S). Il secondo principio della T.D. fornisce già un criterio per stabilire la spontaneità di una reazione. Tuttavia, per applicarlo alle nostre comuni reazioni chimiche, che si svolgono in sistemi non isolati, si pongono serie difficoltà. Dovremo sempre calcolarci non solo il ∆Ssistema in cui si svolge la nostra reazione, ma anche il ∆Sambiente al di fuori del nostro sistema, poiché il criterio da applicare è ∆Ssist + ∆Samb > 0 (II principio T.D.)Tale condizione di reversibilità o di irreversibilità può essere espressa in funzione della variazione di entalpia e dell’entropia del nostro SISTEMA T.D. tra due stati 1 e 2. Infatti il ∆Samb è il calore che l’ambiente scambia con il sistema alla temperatura T. A pressione costante, tale calore è uguale al ∆H del sistema cambiato di segno. Pertanto il II Principio si può scrivere come:

0T

HSS sist

sisttot ≥−=∆

∆∆

Moltiplicando ambo i membri per – Te, di conseguenza, cambiando il segno della disuguaglianza si ha: - T∆Stot = T∆Ssist + ∆Hsist = ≥ 0 Ponendo - T∆Stot = ∆G = G2 – G1 si ottiene: ∆G = ∆H − T∆S ≥ 0 ∆G è la variazione di una funzione di stato chiamata ENERGIA LIBERA DI GIBBS (G) quando il sistema passa da uno stato iniziale 1 a uno stato finale 2 a temperatura Te a pressione costante .In tal modo si può esprimere la condizione di reversibilità (equilibrio) o irreversibilità (spontaneità) di una trasformazione riferendosi solo al nostro sistema T.D, sede della reazione chimica, tramite la relazione ∆G ≤ 0.Si può osservare come, per una reazione che ha un ∆H < 0 e un ∆S > 0, si procederà sicuramente in modo spontaneo, con ∆G < 0.Si ottiene cioè una relazione semplice tra il segno di ∆G relativo alla reazione ad una certa temperatura e la spontaneità della stessa:

se ∆G < 0 → REAZIONE SPONTANEA nella direzione in avanti;

se ∆G = 0 → REAZIONE IN EQULIBRIO; non c’è forza motrice netta in nessuna direzione;

se ∆G > 0 → REAZIONE NON SPONTANEA; bisogna fornire lavoro dall’esterno per farla procedere. Per contro la reazione inversa è spontanea

Ener

gia

pote

nzia

le

distanza

a)

G

grado di avanzamento

reagenti

prodotti

miscela in equilibrio

b)

130

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Nell’analogia in figura, la tendenza di un sistema a raggiungere la stabilità in corrispondenza del minimo di energia è trasferita nel raggiungimento del minimo valore di energia libera, quando all’equilibrio si ha ∆G = 0.Come si vede dalla figura b, l’equilibrio può essere raggiunto da qualsiasi direzione, sia partendo solo da prodotti che da soli reagenti.Essendo l’energia libera una funzione di stato, è possibile anche per essa tabellare per le sostanze le ENERGIE LIBERE STANDARD DI FORMAZIONE. L’energia libera standard di una specie chimica è l’energia libera di formazione ∆Gf° di una mole di composto nel suo stato standard a partire dagli elementi, anch’essi nel loro stato standard(e ai quali in queste condizioni viene attribuita un'energia libera standard uguale a zero). Le convenzioni per gli stati standard sono

Stato standardsolido solido puro

T = 25° Cliquido liquido purogas 1 atm

soluzione 1 Melementi zero nel suo stato

normale a 25°C

Per una generica reazione chimica

aA+bB+….⇔ pP+qQ+…la variazione di energia libera standard è espressa dalla relazione:

[ ] [ ]........ )()()()( +∆+∆−+∆+∆=∆ oBf

oAf

oQf

oPf

o GbGaGqGpG

del tutto analoga al calcolo di ∆H° e ∆S° per una reazione.La quantità ∆G° per una reazione ci dice se una miscela di reagenti e prodotti, ciascuno presente in condizioni standard, reagirebbe spontaneamente nella direzione in avanti (∆G° < 0) a formare più prodotti, o in direzione opposta (∆G° > 0) a formare più reagenti. Dato che le energie libere standard di moltissime sostanze sono tabulate, la variazione ∆G° è facilmente calcolabile per moltissime reazioni di interesse.

ENERGIA LIBERA E TEMPERATURA

Dall’espressione dell’energia libera ∆G = ∆H − T∆S si nota che, se non per il termine T∆S, il segno di ∆G sarebbe lo stesso di quello di ∆H. Ciò vorrebbe dire che tutte le reazioni esotermiche con ∆H < 0 sarebbero spontanee, se non bisognasse tener conto del termine entropico. Naturalmente in tutte le reazioni esotermiche che avvengono con ∆S > 0 , il termine entropico −T∆S rende il valore di ∆G meno positivo (o più negativo) e quindi aumenta la tendenza della reazione ad avvenire spontaneamente. Quando ∆H e −T∆S sono di segno contrario, l’importanza relativa dei due termini determinerà se ∆G > 0 o ∆G < 0. In tali condizioni, la temperatura riveste un ruolo importante. Sia ∆H che ∆S sono influenzate nel loro valore dalla temperatura, ma l’unica quantità che varia notevolmente nell’espressione di ∆G è il termine −T∆S. Quindi, alle alte temperature l’entità di −T∆S cresce, e diventa sempre più importante nel determinare il segno di ∆G. (vedi tabella riassuntiva)

131

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EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLA SPONTANEITA’ DI UNA REAZIONE

ENERGIA LIBERA E COSTANTE DI EQUILIBRIO

Sebbene sia utile calcolare il valore del ∆G° per una reazione dai dati tabulati, spesso è molto importante conoscere il valore del ∆G in condizioni non standard. E’ valida la relazione∆G = ∆G° + RT ln Q dove∆G = variazione di energia libera nelle condizioni non standardR = costante dei gas 8,314 J/K.molT = temperatura assoluta KQ = quoziente di reazione per la miscela di reazione considerataAd esempio per la generica reazione aA + bB → cC + dD ; ∆G = ∆G° + RT ln [ C ] c [ D ] d

[ A]a [B]b

dove il rapporto sotto logaritmo (Q) ha le concentrazioni che si riferiscono a un determinato istante durante lo svolgersi della reazione. Man mano che il sistema evolve verso l’equilibrio, il valore di ∆G tende a 0.Pertanto, se ho delle generiche condizioni non standard, dal calcolo del ∆G in quelle condi<ioni posso prevedere in che modo procederà spontaneamente la reazione. In condizioni di equilibrio si ha ∆G=0 e Q=Keq, quindi :

cba

dcK

]B[]A[]D[]C[ =

O = ∆G° +RT ln Kc

ossia ∆G° = −RT ln Kc, per cui:

RTG

c

0

eK∆−

=Il ∆G° si può ricavare dai valori tabulati di ∆G°f dalla relazione prima vista ∆G° = ∑ ∆G°f prodotti − ∆G°f reagenti

(ciascun ∆G°f moltiplicato per il coefficiente stechiometrico di reazione).

Da questa relazione si osserva che se ∆G° < 0 allora K > 1. Per cui, più è negativo il ∆G°, più grande sarà il valore di K.Dal valore di ∆G° per una reazione si può quindi calcolare il valore della costante di equilibrio Keq.

∆H ∆S ∆G Caratteristiche reazione Esempio

− + Sempre negativoLa reazione è spontanea a

tutte le temperature; la reazione inversa non è mai

spontanea

2O3(g) → 3O2(g)

+ − Sempre positivoLa reazione non è mai

spontanea a tutte le temperature

3O2(g) → 2O3(g)

− −Negativo a basse T,positivo ad alte T

La reazione è spontanea a basse T, ma diventa non

spontanea ad alte TCaO(s)+CO2(g)→CaCO3(g)

+ +Positivo a basse T,negativo ad alte T

La reazione non è spontanea a basse T,

diviene spontanea ad alte TCaCO3(g) →CaO(s)+CO2(g)

132

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ENERGIA LIBERA E LAVORO

Un modo importante di usare le reazioni chimiche è quello di produrre lavoro. In linea di principio, tutte le reazioni spontanee possono essere usate per produrre lavoro. Il termine ENERGIA LIBERA sta a indicare proprio la quantità di energia non impegnata nella reazione chimica e quindi LIBERA e disponibile per produrre LAVORO. Ad esempio, la combustione della benzina nel motore delle automobili produce lavoro. Nei motori, tuttavia, solo il 20 % dell’energia totale prodotta è trasformata in lavoro, mentre il resto viene dissipato come calore verso l’esterno. L’efficienza della trasformazione ENERGIA → LAVORO dipende da come si realizza la trasformazione; se la benzina la bruciamo in un contenitore aperto, ad esempio, non produrrà alcun lavoro. C’è un limite massimo teorico sulla quantità di lavoro ottenibile da un processo spontaneo. La termodinamica ci dice che:“la variazione di energia libera di un processo, ∆G, è uguale al massimo lavoro utile che può essere fatto dal sistema sull’ambiente esterno in un processo spontaneo a pressione e temperatura costante:

Lmax = ∆G

Tale lavoro massimo è quello che si otterrebbe svolgendo il processo in modo REVERSIBILE.

ESERCIZIOCalcolare la variazione di energia libera standard e la Kp per la seguente reazione a 298 K:

N2(g) +3H2(g) → 2NH3(g) E calcolare il ∆G° a 500°C

Risposta:si impiegano i dati tabulati di ∆G°f delle sostanze

[ ] KJNGHGNHGG of

of

of

o 3,33)()(3)(2 223 −=∆+∆−∆=∆

molKJNHG

puroelementoHG

puroelementoNG

of

of

of

66,16)(

0,0)(

0,0)(

3

2

2

−=∆

=∆

=∆

Essendo ∆G° < 0 vuol dire che una miscela di H2, N2 e NH3 a 25°C, ciascun gas presente ad una pressione di 1 atm, reagirebbe spontaneamente a formare più ammoniaca (anche se non si conosce la velocità con cui questa reazione procederebbe).La costante di equilibrio della reazione:

3

2

22

3

HN

NHp PP

PK =

∆G = ∆G° + RT ln K all’equilibrio ∆G° = −RT ln Keq

( )54,13

3

10.9,64,13ln

ln29810.314,83,33

==⇒=

−=− −

eKK

KKKKJKJ

pp

p

Per calcolare il valore di ∆G° a 500 °C , supponiamo che il ∆H° e ∆S° non cambino apprezzabilmente con la temperatura

133

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∆G° = ∆H° −T∆S° = KJJ

KJKJKKJ 83,602,15338,92

10119877338,92 3 =+−=

−−−

A questa temperatura la 3

2

22

3

HN

NHp PP

PK =

( ) 12,67lnln77310.314,883,60 3 < <⇒−=⇒

−= −

ppp KKKKKKJ

Quindi la reazione NON E’ SPONTANEA a 500°C verso destra, ma lo è a 298 K.

ESERCIZIO

Calcolare ∆G a 298 K per la seguente reazione, se la miscela di reazione è costituita da 1,0 atm N2 , 3,0 atm H2 e 1,0 atm NH3 .

N2(g) +3H2(g) → 2NH3(g)

Il quoziente di reazione Q risulta ( )

( )( )2

3

2

3

2

10.7,30,30,1

0,1

22

3 −===HN

NH

PPP

Q

∆G°298K è stato calcolato nell’esercizio precedente ∆G°298K = −33,32 KJQuindi per la miscela in esame ∆G = ∆G° + RT ln Q

( ) ( ) ( )KJG

KKKJKJG

49,41

10.7,3ln29810.314,832,33 23

−=∆

+−=∆ −−

Per la miscela gassosa assegnata il ∆G diviene più negativo rispetto al valore del ∆G°. Pertanto, c’è più forza motrice per la reazione a formare NH3 . Questo risultato è congruente con il principio di Le Chatelier, dato che rispetto alle condizioni di formazione standard di NH3 (tutti i gas a P = 1 atm) abbiamo in questo caso incrementato la pressione parziale (e quindi la concentrazione) di un reagente (H2).

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ELETTROCHIMICA Il concetto di numero d’ossidazione, introdotto nei paragrafi precedenti, è estremamente importante per comprendere le modifiche che si hanno durante alcune reazioni chimiche. Infatti alcune fra le più importanti classi di reazioni chimiche prevedono una modifica dei numeri di ossidazione dei vari elementi fra reagenti e prodotti. Consideriamo ad esempio le reazione che si ha quando si aggiunge dello zinco ad una soluzione acquosa di acido cloridrico:

)aq(2)s(2

)aq()s( HZnH2Zn +→+ ++

Durante questa reazione lo stato d’ossidazione dello zinco passa da zero per lo zinco metallico, a +2 per lo ione Zn2+

(aq), mentre, contemporaneamente l’idrogeno passa da n.o. +1 a n.o. 0. Come già detto, le reazioni chimiche in cui si ha variazione di numero di ossidazione degli elementi reagenti si dicono reazioni di ossidoriduzione.

L’ossidazione di una specie chimica determina la perdita di elettroni, per contro la riduzione si traduce in un acquisto di elettroni. Le reazioni di ossidoriduzione riguardano pertanto il trasferimento di elettroni dalla specie che si ossida a quella che si riduce. Nella reazione precedentemente scritta la specie che si ossida è lo zinco e quella che si riduce è l’idrogeno.La reazione avviene inoltre con liberazione di energia, sotto forma di calore (vedi Fig.E1)

Fig.E1: L’aggiunta di zinco metallico ad una soluzione do acido cloridrico causa una reazione redox spontanea: lo zinco è ossidato a ioni Zn2+, e gli ioni idrogeno liberati dall’acido sono ridotti ad idrogeno gassoso.

La reazione è pertanto termodinamicamente favorita e procede spontaneamente. Il trasferimento di elettroni che si ha durante la reazione di ossidoriduzione può anche essere usato per produrre energia nella forma di elettricità. In altri casi è possibile utilizzare l’energia elettrica per far avvenire alcune reazioni di ossidoriduzione non spontanee. L’elettrochimica è la branca della chimica che studia la relazione fra l’elettricità e le reazioni chimiche. L’elettrochimica si occupa ad esempio della costruzione e del funzionamento di pile, della spontaneità di reazioni, dell’elettrodeposizione metallica, della corrosione.

Reazioni di ossidoriduzione

Rimane adesso da capire come fare a determinare se una reazione è una reazione di ossidoriduzione o meno. E’ necessario considerare i numeri di ossidazione dei avri elementi e verificare che vi siano variazioni fra reagenti e prodotti. Considerando la reazione scritta in precedenza, si ha:

135

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)aq(2)s(2

)aq()s( HZnH2Zn +→+ ++

↑ ↑ ↑ ↑n.o. 0 n.o. +1 n.o. +2 n.o. 0

Si può facilmente notare come lo zinco passi da 0 a +2 e l’idrogeno passi da +1 a 0.In una reazione di ossidoriduzione come quella vista è chiaro l passaggio di elettroni che si ha per far avvenire la reazione: lo zinco deve perdere elettroni per diventare Zn2+, mentre l’H+ deve acquistare elettroni per passare alla forma gassosa H2.In altre reazioni tale passaggio di elettroni è meno evidente ma comunque presente. Ad esempio:

)g(2)g(2)g(2 OH2OH2 →+

↑ ↑ ↑ ↑ n.o. 0 n.o. 0 n.o. +1 n.o. -2

L’idrogeno in questo caso passa dal n.o. 0 a +1, e l’ossigeno da 0 a -2. La reazione scritta è quindi una reazione di ossidoriduzione. Tuttavia, dato che l’acqua non è una sostanza ionica non c’è un completo trasferimento di elettroni da una specie all’altra, e l’ossidoriduzione risulta meno evidente.In ogni reazione di ossidoriduzione ci deve essere una sostanza che si riduce de un’altra che si ossida. Cioè non può esserci riduzione che non sia accompagnata da una riduzione (e viceversa). In questo modo possiamo dire che una sostanza che si ossida “induce” riduzione e si dice pertanto riducente, la sostanza che si riduce induce ossidazione e si dice ossidante.

Bilanciamento delle reazioni redox

Esistono vari metodi per bilanciare una reazione redox. Noi ci occuperemo esclusivamente del cosiddetto metodo ionico elettronico.

Un esempio varrà a spiegarne la procedura. Bilanciare la seguente reazione redox:HNO3 + FeCl2 + HCl = NO + FeCl3 + H2O

1) Porre la reazione in forma ionica: NO3

- + H+ + Fe2+ + Cl- = NO + Fe3+ + Cl- + H2O

2) Determinare i numeri di ossidazione dei vari elementi per identificare le specie ossidanti e riducenti:- l’azoto passa da +5 a +2 ⇒ si riduce;- il ferro passa da +2 a +3 ⇒ si ossida.

3) Scindere la reazione in due semireazioni, una per la riduzione ed una per l’ossidazione, riportando solo gli ioni o le molecole direttamente interessati alla reazione:- riduzione: NO3

- → NO - ossidazione: Fe2+ → Fe3+

4) Bilanciare separatamente le due semireazioni, considerando i seguenti criteri:- riduzione: NO3- → NO• Gli atomi di azoto sono bilanciati• per bilanciare l’ossigeno introduciamo a destra tante molecole d’acqua quanti sono

gli atomi di ossigeno mancanti:NO3

- → NO + 2H2O• per bilanciare l’idrogeno così introdotto, aggiungiamo a sinistra tanti ioni H+

quanti sono quelli introdotti:

136

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NO3- +4H+ → NO + 2 H2O

• per bilanciare le cariche si introducono tanti elettroni quante sono le cariche negative mancanti (in un membro o nell’altro):

NO3- +4H+ + 3e- → NO + 2 H2O

- ossidazione: Fe2+ → Fe3+

Gli atomi di ferro sono bilanciati per bilanciare le cariche si introduce un elettrone:

Fe2+ → Fe3+ + e-

5) Eguagliare il numero di elettroni scambiati nelle due semireazioni, moltiplicando le relazioni per gli opportuni coefficienti:

NO3- +4H+ + 3e- → NO + 2 H2O

3Fe2+ → 3Fe3+ + 3e-

6) Sommare membro a membro le equazioni delle due semireazioni, facendo le dovute semplificazioni:

NO3- +4H+ + 3e- + 3Fe2+ → NO + 2 H2O + 3Fe3+ + 3e-

NO3- +4H+ + 3Fe2+ → NO + 2 H2O + 3Fe3+

E’ importante notare come a questo punto non debbano più comparire elettroni!

7) Trascrivere la reazione in forma molecolare, sebbene già in forma ionica risulti perfettamente bilanciata:

HNO3 + 3FeCl2 + 3HCl = NO + 3FeCl3 + 2H2OPer far questo si considera il testo iniziale in forma molecolare e si ricompongono le formule operando, se necessario, ulteriori bilanciamenti, stando attenti a non alterare i rapporti dedotti fra le specie ossidanti e riducenti.

Celle elettrochimiche

In principio, l’energia rilasciata in ogni reazione redox spontanea può essere direttamente utilizzata per effettuare lavoro elettrico. Ciò può essere fatto attraverso una cella galvanica (o cella voltaica), dispositivo in cui il trasferimento di elettroni fra specie riducenti ed ossidanti è forzato in un cammino esterno, piuttosto che direttamente fra i reagenti.Una tale reazione avviene ad esempio quando un pezzo di zinco è posto in contatto con una soluzione contenente ioni Cu2+. Al procedere della reazione, il caratteristico colore blu degli ioni di rame inizia a perdersi, e il rame inizia a depositarsi sullo zinco. Allo stesso tempo lo zinco si dissolve. Avviene cioè la seguente reazione di ossidoriduzione:

)s()aq(2

)aq(2

)s( CuZnCuZn +→+ ++ .

La Fig.E2 mostra una cella galvanica che sfrutta la reazione di ossidoriduzione fra zinco e rame appena vista. Sebbene l’apparecchiatura sperimentale mostrata in Fig.E2 sia più complessa di quella di Fig.E3, è importante notare che la reazione che avviene è la medesima in entrambi i casi.

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Fig.E2: (a): Un pezzetto di zinco immerso in una soluzione di solfato di rame. (b): gli elettroni, nella reazione redox, sono trasferiti dall’elettrodo di zinco agli ioni Cu2+, dando origine a ioni Zn2+ e a rame metallico. Man mano che la reazione va avanti, lo zinco si dissolve, il colore bluastro della soluzione (dovuto agli ioni di rame) diventa meno intenso e si deposita del rame metallico sul fondo del contenitore.

La differenza principale fra le due apparecchiature è che nella Fig.E2 lo zinco metallico e gli ioni rame non sono in diretto contatto. Conseguentemente, la riduzione degli ioni Cu2+ può avvenire solamente attraverso il filo che connette Zn e Cu (cioè passando per il circuito esterno).

Fig.E3: Cella elettrochimica basata sulla reazione fra zinco metallico e ioni di rame. La semicella a sinistra contiene una soluzione 1M di CuSO4 e un elettrodo di rame. Quella a destra contiene una soluzione 1Mdi ZnSO4 ed un elettrodo di zinco. Le semicelle sono connesse elettricamente attraverso un ponte formato da un disco di vetro poroso che permette il contatto delle soluzioni nei due compartimenti. Gli elettrodi sono connessi attraverso un voltmetro che legge una differenza di potenziale pari a 1,10 V.

I due metalli solidi che sono connessi attraverso il circuito esterno sono detti “elettrodi”. Per convenzione, l’elettrodo sul quale avviene la riduzione è chiamato “catodo”, mentre quella su cui avviene l’ossidazione è detto “anodo”; possiamo pensare ad una cella galvanica come a due semicelle, una corrispondente alla semireazione di riduzione ed una alla semireazione di ossidazione.Nell’esempio appena visto, lo zinco è ossidato a ioni Zn2+, mentre gli ioni Cu2+ sono ridotti a rame metallico:

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Anodo (semireazione di ossidazione) −+ +→ e2ZnZn )aq(2

)s(

Catodo (semireazione di riduzione) )s()aq(2 Cue2Cu →+ −+

Gli elettroni si liberano non appena lo zinco si ossida all’anodo. Essi allora fluiscono attraverso il circuito esterno verso il catodo, dove sono consumati in corrispondenza della reazione di riduzione degli ioni di rame.Dato che nella cella avviene l’ossidazione dello zinco, l’elettrodo di zinco perde massa, e la concentrazione di ioni Zn2+ nella cella cresce man mano che la cella è in funzione. Analogamente, l’elettrodo di rame aumenta di massa, e la concentrazione di ioni di rame nella cella tende a diminuire man mano che questi sono ridotti a rame metallico.

Fig.E4: Cella galvanica che utilizza un ponte salino per completare il circuito elettrico.

Particolare attenzione andrà posta nella determinazione dei segni dei due elettrodi della cella galvanica. Abbiamo visto che gli elettroni sono liberati all’anodo, durante l’ossidazione dello zinco. Essi fluiscono poi attraverso il circuito esterno (come si può vedere in Fig.E4). Dato che gli elettroni hanno carica negativa, assegniamo il segno negativo all’anodo. Per contro, gli elettroni fluiscono verso il catodo, dove sono consumati durante la riduzione del rame. Assegneremo pertanto un segno positivo al catodo, in quanto esso attira gli elettroni.

Quando la cella descritta nella Fig.E3 è in funzione l’ossidazione dello zinco introduce in soluzione ioni Zn2+ nella semicella anodica. A meno che non sia previsto un dispositivo per neutralizzare le cariche positive liberate, appena la soluzione diventa ricca di cariche positive nessuna ulteriore ossidazione può aver luogo. Analogamente, la riduzione degli ioni Cu2+ al catodo lascia un eccesso di cariche negative nella soluzione del comparto catodico. La neutralità delle due soluzioni è garantita dalla migrazione di ioni attraverso il setto poroso che separa le due semicelle, chiamato anche ponte salino, come mostrato in Fig.E4. Un ponte salino è formato da un tubo di forma ad “U” che contiene una soluzione elettrolitica, come per esempio NaNO3(aq), i cui ioni non reagiscono con gli altri ioni presenti nella cella o con i materiali che costituiscono gli elettrodi. Le estremità del ponte salino possono essere chiuse da setti porosi, oppure l’elettrolita può essere incorporato in un gel, in modo che non fuoriesca dal tubo quando questo è rovesciato, vedi Fig.E4.Man mano che le semireazioni di ossidazione e di riduzione procedono, gli ioni dell’elettrolita del ponte salino migrano in modo da neutralizzare le cariche presenti nelle semicelle. Gli anioni migrano verso l’anodo, i cationi verso il catodo. Non si verifica nessun flusso di elettroni nel

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circuito esterno, a meno che non vi sia un flusso di ioni attraverso il ponte salino, in modo da chiudere il circuito.

Forza elettromotrice

L’analisi delle celle voltaiche ci ha permesso di comprendere il motivo per cui gli elettroni possono fluire spontaneamente attraverso il circuito esterno della cella. Nella cella mostrata in Figura ZZZ, ad esempio, ci si può chiedere cosa forzi gli elettroni a lasciare l’elettrodo di zinco, per poi passare attraverso il circuito e raggiungere l’elettrodo di rame. Come per tutti i processi chimici che avvengono spontaneamente la risposta coinvolge l’energia: tutto ciò avviene perché l’intero sistema evolve verso un livello di minor energia, cioè di maggior stabilità.In ogni semicella di una cella galvanica gli elettroni hanno una diversa energia potenziale. Per esempio, la differenza d’energia potenziale di un elettrone nei due elettrodi della cella mostrata in Fig.E4 è pari a 1,10V. L’energia potenziale è maggiore per gli elettroni dell’elettrodo di zinco rispetto a quelli dell’elettrodo di rame. Se gli elettrodi sono connessi tramite un circuito esterno, gli elettroni possono abbassare la propria energia potenziale fluendo dall’elettrodo di zinco verso quello di rame. La differenza di potenziale (cioè la differenza fra le energia potenziali di una carica elettrica) fra i due elettrodi è misurata in Volt. Un Volt (V) è la differenza di potenziale richiesta perché una carica elettrica di 1 C (Coulomb) acquisisca un’energia di 1 J:

CJV 11 ≡ .

Nella cella elettrochimica Zn/Cu descritta in precedenza, la differenza di potenziale (d.d.p.) è pari a 1,10 V.Noi possiamo vedere la differenza di potenziale fra i due elettrodi di una cella elettrochimica come la forza motrice o la pressione elettrica che spinge gli elettroni a muoversi da un elettrodo all’altro, attraverso il circuito esterno. Convenzionalmente tale differenza di potenziale fra gli elettrodi si denota come forza elettromotrice (fem) o come potenziale di cella. La fem di una cella elettrochimica, Ecell, si misura anch’essa in Volt.La fem della cella Zn/Cu è pari a 1,1 V quando opera in condizioni standard, cioè quando le concentrazioni delle specie in soluzione sono pari a 1 M e le pressioni delle specie gassose sono pari a 1 atm. Nel nostro caso le due semicelle dovrebbero operare con [Zn2+] e [Cu2+] pari a 1 M. Sotto condizioni standard, la fem è detta fem standard o potenziale standard di cella, E0

cell:VECuZnCuZn cellsaqaqs 10,10

)(2

)(2

)()( =+→+ ++

Spesso si omette il pedice “cell” quando è chiaro che il potenziale è riferito al potenziale di cella.La forza elettomotrice di una cella elettrochimica dipende dalla particolare reazione chimica che in essa ha luogo, dalla concentrazione dei reagenti e dei prodotti, dalla temperatura della cella (considerata sempre a 25 °C, a meno che non sia diversamente specificato).

Potenziali elettrodici standard

Così come abbiamo pensato ad una reazione completa di ossidoriduzione come la somma di due semireazioni (una di ossidazione ed una di riduzione), possiamo pensare alla forza elettromotrice come somma dei potenziali delle semicelle. Il potenziale di semicella dovuto alla perdita di elettroni all’anodo è detto potenziale d’ossidazione, Eox, e quello dovuto all’acquisto di elettroni al catodo è detto potenziale di riduzione, Erid:

ridoxcell EEE += .

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Se tutti i reagenti sono in condizioni standard, i potenziali di semicella sono detti potenziale standard di ossidazione, E0

ox, e potenziale standard di riduzione, E0rid; la loro somma è pari al

potenziale standard di cella.

Non è possibile misurare direttamente un potenziale di ossidazione o di riduzione in termini assoluti. Tuttavia è possibile attribuire un valore arbitrario al potenziale di una particolare semireazione, e misurare poi i potenziali di semicella rispetto ad esso, preso a riferimento.

La convenzionale semireazione di riferimento è la riduzione degli ioni H+ ad idrogeno gassoso H2, a cui è assegnato il valore di 0,0 V:

V0,0E)atm1(He2)M1(H2 0cell2 =→+ −+

Fig.E5: Cella galvanica che utilizza un elettrodo a idrogeno standard.

Un elettrodo progettato per dare una simile semireazione è detto elettrodo standard ad idrogeno, illustrato in Fig.E5. Un elettrodo standard ad idrogeno è costituito da una laminetta di platino platinato che ha funzione di superficie inerte su cui avviene la vera reazione catodica. L’elettrodo si trova all’interno di un tubo di vetro in modo che l’idrogeno gassoso alla pressione di 1 atm possa gorgogliare sul platino.La Fig.E5 mostra una cella elettrochimica basata sulla seguente reazione di ossidoriduzione:

)(22

)()()( 2 gaqaqs HZnHZn +→+ ++

L’ossidazione dello zinco avviene nello scompartimento anodico, mentre la riduzione dell’idrogeno avviene nella semicella catodica, che è un elettrodo standard ad idrogeno. Tale cella genera una forza elettromotrice pari a 0,76 V.Usando il valore attribuito al potenziale dell’elettrodo standard ad idrogeno è possibile calcolare il valore del potenziale elettrodico standard dell’ossidazione dello zinco:

076,0 0

000

+=

+=

ox

ridoxcell

EV

EEE

Pertanto, è possibile attribuire allo zinco un potenziale d’ossidazione pari a +0,76V.V76,0Ee2ZnZn 0

ox2

)aq()s( +=+→ −+ .I potenziali standard per tutte le altre semireazioni possono essere stabiliti dalle fem delle celle elettrochimiche in modo analogo.

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Tuttavia, per convenzione, i potenziali di semicella sono normalmente tabulati come potenziali standard riferiti alle reazioni di riduzione. Per la semireazione dello zinco, noi troveremo tabulato il potenziale della semicella relativo alla riduzione degli ioni Zn2+ a Zn, reazione inversa a quella di nostro interesse. Come con le quantità legate all’energia di una reazione (come ∆H e ∆G), invertire la reazione porta ad un cambio di segno del potenziale di reazione. Pertanto il potenziale di semicella per una reazione di riduzione è pari in modulo e opposto in segno a quello della stessa reazione scritta in forma di ossidazione:

0ox

0rid EE −= .

Quindi, per la semireazione dello zinco possiamo scrivere:V76,0EZne2Zn 0

rid)s(2

)aq( −=→+ −+

La tabella riportata di seguito riporta i valori, per alcune reazioni, dei potenziali di riduzione, detti anche potenziali standard d’elettrodo. Questi potenziali d’elettrodo possono essere combinati per calcolare le forze elettromotrici di una grande varietà di pile.

Tabella E1: Potenziali elettrodici standard per reazioni in soluzione acquosa a 25°C.

Agenti ossidanti e Riducenti

Il valore del potenziale di semicella è un utile strumento per determinare la facilità con cui una specie si ossida o si riduce.Più positivo è il valore di E0 per una semireazione, maggiore è la tendenza per quella data reazione di procedere nel senso in cui è scritta.Un potenziale di riduzione negativo indica una maggiore difficoltà a ridursi rispetto agli ioni idrogeno (all’H+

(aq)), mentre un potenziale d’ossidazione negativo indica maggiore difficoltà ad ossidarsi rispetto all’idrogeno molecolare (all’H2). L’analisi dei valori dei potenziali delle

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semireazioni elencate in tabella mostra che l’F2 è la specie che si riduce più facilmente, ed è conseguentemente l’agente con maggior potere ossidante:

V87.2EF2e2F 0rid)aq()g(2 +=→+ −− .

Viceversa, gli ioni di litio, Li+, sono i più difficili da ridurre, e quindi sono l’agente con il minor potere ossidante:

V05.3ELieLi 0rid)s()aq( −=→+ −+ .

Tra gli agenti ossidanti più utilizzati figurano, insieme agli alogeni in forma molecolare e all’ossigeno, composti ionici con l’ossigeno, come −−−

32724 NO,OCr,MnO , che presentano un

atomo centrale con un numero di ossidazione elevato e positivo. Inoltre anche alcuni ioni metallici, come ad esempio il Ce4+ che può facilmente ridursi a Ce3+, sono talvolta utilizzati come agenti ossidanti.Abbiamo visto come il potenziale di riduzione abbia valore pari all’opposto del valore del potenziale della reazione inversa di ossidazione. Pertanto quanto più è negativo il valore di E0

rid, quanto più sarà positivo il valore di E0

ox. Quindi il Li, che è la sostanza che si ossida più facilmente sarà anche l’agente riducente più forte:

V05.3EeLiLi 0ox)aq()s( =+→ −+ .

Analogamente gli ioni fluoro, sono l’agente riducente più debole:V87.2Ee2FF2 0

ox)g(2)aq( −=+→ −− .

Gli agenti riducenti più comunemente utilizzati includono l’H2 e una certa varietà di metalli avente potenziale d’ossidazione positivo, come Zn e Fe. Alcuni ioni metallici nei loro stati d’ossidazione più bassi, come Sn2+ che si ossida a Sn4+ possono essere utilizzati come agenti riducenti.Le soluzioni di agenti riducenti sono difficili da immagazzinare per lunghi periodi di tempo a causa dell’ubiqua presenza di ossigeno, che risulta essere un buon agente ossidante. Per esempio, le soluzioni di sviluppo usate in fotografia sono modesti agenti riducenti; essi hanno un periodo di vita limitato poiché sono rapidamente ossidati dall’ossigeno dell’aria.

Spontaneità di una reazione redox

Abbiamo visto che una cella elettrochimica utilizza una reazione che procede spontaneamente. Per contro, ogni reazione che avviene in una cella galvanica per produrre una fem positiva deve essere spontanea. Conseguentemente, è possibile verificare se una reazione redox avverrà spontaneamente calcolando la fem della cella tramite i valori dei potenziale delle semireazioni: una fem positiva indica che il processo è spontaneo, una fem negativa, al contrario, indica che la reazione redox considerata non può avvenire spontaneamente.

Abbiamo visto che l’energia libera che accompagna una reazione chimica (∆G) è una misura della sua spontaneità. Poiché anche la forza elettromotrice di una pila indica se la reazione redox è spontanea o meno, ci possiamo aspettare che esista una relazione fra la fem di una pila e il ∆G della reazione redox alla base del funzionamento della stessa pila. Infatti esiste una semplice relazione lineare fra le due quantità considerate:

femFnG ⋅⋅−=∆dove n è pari al numero di moli degli elettroni sùtrasferiti nella reazione e F è la “costante di Faraday”. La costante di Faraday è pari alla carica elettrica di una mole di elettroni:

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−− ⋅==

ee molVJ96500

molC96500F1 .

Nota bene che, poiché n e F sono entrambe quantità positive, un valore positivo della fem porta ad un valore negativo di ∆G, cioè entrambi indicano che la reazione avviene spontaneamente.

Quando sia i reagenti che i prodotti della reazione sono nel loro stato standard, l’equazione scritta in precedenza può essere utilizzata per mettere in relazione ∆G0 e E0:

00 EFnG ⋅⋅−=∆ .

Nei capitoli precedenti abbiamo visto che l’energia libera standard di reazione, ∆G0, è legata alla costante d’equilibrio, K, dalla seguente relazione:

KlnRTG0 −=∆Questa relazione suggerisce che E0 dovrebbe essere legata alla costante d’equilibrio. Infatti, utilizzando le relazioni precedentemente scritte, si ha:

KlnRTEFn 0 −=⋅⋅− .Tale relazione è più spesso scritta in termini di logaritmi decimali, invece che naturali. Si ottiene quindi:

KlogFnRT3.2E

KlogRT3.2EFn

0

0

⋅=

−=⋅⋅−

Per reazioni che avvengono a temperatura ambiente (T=298K), l’equazione scritta può essere ulteriormente semplificata esplicitando il valore del termine RT e di F:

.Klogn

V0591.0Klog)molV/J96500(n

)K298)(molK/J314.8(3.2E0 =⋅

⋅=

Pertanto la forza elettromotrice standard generata dalla cella aumenta all’aumentare della costante d’equilibrio della reazione redox considerata.

Nella pratica, è raro che le celle galvaniche lavorino in condizioni standard. Tuttavia la fem può essere comunque calcolata a partire dal potenziale elettrodico standard, E0, dalla temperatura e dalle attività delle varie specie presenti.La relazione che ci permette di fare tale calcolo è quella che vi è fra ∆G e ∆G0, già vista nei capitoli precedenti:

QlogRT3.2GG

QlnRTGG0

0

+=

+=

∆∆

∆∆

Se ora sostituiamo la relazione femFnG ⋅⋅−=∆ vista in precedenza, si ottiene:

QlogRT3.2nFEnFE 0 +−=−e risolvendo rispetto a E, si ha:

QlogFnRT3.2EE 0

⋅−= .

Questa relazione è nota come “Equazione di Nerst”, dal nome del chimico tedesco che la determinò. A 298K, come già visto, la quantità 2.3RT/F è pari a 0.0591V, così l’equazione di Nerst può essere riscritta come:

)K298T(Qlogn

V0591.0EE 0 =−=

Come esempio di come questa equazione possa essere utilizzata, consideriamo la seguente reazione:

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V10.1ECuZnCuZn 0)s()aq(

2)aq(

2)s( =+→+ ++

In questo caso abbiamo n = 2 e a T=298K, abbiamo:

]Cu[]Zn[log

2V0591.0V10.1E

2

2

+

+−= ,

essendo le attività delle specie solide unitarie.S ha quindi che la fem della cella basata sulla reazione redox scritta, cresce al crescere della concentrazione di ioni Cu2+ e al decrescere della concentrazione degli ioni Zn2+. Per esempio, quando [Cu2+] è 5.0M e [Zn2+] è 0.05M, si ha:

V16.1)2(2

V0591.0V10.1505.0log

2V0591.0V10.1E =−⋅−=−= .

Il fatto che E (1.16V) sia maggiore di E0 (1.10V) indica che, a queste concentrazioni, la forza motrice per la reazione è maggiore rispetto a quella in condizioni standard. Avremmo potuto prevedere un simile risultato semplicemente utilizzando il principio di Le Chatelier. Se le concentrazioni dei reagenti crescono relativamente a quelle dei prodotti, la cella reagisce cercando di produrre nuovi prodotti, aumentando di fatto la forza elettromotrice. Al contrario si ha che se la concentrazione dei prodotti cresce rispetto al valore all’equilibrio, la fem diminuisce.

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NOMENCLATURA CHIMICA DI BASEIn chimica si distinguono i composti organici, contenenti carbonio in genere combinato con idrogeno, ossigeno, azoto, o zolfo e composti inorganici tradizionalmente non legati agli esseri viventi come piante e animali. tuttavia tantissimi composti sono ancora comunemente denominati da antichi nomi al di fuori di ogni razionale nomenclatura.

Nomenclatura Tradizionale Elemento

Metallo Non Metallo

ossidi basici ossidi acidi o ossidi o anidridi

+ os si ge no

+ acq

ua + acq

ua

idrossidi idracidi ossiacidi

idruri

+ id ro ge no+ id ro ge no

+

sali

+ oss

ige

no

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• Ossidi e Anidridi

Composti binari con l’ossigeno di metalli e non metalli in numeri d’ossidazione positivi.

I metalli danno origine ai cosidetti OSSIDI BASICI (o semplicemente OSSIDI);

I non metalli danno origine agli OSSIDI ACIDI (o ANIDRIDI).

Nomenclatura:ossido (anidride) + (“radice nome elemento – suffisso”)

Il suffisso è:–OSO per n.o. minore dell’elemento–ICO per n.o. maggiore dell’elemento (o nel caso abbia un solo n.o. in questo caso

si usa anche “di + nome el.”)

Nel caso di più di due n.o. si fa utilizzo di due prefissi:i suffissi –oso e –ico vengono mantenuti per i n.o. intermedi, per quello minore si utilizza il suffisso –oso preceduto dal prefisso ipo-, per il maggiore il suffisso –ico preceduto dal prefisso per-.

Formula:il simbolo dell’ossigeno segue quello dell’elemento e come indice si da il n.o. dell’altro. Infine si semplificano gli indici se sono divisibili per uno stesso numero.

Es:Anidride solforosa:S + On.o. S = +2, +4. Suffisso: –osa ⇒ n.o.=+4S2O4, semplificando SO2

Altri esempi di composti binari con l’ossigeno:Con metalli:

ferro, Fe:n.o.: +2, +3+2: FeO: ossido ferroso.+3: Fe2O3: ossido ferrico.

Con non metalli:zolfo, S:n.o.: +4, +6+4: S2O4 ⇒ SO2 anidride solforosa.+6: S2O6 ⇒ SO3 anidride solforica.

cloro, Cl:n.o.: +1, +3, +5, +7+1: Cl2O anidride ipoclorosa+3: Cl2O3 anidride clorosa+5: Cl2O5 anidride clorica+7: Cl2O7 anidride perclorica

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Nell’uso comune vengono anche utilizzati i prefissi –mono, -di, -tri, -tetra, -penta, per indicare il contenuto di ossigeno nella molecola e il prefisso –sesqui per indicare un rapporto elemento/ossigeno pari a 2/3. Es:

V2O5 pentossido di vanadioOsO4 tetrossido di osmioPbO2 biossido di piombo (o ossido piombico)Fe2O3 sesquiossido di ferro (o ossido ferrico)

• Idrati o idrossidi (basi)

Derivano dai metalli e sono ottenuti dagli ossidi + acqua.

Nomenclatura: segue quella degli ossidi sostituendo alla parola “ossido” il termine “idrato” o “idrossido”.

Formula:si costruisce ponendo accanto al simbolo metallo tanti gruppi OH quanti ne indica il n.o. del metallo.

Es:idrossido di sodio:sodio, Na, n.o. +1 ⇒NaOH

idrossido ferrico:ferro, Fe, suffisso –ico ⇒ n.o. +3 ⇒ Fe(OH)3

idrato ferroso:ferro, Fe, suffisso –oso ⇒ n.o. +2⇒ Fe(OH)2

Ioni metallici e ioni positivi (cationi):

Formula: si pone vicino al simbolo dell’elemento tante cariche positive quante ne indica ii n.o.

Nomenclatura:Stessa nomenclatura degli ossidi o idrati premettendo la parola “ione”.

Es:ione remeico:Rame, Cu n.o. +1,+2; suffisso –ico ⇒ n.o. +2 ⇒ Cu2+

ione ferroso:ferro, Fe n.o. +2, +3; suff. –oso ⇒ n.o. +2 ⇒ Fe2+

Eccezioni:Parte della carica del catione è saturata da ossigeno che ha n.o. pari a –2, e pertanto annulla due cariche positive.

Nomenclatura:si utilizza il suffisso –ile.Tale suffisso si utilizza anche per ioni simili ma costituiti da elementi non metallici.Es:ione bismutile BiO+

ione nitrile NO2+

ione nitrosile NO+ (mantiene il suffisso –oso per indicare il basso n.o.)

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Ioni positivi ottenuti per addizione di protoni su elementi non metallici.Nomenclatura:si utilizza il suffisso –onioEs: ione ossonio H3O+

ione nitronio NH4+ (più noto come ammonio)

• Acidi ossigenati (o ossiacidi)

Derivano dagli elementi nei loro n.o. non metallici e sono formalmente ottenuti dalle anidridi + acqua.

Nomenclatura:Al nome dell’acido sono associati gli stessi suffissi e prefissi che caratterizzano l’anidride da cui deriva.

Formula:si costruisce addizionando alla formula dell’anidride gli atomi di una molecola d’acqua H2O, e scrivendo quindi l’idrogeno seguito dall’elemento e infine l’ossigeno.

Es:Acido solforico:zolfo, S n.o. +4, +6; suff. –ico ⇒ +6;anidride: S2O6 ⇒ SO3

SO3 + H2O ⇒ H2SO4

Acido ipobromoso:bromo, Br n.o. +1, +3, +5, +7; pref. –ipo suff. –oso ⇒ +1;anidride: Br2O

Br2O + H2O ⇒ H2Br2O2 ⇒ HBrO

Procedendo al contrario:H2CO3:n.o. O = -2, n.o. H = +1 ⇒ 2+(n.o. C)-6=0 ⇒ n.o. C = +4⇒ acido carbonico

HClO4:n.o. O = -2, n.o. H = +1 ⇒ 1+ (n.o. Cl) –8 = 0 ⇒ n.o. Cl = +7 ⇒ acido perclorico

• Composti binari con l’idrogeno:

- Idracidi:Gli elementi del VII gruppo e lo zolfo, nei loro n.o. negativi formano composti di natura acida.

Nomenclatura: si utilizza il suffisso –idrico.Es:acido fluoridrico: HF (n.o. F = -1)acido cloridrico: HCl (n.o. Cl = -1)acido solfidrico: H2S (n.o. S = -2)

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Gli acidi alogenidrici vengono anche detti alogenuri di idrogeno;l’acido solfidrico è detto anche idrogeno solforato o solfuro di idrogeno.

Idruri:Composti formati da metalli e dall’idrogeno nel n.o.-1.

Nomenclatura: si usano gli stessi suffissi degli ossidi.Es:idruro d’alluminio AlH3

idruro di litio LiHidruro ferrico FeH3 (suff.-ico ⇒ n.o.Fe+3)

Altri composti binari dell’H:Con elementi del V gruppo nel n.o. -3:NH3 ammoniacaPH3 fosfinaAsH3 arsinaSbH3 stibina

CH4 metanoSiH4 silanoBH3 borano (o idruro di boro)

• Radicali acidi e ioni negativi (anioni):

Ciò che resta di un acido una volta che questo ha perso gli atomi di H che possiede è un radicale acido.

Formula:al posto degli atomi di H si pongono in alto a destra altrettante cariche negative. Il numero di tali cariche rappresenta la valenza del radicale (dello ione).

Nomencletura:Si utilizzano diversi suffissi rispetto a quelli degli acidi corrispondenti:

suffisso acido: -oso suffisso ione: –itosuffisso acido: -ico suffisso ione: –atosuffisso acido: -idrico suffisso ione: –uro

Es: ioni degli acidi del cloro:acido cloridrico HCl Cl- ione cloruroacido ipocloroso HClO ClO- ione ipocloritoacido cloroso HClO2 ClO2

- ione cloritoacido clorico HClO3 ClO3

- ione cloratoacido perclorico HClO4 ClO4

- ione perclorato

La perdita parziale di ioni H+ da luogo a radicali ionici negativi, indicati con il prefisso idrogeno-.Es:

HSO4- ione idrogenosolfato

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• Sali:

In generale i sali si originano dalla reazione fra un metallo o un suo composto (ossido, idrossido) e un non metallo o un suo composto (anidride, acido). La reazione più comune è fra un idrossido ed un acido.

Nomenclatura:Il nome è formato dall’attributo del corrispondente radicale acido completo di prefissi e suffissi, seguito dal nome dello ione positivo con i suffissi –oso o –ico a seconda del n.o.Formula:Si scrive il simbolo dello ione positivo seguito dal simbolo del radicale acido. L’indice dell’uno è pari alla valenza dell’altro e viceversa. Se possibile si semplificano gli indici dividendoli per uno stesso numero.

Es:carbonato di alluminiocarbonio C, non metallo, suff. –ato ⇒ n.o. +4,anidride CO2, acido H2CO3, radicale CO3

2- (valenza 2)alluminio Al, metallo, n.o. +3ione Al3+ (valenza 3)⇒ Al2(CO3)3

perclorato rameico:cloro Cl, non metallo, per---ato ⇒ n.o.+7,anidride Cl2O7, acido HClO4, radicale ClO4

- (valenza 1)rame Cu, metallo, suff. -ico ⇒ n.o.+2,ione Cu2+ (valenza 2) ⇒ Cu(ClO4)2

Solfuro di nitrosile:zolfo S, non metallo, suff. –uro ⇒ n.o. –2,acido H2S, radicale S2- (valenza 2)ione nitrosile NO+ (valenza 1) ⇒ (NO)2S

• Sali doppi e sali tripli: derivano da radicali acidi nei quali la valenza è stata saturata da metalli diversi.

Nomenclatura:si usa la dicitura doppio o triplo a seconda del numero di metalli a cui il radicale acido si lega.Formula:si costruisce formando separatamente i sali semplici di ciascun metallo quindi sommando le formule e semplificando gli indici.Es:

carbonato doppio di sodio e potassio:carbonato di sodio ⇒ Na2CO3

carbonat di potassio ⇒ K2CO3

⇒ K2Na2(CO3)2 ⇒ KNaCO3

A volte la dicitura doppio si omette e si dice più semplicemente “carbonato di sodio e potassio”.

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• Sali acidi Nel caso in cui gli acidi non perdano tutti i propri atomi di idrogeno ma solo una parte nella formazione dello ione negativo il sale che ne origina viene detto sale acido.

Es:l’acido solforico può perdere sia entrambi gli atomi di idrogeno presenti nella sua struttura formando lo ione bivalente SO4

2-, sia uno solo formando invece lo ione monovalente HSO4-, detto

ione solfato acido.

Es: solfato acido manganosoione solfato acido, monovalente HSO4

-

Mn, metallo n.o. +2 Mn2+

⇒ Mn(HSO4)2

Particolarità:Per i sali acidi degli acidi carbonico, solforoso e solforico, rimane nell’uso corrente l’utilizzo del prefisso bi-.

Per cui:HCO3

- ione bicarbonatoHSO3

- ione bisolfitoHSO4

- ione bisolfato

• Particolarità:

Azoto:Nel numero di ossidazione –3 l’azoto forma con l’idrogenol’ammoniaca, NH3.

Cianuri: composto ternario di H, C e N: acido cianidrico HCN.

Da esso deriva il radicale acido monovalente CN-, ione cianuro, da cui derivano i rispettivi sali, i cianuri.

Es: cianuro ferrico Fe(CN)3

Fosforo:L’anidride fosforica, P2O5, in cui il fosforo ha n.o. +5, può formalmente addizionare 1, 2 o 3 molecole d’acqua; gli acidi che si formano, pur mantenendo tutti il suffisso –ico, prendono prefissi particolari che mantengono nei rispettivi sali.

P2O5 + 1H2O → HPO3 acido metafosforico + 2 H2O → H4P2O7acido parafosforico

+ 3 H2O → H3PO4 acido ortofosforico

L’acido ortofosforico è comunemente detto fosforico essendo il più importante e il più comune fra i tre.

Simili comportamenti sono propri anche di altri elementi fra cui l’arsenico e lo iodio

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Nomenclatura IUPACLa nomenclatura chimica moderna fa riferimento ad un organismo internazionale, l’INTERNATIONAL UNION OF PURE AND APPLIED CHEMISTY (IUPAC);

COMPOSTI IONICI Il nome dei composti ionici si basa sui nomi degli ioni che li compongono

Cationi monoatomici Si scrivendo il nome dell’elemento seguito da un numero romano fra parentesi che ne indica la valenza

Fe2+= ione ferro (II) Cu+= ione Rame (I)

Fe3+= ione ferro (III) Cu++= ione Rame (II)

I cationi poliatomici hanno nomenclatura complessa. E’ comune incontrare gli ioni H3O+= ione idrossonio e NH4

+= ione ammonio.

Anioni monoatomici Sono più comunemente formati tra elementi non metallici. Si indicano dando il suffisso – uro alla radice del nome dell’elemento, con eccezione dell’ossigeno, per il quale viene usato la parola OSSIDO.

H- ione idruro O2-ione ossidoF- ione fluoruro S2-ione solfuro

Anioni poliatomici si indicano dando il suffisso – ato alla radice del nome dell’atomo centrale, specificandone il numero di ossidazione e il tipo e numero degli atomi legati ad esso.

PF2O2- = ione difluoro diossifosfato(V)

Molti anioni poliatomici contengono ossigeno . Quando un elemento come lo Zolfo S può formare più di un ossiazione, si deve indicare il numero di atomi di ossigeno; quando si possono avere solo 2 ossianioni, il nome di quello che ne contiene di più prende il suffisso – ATO e quello che ne contiene meno, il suffisso- ITO

NO-2ione nitrito SO2-

3 ione solfitoNO3 ione nitrato SO2-

4 ione solfato

Quando si possono formare più di due ossiacidi, come nel caso degli ALOGENI si usano i prefissi – IPO (meno ossigeno) e – PER (più ossigeno).

ClO- ione ipocloritoClO-

2 ione cloritoClO3

- ione cloratoClO4

- ione perclorato

Molti anioni poliatomici possono annettere uno o più ioni H+- Si può usare il prefisso IDROGENO,

DIIDROGENO…..oppure utilizzare il prefisso –BI: HCO3

- ione idrogenerato oppure bicarbonatoHSO-

4 ione idrogenosolfato oppure bisolfatoH2PO-

4ione di idrogeno fosfato

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ACIDIUn acido può essere definito come una sostanza la cui molecola rilascia uno o più atomi di idrogeno quando disciolta in acqua. La formula di un acido può ottenersi addizionando un numero sufficiente di ioni H+ per bilanciare la carica negativa dell’amione.

Uno schema delle regole di nomenclatura per gli acidi e riportato di seguito:

Esempi

Cl- HCl Ione cloruro acido cloridrico

S2- H2S Ione solfuro acido solfidrico Cl O- H Cl O Ione ipoclorito acido ipocloroso

Cl O2- H Cl O2

Ione clorito acido cloroso Cl O3

- H Cl O3

Ione clorato acido clorico Cl O-

4 H Cl O4

Ione perclorato acido perclorico

-uro

ANIONE

-IDRICO

ACIDO+H+

PER -ATO PER -ICO+H+

-ATO -ICO+H+

-ITO -OSO+H+

IPO -ITO IPO -OSO+H+

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ELEMENTI DI CHIMICA ORGANICALa CHIMICA ORGANICA si occupa di tutti quei composti aventi una struttura di base di ATOMI DI CARBONIO legati SEMPRE ad ATOMI D IDROGENO e spesso ad atomi di altri elementi, soprattutto OSSIGENO, AZOTO e, in misura minore ZOLFO e FOSFORO.Esiste una grandissima varietà di composti organici e questo perché:1. L’atomo di carbonio è tetravalente, ha un piccolo raggio atomico e non è molto elettronegativo. Ciò permette la

formazione di QUATTRO LEGAMI COVALENTI stabili C - C estesi anche a catene, con enorme varietà di combinazioni;

2. È possibile l’esistenza di più ISOMERI, cioè composti con la stessa formula bruta ma diversa disposizione spaziale ( e quindi diverse proprietà chimiche );

Nei composti organici le forze tra molecole possono essere:1. Legami di van der Waals ( molecole apolari o poco polari, ad es. idrocarburi);2. Legami dipolo – dipolo ( molecole polari, ad es. aldeidi e chetoni);3. Legami a idrogeno ( ad. es. alcoli ).A causa di questi deboli legami, i composti organici hanno alta tensione di vapore ( odorano intensamente) e BASSO PUNTO DI EBOLLIZIONE . Portati ad alta temperatura in presenza di aria bruciano a dare CO2 + H2O, in assenza di aria si decompongono.I composti organici si rappresentano mediante la FORMULA DI STRUTTURA, che evidenzia tutti i legami fra gli atomi di una molecola o mediante la FORMULA RAZIONALE , nella quale si evidenziano soltanto i legami C – C o C – etereoatomo.

L’isomeria può presentarsi come diverse possibilità di formula razionale (isomeria di struttura o di posizione) o, pur avendo la stessa formula razionale, come diversa posizione relativa nello spazio (isomeria spaziale o stereoisomeria)

Ad es.

H H H – C – C – H H Hformula di struttura

CH3 – CH3

formula razionale

CH3 – CH2 – CH2 – CH3 normal - butanoC4H10

CH3 – CH – CH3 iso butano

CH3Diversa disposizione degli atomi di C

Diversa collocazione dei sostituenti

CH3- CH2-CH2-Cl 1- cloropropanoC3H7Cl

CH3-CH-CH3 2- cloroprapano

Cl

Diversa natura dei gruppi funzionali ( Gli isomeri sono composti in chimici completamente diversi )

CH3 –O-CH3 etere dimetilicoC2H6O

CH3- CH2-OH alcol etilico

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CLASSIFICAZIONE DEI COMPOSTI ORGANICI

Classificazione generale in base alla FORMA DELLA MOLECOLA :1. COMPOSTI ALIFATICI, con molecola formata da una catena lineare o ramificata di atomi di carbonio o da una

catena chiusa ad anello( ma non benzinico) ( alifatici ciclici);2. COMPOSTI AROMATICI, con una o più struttura ad anello benzenico :3. COMPOSTI ETEROCICLICI, con presente un anello formato oltre che dal carbonio, da altri atomi ( ossigeno,

azoto, zolfo ).

Classificazione più sistematica in base alla presenza di uno o più gruppi funzionali che consistono in raggruppamenti di atomi che per natura e tipo legame che li unisce conferiscono alle molecole organiche peculiari caratteristiche chimico – fisiche, vedi tabella.

REAZIONI ORGANICHEIl sito reattivo di una molecola organica è generalmente situato in corrispondenza del gruppo funzionale. Le reazioni avvengono con la rottura di legami covalenti con formazione di specie INTERMEDIE ( RADICALI O IONI ) delle quali si forma poi il prodotto finale.Nelle REAZIONI RADICALICHE le specie intermedie sono RADICALI ,ossia specie chimiche aventi un elettrone spaiato ( nella rottura del legame ciascuna specie trattiene un elettrone):

Quando le coppie di elettroni di legame viene trattenuta da una delle specie si hanno le REAZIONI IONICHE.

Sono detti NUCLEOFILI i reagenti donatori di elettroni, cioè:a) Gli ioni negativi ( OH-, Cl-, Br-, CN-, RO-, carboanioni, dove R è un radicale alchilico, cioè il residuo delle

molecole di un idrocarburo privata di un atomo di idrogeno);b) Gruppi atomici con doppietti elettronici liberi (H2O, NH3)i reagenti nucleofili reagiscono con il sito di una specie chimica in cui vi è un atomo corrente di elettroni ( sito elettrofilo )Sono detti ELETTROFILI i reagenti accettori di elettroni e cioè ioni positivi ( H+, H3O+, NO2

+, R+, carbocationi), che reagiscono con atomi ricchi di elettroni ( siti nucleofili ).I reagenti nucleofili sono riducenti, gli elettrofili ossidanti.Le reazioni organiche più comuni sono:

NucleofilaREAZIONI DISOSTITUZIONE

sito elettrofilo

sito nucleofilo

Elettrofila

CH3 : CH3 → CH3 . +CH3 .

etano radicali metilici

_ _ CH3 : CH3 → CH3 : + CH3

etano carbonione carbocatione

C

H

H

H

... Cl+OH- CH3OH +Cl -

δ+

δ-

+NO2 +

H

+H+

NO2

reagentenucleofilo gruppo uscente

nucleofilo

Reagente elettrofilo

Gruppo uscenteelettrofilo

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REAZIONI DI tipiche dei compostiADDIZIONE a doppio o triplo legame

REAZIONI DI si forma un legameELIMINAZIONE insaturo per eliminazione

Di atomi legati a due C adiacenti

REAZIONI DI un agente ossidante ossida OSSIDAZIONE ( riducendosi ) l’atomo di C

IDROCARBURIGli idrocarburi sono composti organici BINARI contenenti ATOMI DI CARBONIO E IDROGENO. Si suddividono in: Idrocarburi alifatici , che comprendono tutti i composti che non contengono anelli benzenici. Possono essere A

CATENA APERTA ( lineare o ramificata) o CHIUSA ad anello. Si possono distinguere inoltre in SATURI o INSATURI, a seconda che contengano, rispettivamente, solo LEGAMI SEMPLICI, oppure anche DOPPI O TRIPLI LEGAMI;

Idrocarburi aromatici , con un solo ( monociclici ) o più ( policiclici )anelli benzenici.

C = C + HBr C C

H

Br

idrocarburi

alifatici

aromatici

A catena aperta

a catenachiusa

insaturi

saturi alcani

alcheni

alchini

alcadieni

saturi

insaturi

cicloalcani

cicloalcheni

monociclici

policiclici

C C -H2O C = C

C C C CO

H

O

OH

oxred

n.o.+1 n.o.+3C C H C C OH

H n.o.-3 H n.o.-1oxred

H H

157

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Gli idrocarburi sono insolubili in solventi polari e molto solubili in soluzioni apolari ( C Cl4, etere ) . Le fonti principali sono il carbon fossile, il gas naturale ( CH4) e soprattutto il petrolio.,Secondo la nomenclatura IUPAC si seguono le seguenti regole:1. Si numera la sequenza più lunga di atomi di carbonio e si dà il nome in base al numero di atomi di carbonio. Si

inizia la numerazione in modo che la posizione dei sostituenti ( radicali alchilici, gruppi funzionali, catene laterali ) siano indicati con i numeri più bassi possibile

2. I radicali presenti nella catena vanno nominati in ordine crescente alla loro complessità e per ogni radicale si specifica la posizione del C al quale è legato

3. Se un radicale si ripete più volte , si indicano le rispettive posizioni e si antepone al suo nome il prefisso di – tri, -

tetra, - ecc.

IDROCARBURI A CATENA APERTASi distinguono in quattro gruppi di composti:1.ALCANI (o PARAFFINE). Possiedono tutti gli atomi di C nello stato di ibridizzazione Sp3, sono quindi IDROCARBURI SATURI e stabiliscono legami semplici di tipo δ , C – C e C – H. Hanno formula generale :

Normativa IUPAC: anno desinenza – ano. A parte i primi quattro ( metano, etano, propano, butano ) hanno un prefisso numerale greco o romano ( pent – ano, es – ano, ept – ano, ott – ano, han – ano, dec – ano ). Per asegnare il nome agli isoneri si considera il radicale alchilico, che prende il nome dall’alcano corrispondente sostituendo – ano con - ile ( CH3 = rad. Metile, CH3 – CH2 – CH2 = rad. Butile ).

2.ALCHENI (OLEFINE). Sono idrocarburi INSATURI per la presenza di un DOPPIO LEGAME ibridizzazione sp2 ). Hanno formula generale :

Norme IUPAC. Come per gli alcani sostituendo però la desinenza - ano con – ene e identificando con un numero il primo atomo di carbonio interessato dal doppio legame

CH ← radicale metile CH3 – CH – CH2 – CH3 ← la sequenza di atomi di C 1 2 3 4 corrisponde al butano

CH3

| CH3 – CH – CH2 – CH3

2 metilbutano 2- metil -butano

CH3 CH3

| CH3 – CH – CH - CH2 – CH3 2,3 dimetilpentano

Cn H2n+2

Cn H2n

CH2 = CH2 CH2 = CH-CH2-CH3

et – ene 1 – butene (etilene ) (butilene )

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Gli alcheni si possono preparare per varie vie a partire da composti saturi ( eliminazione di H2O da un alcol, eliminazione di idracido da alogenuro alchilico ). Le reazioni tipiche degli alcheni sono quelle di addizione elettrofica al doppio legame, in cui un alchene, in opportune condizioni di T, P, catalizzatore radicalico, polinarizza con formazione di una macromolecola ( polimero )

3. ALCHINI Sono idrocarburi INSATURI per la presenza un TRIPLO LEGAME ( ibridizzazione sp ). Hanno formula generale

I loro nomi si ottengono aggiungendo al nome dei corrispondenti alcani la desinenza – inoCH≡CH CH≡C-CH-CH3

etino 1-butino(etilene)

4. ALCADIENI (DIENI)Sono idrocarburi INSATURI caratterizzati dalla presenza di due DOPPI LEGAMI . Hanno formula generale

Il nome viene assegnato sostituendo la desinenza - ene degli alcheni e indicando con numeri le posizioni dei doppi legami

CH2=CH-CH=CH2

1,3 butadiene 2 –metil 1,3 - butadiene(isoprene)

IDROCARBURI ALICICLICISono idrocarburi alifatici con CATENA CHIUSA AD ANELLO , il cui nome deriva dall’idrocarburo a catena aperta preceduto dal prefisso - ciclo:CICLOALCANI, formula CnH2n

CICLOALCHENI, formula CnH2n-2

CICLOALCHINI, formula CnH2n-4

IDROCARBURI AROMATICI (ARENI)Composti organici contenenti uno o più ANELLI BENZENICI .Il capostipite è il BENZENE C6 H6

oppure (il cerhio simboleggia la

delocalizzazione dei 6

elettroni)

Per la nomenclatura si antepone al termine BENZENE un prefisso che specifica la natura del sostituente. Molto spesso però si ricorre a nomi tradizionali.

catalizz.NCH2 = CH2 ( -CH2 – CH2 - )n

etene politene ( polietilene )

CnH2n-2

CnH2n-2

CH3 CH2=C-CH=CH2

H

H

H

H

H

H

H

H

H

H

H

H

159

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metil –benzene o-dimetilbenzene m-dimetilbenzene p-dimetil benzene( talnene) (o-xilene) (m-xilene) (p-xilene)

etenil benzene naftalene(stirene) ( naftalina)

ALCOLI . Possono contenere uno (mono valenti ) o più ( polivalenti) gruppi - OH legati ad altrettanti atomi di carbonio . Gli alcoli monovalenti sono PRIMARI, SECONDARI, TERZIARI a seconda che il gruppo – OH sia legato rispettivamente ad un carbonio primario, secondario, terziario. La nomenclatura prevede la desinenza – olo preceduta dal nome dell’idrocarburo corrispondente.

La presenza del gruppo – OH fa si che le molecole degli alcoli possano legarsi tra loro con legami a idrogeno. Sono pertanto liquidi e solubili in H2O, perchè prevale la porta polare della molecola( ossidrile) sulla porta non polare( catena idrocarburica).Il capostipite il FENOLO di formula C6H5OH Sono composti solidi, solubili in solventi organici. Usati per la preparazione dei coloranti

fenolo ( idrossibenzene

ETERI Sono caratterizzati dalla presenza di un atomo di ossigeno legato a due radicali R – O – R ( uguali o diversi ). Sono liquidi molto valatili.

ALDEIDI E CHETONI Sono classi di composti caratterizzati dalla presenza del gruppo funzionale C≡O( carbonile). Nelle aldeidi il carbonile è legato a un idrogeno e al carbonio di un radicale alchilico R (o arilico -Ar ), nei chetoni il carbonile è legato a due atomi di carbonio di gruppi alchilici ( o arilici )

CH3

CH3 OH CH3 – CH OH - CH3 CH3 – COH –CH3

metanolo 2 propanolo 2 metil 2 propanolo(alcol metilico) (alcol isopropilico) (isobutanolo)alcol primario alcol secondario alcol terziario

OH

C = O

H

R

C = O

R'

R

CH3 CH3CH3

CH

CH

CH

3

3

3CH3

CH=CH2

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Aldeidi chetoni

Per le aldeidi il nome si ottiene aggiungendo al nome dell’idrocarburo corrispondente la desinenza – ale (HCHO – metanolo o aldeide formica , disinfettante in soluzione acquosa si chiama FORMALINA).Per i chetoni si aggiunge la desinenza - one ( CH3 – CO – CH3 propanone o anche ACETONE, usato come solvente ).

ACIDI CARBOSSILICIContengono il gruppo funzionale CARBOFOSSILE legato a una catena alifatica oppure al C dell’anello benzenico (acidi carbonilici aromatici).

Gruppo carbonileGruppo carbossile

Il nome si ottiene aggiungendo al nome dell’idrocarburo corrispondente la desinenza - oico e facendo precedere il termine della parola acido

Gli acidi carbossilici solubili, si dissociano debolmente in soluzione acquosa dando ioni H3 O+. Aumentando il numero di C diminuisce la solubilità. Gli acidi con più di 4 atomi di carbonio si dicono ACIDI GRASSI ( i loro esteri con il glicerolo, noto come TRIGLICERIDI, sono costituenti dei grassi animali e vegetali )Come derivati dagli acidi carbossilici si ricordano gli ESTERI di formula generale:

Che si ottengono per reazione tra un acido carbossilico e un alcol in ambiente acido:

C

OH

O

COH

OCH3

COH

O

R CO

OR'161

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Il gruppo funzionale di queste classi di composti è –CO-O- e il loro nome si ottiene sostituendo alla desinenza dell’acido la desinenza – ato e aggiungendo il nome del radicale alchilico legato all’ossigeno

CH3-CO-O-CH2-CH3

acetato di etile benzoato di etile( etanoato di etile )

Gli esteri del glicerolo ( alcol trivalente) con acidi grassi si chiamano come prima detto TRIGLICERIDI

AMMINE Le ammine si possono considerare derivata dall’ammoniaca per sostituzione di uno ( ammine primarie ) due (secondarie) o tre (terziarie) atomi di idrogeno con radicali alchilici o ariliciCH3NH2 CH3NHC2H5

COMPOSTI POLI FUNZIONALI Sono composti organici nella cui molecola sono presenti due funzioni . Negli AMMINOACIDI è presente un gruppo amminico e un gruppo carbossilico Negli idrossidi acidi è presente un gruppo amminico e un gruppo carbossilico . Negli idrossiacidi è presente un gruppo – OH e un gruppo – COOH. Nelle ossialdeidi e ossichetoni, oltre al gruppo carbonilico C=O sono presenti uno o più gruppi – OH( zuccheri ).

R CO

OH+HO R'

H2SO4R C R'+H2O

CO O CH3

NH2

162