Manitese n.477 - mar/apr 2012

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.manitese.it/periodico–manitese DOSSIER Periodico di Mani Tese, organismo cono la fame e per lo sviluppo dei popoli. anno XLVIII | marzo - aprile 2012 477 Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali. Wansokou, una storia di successo Il nostro turo è nella vostra storia

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Magazine of the italian ngo Mani Tese. NUmber issue "history".

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Wansokou,una storia

di successo

Il nostro futuro è nella vostra storia

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Il nostro futuro è nella vostra storia

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di luigi idili, presidente di mani tese

indice6 Le domande sulla crisi: l'esperto risponde

8 Cambogia: condizione femminile

e lotta al trafficking

10 La realtà delle crisi globali

sulla vita delle donne

12 Lezione di storia

14 Marciamo per il diritto al cibo

dossier15 Wansokou, una storia di successo

19 Guinea Bissau e Senegal

20 Chi si fida delle ONG?

22 Corte Europea Diritti Umani & Immigrazione

24 Le parole della crisi a scuola

26 Il mio servizio civile

27 I regali solidali

progetti28 Diritti umani, sicurezza alimentare

e donne Maya

29 Tante iniziative per lo sviluppo

integrato dei tribali

30 La comunità Khumi ha ripreso a sorridere

periodico in pdfPer ricevere il periodico in

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nostra impronta ecologica

quotidiana.

redazioneLuigi Idili (dir.)

Luca Manes (dir. resp.)

Chiara Cecotti

Angela Comelli

Alberto Corbino

Giosuè De Salvo

Elias Gerovasi

Elena Iannone

Giovanni Mozzi

Giacomo Petitti

Lucy Tattoli

contributiChiara Cattaneo

Clara Castellucci

Nicoletta Dentico

Morena Mascarello

Giovanni Sartor

Stefano Squarcina

Giovanna Tedesco

Luca Tommasini

stampaStaff S.r.l. -

Buccinasco (MI)

grafica

Riccardo Zanzi

sedeP.le Gambara 7/9,

20146 Milano

Tel. 02 40 75 165

[email protected]

www.manitese.it

periodico maniteseRegistrazione al ROC (Registro

operatori di comunicazione) al n.154

Registrazione al Tribunale di Milano

n. 6742 del 28 Dicembre 1964.

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Cari Amici, ben ritrovati.In questo nuovo numero del periodico Mani Tese vi racconteremo una bella storia, uno di quei racconti che suscita emozioni e infonde coraggio. Vogliamo infatti festeggiare il compleanno di un progetto voluto soprattutto da Voi donatori, che avete negli anni sostenuto il progetto Wansokou. È il racconto della nascita di una delle prime scuole di Mani Tese in una delle comunità più povere del Benin. Quest'anno ricorre a Wansokou il 25° anno di attività e poter affermare che più di 5.000 studenti hanno beneficiato della scuola ci rende orgogliosi: questi ragazzi hanno potuto studiare e disegnare il proprio futuro in Africa. Le scelte di Mani Tese partono da lontano, come questo progetto, da quando, negli anni '70, abbiamo coniato lo slogan “Contro la fame, cambia la vita”, per far comprendere come i compor-tamenti dei consumatori nel Nord del mondo influiscono sullo sviluppo dei popoli nel Sud.Quest'anno, aggiorniamo il tema con la

“Marcia per la sovranità alimentare”, che riporterà Mani Tese a guardare alla società civile, agli insegnanti, alle scuo-le, agli enti locali e ai volontari per dif-fondere il messaggio che occorre ridare sovranità ai popoli e consapevolezza al consumatore sulle scelte alimentari. Un messaggio che contiene speranza ma anche la spinta a un difficile cambiamen-to, per farla finita con la fame ma anche con la cattiva alimentazione. Il sistema alimentare mondiale sta fallendo: l'incremento della lavorazione industriale degli alimenti, il disinvesti-

mento dalle piccole e medie aziende agricole e la sovrapproduzione di derra-te sovvenzionate come il granturco e la soia, ci hanno lasciato fame dove il cibo non arriva o non può essere acquistato, e obesità dove il cibo viene sottoposto in larga misura a lavorazioni industriali e manca di elementi nutritivi. Ricor-diamo allora la storia non per voglia di celebrazione ma per riflettere sul futuro. I nostri progetti di cooperazione costru-iscono infatti ancora oggi, come 30 anni fa, legami forti con la terra e le comunità dove Mani Tese opera. Dai progetti e dalla collaborazione con i partners locali, nascono le idee, molle per altre azioni, il coraggio per affrontare nuove sfide. In uno scenario mondiale critico, dove la cooperazione internazionale è già in crisi da un pezzo, vogliamo stringere alleanze ancora più forti con i nostri partner locali, per rafforzare le reti internazionali su un piano di parità e di vera cooperazione tra uguali, per agire insieme politicamente. I cambiamenti necessari non possono avvenire senza cambiare di pari passo la nostra perce-zione e quella di voi sostenitori che con il vostro contributo sostenete i progetti di cooperazione e le nostre azioni poli-tiche. La lotta contro la miseria e contro lo sfruttamento non è fatta di assistenza e aiuto, ma di battaglie comuni per i diritti e la giustizia sociale nel Sud e nel Nord del mondo.

La nostra storia

Luigi Idili, presidente di Mani Tese

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il nostro futuro è nella vostra storia | istantanea di luca tommasini4

Il tratto iniziale del Rio Baker, nel cuore della patagonia cilena, dove l'Enel tramite la sua controllata Endesa ha intenzione di costruire una delle cinque mega dighe pre-viste dal progetto Hidroaysen

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6 il nostro futuro è nella vostra storia | rubriche

a cura di luca manes, campagna per la riforma della banca mondiale

FINAN

zA e pOlItICA

Perché un giorno ci dicono che i nostri fondamentali eco-nomici sono buoni e l'indomani che la situazione è grave e rischia di tracollare?

L'equilibrio della sostenibilità di un debito dipende da molte variabili. Il rapporto de-bito/PIL scende (e quindi il debito diventa solvibile e il paese si allontana dal rischio fallimento) se aumenta la differenza tra entrate e uscite, se aumenta l'inflazione (il debito è fissato in valore nominale e l'impennata dell'inflazione aumenta gli introiti fiscali di un paese incrementando le proprie capacità di pagamento), se si riduce il costo a cui il debito si rifinanzia e se aumenta la crescita del paese. La penultima variabile è decisiva. Basta che arrivino notizie negative su altri fattori (per esempio il paese va in recessione) che gli investitori iniziano a dubitare della solvibilità, riducendo la domanda di titoli. Se la domanda scende, il rendimento dei titoli sale e con esso il costo del debito. Questo perché se mi fido meno di un paese, chiedo un rendimento più alto per essere compensato dal rischio di comprarmi i suoi titoli. O, visto dalla parte opposta, lo Stato italiano deve offrire rendimenti più alti per convincere gli investitori a comprare il suo debito. Così il costo del debito o il rendimento dei titoli pubblici fa peggiorare la solvibilità del paese. In un certo senso le predizioni negative dei pessimisti in questo modo hanno la forza per autorea-lizzarsi se portano a una crescita costante del costo del debito. Data la delicatezza della condizione di solvibilità, ogni piccola notizia può spostare l'equilibrio.

Perché il rapporto debito/PIL giapponese è doppio del nostro e tutti ce l'hanno con i nostri BTP?

Questo è un punto chiave. Il debito giapponese è quasi interamente finanziato dai giapponesi stessi, mentre nel caso italiano il 45% del debito è nelle mani degli investitori stranieri. Il “contratto sociale

implicito” è ben diverso. Gli investitori stranieri guardano solo al rendimento del titolo e al rischio che il debitore non paghi. Non deriva alcun beneficio dalla spesa pubblica del paese che emette i titoli. Per gli investitori nazionali il ragionamento è diverso. Essi sono beneficiari di quella spesa pubblica che genera il debito in ter-mini di beni e servizi e subirebbero inoltre molte altre conseguenze negative, oltre al non ripagamento del prestito, nel caso in cui il proprio paese fallisca. Ecco perché gli acquirenti nazionali dei debiti pubblici sono molto più pazienti e più tolleranti nei confronti della crescita del debito.

Perché il sistema di calcolo del rapporto debito/PIL tede-sco è addomesticato? Se fosse calcolato come il nostro, anche la Germania non se la passerebbe benissimo, perché allora i nostri titoli non li vuole nessuno?

Ci sono molte discussioni sul fatto che in Germania e negli Stati Uniti i debiti di im-portanti imprese a partecipazione statale fuori dal bilancio pubblico, ma di fatto ga-rantite al 100 percento dallo Stato, non so-no contabilizzati nel debito pubblico come succede da noi. Con essi il debito tedesco salirebbe circa al 100 percento. Anche in questo caso però la sostenibilità del debito tedesco apparirebbe maggiore della nostra per la reputazione migliore di cui gode la Germania in termini di disciplina fiscale e di capacità di crescere, come dimostrato nel corso degli ultimi decenni.

Perché il volume di transazioni finanziarie è diverse volte quello del valore delle materie prime scambiate?

Il volume delle transazioni finanziarie è arrivato fino a 16 volte il PIL mondiale ed è sceso a 14 dopo la crisi finanziaria globale. L'aumento del volume è dovuto all'esplosione dei derivati, in particolare quelli over the counter, ovvero scambiati informalmente dalle controparti non su mercati regolamentati. I derivati non

Le domande sulla crisi: l'esperto risponde

Tre dei libri pubblicati da Leonardo Becchetti:

"Felicità sostenibile" –ed. Donzelli–, "Il denaro fa la

felicità? –ed. Laterza– e "Il microcredito"

–ed. Il Mulino–.

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sono un male in sé, il problema è il loro utilizzo. Nascono infatti come strumenti assicurativi contro rischi e in questo senso aiutano le persone a investire. La decisione di una banca italiana di fare un prestito a un'istituzione di microfinanza che lavora negli slum di Nairobi per favorire l'espan-sione della sua attività è frenata dal fatto che, se il cambio dello scellino kenyano si svalutasse del 40-50 percento per una crisi politica o economica, chi riceve il prestito dovrebbe pagare un interesse del 40-50 percento. Se ci fosse uno strumento di copertura dal rischio-cambio questo aiuterebbe l'operazione. Il problema è che i derivati non sono più usati prevalente-mente per motivi di copertura, ma per fare speculazioni. Se fossero usati per motivi di copertura, il loro valore dovrebbe essere più o meno equivalente a quello delle attività assicurate. Invece sono un multiplo molto più elevato. Nell'economia reale compro una polizza per assicurarmi dal rischio di furto contro la mia auto. Nei mer-cati finanziari invece moltissimi operatori anonimi comprano una polizza sul furto della mia auto sperando che la probabilità che me la rubino aumenti in modo tale da poter rivendere la polizza a prezzi più alti. In questo modo senza accorgersene si finisce per sperare che succedano catastro-fi, che paesi falliscano, che inizino guerre e, ultimamente, con strumenti come i

“bond della morte”, che anziani poveri che hanno venduto le proprie polizze sulla vita per tirare avanti muoiano in modo tale da intascare il premio.

Perché e a quali condizioni la Tobin Tax, o tassa sulle transazioni finanziarie, nella forma attualmente promos-sa può funzionare?

La tassa sulle transazioni finanziarie è un primo importante passo nella giusta direzione. È altresì vero che per raggiun-gere pienamente l'obiettivo di scongiurare crisi finanziarie come quella del 2007, c'è

bisogno di interventi ancora più energici, come il divieto alle banche commerciali di fare trading proprietario mettendo a rischio i soldi dei depositanti a loro insapu-ta. L'obiettivo della tassa è proprio quello di scoraggiare l'uso speculativo rispetto all'utilizzo di copertura ad esempio dei derivati. Chi li compra non per assicurarsi opera con moltissime operazioni a breve (il cosiddetto trading ad alta frequenza). Tassare le transazioni avrebbe costi molto elevati per questo tipo di operazioni, ma molto più contenuti per chi compra l'atti-vità finanziaria e la tiene. Un'obiezione alla tassa è che essa non è praticabile se non a livello globale, perché imporla in un solo paese farebbe fuggire i capitali. Quest'o-biezione è falsa perché esistono ad oggi, come documenta una ricerca del Fondo Monetario, ben 23 paesi che applicano unilateralmente la tassa senza che si sia verificata una massiccia fuga di capitali. Il paese con la tassa più alta è il Regno Unito, che prevede una tassa del 5 per mille sui possessori di azioni quotate alla borsa di Londra. La tassa consente di raccogliere circa 3-5 miliardi di sterline al'anno. Per via di tale evidenza, la proposta franco-tedesca di introduzione della tassa parla correttamente di “armonizzazione” a livello europeo delle tasse sulle transazioni finanziarie e non di loro introduzione. È questo il motivo per il quale la Francia intanto ha deciso di andare avanti da sola approvandola unilateralmente. Un'altra obiezione sollevata recentemente è che la tassa aumenterebbe di molto i costi per le banche e i fondi pensione. Ma proprio portando avanti questa argomentazione i loro sostenitori confermano che è impor-tante applicare questa tassa. Se l'attuale modo di gestire banche e fondi pensione in modo molto rischioso e speculativo fosse scoraggiato dalla tassa, avremmo ottenuto un risultato importante e reso più stabile sia il sistema che i risparmi dei cittadini.

Leonardo Becchetti è professore ordinario di economia politica presso la facoltà di Economia dell'Università di Roma “Tor Vergata”. Ha pubblicato circa duecentodieci lavori tra articoli su riviste internazionali e nazionali, volumi, contributi a volumi, quaderni di ricerca. È autore di numerosi saggi tra i quali “Felicità sostenibile” edito da Donzelli e “Il denaro fa la felicità?” edito da Laterza. I suoi temi di ricerca sono quelli della finanza, microfinanza, commercio equo e solidale, responsabilità sociale d'impresa, rapporto banca-impresa, sviluppo economico ed economia della felicità. Ha un blog su Repubblica.it intitolato “Felicità Sostenibile”.

L'economista, direttore di benecomune.net, Leonardo Becchetti

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il nostro futuro è nella vostra storia | progetti8

fai la differenza

di chiara cattaneo, responsabile asia mani tese

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Indice di disuguaglianza di genere, indice sulla parità di genere, indice di empower-ment di genere, indice di occupazione femminile, percentuale di rappresentanza politica femminile…Non mancano i tentativi di racchiudere nei confini netti di un'indagine statistica la multiforme realtà della condizione femminile nel mondo. Pensare di poter catalogare infiniti universi in una provetta da laboratorio è un'impresa ammirabile, ma in qualche modo vana. Meglio perdersi allora nell'osservazione di contesti specifici, per coglierne le peculiarità. La Cambogia è un Paese giovane, ma nella peggiore delle accezioni. L'immensa tragedia del regime di Pol Pot, consumata-si alla fine degli anni '70 mentre il mondo girava le spalle per non essere costretto a intervenire, ha falcidiato un'intera gene-razione, al punto che oggi meno del 4% della popolazione ha oltre 65 anni (contro il 20% dell'Italia). Le donne si ritrovano intrappolate tra l'iconografia tradizionale delle apsara, le danzatrici celesti scolpite nei bassorilievi dei templi di Angkor Wat, e un immaginario moderno e per molti versi rivoluzionario. Le mutate condizioni storiche hanno portato le donne ad assumere ruoli sempre più determinanti, anche dal punto di vista economico, ma a questa accresciuta importanza non sempre corrisponde un riconoscimento pubblico e sociale, né una nuova consapevolezza da parte delle donne stesse del proprio nuovo ruolo famigliare e sociale. Anche le ambizioni personali delle donne sono cambiate. La televisio-ne, il turismo di massa, la crescente urbanizzazione, mutati modelli sociali e famigliari portano le giovani donne a coltivare sogni e desideri diversi da quelli delle loro madri. Sempre più di frequente le famiglie sono costrette ad abbandonare le cam-

pagne impoverite dove è difficile strappare alla terra raccolti abbondanti e riuscire a vivere dignitosamente, e migrano piene di speranze verso le città cambogiane, alcuni addirittura con lo sguardo rivolto ancora più in là, verso l'apparentemente ricca e sviluppata Tailandia. Queste speranze spesso si infrangono già alle periferie dei grandi centri urbani, quando i migranti si rendono conto che le opportunità a loro disposizione sono esigue, i guadagni miseri e le tentazioni copiose. Accade così che spesso siano gli uomini ad andarsene per primi, fisicamente, abbandonando moglie e figli al loro destino, o ritraendosi lentamente in una spirale di dipendenze e abusi. Le donne, rimaste sole, diventa-no le uniche artefici del proprio destino e di quello, prezioso, dei loro figli, in un mondo difficile da decodificare con gli strumenti che hanno a loro disposizione. Inoltre, come accade in qualunque altra parte del mondo odierno, nasce e cresce la percezione di accresciuti bisogni materiali,

anche effimeri e non essenziali, che a volte prevale su altre considerazioni, anche di carattere morale. È in questo nuovo e misconosciuto ruolo di capofamiglia che le donne cambogiane si trovano sempre più spesso a dover fare scelte estreme e a correre rischi altrettanto imponenti. La Cambogia è un paese di partenza, transito e destinazione per le vittime del trafficking, definito come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o accogliere persone; mediante l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di qualsi-asi altra forma di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere sfruttando una posizione di vulnerabilità (…); a scopo di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, schiavitù o pratiche analoghe,

Cambogia: condizione femminile e lotta al trafficking

Foto di Sergio Grande

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La Cambogia è un paese di partenza, transito e

destinazione per le vittime del trafficking

Per sostenere i progetti avviati in Cambogia: www.manitese.it/progetti

servitù o prelievo degli organi” (Protocollo di Palermo, 2000).Sono le donne, insieme ai bambini, ad essere maggiormente esposte a questo pericolo. Sebbene sia difficile quantificare un fenomeno così sotterraneo, la Cambo-gia, così come l'intero sudest asiatico, è fortemente interessata dal trafficking, una vera e propria industria che ogni anno risucchia oltre 2 milioni e mezzo di vittime, generando profitti per oltre 32 miliardi di dollari. Le donne vittime di trafficking finiscono generalmente nell'industria dello sfruttamento sessuale e del lavoro forzato nelle industrie locali; una percentuale minore viene impiegata presso le case delle famiglie benestanti in condizioni di schiavitù. Anche i bambini vengono traf-ficati per lo sfruttamento sessuale, e molti vengono costretti a mendicare per le strade, o a lavorare come venditori.La terribile verità è che spesso a facilitare la caduta nella rete del trafficking sono persone conosciute, famigliari, addirittura le madri stesse che per fiducia, ignoranza o percezioni distorte delle priorità da soddi-sfare affidano il proprio destino e quello dei loro figli alla schiavitù del trafficking. Intorno alle donne cambogiane e ai loro figli occorre quindi costruire una delica-ta rete di protezione e prevenzione, di promozione personale ed economica, per far sì che siano sempre più impermeabili al rischio di trafficking. Azioni concrete, quotidiane, come il sostegno all'istruzione dei figli, la formazione professionale, il sostegno all'imprenditorialità, asili dove i loro figli possano giocare al sicuro mentre lavorano, servizi sociosanitari adeguati e gratuiti, e uno specchio dove si possano guardare e vedere riflessa con orgoglio la propria forza.

inTRATTAbiliMani Tese, attraverso la campagna inTRATTAbili, in partnership con ONG locali competenti e impegnate, è impegnata nella lotta al trafficking di esseri umani nel sudest asiatico. In Cambogia, in particolare, sono due le zone di maggiore attività: Sihanoukville, città di mare e popolare meta turistica, e Poipet, città di confine con la Tailandia nel nordovest del Paese. Le azioni proget-tuali si concentrano sui pilastri della prevenzione, della protezione, della cura e dell'istruzione. I bambini sono il cuore della campagna, e intorno al loro benessere si dipanano le varie attività: servizi sociali e di protezione (hotline, centri di prima accoglienza per bambini vittime di trafficking rimpatriati dalla Tailandia, centri drop in), servizi scolastici (scuole, scuole preparatorie per favorirne il reinserimento nella scuola pubblica, scuole di formazione professionale, esercizi commerciali dove poter mettere in pratica le abilità acquisite), servizi di sostegno ai caretakers e alle famiglie. Il sostegno può prendere anche la forma di un sostegno al reddito. Le mamme dei bambini che per vari motivi possono correre il rischio di diventare vittime di trafficking vengono coinvolte in corsi di formazione professionale e aiutate ad avere un reddito maggiore e più regolare attraverso nuove attività commerciali. Per partecipare al progetto le donne firmano un contratto che le impegna a provve-dere all'istruzione dei propri figli e a non sfruttarne il lavoro.

Agraria Laurenzi è un'azienda italiana a conduzione familiare che da molti anni realizza prodotti tipici della terra come olio, miele, vino, ortaggi, sempre nel rispetto della tradizione. A partire da marzo 2012, mese in cui ricorre la Festa della Donna, Agraria Laurenzi si impegna a destinare una quota a favore del progetto di lotta al trafficking, che coinvolge le donne cambogiane, a tutti coloro che sceglieranno di acquistare il kit di cosmesi all'Olio d'Oliva.

Per maggiori informazioni:Giovanna Tedesco Tel. 02 40 75 [email protected]

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il nostro futuro è nella vostra storia | approfondimento10 di nicoletta dentico, membro del comitato scientifico di mani tese e promotrice in italia di “se non ora Quando?”

L'orizzonte di una convivenza fra i due generi rispettosa dell'autonomia e della dignità delle donne, e improntata al principio dell'inviolabilità del corpo femminile, allude a una prospettiva che è stata delineata con nettezza da importanti documenti internazionali. Viene subito in mente la Dichiarazione di Vienna approva-ta nel 1993 durante il summit dell'ONU sui diritti umani; essa prende posizione contro la violenza di genere e contro ogni forma di sfruttamento del corpo delle donne come incompatibili con la dignità della persona umana. C'è poi il testo della Piattaforma d'Azione di Pechino del 1995, laddove si afferma che “la violenza contro le donne è un ostacolo al raggiungimento degli obiet-tivi di uguaglianza, sviluppo e pace […] viola, indebolisce o vanifica il godimento

da parte delle donne dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali”.

Questi due pronunciamenti sono pietre miliari, punti di non ritorno sulla strada del riconoscimento delle donne come condizione essenziale per realizzare il bene comune e, viceversa, della gravità del loro sfruttamento come barriera allo sviluppo umano. L'ONU poneva così la questione dell'urgenza, per i governi e le comunità na-zionali, di un impegno volto a contrastare la mortificazione della dignità delle donne, e la loro discriminazione, con ogni mezzo. Questi principi hanno in buona misura ridisegnato l'agenda dello sviluppo inte-grando finalmente la prospettiva di genere nella visione generale di un'emancipazione economica e sociale per le realtà dei paesi

impoveriti. I linguaggi sono mutati e la semantica ha integrato il tema delle donne. Ufficialmente, tutta la comunità internazio-nale è impegnata dal 2000 nella corsa per gli obiettivi del millennio (MDGs), due dei quali –il 3 ed il 5– sono rispettivamente fo-calizzati sull'uguaglianza di genere, e sulla salute delle donne. Ma che cosa è veramen-te cambiato, per la metà del cielo?

«Crescere una figlia è come innaffiare l'orto del vicino», recita un proverbio indù, alludendo all'inutile investimento sulla prole destinata alla famiglia del futuro marito. Il risultato è che la più grande democrazia della terra conquista i mercati globali e si afferma con l'innovazione e la capacità tecnologica, ma perde ogni anno 600 mila bambine. Il dato è agghiacciante, e non circoscritto. La guerra globale contro le donne fa sì che nel mondo ne manchino 100 milioni all'appello: una cancellazione di massa prodotta dagli aborti selettivi dei feti di femmine, o in se-guito a infanticidi, che in alcuni paesi (India, Corea, Cina) si è decisamente affermata non senza conseguenze inquietanti sul piano demografico e sociale.

A tre anni dal traguardo del 2015 fissato da-gli MDGs, il genocidio di genere prosegue inesorabile e impunito. Solo uno dei mali acuminati che colpiscono le donne. Eppure l'evidenza empirica dimostra che non può esserci innovazione, modernità, alter-nativa, a via di escludere la popolazione delle donne dalla costruzione di un futuro

La realtà delle crisi globali sulla vita delle donneRetorica dello sviluppo di genere

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manitese 477 | marzo - aprile 2012 11

migliore. Nel nord e nel sud del mondo. Lo ha dichiarato la vice Segretaria Generale dell'ONU, Asha-Rose Migiro, “sono le donne che hanno in mano le chiavi per scardinare le barriere allo sviluppo soste-nibile”. In tempi di colossale crisi struttu-rale –economica, finanziaria, ambienta-le– sappiamo quanto ne avremmo bisogno di un paradigma nuovo imperniato sulla sostenibilità. E delle donne, dunque, per dargli forma e contenuto.

Invece, la metà femminile che popola il mondo gode di una infima parte delle op-portunità o delle risorse disponibili sul pia-neta. Sono più di mille le donne che, ogni giorno, muoiono solo per il fatto di aver partorito, nelle circostanze di solitudine e di povertà spesso più indicibili. Nelle situa-zioni di guerre e conflitti armati, la maggior parte delle vittime civili sono donne e bambini che, paradossale ironia, pagano il prezzo più alto per questi conflitti, ma non hanno voce in capitolo, ed ancor meno potere negoziale, quando gli stati trattano di guerra e pace. Talenti sprecati. Le donne se ne intendono, visto che sono loro ad assicurare la sussistenza delle famiglie in mezzo al caos e alla distruzione, e sono an-cora loro che seminano solidarietà e pace dentro le piccole comunità devastate dalla guerra. In nessun paese del resto le donne hanno accesso paritario della narrazione che i media fanno del mondo. Men che meno hanno possibilità di formularla, questa narrazione. Solo il 22% delle notizie

che si leggono o si ascoltano ogni giorno sono frutto della lettura e dello sguardo delle donne!

La 56ma sessione della Commissione sulla Stato delle Donne (www.un.org/womenwatch/daw/csw/index.html), riunita a New York mentre scriviamo, fa un quadro piuttosto cupo della situazio-ne globale. Le molte piccole luci delle iniziative locali restano soffocate dalle ombre di tendenze strutturali che remano contro le donne. Per esempio, a detta della Commissione, anche quando i programmi di sviluppo sono indirizzati all'uguaglianza di genere, ciò non significa necessaria-mente che questi si traducano in percorsi significativi per le donne, e neppure il sostegno ai progetti della società civile è sufficiente se non mutano le condizioni in grado di rendere la vita quotidiana delle donne più dignitosa nel lungo periodo. Siamo insomma di fronte ad uno scenario paradossale. Negli ultimi 3-5 anni c'è stato un indubbio incremento dell'interesse e dell'impegno a favore dell'empowerment delle donne e delle bambine, però la crisi finanziaria globale ha ristretto in termini reali il sostegno alle donne nei paesi del sud del mondo, nonché molto peggiorato la loro condizione. Il deterioramento delle condizioni economiche produce in monti casi un sussulto dei fondamentalismi, ed una recrudescenza di pratiche e concezioni domestiche che minano alla radice l'auto-nomia e l'attivismo femminile.

Le donne sono impegnate in prima linea per la difesa della biodiversità e degli ecosistemi vitali, per l'accesso all'acqua, per l'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, per la lotta contro l'inquinamento. Ma l'empowerment delle contadine ed il loro ruolo nella lotta alla fame e nello sradicamento della povertà restano marginali. Secondo la neonata Agenzia dell'ONU per le Donne, quelle atti-ve nell'agricoltura rappresentano un quarto dei 7 miliardi di popolazione mondiale. So-lo il 5% dei servizi agricoli però viene mes-so a disposizione delle donne, e nell'Africa rurale sub-sahariana meno del 10% del credito disponibile per le piccole iniziative agricole è appannaggio delle donne, anche se il loro accesso paritario alle risorse pro-duttive ridurrebbe il numero delle persone malnutrite di 100-150 milioni.

Forse è arrivato il momento di conside-rare la costruzione di un mondo a due, di una comunità alla pari fatta di due entità intransitive –per dire che è necessario mantenere fra loro una distanza per non cancellare l'altro/l'altra– come un bene comune dell'umanità. Constato che questa argomentazione non ha ancora preso piede nella agenda sui beni comuni globali. Potrebbe esserne invece una condizione indispensabile. Se al posto della Lehman Brothers, ci fosse stata la Lehman Sisters, sospetto che il mondo non si troverebbe nella situazione di collasso senza regole che conosciamo da alcuni anni a questa parte.

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il nostro futuro è nella vostra storia | approfondimento12

a cura di Giosuè De Salvo, capo area advocacy Mani Tese

Lezionedi storia

Quello che segue è il testo originale di un “audiovisivo”(diapositive con note scritte di accompagnamento) che Mani Tese realizzò nel 1984, quasi trent'anni fa, sul tema della fame. Riemerso per caso dall'immenso archivio cartaceo, offre ai lettori l'ennesima conferma di quanto la lotta per la Sovranità Alimentare

sia scritta nel DNA di questa associazione.

A volte si sente dire che la fame esiste perché sulla terra non c'è cibo sufficiente per nutrire tutti gli uomini. Ma secondo la F.A.O. (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'agricoltu-ra e l'alimentazione) l'attuale produzione di cereali potrebbe fornire ad ogni uomo, donna, bambino che vivono sulla terra più di 3.000 calorie e ben 65 grammi di proteine al giorno. Inoltre la terra può garantire una produzione di cereali 25 volte superiore a quella attuale.Eppure la fame esiste e assume proporzioni sempre più drammatiche. Stime prudenti indicano che nel mondo alme-no 460 milioni di persone soffrono per carenze alimentari molto gravi. E coloro che non mangiano a sufficienza sono ben due miliardi: si tratta degli abitanti dei paesi sottosvilup-pati dell'Africa, dell'Asia meridionale e dell'America Latina: il cosiddetto Terzo Mondo. Sono i poveri nel mondo, coloro che hanno un reddito troppo basso per acquistare una sufficiente quantità di cibo.[…]

Le cause della fame:la povertàLa fame è una conseguenza della povertà. La malnutrizione e la sottoalimentazione sono determinate dall'insufficienza del reddito della maggior parte delle famiglie che vivono nel Terzo Mondo.La spesa alimentare costituisce una componente importante del reddito dei poveri, fino all'80%, che un qualsiasi aumento del prezzo del cibo si traduce in una diminuzione della quan-tità e della qualità del cibo acquistato. Nei paesi occidentali la spesa per acquistare gli alimenti rappresenta solo il 25% del reddito famigliare. Questo significa che un aumento, anche sensibile, dei prezzi alimentari, non riduce la popolazione alla fame.Gli abitanti dei paesi sviluppati, grazie alla loro ricchezza, ri-escono ad accaparrare la maggioranza del cibo disponibile. Secondo i calcoli ufficiali, il 30% della popolazione mondiale consuma il 50% di tutte le risorse alimentari della terra.Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, gli abitanti

del mondo ricco sono supernutriti. L'aumento delle malattie cardiovascolari, del diabete, dell'obesità sono un sintomo di questa supernutrizione. La stessa organizzazione afferma che l'uomo medio dei paesi europei e nord-americani mangia carne tre volte più del giusto.Per nutrire gli animali, allo scopo di produrre carne, si impie-ga una quantità di cereali 4/5 volte superiore a quella che si impiegherebbe se il nutrimento fosse consumato direttamen-te dall'uomo. Le popolazioni ricche destinano all'alimentazio-ne del loro bestiame un volume di cereali superiore a quello consumato da tutti gli abitanti del Terzo Mondo, esclusa la Cina.Nei paesi ricchi molti alimenti vengono sprecati: si calcola che nei ristoranti quasi un terzo del cibo finisca in pattumiera, inoltre ogni anno migliaia di tonnellate di prodotti alimentari vengono distrutte per mantenere elevato il livello dei prezzi.

Le cause della fame:il latifondo e la monocolturaL'agricoltura mondiale è dominata dalle grandi proprietà fondiarie. Secondo la F.A.O. il 2,5% dei proprietari con oltre 100 ettari controlla circa i ¾ di tutte le terre del mondo.[…]Nel passato i paesi del Terzo Mondo erano autosufficienti dal punto di vista alimentare. Durante il periodo coloniale però è avvenuto il passaggio dall'agricoltura di sussistenza, desti-nata al consumo interno, all'agricoltura per l'esportazione. Per soddisfare i bisogni delle potenze coloniali vennero este-se le piantagioni di zucchero, caffè, cotone, banane, arachidi, provocando il fenomeno della monocoltura, vale a dire la spe-cializzazione di ogni paese nella produzione di un unico o di pochi prodotti.In numerosi paesi in via di sviluppo la disponibilità alimen-tare è oggi insufficiente proprio perché nel settore agricolo viene data priorità alle coltivazioni per l'esportazione invece che quelle destinate all'alimentazione locale.

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manitese 477 | marzo - aprile 2012 13

Le cause della fame:le multinazionali agro-alimentariLe multinazionali sono imprese molto grandi che investono e producono in numerosi paesi. Da qualche anno queste im-prese mostrano un crescente interesse verso gli investimenti agricoli, acquistando vasti appezzamenti di terreno nei paesi del Terzo Mondo.Dice Mons. Camara, il vescovo brasiliano noto in tutto il mon-do per la sua opera in difesa dei poveri: “Quando le multina-zionali acquistano un terreno nel mio paese, mandano via le famiglie contadine, privandole dell'unica loro fonte di vita.”Le multinazionali condizionano, attraverso la pubblicità, i consumi alimentari delle popolazioni povere e analfabete del Terzo Mondo, inducendole spesso all'acquisto di prodotti su-perflui e di scarso valore nutritivo.

La sovrappopolazione:un mito da sfatareSpesso si sente dire che le popolazioni del Terzo Mondo sono affamate perché sono troppo numerose. In realtà la densità demografica non ha alcun rapporto con l'effettiva disponibi-lità di alimenti.La fame esiste tanto in Bolivia, dove ci sono 5 abitanti per chilometro quadrato, quanto in India dove gli abitanti sono 172 per chilometro quadrato. Ma non esiste fame in Olanda, dove la densità demografica è di 326 abitanti per chilometro quadrato.La fame è un'ingiustizia non una fatalità.Ghandi ha detto: “ La terra produce abbastanza per soddisfa-re i bisogni di ognuno, non l'avidità di ognuno”.La crisi alimentare mondiale non è provocata dalla mancan-za di risorse, ma dalla loro ingiusta distribuzione. Molte per-sone del mondo ricco sono convinte che la fame sia un flagello di dimensioni tali da essere senza rimedio, ma non è così. Se l'umanità lo volesse, potrebbe porre fine a questa tragedia nel giro di pochi anni.

La fame si può vincereÈ necessario che ogni popolo sia messo in grado di produrre il cibo destinato al suo nutrimento. L'agricoltura per il consumo interno deve essere privilegia-ta rispetto a quella per l'esportazione. Occorre invertire la tendenza attuale che utilizza le terre più fertili e le migliori attrezzature per la produzione destinata all'estero.È necessario che gli aiuti stanziati dai paesi ricchi in favore del Terzo Mondo favoriscono soprattutto il settore agricolo e la popolazione rurale. È necessario che le risorse umane, tecnologiche e finanziarie che oggi vengono sprecate per produrre armamenti, siano utilizzate per soddisfare i biso-gni primari delle popolazioni. Si calcola che la cifra che i go-verni di tutto il mondo spendono per produrre strumenti di morte raggiunga ormai i 550 mila miliardi di lire all'anno: 1 miliardo di lire al minuto. La quota destinata dai governi allo sviluppo è inferiore di 20 volte a quella impiegata nel settore bellico. […]È necessario che ognuno di noi si renda consapevole di que-sta intollerabile ingiustizia e si impegni in prima persona nel-la lotta contro la fame ed il sottosviluppo.È necessario porre fine agli sprechi degli alimenti e di tutte le altre risorse (acqua, energia, minerali) che non sono patri-monio esclusivo dei popoli ricchi, ma sono state destinate a tutta l'umanità.

La copertina originale del 1984

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il nostro futuro è nella vostra storia | approfondimento14 a cura di clara castellucci, referente marcia virtuale food for World 2012 di mani tese

CAMPAG

NE

www.foodforworld.org

In marcia per il diritto al cibo!Realizzato con il contributo

dell’Unione Europea

FoodƒorWorld

“Contro la fame, cambia la vita”. È questo uno degli slogan che Mani Tese, già negli anni '70, portava in piazza per diffondere il principio secondo il quale i comportamenti del Nord del mondo influiscono sulla povertà del Sud. È con la “Marcia mondiale per la sovranità alimentare” che nel 2012 Mani Tese vuole diventare movimento forte di coinvolgimento della società civile, degli insegnanti, delle scuole, degli enti locali e dei volontari per diffondere un importante messaggio: ridare sovranità ai popoli e consapevolezza al consumatore sulle scelte alimentari. Il “doppio binario” che vede muoversi parallelamente la lotta all'ingiustizia e la promozione della sobrie-tà negli stili di vita è quello su cui si fonda il principio della sovranità alimentare. Il semplice aumento della produzione di cibo non è più sufficiente per risolvere la causa dello squilibrio: è necessario offrire alle co-munità locali la possibilità di decidere cosa produrre, di scegliere metodi di coltivazio-

ne sostenibili e di decidere su quali mercati indirizzarsi. Ora il passaggio fondamentale è il coinvolgimento dei consumatori che con il loro stile di vita quotidiano hanno un forte impatto sui Paesi del Sud del mondo. La Marcia è il nostro strumento per portare questa istanza di cambiamento nei dibattiti delle principali istituzioni e tra la gente. Per la prima volta la par-tecipazione potrà essere anche diversa e tutta virtuale! Il sito internet dedicato alla Campagna “Food for world” (www.foodforworld.org ) è stato costruito per raccogliere le istanze di tutti, è una grande

“sfilata” di volti, messaggi, pensieri e immagini relative al principio di sovranità alimentare e di diritto al cibo. Questo spa-zio dedicato permetterà a tutti di parteci-pare alla mobilitazione in un modo diverso rispetto a quello a cui si è abituati, tramite il proprio computer, e utilizzando i mezzi di comunicazione di massa. La piazza non sarà solo quella delle diverse città in cui

marceremo per portare la nostra causa, ma sarà anche quella della rete. Tutti possiamo “fare la differenza” unendoci ad movimento virtuale che diffonderà un messaggio virale sull'importanza del diritto al cibo. Iscrivendosi al sito attraver-so una procedura molto semplice potremo contarci, diffondere il messaggio ed essere sempre aggiornati sul tema della sovranità alimentare e sulle campagne di Mani Tese. Nei prossimi numeri del periodico e sulle prossime newsletter ci sarà l'occasione di approfondire e coinvolgere tutti nella preparazione della marcia perché ritenia-mo molto importante che il movimento parta dal “basso” e da tutti coloro che già sostengono e conoscono l'Associazione per poi diffondersi capillarmente attraverso parenti e amici. “Food for World” è il nostro slogan e lo porteremo nella rete come faremo in piazza per affermare un diritto di tutti, il diritto al cibo!

Marcia con noiper il diritto al cibo

Page 15: Manitese n.477 - mar/apr 2012

di annalisa stagni, area advocacy mani tese kouWansokounsokouW ns knsokkouWansokounsWWaWWan okokWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouWansokouW s k uW k DOSSIER

Una storia di successo

La scuola di Wansokou

Aprile 2012, Wansokou (Africa). Mani Tese festeggia 25 anni nel piccolo villaggio del distretto di Natitingou in Benin, dove nel 1987 diede vita alla scuola di Wansokou. Un tuff o nel passato per celebrare un compleanno caro a tutti i donatori che sostengono con passione i nostri progetti.

Wansokou 2012 - Valerio Bini, consigliere Mani Tese con un giovane studente.

Page 16: Manitese n.477 - mar/apr 2012

Dal 1979 al 1981 Angela, con altri 3 volontari soste-nuti dal gruppo Mani Tese e dalla comunità di Gor-gonzola, collaborano con gli abitanti di Wansokou e con le istituzioni locali per la realizzazione di alcuni progetti di sviluppo. Si dedicano all’implementazione di infrastrutture (dis-pensari di base, centro culturale di villaggio, centro multifunzionale), poi strutturano programmi di for-mazione utili alla prevenzione e alla difesa della salute e contemporaneamente sviluppano analisi per rispon-dere al defi cit di produzione agricola e di alfabetizzazi-one, che costringe i 9000 abitanti della zona a con-dizioni di sopravvivenza inaccettabili. Nel 1982, in collaborazione con le organizzazioni lo-cali che si occupano del problema, viene avviato un progetto di intervento per la formazione di giovani ag-ricoltori. Con il sostegno delle autorità locali e del Ministero dell’agricoltura beninese, Mani Tese si impegna a real-izzare un centro di formazione su terreni, concessi dal Ministero dove le condizioni per sviluppare progetti di produzione agricola è particolarmente favorevole. In questa zona oggi si trova il laboratorio per la trasfor-mazione della manioca, inaugurato a novembre 2011 alla presenza della delegazione di Mani Tese (Valerio Bini, Achielle Tepa, Giovanni Sarto, Lucy Tattoli) delle autorità locali e delle tantissime donne che hanno cel-ebrato per tutta la giornata l’evento con danze e canti popolari.

TampegrèCarta d’identitàCognome: ComelliNome: AngelaSegni particolari: volontaria di Mani Tese dal 1982 con il gruppo di Gorgonzola, inizia a lavorare in amministrazione nel 2002, è diventata coordinatore nazionale di Mani Tese nel 2007.

Angela con la fi glioletta Lucia nata a Tempegré nel 1981

Angela durante il ritiro del premio “Ambasciatrice di pace 2011”

Valerio in una classe della scuola di Wansokou, 2012

Il villaggio di Wansokou 1987

La scuola di Wansokou 2012

Da dieci anni Valerio Bini segue i progetti di sviluppo di Mani Tese in Burkina Faso e in Benin e conosce abbastanza bene la realtà in cui si lavora. Eppure durante la sua ultima missione in Benin ci racconta che “vedere una scuola costruita 25 anni fa, grazie a Mani Tese, piena di giovani e giovanissimi studenti mi emoziona, non solo per l’ovvio orgoglio di un lavoro ben fatto, ma anche perché quella scuola, quegli studenti e quegli insegnanti testimoniano la continuità del lavoro della cooperazione”. La scuola di Wansokou infatti è oggi non solo un esempio di buona cooperazione per Mani Tese ma anche una testimonianza di impegno civile da parte dei giovani africani: lo stesso Direttore della scuola di Wansokou ha studiato in questi edifi ci ed è oggi protagonista di una nuova generazione di africani, formatasi anche grazie alla cooperazione internazionale, che contribuisce in prima persona al miglioramento della vita del proprio paese. Poter oggi vantare una scuola che comprende l’intero ciclo scolastico (6 classi) rende possibile maggiori inserimenti e le famiglie numerose sono più invogliate a iscrivere i propri fi gli, come ci spiega il nostro collega Achille Tepa, che nativo della regione dell’Atacora, è stato testimone proprio a Wansokou dell’evoluzione della scuola, fi no ad essere oggi il fi lo diretto con l’associazione.“Questa scuola è il simbolo della vittoria di una comunità locale che ha creduto nell’educazione dei propri fi gli, ha contribuito a costruire le condizioni perché questa educazione fosse possibile e ha lavorato in tutti questi anni perché questa opportunità per le nuove generazioni potesse continuare ad esistere.” Valerio Bini.

Carta d’identitàCognome: BiniNome: ValerioSegni particolari: ricercatore universitario presso l’università di Sorbona a Parigi, dal 1999 collabora con Mani Tese come volontario. Dal 2010 fa parte del Consiglio Direttivo dell’Associazione. Segue i progetti di sviluppo di Mani Tese in Burkina Faso e in Benin.

Wansokou

Valerio Bini con il nostro collega Achille Tepa

Cognome: TepaNome: AchilleSegni particolari: nominato rappresentate del Benin per Mani Tese dal 1995 e socio dal 2001, si occupa del controllo e della gestione dei progetti sul posto.

Il diario di Valerio

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Dal 1979 al 1981 Angela, con altri 3 volontari soste-nuti dal gruppo Mani Tese e dalla comunità di Gor-gonzola, collaborano con gli abitanti di Wansokou e con le istituzioni locali per la realizzazione di alcuni progetti di sviluppo. Si dedicano all’implementazione di infrastrutture (dis-pensari di base, centro culturale di villaggio, centro multifunzionale), poi strutturano programmi di for-mazione utili alla prevenzione e alla difesa della salute e contemporaneamente sviluppano analisi per rispon-dere al defi cit di produzione agricola e di alfabetizzazi-one, che costringe i 9000 abitanti della zona a con-dizioni di sopravvivenza inaccettabili. Nel 1982, in collaborazione con le organizzazioni lo-cali che si occupano del problema, viene avviato un progetto di intervento per la formazione di giovani ag-ricoltori. Con il sostegno delle autorità locali e del Ministero dell’agricoltura beninese, Mani Tese si impegna a real-izzare un centro di formazione su terreni, concessi dal Ministero dove le condizioni per sviluppare progetti di produzione agricola è particolarmente favorevole. In questa zona oggi si trova il laboratorio per la trasfor-mazione della manioca, inaugurato a novembre 2011 alla presenza della delegazione di Mani Tese (Valerio Bini, Achielle Tepa, Giovanni Sarto, Lucy Tattoli) delle autorità locali e delle tantissime donne che hanno cel-ebrato per tutta la giornata l’evento con danze e canti popolari.

TampegrèCarta d’identitàCognome: ComelliNome: AngelaSegni particolari: volontaria di Mani Tese dal 1982 con il gruppo di Gorgonzola, inizia a lavorare in amministrazione nel 2002, è diventata coordinatore nazionale di Mani Tese nel 2007.

Angela con la fi glioletta Lucia nata a Tempegré nel 1981

Angela durante il ritiro del premio “Ambasciatrice di pace 2011”

Valerio in una classe della scuola di Wansokou, 2012

Il villaggio di Wansokou 1987

La scuola di Wansokou 2012

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Mani Tese ha deciso di proporre per l’anno 2012 una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi a favore delle donne africane con l’obiettivo di valorizzare e far emergere il ruolo delle donne nella società africana: il loro essere madri, conta-dine e protagoniste della vita dei “mercati” presenti in ogni villaggio del continente. Le donne sono per noi l’icona del diritto al cibo in Africa. Mani Tese infatti sta svolgendo un’azione integrata volta a favorire il protagonismo delle donne nell’economia delle comunità rurali di riferimento, poiché sono proprio le donne le principali lavoratrici della comunità e assicurano la maggior parte dei lavori domestici ed economici. Le donne hanno però uno scarsissimo accesso alle risorse economiche sia a causa della tradizionale organizzazione familiare (che vede il marito come unico gestore del reddito) sia perché restano inconsapevoli dei loro diritti e non sono quindi in grado di rivendicarli. Gli interventi di Mani Tese si pongono l’obiettivo di permettere alle popolazioni benefi ciarie di essere protagoniste del proprio sviluppo, nel tentativo di contribuire a far emergere e valorizzare le capacità e competenze locali e introdurre nuove idee, per favorire lo sviluppo di un sistema sostenibile da un punto di vista sociale, economico e ambientale e che garantisca migliori condizioni di vita alla popolazione stessa.

Dalla scuola di Wansokou all’atelier di Tampegré

Giovanni Sartor, Responsabile Progetti in Africa con le donne di Tampegrè (regione dell’Atacora in Benin) durante l’inaugurazione del laboratorio per la trasformazione della manioca, lo scorso novembre. Questo laboratorio è una delle azioni di punta del progetto “Sviluppo economico per le donne dell’Atacora”.

Page 19: Manitese n.477 - mar/apr 2012

19manitese 477 | marzo - aprile 2012

di giovanni sartor, responsabile africa mani tese

AGG

IORN

AMEN

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Una lettura in parallelo delle vicende che caratterizzano la vita politica recente dei due paesi dell'Africa occidentale, rileva, al di la della vicinanza geografica, una signifi-cativa distanza sulle dinamiche di gestione del potere e sul coinvolgimento della società civile nella vita pubblica. Il mese di marzo è per entrambi mese elettorale. Il 18 le presidenziali in Guinea Bissau anticipate a causa della morte per malattia, avvenuta il 9 gennaio 2012, del Presidente in carica Malam Bacai Saña, sette giorni dopo, il 25 marzo, il secondo turno delle presiden-ziali in Senegal, che vede contrapposti il presidente uscente Abdoulaye Wade e lo sfidante Macky Sall. I due Paesi arrivano alle elezioni in maniera completamente di-versa. In Guinea Bissau, al di la della morte del Presidente, è avvenuto un tentativo di colpo di stato, l'ennesimo nella storia recen-te del piccolo Paese africano, il 26 dicembre 2011, che ha visto come protagonista il capo della marina Ammiraglio José Americo Bubo Na Tchuto, in passato capo di Stato maggiore dell'esercito ma successivamente destituito perché accusato di un tenta-tivo di colpo di Stato nel 2008. Sembra sia stato più un tentativo di mettere in discussione i vertici militari, uno dei centri nevralgici, probabilmente il più forte, del potere nel Paese più che un vero e proprio attacco al Primo Ministro Gomes Junior e al Presidente, che si trovava già in Francia per cure mediche. A salvarsi è stato quindi soprattutto il Generale Indjai, capo di stato

maggiore dell'esercito, che circa un anno fa, quasi con le stesse modalità, aveva scalzato dall'incarico il suo predecessore. Il risultato delle elezioni è scontato, il candidato forte è proprio il Primo ministro Gomes Junior, la campagna elettorale avviene in un clima di festa collettiva, dove musica, gadgets e magliette con i volti dei candidati sono i protagonisti e non si sfiorano neppure i grossi problemi del Paese. In parte questo è dovuto ad una sorta di rassegnazione da parte della popolazione e di una società civile ancora molto debole e frammentata; quest'ultimo tentativo di colpo di Stato, ha ribadito che non sono le elezioni ma altre modalità a decidere chi veramente coman-da nel Paese. In Senegal, invece, la lotta politica è viva, grandi protagonisti della campagna elettorale sono stati il movimen-to 23 giugno (M23) che riunisce movimenti, partiti e organizzazioni della società civile nato in seguito alla manifestazione, repres-sa con la forza, del 23 giugno 2011 contro la modifica della costituzione che Wade voleva attuare per garantirsi la possibilità di ricandidarsi per un terzo mandato e il collettivo giovanile Y'en a marre. Wade si è poi ricandidato per il terzo mandato anche senza riuscire a modificare la costituzione, i due movimenti non sono riusciti ad ottene-re il risultato sperato ma hanno dato vita ad un periodo elettorale molto movimentato e ricco di manifestazioni, spesso represse con la violenza, contro la gestione del paese da parte del Presidente nei 12 anni nei quali

è fino ad ora rimasto al potere e contro la sua volontà di imporre, in qualche modo, il figlio, come suo successore. Questo clima di partecipazione ha favorito il fatto che l'anziano Presidente non sia riuscito ad ottenere il quorum del 50% dei voti validi per essere eletto al primo turno ed il secon-do turno sarà molto combattuto perché le forze di opposizione, molto frammentate al primo, si sono invece quasi tutte unite nel sostegno a Macki Sall nel secondo. Anche il candidato dell'opposizione ha comunque i suoi scheletri nell'armadio perché non è estraneo alla gestione del potere di questi ultimi anni essendo stato fino al 2008 tra i più fedeli uomini di Wade, più volte mini-stro e Primo Ministro. Infine se è vero che i militari non hanno il ruolo determinante per le sorti politiche del paese che detengo-no in Guinea Bissau, chi detiene il potere è sempre fortemente influenzato dalla po-tente confraternita dei Muridi, che riunisce la maggioranza dei musulmani senegalesi. Questi sono solo due casi, curiosamente di una tensione presente in tutta l'Africa a sud del sahara tra situazioni nelle quali cresce il protagonismo della società civile nella vita politica e, seppur con ancora molte con-traddizioni e con il rischio sempre presente e qualche volta reale di brogli, le elezioni sono partecipate e comunque decisive per decidere chi governa i Paesi, e situazioni nelle quali le elezioni sono solamente uno strumento utilizzato per legittimarsi da chi è già al potere o lo ottiene con la forza.

Un'intensa stagione politica vissuta in maniera opposta nei due confinanti Paesi dell'Africa occidentale.

Guinea Bissau e Senegal

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20 il nostro futuro è nella vostra storia | rubriche

di elias gerovasi, capo area cooperazione mani tese

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Eurobarometer – giugno 2010

3%

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12%

9%

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Eurobarometer – settembre 2011

36%

25%

59%

12%

4%

49%

12%Eurobarometer – Europa 2011

Eurobarometer – Italia 2011

Negli ultimi mesi sono stati pubblicati due studi stati-stici internazionali che misurano il grado di gradimento e di fiducia che i cittadini hanno nei confronti delle ONG e della cooperazione internazionale. In epoca di crisi economica e di deboli slanci ideali ci si sarebbe aspettati un dato negativo con un abbassa-mento della propensione delle persone a sostenere la lotta contro la povertà attraverso la cooperazione allo sviluppo. I risultati sono invece importanti e incoraggianti, mostrano che le ONG ri-escono ancora a rappre-sentare la volontà diffusa dell'opinione pubblica di far crescere la coope-razione e la solidarietà internazionale.

La Edelman Trust ha pubblicato l'edizione 2012 dell' Edelman Trust Barometer, una ricerca condotta a livello mondiale, che misura la fiducia dei cittadini rispetto a diverse istituzioni, in particolare i governi, le aziende (settore privato), le ONG e i media.Per il quinto anno consecutivo, le ONG sono l'istituzione ritenuta più affidabile nel mondo, in 16 dei 25 paesi oggetto dello studio, la gente si fida più delle ONG che del settore privato. L'indice di fiducia nelle ONG si attesta al 54% (in discesa di del 5% rispetto al 2011) contro il 47% per media e aziende e 38% per i governi. La fiducia nelle ONG ha raggiunto un picco del 79 % in Cina specialmente tra gli intervista di età compresa tra 35 e 64 anni. Dal 2009, la fiducia nelle ONG si è alzata anche in India fino al 68 %.In Italia si registra una delle percentuali più alte di fiducia nelle ONG e una delle più basse per la politica. Il 77% degli italiani si fida delle ONG e del loro operato mentre solo il 31% si fida della politica. Cresce anche la fiducia nei media dal 41 al 59 % grazie al crescente utilizzo da parte degli italiani dell'informazione in rete. Gli intervistati italiani ritengono più affidabili i Blog e la

Radio rispetto ai giornali tradizionali e la televisione.

La fiducia nelle ONG è invece calata vistosamente nei paesi dove si sono registrati scandali pubblici nell'uti-lizzo dei fondi per la cooperazione internazionale come il Brasile, Giappone e la Russia.

L'altro studio interessante è stato pubblicato da Euro-barometro e si intitola “Making a

difference in the world: Europeans and the future of development aid” (Fare

la differenza nel mondo: gli europei e il futuro dell'aiuto allo sviluppo).

L'indagine è stata condotta nei 27 Stati membri della UE nel settem-bre 2011, intervistando 26.856 europei dai 15 anni in su. Lo scopo dello studio era quello di fornire un quadro aggiornato del

gradimento da parte degli europei sugli aiuti allo sviluppo e sul futuro

della cooperazione allo sviluppo in vista della Conferenza di alto livello sull'efficacia degli aiuti che si è svolta

a Busan (Corea del Sud) lo scorso dicembre.In sintesi il sondaggio presenta un'Europa più solidale e meno razzista di quanto verrebbe da credere (almeno a parole). L'85% degli europei considerano impor-tante l'aiuto alle popolazioni più

povere.

Questo favore da parte dei cittadini europei è però in fase decrescente, se

si paragonano i dati odierni con quelli del 2010 si può osservare che i cittadini

favorevoli agli aiuti ai più poveri scendono dall'89% all'85% (vedi grafico a sinistra).

I giovani tra i 15 e i 24 anni sono i più forti sostenitori degli aiuti: «9 su 10 pensano sia importante aiutare i poveri e il 41% lo considera “molto importante”, a fronte del 35% delle persone di oltre 40 anni». I giovani dimo-strano anche maggiore impegno personale per questa causa: «Il 53% dei giovani e il 60% degli studenti, infatti, sarebbe pronto a pagare di più certi prodotti (es.commercio equo e solidale) se ciò andasse a vantaggio delle popolazioni povere del mondo. I giovani hanno inoltre espresso la maggiore determinazione a mante-nere l'impegno di aumentare i livelli di aiuto (69%, a

Chi si fida delle ONG?Gli italiani e gli europei si fidano delle ONG e chiedono più sforzi per sostenere la cooperazione allo sviluppo

Secondo te aiutare le persone dei paesi in via di sviluppo è molto importante, abbastanza importante, non molto importante o non è

importante affatto?

AbbastanzaTotale “Non importante”Non so

Molto

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21manitese 477 | marzo - aprile 2012

Eurobarometer – giugno 2010

3%

36%

49%

12%

9%

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Eurobarometer – settembre 2011

36%

25%

59%

12%

4%

49%

12%Eurobarometer – Europa 2011

Eurobarometer – Italia 2011

fronte di una media del 62% di tutti gli interpellati)».

E gli Italiani? Il dato generale è leggermente inferiore alla media europea (vedi grafico a destra), l'84% è a favore degli aiuti contro l'89% della media. In parti-colare solo il 25% degli italiani dice che aiutare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo è molto importante, ben il 59% lo ritiene abbastanza importante, mentre solo il 12% non importante. Il 61% degli italiani identifica nell'Africa sub sahariana l'area del mondo più bisognosa di aiuti.

Insomma dati che sicuramen-te non corrispondono con l'impegno scarso del nostro paese nell'aiutare il sud nel mondo. Si pensi solo che, a seguito dei tagli delle mano-vre finanziarie, per i fondi della cooperazione allo sviluppo (leg-ge 49/87) gestiti dal Ministero degli Affari Esteri (MAE) si passa dal minimo storico del 2011, pari a 179 milioni di euro a un nuovo record negativo con soli 86 milioni di euro; un taglio del -51%. Il taglio com-plessivo applicato al budget del MAE dalle manovre estive del 2011 è stato di 206 milioni di euro; ben 92 milioni a carico della cooperazione con i Paesi in Via di Sviluppo. La diminuzione è ancor più evidente se si prende a confronto il dato del 2008, in cui la cooperazione allo svi-luppo aveva raggiunto i 732 milioni di euro di stanziamenti. Il calo è dell'88%. Il nuovo governo italiano, anche con la nomina di un apposito Ministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi, da speranze che, nonostante la crisi economi-ca, ci sia la volontà di interpretare meglio il sentito dei cittadini aumentando l'impegno nella cooperazione internazionale, e non solo quello economico. Il Mini-stro ha infatti promesso il lancio di un Forum Nazio-nale per la Cooperazione da tenersi già a fine maggio. Un'occasione per rilanciare il dibattito italiano verso uno sviluppo di nuove politiche di cooperazione anche attraverso la riforma della legge 49/87 e l'individuazio-ne di una visione comune.

Per consultare il rapporto Eurobarometer 2011 della Commissione europeahttp://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_375_en.pdf

Per consultare il rapporto Edelman Trust Barometer completowww.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Tecnologie/2012/02/trust-barometer.pdf?uuid=a97e868e-4d06-11e1-88d2-416f101a9dd4

Page 22: Manitese n.477 - mar/apr 2012

22 il nostro futuro è nella vostra storia | rubriche

OSSERVATO

RIO EU

ROPEO

di stefano sQuarcina, gruppo gue/ngl del parlamento europeo

La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, del 23 febbraio scorso, sul “caso Hirsi contro Italia” ha sonoramente delegittimato la politica italiana di gestione dei flussi migratori ed in particolare la pratica dei respingimenti forzati di migranti verso i loro Paesi di ori-gine o transito. Anzi, l'Italia in quanto tale è stata condannata per aver violato i diritti fondamentali di migranti raccolti in mare aperto e rispediti indietro a loro insaputa, senza aver prima verificato se avessero i requisiti giuridici per chiedere asilo politico o protezione internazionale. I fatti risal-gono al 6 maggio 2009, ma la sentenza ha una portata generale che va oltre gli eventi specifici. Quel giorno, la Marina Italiana intercetta in acque internazionali un'im-barcazione con circa duecento immigrati a bordo; quest'ultimi vengono fatti salire sulla nave, credono di essere diretti a Lam-

pedusa ed invece, dieci ore dopo, vengono tutti consegnati alla polizia libica nel porto di Tripoli. Dei duecento migranti, venti-quattro persone –undici somali e tredici eritrei– vengono rintracciate ed assistite in loco dal Consiglio Italiano per i Rifugia-ti, il quale, venuto a conoscenza dei fatti, presenta una denuncia alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Per la prima volta, il tribunale che veglia sul rispetto della Con-venzione Europea dei Diritti Umani viene sollecitato ad intervenire su una pratica divenuta corrente in Italia (e Malta), quella dei respingimenti forzati. La sentenza non poteva essere più chiara: l'Italia è colpevole di aver proceduto ad espulsioni collettive proibite dai testi giuridici europei; di aver rispedito i migranti verso un Paese dove rischiavano di essere sottoposti a tortura e a trattamenti inumani e degradanti; di non aver permesso loro di accedere a diritti

garantiti da convenzioni internazionali; di aver insomma grossolanamente violato i diritti umani fondamentali. Per tali motivi, l'Italia dovrà risarcire i ventiquattro ricor-renti somali ed eritrei con quindicimila euro ciascuno. La sentenza introduce final-mente elementi certi di giustizia, solidarie-tà e diritto nella gestione di un fenomeno, quello migratorio, che gli Stati Membri dell'Unione Europea vorrebbero ridurre alla sola dimensione di ordine pubblico, clandestinità, repressione ed espulsione. La Corte restituisce ai migranti la loro dimensione umana e politica, ci ricorda che sono depositari di diritti contemplati in numerosi trattati e protocolli, richiama finalmente tutti gli Stati al rispetto della legalità.

Per certi versi, la sentenza ha una portata storica, anche perché si esprime in modo molto chiaro su tanti aspetti. Innanzi-tutto, si era detto che la Corte non era competente sui fatti perché prodottisi in acque internazionali. Invece, il tribunale afferma che “nel momento in cui uno stato firmatario della Convenzione esercita il suo controllo, la sua autorità e dunque la sua giurisdizione su un individuo, di qualsiasi nazionalità esso sia, deve riconoscere a costui i diritti enunciati nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale afferma nel suo primo articolo che i diritti e

Corte Europea Diritti Umani & Immigrazione

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le libertà in essa contenuti vengono ricono-sciuti ad ogni persona sotto la giurisdizione del suddetto stato”. La Corte sottolinea che l'imbarcazione militare batteva bandiera italiana, tenuta dunque al rispetto della legislazione nazionale ed internazionale ratificata dal nostro Paese; rivendica perciò la sua competenza ad intervenire sull'ar-gomento, un precedente giuridicamente molto importante che allarga la giurisdizio-ne europea sui diritti umani.

A partire da questa rivendicazione, la Corte condanna l'Italia per pratiche illegali di espulsioni collettive. Uno degli articoli del

“protocollo n.4” allegato alla Convenzione non si presta ad equivoci: “Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate”, punto e basta. Altre disposizioni riconoscono il diritto ad ogni persona migrante di poter chiedere asilo politico se ritiene di avere i motivi per farlo, ma nulla di tutto ciò è sta-to garantito. L'Italia viene perciò condanna-ta anche per violazione dell'articolo tredici della Convenzione, quello che garantisce un “ricorso giuridico effettivo” ad ogni persona che lamenti una lesione dei suoi diritti. “Le autorità italiane –si legge nella sentenza– ammettono che la verifica della situazione individuale di ogni migrante non era stata evocata a bordo; del resto, i ri-correnti somali ed eritrei dicono di non aver ricevuto nessuna informazione da parte

dei marinai italiani, i quali anzi avrebbero detto che si stavano dirigendo verso l'Italia, eliminando la possibilità per i migranti di opporsi al respingimento in Libia”.

Da un punto di vista politico, la condanna più severa riservata all'Italia è quella relati-va alla violazione dell'articolo tre della Con-venzione (“nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti”). Le autorità italiane –dice in sostanza la Corte di Strasburgo– sapevano benissimo che la Libia era una dittatura dove i diritti umani venivano quotidiana-mente calpestati, far sbarcare i migranti a Tripoli significava saper bene di esporli alle sevizie della polizia locale e alla privazione dei loro diritti fondamentali, compreso quello alla giustizia indipendente. “La real-tà libica era nota a tutti”, ironizza la Corte, che denuncia indirettamente la complicità politica che esisteva allora tra il Colon-nello Gheddafi ed il Governo Berlusconi. Il “Patto di amicizia italo-libico” forniva il quadro politico dell'operazione: i migranti venivano intercettati in mare dagli italiani e rispediti in Libia, dove subivano torture e maltrattamenti, e dove a volte venivano fatti sparire o abbandonati nel deserto; in cambio, Roma si prodigava a srotolare il tappeto rosso della diplomazia e degli affari sotto i piedi di Gheddafi.

La sentenza del 23 febbraio scorso, insom-ma, fa proprie le argomentazioni sviluppa-te in tutti questi anni dalle ONG e da tante organizzazioni della società civile italiana ed europea, cattoliche e laiche. Ovvero, che i migranti sono esseri umani e che hanno diritto, al pari degli altri, di vedere rispetta-ta la propria dignità; e che, se civiltà e stato di diritto hanno un senso, va permesso loro di accedere agli strumenti di protezione internazionale, laddove previsti e invocabi-li. In questi anni, invece, l'Italia ha scelto la strada della negazione del diritto, della vio-lazione della dignità umana, ben conscia di farlo. E non ha esitato a fare dei migranti un capro espiatorio, per alimentare una politica della paura che ci ha portato a volte oltre i limiti della legittimità democratica, come nel caso dell'introduzione nel codice penale del “reato di clandestinità”, fino alle pratiche illegali delle espulsioni collettive o all'istituzione di fantomatiche “ronde per l'ordine pubblico” contro gli immigrati. La sentenza della Corte di Strasburgo offre un'opportunità all'Italia, quella di ritor-nare nel novero dei Paesi che rispettano i più elevati standard di civiltà giuridica e dei diritti umani. Un'occasione da non perdere, da perseguire con i fatti, affinché l'Italia rientri subito nei binari della legalità internazionale.

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il nostro futuro è nella vostra storia | approfondimento24 di giacomo petitti, responsabile ecm e formazione volontari mani tese

crescita

CRI$ISpreadM1BT3L

MERCATO del lavoro

Mercato dei beniMERCATO FINANZIARIO

5PECULA2I0NE

DEBITO PUBBLICO

La crisi economica e i suoi meccanismi. Pareva un'impresa affrontare un tema così complicato in due ore con un'ottantina di ragazzi presso un istitu-to tecnico di Milano. Invece si è rivelato un incontro splendido, seguito dagli studenti con una partecipa-zione inaspettata. La ragione di tanta attenzione credo risieda nel fatto che i ragazzi percepiscono la crisi come qualcosa che li riguarda in prima persona. Ne sentono parlare continuamente e capiscono che sta accadendo qualcosa di nuovo e preoccupante, ma non hanno gli strumenti per poter comprendere a fondo un problema che sentono come molto più grande di loro.La crisi entra nelle case attraverso i mezzi di informa-zione, veicolando una sensazione di incertezza che viene amplificata dall'utilizzo di parole sconosciute ai più. Niente genera più ansia che non capire le radici di un problema e buona parte dei giornalisti non prova

nemmeno a risultare comprensibile, poiché adotta un vero e proprio vocabolario tecnico-scandalistico che non sortisce altro effetto se non quello di aumentare l'allarme sociale.E la scuola come affronta questo fenomeno? Mai come oggi il sistema scolastico si è dimostrato impreparato sui grandi temi di attualità. Di fronte a un modello di società globale, in cui tutto è interconnesso e si regge su un delicato sistema di equilibri, la scuola continua a considerare le discipline in senso verticale, senza preoccuparsi di fornire chiavi di lettura utili ad inter-pretare una realtà sempre più complessa.Ed è proprio in considerazione di questi aspetti che ho deciso di impostare il mio intervento sulle parole della crisi, con l'idea di farle emergere dagli studenti per poi spiegarle con esempi semplici e soprattutto farle diventare parte di un contesto, di un racconto all'inter-no del quale potessero trovare un senso.

Le parole più citate dai ragazzi sono state senza dubbio “spread” e “mibtel”, molti rimandi alla povertà come pericolo da loro percepito, molti riferimenti alla situazione greca, la paura che la Cina conquisti il mondo e di non trovare lavoro in futuro. Ho fatto spes-so riferimento a questi punti nel corso dell'incontro, inserendoli mano a mano che il ragionamento entrava nel vivo.Siamo partiti, naturalmente, dalla parola crisi. Il capi-talismo di per sé vive di continue crisi, di ribassi e di ri-alzi, di periodi buoni e meno buoni. Perché allora tanta enfasi? Perché questa, al pari di poche altre nella storia, è una crisi di sistema. Vuol dire che il sistema non ha o non sembra avere gli anticorpi per porvi rimedio, e quindi ne usciremo solo a patto di un grosso cambia-mento, per alcuni limitato alle regole da imporre alla finanza, per altri molto più ampio. Del resto la radice della parola crisi rimanda, appunto, al cambiamento, non necessariamente in negativo.Poi la parola mercato, distinguendone tre tipi: il mer-cato del lavoro, quello dei beni/merci e quello finanzia-rio. È dal loro intreccio che dipende l'equilibrio della nostra economia. Il problema non sta nell'esistenza del mercato finanziario, che è anzi indispensabile per la sopravvivenza degli altri due, ma nelle sue attuali dimensioni, che lo portano ad essere ben 13 volte più grande del PIL mondiale, ovvero della cosiddetta

“economia reale”. Dalla deregulation firmata Reagan-Thatcher ad oggi alla finanza speculativa è stato con-cesso di agire liberamente, nella convinzione che fosse quella la famosa “mano invisibile” del mercato. Ora fa sorridere scoprire che il tandem Merkel-Sarkozy sa-

Le parole della crisia scuola

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Il debito pubblico è quella cosa che è pubblica, ce l'hanno tutti

e non la paga nessunoA.Celestini

rebbe favorevole a prendere in considerazione l'ipotesi di una tassa sulle transazioni finanziarie, vale a dire la vecchia e profetica proposta di James Tobin (di cui tra l'altro il premier Mario Monti fu allievo) che giace impolverata da trent'anni nei cassetti dei ministeri dell'economia di mezza Europa.Della parola spread si è già detto tanto. Non è altro che lo scarto tra gli interessi pagati dai bund tedeschi (bene rifugio per eccellenza) e i buoni del tesoro italiani. Se, come a Novembre 2011, i bund danno il 2% e i btp il 7% c'è uno spread (una differenza) del 5%, ovvero di 500 punti base. Tale indice è utilizzato per misurare la fiducia dei mercati nella tenuta del sistema Italia. Più si fidano, più i btp saranno appetibili, meno interessi dovrà pagare l'Italia per venderli. Allora lo spread ca-lerà, come sta succedendo in questi mesi, dopo i primi cento giorni di cura Monti. A questo meccanismo è strettamente legata la que-stione del debito pubblico, lucidamente definito da Ascanio Celestini in uno dei suoi interventi a “Parla con Me” su Raitre come quella cosa che è pubblica, ce l'hanno tutti e non la paga nessuno. In realtà si direbbe che i cittadini stiano cominciando a pagarlo e anche a caro prezzo, dato che le 5 manovre approvate nel 2011 a spese degli italiani hanno come obiettivo primario quello di mantenere entro certi limiti il rapporto deficit/PIL. Ed eccoci arrivare alla parola speculazione: caratteri-stica delle operazioni speculative è cercare di ottenere profitto sulla base di informazioni non ugualmente accessibili a tutti, senza produrre alcun beneficio sociale. Semplicemente si scommette sul valore di un'azione o di una valuta nel futuro. Nell'epoca di internet per futuro si intende un lasso di tempo sempre più breve. La maggior parte delle transazioni speculative si conclude nell'arco di meno di un minuto, sfruttando piccole fluttuazioni di prezzo. La richiesta di tornare a mettere delle regole alla finanza riguarda in primo luogo proprio questo genere di operazioni che intossicano i mercati.Ultima la parola crescita, da cui tutto parte e dove tut-to torna. È in nome di questa parola che si sono salvate le banche con i soldi pubblici e che si è finanziato il debito della Grecia in cambio di ingenti tagli alla spesa. Siamo condannati a crescere, anche se la macchina non funziona più come prima. Dalle colonne di Die Zeit (pubblicato su Internazionale N.929) il giornalista Wolfgang Uchatius scrive che il PIL tedesco è cresciuto di 354 miliardi di Euro tra il 2000 e il 2006. Sem-brerebbe uno sviluppo importante, ma nello stesso periodo il debito pubblico è aumentato di 342 miliardi.

Ecco il punto: l'Europa, già da prima della crisi, conti-nua a crescere solo indebitandosi sempre di più, cioè facendosi prestare il benessere. Nei paragoni con le altre crisi sofferte dal capitalismo non bisognerebbe dimenticare che questa è anche una crisi di saturazio-ne: è difficile uscirne inventandosi nuovi bisogni ed è impossibile risolverla aumentando il debito, perché ormai è troppo alto e un ulteriore aumento metterebbe a rischio l'intera credibilità del sistema.Sembriamo entrati in un vicolo cieco.La società si può organizzare in modo da accontentarsi di conservare il benessere invece di aumentarlo?Cosa bisogna fare perché sia la felicità delle persone a crescere e non il fatturato delle imprese?È possibile dare alla natura un valore superiore a quello degli oggetti?Insomma, esiste un'alternativa al capitalismo?È quanto si chiede Uchatius sulle pagine di Internazio-nale. Io ho semplicemente provato a domandare ai ragazzi: non pensate che sia ora di creare qualcosa di nuovo?C'è stato un attimo di silenzio, come di cervelli che lavorano intensamente.

Per maggiori informazioni visita:www.manitese.it/blog-educazione

Prodotto Interno Lordo mondialeMercato finanziario

Rapp

orto Mercato finanziario/PIL mondiale

13 1

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26 il nostro futuro è nella vostra storia | rubriche

a cura di morena mascarello, responsabile risorse umane di mani tese

VOLO

NTARIATO

Erano un paio d'anni che pensavo di tentare l'esperienza del Servizio Civile, da quando avevo visto una locandina fuori dall'università. Dopo il primo campo di lavoro a Faenza, ho iniziato a collaborare con il gruppo di Mal-nate (VA), dopodiché Mani Tese per il mio Servizio Civile mi è sembrata l'unica scelta possibile, con Verbania come mia destina-zione, nonostante i 120 km giornalieri che mi attendevano.Nel giro di pochi giorni mi hanno contat-tata per il colloquio, mi hanno chiesto il numero per le scarpe antinfortunistiche ed eccomi pronta a cominciare! Ho iniziato in punta di piedi, anche se con entusiasmo, e se dopo le prime presen-tazioni era facile scordarsi qualche nome, ho finito per trascorrere più tempo con i volontari che con mio fratello.Dodici mesi per promuovere le economie solidali e il riciclaggio-riutilizzo degli og-getti.. Sicuramente in un anno non si può cambiare il mondo, ma si può certamente agire sul territorio per far riflettere sulle conseguenze ambientali del nostro mo-dello di consumo. L'intuizione è semplice: capire che quello che per qualcuno è ormai superfluo, ma in buono stato, può essere ancora utile per qualcun altro. Raccolte porta a porta, banchetti di sen-sibilizzazione, bottega dell'usato solidale, campo di studio e lavoro, sgomberi. Un impegno quotidiano per stimolare piccoli cambiamenti individuali che facciano diminuire i costi ecologici dei nostri stili di vita.Dopo 1400 ore di servizio, più di 25000 km e chissà quanti sgomberi, mi rimarranno gli sguardi stupiti di chi mi vedeva guidare il furgone, caricare stracci, spostare mobili, mi resterà l'affetto dei volontari che gli ul-timi giorni mi dicevano “Ma come faremo senza di te?”. Ciao Verbania!

Durante il mio anno di servizio civile ho viaggiato molto per ostelli, sono stata parecchio in ufficio di fronte al pc, ho fatto amicizia col poco amato facebook, speri-mentato la mia creatività nell'elaborare vo-lantini e menu per cene fuori dal comune, impacchettato centinaia di libri, parlato a tutti di sovranità alimentare e fatto impaz-zire più del solito la mia mamma quando comprava frutta e verdura fuori stagione… Ma ciò che più mi ha arricchito in quest'an-no intenso sono le numerosissime persone che ho incontrato. Ripenso al mio primo incontro con Mani Tese alla scuola anima-tori (Eas) e alle nuove amicizie, penso a Chiara con la quale mi son fatta un sacco di risate (fatevi raccontare quando ha versato l'acqua giù dalla finestra lavando la signora dell'ufficio sotto!) e dalla quale, soprattut-to, ho imparato molto, penso al gruppo di Treviso che mi ha accolta e col quale ho condiviso molte serate, ripenso alla mitica squadra di servizio civilisti Mani Tese (e al-la marea di cuscus che abbiamo cucinato al primo incontro di formazione), ai servizio civilisti veneti che si battono perché altri giovani possano vivere ancora quest'espe-rienza, ai tanti volontari della mia zona che hanno alimentato il nostro entusiasmo con il loro, ripenso a Zare e al gruppo di burki-nabè di Treviso che ci ha fatto sentire più concreto il senso del nostro volontariato, al personale di Mani Tese con cui ho avuto la fortuna di collaborare. Ripenso a tutti voi e quel che mi viene in mente è… GRAZIE!

Il mio servizio civileIn attesa di sapere se nell'anno in corso saranno reperiti fondi a so-stegno del Servizio Civile Volonta-rio, si è concluso l'ultimo progetto in ordine di tempo della nostra Associazione.

Mani Tese è volontariato e par-tecipazione da moltissimi anni, in una realtà territoriale in cui i nostri gruppi locali hanno avuto il privilegio di coinvolgere giovani in un'esperienza di cittadinanza attiva e responsabile attraverso il Servizio Civile Volontario.

Lo scorso anno questa esperienza è stata realizzata con il progetto di servizio civile nazionale “far cre-scere una cultura della sostenibilità ambientale tra i giovani”. Con que-sto progetto, realizzato nei gruppi Mani Tese di Gorgonzola, Finale Emilia, Rimini, Padova, Verbania e Treviso, i volontari in servizio civile hanno attuato interventi di educazione alla cittadinanza nelle scuole ed hanno contribuito alla realizzazione di eventi volti alla diffusione di comportamenti attenti alla sobrietà, al consumo

critico ed alla sostenibilità ambien-tale. Tutto questo anche attraverso il potenziamento della raccolta porta a porta di materiale usato e la gestione dei mercatini locali della Cooperativa Sociale Mani Tese.

NicoleEleonora

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di giovanna tedesco, responsabile relazioni con i donatori mani tese

SPAZIO D

ON

ATORI

Ci sono sempre molte occasioni per fare un regalo. Un regalo è un segno di affetto, di ricono-scenza, di scambio. Può assumere anche un valore profondo se collegato alla solidarietà: oltre ad optare per un prodotto originale, infatti, con un regalo solidale scegli di com-piere un gesto di altruismo verso qualcuno meno fortunato di te. Grazie ai regali solida-li potrai destinare una quota a un progetto di Mani Tese avviato in Africa, in Asia o in America Latina!

Occasioni speciali come matrimoni, batte-simi, comunioni, cresime ma anche lauree, compleanni e anniversari, possono trasfor-marsi in azioni concrete per contribuire alla realizzazione di interventi a favore di bam-bini vittime della tratta degli essere umani, alla formazione per le donne, a progetti di sviluppo agricolo e approvvigionamento idrico a sostegno della sovranità alimentare. Un progetto di solidarietà arricchisce di un significato nuovo le occasioni più impor-tanti, come il matrimonio ad esempio: per il giorno delle tue nozze puoi decidere di proporre ai tuoi invitati una lista nozze alternativa e solidale, invitando amici e parenti a sostenere il progetto scelto. Oppure puoi destinare a un progetto di Ma-ni Tese la somma prevista per le bombonie-

re, scegliendo le nostre proposte solidali:• le pergamene • i bigliettini realizzati dai bambini coin-

volti nei progetti educativi in Guatemala e Brasile

• la scatoletta porta confetti, fornita del fiocco verde di Mani Tese

• i bonsai solidaliE proprio in occasione della Festa della Mamma del 13 maggio ti proponiamo di regalare il nostro bonsai solidale!Il bonsai è l'essenza dell'albero, la sua bellezza si unisce all'amore, le cure da dedi-cargli sono quelle amorevoli di una mamma. I nostri bonsai solidali sono accompagnati da una brochure che illustra le attività di Mani Tese e i dettagli per la cura e il mante-nimento degli stessi. Grazie alla collaborazione con Chiara e Davide di Voglia di Bonsai (www.vogliadibonsai.it), è possibile scegliere tra diverse varietà disponibili e, soprattutto, puoi sostenere i progetti di Mani Tese.Il tuo impegno di giustizia parte anche da qui: da scelte consapevoli e solidali che possono davvero fare la differenza!Scegli di regalare i nostri bonsai: vai su www.manitese.it/bomboniere e scopri come effettuare il tuo ordine.

I regali solidali

SENTIERANDO INSIEMEMani Tese ha avviato una collaborazione con Sentierando (www.sentierando.it)!Sentierando è una Associazione di promozione sociale che da anni si occupa di ambiente e paesaggio proponendo escursioni per adulti e scolaresche.Insieme, vogliamo proporre facili escursioni giornaliere adatte a tutti con l'obiettivo comune di promuovere i progetti avviati nel Sud del mondo. I primi appunta-menti in programma saranno:Giovedi 19 aprile: il Forte di FuentesGiovedi 31 maggio: il parco regionale dei Corni di Canzo.

Per informazioni:[email protected]; [email protected]. 320-1963771

Quota di partecipazione: € 12 (viaggio escluso) di cui € 4 a so-stegno dei progetti di Mani Tese.

Per maggiori informazioni sui regali solidali:Ufficio Raccolta Fonditel. 02 40 75 [email protected]

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Fai la diFFerenza

il nostro futuro è nella vostra storia | progetti28

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Diritti umani, sicurezza alimentaree donne MayaConavigua è un'organizzazione di indigeni di etnia maya che nasce per far fronte alle richieste di numerose donne i cui mariti e figli sono stati uccisi durante la guerra civile guatemalteca, terminata nel 1996. Donne a loro volta vittime di violenza ed emarginazio-ne, che chiedono la nascita di uno spazio in cui poter denunciare gli orrori della guerra e le violenze subite dalle popolazioni indigene.Oggi Conavigua continua il proprio impegno al fianco delle donne maya del Guatemala nella promozione e rispetto dei loro diritti, per un'emancipazione attraverso maggiori competenze tecniche e leadership.

Il Guatemala oggiIl Guatemala ha un'estensione di 108.889 kmq. La sua popolazione raggiunge quasi i 12 milioni di abitanti fra i quali prevale l'etnia indigena maya. Quasi la metà della popola-zione attiva è impiegata nel settore agricolo, per la maggior parte al servizio delle grandi proprietà terriere che si stima siano intorno al 70% della superficie agraria totale. Gene-ralmente le migliori terre sono occupate da coloro che possiedono i mezzi e la tecnologia per l'esportazione, relegando così i contadini poveri, la stragrande maggioranza, a terre di pessima qualità, principalmente marginali e a vocazione forestale. È così che il 51% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La diseguaglianza sociale si mostra an-cora più marcata nei confronti delle donne indigene che continuano a vivere in situazioni di marginalità, senza il riconoscimento dei diritti fondamentali.

Un progetto integratoL'intervento si compone essenzialmente di due momenti.Il primo relativo alla formazione tecnica rivolta a temi produttivi e alla realizzazione di 60 orti familiari con un sistema di irrigazione familiare o comunitario. Si terranno 5 incontri formativi sulle tecniche agricole (diversificazione, sementi e fertilizzanti organici, anti-parassitari naturali, raccolta, post-raccolta, trasformazione, ecc.) e 4 visite sul campo per verificare e apprendere da precedenti esperienze similari già realizzate da Conavigua. Le donne saranno equipaggiate con attrezzi, sementi e antiparassitari.Inoltre, e questo è il secondo momento, 30 di loro verranno formate sulle tematiche legate alla sovranità alimentare e ai cambiamenti climatici, al fine di formare leader in grado di dare alle comunità di riferimento un contributo politico, sociale e culturale su questi temi. Grazie alla formazione le donne potranno svolgere il ruolo di promotrici locali in progetti di sviluppo rurale.Parallelamente alla fase formativa, verrà realizzata una campagna di comunicazione attra-verso le radio comunitarie, per promuovere il progetto e sensibilizzare le comunità locali.

a cura di giovanni mozzi, mani tese

progetto 2239, guatemala

PER SOSTENERE I PROGETTI DI MANI TESE• Conto Corrente Postale

n° 291278 intestato a Mani Tese P.le Gambara 7/9, 20146 Milano

• Assegno bancario• Bonifico Bancario

Banca Popolare Etica, codice IBAN: IT 58 W 05018 01600 000000000040

• Domiciliazione bancaria tramite RID

• Carta di Credito sul sito www.manitese.it

• Destinazione del 5x1000 della dichiarazione dei redditi codice fiscale 02343800153

• Lascito Testamentario

BENEFICI FISCALITutte le donazioni effettuate a nome di Mani Tese godono dei benefici fiscali previsti dalla legge. Ricordati di conservare la rice-vuta di versamento!

Sostieni anche tu le donne maya del Guatemala!

Con 22 Euro fornisci a una donna zappa e rastrello per la lavorazione dell'orto.

Con 46 Euro contribuisci alla realiz-zazione dell'impianto di irrigazione.

Con 300 Euro procuri a una donna le sementi.

LocalitàCanillà e Zacualpa, dipartimento di El QuichèPartnerConaviguaImporto€ 36.345

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Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Tante iniziative per lo sviluppo integratodei tribaliSi può ancora morire di fame, di malattie curabilissime, di parto, di ignoranza in una sper-duta zona di campagna dello stato indiano dell'Andhra Pradesh, dove tutto –le scuole, gli ospedali, i trasporti, le vie di comunicazione– rappresenta un problema. Una zona dove l'85% degli abitanti vive di un'agricoltura grama, ma solo un quarto possiede un pezzo pur piccolo di terra, gli altri sono braccianti. Una zona dove c'è una scuola elementare ogni due o tre villaggi, pluriclasse e con un maestro solo, spesso distante anche 5 km a piedi.

Però qualcosa cambiaSono rispettivamente 10 e 3 anni che la LMSSS, con la collaborazione di Mani Tese, sta lavorando con i tribali e i fuori casta dei mandal (suddivisioni amministrative) di Manga-peta e di Eturnagaram e i risultati si vedono: nel solo mandal di Mangapeta sono nati 363 vivacissimi gruppi di donne, 75 di agricoltori, 25 organizzazioni comunitarie, una federa-zione, un sistema di microcredito. Nel mandal di Eturnagaram, dove si è iniziato più tardi, il processo è ad uno stadio intermedio. Il presente progetto ha proprio lo scopo di portare anche i 30 villaggi di questo mandal agli stessi soddisfacenti risultati.

Tante iniziativeSono previsti 75 eventi di sensibilizzazione per educare al concetto di solidarietà, per far nascere attività di risparmio e credito, sui problemi sanitari, igienici e nutrizionali, sul lavoro minorile e sull'importanza dell'istruzione, sulla prevenzione dell'AIDS, sui matri-moni di minori, sui problemi sociali in generale.41 corsi di formazione per lo staff del progetto, per i leader comunitari e per la gente dei villaggi sui diritti civili, sulla legislazione cooperativa, sulla discriminazione di genere, sulla prevenzione igienico sanitaria, sulle attività agricole e orticole, sull'allevamento del bestiame, su cucito e ricamo, sui programmi di microcredito, sulla gestione delle attività generatrici di reddito.1.500 famiglie potranno realizzare degli orti per integrare l'alimentazione familiare: saranno piantati 1.500 alberi da frutto, verranno creati 180 pollai, scavate 90 fosse per il vermicompost (come alternativa all'utilizzo di fertilizzanti e pesticidi) ed installate 15 pompe manuali per l'acqua potabile.

LocalitàMandal di Eturnagaram, Andhra PradeshPartnerLodi Multiporpose Social Service Society (LMSSS)Importo€ 74.520

a cura di giovanni mozzi, mani tese

progetto 2238, india

Sostieni anche tu lo sviluppo integrato dei tribali!

Con 12 Euro fornisci ad una donna 10 pulcini di un mese per iniziare un pollaio.

Con 70 Euro metti a dimora 100 alberi da frutto.

Con 250 Euro realizzi un corso di formazione su attività autonome generatrici di reddito per 50 donne e ragazze adolescenti.

CURIOSITà IMPORTANTILodi: che strano nome per un partner indianoLa Lodi Multipurpose Social Service Society (LMSSS) è l'organismo di azione sociale della diocesi di Wa-rangal e ha lo scopo di combattere la povertà attraverso l'educazione. Il suo nome deriva dalla collabo-razione nata negli anni '60 con la città di Lodi e favorita da Mani Tese che nasceva in quel periodo.

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Unisciti a noi. Insieme possiamo rendere il domani di moltissime persone un progetto possibile!

nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi.

Metti la tua firma e il nostro codice fiscale

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Scegli di destinare il tuo 5 x 1000 a Mani Tese.

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il nostro futuro è nella vostra storia | progetti30

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

La comunità Khumi ha ripreso a sorridereCari Sostenitori ,il progetto 2214 avviato da Mani Tese in Bangladesh ha chiuso la sua prima

fase!Il contributo di tutti voi che avete scelto di sostenere questo intervento è

stato fondamentale e per questo motivo vogliamo condividere i risultati

raggiunti attraverso il rapporto conclusivo inviato dal nostro partner locale

Humanitarian Foundation.Lo sviluppo integrato della Comunità Khumi continua e coinvolge, in questa

seconda fase, le popolazioni Marma e Mr con il progetto 2252 che potete

consultare direttamente sul nostro sito alla paginawww.manitese.it/progetti.

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I ratti fameliciNel 2007 una quantità smisurata di ratti selvatici invase le Chittagong Hill Tracts, la regione collinosa situata nell'estremità sudorientale del Paese. Erano attratti da un'eccezionale fioritura del bambù, ma oltre ai fiori, vera e propria piaga biblica, si sono mangiati tutta la produzione agricola della regione, lasciando nella fame e nella disperazione più nera una popolazione che già se la passava assai male. Eh sì, perché già scarseggiava il cibo prima, mancava l'acqua potabile, medicine e zanzariere erano un lusso inarrivabile e così malaria, dissenteria, epatite virale avevano una diffusione endemica.Come se non bastasse molti agricoltori delle popolazioni tribali che abitano l'area come i Khumi ad esempio, non disponevano neppure di un pezzo di carta che attestasse la proprietà della povera terra che lavoravano.

Cosa è cambiato Più che le parole possono spiegare i risultati raggiunti i numeri. Li trovate nella tabella in questa pagina. Aggiungeremo solo che non si sono semplice-mente forniti a queste persone gli strumenti per superare l'emergenza dei ratti e la loro diffusa povertà, ma sono anche state aiutate a ritrovare grinta e speranza per affrontare il futuro, più agguerrite e consapevoli dei propri diritti e delle proprie capacità.

a cura di giovanni mozzi, mani tese

progetto 2214, bangladesh

LocalitàChittagong Hill TractsPartnerHumanitarian FoundationImporto€ 47.670

Progetto 2214 - I numeriPiante di mango distribuite 10.850 (50 per 217 famiglie)

Piante di susine distribuite 4.340 (20 per 217 famiglie)

Piante di litchi distribuite 4.340 (20 per 217 famiglie)

Piante medicinali distribuite 13.020 (60 per 217 famiglie)

Registrazione della proprietà della terra ottenuta da 167 famiglie

Hanno imparato a fare il compost 217 famiglie

Corsi di orticoltura 12 per 18 persone ciascuno

Corsi per avviare attività generatrici di reddito 12 per 18 persone ciascuno

Page 31: Manitese n.477 - mar/apr 2012

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