Ma che aspettate a batterci le mani

27
RASSEGNA PROVINCIALE “Premio Città di Grosseto” 1997-2007 I.S.I.S. Rosmini “Ma che aspettate a batterci le mani?”

description

 

Transcript of Ma che aspettate a batterci le mani

Page 1: Ma che aspettate a batterci le mani

RASSEGNA PROVINCIALE“Premio Città di Grosseto” 1997-2007

I.S.I.S. Rosmini

“Ma che aspettate a batterci le mani?”

Page 2: Ma che aspettate a batterci le mani

I.S.I.S. “A. Rosmini” Grosseto

www.teatrodellascuola.it

Decennale della

RASSEGNA PROVINCIALE

“Premio Città di Grosseto” 1997-2007

Page 3: Ma che aspettate a batterci le mani

2

LE RAGIONI DI QUESTA PUBBLICAZIONE

Non volevamo passare sotto silenzio il decennale perché dieci anni per una rassegna di teatro scolastico sono multigenerazionali. In un decennio si passa dall’età infantile a quella adulta e se nel percorso scolastico qualche esperienza educativa ha lasciato un segno profondo nella coscienza dei ragazzi, come crediamo sia per il teatro scolastico, il risultato formativo si godrà a lungo.

Anche per dar spazio ai bei ricordi di tanti ragazzi e di tanti colleghi e formatori che in questi anni si sono dedicati con passione all’educazione giovanile sul palcoscenico, abbiamo voluto mettere insieme qualche testimonianza attraverso immagini e parole.

Troverete in questo opuscolo un “amarcord” che ci è sembrato, pur nella sua incompletezza, significativo e, sinceramente, antiretorico, perché noi “dell’organizzazione” ci siamo realmente inteneriti, commossi, divertiti migliaia di volte, quando i bambini e i ragazzi attori sono stati teneri, toccanti, divertenti e divertiti o anche semplicemente sereni.

I membri del Comitato Organizzativo della rassegna

N. B. Chiediamo scusa a coloro che, pur avendoci inviato del materiale da pubblicare, non lo ritroveranno all’interno di questo libricino. Ragioni di spazio ci hanno imposto grossi “tagli”. Lo spazio nel nostro ricordo è però illimitato.

Page 4: Ma che aspettate a batterci le mani

3

Cosa si prova nel fare teatro a scuola?

I bambini della scuola elementare ♦ Il teatro è per me una cosa bellissima dove tutta l’anima che abbiamo dentro esce fuori.

♦ Per me il teatro è una libera espressione di quello che so fare e di ciò che penso di non saper fare.

♦ L’emozione è tanta quando sei dietro le quinte, senti le gambe tremolanti, sudi freddo e sveli tutti i tuoi segreti anche a chi non conosci.

♦ Diventi una statua di ghiaccio e non ricordi più niente…poi….cominci!!!!!

♦ Quando sono sul palco mi sento come un suddito che deve piacere al re.

♦ Il Teatro della Scuola mi ha insegnato molte cose: prima di tutto ad esprimermi con sicurezza creando con me stessa maggiore fiducia, poi a comunicare non solo con le parole ma anche con i gesti e con il corpo, dando emozioni alle persone che mi guardano.. Infine a stare insieme ai compagni, sentirsi tutti uniti è bellissimo! Per me il teatro è più vero del cinema perché non si ripete due volte uguale.

Page 5: Ma che aspettate a batterci le mani

4

Una studentessa delle Superiori

♦ Il contrario di depressione è espressione: e così da una semplice improvvisazione qualcosa nasce sul momento ed è assolutamente personale e ogni volta originale, frutto di un’identità ogni volta differente, di una realtà che poi si mescola in altre e con altre in incontri sempre nuovi. Obiettivi primari sono il tirar fuori tutto, ma proprio tutto e l’accogliere le emozioni, l’altro, se stessi, cavarsi di dentro gli impulsi e poi trovare qualcosa che, per quanto minuto possa apparire, costituisce una conquista, un’espressione di personalità.

E poi il piacere concreto di ciò che scaturisce da dentro, il corpo che percepisce e finalmente è attivo, sente, reagisce, si affatica e rinasce. Smettere di spegnersi dentro, scoprire l’alleanza tra mente e corpo e le risorse nascoste, la forza vitale che sprizza, i flussi di energia che non si conoscevano o che si credevano perduti, da qualche parte.

Si chiama espressione, si chiama teatro, può chiamarsi vita.

Page 6: Ma che aspettate a batterci le mani

5

Ricordi di “attori in erba”

♦ Ricordo quando abbiamo vinto il premio che ci permetteva di rappresentare di nuovo il nostro spettacolo “Dal nostro inviato di pace” a Lucca. Quel giorno la maestra mi chiese di sostituire un compagno ammalato, ma io non avevo studiato la sua parte. Ero felice di questo incarico importante (il compagno era uno dei grandi di 5^ !), ma allo stesso tempo preoccupato. Ora toccava a me, dovevo entrare in scena…e ho detto solo un piccolo pezzettino di quello che avrebbe dovuto dire Andrea.. Sono rimasto zitto, completamente nel panico, mi sentivo la testa vuota e le parole non mi uscivano di bocca. Poi ho ricevuto un applauso e, come per magia, mi è ritornato tutto in mente e ho ricominciato a parlare...

♦ Ancora oggi, ogni tanto, mi vengono alla mente e sulle labbra le parole che recitavano le mie amiche più grandi ben due anni fa: “Oh infelice, non hai pietà di tuo figlio che è ancora un bambino, e di me sventurata….”. Ricordo anche l’immagine precisa di loro mentre interpretavano: vestite di nero, gli occhi vuoti, a volte neutre, a volte disperate come le donne troiane. Mi sarebbe piaciuto che quella parte spettasse a me, ma io ero piccola e non sarei riuscita a dirla con espressione, come hanno fatto loro. Comunque ero contenta lo stesso, perché ero una di quelle bambine che marciava per la pace al grido “Sciopero, sciopero! W Troia, abbasso Menelao !....”

Page 7: Ma che aspettate a batterci le mani

6

♦ Ricordo l’anno in cui nello spettacolo “Prove di teatro in gocce”, mia sorella Oana declamava fino all’ossessione:”Arroventata dai venti, corrosa dalle intemperie, la torre della bella Marsiglia….” Ancora oggi ripeto queste parole e mi metto a ridere. Quell’anno era la prima volta che io facevo teatro, perché ero appena arrivata dalla Romania. Risento le risate del pubblico quando i compagni riprendevano mia sorella per la maglietta e le dicevano. “Nooo, Oana…la bella Marsiglia viene dopo !!!!!” Io e i miei compagni, invece, recitavamo pubblicità progresso sull’acqua e a me non si apriva l’ombrello: che emozione, in quel momento ero andata nel panico, la mia testa era un caos !!!!”

♦ ….Il secondo anno avevo una parte da protagonista, Fratino che sconfigge Cecafumo e mi sono divertito tantissimo: credo anche di aver recitato molto bene. Fare teatro è un divertimento nella vita, perchè ti fa entrare nel personaggio che non sei veramente.

Page 8: Ma che aspettate a batterci le mani

7

♦ L’ultimo anno di scuola dovevamo mettere in scena “Dal nostro inviato di pace a Troia”. Io e le mie due compagne eravamo immobili sul palco, avvolte in teli neri a simboleggiare il coro greco, con le luci gialle puntate addosso e il respiro che stava per scomparire. Finalmente era il mio momento: con tutta la forza che avevo recitai la mia parte di Andromaca “Oh infelice, non hai pietà di tuo figlio che è ancora un bambino e di me sventurata…”

♦ Alla fine, mentre tutto il pubblico applaudiva, mi resi conto di aver dato il meglio di me stessa. In quegli anni il Teatro della Scuola è stato un progetto che, in qualche modo, mi ha aiutato a crescere ed io ne sono fiera.

Page 9: Ma che aspettate a batterci le mani

8

SI VA IN SCENA

BrusioLuciRumoriScoppi di piantoAgitazioneSei in vetrinaTutti ti guardanoNon riesci a muovertiNon sai la tua parteSenti una risataLa voce di un amicoIl cuore riprende a battereSi va in scenaO la va o la spacca

GIOCO DI PAROLE

Tante

Espressioni

Artistiche

Trovano

Respiro e

Opportunità

Page 10: Ma che aspettate a batterci le mani

9

Insegnanti e formatoriQuel corso di Scrittura Creativa….. (Progetto formazione insegnanti: 6° Rassegna)

♦ L’anno precedente ce lo aveva chiesto Bruno De Franceschi facendoci sperimentare la voce; ora con Franco Farina cercavamo di rompere un altro spazio oltre quello del silenzio: lo spazio vuoto dove tutto doveva essere scritto, recuperandolo dal nostro io interiore, da un’immagine strappata alla realtà, da una visione che riaffiorava…

Da quel corso ho imparato a guardarmi meglio intorno e a farlo con occhi diversi, a scartare la soluzione banale, a finire la sceneggiatura con un “colpo di coda”…Ho imparato a lavorare su particolari e dettagli; ad usare le tecniche filtrandole attraverso il cuore e l’affettività. Più delle mie storie e sceneggiature tentate, ricordo soluzioni esilaranti di quelle che sono state le mie compagne di viaggio scritto e il nostro lavoro finale messo in scena, quello della grande casa di fronte all’oceano con davanti l’osservatorio per guardare le stelle e dietro….l’infinito. E ricordo noi, le donne che erano lì per curarsi l’insonnia o forse solo la paura di sognare. Ricordo il mio alter ego: Lilli, attrice per caso - ex segretaria d’azienda e poi Giulia, Nunzia, Antonia….

Ricordo Valentina, ragazzinanella sceneggiatura e nella vita, Camilla per l’anagrafe, che tanto si relazionava con me, in scena Lilli, attraverso scenate e liti furibonde; quando ora nella realtà capita di incontrarsi, voliamo una nelle braccia dell’altra e non ci chiamiamo per nome, ma spontaneamente, scattando una sorta di sorellanza, gridiamo da lontano: “Valentina….Lilli !!!”

Che miracolo il teatro !

Page 11: Ma che aspettate a batterci le mani

10

♦ …Ricordo bene lo scorso anno quando i ragazzi della 3 C, non per presunzione, ma per la pienaconsapevolezza di aver creato uno spettacolo “tutto loro”, divertente e originale, erano certi di ottenere un premio, la loro esplosione di gioia quando alla sala Eden seppero di aver vinto il premio della critica e indossarono le magliette preparate per l’occasione con sopra scritto “Reality School”.

Infine ricordo una frase scritta da un’alunna: “La prof ci ripeteva sempre che non dovevamo farci troppo la bocca alla vittoria, ma dai suoi occhi si capiva, mentre lo diceva, che anche lei ci sperava”.

Page 12: Ma che aspettate a batterci le mani

11

♦ Quella volta che non abbiamo vinto nessun premioQuella volta abbiamo vinto il massimo dell’impegno di ciascuno di noi.Quella volta abbiamo vinto il sostegno sincero di chi ci accompagnava.Quella volta qualcuno di noi ha vinto premi grandi e importanti.Di quella volta siamo certi di aver vinto molte delle nostre paure.Di quella volta siamo certi di aver dato forma a molti dei nostri pensieri.Quella volta che non abbiamo vinto nessun premio, abbiamo comunque provato emozioni che resteranno. Quella volta ci siamo divertiti, abbiamo condiviso, ci siamo parlati, guardati, sorrisi. Tutti a tutti.Non è che si sia vinto poco, quella volta.

Page 13: Ma che aspettate a batterci le mani

12

♦ Dare un teatro a chi fa teatro. Mettere in comunicazione modi di fare teatro a tutte le età.Creare la possibilità di essere attori e pubblico nel giro di poche ore: agire e assistere l’agire.

Trasformare una serie di isole - e qui scusatemi il gioco di parole - isolate in un arcipelago in costante comunicazione. Questo è quello che la “Rassegna” fa e può continuare ad allenarsi a fare per i prossimi dieci anni. Essere una difesa contro gli schermi che si frappongono tra i ragazzi e il racconto, impedendogli di interagire con la storia, di commentarla, di fischiarla o applaudirla.

Essere un luogo del “qui e dell’ora” in cui si suda, ci si stupisce, si corre, si racconta, si creano degli interrogativi; un luogo di apertura in cui, finalmente, si esce dall’aula magna o dalla palestra in cui si prova per portare la propria energia ALTROVE ad un pubblico che non è fatto solo di compagni di classe e genitori entusiasti.Mettersi in gioco in una cornice giocosa in cui la “competizione” è solo il pretesto per impegnarsi di più, per creare bello accanto a bello.

E stupirsi se ci si sente (o se si viene visti) diversi, competenti, capaci di parlare le parole degli altri, di esplorare le proprie potenzialità. E poi le luci, le assi, le urla nei camerini, il cambiarsi, i “cinque minuti e si va in scena”, la platea e i palchetti, le quinte, il buio prima della prima battuta. Chi parla è un appassionato di spazi alternativi al teatro classico, badate bene. Chi parla pensa che il teatro andrebbe portato in strade, negozi, appartamenti, scuole. Ma conoscendo l’edificio teatrale, prima di partire per il viaggio.

In questi anni in cui vari gruppi di “miei” ragazzi hanno partecipato alla Rassegna questa è stata la cosa che mi è piaciuta di più. Vedere gli occhi dei ragazzi quando vedono il TEATRO per la prima volta. In quegli occhi là, c’è come, insieme e nello stesso momento, un punto di arrivo e di partenza.

Page 14: Ma che aspettate a batterci le mani

13

♦ Ogni anno li portiamo in scena tutti, un’ottantina, dai tre ai cinque anni. “Giochiamo al teatro” con loroper mesi, secondo uno specifico progetto didattico, che offre ai bambini stimoli e suggestioni. Il Teatro è arte che educa, luogo magico che aderisce perfettamente al senso animistico che hanno del reale i bimbi, sollecitando emozioni, lasciando segni indelebili. Passo passo emergono le loro espressioni, la loro forza comunicativa. Poi andiamo in Rassegna, in un teatro vero e i bimbi possono mostrare ad un pubblico vasto quanto sia stato intenso il “respiro” della loro esperienza. Ogni progetto che si chiude sollecita in noi insegnanti il desiderio di pensare al successivo.

Page 15: Ma che aspettate a batterci le mani

14

♦ “Succedono miracoli…il mondo si rovescia:il sotto è sopra e il sopra è sotto;il brutto sembra bello e il bello è brutto;il debole è il più forte e il forte scappa….Sorprese a non finire per noi che l’osserviamo!”

Page 16: Ma che aspettate a batterci le mani

15

♦ Gabriele è un ragazzo autistico. Ha partecipato con la sua scuola alla Rassegna, per tanti anni, ecredo che per lui il momento più bello sia quando il sipario si apre. Sorride con aria maestosa e fiera appena entra in contatto col pubblico. “Mi piace quando mi dicono vai Gabriele, bravo, sei il più forte”. Ecco, per Gabriele il teatro è un’esperienza costruttiva, lo aiuta a relazionarsi con gli altri, a sviluppare l’ascolto, ma soprattutto fa emergere le sue emozioni più nascoste, cosa difficilissima per lui.

Page 17: Ma che aspettate a batterci le mani

16

♦ Fare teatro coi ragazzi di Rispescia è un po’ come fare scuola a Rispescia: un’esperienza che ti rimane addosso per tutta la vita. Teatro povero, come povera era la nostra scuola, l’Istituto professionale per l’Agricoltura, noto ai grossetani come “l’Enaoli”. Gli spettacoli da portare in Rassegna si costruivano a partire dal niente: niente scenografie, né costumi, poco tempo per provare, i ragazzi il pomeriggio lavoravano in campagna e non potevano tornare a scuola…E allora si recitava nelle ore di storia, di diritto o di chimica, studenti e insegnanti insieme: I maschi facevano anche ruoli femminili, a chi tocca tocca, senza imbarazzi, senza pregiudizi.

E’ lì che ho imparato cosa significa “diversamente abili”, perché erano loro i più bravi, i più spontanei, i più coinvolti, erano PIU’ abili degli altri. In quella piccola scuola di campagna l’integrazione si praticava davvero e il teatro era il mezzo migliore per imparare ad accogliere la diversità. Quest’anno la scuola di Rispescia chiude, l’Istituto si trasferisce in città, ma il mio cuore rimane lì, tra le serre e il vigneto, tra Claudio che fa Antigone e la Filumena Marturano di Leopoldo, tra Giulia e Gabriele che recitano se stessi e io che piango dietro le quinte. Questo ricordo è per loro.

Page 18: Ma che aspettate a batterci le mani

17

♦ Mi è capitato più volte di fermarmi a guardare il pubblico da una barcaccia o da un palchetto del primoordine. E’ uno spettacolo prima dello spettacolo. Facce di ragazzini che aspettano con una tensione che si trasmette all’arco che fa il corpo sempre leggermente proteso in avanti. Si aspetta.

Dietro la tenda rossa c’è sempre un mistero, un’altra dimensione da scoprire, la voglia di essere lì e non qui.

Ed ogni pubblico mi pare avere una sua anima, un suo essere legato al momento, all’età ed al clima che si trasmette da un capo all’ altro della sala con gridolini, risate e richiami più o meno soffocati. A luci accese.A luci spente magicamente tutti entrano nella dimensione “altra”, presi. Anche in centoventi di tre o quattro anni, con le bambine che arrivano a stento con i piedi al bordo del cuscino della poltrona rossa, con le manine appoggiate ai braccioli e duecentoquaranta occhi fissi al cerchio di luce sul palco.

Tutti zitti.

Page 19: Ma che aspettate a batterci le mani

18

2004

2000

1997

2006

1997

2006 2007

Page 20: Ma che aspettate a batterci le mani

19

2007

2006

1998

2001

2001

Page 21: Ma che aspettate a batterci le mani

20

LA NAZIONE - 5 maggio 1998

SUL PALCOSCENICO COME A SCUOLA

Marcello Morante

Non sono mai riuscito ad apprezzare, lo confesso, la fatica, sia pure artigianalmente meritoria, di quei settori del teatro amatoriale che praticano la riproduzione, quasi in fotocopia, di celebrati originali. Un’opera, specie se di grande qualità, può essere ripresentata mille volte dagli interpreti più diversi; ma ogni volta deve esserci una reinterpretazione, insomma un intervento creativo dei nuovi interpreti (regista, scenografo, attore). Se no tanto vale rivedersi l’originale, sia pure in videocassetta.Il discorso cambia quando la rappresentazione è fatta dai ragazzi, perché allora il dato altamente positivo consiste nel coinvolgere direttamente gli stessi ragazzi, a diretto contatto col pubblico, in un evento come il teatro, evento che io considero tra i più educativi, liberatori, capace di far riscoprire a ciascuno se stesso.

Qui è la ragione per la quale ho sempre auspicato e patrocinato la diffusione del teatro in luoghi come le scuole, le carceri, i manicomi, i luoghi di assistenza per bambini e anziani. Il teatro è in verità tra le possibilità native di tutti. Prima ancora di parlare, i bambini recitano e, se più tardi non lo fanno in modo egualmente spontaneo e creativo, è perché la civiltà li ha guastati.Tali mie convinzioni stanno trovando la migliore conferma nella rassegna del teatro delle scuole. E’ così fitta di appuntamenti che non è possibile seguirla tutta: ma mi sono bastati pochi esempi (dalla scuola materna, alle medie, alle superiori) per constatare quanto sia efficace ed educativo il coinvolgimento teatrale delle scuole.

Questa rassegna basterebbe alla gloria e alla memoria del Teatro degli Industri nella sua nuova fase.Lo stile amatoriale non guasta, anzi salva la spontaneità. Accade perfino che taluni attori, specie tra le donne, siano già troppo bravi per poter essere collocati nello stesso apprezzamento: la bravura va spesso a discapito della spontaneità. Il ringraziamento dovuto agli insegnanti e agli amministratori è purtroppo oscurato da un rammarico, quello dello scarso pubblico giovanile, ridotto - almeno in parte- dal limite di ottanta presenti imposto dal Comune. Troppo pochi ottanta. Tutte le scolaresche abbisognano dello stesso coinvolgimento. Vi saranno pure ragioni di sicurezza e disciplina ad imporre un limite; ma bisognerebbe trovare il modo per far prevalere le ragioni della cultura.

20

Page 22: Ma che aspettate a batterci le mani
Page 23: Ma che aspettate a batterci le mani
Page 24: Ma che aspettate a batterci le mani
Page 25: Ma che aspettate a batterci le mani
Page 26: Ma che aspettate a batterci le mani

Pubblicazione realizzata col contributo del

In copertina illustrazione realizzata da Eleonora Guerrini,IV B, Liceo Artisctico “P.Aldi”, Grosseto

GRUPPOGRUPPO

Page 27: Ma che aspettate a batterci le mani

Via Cere, 8 GR - 0564 491103