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www.servidimaria.org 1 www.servidimaria.org Maggio - Giugno COSMO 5 - 6 VIVERE IVERE IVERE E TESTIMONIARE TESTIMONIARE TESTIMONIARE LAMORE AMORE AMORE CRISTIANO CRISTIANO CRISTIANO Fr. Charlie M. Leitão de Souza Segretario generale per l’Evangelizzazione dei popoli e di Giustizia e Pace Gesù ha voluto rendere gli uomini partecipi del suo amore per l’umanità e ha affidato alla Chiesa il compito di annunciare la sua parola a tutte le genti, per mezzo della testimonianza della fede. Il contenuto del suo messaggio è la rivelazione dell’amore di Dio, la predicazio- ne dell’amore fraterno per tutti gli uomini, la capacità di dono, di perdono, di abnega- zione e di aiuto ai fratelli. Gesù passa di città in città per proclamare il vangelo del regno di Dio perché rico- nosce che questa è la sua missione: "Bisogna che io annunci il regno di Dio, per questo sono stato mandato" (Lc 4,43). Si sente sostenuto nella missione: "Lo Spirito del Signore è sopra di me... e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto an- nunzio" (cf.Is 61,1; Lc 4, 18). Queste sue parole, che inviano i discepoli alla missio- ne, costituiscono un mandato obbligatorio per ogni cristiano: "Andate dunque e am- maestrate tutte le nazioni, battezzandole nei nome del Padre e del Figlio e dello Spi- rito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19- 20). L'evangelizzazione è la missione essenziale della chiesa, la sua identità più pro- fonda, per questo il Concilio Vaticano II ne ha ripresentato il suo ruolo, chiamando a questa causa tutti i cristiani, che sono invitati ad "evangelizzare" nei luoghi dove vi- vono. La realizzazione dell’impegno apostolico rivela sue dimensioni etico-sociali ed etico-politiche (cfr Dignitatis humanae , 6). Naturalmente, la Chiesa è profondamente convinta che l'annuncio cristiano debba essere portato nel pieno rispetto delle diverse culture. Quindi l’evangelizzazione de- ve essere un messaggio esplicito, costantemente aggiornato e applicato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare, sulla vita comune nella socie- tà, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo, la liberazione. Le condizioni della società di oggi ci chiedono a rivedere i modi e i mezzi per por- tare all’uomo il messaggio cristiano, tradurlo senza tradirlo, viverlo e proporlo. Il van- gelo coinvolge la vita concreta, personale e sociale dell’uomo. "Per quest’umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio è evidente l'urgenza della missione" (RM 3). Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi. L’uomo da evangelizzare è un essere condizionato da questioni sociali ed economiche. Il Capitolo generale di Ariccia 2007, n. 15, “ha fatto spesso riferimento al fenome- no mondiale della povertà economica e ai meccanismi d’ingiustizia che producono una sempre maggiore separazione tra ricchi e poveri.” Ha considerato “inaccettabile questo crescente divario” e ha proclamato che: “le sofferenze subite dai nostri fratelli e sorelle nelle varie parti del mondo ci raggiungono. Sono volti di popoli in guerra; volti di bambini, vittime di violenza, fame, abusi, abbandono; volti di donne, violate, comprate e vendute; volti di indigeni, espropriati per secoli di terra, cultura e fede; volti di esiliati e di migranti, alla ricerca di sopravvivenza e dignità; volti di carcerati, che affollano le infinite carceri del mondo; volti di ammalati che mostrano la nostra precarietà, spesso anche vittime di interessi ciechi, di epidemie, della tremenda pia- EDITORIALE

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Maggio - Giugno COSMO 5 - 6

VVVIVEREIVEREIVERE EEE TESTIMONIARETESTIMONIARETESTIMONIARE LLL’’’AMOREAMOREAMORE CRISTIANOCRISTIANOCRISTIANO

Fr. Charlie M. Leitão de Souza Segretario generale per l’Evangelizzazione dei popoli

e di Giustizia e Pace Gesù ha voluto rendere gli uomini partecipi del suo amore per l’umanità e ha affidato alla Chiesa il compito di annunciare la sua parola a tutte le genti, per mezzo della testimonianza della

fede. Il contenuto del suo messaggio è la rivelazione dell’amore di Dio, la predicazio-ne dell’amore fraterno per tutti gli uomini, la capacità di dono, di perdono, di abnega-zione e di aiuto ai fratelli.

Gesù passa di città in città per proclamare il vangelo del regno di Dio perché rico-nosce che questa è la sua missione: "Bisogna che io annunci il regno di Dio, per questo sono stato mandato" (Lc 4,43). Si sente sostenuto nella missione: "Lo Spirito del Signore è sopra di me... e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto an-nunzio" (cf.Is 61,1; Lc 4, 18). Queste sue parole, che inviano i discepoli alla missio-ne, costituiscono un mandato obbligatorio per ogni cristiano: "Andate dunque e am-maestrate tutte le nazioni, battezzandole nei nome del Padre e del Figlio e dello Spi-rito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20).

L'evangelizzazione è la missione essenziale della chiesa, la sua identità più pro-fonda, per questo il Concilio Vaticano II ne ha ripresentato il suo ruolo, chiamando a questa causa tutti i cristiani, che sono invitati ad "evangelizzare" nei luoghi dove vi-vono. La realizzazione dell’impegno apostolico rivela sue dimensioni etico-sociali ed etico-politiche (cfr Dignitatis humanae, 6).

Naturalmente, la Chiesa è profondamente convinta che l'annuncio cristiano debba essere portato nel pieno rispetto delle diverse culture. Quindi l’evangelizzazione de-ve essere un messaggio esplicito, costantemente aggiornato e applicato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare, sulla vita comune nella socie-tà, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo, la liberazione.

Le condizioni della società di oggi ci chiedono a rivedere i modi e i mezzi per por-tare all’uomo il messaggio cristiano, tradurlo senza tradirlo, viverlo e proporlo. Il van-gelo coinvolge la vita concreta, personale e sociale dell’uomo. "Per quest’umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio è evidente l'urgenza della missione" (RM 3).

Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi. L’uomo da evangelizzare è un essere condizionato da questioni sociali ed economiche.

Il Capitolo generale di Ariccia 2007, n. 15, “ha fatto spesso riferimento al fenome-no mondiale della povertà economica e ai meccanismi d’ingiustizia che producono una sempre maggiore separazione tra ricchi e poveri.” Ha considerato “inaccettabile questo crescente divario” e ha proclamato che: “le sofferenze subite dai nostri fratelli e sorelle nelle varie parti del mondo ci raggiungono. Sono volti di popoli in guerra; volti di bambini, vittime di violenza, fame, abusi, abbandono; volti di donne, violate, comprate e vendute; volti di indigeni, espropriati per secoli di terra, cultura e fede; volti di esiliati e di migranti, alla ricerca di sopravvivenza e dignità; volti di carcerati, che affollano le infinite carceri del mondo; volti di ammalati che mostrano la nostra precarietà, spesso anche vittime di interessi ciechi, di epidemie, della tremenda pia-

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COSMO 5 - 6 Maggio - Giugno ga dell’AIDS. Volti di lavoratori precari e senza garanzie, privati della speranza di un futuro migliore. Volti di bambini non nati. E mille altri volti di una umanità ferita che reclama rispetto, diritto di vivere e di partecipare alla costruzione di una terra nuo-va, più giusta e fraterna. A questi fratelli e al loro grido dobbiamo in qualche modo ri-spondere.”

La creazione del Segretariato generale per l’Evangelizzazione dei Popoli e Giusti-zia e Pace è una risposta a questa situazione: “Leggendo i segni dei tempi (società secolarizzata, …) in un mondo che conosce solo parzialmente la Parola di Dio, il Ca-pitolo generale avverte la presenza di una nuova primavera del Vangelo all’inizio del terzo millennio” (CG2007, n. 45).

Lo stesso numero ricordando il documento “La giustizia nel Mondo”, del Terzo Si-nodo dei Vescovi, 1971, dice: “L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasforma-zione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predica-zione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere u-mano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo.”

Non si può proclamare il comandamento dell’amore verso il prossimo senza pro-muovere l’autentica crescita dell’uomo nella giustizia e nella pace vera. E, come con-seguenza, la logica evangelica dell’amore deve incarnarsi nella logica umana e razio-nale dell’economia, della politica e della società.

Il vangelo è parola di verità che libera gli uomini (cf. Gv 8, 32). Siamo consapevoli di questo perché Dio non è assente dalla nostra vita, al contrario è un Dio che ci inter-pella a vivere concretamente l’amore, capace di vincere la morte e promuovere la vi-ta: l’amore verso tutta la creazione; l’amore che fa di noi amministratori dei beni che sono mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo; l’amore che chiama i popoli della terra ad instaura-re tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione (Benedetto XVI, 1º gennaio 2008, Giornata per la Pace).

Cristo ci invita a essere portatori dell’esperienza del suo amore. Un’esperienza concreta che nostri primi padri hanno fatto e che oggi portiamo nella nostra identità di Servi. Le nostre comunità, infatti, a imitazione di quella dei nostri primi Padri deside-rano irradiare il loro amore nel mondo che le circonda (Cf. Cost. 79).

S. Maria delle Ande” e cioè Cile, Bolivia, Perù, Argentina, Uruguay, anche se tal-volta lo stile di vita di alcune comunità non differisce affatto da quello missiona-rio.

CHIARIMENTO.

Le zone tecnicamente missionarie, cio-è ambiti territoriali di missio ad gentes, af-fidate direttamente dalla Sede Apostolica alla cura pastorale dell’Ordine, sono at-tualmente due: il Vicariato Apostolico di Aysén (Cile), e il Vicariato Apostolico di Ingwavuma (Sudafrica).

Questa sezione intende offrire una descrizione essenziale e una panorami-ca generale delle nostre missioni, nuove fondazioni e rifondazioni, in modo tale da facilitare la comprensione globale dell’impegno missionario dell’Ordine og-gi. Non verranno più considerate “Missioni” o “Nuove fondazioni” quei territori che hanno già ricevuto uno status giuridico, quali per esempio i Vicariati dell’India e delle Filippine, ed alcune nazioni dell’America latina che dal 14 giugno del 2007 si sono costituite in “Provincia di

I I I SERVISERVISERVI DIDIDI MMMARIAARIAARIA EEE LELELE MISSIONIMISSIONIMISSIONI

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Tuttavia l’Ordine continua a collabora-re strettamente nel consolidamento di al-tre due Chiese particolari a suo tempo af-fidate all’Ordine e cioè quella di Manzini (Swaziland) e Rio Branco (Brasile), attual-mente elevate a diocesi. Riguardo a que-ste due Missioni l’Ordine non ha più la pri-ma responsabilità, che spetta alle Chiese citate.

Le nuove Fondazioni e Rifondazioni non sono da equiparare alle Chiese mis-sionarie sopra nominate, perché anzitutto l’impegno di evangelizzazione non è stato assunto dall’Ordine per incarico diretto della Sede Apostolica (il che succede nel caso delle Missioni), ma è sorto ad inizia-tiva di singole giurisdizioni servitane, ad eccezione dell’Albania.

In più, alcune fondazioni sono presen-ze servitane in Chiese locali missionarie (p. e. in Uganda, Kenya, Mozambico) e altre in Chiese già autonomamente costi-tuite, che non si considerano più come territori missionari (p.e. alcune diocesi in America Latina, in Asia, nell’ Europa dell’Est).

VICARIATO APOSTOLICO VICARIATO APOSTOLICO VICARIATO APOSTOLICO

DI AYSEN, CILE DI AYSEN, CILE DI AYSEN, CILE

Descrizione La Missione di Aysén, già conosciuta co-me “Missione di Maria Regina”, fu affidata dalla Sede Apostolica alla responsabilità e cure dell’Ordine dei Servi, attraverso la Provincia Veneta, nel 1937. Il 17 febbraio 1940 il territorio, la cui circoscrizione coin-cide con la XI Regione del Cile, fu eretto a Prefettura Apostolica col nome di A-ysén, e l’8 maggio 1955 elevato a Vicaria-to Apostolico.

I Servi di Maria di Aysén fanno parte della recentemente costituita Provincia di S. Maria delle Ande, che è composta da 59 frati distribuiti nelle seguenti nazioni: Cile, Bolivia, Perù, Argentina, Uruguay.

Caratteristica del territorio missionario di Aysén è la sua ampiezza rispetto alla scarsa popolazione. La posizione geogra-

fica e le condizioni climatiche rendono ar-duo lo sviluppo della regione.

Presenza OSM Comunità dei Servi: 1 (Coyhaique);

professi sol.: 4; Serve di Maria SS. Addo-lorata, presenti dal 1938: 2 comunità, 8 suore; Fraternità OSSM a Coyhaique e Puerto Aysén.

Dati generali Estensione: 109.865 kmq; popolazio-

ne: 90.300 (di cu 40.000 sono a Coyhai-que e 15.000 a Puerto Aysén); parroc-chie: 6; cattolici:71.898; altre confessioni: chiese evangeliche; comunità cristiane: 58; presbiteri: del clero diocesano: 6 (di cui 2 locali), Religiosi:10; diaconi diocesa-ni: 3 (2 diaconi sposati); religiose: 16; lai-che consacrate: 5 catechisti: circa 450; scuole (tra cui 2 licei): 10, con circa 6.000 alunni; centri di carità sociale (cliniche, assistenza anziani, asili, educazione so-ciale, ecc.): 79 (persone assistite: 8.548). Vicario Apostolico: Mons. Luis M. Infanti De La Mora

VICARIATO APOSTOLICO VICARIATO APOSTOLICO VICARIATO APOSTOLICO

DI INGWAVUMA, SUD AFRICA DI INGWAVUMA, SUD AFRICA DI INGWAVUMA, SUD AFRICA

Descrizione Il Vicariato Apostolico di Ingwavuma, nel-la parte nordorientale della Repubblica Sudafricana; comprende i distretti di In-gwavuma, Ubombo e Hlabisa. Il territorio venne affidato dalla Sede Apostolica all’Ordine dei Servi di Maria nel 1938, at-traverso la Provincia Toscana, affinché si adoperasse per la “implantatio ecclesiae”. Il vescovo Costantino M. Barneschi, Vi-cario Apostolico di Bremesdorp (adesso Manzini) chiese alla provincia Americana dell’Est di inviare frati per una nuova mis-sione. Fr. Edwin Roy M. Kinch (1918 – 2003) arrivò in Swaziland nel 1947. Altri frati vennero dagli Stati Uniti, facendo co-sì nascere la Prefettura Apostolica di In-gwavuma. Il 19 novembre 1990 il territorio divenne Vicariato Apostolico. Dopo la se-conda guerra mondiale la missione fu as-sunto direttamente dai frati delle Province

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Nordamericane, e per decreto del Capito-lo generale del 1968 le comunità allora costituite furono riunite nel Vicariato pro-vinciale dello Zululand, dipendendo dalla Provincia USA Est.

Attualmente i frati Servi di Maria mem-bri della delegazione OSM dello Zululand sono 10.

Presenza OSM I frati della delegazione Zululand lavo-

rano in 5 Comunità: Hlabisa, Ingwavuma, KwaNgwanase, Mtubatuba e Ubombo; frati professi solenni: 9 (2 locali 2 canadesi e 5 USA) Dati generali

Estensione:1 2.369 kmq; popolazione: 609.180; catto-lici: 23.054; altre confessio-ni: luterani, anglicani, meto-disti:150.000; chiese africa-ne 60.000; non cristiani: 300.000; parrocchie: 5; sta-zioni missionario: 68; 8 pre-sbiteri OSM; 1 presbitero lo-cale; fr. Wilbert Mkhawana-zi. missionari laici: 3; cate-chisti a tempo parziale: 160; a tempo pieno: 9.

Vicario Apostolico: dopo la morte di mons. Michael M. O'Shea avvenuta il 30 maggio 2006 la sede è ancora vacante.

DIOCESI DI MANZINI, DIOCESI DI MANZINI, DIOCESI DI MANZINI,

SWAZILANDSWAZILANDSWAZILAND

DESCRIZIONE Lo Swaziland è un paese che confina

con il Sudafrica e il Mozambico. Fu affida-to dalla Sede Apostolica come missione all’Ordine dei Servi il 4 aprile 1913. Il 19 marzo 1923 il territorio fu costituito in Pre-fettura Apostolica e nello stesso anno la missione fu affidata alla Provincia Tosca-na. Nel 1939 divenne Vicariato Apostolico e con lo stabilirsi della Chiesa locale in Sud Africa l’11 gennaio 1951 la missione

fu eretta a Diocesi. Lo Stato è indipen-dente dal 1968.

Nei primi anni di presenza servitana la missione Swazi era sotto la responsabilità della Provincia Tirolese. Nel 1923 passò sotto la giurisdizione della Provincia To-scana.

Presenza OSM Comunità Servi: 4 (Mzìmpofu — St. Jo-

seph 3 frati; Pigg’s Peak — 2 frati; Nigel 3 frati, Siteki 2); professi: 10 ca; Serve di Maria di Swazi-land: 10 comunità, 48 suore; Mantellate Serve di Maria: 3 comunità, 25 suore; 1 frater-nità OSSM. Dati generali Estensione: 17.364 kmq; popolazione: 990.000; catto-lici: 55.130; altre confessio-ni: anglicani, luterani, meto-disti: 20.000; chiese indi-pendenti africane: 150.000; animisti: 50.000; parrocchie: 15; presbiteri: diocesani: 11; salesiani: 2; religiose altre congregazioni: 6; scuole: 71; ospedali: 1; cliniche: 7;

asili: 14; centri di beneficienza: 26. Ve-scovo della Diocesi: Mons. Louis Ncami-so M. Ndlovu, OSM.

DIOCESI DI RIO BRANCO, DIOCESI DI RIO BRANCO, DIOCESI DI RIO BRANCO,

BRASILEBRASILEBRASILE

DESCRIZIONE La Prelazia di S. Pellegrino Laziosi

dell’Acre Purus, nel Brasile Amazzonico, fu creata dal Papa Benedetto XV il 4 ot-tobre 1919. Il territorio venne affidato ai Servi di Maria della Provincia di Romagna nel 1920 e il 15 febbraio 1986 fu elevata al titolo di Diocesi di Rio Branco. I Servi di Maria, giunti a Sena Madureira nel 1920, si sono adoperati in questi 88 anni alla predicazione del Vangelo e alla implanta-tio ecclesiae tra gli indios e i seringueiros, aiutati dalle Serve di Maria Riparatrici, giunte in Acre nel 1921. Dal 1972 sono

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Il Priore generale, in virtù del suo servizio e della sua respon-sabilità nella formazione, con il suo Consiglio, e in dialogo con i Priori e Vicari provinciali, favori-sca il coinvolgimento in perso-nale e in mezzi di più giurisdizio-ni nella creazione di nuove pre-senze dei Servi e delle Serve di Maria nelle Missioni di prima evangelizzazione e abbia parti-colare attenzione nell’accom-pagnamento delle nuove voca-zioni all’Ordine.

Cap. Gen. Ariccia 2007, N.46

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presenti anche le Serve di Maria di Gale-azza. Ora i frati del Acre fanno parte della Provincia Brasiliana dei Servi di Maria. Dal 24 febbraio 1999 Joaquín Pertíñez Fernández, O.A.R è il vescovo di Rio Branco. PRESENZA OSM

Comunità Servi: 2 (Rio Branco e Sena Madureira); professi solenni: 9; 2 professi temporanei ; 8 giovani in formazione. Nella Diocesi di Rio Branco sono presenti le Suore Serve di Maria Riparatrici (con 2 Collegi, con la amministrazione del Ospe-dale Santa Juliana e una comunità di in-serzione) e le Suore Serve di Maria di Galeazza (con la amministrazione del Centro de Formazione Pastorale e una comunità di inserzione). DATI GENERALI

Estensione Stato dell’Acre: 102.136 kmq; popolazione: 557.000 (di cui 300.000 a Rio Branco); cattolici: 356.658; altre confessioni evangeliche: 60.000; parrocchie. 21, presbiteri diocesani. 18, seminaristi. 4 ; religiose di altre congrega-zioni: 31; stazioni missionarie: 245; cate-chisti: 560; centri educativi: 2; centri di be-neficenza: 2.

MOZAMBICO MOZAMBICO MOZAMBICO

DESCRIZIONE

La presenza della famiglia servitana in Mozambico iniziò nel 1973 con l’arrivo a Nampula di cinque monache Serve di Ma-ria in risposta ad un appello del vescovo locale che chiedeva una presenza con-templativa. Nel 1983 i Servi della Provin-cia spagnola, come risultato del loro pro-cesso di ristrutturazione, decidono l’assunzione di un impegno missionario che si concretizzerà nel servizio di evan-gelizzazione nella Missione di S. Gabrie-le, nella città di Matola, a 7 Km da Mapu-to, capitale del paese. I primi due frati ar-rivano in Mozambico nel mese di febbraio 1984 e si stabiliscono a Matola alla fine dello stesso anno. Attualmente i Servi la-vorano nel servizio di evangelizzazione,

Maggio - Giugno COSMO 5 - 6 educazione, pastorale urbana e rurale, nella promozione sociale e gestiscono un centro per bambini in difficoltà (110), 2 asili, 3 scuole primarie e 1 secondaria, 1 centro nutrizionale.

Le Serve di Maria Contemplative di Nampula e Lichinga svolgono un intenso servizio orante e un sostegno ai più bi-sognosi. Nel 1983 inizia a Xai-Xai, una cittadina del sud, una nuova Congrega-zione locale, ispirata al carisma servita-no: le Serve di Santa Maria del Cenaco-lo. Le suore si dedicano alla promozione delle vocazioni, all’evangelizzazione e al servizio della donna rurale.

Il paese è in fase di ricostruzione a tutti i livelli dopo una guerra civile che è durata 16 anni (dal 1976 al 1992) ed ha causato la morte di un milione di perso-ne, l’esodo di milioni di rifugiati e disloca-ti e la distruzione o paralisi delle infra-strutture amministrative, sociali ed eco-nomiche della nazione mozambicana. Presenza OSM

Comunità Servi: 1; professi solenni 3; prenovizi 1 e postulanti 5, professi tem-poranei: 2.

Monache Contemplative Serve di Ma-ria: Nampula, Lichinga e Chokwé: 40 monache. Serve di Santa Maria del Ce-nacolo: 3 comunità con 15 suore . Fra-ternità dell’OSSM: 5 (con più di 100 membri).

Dati generali Estensione: 801.590 kmq; popola-

zione: 21.000.000 (popolazione rurale 60%); 20 abitanti per kmq; età media di vita: 40 anni; analfabetismo: 40%; il 42% della popolazione ha un’età inferiore ai 25 anni; Religione; Culti locali 50%; Cristiani 30%; Musulmani 20%

UGANDA UGANDA UGANDA EEE KENYAKENYAKENYA

DESCRIZIONE La presenza dell’Ordine in Uganda

risale alla fine dell’anno 1987, ad iniziati-va del Vicariato dello Swaziland. Il 16 novembre dello stesso anno, il Capitolo

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provinciale toscano, con il parere favore-vole dei frati Swazi, decide di aprire “ad experimentum” una comunità in Uganda. Il 27/2/1989 i Servi accettano la parroc-chia di Kisoga (attualmente appartenente alla diocesi di Lugazi), distante 40 Km da Kampala, intitolata a S. Joseph Balikud-dembe. La parrocchia è divisa in 4 zone, con 24 sottoparrocchie, e comprende una vasta estensione di zona rurale ed una isola nel Lago Vittoria. Attualmente è de-legazione della provincia Veneta e si av-vale della collaborazione di altre province e vicariati. Nel 2004 per potere offrire ai candidati OSM una più qualificata scuola teologica hanno aperto una comunità di formazione a Nairobi. PRESENZA OSM

Le Comunità dei Servi: in Uganda 3 (4 case), in Kenya 1 ; professi solenni12; professi t. 20; Novizi 8; postulanti e pre-novizi 16. Fraternità dell’OSSM 15 (circa 120 membri). DATI GENERALI

Estensione: 236.040 kmq; popolazio-ne: 28.195.754;

Religione: Circa l'85% della popolazio-ne è di religione cristiana, fra questi i due gruppi più numerosi sono i cattolici (45 %) e gli anglicani (35%). Oltre il 10% degli ugandesi sono musulmani sunniti. L'1% della popolazione professa religioni tradi-zionali africane.

Missione di Kisoga: comunità cristiane: 70; scuole primarie: 20; scuola seconda-ria: 1; internato: 1; (si calcola in 5.000 gli alunni che frequentano le scuole della missione); catechisti: 30.

ALBANIA ALBANIA ALBANIA

DESCRIZIONE

In Albania, sottoposta dopo la seconda guerra mondiale ad una dittatura comuni-sta che l’ha isolata dal mondo e che è du-rata fino a dicembre 1990, la persecuzio-ne contro ogni credo religioso fu atroce, e nel 1967 furono chiusi i luoghi di culto ed imprigionati o uccisi i loro responsabili.

Dal 1991 si sono aperte le porte anche alla libertà religiosa.

I Servi, su richiesta della Sede Aposto-lica, sono a Valona, città del sud, dal me-se di novembre 1991. Assieme alle Serve di Maria Riparatrici e alle Serve di Maria Addolorata di Scutari, fin dagli inizi si so-no assunti il forte impegno di evangelizza-zione nonché un costante servizio umani-tario verso la popolazione bisognosa che si è concretizzato in un sostegno medico-sanitario, scolastico e sociale. PRESENZA OSM

Comunità dei Servi: 1, con 2 professi solenni. Serve di Maria di Scutari si sono ora unite alle Serve di Maria Riparatrici. Serve di Maria Riparatrici: 2 comunità. DATI GENERALI:

Estensione: 28.748 kmq; popolazione: 3.600.523; religioni: 70% musulmani, 20% ortodossi, 10% cattolici.

MMMYANMARYANMARYANMAR (B(B(BIRMANIAIRMANIAIRMANIA)))

Dal 15 settembre 2007 i nostri frati vi-

vono nella diocesi di Yangon guidata dal vescovo Charles Maung Bo . Le ultime statistiche dicono che i battezzati sono 81.565 (0,5% della popolazione). Le par-rocchie sono 47, con 79 sacerdoti secola-ri, 4 regolari e 235 religiose.

Presenza OSM: 1 Comunità (Yangon): 2 frati, La presenza delle Serve di Maria dell’India è già consolidata da anni.

Dati generali Superficie: 676.756 km², Abitanti:

48.698.000 Religione: La Birmania è un paese

multi - religioso: Buddisti 89 %, Sun-niti 4 %, Protestanti (Battisti) 3%, Cattolici 1%

UNGHERIAUNGHERIAUNGHERIA

DESCRIZIONE

La Provincia Ungherese, mai soppres-sa canonicamente, fu soppressa invece

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da parte delle autorità civili nel settembre 1950; soltanto nel 1989 la Chiesa ottenne la facoltà di riorganizzarsi, e il Capitolo generale del 1989 decretò l’impegno dell’Ordine a sostenere la rievangelizza-zione e la vita religiosa nell’Est europeo. Nel 1994 si é ottenuto la restituzione del convento di Eger, in seguito 3 altri con-venti a Budapest e nelle vicinanze. Attual-mente è sotto la giurisdizione del Priore Generale. PRESENZA OSM

Servi di Maria: professi solenni 2; can-didati 1.

Le Serve di Maria dell’Ungheria si so-no unite alle suore delle Serve di Maria Addolorata (Firenze): 4 case e 16 suore. Esiste un grande numero di fraternità dell’OSSM.

Tenendo conto del capitolo generale di Ariccia 2007, N. 30, il Consiglio generali-zio ha messo in atto il processo di chiusu-ra della presenza dei Servi di Maria in Ungheria ed il graduale ritiro dei frati.

INDONESIAINDONESIAINDONESIA

DESCRIZIONE:

L’Indonesia è un paese formato da ter-ra e da acque: è l’arcipelago più grande del pianeta con 2.922.570 KMq. Conta 14.000 isole, delle quali 3.000 sono abita-te dagli oltre 210 milioni di una popolazio-ne a etnie abbastanza simili, di cui l’ 87% è musulmana. I Cattolici rappresentano il 2%. È un paese povero con tante neces-sità a tutti i livelli.

La Provincia messicana, su richiesta del Priore generale e del suo Consiglio, accettò di avviare ufficialmente l’apertura della prima comunità il 10 marzo 2006. I frati David M. Mejia e Martin M. Rangel si stabilirono nella città di Ruteng nell’isola di Flores, la cui popolazione è in maggioranza cattolica. Successivamente fu inviato fr. Moisés M. Jaramillo, fr. Ale-jandro M. Medina, fr. Ramón M. Bustil-los e Gerardo M. Hernández. Attualmen-te ci sono numerosi giovani indonesiani in

via di formazione. Per offrire una migliore qualità accademica agli studenti di filoso-fia e teologia è stata aperta una nuova casa di formazione a Malang, nell’isola di Java.

Presenza OSM: Professi solenni: 4; Conventi: 2; Studenti una trentina in Indo-nesia e 18 in Messico.

Congregazioni femminili OSM: Com-passioniste Serve di Maria, Suore di Ma-ria SS. Addolorata di Napoli, Suore dell’Addolorata Serve di Maria di Pisa, Serve di Maria di Galeazza, Serve di Ma-ria Addolorata di Nocera.

COMUNITA' D'INSERZIONECOMUNITA' D'INSERZIONECOMUNITA' D'INSERZIONE---

MISSIONE TLAPA, GUERRERO. MISSIONE TLAPA, GUERRERO. MISSIONE TLAPA, GUERRERO. (M(M(MÉXICOÉXICOÉXICO).).).

La comunità d'inserzione è una piccola

comunità che vive con gli indigeni, cer-cando e suggerendo qualcosa di più pro-fondo: vivere i valori evangelici nelle real-tà di povertà in cui vive la gente di quella specifica zona geografica.

Da tempo nella provincia messicana si è sentito l'inquietudine di dare spazio a una comunità d'inserzione. Ci sono state esperienze forti di alcuni frati con le co-munità indigene dell’ovest del Messico con gli indios "Huicholes", nella prelatura del Nayar, poi a Sud ovest con gli indios Tlapanecas, nella Diocesi di Tlapa.

Dopo l’esperienza con gli indios Hui-choles e Tlapanecas si arriva alla richie-sta da parte del Capitolo provinciale mes-sicano, il 5 marzo 2004, di aprire la comu-nità "Guadalupe de Xabugnii” (Guadalupe de los pobres) nella zona sudovest nello stato di Guerrero, Acatepec, Diocesi di Tlapa, con gli indios Tlapanecas. Questa comunità è praticamente missionaria e allo stesso tempo offre un’esperienza d'inserzione e inculturazione. Attualmente la popolazione tlapaneca conta 150.000 membri.

La comunità è composta di 3 frati, vive molto poveramente in una casa molto u-mile, priva di energia elettrica e di acqua

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corrente. I Servi curano 23 piccole comu-nità ecclesiali nel territorio.

INCULTURAZIONE, INSERZIO-INCULTURAZIONE, INSERZIO-INCULTURAZIONE, INSERZIO-NE ED EVANGELIZZAZIONENE ED EVANGELIZZAZIONENE ED EVANGELIZZAZIONE

Una esperienza della Provincia Messicana

dei Servi di Maria

da una conferenza di fr. Federico M. Mena, OSM, tenuta a Coyahique nel 2004 INSERZIONE. Benché l'attività missionaria ab-bia inquietato sempre i Servi di

Maria in Messico, il principale fattore che li mosse a realizzare esperienze tra gli in-digeni Huicholes non fu precisamente l'in-quietudine missionaria, bensì l'inserzione: vivere la povertà evangelica con gli emar-ginati, per accompagnarli nel loro proces-so di liberazione integrale. Questo avreb-be potuto essere fatto tra gli indigeni, nei quartieri, o negli ospedali psichiatrici...

Si scelsero gli indigeni, più precisa-mente gli Huicholes, che non sono cattoli-ci, né conoscono il cristianesimo. In que-sto modo si è realizzata una coincidenza tra inserzione e missione. D'altra parte, noi frati ci siamo trovati di fronte ad una cultura di tradizione precolombiana quasi intatta. Presto sorsero i seguenti interro-gativi: che senso ha qui il lavoro missio-nario? Come predicare il Vangelo a gente che parla una lingua propria, e che ha u-na mentalità ed una sensibilità differente dalla nostra? Era essenziale imparare la loro lingua; ma poi, ci saremmo fatti capi-re con il solo predicare nella loro lingua? Non sarebbe anche stato necessario e-sporre il messaggio nella loro logica, più che nella nostra? Ma quale è la logica del loro pensiero? E, cosa più spinosa: che cosa pensare dei loro riti non cristiani? Li avremmo satanizzati e combattuti come

fecero i missionari spagnoli al tempo della prima evangelizzazione? E che cosa dire delle loro credenze religiose?

Capimmo che prima di presentare il messaggio evangelico esplicito, avremmo dovuto fare un lungo percorso di cono-scenza della cultura huichol: la loro co-smo-visione, le loro credenze religiose, i loro simboli sacri, i loro riti, la loro logica mitica e magica, la loro organizzazione religiosa.... E scoprimmo che l'inserzione sarebbe precisamente stata il mezzo più adeguato ed efficace per progredire nella conoscenza di quella cultura a noi estra-nea. ………. NUCLEO FONDAMENTALE

Il cuore di una cultura, cioè il suo nu-cleo fondamentale, è costituito da due e-lementi:

- la cosmo-visione: maniera di capire il mondo, l'uomo e Dio;

- la sensibilità: processo psico-affettivo che caratterizza la peculiare ma-niera di relazionarsi col mondo, con l'altro e con Dio.

Difficilmente questi due aspetti cam-biano, sono ben protetti da livelli prece-denti che occultano e coprono questo nu-cleo fondamentale; che a sua volta, è quello che spinge una cultura alla fioritura in condizioni favorevoli, e quello che può darle le chiavi di sopravvivenza in condi-zioni avverse.

La cosmo-visione e la sensibilità sono gli elementi del nucleo fondamentale, e sono la pietra di confronto per raggiunge-re l'inculturazione. Questo nucleo funzio-na come regolatore e rivitalizzatore degli altri tre livelli della cultura: permette che il folclore cambi, adattandosi alle influenze esterne, tuttavia i nuovi elementi del fol-clore cambiano di senso, perché sono ca-piti dalla propria cosmo-visione, e pertan-to, la relazione affettiva con questi ele-menti originalmente strani, rimane regola-ta dalla propria sensibilità. Così, per e-sempio, se si perde il costume tipico, e la popolazione adotta l'abbigliamento che è di moda nel libero mercato, il nucleo fon-

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damentale gli fa cambiare il significato e stabilisce una nuova relazione emoziona-le con quell’ultima forma di vestire, in tal modo che sebbene sembri una forma di vestire di un'altra cultura, segretamente sia già abitudine “huchol” o "tlapaneca". Lo stessa cosa capita nei cambiamenti nell'organizzazione sociale, o nella forma-zione di nuove identità.

Ci sono missionari che volendo assu-mere la sfida dell'inculturazione, si impe-gnano quasi esclusivamente nelle manife-stazioni culturali più superficiali: quelle del folclore. Cadono nell'illusione che stiano inculturando la loro azione apostolica se costruiscono i tempi con degli stili archi-tettonici di quella cultura strana, se impri-mono negli ornamenti liturgici i simboli sa-cri del posto, se introducono nella liturgia cattolica riti del paese. Allo stesso modo, si dispiacciono della tendenza della gente ad abbando-nare i loro ele-menti folclori-stici tradiziona-li per accettare altri estranei alla loro cultu-ra, come se cambiando maschera per-dessero la loro identità.

Per esem-pio, l'abito tipi-co. Dice la saggezza po-polare: l'abito non fa il mona-co. Se ormai un tlapaneca non si più ve-ste come i suoi antenati, non per quel mo-tivo smette di essere tlapaneca… E qui vediamo missionari dissipare energie, tempo e risorse per tentare di dare ossi-geno a forme folcloristiche agonizzanti, per paura a che morendo queste, si perda una cultura. Non si perde nulla: il suo nu-cleo fondamentale garantirà che si con-

servi sempre l’essenziale: il senso che quel popolo dà alla vita, anche se doves-se sviluppare una nuova identità.

Altri missionari hanno scoperto che an-cor più importante del folclore è l'organiz-zazione sociale, e ne fanno il campo più fecondo per il lavoro evangelico, incultu-rato o non inculturato che sia. Quelli che non hanno afferrato l'onda dell'incultura-zione, per prima cosa si dedicano all'or-ganizzazione religiosa: la guardano con diffidenza, sospetta di paganesimo e di idolatria, e considerano loro missione sra-dicare il paese dall'errore, insegnar loro la verità e abbandonare la loro relazione ri-tuale con false divinità.

Gli evangelizzatori spagnoli di cinque-cento anni fa, in Meso-america ebbero al loro fianco le armi dell'impero spagnolo per combattere l'organizzazione sociale indigena ed imporre la propria. Alcuni pa-

esi preferirono morire lottando per difendere il loro spazio sa-cro; altri ebbe-ro un nucleo fondamentale molto ingegno-so che accettò i cambiamenti esterni imposti all'organizza-zione sociale religiosa, ma che proiettò sulle nuove immagini sa-cre le sue cre-denze e tradi-zioni mitologi-che, concet-

tualizzò i nuovi ministri di culto con le ca-tegorie teologiche dell'antica tradizione sacerdotale, e alla liturgia romana diede lo stesso senso dei riti ancestrali pre-ispanici. In questo modo, apparentemente diventarono cattolici; in realtà, proseguiro-no con l'antica religione pre-ispanica. Questo è un caso curioso di inculturazio-

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Donne tlapaneche

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ne liturgica inversa. Cioè, è stata incultu-rata la celebrazione della fede pre-ispanica anziché la fede cristiana. Questo vuole dire che il popolo utilizzando le im-magini, i ministri ed i riti della religione cattolica, che furono loro imposti, celebrò la sua antica fede pre-ispanica, con gli stessi processi psico-affettivi della propria sensibilità.

Dopo le guerre di indipendenza, quan-do i missionari non ebbero ormai al loro fianco le forze militari, l'imposizione reli-giosa non fu tanto facile. Allora essi sco-prirono altri elementi dell'organizzazione sociale, e li potenziarono come mezzi per progredire nel proselitismo. Tale fu il ca-so dei francescani nei riguardi degli hui-choles. Vedendo che gli indigeni ignora-vano le loro condanne contro la religiosità huichola (paga-nesimo) con-siderato culto satanico, e-splorarono il livello socio-economico degli huicho-les. Scopriro-no il sottosvi-luppo e le ca-renze econo-miche, che li mossero a compassione, ed utilizzaro-no strategie as-sistenziali e paternalistici con doppia fina-lità: alleviare la miseria del paese, e gua-dagnare adepti, benché fosse per puro interesse economico.

Quando si resero conto che il gruppo dei proseliti si fingeva cattolico solo se riceveva appoggi materiali, ma che ab-bandonava la religione cattolica se non riceveva più appoggi, e che diventavano dipendenti, assimilarono l'amaro fallimen-to, ed allora esplorarono un altro livello, quello dell'organizzazione politica: cerca-rono e "trovarono" la famiglia, che ha il

COSMO 5 - 6 Maggio - Giugno potere di decidere, i capi tribù indigeni ai quali il paese fu sottomesso per forza. Fecero alleanza con essi, si misero al servizio dei loro interessi, purché questi obbligassero i proseliti a partecipare alle iniziative evangelizzatrici. E per molti an-ni questo sembrava che andasse avanti con successo. La popolazione huichol era divisa tra le masse pagane, che era-no condannate senza speranza per la loro ostinazione, ed il gruppo fiorente dei convertiti al cristianesimo, che si sareb-be salvato.

Ma in seguito arrivarono dalla Sierra gli avventisti, con progetti assistenzialisti ben finanziati, arrivarono i narcotraffican-ti, che offrirono agli indigeni di entrare nel redditizio commercio della semina di stupefacenti, poi arrivarono i funzionari

dell'Istituto na-zionale indige-nista, del pote-re esecutivo fe-derale, anch’ essi con pro-getti ben finan-ziati. Questi tre gruppi avevano come comune denominatore il non volere mis-sionari cattolici. Cosicché i capi tribù (caciques) indigeni, affet-tuosi amici dei

missionari, all'im-provviso diventano i loro nemici, e volle-ro cacciarli via. Proibirono ai proseliti di partecipare agli eventi religiosi della mis-sione.

Di fronte a questo nuovo fallimento, i francescani esplorano l'altro livello dell'organizzazione sociale: l'educazio-ne. Misero su scuole per convittrici. In principio, il gruppo dei proseliti inviarono i loro bambini non tanto perché apprez-zassero gli studi, anche perché non ca-pivano cosa esso fosse, bensì perché ricevevano l’alimentazione gratuita. I

Gruppo di huicholes

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francescani consideravano che valesse la pena investire denaro, personale e tem-po, perché avendo gli huicholes fin dalla tenera età, era possibile insegnar loro lo spagnolo, per poter poi indottrinarli nella fede cristiana, (imparare la lingua huichol è stato sempre qualcosa in cui fallirono); una volta formati cristianamente, sareb-bero stati battezzati, e usciti dalla scuola, essi avrebbero evangelizzato il loro paese nella propria lingua, tirandoli fuori dal pa-ganesimo. Dopo venti anni incominciaro-no a vedere i risultati: un completo falli-mento. Gli evangelizzatori autoctoni furo-no rinnegati dal paese, e poiché continua-vano ad insegnare "eresie", furono espul-si dalla comunità indigena, e quando essi avessero voluto ritornare, sarebbero stai ammessi solamente alla condizione di unirsi, in libera unione, con una donna; perché gli anziani si resero conto che in quel modo avrebbero rotto con l'intrusa religione cattolica in cui furono formati nell’internato.

Chi Invece ha veramente assunto la sfida dell'inculturazione, scoprendo il mondo dell'organizzazione sociale, è arri-vato alla convinzione che l'autentica e-vangelizzazione deve essere integrale, non limitarsi all'ambito religioso, bensì portare la Parola di Dio alle altre realtà sociali: l'economia, la politica e l'educazio-ne, affinché queste forme di organizzazio-ne proprie di quella cultura, si purificasse-ro alla luce della Parola di Dio, combat-tendo le strutture ingiuste ed impiantando così il regno di Dio. Questi missionari av-vertirono la popolazione a non accettare l'influenza dall'esterno in materia econo-mica, politica, educativa e religiosa; ma a conservare le sue proprie forme di orga-nizzazione in questi livelli, facendo delle correzioni a ciò che si fosse opposto alla Parola di Dio. Si resero conto che conser-vando le forme proprie della organizzazio-ne sociale, ma adattandole alla fede cri-stiana, il messaggio evangelico sarebbe rimasto inculturato.

Dagli elementi di identità

Tentare l'inculturazione dagli elementi di identità etnica, è indovinato. Qui si trat-ta di imparare la lingua non per predicare loro il Vangelo, bensì per entrare in dialo-go con un'altra religione, un'altra cosmo-visione; conoscere tutti gli angoli del pae-se e mettersi dalla parte del popolo nella difesa del suo territorio; combattere ogni tipo di discriminazione razziale; stimare e favorire la conservazione e trasmissione della memoria storica del popolo; ricono-scere la saggezza religiosa del popolo e comprendere la psico-dinamica che sta alla base dei suoi riti e simboli sacri come espressione del suo vincolo affettivo con la divinità. In questo modo, gli elementi di identità saranno sfruttati dal missionario come strumenti per esplorare la cosmo-visione e la sensibilità del popolo, cioè, come porta d’ingesso al nucleo fonda-mentale. Il giorno in cui egli possa espri-mere la fede cristiana nella cosmo-visione del popolo, ed il popolo la capisca e l'ac-cetti, e la celebri secondo la sua propria sensibilità, e la viva con impegno e con appropriate forme di organizzazione so-ciale, quel giorno si sarà superato la sfida dell'inculturazione.

BBBOLIVIAOLIVIAOLIVIA

I Servi di Maria, presenti in Bolivia dal

1946, sono attualmente attivi in tre centri: Oruro, La Paz e Cochabamba

ORURO

Invitati dal vescovo Riccardo Chávez, i frati Servi di Maria giunsero a Oruro il 31 dicembre 1946: erano i frati Agostino M. Gobbo (morto nel 1989 a 81 anni), Filip-po M. Mondin (morto a Negrar, Verona, nel 2004 a 87 anni), Domenico M. Polo (morto a Milano nel 1993 a 81 anni), Co-stantino M. Zarantonello (incardinato in una diocesi), Sostegno M. Parise (morto a Bolzano nel 1987 a 67 anni). Salirono all’altipiano andino da Buenos Aires in treno: nello scompartimento occupato tennero quello che si potrebbe qualificare

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come il primo capitolo conventuale in cui abbozzarono l’organizzazione della vita comunitaria. Molto buona fu l’accoglienza del vescovo, il quale affidò ai nuovi arriva-ti la parrocchia della cattedrale. Quella scelta ad alcuni non piacque, tanto che venne diffuso un foglio con lo slogan “oruregni attenzione: preti stranieri occu-pano la cattedrale”. I frati, invero, ben pre-sto si fecero apprezzare dalla popolazio-ne. Anche la spiritualità dell’Ordine mise radici: il 16 novembre 1947 (il calendario liturgico dell’Ordine festeggia tutti santi della famiglia servitana) iniziò la prima fraternità secolare, della quale zelanti pro-fessoresse appoggiarono i frati in tutte le attività e con esse vennero poste le basi della ‘Escuela Socavon’ e di altre opere sociali.

Il ‘Socavon’ è il santuario, nel quale i frati si ritirano l’anno 1950, lasciando la parrocchia della cattedrale, dedicato alla Madonna della miniera che scende nelle viscere della terra sotto l’edificio sacro. La presenza dei Servi di Maria, la celebrazio-ne quotidiana dell’eucaristia, il contatto costante con pellegrini e oranti diedero vigoria al santuario.

I frati allargarono la propria azione pa-storale in diversi paesi dell’altipiano, Eu-calipto, Paria, Comarapa, Curahuara de Caranga, Toledo, eccetera, venendo a contatto con le culture delle etnie radicate in quei territori; di quella primitiva azione rimangono fulgidi ricordi.

È pressoché universalmente conosciu-to il grandioso carnevale oruregno, dichia-rato ‘patrimonio vivo e intangibile dell’umanità’ in ragione della tenace cu-stodia della cultura etnica ancestrale, an-che se ospita elementi di modernità. Le sfilate partono o arrivano al santuario del Socavon: i Servi hanno un ruolo impor-tante sul versante devozionale. LA PAZ I Servi di Maria si stanziarono nella capitale l’anno 1952, impegnati nella par-rocchia della Immacolata Concezione. La comunità venne formalmente chiusa nel

2001. È stato autorizzato a rimanere Hu-go M. Vargas, impegnato lassù da vent’anni nella evangelizzazione, frate ori-ginale e versatile, molto amato e rispetta-to dai vescovi e da tanta gente.

COCHABAMBA

Nel 1983 venne fondata la comunità di Cochabamba, in posizione più bassa ri-spetto all’altipiano di quattromila metri delle altre due comunità, cioè a ‘soli’ due-mila metri sul mare. L’attuale convento, sito nella parrocchia di San Raffaele, co-stituisce la terza tappa della migrazione logistica precedente. È dedicato ai Sette Santi Fondatori. Tra i servizi primeggia a formazione delle nuove vocazioni all’Ordine. All’incirca 45 frati hanno prestato il proprio servizio nei 60 anni di presenza dell’Or-dine in Bolivia. Tra essi spicca la figura di fra Alfonso M. Massignani (fu missiona-rio attivissimo anche in Aysén), il quale nei 18 anni di servizio a Oruro -dove morì nell’anno 2000 settantanovenne- dette un determinante impulso al santuario maria-no, ampliandolo e attorniandolo di rilevan-ti opere sociali, quali sono le scuole, il centro per la salute, la mensa giornaliera soprattutto per bambini, il centro mariano, il museo articolato nei settori minerario, sacro, folcloristico e antropologico, le ap-prezzate e assecondate ‘adozioni a distanza’. Attualmente è attiva l’istituzione “kusisqua warmi” -‘donna felice’- che si adopera per l’assistenza e la consulenza a donne che patiscono violenze familiari.

AAAMAZZONIAMAZZONIAMAZZONIA PADRE PAOLINO, PIÙ CHE UN MEDICO.

Di fianco alla chiesa di Sena Madureira c’è un muretto che fa da sedile e sul qua-le al mattino presto (prima delle ore 6) ci sono sedute più di venti o trenta persone, in maggioranza giovani mamme con in braccio bambini di pochi mesi o persone anziane. Cosa aspettano, chi aspettano? Alle 6,15

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in chiesa padre Paolino assieme agli altri padri della comunità e ad un buon gruppo di fedeli recita le lodi, celebra la Messa con relativa predica. Alle 7.00 ritornano tutti alle loro case per la colazione. Alle 7,30 padre Paolino inizia la sua missione giornaliera: dopo aver curato le anime, si reca a curare anche i corpi. Quelle perso-ne sedute al fianco della chiesa sono i “suoi ammalati”. Si, proprio i “suoi amma-lati”, perché si vogliono far visitare da lui, solo da lui. E sono tanti: dai 70 ai 90 per

giorno. Ma perché vengono da padre Paolino? non ci sono medici a Sena Madureira ? È vero, ce ne sono pochi, ma ci sono. Il mo-tivo per cui vogliono essere visitati da pa-dre Paolino è duplice: in primo luogo han-no grande fiducia in lui a motivo della sua più che quarantennale esperienza e poi perché questa povera gente ha pochissi-mi soldi, per cui, se pagano il medico, non hanno di che pagare le medicine per cu-rarsi. Altra musica quando si visitano da padre Paolino: non fa pagare nulla e

addirittura dà le medicine gratis e per giunta medicine molto efficaci, perché vengono direttamente dalla Germania. Ed infine, essendo grande conoscitore delle piante della foresta, prescrive sempre an-che medicine di erbe.

Questi ammalati vengono anche da lontano, quando lui non va a trovarli nelle loro abitazioni. Quando parte per le sue lunghe desobrigas (missioni) lungo i fiumi, oltre all’occorrente per la celebrazione della Messa e l’amministrazione dei Sa-cramenti, ha sempre con sé una valigetta piena di medicine, con le quali risolve tan-ti problemi di persone anche molto gravi, che altrimenti non avrebbero altra alterna-tiva che di aspettare la morte: verminosi, anemia, influenza, polmonite, malattie in-fettive, che colpiscono soprattutto bimbi e anziani malnutriti.

Ultimamente, per intralci burocratici, aveva esaurito la scorta delle medicine, essendo rimaste ferme da mesi alla doga-na. Era molto triste e tutti i giorni telefona-va a uno e all’altro dicendo: “Devo visitare tante persone, arrivo a diagnosticare la malattia, poi non posso curarle, perché non ho le medicine. È triste vedere tante persone, soprattutto bambini, non soprav-vivere non a causa di una grave malattia, ma solo per una semplice influenza”. Finito il mese di maggio, pieno di impegni pastorali per padre Paolino, sono arrivate le tanto sospirate medicine. Fu una vera soddisfazione per tutti coloro che gli sono vicino vedere gli occhi di questo padre brillare di tanta gioia. “Adesso posso par-tire tranquillo con le medicine tanto attese e restare un mese tra i miei amici indios”.

SSSWAZILANDWAZILANDWAZILAND ––– GGGLILILI INIZIINIZIINIZI

LE PRIME ATTIVITÀ DEI MISSIONARI A MBABANE E MZIMPOFU

I nostri missionari, entrati nel 1914 nel-

lo Swaziland decisero di fermarsi a Mba-bane, capitale amministrativa, e fondare qui la prima stazione missionaria, orga-

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Fr. Paolino M. Baldassarri (centro) Fr. Ettore M. Turrini (sinistra)

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nizzandola in modo d’averla come model-lo e punto di appoggio per evangelizzare l’intero territorio.

Nell’impatto con la realtà pagana e l’arretratezza culturale, sociale ed econo-mica, ebbero un’intuizione che si dimostrò in seguito la via giusta da seguire e che fu se-guita; incominciare con la scuola. Ma insegnare che cosa? Tutto: dall’ “a” alla “z”, con metodo, gradatamente.

Il primo passo: inse-gnare a leggere e scri-vere per ridurre più am-piamente possibile l’analfabetismo.

Così fu aperta la pri-ma scuola: modesta, si capisce, senza pretesa alcuna: mancavano i banchi, le sedie erano rudimentali, una capan-na col tetto di paglia. Chi avrebbe mai pensato allora che quella misera scuola avrebbe preso uno sviluppo come oggi ci è dato di osservare.

I missionari poi godevano molto della compagnia dei neri: erano venuti per sta-re con loro. Di qui nasceva la fiducia vi-cendevole. Dopo breve esperienza i mis-sionari constatarono felici che la scuola dava loro la opportunità di una prima e-vangelizzazione per arrivare alla scuola del solo catechismo.

Quasi contemporaneamente alla fon-dazione della prima missione a Mbabane, sorse nel maggio 1914 quella di San Giu-seppe a Mzimpofu, 10 km a Nord-Est di Bremersdorp. Il fondatore fu il sac. Fran-cesco Mayr. Era questi un sacerdote se-colare che aveva trascorso 20 anni in di-verse missioni del Sud Africa. Quando i Servi di Maria accettarono di evangelizza-re il piccolo regno dello Zwaziland, chiese di unirsi a loro. I nostri missionari furono felici di accettarlo come terziario. Sarebbe stato per loro un valido aiuto, giacché co-nosceva lingua, usi e costumi di quella

gente. Risiedeva a Mbabane, che lasciò per trasferirsi nella stazione missionaria di S. Giuseppe. Ogni mese però era solito ritornare nella primitiva residenza per trattenersi alquanto con i confratelli.

Il 15 ottobre 1914, dopo aver trascorso alcuni giorni con i con-fratelli, intraprese il vi-aggio di ritorno. Fra Mbabane e Bremer-sdrop, fu aggredito ed ucciso da un nero a scopo di rapina. Il P. Arimateo Gratl, supe-riore della missione di Mbabane, avuta notizia del fatto crudele, si por-tò in fretta alla missione di San Giuseppe, dove rimase a lungo. Volle assistere l’assassino individuato e catturato in brevissimo tempo, e condannato alla forca.

Il P. Gratl ebbe la consolazione di battez-zarlo prima della esecuzione.

La missione di San Giuseppe incomin-ciò con il sacrificio di una vita e la conver-sione di un assassino. Fatti che preludo-no a particolari aiuti del Signore.

La prima guerra mondiale bloccò l’afflusso non solo di notizie, ma anche di mezzi per lo Swaziland. Terminata la guerra si riaprirono le comunicazioni e contemporaneamente riprese il flusso de-gli aiuti e dei rinforzi. Così, anno dopo an-no, si arrivò a collocare la stazione mis-sionaria di S. Giuseppe di Mzimpofu su una grande area di 600 ettari, acquistata in vista di un avvenire di vasto sviluppo.

IIINTERVISTANTERVISTANTERVISTA

AAA FRFRFR. C. C. COSTANTINOOSTANTINOOSTANTINO M. BM. BM. BARNESCHIARNESCHIARNESCHI rilasciata nel maggio del 1921 a un redat-tore, che si firma P.P., poco prima di par-tire per lo Swaziland. Fr. Costantino era mutilato di guerra.

COSMO 5 - 6 Maggio - Giugno

Mons. Costantino Barneschi, fr. Girolamo M. Casalini e Mons. Edwin M. Kinch

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Maggio - Giugno COSMO 5 - 6 Di passaggio a Firenze lo scorso

maggio [1921] ebbi la fortuna di avvici-nare un nostro religioso che sta per re-carsi Missionario in Africa. Il neo missio-nario è il P. Costantino Barneschi, tosca-no, anzi aretino, mutilato di guerra, ap-pena da un anno sacerdote.

Non ha ancora trent’anni e non gode di una gran salute. Glielo feci notare: ed egli mi rispose pien di vita:

“Ne avrò di più laggiù. Il deserto è un po’ come una trincea. Dormivo così be-ne in trincea. I miei compagni, quelli che mi avevano conosciuto al collegio e ri-cordano il mio viso allampanato, non po-tevano credere ai loro occhi. Del resto da qualche mese sto assai meglio. E poi il P. Generale ha già accolto la mia do-manda. Sono persuaso che il ruggito dei leoni non mi turberà il sonno più del rom-bo dei grossi cannoni che tuonavano giorno e notte sotto Gorizia. Fu qui che rimasi ferito. Ma quante volte avrei dovu-to morire! La Madonna mi voleva salvo per sé. Quante volte a dieci passi di di-stanza scoppiava un 305 seppellendomi tra la terra, senza recarmi la minima scalfittura! Ma venne la mia ora! Nel 1916, alla vigilia dell’offensiva che ci die-de Gorizia, io ero aiutante medico del reggimento. A cinquanta passi da noi e-rano gli austriaci. Ne udivo le voci. Un giorno dunque il fumo della cucina ci tra-dì. Scoppiò vicino a noi una prima gra-nata, poi una seconda. Aggiustavano il tiro. Ci precipitammo verso i rifugi. Era troppo tardi! La terza granata veniva a scoppiare proprio in mezzo a noi, due ne uccideva e due ne feriva. Tra questi c’ero io. Il braccio destro era fratturato e muscoli e nervi formavano tutto un grovi-glio. Si pensò a tagliarmelo giacché pa-reva questa l’unica soluzione. Supplicai un chirurgo, ottima persona.

-Mi salvi il braccio, se lo perdo non potrò mai essere ordinato sacerdote.

Ebbe pietà di me . Tutti i giorni i medici si riunivano in-

torno al mio letto per operarmi e tutti i giorni rinviavano l’operazione al dì se-

guente. Dopo un mese di tentativi e di cure molteplici il braccio era salvo. Man-cavano – è vero – 13 centimetri di osso in lunghezza e solo mi è rimasto l’uso del pollice e dell’indice. Ma è quello che si richiede per stringere e alzare la San-ta Ostia alla Messa.

È dunque – concludeva – con un mi-racolo, anzi con una serie di miracoli che la Divina Provvidenza mi ha serbato alla vita e al sacerdozio. Sono persuaso che essa mi destinava ad evangelizzare i ne-ri dell’Africa. Oggi sono felice. I miei so-gni si avverano. Il P. Generale ha accol-to la mia domanda, e ora mi preparo alla partenza.”

Contento e commosso strinsi – con tutti i riguardi – la mano al glorioso muti-lato della grande guerra e pensai ad altri mutilati che si agitano da tempo per ave-re un posto nei pubblici impieghi. Il no-stro anela ad un posto d’onore sul fronte … delle Missioni.

Il 21 maggio 1965 Mons. Attilio Co-

stantino M. Barneschi spirava serena-mente a Manzini, sua sede Episcopale, nello Swaziland . Aveva 73 anni, dei quali 57 trascorsi nell’Ordine dei Servi di Maria, e più di 40 nella Missione dello Swaziland. Prestò il suo servizio episco-pale per 26 anni.

UUUGANDAGANDAGANDA

CRONACA DI UN VIAGGIO

Margherita P. Inconti, esperienze ed impressioni di un vi-aggio in Uganda (27 novembre - 4 dicembre 2007) con l’obiettivo di conoscere l’impegno della Famiglia dei Servi e impiantare l’Istituto Secolare Regnum Mariae.

Il nostro arrivo a Entebbe di notte e il tragitto verso Kisoga, piccolo villaggio nella foresta, ma non lontano da Kampa-la, capitale dell’Uganda, ci fanno entrare improvvisamente in un’altra realtà. Dopo il traffico della capitale, il percorso avvie-

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ne su una strada rossa, solitaria, polvero-sa, con la sola luce di una grande luna e un vago chiarore proveniente da indu-menti che poi risultano indossati da per-sone africane che camminano ai bordi della strada stessa. Ci sembrava di entra-re sempre più, tra balzi e scossoni, nelle viscere di una Terra che ci accoglieva a poco a poco come una grande Madre, in un profondo silenzio pullulante di “natura”. Kisoga è un villaggio povero con tantissi-mi bambini e donne. Gli uomini appaiono di meno e solo in particolari momenti.

I frati abitano alla fine di una stradina di terra rossa e in alcune casine basse circondate da giardino e campo coltivato da loro stessi con bana-ne, mais, jakka, patate, fagioli, con la presenza di qualche muc-ca, di maiali, co-nigli, galline e galli che cantano anche al chiaro di luna... E noi a cercar di dormire o a vegliare al so-lo lume di cande-la! Poi ci si inte-gra e comincia la condivisione spontanea, come fossimo state sempre lì!

LA FAMIGLIA SERVITANA

La casa di formazione è dedicata a Maria Regina dei Martiri. E i Martiri sono anche quelli ugandesi che Paolo VI è an-dato ad onorare nel 1969 proprio nel San-tuario dedicato a loro, un santuario a for-ma di rogo nel cuore di Kampala. Sono 22, tra uomini e ragazzi, barbaramente uccisi in diversi luoghi e fatti bruciare, per-ché cristiani, dall’allora re, nel 1885. Oggi l’Uganda è una repubblica ma lo è diven-tata dopo molte guerre anche recenti. Il paese sta comunque riprendendo una crescita economica e sociale lenta, nono-

stante la violazione dei diritti umani e dei diritti a non essere sfruttati dai paesi ric-chi.

I giovani prenovizi sono 16 e proven-gono anche dal Congo e dal Togo. Con loro abbiamo riflettuto sul Carisma dei Servi che si manifesta nella ricchezza del-le varie componenti, dalle monache alle diaconie, dalla vita religiosa alla vita laica-le consacrata. Molte sono state le richie-ste di chiarificazione attorno al Regnum Mariae come forma di condivisione diretta nelle realtà del vissuto quotidiano. Con i prenovizi c’erano ad ascoltarci altri giova-ni e ragazze.

Molto intimo e fruttuoso è stato anche l’incontro col priore fr. Pontiano M. Musoke e con fr. Jesudoss Mary che dall’india sta portando il suo contributo in quella comunità. Con le stesse modalità abbia-mo parlato ai membri dell’OSSM del luogo, che ci hanno accolto con i costumi ti-

pici meravigliosamente colorati e con can-ti e musiche accompagnate da quel suo-no struggente di tamburo che entra nel corpo dell’ascoltatore e lo trascina in una danza come in un’estasi. Insieme a fr. Gi-no M. Leonardi, sempre con noi a capire tutto quello che volevamo trasmettere ai fratelli e alle sorelle africane e a cercar di tradurre fedelmente i nostri sentimenti, c’era anche fr. Robert M. Kyeyune, mae-stro dei prenovizi, responsabile vocazio-nale dei Servi in Africa e referente per il Regnum Mariae ora in Uganda.

Avevamo già incontrato fr. Robert sia in Messico con le sorelle messicane, al convegno UNIFAS, sia in Italia in occasio-

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Namugongo, Santuario dei Martiri Ugandesi

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ne della sua venuta per il Capitolo gene-rale dei Servi. E fr. Robert aveva già pre-sentato il Regnum Mariae a due donne. Le abbiamo incontrate ed hanno, subito dopo, fatto richiesta di entrare nel Re-gnum Mariae. Una di esse abita a Kam-pala dove lavora presso la Makerere University come bibliotecaria; vive una vi-ta molto sobria; soccorre poveri e handi-cappati ed ora segue un gruppo OSSM presso la parrocchia guidata da un sacer-dote molto amico dei Servi. Abbiamo in-contrato anche questo suo gruppo. L’altra abita a Mityana, dove insegna, in una scuola parrocchiale, religione, inglese, in-formatica e tiene la contabilità. Anche lei, col suo piccolo stipendio, riesce ad aiuta-re molti poveri poiché, così dice, ha pochi bisogni personali. Ambedue vivono auto-nomamente pur avendo parenti, fratelli e sorelle.

Tali richieste hanno provocato in noi, come in fr. Gino, soltanto una nuda com-mozione: è stato come sentirci presi per mano per proseguire, al di là delle nostre paure o preoccupazioni. Maria è vera-mente la nostra guida! UNA GIORNATA SPECIALE

La serietà e l’attenzione di fr. Robert si dispiegavano e si manifestavano ogni giorno di più: aveva organizzato per noi anche un giorno di “riposo”! In Africa però la parola “riposo” assume un significato locale! L’abbiamo capito solo dopo aver-ne fatto esperienza: è stato un giorno tra-scorso quasi interamente con i più poveri!

Al mattino siamo stati nello sperduto villaggio di Nakisunga, presso il piccolo ospizio iniziato dai Servi di Maria e soste-nuto daII’OSSM di Kisoga. Si tratta di qualche casetta-capanna dove alcuni vecchietti abbandonati e malati cercano di vivere con ben poche cure e cibo giorna-lieri.

Nel pomeriggio, dopo aver attraversa-to, in jeep, un po’ di foresta e su sentieri sempre rossi, costeggiati da montagnole di termiti, siamo arrivati in un poverissimo villaggio un po’ protetto, poiché al suo in-

terno vivono più di un centinaio di perso-ne che possono essere riconosciute vera-mente come gli ultimi della terra. Sono seguiti da alcune suore che per sorregge-re una tal situazione avrebbero bisogno di qualsiasi forma di aiuto: da quello medico a quello morale, economico, igienico... In-vece sono piuttosto abbandonate anche loro, ma seguite, silenziosamente e nei limiti del possibile, dai Servi. Questo in-credibile luogo si chiama Nkokonjeru, “Gallina bianca”.

Tornate a casa non avevamo più biso-gni da esprimere... ci bastava il solo lume della candela per concludere la nostra giornata! In esso, simbolicamente, pote-vamo ritrovare la Croce disseminata nelle tante croci incontrate.

ALLE SORGENTI DEL NILO

I due giorni e le tre notti passati a Jinja ci hanno arricchito di altre nuove espe-rienze. Questa piccolissima città si trova su una piccolissima costa frastagliata del grande Lago Vittoria, proprio là dove alcu-ni esperti hanno trovato la vera sorgente del fiume Nilo che da quel punto del La-go, nel Centr’Africa, inizia a dirigersi ver-so Nord.

Una delle due comunità servitane di Jinja si affaccia proprio sul grande, ma-gnifico Nilo, traboccante di storia e di me-moria. Il particolare silenzio dell’Africa Io si sperimenta qui in tutta la sua pienezza! Qui la sosta in preghiera viene spontanea e viene dimenticato completamente il re-sto del nostro mondo del consumismo!

Anche le due Comunità del luogo ci hanno permesso di vivere una fraternità intensa sia con i novizi che con I’OSSM. I nostri fratelli Mathieu, Cristin, Tobias e Giuseppe si sono resi disponibili per ren-dere più agevole e tranquillo il nostro sog-giorno. E la gente incontrata ha voluto far-ci tante domande esplicite, insieme a mol-ti interrogativi impliciti che continueranno poi a porsi e a porre soprattutto al nostro fr. Robert Kyeyune.

Un grazie particolarissimo va anche alle nostre sorelle Serve di Maria di Pi-

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stoia che, in Kisoga e in Jinja, hanno du-e comunità di formazione. Abbiamo con-diviso con sr. Giuditta un profondo, ge-nuino e fresco spirito missionario e con la Madre generale, lì presente in quei giorni, abbiamo pregato per la grande Famiglia dei Servi e perché il Carisma possa entrare senza riserve nelle nostre vite.

PPPERÙERÙERÙ LA PRESENZA SERVITANA

I primi passi della fondazione

dell’Ordine in Perù sono segnati dall’impegno vocazionale delle suore Missionarie di Maria Addolorata nel di-stretto di Magdalena del Mar a Lima e dalle successive visite dei frati del Vica-riato del Cile-Bolivia.

Questa tappa iniziale abbraccia gli anni 1994- 2000. Le iniziative di frati del-la regione, pur scarne, erano in grado di offrire un sostegno adeguato alle aspet-tative che si intravedevano con i primi approcci.

Vi era un gruppo di giovani di Lima, che grazie alle suore presero contatto con i frati Servi di Maria. I contatti si ten-nero, tramite sr. Rosanna, con i frati

Bernardipo M. Zanella, José M. Sarto-ri e Hugo M. Vargas.

Fr. Josè Sartori e Fr. Hugo Vargas proposero ai giovani un ritiro a Punta Negra nel luglio 1994 e, poco dopo, il gruppo interessato ebbe un’esperienza nella comunità dei Sette Santi Fondatori di Cochabamba in Bolivia. L’anno suc-cessivo Juan Chàvez entrò come postu-

lante, fece la professione solenne il 19 giugno 2005 e venne ordinato sacerdote il 23 giugno del 2007: oggi vive nella co-munità di Oruro in Bolivia.

Nel 1997 fr. Demetrio M. De la Tor-re visitò Lima e prese contatti con le fa-miglie dei ragazzi interessati all’Ordine. Nel novembre dello stesso anno alcuni giovani peruviani iniziarono come postu-lanti nella comunità di Santa Teresita a Santiago del Cile. Nel marzo del 2000 fr. Héctor M. Parra, fr. Nicolás M. Moraga e fr. Juan M. Chávez intrapresero il cammino vocazionale a Lima con l’appoggio delle suore Missionarie di Ma-ria Addolorata. Nel 2001 fr. Héctor Par-ra venne accolto nella casa delle suore Missionarie di Maria Addolorata a Lima.

Il Capitolo vicariale definì così il sen-so di tale presenza: «Progettare la “fondazione dell’Ordine” scegliendo un

Perù Machu Picchu, Cuzco

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Maggio - Giugno COSMO 5 - 6 luogo di residenza e cercando la colla-borazione delle suore Missionarie di Ma-ria Addolorata; prendere contatto con il vescovo del luogo; inserirsi gradualmen-te nella nuova realtà, proponendo ferma-mente la spiritualità dell’Ordine con a-pertura missionaria e vocazionale, pren-dendo contatti con i laici per creare l’Ordine secolare; programmare già dal 2000 la formazione della comunità per-manente» (Bollettino in formativo del Vi-cariato cileno-boliviano 209, 23). LA CHIESA LOCALE

La diocesi di inserimento è quella di Chosica, distretto situato nella zona est della città di Lima. Il vescovo è mons. Norberto Srotman, che ha voluto che l’Ordine si insediasse nella sua diocesi. Nel Capitolo vicariale del 2003 si appro-vò la nascita della comunità religiosa.

Venne acquistata una casa nel quar-tiere di San Giuseppe del distretto Ate Vitarte, alla periferia di Lima, abitato so-prattutto da immigrati della zona sud del paese, molti dei quali parlano il kechua. Il luogo preciso è la nuova parrocchia “El Resucitado” eretta ufficialmente nel 2007.

Nella sua relazione al Capitolo provin-ciale “Santa Maria de los Andes” del 2008 fr. Ricardo M. Silva ha detto: “Il nostro primo e fondamentale servizio è la testimonianza di vita comune come consacrati al servizio del regno secondo la nostra spiritualità servitana. Siamo u-na comunità evangelico-apostolica se-condo le nostre Costituzioni e questo ci rende testimoni nell’ambiente sociale ed ecclesiale, poiché i nostri beni spirituali sono principi di trasformazione”.

La comunità presta servizio di frater-nità nelle comunità cristiane di San Gre-gorio e Nuevo Vitarte. È un’esperienza di assistenza nei diversi settori: forma-zione, celebrazione, progetti missionari. L’impegno punta sull’animazione e for-mazione delle persone e sull’autonomia delle comunità cristiane.

È stato importante sostenere la mis-sione negli ambienti rurali negli anni

2003-2007 con la presenza di fr. Nico-làs M. Moraga. La missione rurale si ri-velava uno spazio importante per la pa-storale vocazionale, sostenuta dalle suo-re domenicane dell’Annunciazione. I din-torni di Jaen nel dipartimento di Cajama-ra era anche il luogo in cui si proiettava la stazione missionaria dei frati del Perù.

Il cammino della fondazione dell’Ordine in Perù ha potuto contare sull’amore e sulla vicinanza dei Servi e delle Serve di Maria, sulla generosità delle suore Missionarie di Maria Addolo-rata, sulla presenza delle suore Serve di Maria Riparatrici in Perù. Anche l’associazione dei gruppi laici simpatiz-zanti del carisma servitano ha sostenuto i frati, senza dimenticare l’amore e la sti-ma di quanti si rivolgono a noi. Tutti co-storo formano la Famiglia dei Servi e delle Serve di Maria in Perù.

Gli incontri della Famiglia realizzati per motivi diversi hanno posto la base per la formazione dell’UNIFAS-Perù. Infi-ne grazie all’appoggio delle suore Mis-sionarie di Maria Addolorata si formò l’OSSM e si costituì una comunità di si-gnore, che vanno facendo discernimento a partire dalla spiritualità dei Servi e del-le Serve.

Nella comunità di Santa Maria della Speranza a Lima vivono attualmente i professi temporanei fr. Emiliano M. Ca-lero e fr. Félix M. Mamani che si stanno preparando per la professione solenne, e fr. Gustavo M. Llerena, già professo. La fondazione dell’Ordine in Perù è una realtà che va crescendo lentamente e non senza sacrificio, ma con generosità e gioia. Servi e Serve di Maria si stanno impegnando in questo lavoro non solo per senso di responsabilità, ma anche per il grande entusiasmo che genera il carisma servitano: l’esperienza dei “primi”, che hanno lasciato le loro orme nel rispondere al progetto dello Spirito sotto la protezione della Madre di Gesù, costituisce la vera spinta alla sfida lan-ciata dalla popolazione peruviana.

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Editoriale I Servi di Maria e le Missioni

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Vicariato Apostolico di Aysén, Cile Vicariato Apostolico di Ingwavuma, Sud Africa Diocesi di Manzini, Swaziland Diocesi di Rio Branco, Brasile Mozambico Uganda e Kenya Albania Myanmar (Birmania) Ungheria Indonesia Comunita' d'inserzione e missione Tlapa, Gro. (México)

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Inculturazione ed evangelizzazione: F. Mena

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Sommario Fotocronaca

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Bolivia: Presenza dei Servi Amazzonia: Padre Paolino, più che un medico. Swaziland – Gli inizi Intervista a fr. Costantino M. Barne-schi Uganda: cronaca di un viaggio Perù: la presenza servitana

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COSMO 5 - 6 Maggio - Giugno

SOMMARIO FOTOCRONACA 1. Un abbondante raccolto 2. Butembo - Congo: Suore Serve di

Maria di Londra 3. Nampula - Mozambique: monastero 4. Tunasan - Filippine, Fr. Giuseppe

Benassi e suore filippine 5. Santiago - Chile, Studenti e formatori 6. Frati rumeni (fr. Cristin and fr.

Adrian), ora missionari in Uganda 7. Missionario laico a Sena Madureira,

Brasile 8. Fr. Gabriele Paccanaro (retro), fon-

datore di Koinomadelfia 9. Tunasan - Filippine, student OSM 10. Trichy - India, OSSM in perfetto

costume locale 11. Sr. Kenzie Mary, OSM, già mission-

aria nelle Filippine 12. Myanmar, emergenza Nargis e Fr.

Mary Soosai