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ANNO III | N. 03-04 2017 MAGAZINE Contributi di: ISSN 2531-9973 Progettare il futuro nell’era della ri-globalizzazione Poste Italiane spa - spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, CNS VI Antonio Borri Rodolfo Brandi Massimo Calzoni Lucio Caracciolo Stefano Caratelli Guglielmo Cevolin Maria Gigliola Cirrillo Roberto Contessi Zeno D’Agostino Giovanni Da Pozzo Elisa De Berti Francesco De Bettin Jean Paul Fitoussi Francesco Giacobone Giorgio Golinelli Alessia Guerrieri Maurizio Ionico Marica Mercalli Fabio Moioli Francesco Nelli Riccardo Nencini Lorenzo Orsenigo Marco Panara Stefano Petrucci Piero Petrucco Giovanni Prearo Niccolò Rebecchini Giacomo Roversi Giuseppe Ruggiu Giovanni Salmistrari Francesco Sannino Giulio Santagata Graziano Tilatti Matteo Tonon Piero Torretta Stefano Usseglio Alessandro Verona CIVILTÀ DI CANTIERE - ANNO III | N. 03-04 | 2017

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ANNO III | N. 03-04 2017

MagaziNeContributi di:Issn 2531-9973

Progettare il futuro nell’eradella ri-globalizzazioneP

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Antonio BorriRodolfo Brandi

Massimo CalzoniLucio Caracciolo

Stefano CaratelliGuglielmo Cevolin

Maria Gigliola CirrilloRoberto ContessiZeno D’agostino

Giovanni Da PozzoElisa De Berti

Francesco De BettinJean Paul Fitoussi

Francesco giacoboneGiorgio golinelli

Alessia guerrieriMaurizio ionicoMarica Mercalli

Fabio MoioliFrancesco Nelli

Riccardo NenciniLorenzo Orsenigo

Marco PanaraStefano Petrucci

Piero PetruccoGiovanni Prearo

Niccolò RebecchiniGiacomo RoversiGiuseppe Ruggiu

Giovanni SalmistrariFrancesco Sannino

Giulio SantagataGraziano TilattiMatteo TononPiero Torretta

Stefano UsseglioAlessandro Verona

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1 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017

eQuesto numero doppio di Civiltà di Cantiere esce in corrispondenza della

seconda edizione della Construction Conference. Il tema prescelto – pro-

gettare il futuro nell’era della ri-globalizzazione – chiama in causa diret-

tamente la capacità di una filiera e di un settore, quello delle costruzioni,

di confrontarsi con la sfida della complessità. L’anno scorso avevamo cer-

cato di comprendere come l’innovazione costituisca un fattore strategico

e un’opportunità per chi opera nell’edilizia per interpretare un presente in

forte cambiamento.

Quest’anno la riflessione non può non tenere conto di quanto avvenuto a

livello internazionale. C’è stata la Brexit, l’elezione a presidente degli Sta-

ti Uniti di Donald Trump, una crescita del populismo, un rafforzamento

internazionale del ruolo della Cina. Solo per citare alcuni avvenimenti che

hanno cambiato lo scenario. Per quanto riguarda l’Italia, la notizia positiva

di una crescita inaspettata del PIL e la convinzione che in qualche modo il

Paese stia uscendo dalla crisi. Tutto ciò porta a ridefinire il concetto stesso

di globalizzazione, fattore persistente e imprescindibile ma diverso rispet-

to a come si presentava dodici mesi fa. Chiedendoci come tutto questo

si ripercuota sul settore delle costruzioni, sul sistema delle imprese, sulla

filiera. Ci è parso così chiaro che in questo nuovo contesto diventa stra-

tegico ripensare e rimodellare i sistemi infrastrutturali seguendo logiche

nuove e valorizzando al massimo l’innovazione tecnologica e l’interazione

territoriale. Una prospettiva che chiama in causa la forte interdipendenza

tra logistica, trasporti e mobilità, in una visione fortemente integrata con

gli obiettivi ineludibili di una profonda e ampia rigenerazione urbana.

Abbiamo ripreso alcuni concetti chiave della precedente Conferenza, come

quello di “ecosistema”, lo abbiamo calato nella realtà geografico-territo-

riale del Friuli Venezia Giulia e siamo andati a costruire un evento su più

livelli, che corrispondono alle sezioni di questo numero della rivista: quello

degli scenari, quello dell’ecosistema territoriale assunto come case study

sotto il duplice registro delle infrastrutture e della rigenerazione urbana,

quello del ruolo svolto dall’innovazione. Anche quest’anno abbiamo vo-

luto costruire un evento di respiro internazionale, con la partecipazione di

personalità provenienti da mondi diversi, per dialogare, riflettere e trovare

soluzioni e nuove prospettive.

Progettare il futuro nell’era della ri-globalizzazione

di ALFREDO

MARTINI

Direttore di

Civiltà di Cantiere

Editoriale

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N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Sommario

EDITORE E PROPRIETà

EDITORIALE

Strategie &

Comunicazione Srl

Via dei Prati Fiscali, 199

00141 Roma

DIRETTORE

RESPONSABILE

ED EDITORIALE

Alfredo Martini

CAPOREDATTORE

Mimosa Martini

REDAZIONE

Martino Almisisi

Emanuele Incanto

Mimosa Martini

Viola Moretti

Maria Cristina Venanzi

PROGETTO GRAFICO

E IMPAGINAZIONE

Aurora Milazzo

In copertina

Il mondo dopo Trump.

Fonte: Limes

Scambi globali a un bivio storico? (S. Caratelli) ............................................ 10

Flussi, connessioni e poteri forti (L. Caracciolo) ........................................... 13

Prospettive giuridiche e geopolitiche contemporanee (G. Cevolin) .............. 16

Jean Paul Fitoussi: fermare la distruzione delle competenze (A. Martini) ......20

L’OPINIONE di Piero Torretta: Il risveglio dell’Italia nell’età dell’algoritmo .... 23

Le opportunità di una competizione per ecosistemi (M. Panara) ...............26

L’OPINIONE di Roberto Contessi: Favorire una reale rigenerazione

edilizia ........................................................................................................29

L’INTERVISTA a Zeno D’Agostino: Il porto cambia pelle: da terminale

a fattore strategico di sviluppo territoriale .................................................30

Nuove strategie per il rilancio dei territori (A. Verona) .................................34

FVG: più cultura progettuale e tecnologica (G. Da Pozzo) ............................38

Il sistema industriale friulano di fronte alle sfide dei mercati

internazionali (M.Tonon).............................................................................. 41

Cloud computing, advanced analytics e nuove piattaforme (F. Moioli) .......45

L’OPINIONE di Rodolfo Brandi: Innovare le costruzioni facendo rete .......48

Memorie industriali, mixitè funzionale e rilancio economico (A. Guerrieri) ....50

Dall’acqua al ferro, tutti i vantaggi dell’automazione digitale (F. De Bettin) ...54

L’OPINIONE di Giuseppe Ruggiu: La frontiera della rappresentanza

di settore: avanguardia o retrovia? .............................................................60

Una scuola ad alte prestazioni antisismiche in 116 giorni .............................62

L’INTERVISTA a Riccardo Nencini: Le nuove strategie di governance

per i territori ...............................................................................................64

Il rilancio delle politiche per la città (F. Giacobone).......................................69

L’OPINIONE di Graziano Tilatti: Maggiore efficienza se si lavora in rete .....74

Se la geografia è destino (M.C. Venanzi) ...................................................... 76

Riorganizzazione ferroviaria e rigenerazione urbana (M. Ionico) .................82

Il protocollo Envision per la sostenibilità delle infrastrutture (L. Orsenigo) .......86

L’OPINIONE di Giorgio Golinelli: Reti e servizi per la qualità della vita .....89

L’EDITORIALE di Giovanni Salmistrari: Fermare la destrutturazione

del tessuto imprenditoriale delle costruzioni .............................................93

L’INTERVISTA a Elisa De Berti: Per un sistema integrato di infrastrutture

a basso impatto ambientale ......................................................................94

Dalle grandi opere alla mobilità sostenibile (E. Incanto) ...............................98

L’INTERVISTA a Giovanni Prearo: Con la cultura cambiare si può,

mettendo al bando la cattiva edilizia ....................................................... 102

L’EDITORIALE di Stefano Petrucci: Un cambiamento di prospettiva

per garantire opere pubbliche sicure, ben costruite e a prezzi giusti ........ 107

L’INTERVISTA a Nicolò Rebecchini: Dare un futuro a Roma Capitale:

insieme per un grande progetto di rigenerazione ..................................... 108

Il piano paesaggistico regionale tra esigenze di tutela e sviluppo (S. Usseglio) .... 112

L’INTERVISTA a Francesco Nelli: Serve un’edilizia che sappia

guardare al futuro .....................................................................................115

L’OPINIONE di Giacomo Roversi: Dal passato lezioni sul terremoto .......... 117

L’EDITORIALE di Massimo Calzoni e Francesco Sannino: Ripensare

la formazione per mettere in sicurezza il nostro territorio ........................119

La Strategia Nazionale delle Aree Interne: come costruire comunità (M.G. Cirrillo) .. 120

La rigenerazione non può prescindere dal territorio (G. Santagata) ........... 124

Il risveglio dalle macerie (M. Mercalli) ..........................................................127

L’OPINIONE di Antonio Borri: Beni culturali in zona sismica: non c’è

conservazione senza sicurezza .................................................................. 130

sr

c

SCENARI | GOVERNARE IL FUTURO NELL’ERA DELLA RI-GLOBALIZZAZIONE EST | INFRASTRUTTURE, MOBILITà E TURISMO SOSTENIBILE IN VENETO

LISTA | VISIONI, IDENTITà E MODELLI PER UNA RIGENERAZIONE URBANA

FORMEDIL | INNOVAZIONE E FORMAZIONE NELLA RICOSTRUZIONE POST SISMA

RIGENERAZIONE | IL PORTO REGIONE E L’ECOSISTEMA FRIULI VENEZIA GIULIA

INNOVAZIONE | IL PARADIGMA DELLA DIGITALZZAZIONE

CITTà | CRESCITA ECONOMICA, INFRASTRUTTURE E RIGENERAZIONE URBANA

i

ERRATA CORRIGE: Segnaliamo che sul numero 2, gli autori dell’articolo “Vega: centro o periferia al centro?” sono tre:

Maria Chiara Tosi, Alessia Franzese e Marco Paronuzzi.

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PROGETTARE IL FUTURO NELL’ERA DELLA RI-GLOBALIZZAZIONE

Udine 13 ottobre 2017

Persone, città, infrastrutture

TEATRO PALAMOSTREPiazzale Paolo Diacono, 21 - Udine

CONSTRUCTION CONFERENCE2017

Trasformazione del mercato delle costruzioni e ri-globalizzazione

Nuovi modelli e prospettive di sviluppo economico, anche alla luce della ridefini-zione dei rapporti di potere a livello mondiale, sono destinati a condizionare l’e-voluzione del mercato delle costruzioni. È in questo nuovo contesto che diventa strategico ripensare e rimodellare i sistemi infrastrutturali seguendo logiche nuove e valorizzando al massimo l’innovazione tecnologica e l’interazione ter-ritoriale. Una prospettiva che chiama in causa la forte interdipendenza tra logi-stica, trasporti e mobilità, in una visione fortemente integrata con gli obiettivi ineludibili di una profonda e ampia rigenerazione urbana.

Con la seconda edizione della Construction Conference si intende proseguire sul-la strada avviata di far emergere e favorire nuove opportunità di mercato per il tessuto e la filiera produttiva delle costruzioni, attraverso un evento di respiro internazionale e con la partecipazione di personalità provenienti da mondi diver-si, da quello economico a quello della lettura geopolitica degli scenari, da quello politico/istituzionale a quello accademico e delle professioni. Un appuntamento annuale in cui i diversi attori del settore possono confrontarsi con idee, analisi e progetti non consueti, potendosi relazionare con l’eccellenza internazionale e nazionale secondo percorsi adeguatamente orientati e attraverso format in gra-do di facilitare la comprensione e il dialogo.

www.constructionconference.it

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Construction Conference: un progetto per cambiarevisione ed approccioIl confronto si apre all’insegna del tema dell’innovazione legata a infrastrutture e mobilità

Quando due anni fa, nell’ambito del progetto

Civiltà di Cantiere, abbiamo cominciato a pen-

sare a questo evento, avevamo abbastanza

chiari gli obbiettivi e le motivazioni: in Friuli Ve-

nezia Giulia, la mia regione, ma in generale in

Italia, il settore delle costruzioni vive da molti

anni una situazione di grande difficoltà. A no-

stro parere però la difficoltà non era e non è solo

di ordine economico, ma è ben più ampia. Non

siamo stati capaci di capire i mutamenti sociali,

culturali, organizzativi che stavano avvenendo

nel mondo, quello a noi vicino e quello globale.

Per questo ci siamo posti l’obiettivo di parlare

di innovazione. Spesso siamo portati a identi-

ficare l’innovazione con la digitalizzazione, così

che nel nostro settore l’innovazione è il BIM. Ma

non è così. Innovare significa cambiare i para-

digmi sulla base dei quali operiamo. L’innova-

zione attraversa tutti gli aspetti delle nostre

azioni: gli ambiti culturali, finanziari, relativi

alle relazioni sociali e industriali, sicuramente

quelli tecnologici, l’organizzazione di impresa,

la logistica, ecc.

Diventa pertanto essenziale affrontare il tema

dell’innovazione da diverse prospettive. Le

imprese di costruzione, gli imprenditori edili e

i professionisti devono fare uno sforzo impor-

tante per “uscire” dal quotidiano e pensare

in modo solo apparentemente meno mira-

to all’immediato. Dico solo apparentemente

perché sono convinto che questo sforzo sia in

grado invece di restituire molto, anche in tempi

relativamente brevi.

Le associazioni di categoria a cui abbiamo

proposto questo progetto lo hanno accolto

con favore. Ma penso, anche sulla base di mie

recenti esperienze, che queste debbano fare

un enorme sforzo di rinnovamento radicale,

di ripensamento della loro funzione e del loro

ruolo. Molti imprenditori, presi dalle difficoltà

del quotidiano, hanno perso l’entusiasmo e

la capacità di pensare in prospettiva. E allora

ecco che oggi le associazioni di rappresentan-

za, a mio parere, trovano una ragion d’essere

solo se diventano motori dei processi di inno-

vazione: debbono essere in grado di proporre

agli associati nuovi modelli di sviluppo, di or-

ganizzazione, di struttura finanziaria, di rela-

zione con il territorio. Se saranno capaci di ciò,

sicuramente il loro ruolo non sarà superato,

anzi assumerà un valore particolare, che verrà

loro riconosciuto.

Un altro soggetto che deve essere coinvolto

sono le pubbliche amministrazioni. Anch’esse

scontano importanti ritardi; molto spesso pre-

valgono le inerzie, la ripetizione del “si è sem-

pre fatto così”, la diffidenza, se non l’ostilità

per tutto ciò che è nuovo, diverso dal passato.

È molto importante stimolare la sensibilità e

l’interesse all’innovazione, coinvolgendo chi vi

opera. Negli ultimi anni, fortunatamente, mi

sembra che qualcosa stia cambiando, ma è an-

cora un processo troppo lento e incerto.

Inoltre ci vogliamo rivolgere al mondo dell’u-

niversità, della scuola, dell’istruzione tecnica

e della formazione. Il distacco italiano tra il

mondo della scuola e il mondo del lavoro e le

imprese è enorme. Dobbiamo costruire rela-

zioni nuove, connessioni, reti…. Il ruolo sociale

dell’impresa, così poco riconosciuto nel nostro

Paese, non può essere disgiunto da quello

culturale. Non possiamo pensare l’impresa

sempre e solo confinata all’ambito degli affa-

ri, della produzione, della finanza. L’impresa è

soprattutto, e prima di tutto, un soggetto so-

ciale, fatto di persone, della loro cultura e del-

le loro relazioni. I giovani che studiano spesso

ignorano del tutto questo mondo, percepito

come separato e avulso dalla loro realtà. Per

questo la grande opportunità offerta dall’al-

ternanza scuola lavoro va colta e sfruttata al

meglio. Come l’innovazione in edilizia non si

esaurisce assolutamente nel BIM, cosi l’alter-

nanza non è una progettualità confinata agli

istituti tecnici. Se così fosse sarebbe l’ennesi-

ma occasione sprecata.

Con la Construction Conference vogliamo svol-

gere una funzione di “apriscatole”, vogliamo

lanciare idee, ipotesi, prospettive di azioni an-

che divergenti in grado di aiutarci ad affrontare

il futuro dei nostri territori, delle nostre azien-

de, in sintesi il “nostro” futuro. L’ obiettivo è

quello di favorire in modo sinergico una sempre

più diffusa consapevolezza dell’urgente neces-

sità di cambiare approccio, aprendoci al nuo-

vo e alle esperienze che il mondo ci offre. Nel

2016 abbiamo focalizzato la nostra attenzione

su ipotesi e suggestioni relative all’abitare del

domani, su come le innovazioni determinate da

quella che viene definita la “quarta rivoluzio-

ne industriale” contribuiscano ad offrire nuovi

prodotti e nuove soluzioni sempre più rispon-

denti a una domanda di benessere abitativo e

di sostenibilità. Quest’anno abbiamo deciso di

affrontare i temi delle infrastrutture, della rige-

nerazione urbana e della loro interconnessione,

guardando al mondo e ragionando sulle strate-

gie economiche e di sviluppo attraverso nuove

prospettive. Abbiamo scelto di confrontarci con

livelli superiori di complessità nella convinzione

che soltanto alzando lo sguardo possiamo re-

almente ragionare e porci delle domande utili

a comprendere l’importanza di spingersi oltre

la soluzione dei problemi immediati, senza ri-

manere strettamente ancorati al quotidiano. In

questa logica abbiamo chiesto il contributo di

economisti e intellettuali di valore internazio-

nale, così come di manager, imprenditori e am-

ministratori regionali e nazionali nella convin-

zione che sia estremamente utile confrontarsi

con diverse dimensioni territoriali.

di PIERO PETRUCCO

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ProgrammaConstruction Conference 2017

ORE 10:00

ORE 10:15

ORE 10:30

ORE 11:15

ORE 12:00

ORE 12:45

ORE 14:00

ORE 14:20

ORE 16:30

ORE 15:30

ORE 18:00

ORE 16:00

APERTURA DEI LAVORIAlfredo MARTINI e Piero PETRUCCO, Civiltà di Cantiere

Roberto CONTESSI, Presidente ANCE Udine

L’IMPEGNO ISTITUZIONALE PER LO SVILUPPOSergio BOLZONELLO, Vicepresidente e Assessore Attività

produttive, turismo e cooperazione Regione Autonoma FVG

INTERCETTARE IL FUTURO: INFRASTRUTTURE ED ECOSISTEMI> I nuovi scenari nell’era della ri-globalizzazione

Lucio CARACCIOLO, Direttore di LIMES

> Il futuro è il presenteFabio MOIOLI, Direttore Divisione Enterprise Services

di MICROSOFT Italia

L’ECOSISTEMA FVG> Il Porto Regione Trieste-FVG

Zeno D’AGOSTINO, Presidente dell’Autorità

di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale

> Logistica, trasporti e digitalizzazione: valorizzare gli ecosistemi territoriali

Francesco DE BETTIN, Amministratore Delegato DBA Group

LE ECONOMIE DEL TERRITORIO - Conduce Marco PANARAGiovanni DA POZZO, Presidente Camera di Commercio

di Udine e Vicepresidente Unioncamere Nazionale

Mariagrazia SANTORO, Assessore infrastrutture e territorio regione FVG

Matteo TONON, Presidente Confindustria Udine

LUNCH BREAK

RIPRESA DEI LAVORIMichela DEL PIERO, Presidente Banca Popolare di Cividale

Arnaldo REDAELLI, Presidente di ANAEPA Confartigianato Edilizia

Graziano TILATTI, Presidente Confartigianato Udine e FVG

CITTà FULCRO DEL NOSTRO FUTUROCino Paolo ZUCCHI, Cino Zucchi ArchItetti

> Infrastrutture, sostenibilità e serviziMarco BORRONI, Federbeton

Giorgio GOLINELLI, Amministratore Delegato AMGA

Calore & Impianti (Gruppo Hera)

Riccardo Maria MONTI, Presidente Italferr SpA

Lorenzo ORSENIGO, Direttore Generale ICMQ SpA

L’INTERVISTA - A cura di Marco PANARADebora SERRACCHIANI, Presidente Regione Autonoma FVG

GOVERNARE LA CITTà CHE SI TRASFORMARiccardo NENCINI, Viceministro delle Infrastrutture

e dei Trasporti

LECTIO MAGISTRALIS> Flussi e connessioni. Economie, mercati e opportunità

Jean Paul FITOUSSI, Institut d’Etudes Politiques de Paris

CHIUSURA DEI LAVORI

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10 11 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Scambi globali a un bivio storico?

La Cina vuol investire migliaia di miliardi di dollari per aprire la nuova Via della Seta e perfino Panama vuole essere della partita. Ma i flussi di merci fisiche potrebbero essere sostituiti da quelli di dati.

Il 12 giugno del 2017 potrebbe essere ricordato come una data storica per

il commercio mondiale. È il giorno in cui Panama ha rotto le relazioni con

Taiwan e stabilito per la prima volta rapporti diplomatici ufficiali con Pe-

chino. Nel darne l’annuncio, il presidente del piccolo ma strategico paese

centro-americano Juan Carlos Varela ha motivato la decisione con il fatto

che la Cina è ormai diventato il secondo “cliente” più importante del ca-

nale che evita ai porta-container più grandi del mondo di circumnavigare

il continente per condurre le merci dall’Asia all’Europa e all’Africa e vi-

ceversa. Molti scommettono che la mossa panamense sia solo il primo

passo per l’ingresso del paese-canale nel progetto OBOR, vale a dire One

Belt One Road, noto anche come Nuova Via della Seta. L’America Latina

non ne fa parte e non ci sono piani di coinvolgerla, ma Panama sembra

destinata ad essere l’eccezione. L’economista panamense Eddie Tapiero

si dice certo che andrà a finire così, dato che il canale è strategico e la Cina

non ha più riserve di natura legale e politica da investire a Panama. Il ri-

conoscimento diplomatico è arrivato un anno dopo il completamento dei

lavori per l’allargamento del canale, che ora consente il passaggio anche

dei mega porta-container.

Della Road and Belt Initiative si è parlato molto. Soprattutto in occa-

sione del suo rilancio dal parte del presidente Xi in un summit interna-

zionale a Pechino nel maggio del 2017. Si tratta della realizzazione di

un’infrastruttura imponente di trasporti, energia e telecomunicazioni:

strade, ponti, oleodotti, porti, ferrovie, centrali elettriche disposti lungo

la vecchia Via della Seta da Oriente a Occidente con una variante marit-

tima che andrebbe a lambire e coinvolgere anche l’Africa. Investimen-

ti stimati per 5.000 miliardi di dollari e spalmati su 60 paesi tra Asia,

Medio Oriente, Europa e, appunto, Africa con l’aggiunta possibile di un

importante presidio nell’istmo tra Atlantico e Pacifico. Xi sta vendendo

ai suoi partner la Road and Belt come la risposta al protezionismo di

Trump di una Cina aperta al libero scambio e allo sviluppo del commer-

cio mondiale.

E fin qui ci siamo. Panama a parte, di cui si è parlato poco o niente in

Europa, tutto il resto è stato descritto con ricchezza di numeri e analisi

su tutti i media. Ma, al di là delle evocazioni che riportano al Milione di

Marco Polo e all’operazione di marketing politico globale sicuramente ben

pensata dai cinesi, si tratta anche di un progetto cantierabile e bancabile?

Non nel senso che manchino i soldi, i forzieri dei vari fondi sovrani cinesi

sono pieni di dollari a migliaia di migliaia. Ma nel senso che potrebbero

essere poco fondate le motivazioni economiche di lungo periodo per im-

barcarsi nell’impresa. Il 2016 ha segnato il quinto anno di fila di ristagno

e contrazione del commercio globale, qualcosa che non si vedeva dagli

anni 70. Si dirà, sono gli strascichi della crisi esplosa nel 2008, prima o poi

tutto ripartirà alla grande, Trump o non Trump. Ma c’è invece un numero

crescente di economisti secondo cui non siamo di fronte a un fenomeno

ciclico, ma strutturale, un segnale che le forze che hanno spinto la glo-

balizzazione per decenni stanno cedendo il passo a nuove forze, diverse.

Secondo questi economisti, tra cui quelli del McKinsey Global Institute, la

saturazione del commercio globale di beni coincide con una drammatica

accelerazione del flusso globale di dati, e indica che una nuova economia

digitale sta prendendo il posto della vecchia economia fisica.

La diffusione dell’automazione, della robotizzazione, della tecnologia

delle stampanti 3D, puntano a una diminuzione, non si sa quanto rapida,

della necessità di trasportare fisicamente le merci da un capo all’altro del

mondo. L’immagine della globalizzazione fotografata da cargo sempre

più grandi che spostano quantità di merci sempre più grandi da un oceano

all’altro appartiene al passato e non al futuro, secondo questa visione.

La globalizzazione non è affatto finita, solo che a spostarsi sono sempre

meno le merci fisiche e sempre più i dati. I calcoli di McKinsey mostrano

che i flussi globali di beni, servizi e anche finanza hanno toccato un picco

del 53% del PIL del pianeta nel 2007 e sono scesi al 39% nel 2014, con un

trend che continua. Allo stesso tempo aumentano i flussi di dati e infor-

mazioni digitali. Nel solo triennio 2013-2015 sono raddoppiati, sempre a

livello globale. A fine 2016 i flussi “transfrontalieri” di dati e informazio-

ni digitali erano 20 volte quelli del 2008. E non si tratta di smartphone,

apps, Facebook e via dicendo. O almeno non solo.

General Electric prevede di produrre componenti per la sua divisione aero-

spaziale per centinaia di migliaia di pezzi entro il 2020 utilizzando esclu-

sivamente la tecnologia delle stampanti 3D. Si avvicina il giorno in cui le

aziende non si faranno spedire le componenti necessarie alla produzione

via cargo o container, ma semplicemente riceveranno una serie di ordini

digitali da inserire in una stampante 3D. Sempre McKinsey calcola che già

di STEFANO

CARATELLI

Giornalista

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13 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE12

Flussi, connessioni e poteri forti

Gli equilibri geopolitici ed economici sono diventati fluidi e non è più tanto la sovranità a determinare il controllo degli Stati moderni.

Quali sono i principali attori internazionali nell’era del disordine mondiale in cui

gli Stati sembrano aver perso la capacità di controllare migrazioni, economia, fi-

nanza, criminalità internazionale, terrorismo e cambiamenti climatici? Il tenta-

tivo di ricostruire il quadro geopolitico, estremamente frammentato e anarchico

nel 2017, vede forse in prima linea soggetti statuali e non, ovviamente gli Stati

Uniti, ma di Trump, la Cina e la Russia sfidanti degli States, ma anche le corpo-

rations, poteri automatici collegati alle innovazioni tecnologiche e poteri illegali.

Chi comanda il mondoChe ne è dell’utopia postbellica di un “governo mondiale”? La divisa statu-

nitense, che si è rivalutata negli ultimi anni, è la moneta di riserva mondiale

per definizione. Solo gli Stati Uniti hanno la forza militare, le garanzie del di-

ritto e il grande mercato finanziario che possono assicurare tale primato.Ma

la geopolitica e l’economia non bastano a capire l’impero americano. La sua

quintessenza è ideologica, missionaria, perché gli Stati Uniti non possono

ridursi a nazione fra le altre, diversa solo per il gradiente di potenza. Il pre-

sidente non conta tanto per quel che dice o per come si contraddice, ma per

quel che rappresenta nella società nazionale. L’iperpattriottismo trumpiano

espone la contraddizione strutturale fra globalizzazione e impero. I globa-

lismi americani devono constatare che il mondo globalizzato non è affatto

uno spazio omogeneo né tantomeno omologato agli Usa.

Trump non ha i mezzi per compiere la sua rivoluzione, auto centrata sull’idea per

cui l’America, vittima dell’idiozia dei precedenti leader, necessiti di un grande

condottiero. Lo Stato profondo – dai servizi segreti alle altre agenzie federali

– la magistratura, l’“opinione pubblicata”, la crema intellettuale, persino parte

della maggioranza repubblicana del Congresso hanno subito messo in eviden-

za i limiti del suo potere, accentuati dall’inevitabile dilettantismo di chi fino ai

settant’anni ha osservato la politica anziché praticarla. Ci vorrà tempo per sta-

bilire dove si fermerà l’ago della bilancia nel braccio di ferro fra la cacofonica

amministrazione Trump e le strutture profonde del potere, vocate a proteggere

l’impero. La globalizzazione come missione universale non scalda i cuori dell’o-

pinione pubblica americana. L’interdipendenza economica non genera di per sé

nel 2014 il valore aggiunto dei flussi globali di dati ha toccato i 2.800 mi-

liardi di dollari, superando anche se non di molto quello di 2.700 miliardi

relativo agli scambi globali di beni fisici. La digitalizzazione ha accorciato

la catena produttiva globale. Fondo Monetario e Banca Mondiale affer-

mano che ben la metà del rallentamento del commercio globale registra-

to negli anni successivi alla Grande Crisi iniziata nel 2008 è da attribuire

a ragioni strutturali e non cicliche. Succede allo stesso modo sia in Cina

che in America. Grazie alla digitalizzazione, alla robotizzazione e all’au-

tomazione, i produttori di beni durevoli, come le automobili, riescono ad

avvicinarsi sempre di più al mercato finale, abbattendo drasticamente il

numero e la quantità di componenti realizzate in altri paesi per motivi di

convenienza economica.

È un trend che comincia a emergere dai dati: negli ultimi anni i consumi

globali di alcuni prodotti finiti, come auto e farmaceutici, crescono più ra-

pidamente degli scambi globali degli stessi prodotti, mentre il commercio

di alcuni prodotti intermedi, come tessuti e componenti elettriche, rallen-

ta. Alcuni attribuiscono il fenomeno al rallentamento degli investimenti

in macchinari industriali, che non si sono ancora ripresi completamente

dalla crisi. Inoltre, l’apertura della nuova Via della Seta potrebbe far en-

trare nel grande gioco del commercio globale paesi che ora sono marginali.

Un gioco che vede seduti al tavolo un numero ancora relativamente basso

di giocatori. E poi finora si è parlato quasi esclusivamente di prodotti fi-

niti e componenti, mentre il commercio mondiale è fatto, anche se non

soprattutto, di scambi di materie prime che devono per forza spostarsi

fisicamente dai luoghi di produzione e estrazione a quelli di trasformazio-

ne e consumo. Petrolio, metalli, caffè, soia, legname, colla di pesce non si

possono produrre con le stampanti 3D. Certo si può immaginare un futuro

in cui molti prodotti naturali diventino sintetici grazie alle nano e alle bio

tecnologie, ma per ora è più fanta-economia che un trend.

Quello che invece sembra certo è che digitalizzazione, robotizzazione, au-

tomazione per funzionare e crescere hanno bisogno di energia elettrica e

reti in grado di trasportare quantità sempre più grandi di dati. Qualunque

sia il trend futuro del commercio globale: un nuovo ciclo di espansione

tradizionale basato prevalentemente sugli scambi di prodotti fisici o una

nuova e inedita fase dominata sempre più dagli scambi digitali, non si

potrà comunque fare a meno di un potenziamento delle infrastrutture

globali di produzione e trasporto di elettricità e di produzione e traspor-

to di dati. In questi due grandi filoni bisognerà sicuramente aprire nuove

rotte globali. Non è detto però che debbano per forza passare per il Canale

di Panama.

di LUCIO

CARACCIOLO

Direttore di Limes

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14 15 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

protezione geopolitica. Né ci sono più nemici assoluti di taglia paragonabile alla

Germania nazista, al Giappone imperialista o all’Unione Sovietica sui quali im-

bastire una narrazione che convinca la nazione americana alla necessità di una

postura estero-vestita. Il fenomeno Trump è indicatore, prima che soggetto, del

ripiegamento del paese su se stesso. Ma l’identità americana, come si è con-

solidata in oltre due secoli, è imperiale o non è. Gli strumenti per riaffermare

l’egemonia di Washington restano formidabili: dominio sui mari e (meno) sui

cieli – non su terra né tantomeno sul cyberspazio – il privilegio del dollaro, la

brillante demografia, l’innovazione tecnologica.

La globalizzazione di stampo cineseCi sono poi potenze inassimilabili, come la Russia, o in fermento nazionalista,

quale la Cina. Un impero plurimillenario non può copiare il modello altrui. Il pro-

getto Obor (One Belt One Road = Una Cintura Una Vita) lanciato da Xi Jinping nel

2013 è un astuto mascheramento della geopolitica neoimperialistica di Pechino.

Interpretazione estensiva, favorita dall’ambiguità della retorica cinese e dalla

vaghezza del progetto appena ribattezzato Bri (Belt and Road Initiative), che

coinvolge oltre quaranta paesi, mentre altre decine sarebbero in lista di attesa.

Una fitta rete di collegamenti terrestri e marittimi eurasiatici, estesa all’Afri-

ca, all’America Latina e potenzialmente al resto del mondo. In una prospetti-

va di lungo periodo, questa strategia esprime l’anelito a una globalizzazione

di stampo cinese, destinata a succedere a quella americana. Senza cimentarsi

nello scontro militare diretto, per il quale la Repubblica Popolare non ha i mezzi.

Per scommettere invece sulla proiezione economico-commerciale, con il dovuto

accompagnamento propagandistico e sostegno del marchio Cina, allargando e

radicando la sua sfera di influenza. La penetrazione negli spazi economici esteri,

contigui e remoti, con investimenti di medio-lungo periodo ipotizzati nell’ordi-

ne del trilione di dollari entro il 2020, vuole anzitutto sostenere l’ascesa della

Repubblica Popolare nella gerarchia globale del potere. Per intendere la portata

della Bri bisogna allargare l’analisi alle nuove istituzioni finanziarie in cui la Cina

gioca un ruolo centrale. La Asian Invesiment Infrastructure Bank (Aiib), varata

da Pechino con altri 56 paesi, senza gli Usa ma con i loro principali alleati euro-

pei, affianca la Bri. E segnala impazienza per l’indisponibilità americana a con-

cedere alla Cina il peso rivendicato in seno alle istituzioni finanziarie dominate

dagli occidentali, a cominciare dal Fondo Monetario internazionale e dalla Banca

mondiale. Tuttavia i cinesi restano i terzi finanziatori della principale concor-

rente dell’Asian Invesiment Infrastructure Bank (Aiib), la Asian Developement

Bank (Aib) di marca americana. Pechino gioca su tutti i tavoli. Il riferimento alla

via della seta è puramente estetico. Di seta se ne commercializzava pochissi-

ma, semmai spezie, selle, pellami, vetro, carta e cloruro d’ammonio. Non c’è al

mondo progetto comparabile alle nuove vie della seta. Pechino illustra trama e

ordito del tessuto pluricontinentale riservando a se stessa la funzione di spolet-

ta definendo i contorni di un’impresa colossale. Ci vorranno anni per capire

se tanto impegno porterà alla Cina i frutti sperati. Pechino prende provvedi-

menti per attrarre investitori stranieri e permettere al governo di raccogliere i

frutti gestiti dal mercato. Vuole valorizzare i settori in grado di generare uno

sviluppo di lungo periodo per assicurare la stabilità economica del paese. Fa-

vorire l’accesso di investitori internazionali consente l’assorbimento di tec-

nologia straniera e contribuisce alla graduale apertura del mercato interno.

Dalla prospettiva cinese, ciò servirebbe infine a consolidare il valore globale e

inclusivo che, come affermato spesso dal presidente cinese Xi Jinping, è alla

base delle nuove vie della seta. Le aziende pubbliche, in fase di riforma, trai-

nano gli investimenti esteri della Repubblica Popolare, mentre quelle pri-

vate scontano controlli più rigidi. Quanto agli sbocchi europei delle vie della

seta, Pechino vi persegue un doppio obiettivo. Concentra gli investimenti

nei paesi che fungono da raccordo fra Cina e Germania (intesa come sinoni-

mo di Europa) nelle periferie nord-orientali e in quelle sud-orientali dell’Ue.

La competizione fra porti e interporti europei per fruire degli investimenti

cinesi evidenzia il grave ritardo accumulato dall’Italia. Lo Stivale, in specie

il porto di Taranto, sarebbe il primo approdo per ogni carico da e per l’Asia

passante per Suez. Ma al Sud latitano infrastrutture portuali e retroportuali,

sensibilità politica ed efficienza amministrativa, elementi più avanzati in

Alto Adriatico, anche se la Cosco, gigante mandarino dello shipping, ha op-

tato per il Pireo e l’ultima mappa delle vie marittime Bri pubblicata dai cine-

si aggira l’alternativa nord-adriatica, che in tutta la precedente cartografia

spiccava come perno europeo delle rotte intercontinentali.

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Fonte: Amministrazione nazionale per la cartografia, topografia e geoinformazione della Repubblica Popolare Cinese, autori di Limes

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16 17 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Prospettive giuridiche e geopolitiche contemporanee

Il completamento dell’Unione economica e monetaria europea, la tematica della sovranità digitale e la zonizzazione degli accordi com-merciali sono alcuni degli scenari dell’economia contemporanea per gli Stati membri dell’Unione Europea, con precondizioni.

Per superare i dieci anni di crisi (2007-2017) e prevenire o prepararsi

alle future, sotto la spinta dell’elezione di Macron a Presidente della

Repubblica Francese e del suo europeismo apparente (ridimensionato

per esempio nell’attivismo delle relazioni con la Libia), Francia, Germa-

nia e Italia hanno iniziato ad individuare disordinatamente la necessità

di un ulteriore avanzamento dell’integrazione economica e monetaria.

La prospettiva del completamento dell’Unione economica e monetaria

(Uem) è oggetto di un documento pubblicato dalla Commissione euro-

pea il 31 maggio 2017. Il 13 settembre 2017 il Presidente della Commis-

sione europea Jean-Claude Juncker dinanzi al Parlamento europeo nel

suo discorso sullo stato dell’Unione ha proposto tra le diverse riforme

del futuro: di trasformare il Meccanismo Europeo di Stabilità in un Fon-

do monetario europeo e di creare la figura del Ministro europeo del-

le finanze dell’eurozona che sia contemporaneamente Presidente del

Consiglio dei ministri economici e finanziari dei Paesi membri dell’Eu-

rozona (Eurogruppo) e vicepresidente della Commissione europea,

sintesi delle istituzioni europee con legittimazione intergovernativa e

burocratica. Ma questa direzione è ancora una volta divisiva, in quanto

non incontra il favore degli Stati della penisola scandinava e di impor-

tanti paesi dell’est europeo, Polonia e Ungheria. Quest’ultima mette

persino in discussione la sua applicazione della sentenza della Corte di

Giustizia che gli impone di accogliere una quota di rifugiati politici nel

suo territorio. In realtà anche l’asse Francia-Germania-Italia e la Com-

missione stanno attendendo i risultati delle elezioni del 24 settembre

2017 in Germania e soprattutto la composizione della Große Koalition

tra la Cdu/Csu, che è favorevole alla creazione di un Fondo monetario

europeo ma nutre riserve e posizioni diverse su ministro e budget euro-

peo e i liberali della Fdp, problematici sulla creazione del Fondo mone-

tario europeo ma contrari a ministro e bilancio separato per l’eurozona.

I socialdemocratici della Spd e i Verdi sono invece favorevoli a tutti i

punti Macron-Juncker. I liberali hanno posizioni di austerità economica

di GUGLIELMO

CEVOLIN

Professore

aggregato di

istituzioni di

Diritto Pubblico,

Università di Udine

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isdura e sarebbero favorevoli alla Grexit. Le decisioni sulla formazione del

programma di governo e sulla coalizione che lo sosterrà ci faranno at-

tendere per mesi, come accaduto nel 2013, perché in Germania i partiti

si accordano per iscritto su un programma fortemente dettagliato e poi

però lo realizzano diligentemente.

Sovranità digitaleLe previsioni dell’aumento dell’economia digitale in Europa indica-

no una moltiplicazione per tre-quattro volte nel prossimo decennio

dell’attuale 10% del Pil dell’area dell’Unione Europea. Dal punto di vista

giuridico si inizia a parlare di sovranità digitale quale risultato dell’au-

toaffermazione da parte della Corte di Giustizia europea della propria

giurisdizione basata su flussi di dati che sono riconducibili a elemen-

ti fisici (cavi, centraline, trasmettitori, computer) situati sul territorio

dell’Unione Europea. Avendo il controllo sulle infrastrutture fisiche, gli

Stati membri dell’Unione Europea hanno anche “sovranità” sui flussi

di dati che sono estremamente rilevanti dal punto di vista economico

(esempio codici swift, usati durante il trasferimento di denaro tra ban-

che) o per la sicurezza (esempio codici PNR dei viaggiatori aerei). I flus-

si di dati wireless sono riconducibili ad elementi fisici: le stazioni radio

base. Le comunicazioni informatiche satellitari trovano nei satelliti gli

elementi fisici ai quali ricondurre la sovranità, affermando la giurisdi-

zione degli Stati su dati e sui flussi informatici. La Corte di Giustizia

nella decisione del 13 maggio 2014 Google Spain v. Agencia Española

de Protecciòn de Datos, Costeja, (C-131/12) ha affermato che è inam-

missibile che il Consiglio dell’Unione Europea nell’accordarsi tramite un

trattato (Safe Harbor) sul trasferimento dei dati personali con gli Stati

Uniti rinunci alla propria sovranità. Sono infatti soggetti alla disciplina

europea e degli Stati membri dell’Unione Europea sia il trattamento dei

dati personali e i diritti dei titolari della proprietà intellettuale (per non

parlare della omnicomprensiva disciplina della concorrenza).

La prospettiva di una tassazione progressiva e rispettosa del princi-

pio di eguaglianza dei giganti Facebook e Google potrebbe portare agli

Stati membri dell’Unione Europea risorse decisive per il rilancio degli

investimenti pubblici o per delle politiche sociali segnate pesante-

mente dalla successione, avviata nel biennio 2007-08, di diverse crisi

e dall’imposizione di politiche all’insegna dell’austerità (forti riduzioni

di spesa pubblica, aumenti delle imposte e riduzione dei salari) con la

minaccia dell’intervento della cosiddetta Troika – Fmi, Ue e Bce UE –,

che ha portato in Grecia le conseguenze di una guerra con Emergency e

Medicins sans frontieres a curare i cittadini greci divenuti poveri.

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N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 19 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 201718

Gli esempi di riferimento possono essere: la Diverted profil tax che ha

introdotto l’aliquota del 25% a partire dal 1° aprile 2015 per i profitti pre-

sumibilmente generati in UK dall’attività svolta sul suo territorio indi-

pendentemente da comportamenti elusivi di contabilizzazione da parte

delle multinazionali. In Italia recentemente la legge 21 giugno 2017, n.

96, recante, tra le altre, disposizioni urgenti in materia finanziaria (cor-

rettivo della manovra di giugno 2017) ha previsto la c.d. Web tax transi-

toria (art. 1 bis), una sorta di collaborazione rafforzata per la definizione

dei debiti tributari che viene riconosciuta alle società non residenti che

appartengono a gruppi multinazionali con ricavi che superano il miliardo

di euro e che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi in Italia

per un ammontare superiore a 50 milioni e servendosi di società resi-

denti o di stabili organizzazioni. Seguendo la prassi instaurata recen-

tissimamente tra l’Agenzia delle Entrate e Google, si prevede normati-

vamente una “collaborazione volontaria” tra le grandi multinazionali ed

il fisco italiano; nel caso l’Agenzia delle entrate constati la sussistenza

di una stabile organizzazione invia al contribuente un invito al fine di

definire i conseguenti debiti tributari. Nel caso si formi l’accordo, il fisco

riceve il pagamento dei tributi nella misura concordata, che però do-

vrebbe rispettare le disposizioni imperative di livello costituzionale di

eguaglianza e di progressività del sistema tributario; in caso contrario,

le grandi società multinazionali potranno essere soggette a controlli da

parte dell’Agenzia delle Entrate volti ad accertare il “regime di stabile

organizzazione” in Italia e, solo in caso di esito positivo, una volta indi-

viduati i debiti tributari, potranno definirli in contraddittorio con l’Am-

ministrazione finanziaria.

Per determinare una web tax europea siamo appena alla riunione in-

formale dei Ministri dell’economia e delle finanze (Tallin-Estonia, 15-16

settembre 2017, ECOFIN). E si è manifestata una immediata divisione

tra gli Stati membri, tra chi propone di tassare i profitti e chi il fatturato

delle grandi multinazionali digitali.

La zonizzazione degli accordi commerciali e la tendenza alla territoria-lizzazione dell’Adriatico settentrionaleIl tema della sovranità digitale ha anche ripercussioni sulle transazioni

con le monete virtuali come dimostra il recentissimo (settembre 2017

Rio de Janeiro) tentativo di accordo in sede OCSE (Organismo per la co-

operazione e lo sviluppo economico) per colmare il vuoto normativo,

con rischi non solo in sede di controlli fiscali, ma anche di contrasto al

riciclaggio e al finanziamento al terrorismo internazionale. Nel settem-

bre 2017 semplici rumors fanno cadere nei mercati finanziari il valore

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isdel bitcoin, moneta digitale che sfrutta la crittografia e non è collegata

ad alcuna banca o autorità centrale. Questo perché la Banca centrale

cinese a fine mese sarebbe intenzionata a fermarne le contrattazioni.

Regno Unito, Norvegia, Svezia e la Repubblica popolare cinese sareb-

bero intenzionate alla emissione di moneta elettronica facendo finire il

monopolio della moneta elettronica legale emessa da banche e istituti

di moneta elettronica, con la possibilità di scelta tra moneta digitale

privata e quella con Stati o organizzazioni sovranazionali come soggetti

emittenti.

Il summit G20 di Baden Baden (marzo 2017) ha visto i primi effetti del

vento neoprotezionista minacciato da Trump con una impasse genera-

le, e Germania e Cina decisamente contro il protezionismo e il rischio

di vincoli per le esportazioni tedesche di auto e di varie merci e pro-

dotti informatici della Cina. Anche in relazione agli accordi commerciali

sono sottese complicate problematiche giuridiche, recentemente risolte

in parte da un orientamento della Corte di Giustizia (parere 2/15 del 16

maggio 2017) che individua gli ambiti di competenza esclusiva dell’U-

nione europea sugli accordi in materia di proprietà intellettuale, accesso

reciproco al mercato per merci e servizi, protezione degli investimenti

diretti di cittadini dell’Unione europea nei mercati oggetto di accordo

(e viceversa), appalti pubblici e energia, comprese le fonti fossili; sareb-

bero invece di competenza degli Stati membri il regime di risoluzione

delle controversie tra investitori e Stati e gli investimenti esteri diver-

si da quelli diretti. L’Unione Europea sulla base di questo orientamen-

to cercherà di concludere la maggior parte degli accordi commerciali in

via esclusiva a livello europeo. Tuttavia è probabile che i nuovi accordi

commerciali subiranno una zonizzazione dettagliata come conseguenza

della necessità di revisione di quelli precedenti per le nuove tendenze

della Presidenza statunitense.

A seguito dell’istituzione (3 ottobre 2003) da parte del Parlamento

della Croazia (Sabor) della zona di pesca ecologica protetta, da par-

te della Slovenia con legge del 4 ottobre 2005 di una propria zona di

protezione ecologica esclusiva, e di una zona di protezione ecologica

italiana (legge 8 febbraio 2006, n. 61) si afferma una tendenza alla ter-

ritorializzazione dell’Adriatico settentrionale contraria agli interessi

dell’Italia e probabilmente di tutti gli Stati che si affacciano sul Medi-

terraneo. Come è noto le zone economico esclusive (ZEE) consentono

agli Stati che le dichiarano legittimamente in modo unilaterale di ef-

fettuare controlli sulle imbarcazioni di ogni tipo nell’aerea marittima

dichiarata esclusiva.

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20 21 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

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isJean Paul Fitoussi: fermare la distruzionedelle competenze

Il futuro secondo Jean Paul Fitoussi passa attraverso la valorizza-zione delle persone e del lavoro.

Invertire la rotta, rendersi conto che la gestione della più rilevante crisi

economica e sociale dal dopoguerra è stata fallimentare e che ha de-

terminato una straordinaria distruzione di capitale umano e sociale.

Volendo sintetizzare è questo il punto di partenza e, allo stesso tem-

po, il cuore delle riflessioni più recenti condotte nelle sue conferenze

da Jean Paul Fitoussi. Tesi sostanziale che è anche all’origine del suo

più recente libro appena pubblicato in Italia da Einaudi Il teorema del

lampione. Perché il nodo del problema e la causa di quella che Fitoussi

chiama irragionevolezza è l’aver colpevolmente continuato a guarda-

re dalla parte sbagliata. Come nel caso del lampione che illumina una

piccola parte di spazio, chi ha preso le decisioni di politica economica

ha limitato a una piccola zona illuminata le sue osservazioni e le sue

scelte, dimenticando di guardare l’insieme e perdendo di vista le dram-

matiche conseguenze di quelle scelte. L’illuminazione si è concentrata

sulla finanza, nel buio sono rimaste le persone e, soprattutto, il lavoro.

Fitoussi continua in questo libro la sua riflessione critica sul presente,

ribadendo una miopia interpretativa dei fenomeni macro economici a

cui si accompagna la presbiopia che vede un futuro immaginario, pri-

vando il mondo di quell’attenzione per l’uomo e per il suo destino. Su

questi temi ci siamo soffermati in vista della sua partecipazione alla

Construction Conference di Civiltà di Cantiere, dedicata proprio al futu-

ro nell’era della ri-globalizzazione.

“Quello a cui abbiamo assistito – ribadisce - e a cui continuiamo ad

assistere, senza tuttavia valutarlo nel modo giusto, è, non solo una

profonda sottovalutazione del valore della risorsa umane e del lavoro,

ma una minimizzazione degli effetti abbinati della crisi, dello sviluppo

della digitalizzazione e della concentrazione della ricchezza. Un coa-

cervo di processi il cui risultato più rilevante è stata una distruzione di

professionalità e di competenze. E non si tratta di un’affermazione con

valutazioni meramente culturali, bensì di una concreta riduzione misu-

rabile dal punto di vista economico”.

di ALFREDO

MARTINI

Per Fitoussi la miopia è frutto dell’incapacità di misurare concreta-

mente questa perdita. Pensare di poter restituire sviluppo e di creare

ricchezza a scapito del lavoro e delle risorse umane è un’illusione peri-

colosa. Ma soprattutto risulta priva di credibilità in assenza di una mi-

surabilità dei risultati. Nel suo libro, al centro della riflessione vi sono

soprattutto due concetti: la sostenibilità e il benessere. Per l’econo-

mista francese il concetto di sostenibilità si lega a quello di sviluppo e

di crescita economica. Soltanto se si riuscirà a coniugare una concen-

trazione di capitali con un’espansione dell’occupazione, allora potremo

parlare di sviluppo sostenibile, altrimenti il risultato sarà una contrad-

dizione “insostenibile”.

“Per quanto concerne poi il concetto di ‘benessere’, esso va considerato

secondo un duplice punto di vista. Quello soggettivo, che dipende dal-

la percezione di ognuno rispetto alla propria condizione e aspettative

di vita, su cui incidono la storia personale, la famiglia, l’ambiente in

cui si è vissuti. E quello oggettivo, che è il risultato determinato dalla

soddisfazione di alcuni bisogni essenziali, ad iniziare da un lavoro che

consenta di realizzarsi, un livello minimo di salute, ambienti salubri e

piacevoli in cui vivere e un livello di istruzione che consenta di compren-

dere il mondo circostante. Queste condizioni sono alla base di uno stile

di vita in grado di assicurare a una persona un livello base di libertà.

Ecco, quello che dobbiamo capire è che per essere liberi abbiamo biso-

gno di uno stato di benessere adeguato al nostro tempo. Una riduzione

di questo stato di benessere per uno o per una moltitudine di uomini

ha un effetto domino nella direzione di una riduzione della ricchezza

complessiva dell’umanità. Quel che continua a sfuggire è proprio il suo

effetto negativo sull’economia. Un esempio di questa miopia è quan-

to avvenuto rispetto alle scelte dell’Unione europea nei confronti della

Grecia: progressivo impoverimento, fuga di cervelli, depressione econo-

mica.”

In questo scenario si inserisce il fenomeno epocale delle migrazioni dal

medio Oriente e dall’Africa che stanno cambiando il volto dell’Europa,

generando insicurezza e creando nuove e pericolose tensioni. Per Fi-

toussi non si può distinguere oggi tra migrazioni e terrorismo: “oggi per

comprendere gli effetti dell’immigrazione non si può prescindere dal

fatto che la maggioranza delle persone la colleghi al terrorismo. Finisce

per prevalere una valutazione negativa del fenomeno perché esso ge-

nera paura.” Secondo l’economista francese, i flussi migratori stanno

avendo una funzione di destabilizzazione sociale, soprattutto in Italia,

a causa della sua struttura amministrativa e di una serie di problemi

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22 23 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

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aris connessi alla gestione del Paese. Gli chiedo che cosa pensa dell’espan-

sione commerciale e dell’aggressività da parte dei paesi dell’estremo

oriente e della Cina in particolare. La sua risposta è che flussi di investi-

mento cinesi sono positivi, in quanto consentono all’Italia di acquisire

risorse che le sono necessarie per riprendere a crescere. Le sue preoc-

cupazioni riguardano non gli investimenti in se, ma la crescita di risor-

se che provengono da Paesi non democratici. “Come per le migrazioni

di persone, anche i flussi finanziari non sono di per se buoni o cattivi,

ma lo diventano rispetto ai contesti e alle intenzioni o ai criteri che

orientano i comportamenti dei primi o gli obiettivi dei secondi. Nel caso

dell’incremento degli investimenti da paesi non democratici la criticità

va individuata nel fatto che ad orientare gli investimenti siano criteri

spesso prevalentemente ideologici e quindi possono avere altri fini, di-

versi da quelli di aumentarne il valore economico.”

Tornando a parlare di Europa e di politiche economiche e sociali, Fi-

toussi mette a fuoco con grande chiarezza dove sia il principale vulnus

ancora vivo. Esso va cercato nella contraddizione tra provare a costruire

strategie unitarie e la presenza di un complesso normativo e di regole

volte a privilegiare la competizione. “Pensare che il mercato sia una ga-

ranzia di libertà e di giustizia è un’illusione pericolosa che, come abbia-

mo visto, ha prodotto risultati nefasti e, se non spostiamo il lampione

illuminando il disagio sociale, resteremo al buio.”

L’opinione

Scen

aris

Jean Paul Fitoussi è Professore di Economia presso l’Institut d’Etudes

Politiques di Parigi, di cui presiede il Comitato Scientifico, e presso l’U-

niversità LUISS di Roma. È Coordinatore della Commissione Stiglitz-Sen-

Fitoussi, Commission on the Measurement of Economic Performance and

Social Progress (CMEPSP) di Parigi.

È stato Presidente dell’Observatoire Français des Conjonctures Economi-

ques, istituto di ricerca e previsione economica. È membro del consiglio

di amministrazione dell’Ecole Normale Supérieure, del Conseil d’Analyse

Economique del Primo Ministro francese e della Commissione Economica

Nazionale francese.

Dal 1984 è segretario della International Economic Association e, dal 2000,

ha assunto l’incarico di esperto presso il Parlamento Europeo, nella Com-

missione degli Affari Economici e Monetari. È stato Presidente del Consi-

glio Economico della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Ha

ricevuto numerosi premi e riconoscimenti a livello internazionale e, attual-

mente, è editorialista di La Repubblica e Le Monde.

di PIERO

TORRETTA

Presidente di Uni,

l’Ente nazionale

di normazione

La politica deve ritornare a pensare secondo le logiche di sistema tipiche delle civiltà più evolute, senza subordinazioni e cedimenti di carattere eco-nomico-finanziario.

Dieci anni di crisi, come ha recentemente dichiarato il Ministro dello Sviluppo

Economico Carlo Calenda, non sono stati solo “una piccola guerra in cui l’Ita-

lia ha perduto il 25% della propria base manifatturiera” ma, oltre all’ineffica-

cia delle politiche della austerità espansiva, hanno dimostrato l’insufficienza

delle politiche Keynesiane di espansione della spesa pubblica che, ancora

oggi, viene contrapposta alla austerità.

In questo hanno ragione i due economisti Alesina e Giavazzi, che hanno di-

mostrato come l’aumento della spesa e le detrazioni fiscali per il sostegno

alla domanda e alla spesa sociale, là dove sono state attuate, non hanno né

risolto i problemi, né garantito un maggiore consenso politico. I due econo-

misti ammoniscono: di fronte a uno scenario senza precedenti i paradigmi

che hanno regolato mercati ed economie negli ultimi 70 anni non bastano.

Spostano gli interessi da una parte all’altra, ma non risolvono i problemi di un

mondo sempre più complesso, sempre più interconnesso, sempre più, che lo

si voglia o meno, aperto alle merci ed alle persone. È necessario che si ritorni

a pensare per poter decidere al meglio cosa fare, nell’interesse di tutti.

Per un Paese come il nostro pensare in un mondo globale non vuol dire uni-

formarsi, livellarsi agli altri, ma considerare e valorizzare le peculiarità, i punti

di forza di cui siamo dotati, sia naturalmente, sia storicamente, sia cultu-

ralmente. La fantasia, la creatività, la bellezza, il buon gusto, la sensibilità,

l’attenzione alle piccole cose sono valori universalmente riconosciuti e ap-

prezzati e rappresentano un riferimento per il mondo intero. Il nostro è un

Paese che si è sviluppato grazie all’ingegno e alla capacità di rischio della

piccola e media impresa, che sono l’ossatura del nostro sistema produttivo

e che, nei settanta anni dalla grande guerra, ha contribuito a costruire un

modello sociale di integrazione e condivisione. Sarebbe un errore sacrificare

la nostra identità al totem della dimensione, al gigantismo delle multinazio-

nali che, catturandoci col prezzo basso, vogliono tutto omologato per poter

meglio controllare i costi e condizionare gli usi e le nostre scelte. A questo

servirebbe una regola a tutela del made in Italy che definisca provenienza

Il risveglio dell’Italia nell’età dell’algoritmo

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L’opinione

24 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Scen

aris delle materie, luogo di trasformazione, luogo di confezionamento e ponga

un limite all’abuso dell’Italy sound perché il principio stesso del mercato non

deve ruotare intorno alle esigenze del produttore, ma a quelle dell’utente

consumatore. In un mondo sempre più aperto e globale, salvaguardare, va-

lorizzare la nostra identità, non svenderla a chi non ha altro che moneta per

comandare, deve essere il compito della politica, dello Stato, di tutti noi. Un

obiettivo che non può essere raggiunto né con l’austerità espansiva, né con

la politica della spesa.

Il mercato, non solo ha demolito le barriere per le merci, superato i confini,

reso inefficaci le leggi nazionali. Ha portato con sè un processo di innovazio-

ne e automazione che apre la strada ad una nuova “domesticazione” che,

attraverso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, va ben al di là del rischio

della sostituzione del lavoro dell’uomo con i robot, e crea una soggezione

che induce ad accettare che qualcun altro, conoscendo le nostre idee, i nostri

gusti, i nostri affetti, i nostri valori, le nostre debolezze, decida per noi. Per

questo serve una variazione di rotta, una nuova narrazione, un nuovo para-

digma che riporti la “meraviglia” nella sua dimensione emozionale e non dia

tutto per scontato.

Una nuova narrazione che sia in grado di pensare. Un “cervello collettivo”

che si prenda cura di noi, dei nostri problemi e delle nostre necessità, ma che

non sia imposto o auto-determinato sulla base del controllo dei sistemi e

delle conoscenze o dei ruoli, ma sia consapevolmente scelto, aperto e libero,

in grado di intercettare, interpretare, impostare, risolvere i problemi che via

via si presentano e si presenteranno, in virtù di conoscenze che si sviluppano

giorno dopo giorno.

È l’antropologia sociale che ce lo insegna. In ogni epoca le persone, con una

sorta di auto-domesticazione, hanno individuato il modo migliore per orga-

nizzarsi, delegare, decidere i mezzi ed i fini dello stare insieme e dell’agire.

Per questo la variazione di rotta non può essere solo monetaria ed economi-

ca, ma, se si vuole ridare “fiducia e valore tra i valori”, deve essere anche isti-

tuzionale. Un modello che consolidi la funzione primaria della politica e della

legge per il benessere dei cittadini, per i diritti inviolabili dell’uomo, per la

vita “di valore” di cui parlano i filosofi e riduca sia il rischio della dipendenza

della politica e dello Stato dalla ricchezza - come è successo in passato, sia il

rischio che l’intelligenza artificiale catturi e condizioni le scelte della politica.

Parafrasando un grande italiano come Umberto Veronesi: “Il principio stesso

dello Stato non deve ruotare intorno alle esigenze dei “pochi”, ma a quelle

dei cittadini, tutti”.

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26 27 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Le opportunità di una competizione per ecosistemi

I valori su cui il settore delle costruzioni e i territori che vogliono rilanciarsi devono puntare per rientrare in gioco.

La storia non ha percorsi lineari. Dopo aver lottato per abbattere muri e gioito

per la loro caduta, una generazione dopo torna la voglia di costruirne di nuovi.

Dopo aver abbattuto le frontiere economiche, di fronte alle pressioni migrato-

rie torna la voglia di confini invalicabili. Dopo esserci uniti per crescere insieme

e competere nel mondo arriva il tempo delle “exit” e, nello stesso tempo, dopo

aver mischiato le nostre culture, riemerge prepotente un bisogno di autonomia

e identità. Capire in questo frastornante inizio di nuovo millennio a che punto

siamo nel processo di globalizzazione è difficile, c’è una matassa aggrovigliata

di azioni e reazioni, di sentimenti e risentimenti, di aspettative e di paure che la

velocità della globalizzazione e del progresso tecnologico sul finire dello scorso

millennio, la profonda crisi economica esplosa nel 2008 e le migrazioni degli

ultimi anni, hanno reso difficile dipanare e gestire.

In questa complessità dinamica tuttavia ci sono alcune cose che paiono emer-

gere dalla nebbia. Una di queste è che i meccanismi competitivi sono cambiati

insieme con l’oggetto della competizione. La dimensione non è più solo a livel-

lo di imprese né solo a livello di sistemi paese, e non è più solo per i prodotti.

Emerge potente una competizione tra territori e ha per oggetto non solo i pro-

dotti ma anche gli investimenti, i talenti, le culture. Al territorio avere buone

imprese non basta, né basta avere buoni centri di formazione. Perché se il ter-

ritorio nel suo complesso non è competitivo le imprese se ne andranno o de-

periranno, i talenti emigreranno. É il cuore del problema del rapporto tra l’Italia

e il domani e all’interno dell’Italia per i suoi territori: creare degli ecosistemi in

cui i fattori della crescita trovino l’ambiente giusto e gli stimoli per svilupparsi

in armonia. Il problema è che questi ecosistemi virtuosi assai raramente sono

spontanei, o talvolta lo sono per un ciclo che se non è accompagnato da policy

adeguate si esaurisce e quel momento d’oro declina in una orgogliosa nostal-

gia per la passata grandezza. L’Italia è piena di segni straordinari di passate

grandezze, è la meravigliosa eredità che ci rende in qualche modo privilegiati. É

peraltro una rendita che facciamo fatica a tutelare e abbiamo poca capacità (o

volontà) di valorizzare. In realtà anche in quella eredità c’è un pezzo di futuro.

La competitività dei territori, quell’ecosistema virtuoso, ha infatti bisogno di

punti di partenza e quelli fisici fondamentali sono le infrastrutture e la qualità

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di MARCO

PANARA

Giornalista de

La Repubblica

urbana e del territorio; quelli che oggi definiremmo “soft” sono la cultura e la

memoria. É intorno a questi quattro perni che si costruisce un ecosistema vir-

tuoso in grado di dare valore a quello che c’è e di far nascere nuova economia e

una migliore società.

Il Friuli Venezia Giulia può essere un laboratorio di questo processo e diventare

un modello per altri territori. Ha dalla sua una serie di caratteristiche: la dimen-

sione, relativamente contenuta sia in termini di estensione che di popolazio-

ne, che le consente di far coincidere l’ecosistema con il suo perimetro politico-

amministrativo (altre regioni sono troppo piccole per muoversi da sole o troppo

grandi per non dover articolare la loro proposizione); la geografia, un territorio

di confine, snodo fondamentale nell’itinerario est-ovest e centro di riferimento

nell’asse che va dal Mediterraneo al cuore dell’Europa e a Rotterdam; l’artico-

lazione della sua struttura economica, con una presenza qualificata della ma-

nifattura e una agricoltura e agroindustria di alta qualità che sono parte inte-

grante della sua identità e della sua percezione; i centri di ricerca e la struttura

formativa; la presenza di un porto storico e importante come quello di Trieste

insieme a quelli di Monfalcone e di Porto Nogaro; una identità culturale forte,

articolata e riconoscibile e una memoria antica, visibile, di grande valore.

Questi sono i pezzi del puzzle, da montare insieme in maniera intelligente e

innovativa perché si fertilizzino l’un l’altro e diano vita a un modello di successo

in grado di attirare e trattenere investimenti e talenti e di favorire uno sviluppo

sociale, civile ed economico equilibrato, duraturo e sostenibile.

L’infrastruttura chiave della regione è il porto di Trieste, che ha una storia mil-

lenaria ed è uno dei più importanti d’Italia e che può diventare il primo motore

nella costruzione di un ecosistema territoriale a dimensione regionale compe-

titivo. In una intervista pubblicata da questo giornale il presidente dell’Autorità

del Sistema Portuale dell’Adriatico Orientale e presidente di Assoporti Zeno

D’Agostino ha già delineato una strategia che punta a un cambiamento di ruo-

lo e di percezione del porto da terminale a fattore strategico di sviluppo territo-

riale. In questo cambiamento di pelle, avere la capacità di un grande terminal

di container ed essere un hub ferroviario sono le premesse, così come l’essere

un porto franco è una condizione indispensabile ma non sufficiente. Il porto di

Trieste per essere competitivo esso stesso e per diventare un fattore strategico

di sviluppo per l’intera regione deve andare oltre, deve diventare un partner per

i suoi clienti da una parte e per il territorio dall’altra, un fornitore non solo di

servizi ma anche di know how, capace di attirare traffico per la sua qualità logi-

stica ma anche per quello che le competenze del territorio possono aggiungere

al valore delle merci in transito. Questo richiede una qualità adeguata delle in-

frastrutture e una condivisione forte con tutti gli altri soggetti, dalle istituzioni

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N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 201728 29

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L’opinionedi ROBERTO

CONTESSI

Presidente

ANCE Udine

Favorire una reale rigenerazione edilizia agli operatori, agli organismi di rappresentanza, ai centri di ricerca e forma-

zione, alle associazioni. Il porto franco da questo punto di vista sarà un buon

termometro nella sua capacità di creare nuova economia e nuovo valore per

tutto il territorio piuttosto che diventare l’occasione di scelte opportunistiche.

Il secondo motore è la rigenerazione urbana e del territorio. Le storie di rina-

scita e di successo, dalla Ruhr a Pittsburgh, a Sheffield e via elencando, sono

state storie di riqualificazione urbana, alla quale nel caso del Friuli Venezia

Giulia va aggiunta la ricucitura sapiente di un tessuto territoriale pregiatissi-

mo, che ha attraversato e sta attraversando ancora un processo di trasforma-

zione industriale che ha lasciato sul terreno oltre a vincitori e vittime anche

spazi e volumi che vanno pragmaticamente rivisitati. In questo progetto di

rigenerazione urbana e ricucitura territoriale entra con un peso importante

quell’eredità di glorie passate da tutelare e valorizzare reinserendoli come

soggetti vivi in un ecosistema virtuoso che ha anche nella sua identità un

punto di forza. E qui lo snodo tra passato, presente e futuro diventa determi-

nante, perché la cultura e la memoria declinate in modo innovativo devono

essere al centro dei progetti di rigenerazione urbana perché questi vengano

applicati in armonia con il contesto fisico e sociale nel quale avvengono e,

soprattutto, perché senza quell’anima il successo e l’integrazione delle aree

riqualificate, percepite come corpi estranei, sarebbe assai più difficile. Come

fare tutto questo? Come trovare le risorse e realizzare con coerenza piani di

questa portata? Le esperienze fatte in altri paesi (e anche il buon senso) ci

dicono che nella gestione della complessità è fondamentale la governance:

processi decisionali trasparenti, livelli di responsabilità chiari, competenze

adeguate. Una buona governance è la premessa per una interlocuzione con

tutti gli stakeholder secondo procedure non casuali, per una progettazione e

realizzazione di qualità, per una affidabilità nei tempi. Tutti aspetti fonda-

mentali per il reperimento delle risorse pubbliche e private necessarie.

Grande sfida e grande opportunità per le istituzioni, per gli operatori e per la

società nel suo complesso, di quelle da cogliere per rimettere in moto energie

e ricreare un rapporto positivo con il futuro per le vecchie e le nuove genera-

zioni e per fare del Friuli Venezia Giulia un’avanguardia dell’Italia e, perché

no, dell’Europa. Per il settore delle costruzioni, che conta oltre 14 mila impre-

se, il 15 per cento di tutte le imprese della regione, il settore che ha sofferto

più di tutti in questi anni di crisi, la sfida e l’opportunità sono ancora più alte

perché la rigenerazione urbana e territoriale è da un lato l’area di maggiore

possibile sviluppo dell’attività nei prossimi anni (se le policy si metteranno

in moto), e dall’altra quella che richiede maggiore innovazione tecnologica,

progettuale, organizzativa e finanziaria. Una sfida alla quale prepararsi bene

guardando alto: è una opportunità troppo grande per perderla, troppo impor-

tante per rovinarla.

Il rilancio delle piccole opere non basta a favorire l’uscita dalla crisi del settore delle costruzioni. Servono strategie ad ampio raggio che aumenti-no la competizione anche internazionale.

Leggendo le più recenti stime sull’andamento del mercato delle costruzioni

diffuse dall’Istat, così come quelle di alcuni autorevoli istituti di ricerca, sem-

brerebbe che lo stato di salute dell’edilizia stia migliorando. Probabilmente è

vero, anche perché quando si raggiunge il fondo non si può che risalire. Resta-

no, tuttavia, consistenti le perplessità rispetto a valutazioni spesso troppo

ottimistiche, in quanto appare indubbio che i segnali di ripresa siano a livello

nazionale dovuti sostanzialmente agli investimenti legati agli incentivi per

le piccole ristrutturazioni e ai miglioramenti finalizzati all’abbattimento dei

consumi energetici. Così come nel Friuli Venezia Giulia un ruolo non secon-

dario lo svolgono i lavori appaltati per la terza corsia della Venezia – Trieste.

Così, se l’attuale sistema favorisce prevalentemente i piccoli lavori e di conse-

guenza sostiene quel tessuto di piccole piccolissime imprese artigianali, se si

vuole realmente rilanciare l’edilizia e dare continuità di crescita appare neces-

sario puntare sui condomini adeguando il sistema degli incentivi. Vanno indi-

viduati meccanismi e soluzioni in grado di passare dalla micro riqualificazione

a quella che viene oggi chiamata Deep Regeneration, ovvero una riqualifica-

zione che interessi appartamenti singoli e spazi e strutture comuni. Vi è poi

un secondo aspetto che deve caratterizzare le politiche regionali per il settore

e che riguarda la crescita del tessuto delle Pmi del territorio. Appare oggi evi-

dente, alla luce di quanto sta avvenendo in materia di lavori pubblici, come sia

forte il rischio che, continuando a prevalere il principio del prezzo più basso (al

di là di possibili correttivi normativi), la concorrenza di imprese provenienti

da fuori regione, anche da posti lontani, finisca per imporsi, con effetti molto

negativi, non solo sulla tenuta del tessuto delle nostre imprese, ma anche in

termini di qualità del risultato e di sicurezza delle opere realizzate. Anche in

questo caso appare urgente una direttiva che anche nel settore privato orienti

il mercato verso una selezione che valorizzi le Pmi locali e regionali. Del resto,

oltre a garantire una qualità edilizia adeguata agli standard del nostro territo-

rio, è interesse di tutti far crescere l’economia locale, alimentando risorse ag-

giuntive anche attraverso la fiscalità e in grado di trasformarsi in investimenti

per nuove opere pubbliche, generando un effetto volano e circolare con risul-

tati rilevanti in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini.

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CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE30 31

L’intervista L’intervistaLe opportunità geografiche e commerciali del nuovo porto di Trieste. Tra strategie di mercato e ammodernamenti infrastrutturali il rilancio economico è dietro l’angolo.

Zeno D’agostino è il presidente dell’Autorità del sistema portuale dell’Adria-

tico Orientale e da qualche mese anche presidente di Assoporti. Da molti anni

è protagonista di scelte e progetti di rilancio del sistema portuale italiano e at-

tualmente è il principale e più autorevole interlocutore del Governo. É lui ha

delinearci il quadro della situazione portuale italiana e internazionale. “Oggi

quando si parla del sistema portuale italiano e delle sue prospettive viene im-

mediatamente da pensare all’Estremo Oriente. É questo il mercato, l’orizzonte

a cui guardare. Ciò è vero solo parzialmente. Non dobbiamo infatti dimenticare

che l’Italia, il nostro Paese, si trova all’interno del Mar Mediterraneo, uno spazio

geografico e commerciale dalle grandi opportunità e che resta un riferimento

importante, un mercato da cui stiamo ricavando risultati interessanti e positivi.

Lo scenario che abbiamo di fronte è decisamente più roseo di quello di alcuni

anni fa e il 2017 sembrerebbe essere l’anno della svolta. Nel primo semestre di

quest’anno, infatti, tutti i porti italiani hanno registrato una crescita. Non suc-

cedeva da moltissimi anni. Trieste, ad esempio, ha aumentato i suoi traffici di

container del 25%. Ma è una crescita che riguarda tutti i porti dell’Adriatico: da

Reika a Ravenna. La congiuntura storica è oggi favorevole a uno sviluppo por-

tuale e infrastrutturale dell’Europa del Sud. Potremmo dire che siamo nel posto

giusto al momento giusto. A determinare questo risultato sono più fattori. Al

primo posto va posta la capacità del nostro sistema portuale di resistere negli

anni della crisi. Le vicende che hanno caratterizzato e continuano a interessare

i paesi del Nord Africa dopo la “primavera araba”, così come l’instabilità del

Medio Oriente, hanno certamente avuto effetti profondamente negativi anche

sui nostri traffici, ma non così devastanti come quelli che hanno determinato

ad esempio il tracollo della croceristica. La tenuta portuale oggi è un dato di

fatto, confermato dall’interesse per i nostri scali e per le nostre infrastrutture

di paesi dell’area del Mediterraneo ad alto potenziale di investimento, come ad

esempio la Turchia, molto presente ad esempio a Trieste. Il secondo fattore è la

crescita di consapevolezza dei problemi e delle potenzialità esistenti da parte di

chi è stato chiamato a guidare i porti, così come dei Governi più recenti, con una

ampia condivisione sull’importanza di operare in una logica di sistema secondo

alcune chiare linee strategiche di governance.”

a ZENO

D’AGOSTINO

Presidente

Autorità del

sistema portuale

dell’Adriatico

Orientale,

di ALFREDO

MARTINI

Il porto cambia pelle: da terminale a fattore strategico di sviluppo territoriale

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Se la geografia pone il nostro Paese al centro del Sud d’Europa e quindi il Mediterraneo resta un ambito strategico, tuttavia appare sempre più rilevante il ruolo decisivo svolto dalle relazioni commerciali con l’Oriente. Per molti versi sembra di essere tornati all’epoca di Marco Polo a rapporti rovesciati: sono i cinesi a scoprire noi e non viceversa. La nuova via della seta sembra costituire una specie di stella cometa da Est a Ovest destina-ta a portare ricchezza e sviluppo se sapremo dialogare e costruire sinergie virtuose. É così?“La nostra principale strategia non può che essere di andare là dove si in-

veste e viceversa essere capaci di intercettare e diventare i luoghi di desti-

nazione di questi investimenti. Oggi l’attenzione e gli investimenti cinesi in

Italia ne sono l’esempio più significativo. Per capirne il valore basti pensare

alla loro scelta di finanziare il 50% delle opere relative alla costruzione del

nuovo porto di Vado Ligure. Ma sono presenti anche in altre nostre realtà

portuali ad iniziare da Trieste. Lei ha fatto riferimento a Marco Polo, io credo

invece che quel che stiamo vivendo è qualcosa che assomiglia molto all’e-

poca del colonialismo nel XIX secolo, ma a ruoli invertiti, con la Cina al posto

delle grandi potenze europee. Oggi il terreno di confronto non è lo spazio

fisico, ma lo sono le opportunità di sviluppare intorno alle infrastrutture

portuali connessioni in grado di creare nuova economia, nuovi processi pro-

duttivi e commerciali. E dove il valore delle merci e degli scambi diventa uno

degli abiti del mercato e della contrattazione. La forza di penetrazione dei

paesi emergenti sui mercati della vecchia Europa si misura con le potenzia-

lità di questi ultimi. Confrontarsi oggi con grandi operatori come quelli cine-

si ha fatto emergere quanto sia importante caratterizzare il nostro modo di

fare portualità. A Trieste, ad esempio, abbiamo posto al centro della nostra

strategia competitiva la differenziazione. Tutti i porti si caratterizzano so-

stanzialmente per essere un terminal di container e un Hub ferroviario. Con

la conseguenza che il potenziamento di questi due poli, anche attraverso

investimenti rilevanti, non costituisce di per se un fattore di competitivi-

tà. Bisogna puntare ad altro. Perché il mercato è cambiato profondamente.

Oggi i players sono di grandi e grandissime dimensioni, per volume di affari

così come per capillarità e strutture organizzative, integrati con il settore

industriale e il loro orizzonte non si limita alla movimentazione di merci, ma

cercano partner più che fornitori di servizi. Così oggi la nostra offerta è cam-

biata e si concentra sulla valorizzazione del made in Italy, sulla consapevo-

lezza delle specificità dei nostri territori e del nostro sistema produttivo. È il

retroterra del porto, con le sue capacità di proporre know how di eccellenza,

di presentare livelli di ricerca e di apertura allo scambio, che diventa fattore

di attrazione per questi players. Noi diventiamo la punta avanzata di un

ecosistema. La crescita e il successo dipendono quindi dalla nostra capacità

di integrazione e di collaborazione secondo linee guida condivise.”

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CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE32 33

In questo scenario come si colloca il porto di Trieste?“Se dobbiamo aumentare la nostra capacità di offerta dell’ecosistema,

valorizzando non soltanto la qualità della nostra infrastruttura, ma propo-

nendo nuovi servizi, dobbiamo cambiare prospettiva individuando i fattori

reali che fanno la differenza. Prendiamo ad esempio il porto franco, sul

quale si punta molto per attrarre operatori nuovi. Nella nostra visione è

un fattore irrinunciabile, lo dobbiamo avere, ma di fatto è una commo-

dity, non un reale e forte fattore di competitività. Il suo valore aggiunto

va cercato nella nostra capacità di trasformarlo in un’area di reciproca va-

lorizzazione da parte di chi si insedia. Un punto di partenza per svilup-

pare business e costruire sinergie. Quel che dobbiamo perseguire è una

strategia diversa da quella del passato, favorire una mentalità nuova, una

visione adeguata a modo nuovo con cui si guarda nel mondo ai terminali

portuali. Con l’obiettivo di cercare e raggiungere nuovi punti di equilibrio

tra gli interessi dei sistemi territoriali di riferimento e quelli dei grandi pla-

yer internazionali che vengono dal Sud e dall’Est del mondo. Un percorso

che passa da un’integrazione tra le diverse culture produttive e che deve

trovare nel porto il suo luogo privilegiato. A Trieste la nostra offerta sul

piano della ricerca, del design, del prodotto di nicchia e di eccellenza loca-

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L’intervista L’intervista

lizzata in Friuli costituisce il fattore differenziale sul quale noi vogliamo e

dobbiamo puntare.”

E qual è il livello di consapevolezza del sistema industriale e produttivo regionale e come si sta lavorando per consolidare questo ecosistema?“Da questo punto di vista dobbiamo fare autocritica, nel senso che abbia-

mo sottovalutato l’importanza di dialogare con il retro porto, con le realtà

consortili dei diversi settori industriali, con i sistemi di rappresentanza e

con le comunità locali per condividere la lettura del cambiamento e co-

struire un modello di crescita basato su questa integrazione. Egualmente

dobbiamo promuovere le nostre strategie e le nostre iniziative presso gli

operatori che possono far crescere l’economia intorno al porto e valoriz-

zare le opportunità anche dal punto di vista immobiliare. Stiamo organiz-

zando con questo obiettivo una convention con il mondo del Real Estate.

È essenziale far comprendere che il valore aggiunto del nostro sistema

produttivo sta nell’identità italiana, nella nostra storia e nella sua stretta

connessione con il territorio. È finita l’epoca della localizzazione all’estero,

oggi la strategia vincente passa per un rafforzamento e un radicamento

produttivo nel territorio, dove il porto diventa un valore aggiunto determi-

nante in termini di affermazione sui mercati internazionali. É su questa

sinergia che bisogna puntare per aumentare la capacità competitiva di un

ecosistema.”

Il porto quindi non solo come un terminal ma come un soggetto promozio-nale, un hub con funzioni di sviluppatore…“Esattamente. Ed è nell’ambito di questa funzione strategica che abbia-

mo moltiplicato l’attività di ricerca, così come la costruzione di partena-

riati e di scambio con altre realtà portuali, guardando non tanto o non

solo a incrementare i traffici, quanto a posizionarci come fornitori di know

how. Negli ultimi due anni abbiamo colto un elevato numero di oppor-

tunità offerte dall’Unione europea, guidando progetti in partnershp con

il sistema universitario, coinvolgendo anche strutture leader a livello in-

ternazionale. La ricerca è diventato uno degli assett della nostra attività.

Siamo entrati nell’ordine di idee che una crescita in una logica di siste-

ma non possa prescindere da un posizionamento come fornitori di cono-

scenza e di esperienze, così come di modelli connessi al funzionamento

di sistemi territoriali fortemente legati alla portualità. Siamo presenti in

diversi paesi asiatici e in questa strategia si inserisce anche l’accordo re-

cente con la regione di Shizuoka in Giappone. Essere attrattivi oggi vuol

dire anche essere autorevoli nella capacità di orientare e essere presenti

nelle strategie internazionali. Anche in quanto portatori di cultura e cono-

scenza specifiche.”

Trieste

Suez

Rotterdam

Amburgo

ViennaMonacoBudapest

Suez → Northern Europedistance: 3,539 miles days of navigation: 7

Suez → Triestedistance: 1,287 miles days of navigation: 3

Gain via Trieste:distance: 2,252 miles days of navigation: 4

Competitive advantage in the relations with Central Europe

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CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE34 35

La via della seta come strumento per ripensare le infrastrutture e i nodi logistici della nuova economia.

Negli ultimi anni gli scenari competitivi globali si affermano come nuove

opportunità per i territori che hanno l’occasione di rafforzare le relazioni

all’interno dell’area vasta, o, nel caso della Regione Friuli Venezia Giulia,

di ripensare il sistema regionale in relazione alla domanda che il mercato

pone.

In generale la concorrenza sta diventando più fiera e più forte, sia nel

commercio, nell’industria, nel turismo, nel lavoro o nell’investimento.

Per tale motivo, i territori si devono trasformare in sistemi all’interno dei

quali i luoghi devono essere più sostenibili, resilienti e vivibili per compe-

tere in modo efficace sulla scena mondiale. Questa trasformazione non è

facilmente raggiungibile; richiede un’attenzione transnazionale urgente

nei settori dell’innovazione territoriale e urbana che, attraverso lo svilup-

po tecnologico, metta in atto un’ambiziosa ricerca di nuovi modelli intra

e interdisciplinari su scala internazionale. Termini come gateway o hub

possono aiutarci ad accelerare la trasformazione del sistema regione, nel

caso del Friuli Venezia Giulia sempre più attraversata da flussi di merci,

persone e idee, in modo tale da ottenere in Europa un nuovo ruolo, una

nuova leadership.

Per fare un esempio, nel XVIII secolo Liverpool, porto principale del Re-

gno Unito, con l’apertura del commercio verso le Indie Occidentali, cono-

sce uno sviluppo senza precedenti. All’inizio del XIX secolo, circa il 40%

di tutto il commercio mondiale transita ormai nel porto di questa città.

La comunità nera di Liverpool, nata in questo periodo, in soli cinque anni

arriverà a contare più di 10.000 individui. La grande trasformazione ur-

bana di Liverpool comincia nel XIX secolo, è in questo periodo infatti che

vengono costruiti numerosi nuovi edifici (St. George’s Hall, Lime Street

Station ecc.). Successivamente, durante la prima parte del XX secolo, la

sua espansione continua incessante, quando la città diventa uno degli

obiettivi principali per i grandi flussi migratori provenienti dall’Europa

continentale e il principale porto europeo per i collegamenti con gli Sta-

ti Uniti. Nel 1930 la popolazione della città aveva raggiunto gli 850.000

di ALESSANDRO

VERONA

Architetto

Nuove strategie per il rilancio dei territori

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ne

abitanti, con moltissime comunità di stranieri provenienti da tutto il

mondo. Poi, l’innovazione logistica rappresentata dall’introduzione dei

container nello stoccaggio dei materiali sancisce l’avvio del declino eco-

nomico e della ritrazione dell’area, che nel 1985 conta una popolazione

pari a poco più di 460.000 abitanti.

Ma veniamo ai giorni nostri. Sappiamo che il governo cinese ha avviato

un imponente programma di progetti di infrastrutture denominati vie

della seta per collegare gli spazi sconfinati dell’eurasia. Le vie della seta

assorbiranno trilioni di dollari. I cinesi hanno istituito un fondo di inve-

stimenti internazionale – la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB),

che al momento si avvale della collaborazione di 56 paesi: tra questi non

ci sono gli USA, vi sono però i loro stretti alleati europei. Esistono molte

nuove vie della seta: una porta alla Russia attraverso la Mongolia, un’al-

tra conduce all’Asia Centrale, un’altra ancora attraversa la Turchia e l’I-

ran, la quarta passa dal Mar Rosso al Mediterraneo. Proprio quest’ultima

è interessante per l’Italia e in particolare per la regione posta sul confine

Nord Est e baricentrica per l’Europa. Nel frattempo i cinesi hanno investi-

to in Grecia, nel porto del Pireo, che ha però un enorme difetto: le merci

devono passare attraverso i Balcani, che hanno pessime infrastrutture e

sono politicamente instabili.

Ma per capire le trasformazioni generate da questa scelta strategica e di

investimenti della Cina è utile fare riferimento alle affermazioni di Zeno

D’Agostino, presidente del Porto di Trieste, che dice di non essere inte-

ressato a un mero aumento del numero di container: “Non voglio attirare

e aumentare traffici ad ogni costo, se i container non apportano anche un

valore aggiunto. L’aumento dei traffici in transito per me non è interes-

sante. Trieste e la regione Friuli Venezia Giulia possono invitare i cinesi

e offrire qualcosa in più: i punti franchi, dove è possibile anche lavorare

e trasformare le merci, produrre. É così che la cosa può diventare inte-

ressante. Tra l’altro non sono interessati solo a dazi doganali inferiori.

Loro vogliono venire in Italia per una questione di immagine, per i brand

presenti.”

La domanda che oggi questa regione si deve porre è: quale assetto, quale

strategia e in quale prospettiva costruire una nuova relazione territoriale

tra porto, retroporto e aree interne? Sarà possibile ripensare il sistema

logistico regionale (infrastrutture materiali e immateriali, servizi) come

una rete che oltre a rafforzare il porto-regione come hub logistico euro-

peo, sia una leva anche per gli altri soggetti territoriali che hanno l’occa-

sione di partecipare al nuovo disegno della regione? La discussione oggi

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riguarda la scelta di nuovi strumenti che sono necessari per affrontare il

cambio di paradigma dei sistemi socio-economici globali e di quali mi-

sure efficaci mettere in atto per quanto riguarda il più ampio tema della

competitività del sistema economico regionale. Quindi razionalizzazio-

ne, innovazione, promozione e integrazione dei sistemi infrastrutturali

stradali, ferroviari, portuali possono rappresentare al meglio le scelte

strategiche da compiere. Tale processo è avviato e irreversibile in quanto,

ad esempio, per restituire competitività ai vari consorzi industriali, sono

stati strategici idee e investimenti su quattro assi: logistica, ricerca e in-

novazione, export e energia, a cui si aggiunge la professionalizzazione

dei Consigli di amministrazione che ha conferito ai consorzi industria-

li il management necessario a dialogare con i nuovi mercati. La politica

regionale, ad esempio, ha avviato la riforma dei consorzi, favorendo la

nascita del nuovo Consorzio di sviluppo economico locale per l’area del

Friuli che rappresenta l’asse dell’industria friulana per interpretare al

meglio le politiche industriali. Complessivamente, la nuova realtà conta

una superficie di 20,61 chilometri quadrati con 285 imprese insediate e

10.200 addetti. Si capisce, quindi, che la razionalizzazione degli asset

territoriali maggiormente integrati aumenta la forza di una portualità

regionale unitaria e di una retroportualità che comprenda gli Interporti

di Cervignano del Friuli e Pordenone, quest’ultima con il ruolo chiave di

cerniera con il Veneto.

La nuova visione territoriale e la conseguente strategia attuativa stanno

affermando la Regione Friuli Venezia Giulia come un vero e proprio ecosi-

stema costituito dall’integrazione del sistema delle infrastrutture con le

aree industriali organizzate su due livelli. Da una parte, sulla dimensione

specificamente infrastrutturale, attraverso interventi di potenziamento

e la creazione di nuove opere e strutture, nonché di elevare il loro livello

di integrazione; dall’altra, sulla dimensione organizzativa sorretta da in-

frastrutture digitali ad alta capacità, dallo sviluppo di info-strutture tele-

matiche che consentano una più efficiente gestione dei processi logistici,

ciò mediante la connessione e la condivisione delle informazioni tra tutti

gli operatori e la fornitura di nuovi servizi informatici, ovvero dell’Hub

Community System territoriale.

La visione sinteticamente esposta è coerente con l’attenzione che a sca-

la nazionale viene posta per sollecitare la rivoluzione industriale digita-

le che fa leva sull’Internet of Things e sul Manifacturing 4.0. É in atto

un’accelerazione della competitività del Paese nel panorama globale at-

traverso l’avvio di una serie di azioni rivolte, in particolare, ad eseguire un

piano ultrabroadband, a sviluppare standard tecnologici che favoriscano

l’interoperabilità, a prevedere interventi normativi e regolamentari tali

da facilitare l’adozione delle nuove tecnologie e l’evoluzione dei servizi

pubblici e privati, a promuovere l’adozione delle tecnologie IoT per il mi-

glioramento dei servizi pubblici. In questo contesto di rete logistica ter-

ritoriale si aprono i nuovi spazi per la riorganizzazione e il ripensamento

dei “nodi” logistici visto l’alto grado di accessibilità e di relazioni mul-

tilivello attraverso, ad esempio, il sistema della formazione per i nuovi

profili professionali richiesti o con la ricerca e sviluppo rappresentata dai

parchi scientifici e tecnologici della regione.

Anni fa Bernardo Secchi aveva proposto, per una ricerca sul Veneto, la

teoria dei tubi e delle spugne immaginando le infrastrutture come tubi

che portano i diversi flussi contrapposti ai nodi che, come spugne che con

la loro porosità sono capaci di mettere in relazione osmotica e di scambio

continuo i flussi con i punti di accessibilità, intermodalità, di servizi e

interscambio sia a scala globale che locale. La decostruzione dei modelli

della spugna e dei tubi ha consentito di dare definizione e spessore ad al-

cuni concetti, come la porosità, la permeabilità o l’isotropia. Tali concetti

sono alla base di alcuni scenari evolutivi in cui i corridoi infrastrutturali

come strade e ferrovie , le acque e il sistema ambientale partecipano in

modo integrato alla costruzione di un progetto di mobilità sostenibile.

Questa idea del nodo della rete logistica regionale è la premessa per ro-

vesciare il processo di dispersione caratteristico degli ultimi 20 anni e

invece condensare gli interventi necessari per insediare nuovi servizi utili

a rafforzare il ruolo dei nodi. Ciò significa che i nuovi modelli spaziali

e organizzativi, che per dimensione interessano porzioni importanti di

territorio, dovranno anche mutare la loro natura prettamente industriale

logistica e costruire una nuova relazione con il paesaggio sia delle infra-

strutture che di area vasta. In questo senso si offrono come occasione

di ricucitura e riconnessione dei sistemi logistici esistenti a quell’idea di

nuovo paesaggio che nell’ industria 4.0 si richiede per essere completa-

mente innovativa.

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Dal Friuli Future Forum nuove proposte per il futuro del Friuli Venezia Giulia.

La priorità oggi è investire nella combinazione di porti, retroporti, terminal

e filiere produttive, condividere i servizi logistici fra le imprese presenti

sul territorio, attrarre nuovi investimenti e traffici internazionali, creare

una nuova imprenditorialità legata al settore della logistica, superando i

maggiori ostacoli correlati non tanto alla presenza di infrastrutture, ma

piuttosto all’efficienza del loro utilizzo, mirando dunque all’ottimizzazio-

ne dei servizi e di reti collaborative.

Sono considerazioni del 2012, anno in cui la Camera di Commercio di Udi-

ne, con il suo progetto di “promozione di futuro” Friuli Future Forum, com-

missionò all’Ocse (e presentò nel 2013) un primo studio sulla logistica re-

gionale, punto di partenza e strumento a supporto delle istituzioni e della

politica, per poter mettere in campo con maggiore consapevolezza una

strategia di sviluppo della regione, di supporto e non di ostacolo all’attivi-

tà d’impresa e all’occupazione, sfruttando il vantaggio competitivo dato

dalla posizione geografica privilegiata, una dotazione infrastrutturale

concentrata nei nodi logistici portuali e una struttura produttiva d’eccel-

lenza, per realizzare un modello di sviluppo basato su filiere territoriali lo-

gistiche. Sono contento di poter dire che per molti versi questa partita sta

cominciando a concretizzarsi, proprio nel momento in cui stiamo uscendo

dagli anni più bui di una crisi senza precedenti che ci lascia l’unica certez-

za di una realtà in continua trasformazione, tanto a livello internazionale

quanto a livello locale. E così sarà per il futuro. A livello locale, le gravi dif-

ficoltà economiche si sono sentite più tardi e, di conseguenza, gli effetti si

sono trascinati più a lungo rispetto ad altri territori.

Arrivare al porto franco è stata una grande conquista dopo troppi anni di

stallo. Un’occasione che andrà gestita ora con la massima attenzione ed

equilibrio perché diventi connessione privilegiata e ricchezza per l’intero

territorio regionale in tutte le sue specificità ed esigenze di crescita. Sul

tema del porto franco, la logistica deve avere valenza regionale, per per-

mettere a tutti i territori di partecipare insieme alle opportunità offerte,

altrimenti diventa una strategia già vista, limitata nelle sue potenzialità.

di GIOVANNI

DA POZZO

Presidente Camera

di Commercio

di Udine e

Vicepresidente

Unioncamere

nazionale

FVG: più cultura progettuale e tecnologica Il disegno si sta realizzando in linea con la costruzione della terza corsia

sull’autostrada A4, un percorso non sempre agevole, ma che resta neces-

sità irrevocabile, su cui in passato si è perso fin troppo tempo. Altri im-

portanti aggiornamenti alle esigenze di questa economia profondamente

trasformata dalla crisi, profondamente rivoluzionata dalle necessità da un

lato e dai velocissimi e continui cambiamenti tecnologici dall’altro, si stan-

no mettendo in campo con la revisione di distretti e consorzi industriali,

che si stanno riconfigurando in un’ottica più attuale e flessibile. C’è poi,

appunto, tutta la partita della logistica legata all’infrastruttura tecnologi-

ca, che è probabilmente quella su cui è necessario accelerare di più, vista

la rapidità con cui le innovazioni si sostituiscono e che responsabilizza il

Friuli Venezia Giulia, che pur si trova nella media europea come copertura

della rete, a fare di più in tutto il territorio, specie nell’ottica dei piani di

impresa 4.0, che rappresentano il vero turning point per la competitività

delle imprese di oggi e domani. È ovvio che lo sviluppo delle infrastrutture

proceda più lentamente degli sviluppi economici o politici e dei continui

aggiornamenti della tecnologia: ciò comunque dimostra la necessità di

una revisione più frequente delle strategie, per consentire reali ed efficaci

cambiamenti di direzione.

Il Friuli Venezia Giulia deve consolidare i passi avanti fatti e proiettarsi al

futuro. Il mondo dell’economia rappresentato dal sistema camerale può

rappresentare un partner fondamentale, soprattutto in questo momento

di profonda ristrutturazione conseguente alla riforma che lo sta interes-

sando, che ne ha ridisegnato i confini, anche delle funzioni e dell’azione,

in un’ottica di propulsione efficiente e innovativa. In particolare, l’ente

camerale udinese, dal 2010 si propone come portatore di idee e progetti

innovativi in Friuli, con il citato percorso Friuli Future Forum, che ha per-

messo negli anni un lavoro sinergico con tutte le istituzioni e le imprese,

a partire dalla Regione. Friuli Future Forum ha da sempre considerato la

logistica tra le priorità della sua attività: oltre al citato progetto del 2012-

2013, lo scorso anno ha realizzato, sempre con Ocse, altri due progetti:

uno concentrato in particolare su Udine e il suo territorio di prossimità

e uno sullo sviluppo logistico in ambito regionale. Il primo è parte di un

più ampio studio, Agenda del Futuro-Udine 2024, partito dal monitorag-

gio economico e dell’ascolto di 200 rappresentanti dell’economia e della

società locale chiamati a riflettere e a identificare proposte di sviluppo

per il futuro, poi elaborate da Ocse. Per Udine ha proposto un nuovo mo-

dello di mobilità, un sistema post-urbano in cui sia garantito accesso e

facilitato il movimento in un’area di 80 chilometri per 80, con circa 400

mila abitanti, di peso e competitività europei, in grado di appoggiarsi su

altre cittadine come poli, oltre che sul capoluogo, e che portano in dote,

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di MATTEO

TONON

Presidente

Confindustria

Udine

Dal Reshoring alla resilienza, dalla formazione all’innovazione, tutti i punti di forza delle piccole imprese locali del settore dell’industria delle costruzioni.

Nel mutevole panorama politico ed economico del mondo in cui viviamo,

stiamo assistendo a un riequilibrio della governance globale. Un fenome-

no che è stato già denominato “ri-globalizzazione” a significare una fase

nuova, o meglio un nuovo assetto della globalizzazione, con paradigmi

e narrative differenti. Per dirla in parole semplici: la governance globale

sta subendo tendenzialmente un processo storico di riposizionamento da

“governo occidentale” a “co-governo tra Oriente e Occidente” sostenuto

dal consolidamento del ruolo di potenza mondiale della Cina e dal dinami-

smo espansivo dei paesi del sud est asiatico.

In questo processo evolutivo si inserisce la tendenza alla sostituzione nei

rapporti economici internazionali, con l’era Trump che costituisce l’aspet-

to più emblematico ed appariscente del ritorno delle protezioni di stampo

nazionalista (di cui Brexit è addendo incidente), della logica degli accordi e

della concertazione, il multilateralismo, con l’instaurazione di rapporti tra

singoli paesi basati sulla logica della potenza, la cosiddetta bilateralizza-

zione dei rapporti internazionali nel quadro di una visione in realtà unila-

teralista del predominio del più forte. Per la verità questa impostazione

non si è ancora pienamente concretizzata, ma resta un’alea immanente

in prospettiva.

L’importanza del rilancio dell’Unione europea è, sotto questo profilo, cen-

trale e decisiva per poter competere negli scenari che si prefigurano: di-

venta essenziale assicurare il rafforzamento dell’integrazione economico-

finanziaria e la costruzione di quella politico-istituzionale, se necessario

per raggiungere l’obiettivo, anche attraverso l’Europa a più velocità, ba-

sata sulle collaborazioni rafforzate nel quadro comunque di un percorso

unitario finalizzato al massimo delle integrazioni possibili.

In questo contesto, che resta problematico per le incognite che continua a

presentare, per un sistema economico produttivo vocato all’esportazione

e quindi destinato a confrontarsi con le discontinuità del mercato inter-

Il sistema industriale friulano di fronte alle sfide dei mercati internazionali

ciascuno, competenze e specializzazioni economiche e culturali precise.

Un sistema policentrico, dunque, che riveda l’attuale rapporto “a stella”

e lo converta in una rete “a maglia”, infra-periferie e tra periferie e centro,

per collegare meglio i diversi punti d’interesse, sia per i visitatori sia per i

residenti e chi si sposta per studio e lavoro. E che utilizzi, poi, anche recu-

perando vecchi tracciati, un complesso di metropolitane leggere o people

mover connessi alle stazioni, alle grandi aree di parcheggio degli snodi com-

merciali, alle piste ciclabili, alle grandi aree verdi. L’ultimo studio, realizzato

da OCSE, ha puntato a immaginare il futuro in chiave economico-logistica,

pensando ai due fattori fondamentali di cambiamento: la globalizzazione

e lo sviluppo dell’e-commerce, che influenzano pesantemente il livello dei

flussi commerciali (e la conseguente domanda di servizi), nonché la sofisti-

cazione della logistica, contribuendo alla trasformazione profonda di una

manifattura che resta e deve restare cruciale nel peso dell’economia, ma

che si va terziarizzando, si connette inscindibilmente con servizi sempre più

avanzati. La vendita online permette un più facile confronto tra i servizi e

comporta una maggiore richiesta di qualità dei servizi e di velocità di com-

mercializzazione. L’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi vicini o parago-

nabili in Europa, ma lo shopping online è in rapida espansione. Con notevoli

impatti sui cittadini, ma prima di tutto sui fornitori di servizi di logistica, e

con la necessità di aggiornare le competenze e la formazione delle aziende

e favorire una maggiore collaborazione tra gli attori più piccoli.

C’è poi la necessità di porre l’accento sulla sostenibilità ed efficientare i tra-

sporti. C’è e ci sarà sempre più l’internet delle cose e impresa 4.0, che con-

sentono una maggiore automazione e personalizzazione del prodotto come

parte del processo logistico e richiedono la fornitura di servizi sempre più

avanzati. L’infrastutturazione deve essere efficiente e deve svilupparsi in

rete e fibra funzionante, distribuita in tutta la regione, e insieme deve favo-

rire il potenziamento delle opportunità offerte da impresa 4.0. Su quest’ul-

timo tema, c’è ancora un primo importante step da completare e su cui le

Camere di commercio, con le nuove competenze, possono fare molto. Parlo

in particolare del suo presupposto di base, la diffusione della cultura dell’in-

novazione, di cui c’è, tuttora, grande esigenza. È necessario diffondere le

informazioni sulle tante opportunità che derivano alle aziende da impresa

4.0 e soprattutto è necessaria la formazione imprenditoriale, legata anche

a un rapporto più stretto ed efficace tra scuola e azienda, il vero snodo per

aiutare i cittadini a crescere innovativi, e su queste partite gli enti camerali

possono e devono rappresentare alleati preziosi per lo sviluppo dell’econo-

mia regionale. Il Fvg su questa partita può essere all’avanguardia, come già

è per molti aspetti (importantissimo il riconoscimento di Trieste città della

scienza 2020): può usare la leva dell’innovazione per arricchire e confermare

la sua specialità storica, geografica, culturale e produttiva.

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nazionale, basato sulla flessibilità delle piccole e medie imprese, come

quello friulano, non vi sono alternative al rafforzamento della competiti-

vità. I cambiamenti in atto rappresentano di nuovo una grande sfida per

tutti. E, come ogni sfida, nascondono molte opportunità, unite ai rischi dei

cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro. Come rispondere,

dunque, alle sfide per cogliere le opportunità e fronteggiare i rischi?

La risposta è sicuramente molto più articolata, ma dovendo stringere il

campo a due fattori determinanti, direi che l’educazione, intesa come cre-

scita e diffusione delle competenze, e la tecnologia, non solo e non tanto

in quanto acquisizione di infrastrutture digitali, quanto implementazione

della capacità competitiva attraverso la gestione del flusso delle informa-

zioni reso possibile dai sistemi di interconnessione, rappresentano la chia-

ve per una risposta efficace alle sfide della ri-globalizzazione.

Aggiungerei immediatamente un terzo elemento che a prima vista potreb-

be apparire un fattore di debolezza, mentre invece, se opportunamente

declinato, costituisce ancora, come è già accaduto nel recente passato,

una caratteristica vincente. Nonostante le enormi difficoltà degli anni

della crisi, l’economia italiana ha potuto contare sulla resilienza e sulla

capacità di adattamento delle piccole e medie imprese, che – accanto alle

grandi aziende capaci naturalmente di veleggiare in mare aperto - spesso

hanno saputo rispondere ai mutamenti dello scenario globale in modo ef-

ficace. Queste sono caratteristiche che ben si attagliano alla natura di un

tessuto produttivo, quello friulano, che sta risalendo la china.

In particolare è proprio la provincia di Udine a fare da traino alla produzio-

ne industriale e all’export regionale, tornati stabilmente in trend positivo.

Secondo i risultati dell’indagine trimestrale condotta dall’Ufficio Studi di

Confindustria Udine, la produzione industriale - nel trimestre aprile-giu-

gno 2017 - ha infatti fatto registrare un aumento del 2,3 per cento rispetto

allo stesso periodo dell’anno scorso e del 3,5 per cento rispetto al primo

trimestre del 2017. Anche la bilancia commerciale della provincia di Udine

segna, nel primo semestre 2017, un saldo commerciale attivo pari 1.064

milioni di euro, che deriva dalla differenza tra le esportazioni pari a 2.745

milioni di euro e le importazioni, per 1.681 milioni di euro.

Si conferma, dunque, la vocazione esportatrice dell’industria udinese,

cresciuta dell’8,8 per cento, mentre l’incremento delle importazioni, pari

al 32,5 per cento, è un indicatore che segnala la ripresa delle attività, in

quanto le importazioni concernono beni impiegati nelle lavorazioni dall’in-

dustria friulana (metallurgia +66,5 per cento, prodotti chimici +47,3 per

cento, smaltimento rifiuti e recupero di materiali +65,6 per cento). Questi

dati, dunque, sono positivi e fotografano un percorso di risalita che si con-

ferma pure in una visione di prospettiva. Anche le previsioni, infatti, indi-

cano un rafforzamento del processo di recupero. Le dichiarazioni dei nostri

operatori intervistati segnalano il permanere di un’intonazione positiva,

sostenuta da un ulteriore rafforzamento della domanda estera, in partico-

lare nei Paesi di tradizionale proiezione per le nostre imprese. Mi riferisco

a Germania e Austria, già cresciute, rispettivamente, nel primo semestre

dell’anno in corso, del 25 per cento e del 23,7, ma anche agli Stati Uniti, che

hanno fatto registrare un incremento del 41 per cento.

Il consolidamento del processo di recupero della produzione industriale -

nel secondo trimestre 2017 - è sostenuto dalla quasi totalità dei settori

merceologici caratteristici che compongono la struttura industriale friu-

lana, che abbraccia storicamente tutti i settori della produzione di beni e

servizi e vive, ormai da tempo, “di mondo”: nella meccanica la produzione

di macchine ed impianti si è rafforzata, la componentistica si è ripresa, il

settore mobile arredo si è rilanciato, la siderurgia ha recuperato in modo

consistente, gli altri comparti si stanno riposizionando, l’edilizia sta risa-

lendo sia pur lentamente dalla china depressiva.

Un quadro in divenire in positivo, che conferma le attese di risalita e ge-

nera un cauto ottimismo, legato al trend positivo dei consumi e degli in-

vestimenti, favoriti anche dagli incentivi fiscali, senza nasconderci però i

potenziali rischi legati agli sviluppi della politica monetaria della Bce e ai

movimenti dei tassi di cambio. Mi riferisco in particolare alla sterlina, data

la rilevanza, per il nostro territorio, delle imprese e dei settori che operano

con quell’area.

Vorrei fare cenno anche a un’altra tendenza, che si sta presentando ne-

gli ultimi tempi e ci auguriamo possa consolidarsi. Riguarda il Reshoring,

ovvero il ritorno delle produzioni al territorio. Reintegrare quote di valore

aggiunto che negli anni si erano posizionate altrove, rafforza la compe-

titività della base produttiva locale, favorendo la ricostituzione di nuove

opportunità di filiera.

Non posso fare a meno di menzionare, infine, un altro punto cruciale che

ci proietta con prospettive di assoluto interesse sugli scenari del mercato

globale. Mi riferisco alla sfida italiana sulla Nuova via della Seta, che inter-

cetta pienamente il paradigma della ri-globalizzazione e ci colloca, con il

sistema portuale regionale del Friuli Venezia Giulia, all’interno di un gran-

de progetto economico che punta a integrare l’Asia e l’Europa costruen-

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do corridoi di trasporto via terra e via mare, attraverso i quali circoleranno

merci, tecnologia, cultura.

Abbiamo buoni fondamentali, dunque, ma non basta. Ritorno, in con-

clusione, sui due temi cui avevo fatto cenno in precedenza: educazione

e tecnologia. La sfida della ri-globalizzazione è per noi anche e soprat-

tutto la sfida della Quarta rivoluzione industriale. Confindustria Udine ha

cominciato a parlare di Industria 4.0 quando ancora questo termine era

poco utilizzato nel dibattito economico e politico italiano. Oggi, con i nuo-

vi strumenti di politica industriale disponibili, il sistema delle imprese sa

che questo è un driver da cavalcare da protagonisti. Le imprese innovati-

ve, sostenibili e interconnesse sono già una realtà in Friuli come dimostra

la presenza in crescita sui mercati internazionali. E queste caratteristiche

vanno rafforzate nelle imprese che hanno saputo già dotarsene, mentre

vanno diffuse in quelle che sono in ritardo nell’adeguamento digitale. Se

c’è, dunque, va colmato immediatamente il divario digitale. Non c’è alter-

nativa a questa necessità.

Spesso, però, tale divario è anche un divario di competenze, a tutti i livelli.

Investire sul capitale umano e sulla sua formazione è perciò l’altra leva

fondamentale per crescere e competere. Di qui la necessità di impostare

un precipuo sistema delle competenze che unisca il sistema del sapere,

Università, poli tecnologici, centri di innovazione per la promozione delle

start up, e le imprese, in particolare le piccole e medie imprese che per di-

mensioni e limiti organizzativi più fatica fanno nell’impegnare il processo

della trasformazione digitale. La Regione è dotata al riguardo di risorse

istituzionali e infrastrutturali che vanno opportunamente coordinate e fi-

nalizzate nel promuovere la diffusione orizzontale delle nuove opportu-

nità. È una sfida da non perdere su cui concentrare le prospettive della

politica industriale.

Questi, in sintesi, sono i nostri compiti per casa. Davanti a noi, intanto,

c’è un mondo che cambia incessantemente. Cambiamenti così rapidi negli

assetti politici ed economici dei vari paesi vanno letti, interpretati e, pos-

sibilmente, anticipati: qui risiede la forza della sinergia tra tutti gli attori

pubblici e privati dell’internazionalizzazione.

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ne

La digitalizzazione al servizio di un ecosistema aperto. L’innovazione al servizio della competitività.

Come avvenuto per le precedenti rivoluzioni che hanno caratterizzato l’in-

dustria in ogni suo settore, ciascuna con le proprie peculiarità e tempi-

stiche, anche la Quarta rivoluzione industriale ha il suo baricentro attor-

no alla maturità di alcune tecnologie abilitanti, quali il Cloud Computing,

l’Internet of Things, il Machine Learning, la realtà mista e l’intelligenza

artificiale. Come è stato per l’introduzione del computer e della digitaliz-

zazione dei processi su larga scala, anche in questo periodo storico sono le

tecnologie digitali ad avere il ruolo del tenore in questa trasformazione, in

attesa della rivoluzione guidata dall’intelligenza artificiale.

Se prendiamo ad esempio il Cloud, esso permette a qualsiasi azienda

connessa ad internet di accedere alle stesse tecnologie utilizzate dalle

più grandi multinazionali americane o asiatiche, senza un solo minuto di

ritardo e in modo estremamente conveniente da un punto di vista eco-

nomico. Ad esempio, qualsiasi piccola o media azienda Italiana può im-

mediatamente accedere alla stessa intelligenza artificiale Microsoft che

stanno utilizzando la Nasa, la General Electric, o l’ABB. Ora, in qualsiasi

zona d’Italia, e per quanto piccola sia l’azienda di cui stiamo parlando.

Questo, di fatto, può permettere di recuperare in poco tempo il ritardo tec-

nologico che avevamo accumulato come Italia. A questo punto l’elemento

differenziante diventa come si usa la tecnologia, e qui possono diventare

vincenti la nostra creatività, il nostro senso estetico, e la capacità di creare

esperienze piacevoli, che sono di fatto il cuore del nostro grande made in

Italy. Ovviamente, per rendere tutto questo operativo in tutte le nostre

piccole aziende e nella pluralità di settori che ci caratterizza come Italia, è

necessario unire il mondo industriale con il mondo della tecnologia cloud,

che è oggi la sfida più importante che abbiamo come paese. Aiutare l’Italia

a vincere questa sfida è uno degli obiettivi di Microsoft.

Non va però dimenticato che le tecnologie digitali continuano ad incre-

mentare il livello di automazione dei processi industriali, anche se ci sono

alcune sostanziali differenze che forniscono una ragione al battesimo di

questo nuovo capitale della trasformazione. In primo luogo la maturità

Cloud computing, advanced analytics e nuove piattaforme

di FABIO MOIOLI

Direttore Divisione

Enterprise Services

di MICROSOFT

Italia

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ne i Inno

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nedelle tecnologie su vasta scala ha creato i presupposti per l’esistenza e

l’opportunistica adozione di commodity general purpose, ben più versatili

e flessibili di quanto potessero rappresentare i calcolatori general purpose

agli albori della Industry 3.0. Inoltre, questo paradigm shift avvenuto co-

erentemente e sinergicamente su diversi fronti, ha un passo evolutivo di

almeno uno o due ordini di grandezza superiore. Basti pensare al valore

aggiunto di capability delle Intelligenze artificiali, sempre più mainstream

che permettono di ipotizzare nel medio termine che lo shift verso l’alto,

ovvero verso le capacità umane, sia al contempo una sfida e una grandis-

sima opportunità.

In un mondo sempre più connesso, con processi sempre più automatizzati e

macchinari sempre più intelligenti è chiaro che il genio italiano abbia molto

da guadagnare e le opportunità per i prodotti del made in Italy siano impor-

tanti. Si apre infatti maggior spazio per la creatività ed è in questa logica che

intendiamo democratizzare l’intelligenza, ampliando attraverso la tecnolo-

gia le capacità delle persone. Crediamo infatti in un futuro in cui persone e

macchine possano collaborare per raggiungere obiettivi sorprendenti.

IDC (International Data Corporation) stima che la fabbrica intelligente sia

già una realtà e che entro il 2022 il 40 per cento dei processi operativi sarà

in grado di “auto-apprendere” e “auto-ripararsi”. Puntando sull’innova-

zione tecnologica, sulle sinergie con il nostro ecosistema di partner e sulla

cooperazione con primarie realtà del manifatturiero italiano, stiamo aiu-

tando le aziende nostrane a cogliere le enormi opportunità che derivano

dall’Industry 4.0 e a ripensare il proprio business in modo più efficiente,

sostenibile e sicuro.

In un contesto così mutevole il “bene rifugio” della competenza umana si

muove in fretta verso un contesto in cui è la nostra capacità di ragionare

sull’ecosistema industriale prima, e sociale poi, a diventare uno dei veri

baluardi del valore di una creatività professionale ancora unica e preziosa.

Infatti è il confine fra le organizzazioni, il valore di un virtuoso scambio di

informazioni, che abilita la creazione del valore e quindi nuove opportu-

nità. Naturalmente la sfida è anche saper cogliere queste opportunità in

modo da raccogliere quel valore e distribuirlo.

Se pensiamo al concetto di ecosistema, sono molti gli ambiti industriali

che possono venire in mente e probabilmente sono l’industria dei trasporti

e il suo indotto più vicino (le città, i porti navali e aerei, le infrastrutture)

a prestarsi bene a un contesto esemplificativo. Il contesto delle città ed

infrastrutture smart in aggiunta, è sicuramente fra le trasformazioni che

impatteranno di più la vita di tutti noi. La totalità dei beni fisicamente

prodotti, richiede movimentazioni di merci e un’infrastruttura in grado di

interconnettere una varietà incredibile di attori nelle fasi più disparate:

dalla materia prima dell’industria agroalimentare ai combustibili fossili,

dai semilavorati ai protagonisti del discrete manufacturing, dai distributo-

ri al retailer, dai punti vendita carburanti a ciascun consumatore che acqui-

sta merce su Amazon o in uno store fisico.

Per ognuno di questi attori che interagisce con infrastrutture e di

ogni tipo, c’è qualcosa che può sfruttare capability digitali, consumare e

produrre dati. Ma soprattutto ognuno di questi attori può monetizzare,

anche indirettamente, i dati propri e consumare quelli altrui, sempre che

il circolo sia virtuoso: le iniziative di business platform si moltiplicano,

per tutti i motivi detti sopra. Ad esempio Maersk, leader nell’industria

dei trasporti marittimi, alle prese con le sfide dell’efficientamento dei co-

sti in un contesto attualmente complesso e critico, ha intrapreso questa

strada affidandosi a Microsoft come preferred partner per le capability

cloud che gli vengono offerte, applicando questa commodity alle proprie

operazioni di flotta, sfruttando le tecnologie di advanced analytics per

efficientare il più possibile le proprie operazioni logistiche e portuali, of-

frendo inoltre un servizio migliore ai propri clienti. Ma non soltanto per

questo: anche perché quelle informazioni, opportunamente veicolate e

gestite, sono una potentissima leva per proiettare Maersk verso l’evo-

luzione del proprio business model, sfruttando questi dati anche in un

ecosistema più ampio. Come? Ad esempio, garantendo tracciabilità di

dettaglio alle merci trasportate e al contempo riducendo i costi assicura-

tivi. Questo è il potenziale, appena scalfito, della business platform in un

ecosistema aperto.

Discrete manufacturing: Processo di produzione il cui output sono oggetti distinti (es. automobili)

Cloud computing: Memorizzare, gestire ed elaborare i dati in remoto

Machine learning: Apprendimento automatico

Commodity general purpose: beni comuni richiesti dal mercato sen-za particolari differenze qualitative

Paradigm shift: cambiamento di paradigma

GLOSSARIO

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CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE48 49

L’opinione L’opinione

i Inno

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ne

L’impresa edile come strumento di protezione civile. Edilmag mette in rete le imprese e i loro magazzini anche per agevolare la ricostruzione in caso di calamità naturali.

Il settore edile è quello che negli anni ha recepito meno l’avanzare delle

nuove tecnologie… ed ora ci illudiamo che la ripresa possa passare per i

nuovi materiali o per avveniristici software di progettazione e controllo.

Un’edilizia come l’abbiamo conosciuta fino ad ora, non tornerà più: non

vedremo più consumo di territorio, nuovi agglomerati abitativi di espan-

sione, ma ricostruzione, riqualificazione energetica, sismica, acustica, con

un sostanziale cambiamento della figura del costruttore edile.

Credo fermamente che per poter parlare di ripresa del settore si debba in-

traprendere una nuova strada basata sulla ricerca, sulla specializzazione

e sulla condivisione: non è più pensabile concepire un costruttore privo di

qualsiasi tipo di attrezzature e di personale, ma con un buon ufficio com-

merciale/acquisti, che acquisisce commesse importanti delegando allo

strumento del subappalto l’intera realizzazione di un opera con inevitabile

perdita di controllo sulla formazione dei lavoratori sia in termini di sicurez-

za che di professionalità.

Vedo il nuovo imprenditore edile o il giovane costruttore come una figu-

ra altamente qualificata, specializzata nel suo settore, tecnologicamente

preparato e dotato di attrezzature all’avanguardia, sempre più conformi

agli standard di produttività e sicurezza.

Affinché questo modello possa essere sostenibile e vincente, non dimen-

ticando che in Italia il numero di addetti per azienda è di 2,4 circa, non può

mancare una condivisione diffusa, che renda sostenibili gli investimen-

ti affrontati garantendo utilizzi adeguati e continuativi. Questo implica

un cambio radicale di impostazione del settore: non più concorrenti che

battagliano a suon di massimo ribasso, ma collaboratori in grado di unirsi

mantenendo le proprie specificità e le proprie competenze.

Questo mio vedere il futuro delle costruzioni, mal si sposa con quello che

sta avvenendo attualmente, nel cratere del sisma: appalti di svariati milio-

Innovare le costruzioni facendo rete

di RODOLFO

BRANDI

AD Edilmag

ni di euro, in tempi esecutivi ridottissimi. Pensando alla dimensione media

dell’impresa edile italiana, risulta impossibile affrontare tali sfide per più

del 95 per cento dell’imprese italiane creando, al contempo, terreno fertile

per le solite mega strutture che risiedono inevitabilmente lontano dal ter-

ritorio, in grado di attivare la vecchia filiera del subappalto, distacco, ecc…

il tutto a discapito delle aziende locali che resteranno inevitabilmente al

palo e senza lavoro.

Ricoprendo vari incarichi in Ance e presiedendo la Scuola Edile della Pro-

vincia di Pesaro e Urbino, da tempo rifletto su queste mie convinzioni ed

il risultato è stato quello di attivare Edilmag come tentativo di soluzione.

EDILMAG è una piattaforma digitale che nasce come gestione e condivi-

sione dei magazzini e delle attrezzature tra imprese. Si digita sul proprio

smartphone quello di cui si necessita nel cantiere, si viene geolocalizzati

ed immediatamente appaiono le imprese che, attorno a te, hanno a dispo-

sizione quello che cerchi.

Con la nuova piattaforma si può condividere in alternativa all’acquisto per

impieghi saltuari, rivendere in alternativa al generare rifiuto e deteriora-

mento... In sostanza portare la sharing economy nel nostro settore come

strumento di contrasto alla crisi del settore.

Ad un anno dalla sua uscita, Edilmag ha riscosso discreti consensi mani-

festando anche la grande utilità nel pronto intervento in caso di calamità.

Sempre attenti alla dimensione della singola impresa e alla sua capillare

diffusione sul territorio e alla luce dei sempre più frequenti sconvolgimenti

naturali, l’impresa edile può di diritto considerarsi uno degli strumenti più

efficaci in termini di protezione civile.

EDILMAG è un nuovo strumento digitale che consente alle imprese

edili iscritte nel portale www.edilmag.it di inventariare il proprio ma-

gazzino edile e contemporaneamente metterlo in rete in modo da

creare una vetrina virtuale che permette agli utenti di trovare, attra-

verso la relativa APP scaricabile in ambiente iOS e Android, tutti ma-

teriali in esubero negli altri magazzini edili provenienti da eccedenze

di lavorazioni già concluse oppure inutilizzati. Scopo di EDILMAG è

ottimizzare il consumo delle risorse in giacenza nei magazzini delle

imprese iscritte al portale e allo stesso tempo far risparmiare l’uten-

te nell’acquisto di prodotti già acquistati da altri.

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50 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 51

Il porto interno di Duisburg come paradigma per le trasformazioni ur-bane del XXI secolo.

Il successo dell’esperienza tedesca in materia di recupero e rivitalizzazio-

ne dei siti industriali dismessi è oramai, dopo trent’anni di interventi dif-

fusi su tutto il territorio, un dato innegabile. Avere una cabina di regia in

grado di effettuare una programmazione urbanistica illuminata, mettere

in moto meccanismi virtuosi di acquisizione delle aree de-industrializzate

da parte del pubblico per poi rivenderle ai privati, controllare qualità e

tempi dei progetti da realizzare sono sicuramente i punti di forza della

strategia che ha garantito la fortunata riqualificazione dei terreni della

Ruhr. Ma non solo. L’Innenhafen, il cosiddetto “porto interno” della città

di Duisburg, rappresenta uno dei primi interventi di trasformazione nel

bacino della Ruhr ed è la perfetta testimonianza di come, accanto a mec-

canismi gestionali ed economici efficaci, la fortuna di un processo di rige-

nerazione derivi anche da principi quali l’innovazione, la ricostituzione di

una memoria collettiva, la ricomposizione di un’immagine urbana di qua-

lità. Il sito, collocato a ridosso del centro storico della città, anticamente

sorgeva direttamente sulla confluenza tra il Reno e la Ruhr ma, durante

i secoli, il Reno ha lentamente spostato il proprio letto verso ovest, la-

sciando come collegamento tra città e fiume solamente un piccolo canale

navigabile.

Durante lo sviluppo industriale del XIX secolo, al fine di movimentare le

grandi quantità di carbone estratte nel territorio, venne realizzato un por-

to artificiale che, insieme all’allargamento del canale, favorì rapidamente

il fiorire di mulini, silos e attività commerciali legate a cereali e legnami.

Con la crisi petrolifero – industriale degli anni Settanta, l’area conobbe poi

un rapido declino e quasi tutti i magazzini, le acciaierie e le strutture della

vecchia industria furono dismesse; contemporaneamente, però, l’aumen-

to della richiesta del traffico internazionale di merci rese necessario un

nuovo ampliamento del porto, il quale segnò la grande crescita dello sno-

do Duisburg – Ruhrfort, situato poco più a nord, come scalo merci fluviale

più grande di Europa. L’abbandono delle vecchie attività lasciò però una

profonda ferita all’interno del tessuto urbano e trasformò il porto interno

in una barriera di magazzini abbandonati che negava alla città di Duisburg

di ALESSIA

GUERRIERI

Architetto

Memorie industriali, mixitè funzionale e rilancio economico i In

nova

zione i In

nova

zionel’antico rapporto con l’acqua. Nacque quindi l’esigenza non solo di riqua-

lificare il sito, ma di assegnargli un ruolo urbano chiaro e strategico, in

grado di ricollegare la città con il fiume e riconfermare l’identità perduta

del luogo.

Promotore di tutto l’intervento fu il Land NRW (Westfalia – Nord Rena-

nia) che diede via ai lavori di rivalorizzazione, risarcimento ambientale e

riqualificazione dell’interno bacino della Ruhr, attraverso la costituzione,

nel 1989, di IBA Emscher Park, una società consociata a responsabilità

limitata di proprietà dello stesso governo regionale, fondata ad hoc per

coordinare l’intera operazione e supportata dall’Associazione dei Comuni

della Ruhr; una sorta di think tank in cui coinvolgere professionalità, im-

prenditori, cittadini e amministrazioni, ai fini di garantire la qualità degli

interventi da realizzare e la loro idoneità ai precetti del piano guida per la

trasformazione della Ruhr. É attraverso questo meccanismo che, nel 1991,

venne bandito il concorso internazionale di progettazione per la riquali-

ficazione di Innenhafen, vinto dall’architetto Norman Foster, tramite la

cui attuazione il porto interno di Duisburg da area industriale dismessa

e fatiscente è diventato un polo vitale e attrattivo, dove spazi pubblici,

archeologie industriali modernizzate e contenitori di attività terziarie co-

esistono all’insegna della cultura e della sostenibilità ambientale.

Il processo nasce attraverso l’intreccio tra una strategia di tipo poli-

tico economica e un programma urbanistico architettonico, entrambi

guidati dall’idea di fondo di trasformare l’area in una grande macchina

culturale per il leisure ed il tempo libero. Come nel resto della Ruhr,

infatti, anche nell’Innenhafen cultura e memoria rappresentano un

motivo ricorrente, ma vengono declinate in modo innovativo, struttu-

rando un telaio atto a contenere un complesso mix funzionale, estetico

e percettivo in grado di rilanciare socialmente ed economicamente la

città, metaforicamente vista come la testata ovest dell’intero sistema

paesaggistico di Emscher Park.

Accanto alla reinterpretazione delle preesistenze industriali come te-

stimonianze storiche da valorizzare e rifunzionalizzare con usi nuovi e

contemporanei, si accostano nuove realizzazioni deputate allo sviluppo

direzionale, insediamenti residenziali, sistemi di spazi pubblici continui e

sostenibili, nuove funzioni produttive e commerciali in grado di permet-

tere la crescita economica dell’area. In contrasto con l’idea di città funzio-

nalmente compartimentata del XX secolo, Duisburg rappresenta il para-

digma della città ad alto mix funzionale del XXI secolo. Il piano di Foster

reinterpreta quindi gli 89 ettari dell’area intorno l’Innenhafen secondo un

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52 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 53

principio molto semplice: creare un quartiere ad uso misto: turistico, la-

vorativo e residenziale, attraverso la costruzione di un nuovo rapporto tra

l’acqua, i manufatti industriali ed il centro di Duisburg. Il primo passo è il

recupero, nel 1994, dello Schwanentor, il ponte mobile che storicamente,

con le sue torri, segnava l’accesso al porto interno. Di lì in poi si sono sus-

seguiti numerosi interventi, articolati essenzialmente su due livelli:

• la rivitalizzazione del waterfront attraverso la collocazione sulla

sponda nord di attività di carattere commerciale e direzionale e la co-

struzione, sulla sponda sud, di una sequenza di spazi, manufatti e

funzioni legati alla cultura e alla memoria;

• la riconfigurazione e riqualificazione degli spazi intermedi del tessuto

urbano attraverso completamenti residenziali ma, soprattutto, tra-

mite la definizione di una rete di spazi pubblici di qualità a diretto

contatto con l’acqua.

Sul fronte nord, quasi a fare da schermo al grande sistema del porto com-

merciale di oggi, nella sequenza ordinata degli edifici votati al terziario,

spunterà l’Eurogate, l’edificio simbolo, ancora in fase di realizzazione, di-

segnato da Norman Foster con una grande curva che ricalca il vecchio por-

to del legname, atto ad ospitare un centro di eccellenza per il cambiamen-

to strutturale, lo sviluppo urbano e le energie rinnovabili; un landmark

- manifesto di tutti i principali contenuti del masterplan. Sulla riva sud,

invece, la trasformazione avviene attraverso la riscoperta dell’archeologia

industriale che viene mantenuta, valorizzata e riutilizzata, sviluppando

un’importantissima capacità attrattiva anche grazie al lavoro di numerosi

architetti contemporanei, opportunamente selezionati mediante l’istitu-

to del concorso di progettazione.

Gli svizzeri Herzog e De Meuron, ad esempio, trasformano un ex muli-

no nel museo di arte contemporanea tedesca Kuppersmuhle, lasciando

intatta l’immagine dei vecchi magazzini e aggiungendo solamente il vo-

lume esterno con la grande scala curvilinea; frammenti e fondazioni di

vecchi edifici industriali abitano il Garten der Erinnerun, il Giardino della

Memoria progettato dall’architetto Dani Karavan; i nuovi quartieri resi-

denziali ecosostenibili progettati da Norman Foster si insediano negli

spazi dietro i fronti, nelle aree più interne al tessuto urbano.

La scelta, imposta dal piano-guida di IBA, di mantenere circa il 40 % delle

strutture industriali e di demolire solo quelle prive di pregio, inoltre, ha

permesso di caratterizzare non solo il waterfront, ma anche gli spazi pub-

blici che si sono aperti tra i quartieri retrostanti, evitando un consistente

onere finanziario e, soprattutto, una significativa perdita di identità e va-

lore culturale.

Accanto alla pedonalizzazione di entrambe le rive del porto e al loro col-

legamento attraverso passerelle di nuova e vecchia realizzazione, la ra-

mificazione delle promenade e degli spazi pubblici all’interno del tessuto

urbano ha permesso di riagganciare il porto interno al parco Altstadt e di

stabilire un certo grado di permeabilità visiva verso l’acqua ai quartieri

residenziali situati tra Innenhafen e il centro storico. Il nuovo insediamen-

to residenziale progettato da Foster, infatti, si struttura proprio intorno

a tre grandi vasche, pressoché ortogonali all’Innenhafen, che sono state

scavate ai fini di raccogliere le acque piovane defluite dai tetti delle nuove

abitazioni, trattarle mediante meccanismi di decantazione e fitodepura-

zione e infine riversarle nel bacino centrale. Quest’operazione, nata da

un’esigenza tecnica di sostenibilità, ben si è prestata a risolvere la neces-

sità di aprire delle visuali prospettiche sul nuovo waterfront migliorando

la percezione dello spazio urbano.

Si è delineato quindi un nuovo tipo di spazio pubblico che vede l’acqua

al centro del progetto sia dal punto di vista estetico spaziale che tecno-

logico ambientale. Fondamentale per l’intero intervento sul sito è stato,

infatti, il progetto di miglioramento ambientale del canale preesistente,

realizzato mediante il prosciugamento dell’area della ex-darsena del le-

gno e la successiva impermeabilizzazione e ricopertura del fondo con la

terra proveniente dai cantieri vicini, per poi riempire nuovamente il bacino

di acqua garantendone il movimento continuo attraverso un sistema di

pompe fotovoltaiche.

L’intervento di Duisburg rappresenta quindi una strada per rinvigorire le

aree urbane in declino attraverso la commistione di tecnologia e sensibili-

tà culturale, di produttività e spazio pubblico, al fine di creare aree urbane

sostenibili per il futuro in cui la casa, il luogo di lavoro e la ricreazione

sono tutti vicini. Il successo dell’operazione è stato confermato poi dai

numeri: a fronte di un investimento pubblico di circa 65 miioni di euro,

spesi prevalentemente per la realizzazione degli spazi pubblici, sono stati

attratti circa 400 milioni di euro di investimenti privati per un totale di

superficie costruita (o/e rifunzionalizzata) pari a 190000 mq di terziario,

700 appartamenti, centro giovani, il museo arte contemporanea, la sede

della polizia del Land, l’archivio di stato e numerosi interventi previsti dal

Nuovo Masterplan di Foster, redatto nel 2007, ancora in corso di comple-

tamento.

i Inno

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54 55 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Semplificare i processi di movimentazione, trasporto e gestione logisti-ca grazie all’innovazione tecnologica e di processo.

È, senza dubbio, sfidante, innovativo ed attuale tentare di coniugare la neces-

sità di pianificare e riprogettare il futuro in connessione con i temi della logi-

stica, dei trasporti e della digitalizzazione, letti e interpretati come occasione

per valorizzare ecosistemi territoriali. Ed è ancora più affascinante pensare

di farlo concentrando la nostra attenzione su un’area di cerniera come quella

Nordestina, da sempre crogiolo di scambi, relazioni e business tra ecosistemi

sociali ed economici di confine. Ogni impresa, così come ogni individuo, che

debba confrontarsi con una realtà che cambia a velocità elevatissime e che ab-

bia l’ambizione di crescere, oggi deve competere su mercati sempre più ampi

e, di fatto globali, con la cui evoluzione nel tempo e nello spazio deve confron-

tarsi continuamente. Secondo l’Ocse tutte le grandi economie del mondo chiu-

deranno il 2017 in crescita per Prodotto Interno Lordo. Sembrerebbe di poter,

seppure timidamente, ritenere che la recessione che si è manifestata nel 2008

con il fallimento della Lehman Brothers, sia quasi alle spalle. Nulla sarà però

più come prima, perché i processi di globalizzazione dei consumi, della produ-

zione e della finanza sono destinati a subire, nel futuro prossimo, profonde

modificazioni qualitative e quantitative, sia per iniziativa privata che pubblica.

Ha preso slancio un tipo di globalizzazione unfair (sleale), unsafe (pericolo-

sa), unequal (ineguale), perché dosi massicce di progresso tecnico e digitale

stanno “rottamando” tutti i processi produttivi, distributivi e di consumo,

con effetti economici e sociali non facilmente prevedibili, soprattutto in ter-

mini di intensità di impatto sullo stato sociale e sul mercato del lavoro. Il

mondo ha cercato di darsi strategie globali come, per esempio, con la Con-

venzione sul clima di Parigi 2015 o con l’Agenda Onu per lo Sviluppo Soste-

nibile lanciata nel 2016: convenzioni e agende da cui l’amministrazione del

più potente Paese del mondo ha preso le distanze e che, al contrario, l’ex

autarchica Repubblica Popolare Cinese sta cavalcando. Sembra di vivere una

congiuntura surreale e specchiata: invece è reale e palpabile!

Strategie che, tuttavia, sembrano resistere nonostante l’apparente inversione

degli atteggiamenti (diremo delle polarità del mondo) e che sono il tangibile

segno, anche per chi fa impresa, di una riglobalizzazione necessaria e ine-

di FRANCESCO

DE BETTIN

Amministratore

Delegato

DBA Group

Dall’acqua al ferro, tutti i vantaggi dell’automazione digitale i In

nova

zione i In

nova

zioneludibile quanto imprevista. Tutti fatti, processi e decisioni che influiranno

moltissimo sulla geografia del commercio internazionale, dei traffici delle

merci e della modalità del loro trasporto.

Di certo questo accadrà lungo le nuove Vie della Seta terrestri e marittime

che collegano i mercati europei con quelli asiatici, catalogabile oramai sem-

pre più come strumento di politica estera di una delle più importanti econo-

mie del mondo: la Cina. Realtà politica e produttiva con cui si dovranno fare

i conti anche a livello digitale, se è vero, come è vero, che i colossi dell’Ict

cinesi ormai sono quasi dei monopoli di fatto. E digitale vuol dire gestione

delle informazioni…

Non a caso l’originario progetto del presidente cinese (e Segretario del Partito

Comunista) Xi Jinping, denominata One Belt, One Road (OBOR), è stata re-

centemente ridenominata proprio dai cinesi Road Belt Initiative. Ogni giorno

appare più evidente che il Mediterraneo ed il Mar Nero per i cinesi si stanno

trasformando da “mari di transito” a vie in grado di abilitare basi logistiche

permanenti, origine e destinazione di rilevanti flussi aggiuntivi di traffico ma-

rittimo con l’Europa. A ciò si sommano le previsioni del mercato container del

Mar Nero, non trascurabili per gli effetti derivabili nell’area Nordestina, che

dimostrano come questa parte del Mediterraneo Orientale generi, autono-

mamente, traffici aggiuntivi che rafforzano il flusso merci da e per l’Europa:

ne sono un ottimo esempio i positivi ed eccellenti trend del Porto di Trieste.

Altra condizione al contorno non trascurabile è legata al “gigantismo” navale

che, nell’ambito del Mediterraneo centrale e occidentale, in attesa dell’infra-

strutturazione ferroviaria del corridoio IV tra Pireo e Budapest (la cosiddetta

Via della Seta Balcanica), funge, di fatto, da “filtro” nell’individuazione dei

terminali delle Autostrade del Mare più indicati ad essere gate tra mercato

cinese e piattaforma produttiva e/o di trasformazione europea. Tali gate

sono Genova e Trieste, le due naturali porte all’Europa come snodo tra vie

d’acqua Tirreniche ed Adriatiche e infrastruttura logistica di trasformazione

e di trasporto terrestre. Genova e Trieste sono gli unici scali con pescaggi

naturali di livello adeguato per accogliere le grandi navi, con aree di retro

porto sufficientemente ampie (o facilmente ampliabili su scala territoriale)

e, limitatamente a Trieste, per molti motivi, con una infrastrutturazione fer-

roviaria in grado di estendere le rispettive potenzialità sul continente. Ecco

allora comparire sulla scena gli ecosistemi territoriali locali se parliamo di

città-porto (come nel caso di Genova) o regionali (se non sovra regionali) se

parliamo di Regione – porto (come nel caso di Trieste).

Infine, per meglio comprendere come logistica, trasporti e digitalizzazione si

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neinquadrino in uno scenario di riglobalizzazione “potenzialmente” ricco di op-

portunità (per quanto la riglobalizzazione sia ben diversa da come la si era

intesa prima della grande crisi) e possano condizionare i destini degli ecosi-

stemi territoriali non solo prossimi a Trieste o regionali ma, addirittura, per

l’intera area del Nord Est, non si può prescindere da una considerazione “in-

gegneristica” e “terra terra” sull’ordine di grandezza relativa all’impatto della

lavorazione di una grande nave in un porto. Una mega nave da 18.000 TEU

equivale ad un ipotetico treno lungo 109,80 km, corrispondente a circa 150

treni merci da 750 metri l’uno. Ipotizzando che Trieste possa accogliere, oltre

a ciò che già fa, due mega navi alla settimana senza soluzione di continuità,

si tratterebbe di lavorare circa 1.900.00,00 TEU all’anno in più ovvero circa

15.000 treni da 750 metri l’uno in più rispetto alle migliaia già lavorati ora.

L’unica soluzione possibile per non perdere l’opportunità offerta da questo

scenario è, anzitutto, invertire nella pratica i termini del tema da trattare,

modificandolo leggermente e leggendolo al contrario. Solo una digitalizza-

zione molto spinta dei processi di movimentazione, trasporto e gestione logi-

stica - comprendendo in essa anche il valore aggiunto sull’ecosistema locale

delle cosiddette “rotture di carico” che viaggia con leve di multiplo compreso

tra 2,55 e 3,55 rispetto al valore generato dalla semplice manipolazione delle

merci legata al loro transito – può garantire la fruizione dell’opportunità e la

semplificazione di una complessità enorme e ingestibile senza un pesante

ricorso alle tecnologie digitali.

Vi è, quindi, l’esigenza di interpretare un tema che solitamente si osserva an-

zitutto da un punto di vista infrastrutturale, in chiave digitale e di Industry 4.0,

analizzando e investendo su soluzioni tecnologiche e telematiche di automa-

zione delle attività di rail shunting (manovra ferroviaria) e di movimentazione

ferroviaria tra porto ed interporti, così da trasferire e diluire la complessità pun-

tuale su più aree retroportuali (gli attuali interporti); di fast corridor doganale

(corridoio di trasporto garantito per l’integrità del carico), ovvero piattaforme

tecnologiche e digitali in grado di consentire una movimentazione controllata

e legale delle merci dall’area franca portuale ai suoi retroporti, privilegiando

per mille motivi i corridoi su ferro e materiale rotabile controllabile e monito-

rabile in real time. Infine, di single windows cioè soluzioni in grado di favorire

la condivisione delle informazioni tra tutti i soggetti della port community che

compongono la supply chain in modo univoco e non ridondante, evitando all’u-

tente di digitare più volte le medesime informazioni. In questa situazione, con

l’obiettivo di migliorare lo scambio informativo nelle catene logistiche portuali,

molti porti nel mondo (tra cui, in parte anche il Porto di Trieste) hanno svilup-

pato infrastrutture tecnologiche di Port Community System (Pcs), le quali, a

tendere, dovranno essere tra esse rese interoperabili e ognuna inter-operare

con le piattaforme tecnologiche istituzionali esistenti. Ipcsa (l’associazione In-

ternazionale dei principali operatori di sistemi Pcs) definisce un sistema di

Port Community, come una “piattaforma elettronica neutrale ed aperta che

consente lo scambio sicuro e intelligente di informazioni tra operatori pub-

blici e privati, al fine di migliorare la posizione competitiva della comunità

portuale”. Tutto ciò valorizzando ciò che già c’è, riducendo l’invasività ter-

ritoriale e cercando di leggere l’iniziativa nell’ottica del Porto-Regione o del

Porto-Nord Est (il che introdurrebbe il concetto del transhipment). Qualsiasi

soluzione digitale a supporto di trasporti e logistica dovrebbe avere tra i suoi

obiettivi apparentemente “intangibili”:

• l’ottimizzazione dell’efficienza del Porto-Regione, in linea e coerente-

mente con l’enorme lavoro che l’Autorità di sistema del Mar Adriatico

orientale e le istituzioni regionali stanno facendo, così da migliorarne la

sua competitività su scala mondiale, generando benefici tangibili per

tutti gli stakeholder pubblici e privati coinvolti, anche possibilmente

fungendo da interfaccia digitale unica verso tutti i sistemi nazionali ed

europei attivi o in corso di attivazione;

• l’incremento dei volumi di merci manipolate in import ed export attra-

verso i terminal delle Autostrade del Mare gestiti dall’Autorità di Siste-

ma Portuale del Mar Adriatico Orientale;

• la creazione di valore attraverso il circolo virtuoso generato da una rot-

tura di carico logistica, finalizzata alla lavorazione o al packaging di par-

te delle merci in transito, intendendo con ciò specificatamente il valore

aggiunto generato dalla creazione di nuovi posti di lavoro, dal recupero

e rilancio delle aree territorialmente fragili e marginali, dalla gestione

e controllo “neutrale” e super partes delle informazioni digitali che ac-

compagnano le merci nei loro spostamenti;

• la valorizzazione delle imprese appartenenti alla filiera tecnologica del

Nord Est, già attive nell’ambito della telematica applicata o applicabile

alla Supply Chain, recuperando e integrando piattaforme tecnologiche

già sviluppate e in dotazione dell’Autorità di sistema portuale del Mar

Adriatico orientale e creando l’interoperabilità digitale con le piattafor-

me tecnologiche istituzionali.

Gli esempi virtuosi di ottimizzazione della supply chain portuale attraverso

il ruolo abilitante delle piattaforme digitali si riscontrano laddove le port au-

thority ne impongano, poi, l’utilizzo agli stakeholder, spesso delegandone in

outsourcing la gestione a concessionari terzi specializzati in automazione di

processo e trattamento delle informazioni. Rotterdam, Amburgo, Singapore,

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58 59 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

i Inno

vazio

ne Valencia e Marsiglia ne sono gli esempi. Nei casi di outsourcing, gli unici in

grado di incrementare l’efficienza del sistema e minimizzarne i costi di im-

pianto sulle port authority, la proposta di sviluppo ed esercizio dell’eroga-

zione telematica del servizio di supply chain community potrebbe addirittu-

ra seguire l’iter previsto dalle vigenti leggi in materia di project financing e

concessioni di pubblico servizio, caratterizzati da rischio di impresa a carico

totale o parziale del soggetto concessionario.

Il project financing di servizi (art. 278 del D.P.R. 207/2010) può essere lo stru-

mento ideale per consentire alle istituzioni di dotarsi rapidamente di piatta-

forme tecnologiche integrate come quelle descritte. Esso ruoterebbe intorno

all’affidamento di un contratto per la “Concessione per il progetto, la realiz-

zazione di una piattaforma tecnologica finalizzata all’erogazione telematica

dei servizi di supply chain community system ed alla sua gestione per un pre-

determinato numero di anni”. Il modello sarebbe senza dubbio innovativo e

garantirebbe al “digitale” di abilitare “trasporto” e “logistica” in quanto con-

sentirebbe all’Autorità di Sistema di dotarsi, a spese del Concessionario, di

strumenti e servizi che le sarebbero altrimenti inibite dalla cronica mancanza

di budget, trasferirebbe poi sul Concessionario il rischio imprenditoriale poi-

ché, in mancanza di traffico merci il suo rientro dell’investimento potrebbe

essere compromesso. Recepirebbe appieno le Direttive Comunitarie in ma-

teria di Project Financing e Concessioni di servizi e rispetterebbe gli obblighi

di trasparenza e di gara, tutelando totalmente la Pubblica Amministrazione,

garantendole l’ottenimento dele migliori condizioni economiche possibili.

Ma soprattutto garantirebbe un contributo essenziale per il rilancio e/o il raf-

forzamento dell’economia degli ecosistemi territoriali locali.

La digitalizzazione è dunque una necessità primaria, senza dubbio prope-

deutica ed indispensabile per l’abilitazione di un sistema di trasporti sul cor-

to raggio a livello regionale in grado di consentire la decongestione portuale

e, di conseguenza, l’incremento dei volumi di merci lavorate. Non si tratta

solo di gestire il rail shunting ma di “inventare” e automatizzare uno sbarco

delle merci alla rinfusa, per spostare il loro ordinamento per destinazione e

tempi di movimentazione nei retroporti che, per i volumi stimati, dovran-

no necessariamente essere più d’uno e, possibilmente, collegati con i porti

su ferro. Solo il trasporto su ferro può infatti offrire un agevole controllo del

fast corridor doganale, garantendo anche l’agenzia delle dogane sull’integri-

tà dei carichi movimentati tra “area protetta” portuale e interportuale. Con

la digitalizzazione di manovra ferroviaria e fast corridor doganale si attivano

gli ecosistemi terrestri puntuali di primo livello, riattivando gangli produttivi

oggi praticamente “dormienti” (nel caso del Friuli Venezia Giulia: Cervignano,

Sdag e, forse, Pordenone e del Veneto alcune aree industriali servite dalla

rete ferroviaria ma oggi sottoutilizzate come Marghera) e generando notevoli

ricadute in termini di posti di lavoro.Solo per curiosità è importante sottoli-

neare che in previsione dello start up di questo nuovo scenario, DBA Group

ha investito negli ultimi quattro anni molte risorse in Ricerca e Sviluppo per

definire standard e funzionalità di tags e sigilli elettronici a basso costo, con

cui equipaggiare le merci in arrivo e di prevista movimentazione da porto a

retroporti e di garantire integrità e tracciabilità del contenitore, depositando-

ne i relativi brevetti con protezione in tutta l’Eurasia. Ciò a sottolineare come

la componente trasporti a sua volta cross-fertilizzi le aziende che operano nel

digitale e che nel Nord Est non sono certo solo rappresentate da Dba Group.

Nel caso della componete trasporto, così come per la componente logisti-

ca, induce ricadute positive sull’ecosistema tecnologico ad elevato valore

aggiunto di conoscenza, la cui onda lunga si riverbererà obbligatoriamen-

te sulle università e sugli atenei dell’area territoriale Nordestina. In questa

componete del trinomio il valore aggiunto è fondamentalmente dato all’au-

tomatizzazione dei processi e dall’interoperabilità dei dati tra le piattafor-

me tecnologiche locali e quelle istituzionali o delegate alla gestione della

lunga distanza. L’ecosistema territoriale che si attiva grazie a digitalizza-

zione, trasporti e logistica è quello che riguarda il comparto manifatturiero

dell’ingegneria meccanica e dell’automazione di processo. Automatizzare i

processi non significa in alcun modo penalizzare la componente sociale lo-

cale in termini di diminuzione dei posti di lavoro. Al contrario essa abilita le

potenzialità della “rottura di carico delle merci” in termini di gestione e ma-

nipolazione dei semilavorati con finalità di confezionamento o di packaging

dei prodotti finiti. La ricaduta sull’ecosistema territoriale sarebbe in questo

caso governata da effetti leva molto elevati, capaci di influire in modo estre-

mamente positivo sul PIL dell’intero Nord Est.

Il migliore esempio al mondo di un modello di questo genere è localizzato

in un’area territoriale molto più penalizzata rispetto al Friuli Venezia Giulia:

addirittura periferica e marginale ma progettata e sviluppata in laboratorio

esattamente per questo scopo e collegata al mondo solo attraverso il mare

e le sue Autostrade. Si tratta della Free Trade Zone di Jebel Ali negli Emirati

Arabi, città portuale situata a 35 km a sud della città di Dubai e fondata

nel 1985. Vi lavorano 190.000 persone ed è l’area più produttiva del mondo

nell’ambito del packaging e dell’assemblaggio di particolari tecnologie: è in

mezzo al deserto! Nasce allora il concetto di Free Trade Zone ove digitaliz-

zazione, trasporti e logistica da sole non possono e non bastano per cambiare

gli scenari possibili perché ne sono semplice condizione al contorno, perché

questo è compito della politica. E la politica, in fin dei conti e se leggiamo bene

la lezione che viene dalle grandi civiltà raccontateci sui libri di storia, siamo noi.

i Inno

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ne

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60 61 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’opinione L’opinione

i Inno

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ne i Inno

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ne

Il giusto riposizionamento della lobby datoriale dipende dalla capacità della stessa di “fare sistema” attraverso processi di collaborazione con altre associazioni e di creare una efficace rete di relazioni sul territorio.

L’associazionismo, e la rappresentanza di interessi in genere, sono espres-

sione diretta della società civile ed economica, per questo sono un feno-

meno in continuo mutamento. In particolare, questo momento storico è

segnato da modifiche strutturali di mercato e motori di tali cambiamenti

sono i continui sviluppi scientifici e tecnologici, i repentini cambiamenti

dei cicli di vita di un prodotto con la conseguente necessità di innovazione

e aggiornamento.

A ciò si aggiunga un atteggiamento della politica all’insegna dell’indiffe-

renza nei confronti della lobby, in controtendenza con il passato, una sorta

di «demansionamento» del ruolo delle organizzazioni datoriali. Così al po-

sto dei marginalizzati enti di rappresentanza industriale, prendono spazio

sempre più svariati operatori, incapaci di ragionare in termini di interessi

generali.

In questo scenario, le imprese richiedono sempre più risposte rapide e fles-

sibili, che necessitano di tutela e rappresentanza e prodotti-servizi asso-

ciativi con tempistiche sempre più repentine, alle quali le associazioni non

sempre sono allineate, col rischio di divenire poco efficaci.

Alle imprese occorrono infrastrutture, servizi, sostegno e incentivi alla

ricerca e all’innovazione, indispensabili per creare quell’ambiente favore-

vole alla nascita, al consolidamento e allo sviluppo di unità produttive di

eccellenza, a elevato valore aggiunto, senza le quali le molte potenzialità

del nostro settore produttivo andrebbero disperse.

Conseguenza diretta ed evidente di questo trend è che il mondo delle as-

sociazioni di categoria e degli enti che per tradizione ne sono stati prota-

gonisti, è in crisi, e non si tratta solo del riflesso della lunga congiuntura

negativa che l’Italia ancora, purtroppo, sta attraversando, ma è piuttosto

una crisi di identità. Una crisi di identità che reca con se, però, una grande

opportunità per il mondo della rappresentanza industriale e dei servizi.

La frontiera della rappresentanza di settore: avanguardia o retrovia?

di GIUSEPPE

RUGGIU

Vicepresidente

Atecap

Opportunità che a sua volta, per essere colta, richiede una forte capacità

di adattamento al mercato e flessibilità. In altre parole, paradossalmente,

credo che l’associazionismo abbia di fronte l’occasione storica per vedere

rafforzato il suo ruolo, a patto che si abbandonino le vecchie logiche di

frammentazione degli interessi e che si creino e si sfruttino gli spazi co-

muni di azione, che consentano di ragionare sempre più in termini di filiera

produttiva piuttosto che di singolo comparto.

I temi di interesse delle imprese, infatti, devono diventare sempre più

quelli delle alleanze, delle reti di relazioni, della cooperazione.

In questo modo accanto alle funzioni originarie della rappresentanza e a

quelle di erogazione dei servizi e di promozione del business, si devono svi-

luppare pratiche e modelli d’azione che mettano in primo piano l’attivazio-

ne e lo sviluppo di una rete di relazioni, in cui vincono la forza e la capacità

di dialogo e di confronto anche con altri portatori di interessi, spesso non

«classificabili» in sigle associative definite.

In Italia l’associazionismo sopravvive ancora come fosse un “vecchio no-

bile decaduto”, vive di una reputazione che man mano sta sbiadendo. È

ora di capire che abbiamo vissuto nell’illusione che lo sviluppo industriale

fosse sinonimo di modernizzazione. Invece abbiamo solo industrializzato,

quando ci siamo riusciti, e solo in parte modernizzato.

Siamo ancora in tempo per farlo. Le Associazioni e le aziende devono sen-

tirsi attori e artefici dello sviluppo e della crescita, con finalità e obiettivi

che vanno oltre il risultato economico, ma che puntano alla valenza sociale

e al valore etico di fare impresa.

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62 63 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

CASSERI A PERDERE ISOLATI, AD ALTA TECNOLOGIA,

PER OTTENERE FACILMENTE:

WWW.PONTAROLO.COM

• PRESTAZIONI TERMICHE NZEB• PRESTAZIONI ANTISISMICHE CLASSE IV

• VELOCITà• ECONOMIE DI CANTIERE

IL TERMOSOLAI O

i Inno

vazio

ne

Le soluzioni di Pontarolo Engineering sono state scelte per la costruzio-ne della scuola per l’infanzia di Sarnano, progettata dalla Protezione Civi-le della Regione Friuli Venezia Giulia.

Solo 116 giorni per costruire la scuola per l’infanzia di Sarnano (MC), 1350mq

su due livelli, inaugurata il 15 settembre 2017, alla presenza del Presidente

del Consiglio on. Paolo Gentiloni, utilizzando le tecnologie costruttive di Pon-

tarolo Engineering di San Vito al Tagliamento (PN). Le soluzioni di Pontarolo

Engineering - sviluppate e prodotte in Friuli Venezia Giulia – hanno permesso

grazie alla sinergia tra i progettisti, le imprese realizzatrici Riccesi Holding

(Trieste) e Balsamini Impianti (Pordenone) e tutti gli attori coinvolti di rea-

lizzare la scuola in soli 116 giorni. La scuola per l’infanzia “Benedetto Costa”,

edificio strategico dalle massime prestazioni antisismiche (Classe IV) e ter-

miche (NZEB– nearly zero energy buildings) è un dono della Regione Friuli

Venezia Giulia ed è stata progettata dalla Protezione Civile della Regione.

L’attenzione verso l’efficienza termica, la riduzione dell’impatto ambientale

e l’anti-sismicità hanno guidato Pontarolo Engineering ad ideare soluzioni

vantaggiose per risolvere i problemi del cantiere, grazie all’esperienza di pri-

ma mano che deriva da una lunga tradizione in ambito edile. Molta l’emozio-

ne e l’orgoglio di Valerio Pontarolo, fondatore di Pontarolo Engineering Spa,

e Presidente del Polo Tecnologico di Pordenone, che ha riconosciuto negli

apprezzamenti da parte di progettisti, tecnici e autorità “una sorta di laurea

per i nostri prodotti e brevetti, frutto di ricerca incessante e appassionato im-

pegno per soddisfare le esigenze del cantiere, dando costi certi e tempi certi,

offrendo soluzioni ideate in Friuli Venezia Giulia, una regione a vocazione

tecnologica, dove l’innovazione trova un terreno fertile per crescere”.

Edificio strategico, due piani, per 1350mq di superficie, Classe IV antisismi-

ca, NZEB (edificio a consumo energetico quasi zero). I muri portanti sono

stati realizzati con Climablock, il cassero a perdere in EPS, già vincitore nel

2007 del Premio Innovazione 2007, che permette di isolare e costruire con

un solo gesto, i solai con Kaldo, termopannelli isolanti, le fondazioni con

IsolCupolex che permette di creare vespai aerati e isolare le fondazioni, il

tetto termoventilato con Ventus. Il getto dei pilastri è avvenuto con i cas-

seri Tubix.

Una scuola ad alte prestazioni antisismiche in 116 giorni

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64 65 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Il ruolo di guida del ministero deve creare le basi per una profonda azione di rigenerazione urbana e infrastrutturale.

Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza collettiva della necessi-

tà di riprogrammare la trasformazione del territorio mettendo al centro

l’obiettivo del “consumo di suolo zero”, orientando così il mercato delle

costruzioni verso la riqualificazione.

In questo numero abbiamo voluto chiedere al senatore e viceministro

Nencini quali sono le prospettive della programmazione del territorio

alla luce dei cambiamenti che stanno riguardando il settore delle costru-

zioni e delle opere pubbliche a livello globale.

In un nuovo contesto culturale e legislativo assumono maggiore cen-tralità la demolizione e ricostruzione e la rigenerazione urbana delle aree de-industrializzate, diffuse in molte realtà territoriali del Paese. Come e quali strumenti mettere in campo per attivare progetti e inve-stimenti?“La trasformazione del territorio, la rigenerazione urbana e il consumo

del suolo sono questioni che sono tornate al centro dell’attenzione nel

nostro Paese. Esse afferiscono allo sviluppo delle politiche d’interven-

to nel sistema delle città e necessitano di progetti di nuova concezione

e formazione che devono obbligatoriamente partire dall’identificazio-

ne delle linee fondamentali dell’assetto del territorio.

Negli ultimi quindici anni la cultura del governo delle città si è evolu-

ta e si è aperta ad una visione integrata dello sviluppo, introducendo

soluzioni innovative in grado di integrare le connessioni tra le città, i

porti, le infrastrutture di collegamento con le reti di livello ultralocale

e nazionale. In questo ambito, occorre correlare i programmi di rigene-

razione e di riqualificazione all’interno di misure che siano in grado di

chiudere definitivamente con la stagione di interventi indiscriminati a

tutto campo, molto spesso privi di attenzione nei confronti dell’am-

biente urbano, soprattutto quello storico, e dell’habitat in generale.

Nel nostro Paese occorre consolidare e fare applicare norme e misure

esistenti, ma occorre anche una coraggiosa politica di contrapposizio-

ne a fenomeni che non hanno mai dato segni di rallentamento come

l’abusivismo edilizio ed uno scellerato consumo di suolo.”

Le nuove strategie di governance per i territoric Ci

ttà

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti svolge un ruolo di gui-da e di orientamento importante nei confronti delle Regioni e delle amministrazioni locali. Quali azioni state mettendo in campo per ac-celerare l’iniziativa di questi soggetti essenziali per gestire un ampio processo di rigenerazione?“Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, già Ministero dei lavori

pubblici, ha sempre posto forte attenzione alle politiche per le città e

alla questione abitativa nelle sue varie declinazioni e, al riguardo, vale la

pena ricordare le varie generazioni di programmi d’intervento in ambito

urbano promossi nel tempo.

I Programmi di recupero urbano, i Programmi di riqualificazione urbana,

i Piani urbani per la mobilità, gli Urban, i PRUSST, i programmi inno-

vativi SISTeMA e Porti e Stazioni, i Contratti di quartiere, dimostrano

quante risorse e quanti sforzi sono stati compiuti in questa direzione.

Dalla prima metà degli anni ’90 ad oggi, sono state impegnate ed asse-

gnate ai Comuni risorse per circa 70 miliardi di euro. Indubbiamente, in

relazione all’attuale assetto degli Enti, dei confini amministrativi e delle

competenze occorre una ‘concertazione interistituzionale’ più dinamica

ed efficace. È necessario un nuovo modello di ‘governo delle trasforma-

zioni’ in grado di attuare al meglio le decisioni pubbliche, oggi troppo

segmentate ma, soprattutto, è necessario promuovere procedure che

siano in grado di semplificare e razionalizzare i meccanismi di finanzia-

mento e di realizzazione delle opere.”

La rigenerazione urbana non può prescindere da una profonda riqualifi-cazione delle nostre periferie. Il Governo in questi ultimi anni ha svolto un ruolo proattivo mettendo in campo risorse e spingendo i Comuni a mettere in campo progetti. L’impressione è, tuttavia, quella di una di-spersione di risorse e di una mancanza di vere e proprie priorità…“Anche se nella concezione e nella formazione dei progetti urbani, su-

perata la vecchia impostazione dirigistica, si è aperta una visione dello

sviluppo proattiva e multifattoriale, si sono create nuove figure profes-

sionali in campi prima trascurati e si è diffuso un modo di lavorare in-

terdisciplinare anche a livello locale, probabilmente tutto ciò ancora non

basta.

Per promuovere programmi e interventi, rispetto ad un passato caratte-

rizzato da soluzioni spesso improvvisate e inefficaci, occorre un assetto

delle competenze più compatto e realmente legato alle caratteristiche

dei territori, ai loro scenari di sviluppo e a credibili progetti da realizzare,

anche con il necessario coinvolgimento dei privati e del mondo produt-

c Città

L’intervista L’intervistaa RICCARDO

NENCINI

Viceministro MIT,

di MARTINO

ALMISISI

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66 67 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

tivo. La progressiva riduzione delle risorse pubbliche comporterà nuovi

modelli di partecipazione al partenariato pubblico – privato sia sotto il

profilo tecnico che quello finanziario.”

Come Civiltà di Cantiere nell’ultimo anno abbiamo approfondito la questione della Governance mettendo in luce come nelle esperienze internazionali risulti evidente un approccio molto diverso dal nostro. In Europa le regole e le norme sono al servizio di una visione e di una forte e rigorosa progettualità, con chiarezza di ruoli e di responsabili-tà, a cui si affianca una pubblica amministrazione competente e au-torevole. In Italia anche le esperienze più rilevanti come, ad esempio quella di Torino, hanno finito per essere penalizzate da rigidità urba-nistiche complessità normative. É possibile riuscire anche nel nostro Paese a cambiare approccio? Quale ruolo deve avere il Ministero?“Appare prioritario e impegnativo provvedere a un assetto innovativo

interistituzionale, dare mandato e risorse a una politica per le città in

grado di sviluppare “Piani e misure di riqualificazione e rigenerazione”

meglio finalizzate al rilancio dello sviluppo urbano e dell’inclusione

sociale. Ciò potrebbe essere attuabile attraverso la realizzazione di

nuove condizioni strutturali, che ne costituiscono il presupposto, atti-

vando nuovi piani nazionali per le trasformazioni urbane in cui, priori-

tariamente, andrebbero definite le strutture incaricate di occuparsene,

le risorse su cui contare e le modalità con cui operare.

Ad esempio andrebbero privilegiate azioni di coordinamento per svi-

luppare e raccogliere, in accordo con i territori, spunti e proposte di

progetti a livello di “fattibilità tecnico economica” nelle principali

aree di crisi urbana e territoriale del Paese, attraverso l’indicazione di

una serie di “linee guida” di carattere generale sul consumo di suolo,

sull’impatto energetico ed ambientale, non solo di semplici manufat-

ti, ma di interi ambiti urbani candidati alla rigenerazione, premiando

l’adozione di standard internazionali per la certificazione energetica e

ambientale degli interventi proposti e il controllo dei processi proget-

tuali, costruttivi e gestionali.”

Oggi il tema della rigenerazione delle città e della riqualificazione del-le periferie si incrocia con l’emergenza abitativa, questione nevralgica e sulla quale proprio lei recentemente ha lanciato un progetto mirato. Ce lo può illustrare?“La mission istituzionale è fondamentalmente circoscritta ai seguenti

punti:

• facilitare ed accompagnare l’avvio di un percorso qualitativo fina-

lizzato alla strutturazione di virtuose operazioni di “finanza im-

mobiliare” per assicurare il miglior risultato possibile in termini di

razionalità ed efficienza degli investimenti pubblici, anche in logica

multi fondo;

• pesare e valorizzare la componente sociale dell’investimento come

condizione fondamentale della sua sostenibilità e assicurare il sup-

porto finanziario al solo scopo di abbassare la soglia di sostenibilità

di una operazione complessa di rigenerazione per il raggiungimento

di un rendimento accettabile.

La valutazione delle proposte da sviluppare dovrà attenersi esclusiva-

mente all’analisi della soglia di sostenibilità delle proposte ai fini della

determinazione della misura del sostegno finanziario e la corretta di-

stribuzione dei rischi tra la parte pubblica e quella privata. In sintesi,

attraverso la promozione di una rinnovata capacità programmatoria e

decisionale, con idonee misure finanziarie e nuovi programmi di riqua-

lificazione e rigenerazione, può esplicarsi il rilancio delle politiche per le

città, tra sviluppo urbano, inclusione sociale e qualità dell’abitare.”

c c Città

L’intervista L’intervista

Città

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68 69 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

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c Città

Tre questioni in primo piano: governo del territorio, infrastrutture e città.

L’attuale assetto degli Enti, dei confini amministrativi, delle competenze

e della concertazione inter-istituzionale necessita ancora di semplifica-

zione e razionalizzazione delle procedure di formazione delle decisioni

pubbliche. Nella costruzione dei programmi urbani è maturata una visio-

ne proattiva e multifattoriale dello sviluppo, attraverso modalità di lavoro

interdisciplinari ma, anche se a livello locale sono stati operati mutamenti

organizzativi per gestire progetti di nuova concezione, tutto ciò ancora

non basta.

É diffusa la consapevolezza che gli attuali confini amministrativi siano

anacronistici rispetto alle dinamiche socioeconomiche e ambientali e,

pertanto, è necessario che il governo delle trasformazioni territoriali si

configurii attraverso nuovi modelli, in quanto le decisioni pubbliche su-

gli investimenti locali sono troppo numerose e segmentate per essere

efficienti ed efficaci. Rispetto a soluzioni schematiche ed improvvisate

occorre costruire un assetto delle competenze più compatto e molto più

legato alle caratteristiche dei territori, ai loro scenari di sviluppo, ai pro-

getti da realizzare, aprendo anche ad un coinvolgimento diretto del mon-

do imprenditoriale e produttivo.

La questione infrastrutturale è al centro delle azioni volte ad accrescere

la competitività del Paese e la sua integrazione nella rete di relazioni na-

zionali ed europee. É noto come le “logiche progettuali” che ispirano le

politiche delle trasformazioni possono modificare la gerarchia delle aree

all’interno del territorio nazionale e come queste debbano avere un ade-

guato ed equilibrato rilievo in quanto devono poter contare su una plura-

lità di strumenti operativi e di soggetti in campo.

In via generale, le riflessioni fin qui compiute sulle politiche urbane indivi-

duano un pacchetto di ingredienti caratterizzato da: contrasto al consumo

di suolo, rigenerazione dei tessuti urbani obsoleti, sicurezza degli edifici,

riduzione degli sprechi, promozione dell’efficienza energetica, diffusione

delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze e delle nuove tecnologie.

di FRANCESCO

GIACOBONE

Architetto,

segreteria tecnica

Viceministro MIT

Il rilancio delle politiche per la città

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70 71 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

garante. Le politiche per la città devono rispondere a questo principio e il

rinnovo urbano diviene politica flessibile che declina una governance cen-

trale da attuare, verosimilmente, in soluzioni locali. Fare politica delle cit-

tà significa fare sviluppo, rigenerare le città significa rinnovare i contesti

nei quali si svolgono le attività produttive, significa fare moderne azioni di

welfare aprendo anche a una rigenerazione urbana per ambiti.

Quali potranno essere gli ambiti di partenza? Urbano o peri-urbano? Peri-

feria o aree semicentrali? É evidente che la strategia non può essere uni-

voca e che non si deve operare solo partendo da settori funzionali urbani

ma il rinnovo va in accompagnamento anche ad altre politiche. Anche un

approccio per “settori funzionali” potrebbe valorizzare ambiti urbani che

poi potrebbero coinvolgere ampie parti della città e dello spazio extraur-

bano, in cui andrebbe ridotto il peso e condizionamento delle proprietà

immobiliari rispetto alle operazioni di rigenerazione. L’obiettivo è la con-

nessione delle politiche per una “città integrata” e oggi sembra che nei

vari provvedimenti di sviluppo del governo e delle regioni ci sia molta più

attenzione a questa impostazione che non nei piani urbanistici. Una lea-

dership con queste caratteristiche richiede anche il necessario apporto di

un’imprenditoria di sistema, che contempla produttori di materiali, pro-

gettisti e imprese di costruzione. Il coinvolgimento di tutti gli attori della

filiera è indispensabile. Ovviamente occorre una pubblica amministra-

zione capace e un’articolazione territoriale che sappia dettare le regole,

valutare le proposte, rassicurare l’opinione pubblica e accompagnare le

operazioni di trasformazione e sviluppo.

Per poter intervenire nei territori e nelle città, allo Stato spetta il compito

di dettare i principi generali da articolare con le Regioni, richiamando a sé

il ruolo istituzionale di raccordo e coordinamento con le politiche euro-

pee. Le reti delle città, nel quadro del generale sviluppo socioeconomico,

concorrono a identificarne gli assi principali, ne individuano le interdipen-

denze e ne articolano gli aspetti operativi. L’attuazione di una “Strate-

gia nazionale per le aree urbane” è per eccellenza il “luogo comune” dove

sviluppare interconnessioni, perseguire convergenze, configurare nuove

proposte e progetti. La rigida ripartizione delle competenze tra Stato e

Regioni, pur nella piena legittimità, manifesta la sedimentazione di visio-

ni spesso divergenti e autoreferenziali in cui, ad esempio, sembra sdop-

piarsi la componente della tutela del territorio come valore costituzionale

e quella dello sviluppo del territorio basata su economia e mercato. L’in-

treccio delle competenze e degli ambiti d’intervento ha ridotto la capacità

di costruire “azioni cooperative” capaci e istituzionalmente responsabili

e, di contro, ha generato una perenne conflittualità tra regole parziali, che

c Città c Città

In ordine a ciò, andranno sostenute azioni con linee d’intervento diffe-

renti da quelle tradizionali, attraverso la promozione e il consolidamento

di quella relazione virtuosa capace di coniugare, nell’interesse pubblico,

le opportunità di sviluppo e di crescita del Paese anche con le istanze e il

coinvolgimento del mondo produttivo. Infatti, nei processi di governance,

la partecipazione di tutte le parti sociali favorisce le condizioni necessarie

per lo sviluppo.

Programmazione – concertazione – partenariato interistituzionale diven-

tano termini obbligati di una fase di sviluppo delle forme della pianifica-

zione ove viene così a riaffermarsi anche la centralità della pianificazione

urbanistica rispetto alle politiche di settore, seppure questa debba meglio

adeguarsi ai metodi della programmazione concertata. La progettualità

territoriale diventa la chiave di volta per ricomporre le strategie dei di-

versi attori istituzionali e in essa occorre rinnovare l’approccio al termine

“Piani” che, da semplici strumenti di disciplina dell’uso dei suoli, devono

divenire sempre più “Quadri di coerenza” di progetti urbani e territoriali,

sostanziando il metodo della concertazione con i processi di programma-

zione condivisa. Le separazioni che attualmente rivelano la debolezza

complessiva del sistema, aprono al bisogno di una rivisitazione e rimodel-

lazione delle competenze per meglio finalizzarle verso la concertazione e

attuazione di programmi e progetti.

Il rilancio della progettualità come antidoto alle attuali politiche d’inter-

vento, presupposto fondamentale per le politiche della concertazione,

il riconoscimento dei progetti di opere come elementi capaci di restituire

l’esperienza della contemporaneità, sono la base su cui sviluppare nuove

forme di raccordo tra programmazione economica, sviluppo occupazionale

e pianificazione urbanistica. Il territorio non può essere considerato come

sede per la ricomposizione a posteriori di conflitti, ma va concepito come

“luogo” per suscitare la convergenza di energie costruttive e per associare

ad un’opera trainante un insieme di progetti complementari che raccordano

le azioni di governance di livello superiore a quelle di livello locale.

Cosa vuol dire rigenerazione urbana Rinnovare le città significa attivare tutte le possibili leve del rinnovo ur-

bano: conservazione, riqualificazione e ristrutturazione edilizia, sostitu-

zione edilizia sino all’abbattimento-ricostruzione di intere parti di città,

implicando tutte le dimensioni della città (ambiente, società, urbanistica,

economia, fiscalità, aspetti giuridico-organizzativi). Il rinnovo urbano va

inteso come “espressione” di politiche per le città e, a tutti gli effetti, si

configura come strumento d’integrazione di cui la città diventa soggetto

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72 73 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

scurato. È noto come nel Paese lo sviluppo delle infrastrutture di traspor-

to e dei servizi ad essi connessi - in primo luogo l’alta velocità ferroviaria

- stia modificando la gerarchia delle aree urbane nel territorio nazionale.

In questo contesto aumenta la capacità attrattiva di alcune città, sempre

più temporalmente vicine e funzionalmente integrate ma, nello stesso

tempo, crescono l’isolamento e la solitudine dei territori meno accessibi-

li. Questo processo selettivo è destinato a rendere, nel prossimo futuro,

sempre più marcata l’emarginazione di alcune aree del Mezzogiorno. Ad

esempio la divaricazione fra Nord Italia e Mezzogiorno rischia di essere

accentuata anche dalle modalità di finanziamento delle dotazioni pub-

bliche urbane.

Infine, la fiscalità immobiliare locale, che commisura parte delle entrate

tributarie dei Comuni ai valori immobiliari dei fabbricati e dei terreni e le

pratiche negoziali tra Amministrazioni comunali e operatori privati, che

socializzano una quota della rendita urbana generata dal progetto attra-

verso il finanziamento privato di opere pubbliche aggiuntive, accrescono il

“capitale fisso sociale” delle città in modo proporzionale ai valori immobi-

liari locali, e quindi al potenziale di rendita urbana. Gli squilibri territoriali

che si riflettono nei valori immobiliari saranno destinati ad accentuarsi.

Evidentemente le politiche di riequilibrio territoriale devono avere ade-

guato rilievo nell’ambito dell’insieme delle politiche pubbliche e devono

poter contare su una pluralità di strumenti. Fra essi, iniziative centrali di

supporto al partenariato pubblico-pubblico e pubblico-privato potrebbero

contribuire molto alla crescita delle capacità operative degli Enti territo-

riali, qualora fossero contestualizzate in riforme del funzionamento degli

Enti locali ancora più spinte di quelle realizzate nel corso degli anni ‘90.

c Città c Città

spesso hanno lasciato ampio spazio ad interpretazioni autoreferenziali,

contingenze e pressioni di parte. Occorre porre rimedio a una diffusa e

falsa discrezionalità su operazioni urbanistiche che spesso utilizzano il

termine “sostenibile” con estrema pervicacia e avviare, una volta per tut-

te, un’evoluzione normativa capace di interpretare l’interesse pubblico ed

i bisogni collettivi all’interno di un processo in grado di favorire la qualità,

il rispetto dell’ambiente, delle risorse e che guardi realmente ai diritti del-

le generazioni future.

Il rapporto sulle competenze (Stato – Regioni) deve sostanzialmente spo-

starsi sulla vera natura dei problemi e dovrà porre grande attenzione al

meccanismo della semplificazione in materia urbanistica ed edilizia che

ha spesso favorito l’emanazione di norme transitorie e locali, applicate a

macchia di leopardo sul territorio nazionale e non l’adozione di misure e

programmi concordati a livello interistituzionale e magari ispirati da pro-

duttive e ponderate linee guida. Nell’intento di favorire un rilancio delle

politiche urbane in Italia, dovrebbero essere sviluppati due elementi chia-

ve: quali azioni intraprendere in discontinuità con il passato e chi dovrà

occuparsene istituzionalmente? A ciò occorrerà rispondere nel più breve

tempo possibile.

L’avanzamento delle riflessioni e l’individuazione di una nuova politica

per le città va sostenuta con la promozione di adeguati ed innovativi pro-

grammi in ambito urbano, volti ad affermare - nelle logiche delle ammi-

nistrazioni locali e degli operatori economici - una visione di città diversa

da quella attuale comportando l’adozione di linee di intervento differenti

da quelle tradizionali. Ad esempio, nel quadro appena delineato, da più

parti si tende a dare molta importanza al destino dei beni immobili di

proprietà degli Enti pubblici. La crisi del mercato immobiliare, la cadu-

ta della domanda e gli attuali livelli dei prezzi, spostano l’accento ver-

so l’esigenza della dismissione e vendita e quindi dell’individuazione di

strumenti più idonei alla prefigurazione di un contesto urbano che sia in

grado di valorizzare al meglio le peculiarità di tali immobili. L’esigenza di

valorizzare parte dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico, si coniuga

con la necessità di individuare quel nuovo progetto di città cui si è appena

accennato e, al riguardo, esistono importanti ragioni per motivare, nelle

mutate condizioni, la promozione di programmi di nuova concezione in

ambito urbano.

La questione infrastrutturale, poi, è al centro delle politiche volte ad ac-

crescere la competitività del Paese e ad integrarne la struttura fisica nella

rete di relazioni europee ma essa possiede tuttavia un aspetto spesso tra-

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74 75 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’opinione L’opinione

c c Città

di GRAZIANO

TILATTI

Presidente

Confartigianato

Udine

Oggi anche i dati dimostrano che le logiche di network funzionano e rendono più produttive le imprese.

Guardare l’attualità e prefigurare gli scenari evolutivi del comparto delle

costruzioni dal punto di vista dell’artigianato e delle piccole imprese of-

fre, in questo momento storico, stimoli particolarmente interessanti. La

contrazione/stagnazione del secondo decennio di questo nuovo millennio

ha picchiato duro, distogliendo l’attenzione degli imprenditori dall’oriz-

zonte futuro, per ripiegarsi poi sulla quotidiana lotta per la sopravviven-

za. Ora però il tempo stringe e anche gli operatori più piccoli della filiera

devono trovare l’energia e la determinazione per affrontare con coraggio

le sfide attuali.

Il cambiamento degli stili di vita, la digitalizzazione, i mutamenti e le

correnti demografiche, un nuovo e necessario rapporto tra mano pubbli-

ca e iniziativa privata sono soltanto alcuni dei trend che invitano a mo-

dificare i modelli di business del nostro comparto e il linguaggio stesso

con cui interpretiamo il mercato di riferimento e costruiamo valore per

la committenza.

“Edilizia 4.0” e riqualificazione del patrimonio edilizio - in chiave di effi-

cienza energetica, resilienza sismica e sostenibilità ambientale - disegnano

la mappa del territorio su cui si gioca il recupero di competitività o anche

solo la conservazione di uno spazio di mercato. Negli anni più recenti, il set-

tore delle costruzioni non si è infatti soltanto ridimensionato, ma ha anche

spostato il proprio baricentro verso il recupero, che oggi infatti rappresenta

circa il 70 per cento del fatturato complessivo.

In chiave collettiva è cruciale che le politiche pubbliche incoraggino e

sostengano progetti di riqualificazione edilizia ed urbana su vasta scala,

agendo sul lato della domanda (incentivi, ma anche altri strumenti e

programmi urbani).

Parallelamente, il nostro impegno associativo deve accompagnare e in-

coraggiare i processi di aggregazione imprenditoriale in modo tale che

l’offerta risulti all’altezza, organizzando in forme reticolari, evolute

Maggiore efficienza se si lavora in rete

Città

e intelligenti, il tessuto di imprenditoria diffusa e poco specializzata.

Attenzione: non si tratta di uno slogan; un’indagine di Confartigianato

ha evidenziato una correlazione positiva molto netta tra performance

e grado di networking. Siamo più che mai di fronte a un “passaggio di

fase”, decisivo per il futuro dell’edilizia, dopo una crisi devastante che

dura da 10 anni e che in Italia ha lasciato senza lavoro centinaia di mi-

gliaia di persone.

In questo quadro, il rinnovo, la rigenerazione e la riqualificazione si confer-

mano infatti gli unici segmenti in crescita sia nel numero di occupati (pari a

circa alla meta del totale di settore) che nel numero di imprese attive, grazie

soprattutto – non dimentichiamolo - alle politiche di incentivazione fiscale.

Per fare in modo che il nostro comparto riacquisisca il ruolo che storicamen-

te ha sempre avuto per l’economia e il lavoro in Italia, la sua componente

artigiana e di MPI deve superare la diffidenza e i preconcetti auto-limitanti

nei confronti dell’innovazione.

Non che manchi l’interesse: un recente sondaggio ha rivelato che il 21 per

cento degli artigiani dichiara di voler sperimentare le potenzialità dei dro-

ni, mentre l’8 per cento sta già operando con soluzioni e tecnologie IoT

(Internet of Things).

Manca però ancora un raccordo efficace tra la capacità innovativa delle

piccole imprese e l’universo in espansione delle opportunità tecnolo-

giche e su questo terreno dobbiamo e vogliamo giocare il nostro ruolo

di associazione, superando il supporto agli adempimenti per andare

verso la costruzione di politiche attive in grado di affiancare gli im-

prenditori nell’esplorazione, consapevole e pragmatica, di nuovi terri-

tori competitivi.

In Friuli Venezia Giulia sono più di 15.600 le imprese del comparto costru-

zioni ancora attive e per il 72 per cento si tratta di aziende artigiane. Il con-

tributo annuale alla formazione del PIL è ancora ben al di sotto dei valori

pre-crisi: mancano 7,4 punti percentuali per un riallineamento alla capacità

di generare reddito registrata nel 2007. Fa impressione constatare che ri-

spetto al 2008 la perdita di addetti tocca le 12mila unità; 4mila posti di

lavoro sono stati persi nell’ultimo biennio ad un ritmo che colloca la nostra

regione in fondo alla classifica nazionale. Ricordare queste cifre non è un

modo per prendere atto di una contrazione ineluttabile, bensì la ricognizio-

ne di una situazione che ha bisogno di nuovi stimoli, coraggio e prospettive:

tutti elementi a cui la Construction Conference di Udine fornisce un contri-

buto prezioso.

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77 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE76

Per la prima volta il Paese ha una visione strategica in materia di infra-strutture, da cui derivare politiche e investimenti coerenti. Per un’Italia porto d’Europa.

Passare dalla stagione delle grandi opere a una nuova stagione di “ope-

re utili, grandi o piccole, per connettere l’Italia e far emergere il suo ruolo

centrale per gli scambi da e per l’Europa” e per fare questo elaborare una

visione condivisa e di lungo periodo sulla base della quale selezionare, pia-

nificare e programmare gli interventi. Un compito non facile ma Graziano

Delrio, dal 2015 ministro delle Infrastrutture e trasporti, ci ha provato, col

supporto di una Struttura tecnica di missione completamente rinnovata.

E il 14 giugno scorso, in un convegno a Roma dal titolo Connettere l’Italia.

Strategie e risultati di una nuova stagione della mobilità, ha restituito il

lavoro fatto: tante tessere di un puzzle che si va componendo seguendo

un disegno strategico, la visione che ha guidato l’azione del ministero in

questi due anni.

“La geografia è destino”, dice Delrio: il nostro Paese visto dalle Alpi ap-

pare come un grande molo proiettato nel Mediterraneo e ha le potenzia-

lità per diventare il porto d’Europa, per questo le politiche del sistema

mare sono strategiche. Ma anche altri concetti sono centrali nella visione

del Ministero: primo, la mobilità è un diritto fondamentale dei cittadini,

significa libertà di muoversi e di essere connessi; secondo, l’Italia deve

imparare a fare sistema, superando le competizioni fra aree vicine per

un comune disegno generale che ci porti ai livelli europei; terzo, questo

senso del futuro deve andare di pari passo con l’interesse delle comunità

e le due cose non sono in contrasto; quarto, i piani strategici di settore

sono essenziali per dare prospettive alle filiere industriali e promuoverne

la crescita. Da qui discendono i quattro macro obiettivi da raggiungere:

accessibilità ai territori, all’Europa e al Mediterraneo; mobilità sostenibi-

le e sicura; qualità della vita e competitività delle aree urbane e metropo-

litane; sostegno alle politiche industriali di filiera.

Per comunicare questo disegno dando ordine alla complessità che lo ca-

ratterizza il Mit ha collocato ogni singola azione sinora condotta - ac-

cordi, finanziamenti, provvedimenti legislativi – all’interno di quattro

di MARIA

CRISTINA

VENANZI

Se la geografia è destino c Città

differenti strategie: infrastrutture utili, snelle e condivise; integrazione

modale e intermodalità; valorizzazione del patrimonio infrastrutturale

esistente; sviluppo urbano sostenibile

Infrastrutture utili, snelle e condivise In un Paese che ha scarsità di risorse la selezione delle opere è fonda-

mentale e quindi tutte le azioni finalizzate al miglioramento della qua-

lità del ciclo di pianificazione, programmazione, valutazione e progetta-

zione delle nuove infrastrutture. Al centro di questa strategia c’è il nuovo

Codice degli Appalti approvato il 18 aprile 2016 - e il suo Correttivo del 13

aprile 2017 - che ha apportato novità importanti. Molti dei decreti attua-

tivi sono già stati approvati e altri sono in dirittura d’arrivo, come quelli

sulla riforma dei livelli di progettazione e sul dibattito pubblico. Il nuovo

Codice ha anche introdotto il concetto di project review: una revisione

progettuale per risparmiare territorio e risorse intervenendo su progetti

particolarmente onerosi, datati o sovradimensionati. L’Allegato al Docu-

mento di economia e finanza 2017 (Def) indica fra gli interventi priori-

tari quelli che devono essere sottoposti a project review: in tutto circa

c Città

IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE, PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE

Fonte: Documento di economia e finanza 2017, MIT

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78 79 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

una trentina fra ferrovie, strade, autostrade e aeroporti. Per alcune di

queste opere la revisione è già avvenuta, come nel caso della Torino-

Lione, riducendo i tratti di nuova linea da 82 a 32 km e dimezzando i

costi (da 9 miliardi di euro a 4,5).

Essenziali per un nuovo approccio alla programmazione sono anche

le “Linee guida per la valutazione degli investimenti in opere pubbli-

che”, approvate dal Cipe il 1° dicembre 2016, perché definiscono i cri-

teri e le procedure per la valutazione ex ante dei fabbisogni infrastrut-

turali e la selezione degli interventi da includere nel Dpp (Documento

pluriennale di pianificazione).

Infine, rientrano in questa prima strategia “quadro” due piani di

settore: il nuovo Piano strategico nazionale della portualità e della

logistica, approvato nel luglio 2015, e il Piano nazionale aeroporti,

approvato nell’agosto dello stesso anno. Il primo è lo strumento di

pianificazione finalizzato a migliorare la competitività del sistema

portuale e logistico in Europa, promuovere l’intermodalità nel traffico

merci e riformare la governance portuale.

Fra i provvedimenti attuativi va segnalato il decreto di “Riorganizzazio-

ne, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali” appro-

vato il 28 luglio 2016, che in un’ottica di rete ha portato alla creazione

di 15 Autorità di sistema portuale che coordinano 57 porti di rilievo na-

zionale. Il secondo piano strategico è il provvedimento che all’interno

di dieci bacini di traffico omogeneo individua gli aeroporti di interesse

nazionale (sono 38), sulla base di vari criteri fra cui l’inserimento nella

rete transeuropea dei trasporti Ten-T. Tre rivestono il ruolo di gate in-

tercontinentali: Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia.

Integrazione modale e intermodalità Questa strategia mira a una mobilità sostenibile che privilegi la modalità

ferroviaria (cura del ferro) e marittima (cura dell’acqua). A livello europeo

prioritario è il completamento al 2030 della Core Network (rete centrale)

delle reti Ten-T, cioè le infrastrutture sia lineari (ferroviarie, stradali e

fluviali), sia puntuali (nodi urbani, porti, interporti e aeroporti) conside-

rate rilevanti a livello comunitario. Si tratta dei famosi nove “Corridoi”,

di cui quattro interessano l’Italia: è necessario assicurarne la continui-

tà realizzando i collegamenti mancanti ed eliminando i colli di bottiglia.

Questo obiettivo richiede all’Italia uno sforzo importante e certezza di fi-

nanziamenti, ma è strategico perché i corridoi sono l’elemento attraverso

il quale il nostro Paese può realizzare il suo destino di porto d’Europa. Lo

sforzo riguarda soprattutto l’efficientamento dei collegamenti ferroviari

e stradali, la realizzazione della Torino-Lione sul corridoio Mediterraneo

e del Terzo Valico dei Giovi sul corridoio Reno-Alpi, i collegamenti di “ul-

timo miglio” a porti e aeroporti della rete centrale.

Ancora in un’ottica di sistema sono state definite le 5 aree logistiche

integrate delle regioni del sud, previste dal Programma operativo na-

zionale Infrastrutture e reti 2014-2020: Quadrante sud orientale della

Sicilia, Polo logistico di Gioia Tauro, Sistema pugliese, Area logistica

campana, Quadrante occidentale della Sicilia. Il Pom ha un budget

di 1,8 miliardi di euro per interventi che devono essere progettati in

modo concertato all’interno delle singole Aree.

Infine, nella legge di stabilità 2016 sono stati inseriti due provvedimenti

che vanno nella direzione di favorire l’intermodalità attraverso incentivi

rivolti agli operatori del trasporto: il contributo Ferrobonus è a sostegno

dello spostamento del traffico merci dalla rete stradale a quella ferrovia-

ria, in particolare nell’Italia meridionale; Marebonus invece premia l’uti-

lizzo della via marittima rispetto a quella di terra attraverso un incentivo

parametrato alla strada evitata. A disposizione nel triennio 2016-2018 ci

sono 60 milioni di euro per il primo, 138 milioni per il secondo.

Valorizzazione del patrimonio infrastrutturale esistente Qui la priorità è assegnata a obiettivi di sicurezza, qualità ed effi-

cientamento delle infrastrutture esistenti, assicurando continuità ai

programmi di manutenzione. Un indirizzo confermato nei Contratti di

programma Anas e Rfi approvati dal Cipe lo scorso agosto. Nel Con-

tratto Anas 2016-2020, dei 23,4 miliardi di euro - di cui 15,9 già finan-

ziati - oltre il 44 per cento è dedicato alla manutenzione straordinaria

e alla messa in sicurezza lungo 3mila km di rete e un altro 36 per cento

al completamento di itinerari esistenti. Per quanto riguarda Rfi, la li-

nea già delineata nell’aggiornamento 2015 e 2016 del Contratto di pro-

gramma - maggiore sicurezza nelle stazioni e lungo le linee, qualità

per i viaggiatori, rapidità nei collegamenti e interventi utili a trasferire

il trasporto merci dalla gomma al ferro – è proseguita nel Contratto di

programma–parte Investimenti 2017-2021 approvato ad agosto; qui

gli investimenti in corso e programmati valgono oltre 200 miliardi di

euro, di cui circa 66 finanziati.

Va anche segnalata l’azione di Anas per trasformare le strade più im-

portanti in Smart Roads: nel 2016 sono state bandite gare per 100

milioni di euro finalizzate a dotare di infrastrutture tecnologiche di

c Città c Città

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80 81 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

ultima generazione circa 1.900 km, fra cui l’Autostrada del Mediterra-

neo (cioè la Salerno-Reggio Calabria). Mentre, tornando alla “cura del

ferro”, l’attenzione non è più solo sull’alta velocità, ma anche sull’a-

deguamento delle ferrovie regionali (circa 2mila km), in particolare

per quanto riguarda la sicurezza, e sulla valorizzazione delle ferrovie

turistiche, elemento essenziale per un turismo sostenibile.

Nello spazio dato anche alla bassa velocità rientra la firma tra giugno

2016 e oggi di protocolli d’intesa fra Mit, Mibact e alcune Regioni per il

completamento dei primi sette percorsi che faranno parte del sistema

delle ciclovie turistiche nazionali (altri 3 sono già previsti). Un progetto

cui il ministero Delrio assegna grande importanza, tanto da aver stan-

ziato fra legge di stabilità 2016 e di bilancio 2017 ben 372 milioni di euro,

che arrivano a 750 con i possibili cofinanziamenti. Si tratta di percorsi

ciclabili che interessano tutta l’Italia, dalla Ciclovia del Garda alla Ci-

clovia della Sardegna e i cui primi cantieri sono previsti entro il 2018. In

ultimo, delle infrastrutture esistenti fanno parte anche le grandi dighe,

un patrimonio fondamentale caratterizzato però da grande dispersio-

ne idrica e sottoutilizzo. Per migliorare le condizioni di sicurezza di 101

dighe, di cui 79 al Sud, è stato avviato un programma di interventi da

294 milioni di euro, finalizzato a salvaguardare risorse idriche per 4,5

miliardi di metri cubi, quasi un terzo del totale nazionale.

Sviluppo urbano sostenibile La quarta e ultima strategia del Mit promuove l’approccio dei Piani urba-

ni della mobilità sostenibile, attraverso lo sviluppo dell’intermodalità, di

sistemi di controllo e informazione, della mobilità ciclo-pedonale e del-

la sharing mobility (mobilità condivisa). Un forte accento è posto sulla

cura del ferro e sulla qualità del trasporto pubblico locale (Tpl), perché è

l’accessibilità - e quindi i sistemi di trasporto - che crea davvero la città

metropolitana.

Il Piano Metropolitane approvato a dicembre 2016 dal Cipe individua in-

terventi prioritari per il completamento di infrastrutture di trasporto ur-

bano, sia metropolitano che tramviario, con l’obiettivo di ridurre il forte

gap infrastrutturale rispetto alla media europea. Obiettivo è anche in-

tegrare le reti su ferro con il trasporto su gomma per creare un sistema

integrato di trasporto collettivo. Le risorse stanziate ammontano a 1,218

miliardi, per 21 interventi.

Per quanto riguarda il Tpl, aspetto centrale della riforma avviata è un

rinnovo del parco mezzi per migliorare la qualità del servizio e la soste-

c Città

nibilità ambientale: nel quadriennio 2017-2020 entreranno in circolazione

circa 10mila autobus euro zero, a sostituzione del parco mezzi obsoleto.

Si tratta della più grande operazione sul Tpl mai avviata e per la quale è

stato stanziato complessivamente un miliardo di euro. Lo sforzo sul parco

mezzi riguarda anche i treni regionali e metropolitani, dove ad agosto è

stato firmato il decreto di riparto delle risorse destinate a nuovo materiale

rotabile: 640 milioni di euro che si aggiungono agli 800 della delibera Cipe

di dicembre 2016 e alle quota di cofinanziamento regionale, per una spesa

complessiva nei prossimi anni di oltre due miliardi di euro.

Infine, sviluppo sostenibile significa anche sicurezza anti-sismica e ri-

entrano in questo ambito le Linee guida per la classificazione del rischio

sismico delle costruzioni, adottate nel febbraio 2017: un provvedimento

molto atteso per dare finalmente il via (si spera) alla stagione della pre-

venzione, in quanto necessarie per attivare il cosiddetto “Sismabonus”,

cioè gli incentivi fiscali previsti dalla legge di bilancio 2017.

La folta platea di stakeholder del mondo infrastrutturale presente al con-

vegno di Roma del giugno scorso ha mostrato apprezzamento, perché

conoscere in quale direzione si vuole andare dà un senso all’operato di

ciascuno e strumenti per scelte coerenti con la visione generale. Molti han-

no anche però espresso apertamente un timore: cosa succederà quando,

come è inevitabile e giusto, si avvicenderanno altri ministri e altri governi?

Si ricomincerà da capo facendo tabula rasa del puzzle messo faticosamen-

te insieme in questi due anni? “La visione continuerà a vivere se ciascuno

di voi se ne prenderà cura”, ha risposto Delrio. “Il paese di strada ne ha

fatta, potrà farne ancora tanta se ciascuno darà il suo contributo”.

c Città

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82 83 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

c cTerritori diversi e esperienze diverse offrono spunti per una rigenera-

zione che parta dalle vecchie infrastrutture di mobilità, tra patrimonio pubblico e privato.

Vi è una stretta relazione tra la riorganizzazione del patrimonio delle

strutture ferroviarie e i programmi di rigenerazione urbana. Il ripensamen-

to delle funzioni delle storiche stazioni ferroviarie, la revisione dei layout

ferroviari con la separazione delle linee per il traffico merci e passeggeri, la

dismissione di officine e scali ferroviari o la costruzione di nuove struttu-

re, in cui sono coinvolte numerose città italiane, sollecita l’individuazione

di scenari urbani e l’avvio di una serie di programmi di rigenerazione desti-

nati a trasformare parti importanti della città e a determinare vantaggi in

termini di attrattività, connessioni e integrazione di trasporto, dotazioni

urbanistiche ed edilizie.

In alcuni casi, come a Milano e Torino, il percorso è ben avviato anche at-

traverso l’elaborazione di Delibere di Indirizzo propedeutiche alla stipula

di Accordi di Programma, mentre in altri (Udine) il cammino è iniziato con

la predisposizione di specifici Piani Regolatori Ferroviari e la progettazio-

ne di nuovi scali. Ferrovie dello Stato, attraverso le sue società di scopo

(Grandi Stazioni, Sistemi Urbani, Ferservizi, Metropark) è pienamente

coinvolta in questo processo volto a conciliare le singole specificità fer-

roviarie e di mobilità con la realtà e i servizi urbani integrati. Si tratta di

un’occasione che permette di coinvolgere le competenze tecniche e tutti

i soggetti, anche internazionali, interessati all’evoluzione delle città che,

tuttavia, impone a chi ha le responsabilità di governance locale di dotarsi

di una visione e di strumenti concreti, secondo tempi e modalità definiti.

Tutti i soggetti, Ferrovie dello Stato in primis, dovrebbero essere coinvolti

nei processi di valorizzazione e a partecipare in modo attivo a alle strate-

gie e proposte di rigenerazione urbana delle aree.

Le strutture che hanno perso la funzione ferroviaria sono destinate ad

alimentare una grande quantità di “domande” da parte del mercato, in

termini di costruzioni residenziali, direzionali, commerciali e turistiche

che rischiano di alterare le attuali dotazioni o di non rispondere agli effet-

tivi bisogni urbani, riguardo i servizi e le attrezzature sociali e culturali, il

Riorganizzazione ferroviaria e rigenerazione urbana

di MAURIZIO

IONICO

Presidente Ferrovie

Udine Cividale

verde e l’ambiente. Si presenta l’opportunità di convertire e trasformare

queste zone per rigenerare il contesto urbano in cui si trovano e, al tem-

po stesso, fornire risposte a eventuali questioni urbanistiche rimaste ir-

risolte. La città è contemporaneamente contraddistinta dalla necessità di

operare sul patrimonio militare e sulle caserme oramai inutilizzate, sulle

aree industriali oppure sulle grandi attrezzature dismesse che, inevita-

bilmente, sollecitano il governo urbano a dotarsi di paradigmi non tradi-

zionali nel processo di rigenerazione urbana, in primo luogo fuoriuscendo

dal conflitto concettuale e tecnico che si pone tra aree considerate come

“vuoto urbano” e altre come “aree dismesse”, e di attivare strumenti ur-

banistici innovativi. Proprio perché ognuna delle tipologie di patrimoni e

aree non è che l’esito del processo storico che ha caratterizzato l’evolu-

zione della città e le relative dinamiche sociali ed economiche, per rappre-

sentare un passaggio bisogna avere una visione complessiva dell’assetto

urbano e, operazione non semplice, individuare all’interno di uno scenario

consapevole un accordo tra bisogni pubblici e interessi o aspettative pri-

vate ed immobiliari, fino a prevedere l’ipotesi che per alcuni spazi l’opera

di rinaturalizzazione sia fondamentale per ottenere un migliore equilibro

urbano.

Sotto questa pressione, lo strumento del Piano Regolatore Comunale è

soggetto a modificarsi per lasciare spazio a nuove procedure di pianifi-

cazione strategica, urbana e territoriale: dai piani di assetto e struttura

ai piani degli interventi, fino alla predisposizione di “progetti di territo-

rio”, in grado di conciliare esigenze pubbliche generali e aspettative del

mercato. Gli strumenti del governo urbano e le procedure vanno ripensate

per corrispondere all’esigenza di definire compiutamente l’impianto ur-

bano e, in primo luogo, la morfologia dei tessuti e degli spazi collettivi.

Dall’altra parte, la crisi e i vincoli della finanza pubblica non permettono

ampi margini di manovra nella costruzione della “città pubblica” anche

perchè spesso queste aree, edifici e strutture sono spesso di proprietà

delle Ferrovie e di altri operatori, siano essi imprese o società finanziarie,

che proprio perché attori essenziali della trasformazione richiedono un

coinvolgimento strutturato e trasparente.

L’esperienza di Milano, legata alla riconversione di un buon numero di

scali ferroviari, è interessante e può fungere da guida per altre città che

si accingono ad affrontare simili problematiche. La Delibera di Indirizzo, a

questo proposito, percorre la strada della “composizione degli interessi”

in modo da acquisire il “consenso” più ampio possibile con l’obiettivo di

generare opportunità e benefici, dentro e fuori i confini amministrativi,

per operazioni di ri-progettazione del patrimonio ferroviario.

Città

Città

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84 85 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

In questo contesto le ipotesi e soluzioni presentate da importanti urbanisti

e architetti indicano come principio di base quello dell’adattamento e resi-

lienza urbana e ambientale accanto all’innovazione, alle tecnologie e piat-

taforme digitali passando dalla mobilità, alla connessione trasportistica e

alla cosiddetta “logistica decarbonizzata” prevista dalla Road Map UE 2050.

A conclusione del percorso verrà stipulato un Accordo di Programma sulla

base della “redazione di linee di indirizzo da parte del Comune”, la cui

complessità comunque rischia di comportare tempi lunghi di attuazione e

di risultare asimmetrica rispetto alle dinamiche di mercato e alle possibi-

lità di anticipare in tempo reale la molteplicità delle esigenze.

La riflessione sul riutilizzo delle aree di strutture e impianti ferroviari in-

crocia domande profonde sul ruolo delle città, in primis di quelle poste

in prossimità di Corridoi e core-networks europee e dotate di zone indu-

striali e imprese manifatturiere di grande valenza. Udine è fra queste: un

luogo delle connessioni, considerato che dispone, sapendole legare, di

aree urbane specializzate (su cui insistono reti, scali e strutture dedicate

ferroviarie e ambiti industriali) e che incrocia una robusta direttrice multi-

modale di valore europeo lungo un versante nord - sud che collega porti e

interporti con i territori e i mercati europei. Qui, come altrove, i livelli non

sono separabili poiché si tratta di individuare i modi attraverso cui la città

può svolgere una funzione strategica più ampia e nel contempo risponde-

re agli interessi pubblici e privati sotto la spinta delle ipotesi di intervento

su caserme, aree e strutture dismesse.

Il patrimonio ferroviario è localizzato nel quadrante sud della città che

dalla Stazione ferroviaria e via Buttrio termina all’area per insediamenti

produttivi Ziu ed è intersecato dalla linea ferroviaria Trieste - Cervigna-

no del F. – Udine – Tarvisio e, attraverso la sua parziale dismissione

e la ricollocazione in altre aree, rappresenta l’occasione attraverso cui

operare la rigenerazione dei contesti coinvolti congiuntamente alla de-

finizione delle aree di riserva per la logistica urbana e scali ferroviari a

supporto della produzione industriale. Il tutto secondo la logica di assi-

curare risposte sia a questioni di scala sia proprie di un ambito urbano

circoscritto, in tempi sufficientemente definiti, ricucendo le parti senza

consumo di suolo.

É in questa duplice radice che si precisa la funzione della città che può

accrescere le capacità di raccogliere e gestire i flussi concorrendo, nel con-

tempo, al superamento della separazione della funzione industriale da

quella logistica.

Il modello rappresenta un vantaggio poiché allude alla costruzione della

prossimità strategica, in luogo del riconoscimento di una meramente ge-

ografica, che può agevolare l’acquisizione di spazi di competitività inter-

nazionale, verso l’esterno, ed attrarre capitali, competenze ed imprese,

verso l’interno. La città come uno spazio contemporaneamente capace

di estendersi ed essere accessibile, di svolgere una funzione di crocevia

territoriale nel contesto della competitività tra sistemi regionali globali.

Non solo la città è coinvolta ma anche il contesto periurbano che coinvol-

ge altri Comuni e gli enti strumentali (Ferrovie dello Stato, Rfi e Consorzio

Industriale fra tutti). Vale per Milano come per Udine la richiesta a Ferro-

vie dello Stato e a Rfi, dopo la previsione di 60 mln di investimento per la

riorganizzazione della rete ferroviaria, di delineare proposte sull’utilizzo

del patrimonio ferroviario in modo da valutare se sono nelle condizioni, o

meno, di innescare opportunità per la città che vadano anche oltre logiche

patrimoniali.

Questa impostazione richiede una pianificazione urbanistica che imma-

gini approcci innovativi in grado di predisporre una proposta complessiva

di riuso delle aree in funzione di una visione strategica urbana e di area

vasta, fondata sulla ricognizione delle esigenze e delle opportunità come

delle intenzioni degli attori primi fra i quali i proprietari di aree e strutture.

Il “progetto di territorio” può essere uno strumento che permette l’appro-

fondimento degli scenari, delle dinamiche sociali ed economiche, e può

fungere da cornice alle conseguenti politiche e soluzioni urbanistiche che

attuano la funzionalità urbana o la ri-funzionalizzazione degli spazi, l’in-

tegrazione tra bisogni e interessi differenziati, lo sviluppo della dimensio-

ne logistica ed industriale.

c c Città

Città

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86 87 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

c cVerso un approccio nuovo alla certificazione che parte dalla proget-

tazione condivisa in ottica di rete.

Ogni qualvolta si tratta di realizzare un’opera infrastrutturale, dalle più

strategiche che ci permettono di non rimanere isolati dal mondo anche

dal punto di vista commerciale, a quelle di carattere locale, si scatena-

no quasi sempre forti proteste e opposizioni. In parte è conseguenza

della poca propensione italiana al cambiamento, in parte di posizioni

puramente ideologiche, ma sicuramente una grande parte del problema

deriva dalla mancata partecipazione e coinvolgimento di tutti gli atto-

ri (i cosiddetti stakeholder) nel processo decisionale di progettazione

dell’infrastruttura. Se le parti interessate partecipassero sin dall’inizio

al suo concepimento e allo sviluppo progettuale, si ridurrebbero note-

volmente le motivazioni addotte per osteggiarne la realizzazione.

A monte della fase progettuale bisognerebbe porsi alcuni importanti

quesiti: l’infrastruttura preserva e valorizza le risorse locali? Aiuta le co-

munità del luogo a svilupparsi minimizzando i potenziali impatti nega-

tivi e migliorandone la vivibilità? Possono essere impiegati tecnologie e

materiali che migliorino la salute e la sicurezza dei cittadini? Il progetto

di un’infrastruttura deve innanzitutto tener conto degli obiettivi primari

della comunità, definendo quali e quanti benefici a lungo termine ne

possono realmente scaturire, minimizzando, al contempo, gli impatti

sulla collettività. Il piano deve inoltre valutare e integrare i bisogni, gli

obiettivi, i valori e l’identità stessa della comunità; deve essere in gra-

do, cioè, di valorizzare quei caratteri che la rendono unica ed esclusiva.

L’analisi però della sostenibilità di un’infrastruttura non deve essere la-

sciata al caso, ma deve essere svolta con una metodologia che ne prenda

in considerazione tutti gli aspetti e produca una valutazione oggettiva

degli impatti sull’uomo e sull’ambiente circostante.

Una guida alla sostenibilità durante il processo decisionaleDagli Stati Uniti, nel 2012, ha avuto origine il protocollo Envision, un

sistema di rating dedicato alla progettazione e realizzazione di infra-

strutture sostenibili, nato dalla collaborazione tra Isi, Institute for Su-

Il protocollo Envision per la sostenibilità delle infrastrutture

di LORENZO

ORSENIGO

Direttore generale

di Icmq Spa

Città

Città

stainable Infrastructure e lo Zofnass Program for Sustainable Infrastruc-

ture presso la Graduate School of Design alla Harvard University. In Italia

il protocollo si sta diffondendo da alcuni mesi, grazie alla collaborazione

tra ICMQ – organismo di certificazione e di ispezione leader nel settore

delle costruzioni – e MWH ora parte di Stantec, società di ingegneria e

consulenza multidisciplinare attiva nel campo dell’energia, dell’acqua,

delle infrastrutture e della gestione e conservazione delle risorse naturali.

Envision si configura come una guida alla sostenibilità durante il pro-

cesso decisionale di progettazione e realizzazione delle infrastrutture,

secondo una serie di buone pratiche. Inoltre, consente di effettuare

una valutazione indipendente della loro sostenibilità attraverso la mi-

sura degli effetti che producono su ogni aspetto della vita dell’uomo

e dell’ambiente circostante. Il protocollo, per il momento, esiste solo

per la fase della progettazione, essendo ancora allo studio in fase di

preparazione le versioni dedicate alla costruzione e alla gestione/ma-

nutenzione. Nato principalmente per il settore delle opere pubbliche, è

destinato a essere applicato anche alle infrastrutture private.

La struttura del protocollo è basata su tre diversi livelli: le categorie, le

sottocategorie e i criteri. Le categorie sono cinque e rappresentano le ma-

cro aree d’impatto secondo cui valutare la sostenibilità di un progetto:

• Qualità della vita: convenienza del progetto e valutazione di quanto

influenzi positivamente le comunità interessate;

• Leadership: collaborazione e impegno del progetto, sfruttamento

delle possibilità di miglioramento delle performance;

• Uso delle risorse: riduzione ed efficientamento dell’uso delle risor-

se, dell’energia e di acqua;

• Contesto naturale: riduzione dell’impronta ecologica e dell’impatto

sull’ambiente circostante;

• Clima e rischio: mitigazione del riscaldamento globale e riduzione

dell’inquinamento dell’aria. Riduzione della vulnerabilità dell’infra-

struttura, aumento della durabilità e flessibilità e adattamento alle

diverse condizioni di utilizzo.

Le 14 sottocategorie identificano gli elementi principali di ogni area e

raggruppano sotto di esse un totale di 60 criteri. Ogni criterio fornisce

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88 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 89 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017

c Città

un indicatore di sostenibilità relativo a uno specifico aspetto di interes-

se - ambientale, sociale o economico - e per ciascuno è possibile rag-

giungere diversi livelli di achievement: improved, enhanced, superior,

conserving, restorative. Nello specifico, per ciascun credito viene attri-

buito un punteggio in funzione del livello prestazionale raggiunto dal

progetto; la sommatoria dei punteggi permette di valutare, in modo og-

gettivo e sistematico, il grado di sostenibilità del progetto secondo le

soglie prefissate dalla metrica Envision.

La garanzia di una valutazione indipendenteIl sistema garantisce un approccio indipendente e supporta i progettisti nel

coinvolgimento delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e anche dei

cittadini, al fine di migliorare il processo decisionale che impatta sulla effet-

tiva sostenibilità, anche a lungo termine, del progetto e degli investimenti

ad esso collegati. L’approccio al protocollo è infatti quello di un riconosci-

mento da parte di un organismo di terza parte indipendente che, partendo

da una checklist e da una scorecard di autovalutazione e attraverso un pro-

cesso critico e rigoroso, permette di verificare se si sono considerati tutti gli

approcci sostenibili e di coinvolgimento delle parti interessate, dando allo

stesso tempo maggiore risalto al progetto stesso. La filosofia del sistema

Envision, inoltre, contribuisce sia alla garanzia dei tempi decisionali e re-

alizzativi, sia alla definizione dei fattori fondamentali per attrarre capitali

privati e per rendere redditizi gli investimenti pubblici. Nel panorama inter-

nazionale del green building, Envision è dunque uno strumento innovativo

che si propone di trasformare, in maniera graduale, l’ecosistema culturale,

decisionale ed economico che sostiene lo sviluppo delle infrastrutture.

In questa prima fase della sua presenza in Italia, l’obiettivo dei promotori

di Envision è duplice: non solo sperimentare l’applicazione del protocollo a

progetti infrastrutturali, ma anche formare un ampio numero di professioni-

sti (Envision Sustainability Professional, o Envision SP) in grado di condurre

progettisti e investitori lungo il percorso previsto dal protocollo.

In un paese come il nostro dove i costi del “non fare”, dovuti alla mancata

realizzazione di opere, sono stati stimati intorno agli 810 miliardi di euro

nel periodo 2014-2030, la diffusione di strumenti utili a una progettazione

condivisa con il territorio e all’efficientamento dei costi delle infrastrutture

appare importantissima. L’introduzione del dibattito pubblico nel nuovo Co-

dice Appalti guarda proprio in questa direzione e lo stesso sistema Envision

propone un approccio inclusivo verso il territorio in cui l’opera s’inserisce.

Inoltre la dichiarata attenzione del nuovo Codice verso i criteri di sostenibili-

tà (Criteri ambientali minimi, certificazioni ambientali, green procurement)

potrebbe rendere il terreno ancora più fertile per la diffusione nel nostro pa-

ese di pratiche e certificazioni sostenibili in ambito infrastrutturale.

cReti e servizi per la qualità della vita

Città

L’opinionedi GIORGIO

GOLINELLI

Amministratore

Delegato AMGA

Calore & Impianti

(Gruppo Hera)

Attraverso servizi innovativi l’energia garantisce risparmi anche a Enti e Pubbliche Amministrazioni. L’opinione di Hera.

L’attenzione al rispetto per l’ambiente, l’eliminazione degli sprechi e il

contenimento dei consumi energetici sono dei valori sempre più ricercati

dai consumatori. In questo contesto le società di servizi energetici posso-

no e devono svolgere un ruolo da protagonista per rendere fruibili, a tutti

i consumatori, soluzioni finalizzate al miglioramento della sostenibilità

ambientale ed energetica delle città.

Uno dei principali impieghi di energia di una città riguarda il riscaldamen-

to ed il raffrescamento degli edifici pubblici o privati.

In questo ambito, gli interventi di efficienza energetica possono essere

di tipo impiantistico, tipicamente sui sistemi di produzione e regolazio-

ne dell’energia, di isolamento sugli involucri come cappotti o infissi, e di

comportamento, ovvero di abituarsi ad utilizzare la giusta quantità di

energia.

I principali utilizzatori di energia in una città sono i condomini e la pub-

blica amministrazione. Le più moderne soluzioni proposte a questi clienti

sono pacchetti completi che contengono la soluzione tecnico/economica

adeguata al cliente e lo strumento finanziario in grado di consentirne l’at-

tivazione. La componente finanziaria assume un ruolo decisivo in quanto

gli interventi di risparmio energetico, si pensi agli interventi sugli invo-

lucri, garantiscono risparmi energetici duraturi nel tempo ma richiedono

investimenti iniziali molto elevati, che non tutti i potenziali fruitori pos-

sono affrontare.

Anche il quadro di incentivazione ha un ruolo fondamentale. Per i condo-

mini centralizzati sono disponibili importanti aliquote di detrazione fisca-

le e la possibilità, per alcune tipologie di intervento, di cedere il credito di

imposta.

Per la pubblica amministrazione lo strumento principale per il finanzia-

mento degli interventi è il conto termico ma consente la copertura di una

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c Città

90 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

c Città

porzione dell’intervento di efficienza energetica. Capacità tecnica di rea-

lizzare gli interventi, capacità di acquisire le fonti di finanziamento fiscali

e conto capitale e capacità di finanziare i progetti sono la sintesi delle

proposte di servizio energia integrate in grado di consentire la realizza-

zione degli interventi di efficienza energetica in modo veloce e semplice.

Per i condomini sono formule di contratto di servizio energia plus per la

pubblica amministrazione si traducono in proposte di partenariato pub-

blico privato.

Ai clienti privati sono riservate proposte che, grazie all’introduzione di

dispositivi di monitoraggio, consentono di acquisire consapevolezza e

controllo dei consumi di energia all’interno delle proprie abitazioni. He-

raThermo, cronotermostato di ultima generazione; HeraLED, lampadine a

basso consumo; un nuovo dispositivo per la misura e l’analisi dei consumi

elettrici sono alcuni esempi dei servizi a valore aggiunto che completano

l’offerta della semplice fornitura di gas ed energia elettrica, a cui si af-

fiancano HeraFastCheckUp, servizio online per il check-up dei consumi e i

report periodici di analisi dei consumi associati alla bolletta.

Si tratta di soluzioni per la casa, l’ufficio o il negozio che mettono il cliente

nella condizione di conoscere nel dettaglio l’impatto delle proprie abitu-

dini di consumo e al contempo gli offrono nuovi strumenti per essere più

efficiente nell’uso dell’energia.

L’opinione

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di GIOVANNI

SALMISTRARI

Presidente

Ance Veneto

Editoriale

e

93 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017

Quando si parla di ripresa del mercato delle costruzioni bisogna fare chia-

rezza. Ciò che si muove e cresce è la micro edilizia sostenuta artificialmente

dagli incentivi fiscali per la riqualificazione e la manutenzione straordina-

ria. Settori importanti ma che non consentono una vera ripresa del settore

edilizio. Nel Veneto le PMI che hanno una struttura organizzativa e tecnica

dimensionata su lavori di qualche milione di euro oggi rischiano di scom-

parire di fronte alla mancanza di mercato. Resta infatti ai minimi storici

l’investimento in nuova edilizia residenziale, in quanto è scomparsa quella

categoria di investitori-famiglie con un reddito medio alto che costituivano

il principale riferimento delle Pmi strutturate. La crisi infatti ha determinato

una riconfigurazione sociale fortemente caratterizzata da una polarizzazio-

ne verso l’alto e verso il basso ridimensionando la classe media con effetti

rilevanti sul sistema dell’offerta. A fare il mercato oggi sono soprattutto so-

cietà immobiliari o finanziarie che investono nei settori del terziario. Socie-

tà che molto spesso pongono al centro della domanda il fattore costo, con

l’effetto di definire a monte l’ammontare dell’investimento quasi sempre

di molto inferiore al valore e ai reali costi necessari alla realizzazione delle

opere. A ciò si aggiunge l’attuale situazione del sistema dell’offerta dove

agli operatori tradizionalmente referenti di questo mercato, le Pmi strut-

turate, oggi si aggiungono le grandi imprese del territorio che, in mancanza

del mercato delle infrastrutture, sono alla ricerca di nuove opportunità. La

necessità di acquisire comunque lavoro per restare sul mercato e sostenere

i costi fissi elevati porta a un’esasperazione della concorrenza e a un abbat-

timento del valore delle offerte con ribassi sempre più spesso superiori a un

terzo del prezzo base.

Che fare? Innanzitutto ci vuole la consapevolezza che il mercato dell’edilizia

continua a degradare e che il percorso di destrutturazione delle imprese non

è stato fermato. In secondo luogo diventa essenziale far ripartire il mercato

delle opere pubbliche rendendosi conto che l’attuale sistema regolato dal

nuovo Codice degli appalti non favorisce la qualità del risultato, legittiman-

do un mercato sempre più avviato sulla strada della dequalificazione. Diven-

ta pertanto urgente una strategia di politica industriale che, modificando e

adeguando le attuali politiche di incentivazione, rimetta al centro del siste-

ma produttivo italiano delle costruzioni un modello di impresa strutturato,

orientando in questa direzione anche il mercato privato.

Fermare la destrutturazione del tessuto imprenditoriale delle costruzioni

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Il nostro laboratorio interno, esegue anche analisi, progettazioni e campionature per la fornitura ad hoc secondo le vostre esigenze. La qualità costante dei materiali, tutti provenienti da cave di nostra proprietà, sono una garanzia per la buona riuscita dei vostri lavori. Da oltre 60 anni lavoriamo nei nostri stabilimenti, sabbia, ghiaie e basalto per la produzione di aggregati per costruzioni e conglomerati bituminosi a caldo e a freddo per pavimentazioni stradali, con una gamma completa di prodotti di base, drenanti, fonoassorbenti e modificati.

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In casa nostra facciamo quello che voleteIn casa nostra facciamo quello che volete

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94 95 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervistaL’intervista

Per un sistema integrato di infrastrutturea basso impatto ambientale

Maggiore autonomia e strategie a lungo termine sono due chiavi per rendere il Veneto una regione sostenibile e con una rete viaria avanzata.

Il cambiamento che ha caratterizzato lo scenario nazionale negli ultimi

anni per quanto riguarda le politiche infrastrutturali ha colpito in modo

particolare il Veneto, al centro di un grande piano di rilancio soprattutto

della mobilità stradale e autostradale, fortemente oggi ridimensionato.

Ne abbiamo parlato con l’assessore regionale alle infrastrutture e tra-

sporti Elisa De Berti.

“Il contesto economico e finanziario in cui ci muoviamo si è radicalmen-

te trasformato dal periodo “pre-crisi” ad oggi. Dal 2009 le condizioni del

mercato europeo e mondiale hanno imposto una drastica rivisitazione

delle prospettive di potenziamento della rete infrastrutturale regionale,

così come dell’intero Paese.

La progressiva riduzione delle risorse pubbliche per le opere infrastrut-

turali, così come le difficoltà per il reperimento di capitali privati da de-

stinare alle iniziative di finanza di progetto allora programmate, hanno

imposto una revisione delle originarie previsioni, soprattutto per capire

quali interventi infrastrutturali sono strettamente necessari e quali no,

e fra i primi quali hanno la caratteristica della sostenibilità finanziaria,

oltre che del permanere del pubblico interesse. Non è un caso che la Re-

gione Veneto, ad inizio legislatura, abbia approvato la L. R. n. 15/2015

che prevede appunto una fase di rivisitazione critica delle numerose ini-

ziative di finanza di progetto, soprattutto nel settore stradale, che ave-

vano caratterizzato il primo decennio del secolo. É una legge regionale

che ha anticipato di poco meno di un anno una norma che poi ha trovato

spazio a livello nazionale nel nuovo codice dei contratti. Tutto questo

per dire che oggi la Giunta regionale sta portando avanti quelle opere,

tanto nel settore stradale ed autostradale quanto in quello ferroviario,

che hanno superato la prova della sostenibilità finanziaria e della ef-

fettiva presenza di un interesse pubblico forte e che, per alcune opere,

travalica certamente i confini regionali.”

Per la sua collocazione geografica il Veneto costituisce uno snodo fon-

damentale nei percorsi di mobilità delle persone e delle merci da Ovest ad Est e da Sud a Nord e viceversa.Quanto conta questo quando si parla di infrastrutture?“La collocazione geografica del Veneto è determinante: era ed è porta per

l’est Europa, era ed è porta per il mercato tedesco e per l’Europa centro-

settentrionale. Non è un caso che tre dei dieci corridoi europei principali

passino per il Veneto; non è un caso che il Veneto sia leader nell’export in

Italia, soprattutto per merito delle province di Treviso e Vicenza. E non è

un caso che proprio in queste province la Regione stia realizzando quella

che è l’opera stradale più grande attualmente in costruzione in Italia: la

Superstrada Pedemontana Veneta, una arteria di 94,577 km per 2,258

milioni di euro di costo di realizzazione.

Sull’asse est-ovest non è l’unica grande opera in programma; infatti, nel

settore autostradale stiamo procedendo, seppur per lotti funzionali e

in base alle disponibilità del piano finanziario, alla realizzazione della

terza corsia fra Venezia e Trieste, asse che vede oggi, così come tutta

la A4, volumi di traffico in crescita di oltre il 3,5 per cento annuo, a te-

stimonianza che la “locomotiva” del Veneto è ripartita. E parlando del

settore ferroviario, in questi ultimi anni abbiamo recuperato parte del

tempo perduto per dotare il Veneto di un sistema ferroviario all’altezza.

Per l’alta capacità nell’estate scorsa il CIPE ha approvato il progetto de-

finitivo della tratta Brescia Verona ed entro l’anno contiamo di poter por-

tare al CIPE l’analogo progetto per la tratta Verona Vicenza: dopo anni,

la struttura dell’alta capacità in Veneto sta prendendo forma. Credo che

sull’asse est-ovest questi siano gli obiettivi principali da raggiungere nel

settore infrastrutturale.

Diverso è il quadro nella direttrice nord-sud, ove a livello internazionale

l’asse del Brennero con il suo naturale terminal sud a Verona e nell’in-

terporto di quadrante Europa, il più importante in Europa, riveste certa-

mente l’importanza maggiore. La ricerca di migliorare i collegamenti con

le aree del nord è stato ed è un tema centrale nella politica dei trasporti

regionale; il recente accordo con il MIT e la PAT per la prosecuzione della

autostrada A 31 Valdastico e la sistemazione della SS 47 della Valsugana

vanno in questa direzione, mentre rimane aperta la strada per la creazio-

ne di un collegamento diretto verso le regioni austriache, in un’ottica di

miglioramento della accessibilità delle regioni alpine meno servite, tra

cui parte della provincia di Belluno.”

Sempre di più si sta puntando sul “ferro”. Diventano centrali gli investi-menti in opere ferroviarie, anche rispetto a un rafforzamento di logiche

a ELISA DE BERTI

Assessore alle

infrastrutture e

trasporti della

Regione Veneto,

di MIMOSA

MARTINI

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96 97 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervistaL’intervista

intermodali: ferrovia-aeroporto/ferrovia-porto; ma anche come sup-porto allo sviluppo turistico (interazione ferrovia-piste ciclabili). Quali progetti e quali risorse si stanno attivando?“La ‘cura del ferro’ è iniziata in Veneto da tempo, sia nel settore infrastrut-

turale sia per l’erogazione del servizio ferroviario locale e regionale, di cui la

Regione Veneto ha titolarità. Anche in questo caso dobbiamo fare i conti

con i continui tagli del Governo sul TPL, provvedendo con fondi regionali per

sopperire alla riduzione dei trasferimenti del FNT e per garantire il mante-

nimento della qualità del servizio; è questo uno degli obiettivi principali che

questa giunta regionale si è posta.

Ma, restando al settore delle infrastrutture ferroviarie, oltre all’impegno per

l’alta capacità di cui ho già detto, vi è un costante impegno per l’ammoder-

namento della rete ferroviaria esistente, vero patrimonio della nostra regio-

ne, da ammodernare e valorizzare in tutte le sue valenze, sia per il traffico

passeggeri regionale che per il transito delle merci, in un’ottica di trasfe-

rimento modale dalla gomma alla rotaia per raggiungere livelli di mobilità

più sostenibile anche da un punto di vista strettamente ambientale. Il ruolo

del porto di Venezia in questo senso è fondamentale come attrattore ed

elemento di smistamento del traffico delle merci nell’intera regione e verso

le altre regioni della pianura padana.

Nel corso del 2016 abbiamo sottoscritto con RFI un Accordo quadro per la

individuazione delle priorità sul territorio regionale, in primis un nutrito pro-

gramma di interventi nell’area dell’entroterra veneziano e nell’area centrale

veneta dove è stato attivato il Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale

(SFMR), poi la prosecuzione del piano di eliminazione di passaggi a livello

che oggi condizionano in modo importante la qualità del servizio e in terzo

luogo un programma di elettrificazione della rete esistente ancora a trazio-

ne diesel, soprattutto nelle aree più marginali della regione, il bellunese in

particolare.

Oggi ci aspettiamo che a queste programmazioni condivise e alle nostre pro-

gettazioni avanzate facciano riscontro precisi impegni di finanziamento che

devono trovare spazio nel contratto di programma fra MIT e RFI, il cui iter di

approvazione è in fase di completamento. Analogamente ci attendiamo ri-

sposte per le progettazioni già redatte per migliorare i collegamenti ferrovia-

ri con il porto di Venezia e con l’aeroporto internazionale Marco Polo, il terzo

a livello nazionale. Sempre nel settore ferroviario, in questo caso legato al

turismo, abbiamo avviato una straordinaria collaborazione con Trenitalia e

le aziende di trasporto pubblico locale per far apprezzare ai cicloturisti la

bellezza delle nostre Dolomiti, patrimonio dell’Unesco.

L’estate scorsa il servizio integrato treno – bus – bici ha avuto un otti-

mo successo e vogliamo proseguire su questa strada. Abbiamo poi qualcosa

nel cassetto, qualcosa più di un sogno. Uno studio di fattibilità che nasce

da una collaborazione con la Provincia Autonoma di Bolzano per portare il

servizio ferroviario da Venezia a Cortina, unendo le due perle turistiche della

nostra regione, e da Cortina sino alla Pusteria. Il disegno, in realtà, è ancora

più ampio e coinvolge anche la Provincia Autonoma di Trento, in quello che

chiamiamo il “Treno delle Dolomiti”, che farebbe fare un vero salto di qua-

lità, anche sotto il profilo ambientale, al turismo delle nostre montagne.”

Sul fronte stradale siamo di fronte a un processo di riaccentramento sul piano della gestione e degli investimenti. Qual è la posizione della Regione Veneto?“Il dato è oggettivo e inequivocabile. I principi del federalismo e di sussidia-

rietà sono stati drammaticamente abbandonati negli ultimi anni dal gover-

no centrale. Il riaccentramento delle competenze e soprattutto delle risorse

hanno lasciato per primi gli Enti locali, Province e Comuni, sempre più privi di

risorse. Per le Regioni non è andata diversamente, se si pensa solo alla ridu-

zione dei trasferimenti per la gestione delle strade con i Decreti ‘Bassanini’ o

ai tagli operati nel settore del TPL.

La nostra Regione avrebbe in sé tutte le caratteristiche per poter governare

un processo di reale ammodernamento della rete stradale e ferroviaria re-

gionale se solo avesse una maggiore autonomia. Non a caso ha voluto con

forza ed ha ottenuto l’indizione del referendum previsto dall’Art. 116 della

Costituzione, convinti come siamo che, con maggiore capacità decisionale

e maggiore autonomia finanziaria potremo intervenire in maniera più effi-

ciente ed efficace, a tutto vantaggio dei nostri cittadini e di tutti quelli, e

sono tanti, che oggi frequentano il Veneto facendola essere la prima regione

turistica italiana.”

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98 99 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Dalle grandi opere alla mobilità sostenibile

Il Piano mobilità della Regione Veneto punta su ferrovie e ciclovie.

C’era una volta un grande piano di infrastrutture stradali, un piano che le-

gava il Veneto a Sud, a Nord a Est e a Ovest. Un piano che è stato in parte

accantonato. Per ragioni diverse. In primo luogo la contrazione delle risor-

se pubbliche. In secondo luogo un ripensamento delle politiche legate alle

grandi opere, in seguito al fallimento della Legge Obiettivo e alle verifiche

dell’insostenibilità dei meccanismi che avevano caratterizzato progettazione

e costruzione delle grandi opere. Tempi dilatati, poca certezza, dispersione

delle risorse, poca trasparenza. Insomma una pluralità di cause. A cui va ag-

giunto, last but not least, un cambiamento di prospettiva rispetto ai sistemi

di trasporto nel segno della mobilità sostenibile. Così se da un lato si è garan-

tito il completamento dei tracciati della Valdastico Sud e della Pedemontana

e si insiste sulla terza corsia della A4 Venezia – Trieste, si è provveduto pro-

gressivamente a orientare gli investimenti verso le opere ferroviarie e verso

una maggiore integrazione con il sistema della mobilità collegata al turismo

sostenibile. Volendo sintetizzare si potrebbe dire che in questi anni la scelta

di fondo è stata quella di passare dalla centralità della gomma a quella del

ferro integrata con un ampio piano di piste ciclabili. Così in attesa che si com-

pleti la rete di Alta Velocità/Capacità da Verona a Mestre, risolvendo il nodo

di Vicenza, si decida cosa fare per il collegamento ferroviario con l’aeroporto

Marco Polo e si definiscano le strategie da parte dell’Autorità portuale di Ve-

nezia, l’attenzione della Regione si sposta sul completamento e il progressi-

vo efficientamento del Sistema metropolitano ferroviario regionale (SMFR)

e sulle infrastrutture necessarie a dare una risposta alla crescente domanda

del cicloturismo.

Il Sistema metropolitano ferroviario regionale (SMFR)Come si legge in un documento della Regione Veneto, tra i principali obiettivi

degli ultimi anni, vi è stata la riduzione del deficit di infrastrutture di tra-

sporto. E nell’ambito di una riorganizzazione finalizzata a un sempre miglior

utilizzo del trasporto su ferro, “un posto di assoluto rilievo è dato dall’atti-

vazione del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR). median-

te il quale si intende non solo migliorare le prestazioni del modo ferroviario

nell’area centrale veneta, ma soprattutto comporre un sistema di trasporto

col più alto livello di complementarietà tra ferro e gomma, in grado di ridurre

di EMANUELE

INCANTO

significativamente la congestione delle strade, l’inquinamento atmosferico e

acustico e l’incidentalità, garantendo collegamenti veloci, confortevoli e sicu-

ri tra la residenza, il luogo di lavoro, di studio o di svago.”

Attraverso la creazione di un nuovo sistema di trasporto integrato, esteso a

tutto il Veneto, concettualmente simile a quello delle metropolitane urbane,

la Regione intende garantire buoni livelli di mobilità della popolazione in un

contesto territoriale a struttura policentrica; migliorare la qualità dei servizi

regionali di trasporto collettivo in modo da renderli attrattivi per qualità e

livelli di servizio e competitivi con il trasporto individuale; contribuire al con-

tenimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico generati dalla

mobilità; aumentare la sicurezza del trasporto garantendo collegamenti ve-

loci, affidabili e sicuri. L’integrazione ferro/gomma secondo il piano regio-

nale dovrebbe funzionare attraverso la rete ferroviaria che deve assicurare

il collegamento rapido e frequente tra i centri urbani, mentre al trasporto su

gomma (auto private e trasporto pubblico) è demandato il collegamento tra i

nodi ferroviari e gli insediamenti diffusi sul territorio. L’efficienza del sistema

si basa su una metodologia innovativa che, partendo dalla individuazione dei

bisogni e delle esigenze di mobilità generate dal territorio, attuali e futuri,

ha individuato un piano dei servizi di trasporto in grado di soddisfarle, attra-

verso un approccio di forte contestualizzazione socio-economica, territoriale

ed ambientale. Secondo la Regione una volta completato il SFMR “porterà

ad una riduzione di 45 milioni di utenti l’anno sulle strade, di 9 milioni sugli

autobus, e un conseguente incremento di 54 milioni di utenti l’anno sulle

linee ferroviarie.” Ma per raggiungere questi obiettivi sono ad oggi necessari

una serie di interventi volti a migliorare l’efficienza della rete, eliminando le

attuali strozzature e raddoppiando alcuni binari; operando la ristrutturazione

di alcune stazioni e creandone di nuove in punti strategici del territorio; elimi-

nando quasi tutti i passaggi a livello esistenti sulle linee. Così come si rende

necessario un ulteriore miglioramento quantitativo e qualitativo dell’offerta

di convogli ferroviari con caratteristiche metropolitane, realizzata anche tra-

mite acquisizione di nuovo materiale rotabile. Complessivamente si tratta

di 37 nuove fermate e stazioni; 162 interventi di adeguamento di fermate

esistenti; 407 soppressioni di passaggi a livello, nella maggior parte dei casi

mediante sottopassi o cavalcaferrovie. Un fattore importante nello sviluppo

e nel miglioramento in termini di servizi del SFMR è costituito dalla conso-

lidata collaborazione fra la Regione Veneto e il Gruppo FS, RFI S.p.a., così

come nel potenziamento della rete ferroviaria regionale. Nel recente Contrat-

to di programma fra MIT e RFI infatti sono state inserite opere importanti

come il raddoppio della tratta Maerne Castelfranco sulla linea per Trento, il

nuovo ponte sul Brenta a Vigodarzere in provincia di Padova, l’elettrificazione

di varie tratte nella zona pedemontana e nel bellunese.

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100 101 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

FAVARO MASSIMO SRLSRL

L’incremento del turismo passa per le ciclovieCon il potenziamento del SFMR si riduce il tempo di percorrenza dei resi-

denti e si migliora il servizio anche per i turisti che fanno del Veneto la pri-

ma regione in Italia per presenze, arrivi, indotto economico proveniente dal

turismo. Lo sviluppo turistico costituisce infatti uno degli assett principali,

insieme alla produzione industriale e ai servizi, che contribuiscono alla co-

struzione del PIL regionale. E la mobilità e la qualità delle infrastrutture ne

sono un fattore nevralgico. In questo ambito, una delle grandi novità è la

crescita della domanda di cicloturismo. Del resto entrambe queste modalità

costituiscono due pilastri delle politiche per migliorare la qualità dell’aria

perseguite da tutte le Regioni della pianura padana e attuate dalla Regione

Veneto con il Piano regionale di Risanamento dell’Atmosfera. Per quanto

riguarda le ciclovie il Veneto ha già un posizionamento di eccellenza, col-

locandosi in terza posizione in Italia dopo Emilia Romagna e Trentino Alto

Adige per l’incidenza dell’indotto prodotto dal “sistema bicicletta” sul to-

tale del PIL regionale. Attraversano il Veneto ben 5 delle 10 ciclovie princi-

pali a livello nazionale: la Ciclovia del Sole nella tratta Verona Firenze e la

Ciclovia Ven.To da Venezia a Torino; la Ciclovia del Garda, la Ciclovia Adria-

tica e la Ciclovia Trieste-Lignano Sabbiadoro-Venezia. Per quanto riguarda

le prime due la Regione ha sottoscritto con il MIT, il MIBACT, la Regione

Lombardia, la Regione Toscana, la Regione Piemonte e la Regione Emilia

Romagna due specifici protocolli di intesa relativi alla progettazione e alla

realizzazione delle due infrastrutture turistiche. Un protocollo similare, con

il MIT, il MIBACT, la Regione Lombardia e la Provincia Autonoma di Trento

è stato siglato nell’agosto scorso anche per la Ciclovia del Garda. Il percorso

della Ciclovia del Sole si sviluppa lungo l’Eurovelo 7, uno degli assi ciclabili

individuati a livello Europeo che attraversa la nostra Penisola da Nord a Sud.

Di questo percorso, una prima tratta, dal Brennero a Verona e Lago di Gar-

da, è stata già per lo più completata, pur in assenza di un coordinamento

nazionale. Così come per la Ven.To il MIT ha assegnato alle Regioni capofila

(Emilia Romagna e Lombardia) le risorse per la redazione del progetto di

fattibilità tecnico economica. Un’importanza particolare riveste la Ciclovia

del Garda, un anello di 140 km lungo le sponde del lago che tocca ben 19

comuni rivieraschi connessa ad EuroVelo. Da qui l’impegno del MIT a contri-

buire con fondi europei alla progettazione di fattibilità tecnico economica e

alla successiva realizzazione, rispettivamente nella misura del 2% e del 50%

dell’importo totale dei lavori.

La crescente importanza assunta dalle ciclovie trova una conferma nel varo

del progetto strategico regionale Green Tour Verde in movimento, realizza-

to in collaborazione con il dipartimento di ingegneria ambientale dell’Uni-

versità di Padova, che interessa il territorio di 75 comuni che appartengono

a 6 provincie della Regione del Veneto (Treviso, Venezia, Padova, Vicenza,

Rovigo e Verona) e che fanno parte di 8 dei Sistemi Turistici Tematici defi-

niti dalla legge turistica regionale del 14 giugno 2013, n. 11. Il percorso cicla-

bile, inoltre, attraverserà 5 Parchi Regionali, 28 Siti di Interesse comunitario

(SIC) e 4 Zone a protezione speciale (ZPS). La governance del progetto resta

in capo alla Regione e viene esercitata attraverso una cabina di regia.

A completare il quadro vi sono poi una molteplicità di interventi finanziabili

con le risorse del Fondo FSC PAR 2007-2013, per complessivamente 308 km

di piste ciclabili con il coinvolgimento di n. 83 comuni. Di questi ne sono sta-

ti già finanziati 241 km, interessando l territorio di 48 comuni, per un totale

di cofinanziamento di circa 15 milioni e mezzo di euro.

Per garantire un adeguato e lineare processo di sviluppo del cicloturismo la

Regione ha attivato un tavolo allargato a tutti gli operatori coinvolti, pun-

tando a una governance condivisa in grado di facilitare sinergie e interazio-

ne anche con gli altri sistemi di trasporto. Tre i temi di lavoro principali: la

predisposizione di un aggiornamento della cartografia regionale, utile alla

definizione di una gerarchia e delle funzioni dei percorsi europeo, nazionale,

regionale, interprovinciale e comunale, a cui destinare risorse; la creazione

di un sito istituzionale a servizio degli utenti con relativa app; l’individua-

zione, con RFI e Sistemi Territoriali, di iniziative a sostegno dell’intermo-

dalità tra percorsi ciclabili e linee ferroviarie. Per capire l’importanza che la

Regione Veneto imputa a questo segmento infrastrutturale basti il fatto

che al CosmoBike tenutosi alla fiera di Verona nel mese di Settembre erano

presenti, oltre al Govenatore Zaia, i due assessori al turismo e alle infra-

strutture. Ciò a riprova di quanto recentemente deciso dalla Giunta regiona-

le di inserire la mobilità ciclabile e il cicloturismo tra le “leve strategiche per

il territorio, per l’occupazione, per il paesaggio, per l’economia diffusa e per

rianimare le comunità locali nelle nostre aree interne.”

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102 103 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervistaL’intervista

Con la cultura cambiare si può, mettendo al bando la cattiva edilizia

Per ottenere competitività e sicurezza bisogna puntare su conoscenza e prevenzione.

Giovanni Prearo è un imprenditore padovano, presidente dei giovani co-

struttori del Veneto. in questi anni in cui ha assunto la leadership regio-

nale ha puntato tutto sulla cultura, nella sua accezione più vasta. “Il no-

stro settore, l’edilizia, si caratterizza purtroppo per un livello culturale tra

gli imprenditori e gli operatori troppo basso. Non si da valore allo studio,

alla lettura, alla conoscenza intesa come crescita personale. Eppure ormai

è evidente che nell’era della globalizzazione e della velocità del cambia-

mento aggiornarsi, avere strumenti per capire quel che succede non è un

fattore marginale bensì decisivo se si vuole crescere ed essere competiti-

vi. Ciò vale, tuttavia, in un mercato dove le regole e i diritti siano chiari e

dove venga premiato chi sa fare meglio. Forse la marginalità in termini di

valore e di priorità della cultura nel nostro settore è anche il risultato che

nelle costruzioni il mercato non è funzionale al risultato. Ovvero l’apparato

normativo ed amministrativo non ha come obiettivo assicurare ai cittadini

opere fatte bene e che costino il giusto, bensì un burocratico rispetto nei

confronti di regole formali che spesso entrano in contrasto con il bene co-

mune e la qualità. Ma anche con la sostenibilità economica.”

Per Prearo fare impresa edile oggi è quanto mai difficile. Per cambiare le

cose è convinto che si debba uscire dal confronto tra addetti ai lavori e

aprirsi all’opinione pubblica, rivolgersi ai cittadini, alla gente comune, alle

famiglie. “Tutte le nostre iniziative più recenti si caratterizzano per questo

approccio. Come il ‘ciclo del bello’, una serie di incontri volti a mostrare

l’alto potenziale estetico, qualitativo e durevole di un’edilizia basata su

una cultura tecnica, ma anche su un forte senso di responsabilità sociale.

Diventa oggi quanto mai rilevante poter contare sulla consapevolezza che

sia possibile realizzare opere edili di qualità, funzionali alle esigenze della

vita e del lavoro di oggi. Noi ci rivolgiamo innanzitutto alle committenze

private, più libere e attente al risultato finale. Puntiamo sulla cultura pro-

prio perché soltanto attraverso una crescita di questo tipo potremmo in

futuro ammirare case e palazzi del valore di quelli che oggi fanno la nostra

storia. Egualmente, passa da questa consapevolezza un’attività costante

di manutenzione ordinaria e straordinaria in grado di garantire sicurezza e

a GIOVANNI

PREARO

Presidente giovani

imprenditori

Ance Veneto,

di MARTINO

ALMISISI

rispondere alle attuali esigenze di sostenibilità energetica e ambientale.

Sul fronte pubblico non si può prescindere da un maggior senso di respon-

sabilità da parte delle amministrazioni locali. Per crescere le nostre impre-

se hanno bisogno di essere valutate e selezionate da persone competenti e

responsabili, disposte al dialogo e non a costruire barriere seguendo tem-

pi decisionali incompatibili con un’attività economica. Abbiamo bisogno

di amministrazioni orientate a favorire una competizione che si basi sul

saper fare, sulle capacità organizzative, su conoscenze tecnologiche ade-

guate, su un’organizzazione e una gestione di impresa di tipo industriale.”

Prearo ha coinvolto i suoi colleghi delle diverse associazioni provinciali

in questo progetto condividendone i presupposti culturali e gli obiettivi,

portando queste convinzioni anche al tavolo con gli altri gruppi giovanili

delle regioni del Nord. “Periodicamente ci incontriamo e ci confrontiamo,

trovando in un evento annuale il momento in cui le nostre riflessioni sui

diversi temi di interesse della nostra categoria possano confluire in una se-

rie di proposte. Quest’anno abbiamo posto al centro del convegno il tema

della messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare. E la

soluzione, anche in questo caso, non può che essere trovata lavorando per

affermare una consapevolezza dei livelli di rischio che caratterizzano i no-

stri territori rispetto alle calamità naturali e a un grande lavoro per affer-

mare una condivisa e diffusa cultura della prevenzione. Lo slogan con cui

ci presentiamo all’esterno è Vacciniamo il territorio. Perché vaccinarsi vuol

dire prevenire la malattia, evitare di star male. Vaccinarsi per evitare che il

degrado ci travolga così come le piene, le inondazioni. Vaccinarci per saper

convivere con i terremoti predisponendo per tempo tutte quelle misure che

evitino agli edifici di collare sulle persone, le strade di scomparire sotto le

frane. Il nostro vuole essere un appello alle istituzioni, a chi deve investire

affinché si pianifichino una serie di azioni che consentano di aumentare il

livello di conoscenza e consapevolezza.”

I giovani Ance delle regioni del Nord d’Italia hanno messo a punto quel-

lo che loro hanno definito un “manifesto”, un elenco di proposte su che

cosa si debba fare per evitare il degrado del territorio e per avviare un pro-

gramma di prevenzione. Il documento contiene importanti considerazioni

sulla necessità di cambiare approccio, mettendo ad esempio al centro di

qualunque “strategia” la conoscenza puntuale del territorio, a cui non può

che non seguire un investimento per riorganizzare una capillare attività di

osservazione e di monitoraggio. Ripristinare servizi quotidiani da tempo

abbandonati, ricostituire una rete di competenze minime di carattere tec-

nico sono priorità non esplicitate nel documento. Un aspetto importante

riguarda il ruolo di governo dei processi e la forza decisionale delle ammi-

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104 105 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervista

nistrazioni locali e del sindaco in particolare. Una capacità decisionale che

è strettamente connessa a quel senso di responsabilità sottolineato da

Prearo. “Non si riesce a capire come si possa difendere le popolazioni dai

rischi di calamità senza obbligare chi sbaglia a correggere, chi fa cose che

non si debbono fare o che mettono in pericolo la comunità a intervenire.

Perché, invece di assistere a decine di ordinanze di Commissari o altre fi-

gure straordinarie chiamate a gestire emergenze successive alle catastrofi,

non si emettono ordinanze prima, così da prevenire i disastri? É questa

una priorità. Poi certo bisogna anche attivare politiche fiscali incentivanti

tali da favorire questi interventi in una logica di prevenzione. Così come

bisogna superare ormai anacronistiche concezioni che impediscono di ga-

rantire sicurezza e qualità come le resistenze rispetto alla demolizione e

ricostruzione che oggi, invece, dovrebbe diventare la strada maestra se vo-

gliamo veramente cambiare le nostre città e il nostro ambiente costruito.”

Nel documento sembra tuttavia mancare quella necessaria autocritica che

chiama in causa la cattiva edilizia che spesso si annida anche tra le im-

prese associate ad Ance e che finisce spesso sui banchi degli imputati in

seguito a catastrofi naturali. Tuttavia la questione è ben chiara a Prearo

che è convinto dell’urgenza di battersi come associazione per arrivare a

una qualificazione delle imprese, fattore imprescindibile se veramente si

vuole riaffermare un’edilizia di valore come quella che è stata protagonista

nel “ciclo del bello”.

“É veramente assurdo e inaccettabile che sia possibile aprire un’impresa e

costruire edifici senza alcuna competenza e struttura organizzativa, sen-

za prevedere alcuna valutazione di ingresso nel mercato. Quali garanzie

può dare un imprenditore che è tenuto a firmare tutti gli elaborati strut-

turali di qualunque opera realizzi, dal pollaio al ponte, insieme al proget-

tista e ai tecnici, se non è quasi mai in grado di comprendere quello che

firma? Bisogna assolutamente mettere fine a questa cattiva prassi che è

alla base della cattiva edilizia.”

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e

107 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017

Il recente invito rivolto dal ministro dello sviluppo economico Carlo Calen-

da alla sindaca di Roma e al presidente della Regione Lazio per avviare un

grande progetto per Roma è un segnale importante. Sta ad indicare che fi-

nalmente il futuro di Roma Capitale diventa una questione nazionale, come

è giusto che sia. Probabilmente resterà un tentativo, viste le reazioni degli

interlocutori del ministro e considerato che ci avviamo rapidamente alla fine

della legislatura. Tuttavia è una buona notizia per chi, come noi, è impegnato

per una rigenerazione urbana e territoriale, sia rispetto alla Capitale che alle

molte aree degradate e bisognose di rilancio economico e di riqualificazione.

Avviare la rigenerazione di un’area vasta e complessa come quella che oggi

rientra amministrativamente nella competenza di Roma Capitale richiede

tempo, competenze e soprattutto una volontà politica in grado di impegnare

risorse e costruire un sistema di governance volto a superare tutte quelle

criticità amministrative, normative e gestionali che continuano a costituire i

fattori principali di freno. Ed è qui che si gioca la credibilità e la fattibilità del

piano. Con la nuova legge sulla rigenerazione urbana, varata recentemente

dalla Regione Lazio, si sono create tutte le premesse affinché sia possibile

intervenire sul patrimonio esistente e rendere conveniente investire. Resta

invece tutta aperta la questione delle regole connesse alla gestione pubbli-

ca. Quel che più preoccupa è un sistema dei lavori pubblici che non assicu-

ra ai cittadini una sufficiente qualità e sicurezza delle infrastrutture e delle

opere. E questo perché si è perso di vista il fine ultimo dell’opera pubblica e

del processo necessario a realizzarla. Ciò che, infatti, guida norme e politiche

non è garantire la qualità dell’opera, ovvero che sia fatta bene ad un costo

giusto, in tempi certi e compatibili con le reali esigenze delle popolazioni e

del tessuto economico locale. Tutto questo passa in secondo piano rispet-

to al garantire una formale concorrenza, fondata sul massimo risparmio. Il

che non vuol dire che non si debba salvaguardare questo principio, ma esso

deve essere ricondotto a quello superiore della garanzia del risultato atteso.

É quindi necessario invertire le priorità, mettendo in cima alla scala la qualità

delle opere e cambiare prospettiva, così da garantire ai cittadini un risultato

che è comunque impossibile da conseguire senza competenza, chiarezza dei

ruoli, senso di responsabilità delle pubbliche amministrazioni. Perché solo

così i cittadini potranno tornare ad avere infrastrutture ed edifici sicuri e ben

costruiti, le imprese a vedere premiata la capacità di lavorare bene e di inno-

vare, i progettisti riconosciuta la loro professionalità.

Un cambiamento di prospettiva per garantire opere pubbliche sicure, ben costruite e a prezzi giusti

di STEFANO

PETRUCCI

Presidente Ance Lazio

Editoriale

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108 109 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervistaa NICOLò

REBECCHINI

Presidente ACER,

di MARTINO

ALMISISI

La soluzione è un piano di rinascita a lungo raggio con il coinvolgi-mento di istituzioni, imprese e cittadini.

Niccolò Rebecchini è da qualche mese il nuovo presidente dell’ACER, l’as-

sociazione che rappresenta le principali imprese di costruzioni di Roma e

provincia. La sua elezione avviene in un momento particolarmente diffici-

le per la città, così come per l’industria edilizia. La sua storia personale e

imprenditoriale è fortemente intrecciata con la storia della città. Il degra-

do che vive quest’ultima è un dolore reale che produce sconforto, ma an-

che un profondo desiderio di contribuire in qualche modo a una rinascita.

Parliamo subito di Roma. Come vede il futuro della città? “Fa veramente male vedere lo stato di abbandono in cui vive Roma come

città e come Capitale d’Italia. Le vicende politiche e di cronaca che ormai

da quasi un ventennio la caratterizzano hanno condotto a uno stato fisi-

co, morale, economico e anche sociale della popolazione del tutto inaccet-

tabile. La storia delle trasformazioni urbanistiche e dell’edificazione della

città troppo spesso ci dice che non c’è stata una pianificazione ordinata e

fondata su criteri e logiche tali da consentire a una città come Roma, che

ha una straordinaria unicità, di recuperare una identità in grado di rappre-

sentare insieme il suo valore storico e la complessità della modernità. É

come se avessimo rinunciato al futuro, se ci fossimo arresi pensando, (in

maniera errata) che la ricchezza del nostro patrimonio monumentale ba-

stasse a farci sopravvivere. Contemporaneamente, abbiamo assistito a

un’occupazione del potere e a una degenerazione nei rapporti tra pubblico

e privato secondo logiche di interessi particolari, spesso illegittimi se non

ispirati a logiche criminali, che ne hanno accelerato l’attuale sconfitta. Tan-

to che oggi questa resa - nonostante dichiarazioni di segno contrario - la

troviamo in scelte rinunciatarie, dove predomina una visione amministrati-

va fondata sulla paura invece che sulla sfida del futuro. É come se sulla cit-

tà fosse scesa una nube soporifera che alimenta un clima mefitico basato

sulla contrapposizione anche violenta, quando invece ci sarebbe bisogno di

riflessione, dialogo e collaborazione. Quel che serve è un clima diverso che

favorisca l’individuazione di ciò che questa città ha di bello e di valore e su

questo fondare un nuovo patto sociale da cui far scaturire un’idea vincente

di sviluppo.”

L’intervista

Dare un futuro a Roma Capitale: insieme per un grande progetto di rigenerazione

Quale ruolo dovrebbe avere l’ACER e quali le principali criticità a questa auspicata inversione di rotta?“Abbiamo bisogno di metterci intorno a un tavolo, forze politiche, asso-

ciazioni di rappresentanza del tessuto economico, mondo delle professio-

ni, mondo del lavoro e le istituzioni Stato, Regione e Comune. Dobbiamo

riattivare i gangli nervosi e positivi del confronto. Dobbiamo riuscire a far-

lo nell’interesse della città, ovvero di tutti coloro che vi vivono, vi abitano

e vi lavorano, così come dei tanti turisti che ogni giorno vi arrivano e trop-

po spesso restano colpiti dalla bellezza e dal valore storico dei nostri mo-

numenti ma allo steso tempo verificano, stupiti, la lontananza in termini

di qualità dei servizi rispetto alle città da cui provengono.

Dobbiamo darci un metodo e trovare un percorso. Ma per farlo diventa es-

senziale e prioritario accettare di fare tutti un passo indietro e soprattutto

di cambiare il nostro modo di guardare al rapporto tra la città e i diversi

interessi che vi gravitano attorno. Con questo non voglio dire che questi

non siano legittimi, ma che dobbiamo provare a metterli in sinergia con

qualcosa di più alto: l’interesse generale di Roma a trasformarsi in una

vera città moderna al passo con le altre grandi capitali europee.

Dobbiamo condividere un metodo che non può che avere alla base il su-

peramento dell’improvvisazione e della superficialità con cui si guarda ai

problemi di Roma. Un metodo che ponga al centro valori solidi come la

competenza, partendo dalla complessità che oggi caratterizza il nostro

attuale mondo e mettendo a fuoco senza timori le principali criticità, quei

fattori umani, culturali, organizzativi che tengono bloccata la città e le

impediscono di cambiare e di trasformarsi. Dobbiamo trovare il modo

di “vedere” le risorse che vi sono, sostenendole e valorizzandole e allo

stesso tempo affossare ed eliminare con grande coraggio e decisione le

cancrene che ci portiamo dietro da troppo tempo. Dobbiamo trovare stru-

menti nuovi. Ma dobbiamo farlo tutti insieme.

Uno dei mali della città è rappresentato dal mancato riconoscimento del-

le cose buone fatte dall’avversario politico. Un metodo che ha prodotto

e continua a produrre risultati nefasti. Azzerare il passato è quanto di

più deleterio si possa fare. Viceversa, appropriarsi delle cosse buone di

chi ci ha preceduto costituisce un elemento prezioso per crescere. Io sono

convinto che sia possibile invertire la rotta e avviare un percorso nuovo in

questa direzione. Certo bisogna guardare in alto, senza sottovalutare le

difficoltà e la complessità delle problematiche accumulatesi nel tempo.

Ma dobbiamo provarci. Noi, come imprenditori edili e come associazione

dobbiamo essere sempre più consapevoli che siamo parte di quella classe

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110 111 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

dirigente che non può sottrarsi alle sue responsabilità. Perché se voglia-

mo essere protagonisti di una ripresa e di una nuova fase positiva per la

nostra città e per le nostre imprese non possiamo partecipare in maniera

attiva a questo irrinunciabile cambiamento.”

Da quello che lei mi dice emerge una forte volontà a spostare l’attenzio-ne dai temi tradizionali, mi lasci dire, di “categoria” e di settore” ver-so una proposta metodologica per un grande progetto di riscatto e di rinascita coinvolgendo tutte le istituzioni rappresentative pubbliche e private intercettando anche quelle realtà presenti nella società civile e provenienti dall’economia reale che possono dare un contributo e condi-videre un percorso comune. Lei sembra convinto che senza un approccio e un modo diverso di guardare alla città i problemi contingenti non po-tranno essere risolti…“Ne sono profondamente convinto. Del resto le nostre imprese sono quel-

le aziende piccole e medie a carattere familiare che oggi debbono crescere

e trasformarsi per saper cogliere le opportunità che in altre zone del Paese

stanno caratterizzando il mercato delle costruzioni. Ma per farlo abbia-

mo bisogno di una domanda diversa, abbiamo bisogno che Roma guardi

al suo futuro con ambizione e sappia trovare idee e progetti in linea con

quelli che sono i driver della nostra contemporaneità: sostenibilità, ma-

nutenzione, qualità ed estetica coerentemente con la nostra storia.

Dobbiamo correggere gli errori fatti e dobbiamo ripensare la struttura

complessiva della città. Da questo punto di vista vi è ampio consenso sul

fatto che se si vuole scommettere su un futuro migliore e a misura delle

capitali degli altri Paesi occidentali si debba costruire un grande progetto

di rigenerazione.

Dobbiamo accettare il fallimento della visione proposta dall’ultimo pia-

no regolatore e ripensare gli stessi strumenti urbanistici, guardando alle

esperienze estere e al diverso e più virtuoso rapporto tra visione, gover-

nance dei processi e regole. Troppo spesso il fallimento di grandi progetti

ha all’origine un sistema normativo che invece di essere al servizio dei

risultati li condiziona pesantemente, impedendone il raggiungimento.

Ecco perché insisto sulla necessità di un’ampia condivisone metodolo-

gica, l’accettazione e un impegno forte e ampio su una visione comune

a cui collegare questa metodologia dalla quale far scaturire un profondo

ripensamento su strumenti e regole.

Il tessuto imprenditoriale romano è stato colpito duramente dalla crisi e

molte imprese hanno rinunciato o sono state poste ai margini del merca-

to delle opere pubbliche. Imprese storiche e che hanno realizzato alcune

opere significative e qualitativamente apprezzate restano con fatica “in

panchina” a causa di politiche e gestioni amministrative che impongono

logiche normative che continuano a penalizzare le ”buone” impese, quelle

che applicano il contratto di lavoro, pagano i contributi, hanno competen-

ze. La città sta rinunciando a risorse preziose che oggi dobbiamo recupe-

rare e rimettere in campo.

Un grande piano di rigenerazione deve basarsi su una forte idea di Roma,

fondata sulle sue vocazioni.Un grande piano di rigenerazione deve basar-

si su progetti che sappiano porre al centro fattori economici innovativi,

attirare investimenti nazionali e internazionali, così da consentire una

trasformazione non solo fisica, ma anche produttiva mettendo in gioco

nuove tecnologie e creando le condizioni per garantire adeguati ritorni agli

investitori.

É chiaro che è necessario superare visioni conservative o posizioni ideo-

logicamente oggi superate dalla storia. Faccio solo un esempio: come è

possibile pensare di migliorare la qualità della vita dei quartieri e della

periferie senza consentire la demolizione e ricostruzione con adeguati in-

centivi e trovando soluzioni tecniche sostenibili, sia per quanto riguarda

gli abitanti che gli operatori?”

L’intervistaL’intervista

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112 113 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Il piano paesaggistico regionale tra esigenze di tutela e sviluppo

di STEFANO

USSEGLIO

Direttore

Ance Lazio

Limiti e opportunità di un sistema di governance in grado di ripianifi-care e riqualificare i territori.

Nel quadro normativo nazionale e regionale il piano territoriale paesaggi-

stico regionale (PTPR) rappresenta uno strumento di pianificazione territo-

riale fondamentale per coniugare esigenze di tutela ed esigenze di ordinato

sviluppo. Nel Lazio il PTPR è stato adottato nel 2007 e pubblicato a feb-

braio 2008. La legge regionale numero 24 del 1998 prevedeva che il PTPR

fosse approvato definitivamente dalla Regione entro il 31 dicembre 1999.

Tale termine è stato prorogato più volte, da ultimo al 14 febbraio 2018.

La successiva normativa nazionale del cosiddetto “Codice Urbani” (D.lgs

42/2004) prevede che le Regioni, il Ministero per i beni culturali e quello

dell’ambiente possano stipulare intese per la definizione delle modali-

tà di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, stabilendo anche il

termine per la approvazione del piano da parte della Regione.

Il PTPR è sovraordinato e prevalente rispetto agli altri strumenti di piani-

ficazione urbanistica e territoriale e quindi anche nei confronti dei piani

regolatori comunali. Dal 2008 Il PTPR adottato è efficace come misura

di salvaguardia per ogni intervento sul territorio. Certamente è quindi

importante che la sua approvazione definitiva avvenga in tempi brevi.

Tuttavia ad oltre nove anni dalla sua adozione è ora altrettanto fonda-

mentale che nel processo di approvazione vengano apportate tutte le mo-

difiche necessarie per coordinarlo con il contesto territoriale ed economico

attuale e, soprattutto, con la pianificazione territoriale e urbanistica già

approvata o in itinere, ai vari livelli. Infatti il PTPR adottato contiene di-

versi elementi di criticità, più volte evidenziati, che sono oggi fortemente

limitativi per le esigenze di sviluppo territoriale. Di conseguenza il neces-

sario coordinamento e le indispensabili modifiche devono essere oppor-

tunamente calibrate per evitare che le indiscutibili esigenze di tutela del

paesaggio non abbiano ripercussioni negative sullo svolgimento delle cor-

rette attività per lo sviluppo economico e sociale nei territori.

La stessa definizione della tutela, articolata nel PTPR in “sistemi di pa-

esaggio” - naturale, agrario e insediativo - rischia di non cogliere le spe-

cifiche diverse peculiarità dei territori nella regione. Diverse associazioni

imprenditoriali, professionali e del territorio hanno elaborato una serie di

indicazioni sul PTPR, portate in questi mesi all’attenzione delle autorità

politiche regionali.

Innanzitutto emerge l’esigenza di aggiornare le cartografie del PTPR pri-

ma dell’approvazione finale da parte del Consiglio regionale. Per il PTPR

adottato, infatti, sono state utilizzate le carte tecniche regionali con i voli

del 1996 è del 1999 e la carta dell’uso del suolo del 2000. Ciò ha determi-

nato che il PTPR non sia in linea con l’assetto attuale del territorio: ad

esempio vengono classificate come paesaggio naturale o agrario aree già

edificate.

Per le aree libere, invece, il PTPR non ha tenuto conto della pianificazione

urbanistica e quindi numerose aree già previste come ambiti di trasfor-

mazione risultano nel PTPR classificate nell’ambito del paesaggio natu-

rale o del paesaggio agrario. Classificazioni grafiche erronee risultano an-

che rispetto alle decisioni già a suo tempo assunte dallo stesso Consiglio

regionale sulla precedente pianificazione paesaggistica dei PTP.

Ugualmente il PTPR in molti casi non ha tenuto conto di quanto previsto

dai piani di assetto dei parchi già approvati dal Consiglio regionale. Come

detto, l’intero territorio regionale è stato suddiviso e classificato del PTPR

nei “sistemi di paesaggio”, con grande confusione tra aree vincolate e non

vincolate e con risultati distorsivi per la pianificazione locale e per l’effet-

tivo utilizzo del territorio.

Il PTPR contiene inoltre una normativa alquanto confusa in materia di

tutela delle visuali, sia per la loro individuazione, molto dilatata, sia per

la disciplina, vaga, indeterminata e possibile oggetto di interpretazione

discrezionale. Fondamentali correzioni devono essere fatte al PTPR per

quanto riguarda i le aree sottoposte a vincolo da parte dello stesso piano

paesaggistico. Infatti, secondo la legge, il PTPR deve riportare i territori e gli

immobili già vincolati per legge, quelli vincolati con provvedimento dell’am-

ministrazione competente, nonché gli ulteriori immobili sottoposti a tute-

la dallo stesso piano paesaggistico. Per questi ultimi il PTPR adottato nel

2007 sconta la circostanza di essere stato elaborato allora sulla base di una

normativa successivamente modificata dal legislatore nazionale.

In sostanza il PTPR adottato ha dilatato su vaste aree e tipologie di ambi-

ti i nuovi vincoli del cosiddetto “patrimonio identitario”, mentre la nuova

normativa oggi vigente impone indicazioni molto più puntuali.

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114 115 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervistaa FRANCESCO

NELLI

Sindaco

di Cittareale,

Serve un’edilizia che sappia guardareal futuro

Intervista al sindaco di Cittareale, uno dei comuni del reatino colpiti dal terremoto e più danneggiati dal sisma.

Lo scorso anno è stato definito “nero” per via dei numerosi danni causati dai tanti episodi sismici nell’Italia centrale. Cittareale è uno dei comuni colpiti dal terremoto del 24 agosto 2016. Come è stata affrontata l’emer-genza dalla vostra amministrazione? “Sono diventato sindaco il 6 giugno del 2016 e mai avrei pensato di dover

affrontare l’emergenza di un terremoto che il 24 agosto ci ha costretto a

dover ripensare dalle fondamenta la nostra vita. Dopo il sisma del 2016,

nel mio paese, pur non essendoci crolli, abbiamo dovuto far fronte sia all’i-

nagibilità totale della scuola, che a quella parziale dell’edificio comunale.

Nel contempo, abbiamo da subito dialogato con la Prefettura per i soccorsi

ad Amatrice ed Accumoli, mettendo a disposizione il nostro campo spor-

tivo come base operativa avanzata dei Vigili del Fuoco che intervenivano

ad Amatrice. Già da quei primi momenti, ho capito di dover prendere una

decisione che dopo il 30 ottobre è diventata una certezza: rimboccarci le

maniche e ripensare totalmente il nostro territorio ed il nostro vissuto. Le

scosse del 30 ottobre e del 18 gennaio 2017 hanno infatti reso inagibile

totalmente il municipio e ci hanno costretto a chiudere buona parte del

centro storico di Cittareale, situato a monte, in quanto le inagibilità erano

troppo estese. Così dopo i necessari confronti con la Protezione Civile e le

valutazioni del caso, abbiamo ritenuto opportuno di trasferire a valle, nei

pressi della strada Salaria, in un’area chiamata Ricci, sia la scuola che tutti

i servizi fondamentali per il nostro comune.”

Come sta avvenendo la ricostruzione? “In questo momento si stanno prendendo in considerazione i danni più

lievi e quindi le abitazioni classificate come ‘B’. Nei prossimi mesi siamo in

attesa di altri procedimenti amministrativi riguardanti le aree perimetrate

che, nel caso del mio comune, riguardano due frazioni. Sicuramente mi

aspetto che i procedimenti possano essere snelli. Siamo in contatto gior-

naliero con l’Ufficio Ricostruzione della Regione ed abbiamo organizzato

incontri informativi pubblici nelle settimane scorse. Capisco che la buro-

crazia spaventi i cittadini, ma il compito di chi rappresenta le istituzioni

deve essere quello di vigilare ed informare prontamente la popolazione su

di VIOLA MORETTI

Di conseguenza deve essere anche modificata sostanzialmente la norma-

tiva tecnica del Piano. Ad esempio per i beni archeologici il PTPR prevede

una tutela che, in moltissimi casi, va ben oltre le dimensioni del bene pun-

tuale, ricomprendendo nel vincolo vaste ulteriori porzioni di territorio circo-

stante definite “unità di paesaggio assolutamente eccezionali”.

Per gli ambiti da assoggettare a riqualificazione il PTPR prevede proce-

dure assai macchinose e indirette. Non sono state individuate procedure

dirette che possano invece assicurare la reale e rapida attuazione degli

interventi. In alcuni casi addirittura tali procedure sono in contrasto con

scelte urbanistiche già operate e condivise. Ulteriori criticità riguardano le

aree demaniali marittime, le attività estrattive e lo sviluppo delle attività

agricole.

Infine, con l’approvazione del PTPR deve essere chiarita inequivocabil-

mente la piena validità della pianificazione comunale generale e attua-

tiva già approvata definitivamente dalla Regione. Altrimenti si verrebbe

a determinare una lunga fase di estrema incertezza per ogni iniziativa a

livello territoriale, con l’effetto negativo di scoraggiare gli investimenti a

tutti i livelli nella nostra regione.

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L’opinionedi GIACOMO

ROVERSI

Presidente

Edilformazione

Rieti

116 117 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

L’intervista

tutte le ordinanze che stanno susseguendosi in questi mesi. Trattandosi

di denaro pubblico occorre gestirlo nella maniera più trasparente e aderen-

te alle norme.”

Quali sono le priorità e le principali azioni da mettere in atto sul territo-rio per evitare nuovi disastri? “Io credo che nella fase di emergenza vera e propria, e mi sembra che il

mio pensiero sia condiviso da molti, si è ancora una volta data dimostra-

zione di grande preparazione da parte della Protezione Civile e da tutte le

Forze impegnate. E parliamo di un evento mai affrontato e che ha visto

numerose repliche. Quello che dobbiamo fare è capire che in una casa, in

un edificio pubblico, la priorità assoluta deve essere quella delle strutture

portanti. Molto spesso ci occupiamo di curare l’arredamento, gli impianti

all’interno delle case, che tuttavia rimangono strutture fatiscenti. Dobbia-

mo anche qui segnare un cambio di passo.”

Come fare perché la ricostruzione divenga un’opportunità di sviluppo? “Rimboccandoci le maniche e cercando di programmare il futuro in manie-

ra intelligente. La scelta di portare a valle i servizi, visto anche il periodo

storico attuale, ci è sembrata la più vincente e consona; oggi il nostro pae-

se va ripensato alla luce di nuove strategie digitali, di ecosostenibilità e di

costruzioni antisismiche. Solo rilanciando in questo modo e pensando alle

nostre produzioni tipiche e ai nostri tesori ambientali, possiamo affronta-

re questo periodo di difficoltà cercando di cogliere le opportunità che già

numerose abbiamo trovato sul nostro percorso.”

Quale ruolo può avere l’edilizia?

“L’edilizia ha un compito epocale: quello di ripensare in maniera ecoso-

stenibile e tecnologica (domotica) i nostri territori. Il dibattito sulle mo-

dalità costruttive è inevitabile in questi frangenti. Ma credo che più che

le tipologie di costruzione, dovremmo soffermarci su un’edilizia che sap-

pia guardare al futuro senza aver paura di utilizzare materiali innovativi e

sfruttare tutte le tecnologie, cercando nel contempo di non snaturare la

tipicità tradizionale delle nostre costruzioni. Credo che sia una sfida emo-

zionante e nel nostro paese sicuramente siamo all’avanguardia su queste

tematiche.”

Dal passato lezioni sul terremoto

Le regioni centrali si devono dotare di strutture formative competenti per ricostruire e prevenire i danni.

Il 24 agosto del 2016 si manifesta la più importante sequenza sismica re-

gistrata in Italia dal 1980, dal terremoto dell’Irpinia e Basilicata. Un feno-

meno imponente, con circa 77.000 scosse – più o meno 210 al giorno - che

abbraccia un’area di circa 600 km quadrati, interessando 4 regioni (Lazio,

Marche, Umbria e Abruzzo) in un territorio a pericolosità sismica molto

elevata, prevalentemente montano, sul quale insistono due grandi parchi

nazionali: quello dei monti Sibillini e dei monti della Laga. L’evento sismi-

co, secondo i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia,

ha determinato un abbassamento del terreno di 20 cm ad Accumoli, di 18

a Castelsantangelo sul Nera e di 70 cm a Norcia. Ricercando negli annuari

dell’INGV, nella primavera del 1917 un evento sismico interessò un’area ri-

compresa tra le province di Perugia ed Arezzo: il terremoto di Monterchi e

Citerna. Il sismologo Emilio Oddone pubblicò i risultati di una visita al luogo

del disastro fatta circa venti giorni dopo l’evento. Nel suo rapporto scrisse:

“il terremoto fortissimo ha spazzato il mal fatto e ha anche guastato varie

costruzioni non cattive, ma si è spuntato contro i fabbricati a ossatura buo-

na; la qual cosa deve servire da monito e da conforto”. Anche nel 1917, come

ai giorni nostri, nelle settimane successive al terremoto si discusse l’ipo-

tesi di delocalizzare alcuni dei centri maggiormente danneggiati. A questo

proposito Oddone non ha dubbi: “quelle borgate si devono conservare, solo

occorre che le riparazioni e le ricostruzioni siano guidate dalle sagge norme

dell’ingegneria antisismica”. In poche parole, non c’è motivo di delocaliz-

zare, basta costruire come si deve. Oddone aggiunge poi una conclusione

estremamente lucida: “in quanto a noi sismologi, possiamo dire molte cose

assai più importanti di un presagio: possiamo dare agli ingegneri i dati che

permettono loro di costruire le case asismiche, intese a risolvere il grande

problema della sicurezza”. Correva l’anno 1917, ma quante analogie con il

presente? Eppure è trascorso un secolo e molti altri terremoti hanno scos-

so l’Italia con lutti e danni e nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. Quale

imprenditore, tecnico, presidente di un ente di formazione e persona riten-

go ormai indifferibile la costruzione di un sistema formativo consapevole

e capace di intervenire, con competenza, sia a livello politico, sia a livello

sociale, per consolidare la cultura del costruire sicuro.

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119 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017

eLa ricostruzione antisismica delle aree dell’Appennino rappresenta per il

Sistema Bilaterale delle Costruzioni e per il settore della formazione edile

un’occasione storica per misurarsi con problematiche complesse, destinate

ad aiutarci a comprendere in quali ambiti, a quali domande e con quali me-

todologie si debba svolgere un’attività di formazione tecnica, professionale,

ma anche culturale. É in questa logica che il Formedil ha ideato il progetto

formiamo il territorio. Negli incontri organizzati a Rieti, a Tolentino e a Nor-

cia, in tre delle quattro regioni colpite dal sisma nel 2016 (seguirà a novem-

bre un quarto incontro in Abruzzo) abbiamo avviato una riflessione finaliz-

zata proprio a comprendere meglio quale debba essere la formazione del

futuro. La ricostruzione post sisma infatti costituisce uno straordinario ter-

reno di valutazione delle criticità da un lato e delle opportunità dall’altro per

l’industria italiana delle costruzioni. Mettendo a fuoco questa complessità

collegata al tema nevralgico della messa in sicurezza e della rigenerazione

del nostro territorio è possibile individuare quali saranno i percorsi che ca-

ratterizzeranno il settore e le esigenze in termini di conoscenza, competen-

ze e professionalità. L’organizzazione degli incontri ha consentito di avviare

una riflessione e un confronto ampio e autorevole finalizzato alla messa a

punto di una proposta metodologica condivisa su come si debba affrontare

la questione della messa in sicurezza del territorio. Essa si fonda sulla ne-

cessità che il Paese e le istituzioni che lo governano a tutti i livelli si diano

un metodo, stabile, duraturo nel tempo e in grado sia di comprendere situa-

zioni ordinarie finalizzate alla salvaguardia del territorio, sia di affrontare le

emergenze e organizzare e pianificare la ricostruzione. Un metodo che pon-

ga al centro un progetto di rilancio economico, attento alla storia e alle iden-

tità delle popolazioni, in stretta connessione con le caratteristiche geologi-

che e con le vocazioni economiche espresse da queste aree. Un metodo che

affermi l’ordinarietà della gestione di programmi e risorse, accelerando una

crescita in termini di conoscenza. L’auspicio è di un piano di alcuni decenni

garantito da investimenti certi e adeguati, facendo tesoro delle esperienze

e dei progetti del passato con un utilizzo pieno delle potenzialità offerte

dalle nuove tecnologie e dalla ricerca. In una logica di formazione è oggi,

infatti, fondamentale conoscere le metodologie e i materiali più innovativi

disponibili sul mercato per costruire secondo una prospettiva high-tech e

utilizzare le principali tecnologie e gli strumenti migliori per la sicurezza e il

miglioramento statico degli edifici, in una logica di sostenibilità.

Ripensare la formazione per mettere in sicurezza il nostro territorio

di MASSIMO

CALZONI,

FRANCESCO

SANNINO

Presidente

e Vicepresidente

Formedil

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120 121 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

di MARIA

GIGLIOLA

CIRRILLO

Comitato

Nazionale Aree

Interne Presidenza

Consiglio dei

Ministri

La Strategia Nazionale delle Aree Interne: come costruire comunità

Uno strumento di politica attiva e partecipata per sostenere la rico-struzione post sisma.

La Strategia Nazionale delle Aree Interne inserita nell’Accordo di Parte-

nariato 2014-2020 come una delle strategie orizzontali, adottata nel Pia-

no nazionale di riforma 2014 e 2015 come progetto strategico: “Un Paese

che Valorizzi le Diversità”, rappresenta oggi un’azione di governo. Uno

strumento di politica attiva che vede i territori protagonisti e decisori di

interventi, scelti per una qualificazione e un miglioramento dei servizi

essenziali e per una implementazione dello sviluppo locale, destinati a

contenere il processo di spopolamento e invertire il trend negativo.

Una politica di governo in piena attuazione, che per alcune aree prototipo

vede le Regioni e i territori con le amministrazioni centrali già sottoscrit-

tori degli accordi di programma quadro, strumenti di programmazione

operativa con cui Regioni, Centro e territori assumono impegni vincolanti

per la realizzazione degli obiettivi definiti nella strategia e che consento-

no di dare immediato avvio agli investimenti previsti. La strategia nazio-

nale ha rappresentato un metodo nuovo di fare politica territoriale che

ha ottenuto, dal 2012 ad oggi, il consenso di quattro governi nazionali

(Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) e il finanziamento delle risorse stanzia-

te a favore delle Aree Interne con tre Leggi di Stabilità 2014, 2015 e 2016,

per complessivi 190 Mln€.

Attualmente, sull’intero Paese sono state selezionate 72 Aree Interne

che interessano il 3,4 per cento della popolazione (2 milioni di abitanti

al 2011) e raccolgono ben il 16 per cento del territorio nazionale; le aree

hanno una dimensione media di circa 29 mila abitanti (15 Comuni) e coin-

volgono 1081 Comuni (oltre il 13 per cento dei Comuni italiani) con una

popolazione media di poco più di 1.900 abitanti.

La strategia delle Aree Interne costituisce un esempio di policy e un me-

todo di pianificazione territoriale assolutamente innovativo che connota

la sua governance perché si attua con una partecipazione multi-livello

delle istituzioni (Centro – Regioni – associazioni/Unioni di Comuni), si re-

alizza su due linee di azione convergenti e interdipendenti: investimenti

su filiere chiave e interventi sui servizi, prevedendo la copertura finan-

ziaria degli interventi sia con fondi europei gestiti dalle regioni, sia con

risorse nazionali. Riguarda un numero limitato di aree per regione, di cui

la prima viene denominata “prototipo” e si caratterizza per un processo

di selezione delle aree rigorosamente pubblico, trasparente e condiviso.

Si tratta di un processo di selezione (“Diagnosi Aperta”) che si avvale di

un insieme condiviso e innovativo di oltre 100 indicatori (OpenKit Aree

Interne), strumento vasto di diagnostica per la selezione delle aree pro-

poste dalle Regioni e che assiste il Comitato tecnico durante il complesso

lavoro di campo. A valle dell’istruttoria pubblica con cui si definiscono le

aree candidabili, la delibera regionale approva e indica le aree progetto,

individuando il “prototipo”, ovvero l’area che per prima avvia e definisce

una propria strategia.

La strategia nazionale muove dalla costruzione di un’idea-guida capace

di catalizzare competenze specifiche e modificare le tendenze negative

in atto sul territorio. Vede coinvolti in questo processo non solo i rap-

presentativi, ma anche i soggetti rilevanti, con l’obiettivo di andare in

discontinuità con le tendenze in atto per individuare i risultati che si in-

tendono raggiungere in termini di qualità di vita dei cittadini e le azioni

con cui farlo. È una strategia che parte dai bisogni e dalle risorse disponi-

bili (e non potenziali), che fa leva su tutte le “forze vive” per costruire vie

di fuga attorno alle “filiere cognitive” del territorio, legando interventi di

sviluppo e interventi permanenti sui servizi essenziali tali da massimiz-

zare il potenziale innovativo dell’area.

Ma la strategia nazionale delle Aree Interne si caratterizza anche per un

altro aspetto che costituisce una condizione trasversale rispetto ai ri-

sultati attesi di ogni area e che il Comitato tecnico delle Aree Interne ha

considerato sin dall’inizio una vera condizione necessaria alla candidabi-

lità dell’area per la selezione e ammissibilità alla strategia. Il prerequi-

sito della gestione associata di funzioni e/o servizi da parte dei comuni

facenti parte dell’area progetto, rappresenta, come definito dall’Accordo

di Partenariato, la capacità “di essere in grado di guardare oltre i propri

confini per rafforzare un reale potere di promozione e sviluppo, ma anche

di tutela del territorio. I Comuni costituiscono l’unità di base del proces-

so di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui,

i sistemi locali intercomunali, sono partner privilegiati per la definizio-

ne della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti

di sviluppo”. Questa scelta necessitata da parte dei Comuni dell’area,

segnala l’esistenza di un assetto continuativo ed efficiente per l’eroga-

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122 123 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

zione di suddetti servizi (ambiti ottimali), nonché un livello più appro-

priato di esercizio delle funzioni fondamentali. Essa è anche sintomo

dell’esistenza di quella maggiore capacità di progettazione e attuazione

di un’azione collettiva di sviluppo locale, nel senso richiesto dalla stra-

tegia nazionale per le Aree Interne. La soddisfazione del prerequisito, da

verificare prima della sottoscrizione dell’APQ, con il completamento del

processo di selezione delle aree e con la sperimentazione sul territorio

della capacità di aggregazione, ha convinto operatori e istituzioni che il

prerequisito, per non rimanere relegato ad un mero adempimento forma-

le, doveva declinarsi in capacità di progettazione e costituzione di assetti

istituzionali permanenti, coerenti con il processo di maturazione del do-

cumento di strategia. Non più quindi meri raggruppamenti temporanei

creati “su e per progetti\programmi di sviluppo”, (PIT, PISU, PIST, GAL,

ecc.), ma un concreto disegno di gestione ordinaria di funzioni fonda-

mentali e servizi locali che si allinea con i bisogni dichiarati, strumentali

ad una migliore condizione di vita.

Le gestioni associate, già conosciute e disciplinate dal Testo Unico de-

gli enti locali D.Lgs. 267/2000 (articolo 33), hanno assunto oggi valore

e obbligo per le piccole dimensioni; l’art. 14 del DL 78\2010 convertito

in Legge 122\2010 fissa per la prima volta l’obbligatorietà della gestio-

ne associata delle funzioni fondamentali dei Comuni con meno di 5.000

abitanti da realizzarsi esclusivamente nelle forme della Convenzione o,

in alternativa, della Unione .

Il Comitato tecnico delle Aree interne, nelle prime aree e durante le atti-

vità di accompagnamento alle amministrazioni comunali nonché di ana-

lisi del requisito, ha riscontrato luci ed ombre, criticità strutturali e ricor-

renti ma anche reali potenzialità. In particolar modo, sono emersi alcuni

elementi di contesto e fattori strutturali che hanno complicato e reso

complessa la realizzazione di un processo associativo in grado di raffor-

zare le capacità amministrative dei comuni dell’area. Le articolazioni che

i territori propongono sono svariate e flessibili, a geometria variabile, che

coinvolgono anche dimensioni organizzative e amministrative diverse,

ma che avviano un processo associativo costruito sulla adattabilità delle

forme ordinamentali alle esigenze territoriali e che mettono a gestione

associata più spesso servizi che funzioni, i più rispondenti alla strategia

dell’area disegnata dal territorio.

Quindi vediamo Unioni che si convenzionano, Comuni che si convenzio-

nano, Comuni e Unioni che si convenzionano, alcuni Comuni che si con-

venzionano con una Unione e altri Comuni con altra Unione.

L’esercizio di organizzazione amministrativa che i Comuni facenti par-

te dell’area strategica compiono deve rispondere a logiche percorribili in

base alle risorse umane e finanziarie che l’articolazione impone e che

la governance della gestione associata richiede. Tuttavia, il requisito si

considera soddisfatto solo se la pluralità di convenzioni sottoscritte, an-

che a geometria variabile fra i diversi enti e con distinti atti, si riduce a un

numero minimo, ovvero se il numero di convenzioni sottoscritte fra cia-

scuno dei Comuni sia ridotto ad una sola convenzione che coinvolga tut-

ti. Ulteriore aspetto che completa il processo innovativo della strategia è

la previsione di una Federazione delle Aree Interne che doni visibilità ma

soprattutto diventi uno strumento di comunicazione e interoperabilità

tra le aree rafforzando metodi, governance e migliorando la permeabilità

e trasmissibilità delle buone pratiche. In buona sostanza il naturale e

sano domandarsi come si è lavorato su tematiche specifiche e come le al-

tre aree hanno trovato una soluzione alle criticità emerse durante i lavori

di campo, individuando pratiche già sperimentate e capitalizzando rela-

zioni e realizzazioni, è nelle finalità di questa piattaforma informatica.

La Federazione ha quindi la funzione di promuovere l’incontro fra aree,

di veicolare in modo più trasparente e celere le sperimentazioni svolte

con l’evidenza dei percorsi, delle criticità e modalità di superamento

assolvendo ad una chiara esigenza di semplificazione e di snellimento

procedurale, agendo da portavoce verso i diversi livelli istituzionali di ri-

chieste legislative utili ad assicurare processi più efficaci ai bisogni dei

territori. L’istituzione trova la sua materia e spinta dal basso ma anche

un’animazione dal centro che con la visione ampia su tutte le aree inter-

ne del Paese sia meglio in grado di indirizzare e coordinare lo scambio di

conoscenze.

In conclusione possiamo considerare la strategia nazionale delle Aree In-

terne un nuova politica territoriale che mantiene in sé un forte carattere

pedagogico verso la politica nazionale, sia nel metodo sia negli strumen-

ti complessi e sofisticati che a monte reggono il sistema di valutazione

e analisi dei territori. Territori deboli sì, ma anche ricchi di risorse non

riconosciute e/o mal utilizzate, con un capitale umano poco ascoltato

nei bisogni sempre disattesi e nelle iniziative di saper fare che, pur atti-

vando piccole economie di mercato, possono produrre sviluppo locale di

evidenza se idoneamente assistite dai servizi. Opportunità per il nostro

paese di intervenire con modeste risorse nazionali su territori che hanno

accettato la sfida di costruire comunità vivibili e attrattive e che hanno

scelto, tra gli altri, la condivisione e la comunicazione quali strumenti di

resilienza.

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124 125 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

di GIULIO

SANTAGATA

Consigliere

Nomisma

La rigenerazione non può prescindere dal territorio

Se è vero che le calamità naturali sono per tutti un momento di emer-genza, non si può comunque pensare di operare ovunque allo stesso modo. Esistono delle differenze storico-geografiche da analizzare per riflettere sulla ricostruzione.

Le scosse sismiche dello scorso anno hanno colpito un’area molto fragi-

le del Paese, sia dal punto di vista demografico che economico e che già

era stata interessata, salvo alcune eccezioni, da importanti fenomeni di

spopolamento e invecchiamento della popolazione. Si tratta di un territo-

rio vasto che abbraccia quattro regioni, composto da piccoli e piccolissimi

comuni. Dei 140 municipi coinvolti, la gran parte è sotto i 5mila abitanti e

molti non raggiungono i mille residenti. Un territorio per lo più collinare e

scarsamente popolato che, pur considerando i 4 capoluoghi di provincia

(Ascoli, Teramo, Rieti e Macerata), ha una densità media di 71 abitanti per

kmq, contro una media nazionale di 200 abitanti per Kmq.

Se vogliamo provare a dare una lettura generale e di funzione si potreb-

be affermare, con qualche eccezione, che vi sono due gruppi di comuni. Il

primo gruppo è costituito da comuni con funzioni residenziali. Rientrano

nella casistica i centri più popolosi, limitrofi alle città più grandi, in cui oltre

la metà dei residenti, secondo i dati Istat, si sposta quotidianamente per

motivi di studio o di lavoro. Poi vi è un secondo gruppo a cui si ascrivono

i comuni dei Monti Sibillini (tra Marche e Umbria) o della zona di confine

tra Marche, Abruzzo e Lazio, caratterizzati da un’elevatissima incidenza di

seconde case, anche superiore al 60 per cento (dato medio nazionale: 22,7

per cento). Per entrambe le tipologie si tratta di un territorio mediamen-

te povero in cui i livelli di reddito risultano mediamente al di sotto degli

standard nazionali (in 47 comuni il reddito medio per contribuente non

raggiunge i 15.000€ annui) e con una bassissima densità imprenditoriale

(il numero di unità locali per kmq risulta pari a 5,9, contro le 15,6 segnato

a livello nazionale). Un’area in cui la popolazione anziana ha un’incidenza

di gran lunga superiore alla media nazionale. In oltre 100 dei comuni col-

piti dal sisma per ogni under 14 si contano due over 65. Appare evidente

che rilanciare economicamente l’area significa, quindi, intervenire su un

paziente già malato dopo un evento acuto. Una situazione complessa e

radicalmente diversa da quella dei territori emiliani colpiti duramente dal

precedente sisma del 2012. Seppur certo che ogni calamità porti con sé

le cicatrici profonde e insanabili di un dramma umano, dal punto di vista

della “ricostruzione economica” si trattava, in Emilia Romagna, di interve-

nire con l’obiettivo di ripristinare uno stato di fatto. In quel caso era stata

coinvolta un’area che genera il 2 per cento del PIL nazionale, con un siste-

ma produttivo fatto di oltre 66.000 unità locali; territori con una profonda

e radicata specializzazione economico-produttiva che va dalle ceramiche,

al biomedicale, dalla meccanica all’agroalimentare. Allora si decise, oltre

alla indiscutibile esigenza di gestione delle emergenze, di dare priorità alle

scuole e alle attività produttive proprio perché potessero essere il traino

di un tentativo di ritorno alla “normalità”. Un’attenta programmazione e

una positiva e produttiva interlocuzione con gli Enti locali (peraltro ancora

in essere) hanno dato dei risultati tangibili sin da subito. Molte aziende

duramente colpite hanno ripreso la produzione, quasi senza soluzione di

continuità, e hanno anche colto (nella tragedia) l’occasione per innovare

capannoni, macchinari, impianti e cicli produttivi.

Il sisma del Centro Italia ha ferito invece un’area vasta con un tessuto de-

bole, frammentato e anche molto diversificato, fatta prevalentemente

di piccoli e piccolissimi centri e il rischio di spopolamento, a un anno dal

sisma, risulta forte e concreto. È questa la minaccia più insidiosa da con-

trastare con il massimo impegno. L’abbandono dei territori compromet-

terebbe alla base qualsiasi intervento di ricostruzione e il ripopolamento

diverrebbe operazione quasi impossibile. Resta evidente che, in una gra-

duatoria di priorità, la gestione dell’emergenza debba rivestire una posi-

zione di primo piano, ed è altrettanto vero che, se alla fase di ricostruzione

materiale non si accompagna un altrettanto idoneo processo di ricostru-

zione delle linee di sviluppo economico su cui incardinare i percorsi futuri,

gli sforzi risulterebbero di fatto inutili nel medio termine.

Intervenire tramite progetti di sviluppo implica costruire interventi che raf-

forzino la struttura economico sociale, in grado di fare leva sulle risorse di-

stintive presenti nelle diverse aree e attrarre investimenti da altre zone del

Paese e non solo. Laddove non esistano “vocazioni economiche” forti e in

grado di dettare i ritmi della ricostruzione, si rende necessario costruire pro-

getti concreti, magari di contenute dimensioni, ma in grado di alimentare

per prossimità uno spirito di impresa e accrescere l’occupazione. Progetti di

investimento mirati e in linea con le potenzialità locali, in grado di gemmare

e alimentare il debole tessuto economico, anche nel breve periodo.

È difficile ad oggi immaginare interventi che da soli possano essere in gra-

do di avviare un’epoca di rilancio.

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126 127 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

La loro ricerca o la definizione di complesse strategie di sviluppo rischia-

no di essere un mero esercizio intellettuale. Mancano i tempi, le risorse e

forse anche le condizioni di base per disegnare strutturati processi su cui

impiantare sentieri di crescita. È piuttosto indispensabile lavorare per il

realizzabile a breve, certamente con l’idea della sedimentazione nel lungo

periodo e nel rispetto dei vincoli e delle potenzialità locali, ma evitando la

trappola della ricerca di “vision” troppo complesse e futuribili.

Riorganizzazione amministrativa dei comuni (troppo piccoli per poter far

fronte a sfide così complicate), investimenti produttivi, costruzione di li-

nee di attività legate alle trasformazioni demografiche e sociali, sono solo

alcuni dei cantieri da aprire e presidiare.

Con questo spirito, Nomisma sta in questi giorni iniziando un percorso che

si pone l’obiettivo finale di identificare alcuni progetti in grado di dare un

contributo all’imprenditoria locale, creando nuova occupazione in una pro-

spettiva di crescita alimentata dalle caratteristiche territoriali, rifuggendo

dalla logica del mero incentivo. Il progetto è articolato in fasi e si sta ora

procedendo a una consultazione dei decisori pubblici e delle parti econo-

miche. L’idea è quella di provare a dare, in un anno di attività di campo, un

contributo tangibile alla rinascita, anche facendo tesoro dei vari progetti

attivi, ad oggi, nell’area del sisma.

di MARICA

MERCALLI

Direttore

Sovrintendenza

archeologia, belle

arti, paesaggio

Umbria – MIBACT

Il risveglio dalle macerie

Il lavoro della Soprintendenza per il restauro e la conservazione del pa-trimonio storico-artistico regionale.

In ogni emergenza bisogna “fare presto”, bisogna correre contro il tempo, in-

dividuare subito su quali fronti concentrare le forze di “pronto soccorso” per

dare velocemente aiuto alle popolazioni colpite e poi provvedere alla messa

in sicurezza di quanto si può ancora salvare. Bisogna far fronte a mille ne-

cessità, combattere contro la paura, rassicurare le persone sulla tempestivi-

tà e sugli esiti degli interventi. Le forze delle varie componenti che si mobi-

litano: Stato, Regioni, Comuni, Diocesi, Protezione civile, Corpi dei Vigili del

fuoco, devono saper rapidamente fare squadra, agire congiuntamente senza

alcuna forma di sovrapposizione o ancor peggio di competizione. Rispetto al

patrimonio culturale, in questa come nelle molte emergenze terremoto che

hanno colpito il nostro Paese, si è manifestata una situazione particolare:

fin dall’inizio è emerso il forte attaccamento delle popolazioni ai loro beni,

si è espresso il riconoscimento di un profondo sentimento di appartenenza

per il valore che quei beni rivestono nella coscienza collettiva, non solo per

la loro importanza storico-artistica, ma anche per la forte connotazione reli-

giosa, in quanto legati a tradizioni locali spesso plurimillenarie.

Proprio quando tutto sembra perso: la casa, il lavoro, il paese con i suoi punti

di riferimento e di aggregazione, la chiesa e le cose che in essa sono conte-

nute divengono uno dei simboli di quella relazione fondamentale che aveva

costituto il tessuto connettivo di un borgo, perché nella chiesa si riconosce

il luogo in cui si sono svolte le feste collettive dell’anno liturgico, ma an-

che i momenti della vita privata legati alla celebrazione dei sacramenti e

le immagini della Madonna o dei Santi protettori sono quelle portate ogni

anno in processione, alle quali si regalano gli ex voto per le grazie ricevute. É

dunque dalla salvaguardia di questi beni che si deve partire per ridare fiducia

alle popolazioni così fortemente provate sul piano emotivo perché solo dalla

ricostruzione dei borghi antichi e dei centri storici delle città si potrà anche

ricostruire quel tessuto connettivo ed economico rappresentato in gran par-

te dalle capacità di attrattiva turistica.

Le operazioni di “messa in sicurezza” dei beni immobiliFin dall’inizio di settembre 2016 sono iniziati i lavori di “messa in sicurezza”

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128 129 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

di alcuni edifici, le cui condizioni apparivano particolarmente gravi, e la co-

pertura delle macerie. Tali interventi sono stati finalizzati alla realizzazione

di opere provvisionali per evitare, o limitare, ulteriori danni alle strutture e

al patrimonio mobile in esse contenuto. La complessità e l’entità di alcune

“messe in sicurezza” ha richiesto il coinvolgimento di professionisti esterni

(ingegneri strutturisti) per la progettazione dei lavori, supportati in alcuni

casi dai Vigili del Fuoco. Ad oggi gli interventi conclusi sono 23; gli interventi

in corso 10; gli interventi in progettazione e in fase di affidamento 10. Sono

state anche realizzate molte coperture delle macerie cadute all’interno degli

edifici, sotto le quali si trovano ancora opere mobili.

Il più rilevante intervento di messa in sicurezza ha riguardato la basilica di

San Benedetto, di grande importanza storica poiché costruita su quella che

la tradizione indica come la casa paterna del Santo, nato verso il 480, sicura-

mente impiantata su un preesistente edificio pubblico romano, come atte-

stato dalle strutture presenti nella cripta. Le prime lesioni, seguite alla scos-

sa del 24, avevano destato preoccupazioni ma non si erano ancora verificati

crolli, se non nell’interno con parziali cadute di parte dei rivestimenti murari

e danneggiamento del tetto. La prima soluzione progettata per l’immediata

e “temporanea” messa in sicurezza della facciata della basilica (conclusa il

giorno 8 gennaio 2017, con il collegamento in controfacciata della trave reti-

colare in giunto-tubo alla struttura già posizionata in facciata il 22 dicembra

2016) è stata concordata con il Nucleo Interventi Speciali dei VVF e risponde

all’esigenza di puntellare la facciata, ma anche di creare le condizioni per con-

sentire la rimozione delle macerie e quindi procedere alla “messa in sicurez-

za” con la installazione di opere provvisionali anche all’interno della chiesa.

Ogni fase ha comportato una attenta progettazione ed un continuo confron-

to tecnico tra gli ingeneri strutturisti, la Soprintendenza e i Vigili del Fuoco.

Quasi subito (novembre 2016) è stata realizzata anche la messa in sicurezza

della Torre del Palazzo civico che aveva già subito gravi lesioni a seguito del

sisma del 1703, con l’abbattimento per circa la metà della sua altezza e la

successiva ricostruzione nel 1736. La cella campanaria presentava, dopo la

scossa del 30 ottobre, una preoccupante rotazione con possibile crollo sulla

facciata di san Benedetto. Si provvide pertanto alla sua ‘cinghiatura’, porta-

ta a termine in tempi velocissimi, con un mese circa di lavoro.

Anche la cattedrale di santa Maria Argentea e la chiesa di san Francesco,

edifici di grande rilevanza nel centro storico di Norcia, la prima costruita tra il

1560 e il 1574, la seconda più antica portata a termine su precedente edificio

verso il 1385, presentavano danni ingenti per il crollo dei tetti e della metà

circa del corpo superiore degli edifici.

Per santa Maria Argentea è stato terminato l’intervento di messa in sicurez-

za del campanile (su progetto dello studio di Stefano Podestà) , che versava

in condizioni simili a quelle della torre civica, e della facciata con l’utilizzo di

tubi giunto.

Prelievo e messa in sicurezza dei beni mobiliContemporaneamente alla messa in sicurezza degli edifici è stata svolta

l’attività di prelievo dei beni mobili dalle chiese danneggiate, sotto la sor-

veglianza della Soprintendenza e di concerto con Vigili del fuoco, Carabinieri

del Nucleo tutela del Patrimonio culturale e Protezione civile, e il loro ricove-

ro nel deposito predisposto dalla Regione Umbria fin dal 2008, nella località

di S.Chiodo nei pressi di Spoleto.

Ad oggi nel deposito sono stati ricoverati circa 5400 beni, comprese oltre

2.300 cassette di materiali di scavo, ed inoltre 1.800 ml di documentazione

archivistica e 5.000 volumi. È previsto il recupero di altri beni mobili e di altri

archivi storici. È stato inoltre avviato, con la direzione scientifica dell’Istituto

Superiore per la Conservazione e il Restauro e con la collaborazione della

Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Umbria, un cantiere

di recupero e messa in sicurezza dei frammenti di affreschi della chiesa ro-

manica di San Salvatore a Campi quasi totalmente distrutta, per la quale è

stato ultimata una grande tettoia di protezione. Ad oggi sono stati recupe-

rati numerosissimi frammenti di affreschi che saranno ricomposti sulla base

del progetto dei restauratori dell’Istituto. La selezione delle macerie in tutti

i cantieri ha comportato una grande lavoro per il loro riconoscimento e la

documentazione (le pietre e i frammenti architettonici sono stati numerati

e mappati in grafici delle aree di prelievo) al fine di un loro riutilizzo nelle

future ricostruzioni.

La fase di transizione che si sta profilando, dalla prima emergenza alla pro-

gettazione della ricostruzione, comporta nuove riflessioni sulle linee guida

in base alle quali la ricostruzione si dovrà orientare, al fine di dare un in-

quadramento il più possibile unitario alle operazioni, che saranno affidate

agli uffici di tutela del MiBACT ma anche ai Comuni e alle Diocesi, e una

risposta ai molti interrogativi che si pongono, soprattutto a riguardo delle

situazioni più gravi e critiche come quelle rappresentate dalla quasi totale

perdita dei tessuti urbani (un esempio su tutti è quello rappresentato da Ca-

stelluccio di Norcia). Operare nel senso e nel segno di una possibile riconse-

gna alle popolazioni dei loro monumenti, tentando ricostruzioni fedeli, ove

si rintracceranno radici vitali di quei tessuti dilaniati, e ricollocazioni delle

opere restaurate negli edifici da cui provengono, costituisce un dovere civico,

contrassegnato anche da un’altissima valenza etica.

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130 131 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

Beni culturali in zona sismica: non c’è conservazione senza sicurezza

Per avviare un percorso di ricostruzione virtuoso bisogna puntare su conoscenza e formazione.

I terremoti avvenuti in Italia negli ultimi anni hanno fatto crollare centi-

naia di chiese, distruggendo affreschi e danneggiando gravemente sta-

tue, dipinti e quant’altro era contenuto in quelle costruzioni. Solo il caso,

“scegliendo” orari che non erano quelli delle funzioni religiose, ha evitato

che a tali perdite si aggiungessero centinaia di vite umane. Molti crolli

sono avvenuti anche in edifici di culto che di recente erano stati oggetto

di interventi, anche economicamente rilevanti, di restauro conservativo.

Si pensi, ad esempio, ai quasi 8 Mln di Euro che negli ultimi 15 anni sono

stati spesi per lavori di restauro di cinque costruzioni “tutelate” del cen-

tro storico di Norcia (la Cattedrale di San Benedetto, la Concattedrale di

Santa Maria Argentea, la chiesa del crocefisso, l’ex chiesa di San Fran-

cesco e il monastero di Santa Maria della Pace). Questi dati sono noti

grazie al sito istituzionale della Regione Umbria che elenca gli importi

delle opere eseguite dal 2000 in avanti, ma molti altri interventi “con-

servativi” erano stati fatti a Norcia anche negli anni precedenti, in parti-

colare dopo il sisma del 1979. Tutte queste chiese sono crollate o hanno

riportato danni gravissimi per le scosse sismiche del 2016.

Accanto alle loro macerie - coperte ora da pietosi teli - ci sono centinaia

di edifici ordinari che non hanno riportato alcun danno significativo, o al

più sono stati lesionati, ma non hanno subìto crolli importanti. Queste

(pur modeste) costruzioni hanno fornito un’ottima risposta alle scosse

del 2016, grazie agli interventi di consolidamento che erano stati fatti

negli anni passati. Gli unici edifici ordinari del centro di Norcia che hanno

avuto crolli veri e propri sono quelli su cui nessuno era mai intervenuto.

C’è da chiedersi quindi come mai quegli edifici “tutelati” su cui erano

stati fatti interventi, anche importanti, abbiano avuto esiti così infausti.

La domanda, ovviamente, è retorica. Sappiamo bene che la mancanza di

una cultura antisismica all’interno delle Soprintendenze (come anche in

buona parte degli operatori del settore) ha fatto pendere gli interventi

in questione verso gli aspetti non strutturali, limitando ogni provvedi-

mento che andasse ad interessare in modo sostanziale le murature o le

strutture in genere.

Alla luce di quanto avvenuto, ci sono alcune riflessioni che dovremmo

fare. C’è sicuramente, negli operatori del settore, un problema di cono-

scenza dei problemi strutturali delle costruzioni storiche in zona sismica,

ma chi ha la responsabilità (= il dovere) di tutelare questi beni dovrebbe

distinguere tra le situazioni a rischio limitato o nullo (= edifici struttural-

mente non problematici, in aree a scarsa sismicità) e quelle notoriamen-

te ad elevato rischio (le chiese, in zone altamente sismiche) calibrando di

conseguenza il livello di attenzione, e quindi dell’intervento, sulla base

delle diverse esigenze.

Chi ha la responsabilità di preoccuparsi della incolumità delle persone

che possono trovarsi dentro quelle costruzioni dovrebbe poter richiedere,

nell’interesse della società tutta, il rispetto di un livello minimo, indero-

gabile, per la sicurezza di queste costruzioni.

Così, se è ormai assodato che per i beni culturali non si può pretendere

il livello di sicurezza dell’adeguamento sismico (quello, per intendersi,

delle nuove costruzioni) ma si deve invece mirare al “miglioramento”

delle prestazioni, dovrebbe essere altrettanto evidente che il livello di

tale miglioramento non può essere lo stesso, indifferenziato, in tutte le

zone di Italia e per qualsiasi tipologia di bene culturale, ma dovremmo

porci l’obiettivo di raggiungere un livello di miglioramento “adeguato”

alle problematiche specifiche del manufatto e della zona.

Per conseguire questa capacità di discernimento e di giudizio, nel bilan-

ciamento delle (solo apparentemente) opposte esigenze della conserva-

zione e della sicurezza, l’unica strada è quella della conoscenza, che qui,

in pratica, significa aggiornamento/qualificazione dei funzionari delle

Soprintendenze e dei tecnici, in generale, che operano sui beni culturali.

Si ricorda, solo per inciso, che in moltissime situazioni, per raggiungere

quel livello di “miglioramento adeguato” di cui sopra, potrebbero essere

sufficienti pochi ma “sapienti” interventi non invasivi, o comunque re-

versibili, come incatenamenti, speroni, costolature, barbacani, etc., che

appartengono a pieno diritto al restauro architettonico, ma che spesso,

proprio per quella mancanza di conoscenza/consapevolezza di cui sopra,

non vengono adottati/consentiti dalle Soprintendenze.

Questo argomento appare centrale nel momento attuale, in vista della

ricostruzione dei beni culturali nel Centro Italia; con quali criteri si pro-

getteranno, si approveranno e si realizzeranno questi interventi? Si ri-

percorreranno le vie seguite sino ad ora, cioè quelle che hanno portato

L’opinione L’opinionedi ANTONIO

BORRI

Professore

Ordinario di

Scienza delle

Costruzioni

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132 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE

ad esiti così disastrosi? La speranza è che non si continui a condizionare

totalmente i progettisti, che peraltro sono quelli che vengono poi chia-

mati a rispondere per quello che non è stato consentito loro di fare, come

forse accadrà anche adesso, per i crolli del 2016.

Infine, più in generale, e forse più di ogni altra cosa, colpisce l’incapacità

di tutti noi di ricordare e di fare tesoro delle esperienze trascorse: passa-

to qualche mese dall’ultimo sisma, nessuno infatti pensa più al rischio

- che in realtà è una certezza - di trovarsi di fronte a nuovi disastrosi

eventi. Anche stavolta tutto verrà rimosso dalle nostre menti e tornere-

mo a comportarci come se nulla fosse accaduto? Se è così, allora siamo

condannati a rivivere nuovamente queste catastrofi, nelle stesse aree o

in aree vicine a quelle colpite nel 2016 o in altre zone di cui, comunque,

conosciamo bene la pericolosità. Sappiamo (= siamo certi) che accadrà

nuovamente.

La speranza è che si comprenda che, almeno in quelle zone così a rischio,

la direzione da intraprendere per evitare ulteriori gravi perdite di edifici

storici, di chiese e di quanto può trovarsi al loro interno, è quella della

sicurezza.

L’opinione