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Ciak, MILANO! Ciak, MILANO! I cambiamenti sociali, culturali e urbanistici di Milano raccontati dal cinema MARCELLO PERUCCA i quaderni del cineforum 47

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Ciak, MILANO!

Ciak,MILANO!

I cambiamenti sociali, culturali e urbanistici di Milano raccontati dal cinema

MARCELLO PERUCCA

i quaderni del cineforum 47

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CIAK, MILANO!I cambiamenti sociali, culturali e urbanistici di Milano raccontati dal cinema

Marcello Perucca

CIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIACINEFORUM DEL CIRCOLO

FEBBRAIO - APRILE 2016

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Nel cinema italiano, alcune città più di altre si sono rivelate magnifici set cinematografici, più volte sfruttati danumerosi registi famosi o meno famosi. Roma, dove è sorta Cinecittà e dove si fa risalire ufficialmente la nascita del cinema in Italia con la prima proie -zione pubblica (si trattava dei filmati dei fratelli Lumiere proiettati presso lo studio fotografico Le Lieure il 13marzo 1896). Lungo sarebbe l’elenco dei film girati nella capitale. Per rendersi conto di ciò che Roma ha rap-presentato per il cinema italiano, basta citare alcuni titoli alla rinfusa: Roma città aperta, Ladri di biciclette, Sciuscià,Vacanze romane La dolce vita, Un americano a Roma, Mamma Roma, Caro diario. Pellicole che hanno permesso al ci-nema italiano di essere esportato e divenire sinonimo di qualità nel mondo.Torino, città nella quale, di fatto, è sorta l’industria del cinema italiano con le prime case di produzione che, apartire dal 1906, nacquero lungo le rive del Po (Ambrosio Film, Aquila Film, Itala Film, Pasquali Film, SavoiaFilm). La città ove venne realizzato Cabiria, primo kolossal della storia del cinema italiano ad opera di GiovanniPastrone primo, grande regista del nostro paese. La metropoli piemontese, con le sue architetture barocche, lasua nomea di città esoterica e magica, i suoi luoghi impreziositi dai numerosi corsi d’acqua che la attraversanoe dalla collina, tanto cara a Cesare Pavese, rendono il capoluogo sabaudo ancora oggi una meta particolarmentefrequentata da numerosi cineasti che hanno girato qui alcuni dei loro film di maggior successo.Ovviamente Napoli, che ci riporta alla mente Eduardo, Totò e Massimo Troisi. Quella che Vittorio De Sicadefinì: “La città più cinematografica del mondo”.E poi Milano, che compare nel cinema fin dai tempi in cui la settima arte emetteva i suoi primi vagiti. Grazie aItalo Pacchioni e ai suoi cortometraggi e a Luca Comerio, fotografo ufficiale di Casa Savoia. La storia del cinema a Milano va di pari passo con la storia della città. Con i suoi mutamenti nel corso del XXsecolo e di questi ultimi anni. Mutamenti che hanno interessato vari aspetti della città, da quelli sociali a quelliurbanistici, culturali e politici.

Intento di questa rassegna che, ovviamente, per via del limitato numero di film proposti non può non mostrareampie lacune, è quello di fornire un’immagine della Milano che cambia e si evolve nei suoi molteplici aspetti.Cercando di presentare pellicole che oltre a utilizzare immagini di Milano più o meno note, hanno fra i prota-gonisti proprio la città, con la sua anima e la sua personalità. Si è cercato di individuare per le varie epoche, apartire dagli anni Cinquanta, alcuni film maggiormente rappresentativi di un ben determinato periodo.Quindi la scelta è caduta sul capolavoro di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli (1960), che riesce a rendere ma-gistralmente l’immagine di una Milano che stava cambiando, grazie all’arrivo in massa, a partire dagli anni Cin-quanta, di forza lavoro proveniente dal meridione italiano. Poi Romanzo popolare (Mario Monicelli, 1974) che narra in forma di commedia, il lavoro in fabbrica, il conflittotra nord e sud, le differenze sociali tra lavoratori e imprenditori, l’emancipazione femminile, l’irrompere dinuovi costumi sociali.A seguire, San Babila ore 20: un delitto inutile. Opera del 1976 di Carlo Lizzani che descrive con sufficiente realismoil periodo della strategia della tensione; quello successivo a piazza Fontana. Gli anni della contrapposizione fraschieramenti politici e della violenza squadrista delle nuove formazioni neofasciste, per le quali Milano è sempre

INTRODUZIONE

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stata, tristemente, all’avanguardia.Anni, quelli del decennio 1970-1980, ricordati soprattutto come gli “anni di piombo” a causa della violenzaterroristica compiuta da formazioni di estrema sinistra e di estrema destra. Una definizione che va a discapitopurtroppo e, secondo noi, volutamente, di quella che fu la ricchezza culturale, il fermento che si respirava inquel periodo, normale proseguimento della “rivoluzione” del Sessantotto. Di terrorismo ne parla Gianni Amelio nel suo primo, bellissimo lungometraggio, Colpire al cuore, con JeanLouis Trintignant e Laura Morante.Film, quello di Amelio, uscito nel 1983, quando ormai a Milano e in Italia ci si stava avviando verso la stagionedel disimpegno.Proprio la Milano degli anni Ottanta è rappresentata dalla fotografia di Luca Bigazzi ne L’aria serena dell’ovest(Silvio Soldini, 1989). Qui Milano è vista non come la città “da bere” della famosa pubblicità, bensì come luogolivido, plumbeo, dove i personaggi ruotano attorno al vano desiderio di uscire dai binari tracciati delle loro fal-limentari esistenze. Una Milano, quella della coppia Soldini-Bigazzi, che non lascia spazio all’iconografia classicadella città, ma che viene, al contrario fotografata spesso in maniera anonima, ma non per questo, meno signi-ficativa.Di Francesca Comencini è, invece, il sesto e ultimo film della rassegna A casa nostra (2006), una delle ultimeopere di respiro nazionale incentrata su Milano. La Milano delle banche e della Borsa, della politica asservitaal potere economico. Anche qui la fotografia di Luca Bigazzi è incentrata su tonalità estranianti, anche se,rispetto a L’aria serena dell’ovest, la città è ritratta in modo più classico, con la visione di luoghi famosi quali laTorre Velasca, il Duomo (coperto dai teloni per i lavori di ripulitura della facciata), la Scala e i Giardini Pubblici.Anche se non mancano i riferimenti a luoghi più periferici come le aree industriali dismesse o l’Ospedale Mag-giore a Niguarda. Quasi a evocare, attraverso il binomio centro-periferia, la complessità di una città elevata apersonaggio.

A malincuore restano fuori dalla rassegna film altrettanto importanti e significativi nel descrivere una città com-plessa come Milano. Da Miracolo a Milano - con i suoi barboni che, in piazza Duomo, partono alla volta del cieloa cavallo di scope alla ricerca di “Un posto dove buongiorno voglia dire davvero buongiorno” – a Il posto di Er-manno Olmi (1961), con il ragazzo di provincia che giunge nella metropoli sventrata dai lavori per la linea 1della metropolitana per partecipare a una prova attitudinale per un posto da impiegato. Dai film stralunati diMaurizio Nichetti all’alienato operaio metalmeccanico Lulù, interpretato da Gian Maria Volonté ne La classeoperaia va in paradiso (Elio Petri, 1972). Dai poliziotteschi anni ’70 (Banditi a Milano, Milano calibro 9) a Sbatti ilmostro in prima pagina (Marco Bellocchio, 1972). Dalla camminata notturna di Jeanne Moreau ne La notte di Mi-chelangelo Antonioni(1961), a Massimo Girotti che, spogliandosi dei propri indumenti, attraversa di corsa laStazione Centrale in Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968). Da La vita agra (Carlo Lizzani, 1964) tratto dall’omo-nimo romanzo di Luciano Bianciardi, dove Ugo Tognazzi vuole far saltare in aria il “palazzaccio”, simbolo delpotere economico, ai più recenti film di Marina Spada (Forza cani, 2002, Come l’ombra, 2006), Antonio Bocola ePaolo Vari (Fame chimica, 2003), Federico Rizzo (Fuga dal call center, 2008). Tutte opere, quelle citate e tante altre ancora, che hanno contributo a raccontare una città che, nel bene e nelmale, rappresenta una parte importante e irrinunciabile del nostro malandato paese.

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TRACCE DI CINEMA A MILANO

Gli alboriCome detto nel capitolo introduttivo, il cinema in Italianasce a Torino. È nel capoluogo piemontese che, agliinizi del XX secolo nascono le prime case di produ-zione Torino diventa, così, una delle capitali del ci-nema internazionale. Grazie alla realizzazione diCabiria (Giovanni Pastrone, 1914), primo kolossal ita-liano e, addirittura, primo film italiano presentato allaCasa Bianca e grazie, soprattutto, alla passione foto-grafica e cinematografica e alle capacità imprenditorialidi Arturo Ambrosio che fondò l’Ambrosia Film e chedivenne ciò che per la Francia era Charles Pathé.Con la creazione di Cinecittà nel corso degli anniTrenta, il cinema italiano da Torino si trasferisce defi-nitivamente a Roma (come raccontato da Mario Sol-dati nel romanzo Le due città, 1964), riprendendo vigoredopo un periodo di crisi coinciso con l’affermarsi,negli anni Venti, della cinematografia americana e te-desca. Quindi, apparentemente, Milano sembrerebbe tagliatafuori dal circuito del grande cinema delle origini. Manon fu così. Anche nella città meneghina il cinema sisviluppò e si affermò grazie all’impegno di numerosipionieri che contribuirono a filmare e a diffondere leprime immagini in movimento della città. I già citatiItalo Pacchioni (Arrivo del treno nella stazione di Milano,Il finto storpio del castello (1896) e Luca Comerio che im-mortalò Milano durante il carnevale e filmò i funeralidel senatore Boccioni.E poi altri, come Giuseppe Filippi, che riprese i famosiBagni Diana a Porta Venezia o i documentari delleprime case di produzione milanesi, come la MilanoFilms o la Società Panorami Italici. È quindi possibile affermare che l’immagine di Milanonel cinema risale agli albori del cinema, così come av-venuto per le altre grandi città italiane. Tuttavia bisognerà attendere diversi anni per assistere

alla prima vera opera nella quale la città assume il ruolodi assoluto protagonista. Si tratta di Stramilano, (1929)di Corrado D’Errico, un breve documentario che ri-trae Milano a partire dalle prime ore dell’alba sino allasera, quando la frenetica vita cittadina a poco a pocosi acquieta. Girato con uno stile futurista (uno deipochi film veramente tali della cinematografia italiana),è un film del tutto anomalo nel panorama del cinemaitaliano in cui D’Errico (già collaboratore di Mario Ca-merini) descrive una città operosa, vitale, dove la quo-tidianità scorre frenetica dall’alba al tramonto,focalizzando alla fine il suo sguardo su un’ industria al-lora emergente, quella della moda. Marco Bellocchione inserirà alcuni fotogrammi all’interno di Vincere(2009), nella prima parte ambientata a Milano.

Gli anni TrentaA parte l’episodio di Stramilano, bisognerà attenderequalche anno ancora per vedere Milano diventare veraprotagonista in un’opera cinematografica. E l’imma-

Una scena tratta dal cortometraggio futurista di Corrado D’Errico,Stramilano (1929)

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gine che emerge è quella di una Milano della moder-nità.Tuttavia, paradossalmente, sarà una pellicola romana,Gli uomini, che mascalzoni! (Mario Camerini, 1932) a mo-strare immagini di una Milano dal vivo come mai alloraera stato fatto. Come scrisse il critico Filippo Sacchisul Corriere della Sera: “Il regista Camerini, appoggiatodal produttore Cecchi, prese la decisione rivoluzionariadi girare il film in esterni, invece che nei soliti teatri diposa, che rischiavano di dare un senso di fasullo con iloro ambienti ricostruiti”. Immagini della città che ri-corrono nel film sono quelle della zona di Porta Ve-nezia, dove Bruno (Vittorio De Sica) viene inseguitoda Mariuccia (Lia Franca) sin dentro a un bar situatoin piazza Oberdan verso viale Piave dove il palazzo li-berty lì situato ospitava il cinema Diana e l’omonimohotel (oggi Hotel Sheraton Diana Majestic) e dove anniprima si trovavano i Bagni Diana, prima piscina pub-blica della città. Sempre nel film di Camerini alcunescene fondamentali (tutta l’ultima parte) vengono gi-rate presso la Fiera Campionaria, sorta sul sito che,nel 1906, aveva ospitato l’Esposizione Universale (an-tesignana di Expo).C’è qualche cosa che accomuna Stramilano e Gli uomini,che mascalzoni! I simboli tradizionali di Milano, dal Pa-nettone Alemagna al Fernet Branca, che appaionosotto forma di pubblicità e con la Fiera che funge da

catalizzatore finale del film, a simboleggiare quellamodernità della quale Milano inizia a farsi vanto.Il film di Camerini esclude quasi completamente le pe-riferie a vantaggio del centro, dove Mariuccia, ognigiorno, si reca per lavorare nel negozio di profumeria.Milano, quindi, “rappresenta la punta d’iceberg delconsenso al regime di una borghesia imprenditorialeche ostenta il suo benessere, espone i suoi prodotti allaFiera e può anche trovare posti di lavoro, come il com-mendatore che, attratto dalla protagonista Mariuccia-Lia Franca, ne sistema il fidanzato.” (Marco Palazzini,Mauro Raimondi, Milano Films. 1896-2009, F.lli Frillied.). Filippo Sacchi, dalle colonne del “Corriere dellaSera”, commenterà ammirato: “È la prima volta chevediamo Milano sullo schermo. Ebbene, chi potevasupporre che fosse tanto fotogenica?”

Gli anni Trenta sono anche quelli in cui numerosi do-cumentari mettono in evidenza aspetti che rendonoMilano città all’avanguardia. Si tratta di opere per lopiù dimenticate ma che ben rappresentano il lavoro infabbrica, come Fonderie d’acciaio (Ubaldo Magnaghi,1933) sulle acciaierie Vanzetti di Milano; Mediolanum(Ubaldo Magnaghi, 1933) che “dà vita” ai vari monu-menti cittadini; Una giornata nella casa popolare (PieroBottoni, 1933) nel quale il famoso architetto raziona-lista (che nel dopoguerra realizzerà il QT8), filma lagiornata tipica di una famiglia operaia, contrappo-nendo le condizioni di vita malsane delle case di rin-ghiera della zona dei Navigli alla nuova tipologia diedilizia progettata nel 1933 insieme a Edoardo Ago-stini Griffini, per la V Triennale, “immersa nel verde,spoglia di inutili decorazioni e funzionale”.

Durante questo decennio, molti registi utilizzerannoMilano come set, mostrando vedute classiche quali ilCastello, piazza del Duomo, la Scala. Altri, come l’ame-ricano Frank Borzage in Addio alle armi (Farewell toArms, 1932), trasposizione dell’omonimo romanzo diErnest Hemingway, renderà omaggio alla città limi-tandosi a citarla. Tuttavia, sarà ancora Camerini che utilizzerà Milanoper realizzare un nuovo successo commerciale, l’unicodel periodo prebellico. Si tratta di Grandi magazzini(1939) che ambienterà nella Rinascente buona partedel film. Luogo che, coerentemente, succede allaFiera. ambientazione del suo film precedente.

La guerra Considerata la difficoltà del vivere quotidiano e la con-comitanza degli avvenimenti, l’immagine della città inguerra, impoverita, sventrata dai bombardamenti, per

Gli anni 30 al cinema. In alto - Una scena de Gliuomini che mascalzoni!A lato - L’architetto PieroBottoni, autore del docu-mentario Una giornatanella casa popolare.

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forza di cose si avrà solo grazie a pellicole uscite dopola fine del conflitto. Nel periodo immediatamente suc-cessivo, come accade in Giorni di gloria (Giuseppe DeSantis, Luchino Visconti, Marcello Pagliero, Mario Se-randrei, 1945) con immagini della Liberazione di Mi-lano e in Bambini in città, documentario realizzato daLuigi Comencini nel 1946 per ritrarre una città deva-stata dai bombardamenti vista con gli occhi dell’infan-zia. Oppure in anni successivi come per Il Generale dellaRovere (Roberto Rossellini, 1959), Mussolini, ultimo atto(Carlo Lizzani, 1974), Uomini e no (Valentino Orsini,1980), Sanguepazzo (Marco Tullio Giordana, 2008).Infine, per quanto riguarda il periodo bellico e dellaLotta di Liberazione, merita di essere segnalato, per lasua originalità, Oggi è un altro giorno – Milano 1945-1995,realizzato da Bruno Bigoni e da Giuseppe De Santis,nel quale Moni Ovadia inossa i panni di un professoreche conduce un gruppo di studenti dell’Itsos di viaPace alla ricerca dei i luoghi storici della Resistenza mi-lanese, allo scopo di insegnare alle nuove generazioniquello che ha significato – e significa ancora oggi - queldeterminato periodo storico.

Gli anni Cinquanta e SessantaMichelangelo Antonioni, fra i principali registi di rife-

rimento del cinema italiano degli anni Cinquanta e Ses-santa, realizzerà il primo, importante film ambientatoa Milano dopo la guerra. Si tratta di Cronaca di un amore(1950), film spartiacque fra il neorealismo e un cinemapiù introspettivo, ambientato in una Milano invernale,nebbiosa. Uno scenario che diventerà un classico inmolti film che utilizzeranno il capoluogo lombardocome loro ambientazione. Come già avvenuto ne Gli uomini, che mascalzoni!, An-tonioni parte da una veduta del Duomo per proseguirepoi con immagini della Scala, dei Giardini Pubblici diPorta Venezia e altre location che diventeranno assaifrequenti nel cinema milanese. Ma a caratterizzare ilprimo lungometraggio del regista ferrarese sarà anchela periferia. Luogo dove si incontrano i due amantiprotagonisti del film, interpretati da Massimo Girottie Lucia Bosè che si danno appuntamento in una tristestanza vicino allo stadio Giuriati o all’Idroscalo.

Con Cronaca di un amore la periferia milanese entreràcosì a far parte della tipica scenografia milanese uti-lizzata in molti altri film successivi, a partire da Mira-colo a Milano (1951) che Vittorio De Sica regista eCesare Zavattini sceneggiatore ambientano proprionella zona attigua al medesimo Giuriati. Sarà in un

Cronaca di un amore: l’Idrocalo

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campo non ancora edificato, la Cascina Rosa, posto aridosso della ferrovia che i poveri clochard del film abi-tano, al gelo, in baracche fatiscenti, minacciate dallaspeculazione edilizia che vuole appropriarsi del terrenoper costruire palazzi. È soprattutto in Miracolo a Milano che la periferia di-venta prepotentemente “personaggio” del film. Inquesto caso una periferia estrema, come estreme sonole esistenze dei barboni che la abitano e che abbando-neranno solo per trasferirsi in piazza Duomo dove, acavallo di scope, voleranno in cielo alla ricerca di unmondo migliore.

Ancora periferia (in questo caso la zona del Ticinese)e inverno gelido e nebbioso, faranno da sfondo a unfamoso film di Eduardo De Filippo: Napoletani a Mi-lano (1953). Opera che, nelle intenzioni del grande re-gista partenopeo, vorrebbe educare a una reciprocatolleranza e comprensione. Così i napoletani riusci-ranno, nonostante la diffidenza e il razzismo dei mila-nesi, a integrarsi nel mondo lavorativo del nord,dimostrandosi validi lavoratori tanto quanto i loro col-leghi settentrionali.De Filippo, nel finale pieno di speranza del film, faràattraversare piazza Duomo dal tram Duomo-Posillipo,come auspicio che, finalmente, l’Italia possa diventareuna vera nazione, con l’unione senza più pregiudizi delnord e del sud della penisola.

Altri napoletani giungeranno a Milano in Totò, Peppinoe la malafemmina (Camillo Mastrocinque, 1956), scen-dendo dal treno alla stazione Centrale vestiti come co-sacchi del Don in pieno luglio perché, è risaputo, aMilano “non può fare caldo” e c’è la nebbia (e “se c’èla nebbia, si sa, non si vede”). Qui Milano è evocata

come città straniera, sconosciuta. Quanto di più lon-tano ci possa essere dal paesello natio. Esilaranti lescene, diventate famose, del colloquio fra Totò, Pep-pino e un vigile in piazza Duomo e dell’arrivo in al-bergo quando, dalle valige, Totò, Peppino e Titina DeFilippo tireranno fuori chili di pasta e di pane, salami,litri di vino, generi di sussistenza necessari per soprav-vivere lontano da casa in un luogo ostile. Tutti indiziche fanno capire come quell’integrazione fra nord esud, auspicata da Eduardo, era ancora molto di là davenire.

Integrazione difficile ma necessaria per poter vivereun’esistenza dignitosa e serena. Quella che, con moltedifficoltà ricercano i componenti della famiglia Pa-rondi, nel capolavoro di Luchino Visconti Rocco e i suoifratelli (1960), con Alain Delon, Renato Salvatori, AnnieGirardot, Katina Paxinou. La famiglia Parondi, proveniente dalla Basilicata perraggiungere uno dei figli già trasferitosi a Milano,giunge con il treno alla stazione Centrale. Qui la mac-china da presa ritrae, in una memorabile scena, l’arrivo

In alto - Totò, Peppino e la MalafemminaA lato - Miracolo a Milano

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del treno da dietro un’inferriata, quasi a significarecome i Parondi stiano per giungere in una città-gabbia,ostile, che li accoglie ma non li vuole, li isola.Il film di Visconti è un’analisi accurata e spietata deglieffetti dell’emigrazione dal meridione d’Italia, poveroe rurale, al ricco settentrione industrializzato. Milano,soprattutto la sua periferia, diventa assoluta protago-nista del film. Fotografata in un bianco e nero magni-fico che sono i colori con cui, come ebbe a dichiararelo stesso Visconti in un’intervista a “The Observer”,“Milano appare al solitario contadino del Sud”.

Gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta sono anchequelli nei quali si affaccia al mondo del cinema Er-manno Olmi. Soprattutto in questo periodo, Milano èfra i suoi set principali. Dapprima con i documentarirealizzati per conto della Società Edison Volta (tra que-sti: Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggiere,1954; Michelino 1a B, 1956; Tre fili a Milano, 1958), poicon Il posto (1961), dove un ragazzo neodiplomato,giunge a Milano dall’hinterland per partecipare a unaselezione per un posto da impiegato. Verrà assunto einizierà a lavorare in una città fredda, caotica, sventratadai lavori per la costruzione della linea 1 della metro-politana, che ci appaiono in tutta la loro devastazione

in alcune scene ambientate a San Babila. Così comeavveniva ne Gli uomini, che mascalzoni!, anche nel film diOlmi le aspirazioni dei protagonisti sono quelle di ele-varsi dal rango di proletario a quello piccolo-borghese.Da quello di operaio, raffigurato dal padre di Dome-nico a quello di impiegato.Sono gli anni del cosiddetto boom economico, un pe-riodo di apparente benessere nel quale la vita degli ita-liani sembra migliore sostanzialmente, primadell’avvento della terribile crisi economica che si ab-batterà sul paese nella prima metà del decennio suc-cessivo.Gli anni del boom sono descritti in chiave diversa danumerosi registi. Fra questi Carlo Lizzani, che realizza nel 1964 La vitaagra, adattando l’omonimo romanzo di Luciano Bian-ciardi. Nel film, Ugo Tognazzi sogna di far saltare inaria “il palazzaccio”, cioè il grattacielo dove ha sedel’azienda per la quale lavora e che rappresenta, ai suoiocchi, il simbolo di quel potere economico che stritolasenza pietà le vite dei propri dipendenti.

Ma gli anni del miracolo economico, se da un lato sem-brano far pensare a molti che ci si stia lasciando allespalle il difficile periodo del dopoguerra, dall’altro agi-scono in maniera subdola, sotterranea, negativa. Variregisti evidenziano proprio questa negatività: l’aliena-zione della società neo-capitalistica. Franco Brusaticon Il disordine (1962), Eriprando Visconti con Una sto-ria milanese (1962), Damiano Damiani con La rimpa-triata (1963), Marco Ferreri con L’uomo dei cinque palloni,episodio del film collettivo Oggi, domani, dopodomani(1965), sono solo alcuni esempi di un cinema assai cri-tico verso il nuovo corso dell’Italia di quegli anni.Milano è una città mutata profondamente dal boomeconomico. Nelle sue abitudini, nelle sue dinamichesociali. Mettendo in difficoltà, a livelli diversi, le varieclassi sociali. Come quella borghese, la cui crisi vieneben descritta ancora una volta da Michelangelo Anto-nioni che nel 1960 realizza un altro film fondamentaledella sua filmografia milanese. Si tratta de La notte, pel-licola nella quale la crisi della borghesia si esplicita at-traverso la crisi matrimoniale fra Lidia, interpretata daJeanne Moreau e Giovanni (Marcello Mastroianni). Inquesto film fa il suo ingresso un luogo che diventeràutilizzatissimo dalla futura cinematografia milanese: ilGrattacielo Pirelli, progettato da Gio Ponti e inaugu-rato nel 1960, dall’interno del quale quale Antonioniesegue una carrellata della macchina da presa che daltetto scende sino a planare sulla tettoia della vicina Sta-zione Centrale.

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In quegli anni i cambiamenti culturalidella società sono rapidi. Con l’arrivo delSessantotto anche Milano respirerà arianuova. Per contro Pier Paolo Pasolini,che già era stato nel capoluogo lom-bardo anni prima per girare un film suiteddy boys mai venuto alla luce, realizzauno dei suoi film più disperati. Con Teo-rema (1968) Pasolini “dichiara tutto il suomalessere nei confronti della «falsa rivo-luzione» del 1968” (Gian Piero Brunettain Storia del cinema mondiale. Vol. XVII: Ilcinema italiano contemporaneo, Laterza,2007).Con questo film Pasolini anticipa il temadella fabbrica, che sarà ampiamente svi-luppato dalla cinematografia milanesedel decennio successivo. Ma in questocaso la fabbrica è deserta e Pasolini ne filma i capan-noni, i viali interni, utilizzando gli ambienti dell’Inno-centi a Rubattino (stabilimento che ospitòsuccessivamente anche le riprese di Romanzo popolare).Ma Pasolini filma anche la discesa agli inferi di una fa-miglia borghese, messa in crisi dall’arrivo di un miste-rioso Ospite che sconvolgerà emotivamente tutti ipersonaggi e che il regista utilizza per abbattere le so-vrastrutture sociali. Quando l’Ospite se ne andrà, tuttii personaggi avranno la vita sconvolta e andranno in-contro al loro destino. Sino al finale in cui MassimoGirotti, il capo famiglia, dopo aver lasciato la fabbricaagli operai, inizierà una corsa disperata attraverso i bi-nari della Stazione Centrale, liberandosi via via di tuttigli indumenti sino a rimanere nudo sotto gli sguardiattoniti dei passanti.

Gli anni Settanta. Fabbrica e rivoluzioneIl periodo che va dalla fine del Sessantotto all’iniziodegli anni Ottanta è caratterizzato da un forte spiritocreativo, di ribellione delle giovani generazioni, di mu-tamenti significativi nel mondo del lavoro.

Sull’onda del Sessantotto e del cambiamento profondoche questa “rivoluzione” provocò nel mondo occiden-tale, Italia compresa, gli anni Settanta si aprono conuna serie di riforme che avrebbero portato a una mo-difica radicale della società e della cultura nel nostropaese. A partire dalla scuola, per la quale vennero in-trodotti cambiamenti sostanziali sia dal punto di vistaorganizzativo, sia da quello concettuale. Nel mondodel lavoro, maggiori garanzie e tutele vengono acqui-

In alto - Michele Placido, Mario Monicelli e Ornella Muti sul set diRomanzo popolare.A lato - Silvana Mangano in Teorema, di Pier Paolo Pasolini

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site dai lavoratori grazie all’approvazione, nel 1970,dello Statuto dei Lavoratori. L’informazione radiofo-nica cessa di essere monopolio dello Stato e vede sor-gere e proliferare in poco tempo le radio private,chiamate inizialmente “Radio libere” proprio per sot-tolinearne la distanza dall’ufficialità della Rai. A Mi-lano, ad esempio, nel 1976 inizia le trasmissioni RadioPopolare, considerata, per antonomasia, l’”emittentedella sinistra milanese”. Nel campo dell’informazionegiornalistica fa la sua comparsa il quotidiano “La Re-pubblica”, destinato a diventare nel corso degli anni laseconda testata nazionale. In quel periodo vengonofondati anche numerosi quotidiani di estrema sinistra,fra i quali “Lotta Continua”, il “Quotidiano dei Lavo-ratori”, “il Manifesto”, che davano voce a coloro chenon si riconoscevano, a sinistra, nelle politiche rifor-miste del Partito Comunista, consentendo così un di-battito più aperto e fuori dagli schemi in cui eracostretta “’Unità”, in quanto organo di partito.Nel 1975, la lotta per i diritti civili ebbe il suo culminecon la vittoria dei “No” all’abrogazione della legge suldivorzio da poco approvata.Va da sé, quindi, che anche il cinema tocchi temi legatiad aspetti della società che stavano in quegli anni su-bendo grandi trasformazioni, spesso in positivo. Sono anni in cui Milano si identifica sempre di più conla fabbrica. Varie sono le pellicole nelle quali la perife-ria popolare e l’hinterland, con le industrie metalmec-caniche, diventano protagonisti. Titoli quali La classe operaia va in paradiso (Elio Petri,1972), Romanzo popolare (Mario Monicelli, 1974), Delittod’amore (Luigi Comencini, 1974) hanno come locationsoprattutto la periferia, sottolineando, quindi, l’imma-gine di Milano come metropoli industriale. Così comeIl padrone e l’operaio (Steno, 1975), un film più “leg-

gero”, con Renato Pozzetto e Teo Teocoli.

La contestazione di una parte del mondo giovanileviene filmata da Alberto Grifi che riprende l’ultimaedizione tenutasi al Parco Lambro di Milano del Festi-val del Proletariato giovanile, organizzato dalla rivista“Re Nudo”. Tre ore di registrazione che il regista ro-mano, considerato fra i massimi esponenti del cinemasperimentale italiano, ha raccolto in Festival del proleta-riato giovanile al parco Lambro di Milano (1976). Gli anni Settanta devono quindi, a nostro avviso, es-sere considerati non solo come gli anni cosiddetti “dipiombo”, con un’accezione, pertanto, totalmente ne-

In alto - Flavio Bucci in Maledetti vi amerò, primo lungometraggio diMarco Tullio Giordana.A lato - Immagini dal Festival di Re Nudo, Parco Lambro, 1976

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gativa che getta un’ombra luttuosa su tutto il decennio,bensì come un pezzo di storia di un paese – e di con-seguenza di una città, Milano - che, se da un lato ha si-curamente vissuto sulla propria pelle la tragedia delterrorismo sempre più spietato. dall’altro ha visto cre-scere un fermento culturale e sociale che gli ha per-messo di emergere dal provincialismo nel qualesembrava sprofondato senza speranza di uscita.

In ogni caso, il triste fenomeno del terrorismo, che havisto Milano fra le città più colpite in Italia, è trattatoda Marco Tullio Giordana (che nel 2012 affronterà lastrage di piazza Fontana nel discusso Romanzo di unastrage) in Maledetti vi amerò (1980) e poi, magistralmente,da Gianni Amelio nel suo primo lungometraggio: Col-pire al cuore (1982), con un superlativo Jean-Louis Trin-tignant.Anche l’assassinio del giornalista Walter Tobagi, uccisoa Milano in via Salaino (zona Solari) da un commandoterroristico il 28 maggio 1980, è stato rappresentato,per altro in maniera piuttosto superficiale, in Una freddamattina di maggio (Vittorio Sindoni, 1990).

La strage di piazza Fontana, inizio di quella strategiadella tensione che avrebbe portato alle successive stragidi piazza della Loggia, dell’Italicus, della stazione diBologna, del rapido 904, era stata affrontata, prima diGiordana e in maniera sicuramente più efficace, daMarco Bellocchio con Sbatti il mostro in prima pagina(1972). Il film segue la campagna diffamatoria intra-presa da un giornalista (Volonté) nei confronti di ungiovane della sinistra extraparlamentare accusato in-giustamente di un omicidio a sfondo sessuale. Il filminizia con le immagini di un comizio fascista in piazzaCastello dove, sul palco, si riconosce il futuro ministroIgnazio La Russa che tuona contro i comunisti e i ne-mici dell’Italia.

E le lotte tra fascisti e comunisti di quegli anni sononarrate anche nel film di Lizzani San Babila ore 20: undelitto inutile (1976), attraverso le gesta di un gruppo difascistelli sanbabilini che, nell’arco di una giornata, pas-sano dallo stupro di una ragazza, al tentativo di gettareuna bomba in una sede sindacale, all’uccisione di unacoppia di giovani comunisti.

Banditi a Milano. Il poliziottesco in salsa meneghinaLa malavita che si afferma in città dalla metà degli anniSessanta, poco ha a che vedere con la famosa liggéramilanese, una forma di malavita identificabile in unsottobosco di piccoli criminali (papponi, rapinatori, se-questratori, biscazzieri, allibratori, ladruncoli, truffa-tori, spacciatori, ricettatori) disorganizzati e spesso inconflitto tra loro. Verrà soppiantata da una criminalità molto più ferocee organizzata, che ha portato a Milano le cosche ma-fiose, soprattutto le ‘ndrine calabresi. Questo “passaggio di consegne” viene descritto in Ma-lamilano, dalla liggera alla criminalità organizzata, documen-tario di Tonino Curagi e Anna Gorio (1997) con lacollaborazione di Primo Moroni che analizza come,spesso, la malavita fosse un modo per fuggire al de-stino e alla disciplina della fabbrica. Anche la Banda Cavallero che da Torino venne a Mi-

In alto - Gian Maria Volonté in Banditi a Milano. Sopra - Il Cavalcavia Monte Ceneri, una dell vie di fuga dei banditi nel film di Carlo Lizzani

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lano per mettere a segno un triplice colpo ad altrettantebanche cittadine, per quanto efferata era comunquesvincolata dalle organizzazioni mafiose. Il tragico epi-logo della rapina al Banco di Napoli di piazza Zando-nai è stato raccontato da Carlo Lizzani in Banditi aMilano (1967) pochi mesi dopo gli avvenimenti cheportarono alla tragica fuga dei banditi per le vie di Mi-lano, lasciando sul selciato numerose vittime innocenti.Pietro Cavallero, nel film di Lizzani è interpretato daGian Maria Volonté, mentre il suo braccio destro SanteNotarnicola ha il volto di Don Backy, famoso cantanteche, spesso, si dedicava al cinema. Numerose sono le pellicole che trattano il tema dellacriminalità organizzata (di cui Renato Vallanzasca eFrancis Turatello sono stati i protagonisti degli anniSettanta e Ottanta). Fra i titoli più significativi di questofilone ricordiamo: Milano Calibro 9 (Fernando Di Leo,1972, La mala ordina (Fernando Di Leo, 1972), Milanotrema: la polizia vuole giustizia (Sergio Martino, 1973), Mi-lano odia: la polizia non può sparare (Umberto Lenzi,1974), Milano: il clan dei calabresi (Giorgio Stegani, 1974),Milano violenta (Mario Caiano, 1976).

Gli anni Ottanta: disimpegno e disillusioneGli anni Ottanta sono spesso connotati come gli annidel “riflusso”, dello yuppismo e del disimpegno. Il cinema non poteva non cogliere al volo l’occasionedi sfruttare questo momento e questa tendenza. Lo facon film per lo più di scarso valore artistico ma cherendono bene, fin dal titolo, ciò che sono stati queglianni. Soprattutto a Milano, per la quale venne utilizzatoin maniera assai efficace lo slogan della “Milano dabere”, preso in prestito dalla pubblicità di un notoamaro.Sotto il vestito niente (Carlo Vanzina, 1985) è, forse, il ti-tolo esemplificativo di un periodo. Ambientato nel

mondo effimero e vacuo della moda, sisvolge tutto nel centro cittadino. Le periferiesono, ormai, dimenticate. Tutto è apparen-temente scintillante, “da bere”. Come in ViaMontenapoleone (Carlo Vanzina, 1987), che siapre e si chiude con l’immagine della targaidentificativa della via simbolo del lusso eche si svolge tutto in poche centinai di metri,fra la via del titolo, piazza San Fedele, piazzaSan Carlo, piazza della Scala, piazza Cavoure Porta Venezia.

Gli anni Ottanta sono anche rappresentatidalle commedie leggere con Adriano Celen-tano [Asso (Castellano & Pipolo, 1981), BingoBongo (Pasquale Festa Campanile, 1982),

Segni particolari: bellissimo (Castellano & Pipolo, 1983)] eRenato Pozzetto [Saxofone (R. Pozzetto, 1978), È arri-vato mio fratello (Castellano & Pipolo, 1985)]. Commediequeste ultime che mostrano “chiaramente quel mora-lismo di fondo verso cui è ormai virato l’iniziale per-sonaggio-Pozzetto, sempre più lontano dalla surrealestralunatezza degli esordi cabarettistici” (Marco Palaz-zini, Mauro Raimondi, Milano Films 1895-2009, F.lliFrilli ed., 2009).

Carlo Vanzina è il regista di una trilogia di successocon Diego Abatantuono, che ripropone sullo schermola figura del “terrunciello”, già sperimentata insiemea Giorgio Porcaro ai tempi del cabaret del Derby Club.I tre film di Vanzina che lanciarono definitivamenteAbatantuono nel panorama cinematografico italianofurono, rispettivamente: I fichissimi (1981), Eccezzziu-nale… veramente (1982) e Il ras del quartiere (1983). Unasaga che ruota intorno alla figura del figlio di immigratipugliesi in cui si innestano, su una buffa parlata pu-gliese, il gergo popolare, l’accento milanese e un semi-analfabetismo culturale che rendono il “terrunciello”una esilarante e grottesca maschera di quei tempi.

Ma gli anni Ottanta milanesi al cinema non sono statisolamente comicità più o meno di buon livello. Ermanno Olmi, ad esempio, realizza per conto del Co-mune un bellissimo documentario dal titolo Milano ’83(1983). La macchina da presa del regista bergamascoindaga vari aspetti della città e ne coglie in maniera si-gnificativa la quotidianità. Un affresco milanese pernulla scontato e ovviamente, trattandosi di Olmi, digrande qualità.

Maurizio Nichetti, che proviene dalla scuola mimicadella Compagnia teatrale “Quelli di Grock”, emerge

Maurizio Nichetti attraversa il ponte in ferro di Porta Genova in Ratataplan

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alle soglie degli anni Ottanta con Ratataplan (1979),film pochissimo parlato nel quale il regista-attore im-personifica un ingegnere disoccupato e stralunato cheattraverso varie vicissitudini racconta una Milanosenz’anima e respingente. Da “cult” la lunghissima se-quenza in cui Nichetti, finito a lavorare in un chioscobar sul Monte Stella, attraversa a piedi tutta la città perportare un bicchiere d’acqua a una riunione di managernella zona di via Melchiorre Gioia.Milano rimarrà ben presente anche nella successiva fil-mografia di Nichetti [Ho fatto splash (1980), Domani siballa (1982), Ladri di saponette (1989), Volere volare(1991), Stefano Quantestorie (1993), Luna e l’altra (1996),Honolulu Baby (2001, film quest’ultimo che riprende ilpersonaggio dell’Ing. Giovanni Colombo di Ratata-plan]. Gabriele Salvatores, premio Oscar con Mediterraneo(1991), tra i fondatori del Teatro dell’Elfo (Bruno Bi-goni ne narrerà la storia e il percorso artistico ne I sognidegli Elfi, del 2000), approda al cinema nel 1983 conSogno di una notte di mezza estate, pellicola in cui la com-media shakespeariana viene rivisitata in chiave rock eambientata per le strade di Milano.Ancora Milano e, in particolare, quella del mondo le-gato al cabaret, sarà protagonista del successivo Kami-kazen. Ultima notte a Milano (1987) che riprendeComedians di Trevor Griffith, messa in scena dall’Elfo.Qui un gruppo di attori aspiranti cabarettisti (fra cuiPaolo Rossi, Claudio Bisio, Silvio Orlando, AntonioCatania, Bebo Storti, Renato Sarti), si trovano a gio-carsi su un palco di infima categoria la grande occa-sione della vita: quella di poter partecipare a

“Drive-In”, la trasmissione televisiva del momento: .

Silvio Soldini, infine, che già aveva girato a Milano Giu-lia in ottobre (1985), con il suo lungometraggio L’aria se-rena dell’ovest (1990) fornisce un quadro disincantato diuna Milano abitata da personaggi chiusi in se stessi, di-sillusi, in cui l’incomunicabilità e il fallimento dei rap-porti di coppia rende tutto privo di entusiasmo, in unclima di incertezza esistenziale.Soldini ambienterà, almeno in parte, a Milano ancheil successivo Un’anima divisa in due (1993) nel quale Fa-brizio Bentivoglio, addetto alla sicurezza di un grandemagazzino (nel film non viene detto ma i locali sonoquelli della Rinascente in Duomo), si innamora di unagiovane ragazza rom, scappando con lei verso le Mar-che, dove vivono i suoi genitori. Una storia che nonpotrà durare. Quando la ragazza tornerà a Milano, tro-verà lo spiazzo dove c’era l’accampamento della suacomunità desolatamente vuoto.

Una landa periferica, esattamente come quella che ap-pare nel film di Emir Kusturica Il tempo dei gitani (1989),film che si sviluppa fra la Serbia e Milano, con il centro(piazza Duomo, piazza della Scala, il Naviglio Grande)ma anche la periferia degradata dove vive la comunitàrom.

Una Milano da fuggireCon la dismissione delle fabbriche, anche il mondooperaio diventa invisibile e praticamente assente al ci-nema. Silvio Soldini realizza nel 1987 La fabbrica sospesa, pel-licola impreziosita, come sempre accade nei film di

Soldini, dalla fotografia di LucaBigazzi, in cui viene raccontatala chiusura della Pirelli alla Bi-cocca, una delle più grandi fab-briche del triangolo industriale,e dei conseguenti piani di ri-strutturazione e di riutilizzo del-l’area. Film di grande intensitàemotiva, in cui i volti degli ope-rai e degli impiegati ripresi dalregista si mescolano a materialed’archivio.

Milano, in questi anni, diventasempre più faticosa da vivere,con l’aumento della diffidenzae della solitudine esistenziale edell’emarginazione. In Maicol(1989) Mario Brenta porta sulloL’hangar Bicocca compare nel documentario di Silvio Soldini La fabbrica sospesa

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schermo il disagio del viverequotidiano, narrando la storia,ambientata alla Bovisasca,estrema periferia milanese, diun bambino abbandonato peregoismo dalla madre in me-tropolitana. L’emarginazione e la difficoltà di viverenegli anni Novanta a Milano, ma potremmo dire, inItalia, viene raccontata anche da Bruno Bozzetto inSotto il ristorante cinese (1987) e da Sandro Baldoni, nelsuo film grottesco Strane storie (1994).

Questa città straniante, egoistica e respingente inducemolti alla fuga, sia fisicamente, sia “idealmente”. Difatto Milano non viene più vissuta. Diventa città dallaquale fuggire o nella quale resistere. Il cinema se ne ac-corge. Sia che si tratti di commedie leggere e commer-ciali, come Willy Signori e vengo da lontano (FrancescoNuti, 1989), Maledetto il giorno che ti ho incontrato (CarloVerdone, 1992), sia che si tratti di film autoriali comeFacciamo Paradiso di Mario Monicelli (1985).

A tal propo-sito RaffaeleDe Berti,docente diStoria del ci-nema pressol’Universitàdi Milano,osserva “lap a r a b o l acompiuta daMilano neiprimi anni’90, da sim-bolo dellamodernità epolo di attra-zione a cittàda cui scap-

pare non solo fisicamente, ma anche dalpunto di vista etico” (in: Marco Palazzini,Mauro Raimondi, Milano Films 1895-2009,F.lli Frilli ed., 2009).

Le relazioni umane si fanno sempre più dif-ficili e complicate nella grande metropoliormai priva di identità. Ovviamente il cinemane risente. La produzione di film che utiliz-zano come location Milano si rarefanno a

scapito di altre città come, ad esempio, Torino.Pochi sono i film del circuito ufficiale girati a Milano.E quelli che vengono realizzati descrivono negativa-mente il capoluogo lombardo. In Hotel Paura (RenatoDe Maria, 1996), Sergio Castellitto passerà dalla realtàaltoborghese della zona di Santa Maria alle Grazie agli“inferi” della circonvallazione esterna e alla StazioneCentrale, dove verrà in contatto con una realtà di emar-ginazione nella quale, tuttavia, conoscerà il valore au-tentico dei legami fra i diseredati.In A casa nostra (Francesca Comencini, 2006) è evi-dente il declino morale di una città e di una nazione.La Comencini evidenzia la corruzione fra politica e fi-nanza; tratta il tema dello sfruttamento delle ragazzedell’est e mette a nudo l’incapacità di dare e ricevereamore da parte delle persone. Specchio di un paese in-capace di tirarsi fuori dal pantano in cui vent’anni diberlusconismo lo ha sprofondato. E Milano ne è il simbolo. Come evocato da Nanni Mo-retti ne Il Caimano (2006), che gira in città molte scene,senza per altro mai citarla, ma eleggendola a luogoamorale, simbolo del potere del denaro.

Un paese sempre più precario. Nel lavoro come neirapporti interpersonali. Come viene descritto nel filmindipendente di Stefano Odino Il Vangelo secondo SanPrecario (2005), che denuncia la difficile condizione la-vorativa di molti giovani (e meno giovani) a Milano.Tema ripreso in Fuga dal call center (2008) di FedericoRizzo che, come è comprensibile sin dal titolo è am-bientato in un luogo classico del lavoro precario,quello dei call center, appunto, con le conseguenzedrammatiche che la mancanza di stabilità porta nelle

I documentaristi Anna Gorio e Tonino Curagi.In basso - Marina Spada.

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vite delle persone. Si tratta, anche in questo caso, di unfilm indipendente, che si avvale della fotografia di unodei maestri in questo campo: Luca Bigazzi, stretto col-laboratore, come già abbiamo visto, di Silvio Soldini.

Indipendenti crescono…Il circuito dei filmakers indipendenti è particolarmentesviluppato a Milano. Nuove forme di produzione, chepartono spesso dal basso, sono sempre più utilizzate.È il caso di Fame chimica, film del 2003 di Antonio Bo-cola e Paolo Vari che descrive l’estrema difficoltà delvivere in periferia, fra lavori sottopagati, spaccio e dif-ficili rapporti di convivenza fra immigrati e italiani. Ilfilm, girato alla Barona, rappresenta un interessantee disperante spaccato della periferia milanese di inizioXXI secolo.

Fra le figure emergenti della cinematografia indipen-dente milanese troviamo Marina Spada che, dopovarie esperienze di assistenza alla regia e numerosi cor-tometraggi, dirige Forza cani (2001), storia di Nebbia,un giovane da poco arrivato a Milano che gira le peri-ferie scrivendo sui muri versi di poesie. Al momento della sua uscita rappresentò una espe-rienza radicale di cinema indipendente, slegato dalle

consuete formule produttive e distributive. Finanziatoin crowdfunding e realizzato da una troupe di professio-nisti che hanno accettato di lavorare dietro una com-partecipazione agli utili, il primo lungometraggio dellaSpada ha avuto come luoghi di distribuzione unica-mente centri sociali e case della cultura.

…in una città multietnica…Sin dal 1993 il cinema aveva raccontato le difficoltà in-contrate dai nuovi migranti nella nostra società. Loaveva fatto Maurizio Zaccaro con L’articolo 2, nel qualeun immigrato algerino, ben integrato e con un lavoro,vive nell’hinterland milanese con due mogli (ammessedalla religione musulmana), si scontra con la legge ita-liana che lo considera bigamo e, quindi, perseguibilepenalmente.Successivamente, Tonino Curagi e Anna Gorio con Iosono invisibile (2000), danno voce a numerosi giovanimigranti provenienti da varie parti del mondo chehanno abbandonato il loro paese per cercare fortunaqui da noi. Gli stessi due registi daranno voce ai rommilanesi nel bel documentario Via San Dionigi 93. Storiadi un campo rom (2007). Così come ha fatto Antonio Bo-cola con Opera gagia (2007).La comunità cinese, presente in città sin dagli anni

I tre giovani protagonisi di Fame chimica, di Antonio Bocola e Paolo Vari

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Venti nella cosiddetta Chinatown di via Paolo Sarpi, èritratta da Alessandro De Toni e Matteo Parisini in AMing (2005), documentario che segue momenti dellavita di un giovane cinese giunto a Milano clandestina-mente, nonché dal regista e sinologo Sergio Basso inGiallo a Milano (2007).

Citiamo infine ancora Marina Spada che in Come l’om-bra (2006) affronta in un film di finzione l’amicizia na-scente e presto interrotta da un fatto drammatico fraun’italiana e una immigrata ucraina

… e senza sale cinematograficheConcludiamo queste “tracce” di cinema milanese, as-solutamente parziali e non esaustive di quello che è edè stato il cinema milanese, con un documentario cheevidenzia un problema che da anni colpisce e impove-risce la nostra e altre città italiane: quello della progres-siva scomparsa delle sale cinematografiche. Claudio Casazza, regista milanese che, fra le altre cose,ha curato nel passato alcune rassegne per il nostro Ci-

neforum, ha realizzato nel 2010 Era la città dei cinema,un viaggio attraverso la memoria e il presente di Mi-lano. Molti personaggi legati al cinema fra i quali Mo-rando Morandini, Maurizio Nichetti, Lella Costa,Raffaele De Berti, Paolo Mereghetti, Gabriele Porro,Enrico Livraghi, Lionello Cerri, Antonio Sancassani evari operatori del cinema, analizzano ciò che hannorappresentato i cinema per varie generazioni e come aMilano, a partire dagli anni Settanta, si è avuta una co-stante e inesorabile riduzione delle sale cinematogra-fiche che da 140 sono scese a una ventina circa, e conla prospettiva della prossima chiusura del multisalaApollo.

Specchio dei tempi che cambiano. Come sempre è suc-cesso e sempre succederà. A volte in peggio, a volte inmeglio. Milano si è modificata molto sotto vari aspetti. Con ilcinema sempre pronto a raccontarci criticamente eacutamente i vari cambiamenti.

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I FILM

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ROCCO E I SUOI FRATELLIAlla morte del marito, Rosaria Parondi si trasferisce insieme ai suoi quattrofigli, Simone, Rocco, Ciro e Luca, dalla natia Basilicata a Milano, dove giàabita il primogenito Vincenzo.Inizia quindi per tutti loro una nuova vita, nel tentativo di integrarsi nellagrande metropoli adattandosi a un modo di vivere completamente diversoda quello sino ad allora conosciuto.Nonostante gli sforzi, il dramma si abbatterà impietoso, portando alla disgre-gazione della famiglia Parondi.

RECENSIONI

[...] Visconti con questo film sembra aver voluto illustrare il drammadell’emigrazione interna italiana. In che cosa consiste questo dramma?Brevemente, è lo stesso dramma degli emigrati italiani a New York o aBuenos Aires. L’ambiente socioculturale, assai fragile e decrepito, deipaesi d’origine non resiste al trapianto e va in polvere, e l’emigrante sitrova nudo e indifeso in un mondo del tutto straniero. Di solito gli emi-granti reagiscono in due modi alle difficoltà dell’adattamento: sia, se sonovecchi, regredendo agli usi e costumi del paese originario e allora ab-biamo la sottocultura di Little Italy; sia, se sono giovani, cercando d’in-serirsi nella cultura del paese d’adozione e allora abbiamo l’ibridismopenoso della seconda generazione.Ma è poi veramente questo l’argomento del film di Visconti? Secondonoi, invece, il dramma dell’emigrazione è rimasto nell’ombra. Per esem-pio, la sconfitta e il disfacimento morale di Simone appaiono nel filmcome un fatto piuttosto individuale che sociale, ossia Simone è deboleperché è debole e non perché è emigrato. Né Visconti ha illustrato ledifficoltà che possono incontrare quattro meridionali nella ricerca di unlavoro a Milano. I quattro fratelli Parondi trovano da lavorare in manieraperfino troppo liscia e facile. Il silenzio sulle difficoltà d’adattamentorende superfluo l’impianto veristico dei personaggi, specie di Simone.Infatti, il personaggio veristico è credibile e accettabile soltanto se le suedeterminazioni sociali sono fortemente sottolineate.L’argomento vero del film sono invece i rapporti affettivi d’una famigliameridionale e comunque italiana. Visconti, questi rapporti li sente pro-fondamente, con quasi dolorosa intensità; la rivalità di mestiere e d’amore dei due fratelli è così il perno di tuttala vicenda in quanto consente al regista di mostrare, controluce, tutta la complessità e la delicatezza del senti-mento che lega Rocco a Simone e agli altri fratelli. Guardando al film da quest’angolo visuale appare spiegatae giustificata anche l’eccessiva lunghezza della scena in cui Simone picchia Rocco: lo picchia con tanto accani-mento perché l’ama. Altresì Visconti ha avuto la mano felice in tutte le sequenze d’insieme della famiglia Parondi,sia pure con qualche concessione al verismo di genere. Invece meno ci persuadono gli amori di Nadia; in realtài due fratelli s’amano troppo per amare anche una donna.Visconti ha girato il film con maestria, Rocco e i suoi fratelli è senza dubbio il suo miglior film dopo La terra trema.Forte, diretto e brutale benché, a momenti, un poco freddo, il film rispecchia fedelmente nelle sue compiacenzedi crudeltà e nella sua minuzia descrittiva le due componenti del singolare talento del regista: quella decadentisticae quella sociale. Tra gli interpreti i due migliori sono senza dubbio Renato Salvatori, un Simone di grande effi-

Regia Luchino ViscontiSoggetto Luchino Visconti, Vasco Prato-lini, Suso Cecchi D’Amico, ispirato a Ilponte della Ghisolfa di Giovanni TestoriSceneggiatura Luchino Visconti, SusoCecchi D’Amico, Pasquale Festa Campa-nile, Massimo Franciosa, Enrico MendioliFotografia Giuseppe RotunnoScenografia Mario GarbugliaCostumi Piero TosiMontaggio Mario SerandreiMusica Nino Rota Produzione Goffredo Lombardo per Tita-nus/Les Films Marceau Cocinor, ParisOrigine Italia-Francia, 1960Interpreti Alain Delon, Renato Salvatori,Annie Girardot, Katina Paxinou, RogerHanin, Paolo Stoppa, Suzy Delair, Clau-dia Cardinale, Spiros Focas, ClaudiaMori, Alessandra Panaro, Corrado Pani,Max Cartier, Rocco Vidolazzi, Becker Ma-soero, Adriana Asti, Enzo Fieromonte.

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cacia anche se un poco risa-puto, e Alain Delon, un Roccooriginale e delicato. SpirosFocas e Max Cartier sono braviquanto basta in due personaggiappena abbozzati. Annie Girar-dot è una Nadia molto espres-siva, Katina Paxinou una madredi forte rilievo. Tra gli altri in-terpreti bisogna ricordare so-prattutto Paolo Stoppa, ClaudiaCardinale, Corrado Pani,Adriana Asti, Claudia Mori.Alberto Moravia,L’Espresso, 23 ottobre 1960

In una serata bolognese di lu-glio, un’afa che pare prendertialla gola e non lasciarti respi-rare, sotto le stelle e sul tappetodi Piazza Maggiore, non potevaesserci palcoscenico miglioreper assistere alla versione re-staurata ed integrale di uno deicapisaldi del cinema italiano.Rocco e i suoi fratelli di LuchinoVisconti, un film di svolta, uncapolavoro perseguitato da bie-chi e stolti che hanno, persino,cercato di toglierlo dalla nostradisponibilità. La pellicola è

tante cose, tutte assieme, scorre come un fiume in piena, sulle corde di un’Italia che pare essere perfettamentedivisa a metà, da una parte il nord e dall’altro il sud. Di qua signore in pelliccia che ancheggiano nelle balere edi là le medesime signore portano lutti anche oltre il dovuto, piene di un decoro direttamente proporzionale aduna miseria manifesta.Su questo palcoscenico, storico, sociale e morale si muovono i “pupi” di Visconti (che trae il film dal libro “Ilponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori). La vedova Rosaria si trasferisce a Milano dalla Lucania con i suoiquattro figli; il suo quinto figlio, Vincenzo già vive nel capoluogo lombardo e sta per sposarsi. All’inizio la fa-miglia ha tanti problemi, ma ognuno si arrangia come può: Simone è un boxeur, e Rocco lavora in una lavanderia.Gli altri, chi più chi meno, trovano lentamente una strada da percorrere, mentre il piccolino, Luca, assiste alcorso degli eventi, spettatore e testimone. Simone incontra una prostituta, Nadia e con lei ha una relazione bur-rascosa; quando Rocco torna dal servizio militare inizia una storia con lei… e tutto, cambierà, per sempre.Impossibile dire altro, perchè sarebbe troppo (per chi non ha visto il film), quando il tanto è quello che accadedavanti agli occhi di ogni spettatore. Film come questo sono tomi che andrebbero proiettati nelle scuole, altroche riforme Renzi, per costruire una gioventù migliore e consapevole andrebbe restituita ad essa l’occasione diconoscere che paese vissero i loro nonni, zii e padri. In Italia parlare, oggi, di emigrazione presuppone quasiun’inversione di visuale. Il disperato di prima ora si fa beffe sulla disperazione degli altri. A perdere, anzitutto,è l’umanità, intesa come complesso umano ed, altrettanto, come sentimento che dovrebbe regolare e guidarele nostre vite. Rocco e i suoi fratelli è un film che parla di sofferenza, di un microcosmo familiare che va in pezziquando, forse, altrove (nella terra natia) sarebbe rimasto unito. Sussurra al cuore di ognuno di noi che Caino edAbele possono annidarsi in ogni famiglia, che il peccato originale al quale non si può sfuggire è legato all’ab-bandono della propria terra. Una Itaca ideale ed idealizzata, a cui essi guardano come verso un salvifico ritorno,

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luogo ove le piccole cose divengono grandi, vere, di una purezza di cristallo, che va in pezzi al cospetto dellamodernità.Il nord che accoglie la famiglia Parondi è una terra straniera, colma di opportunità certo, ma agli occhi diVisconti è terra che facilmente ammalia e corrompe, da e toglie.Un affresco meraviglioso, in un lussureggiante bianco e nero, in una recitazione piena e carica, con attori al-l’apogeo della loro giovinezza ed espressività. Resta, su tutte, una scena. Quella ripresa fra le guglie del Duomodi Milano, mentre un amore va in frantumi quando sarebbe stato giusto che si cementasse ancor di più. Un ca-polavoro assoluto.MarcelloPapaleo, 1filmalgiorno.com

ROCCO E I SUOI FRATELLIda: Aristarco, Carancini, Visconti. Rocco e i suoi fratelli, Cappelli ed., 1960

In ogni cosa che facciamo c’è sempre un grano di qualche altra che l’ha preceduta e le suggestioni possonoarrivarci, senza che ce ne accorgiamo, da mille direzioni e da grandi lontananze.Per Rocco, una storia a cui pensavo già da molto tempo, l’influenza maggiore l’ho forse subita da GiovanniVerga: “I Malavoglia”, infatti, mi ossessionano sin dalla prima lettura.E, a pensarci bene, il nucleo principale di Rocco è lo stesso del romanzo verghiano: là ‘Ntoni e i suoi, nellalotta per sopravvivere, per liberarsi dai bisogni materiali, tentavano l’impresa del “carico dei lupini”: qui i figlidi Rosaria tentano il pugilato: e la boxe è il “carico dei lupini” dei Malavoglia. Così il film si imparenta a Laterra trema - che è la mia interpretazione de “I Malavoglia” - di cui costituisce quasi il secondo episodio.A questa “ossessione” determinata dalla maggiore opera dello scrittore siciliano, si sono aggiunti altri dueelementi:il desiderio di fare un film su una madre che, sentendosi quasi padrona dei propri figli, ne vuole sfruttarel’energia per liberarsi dalle “necessità quotidiane”, senza tener conto della diversità dei caratteri, delle pos-sibilità dei suoi ragazzi, per cui mira ambiziosamente troppo in alto e viene sconfitta; e poi mi interessavaanche il problema dell’inurbamento, attraverso cui era possibile stabilire un contatto tra il Sud pieno di mi-seria e Milano, la modernamente progredita città del Nord.In queste mie necessità si sono poi inseriti altri motivi: alcuni che risalgono alla Bibbia e a Giuseppe e isuoi fratelli di Mann, altri che s’identificano nella mia ammirazione per lo scrittore Giovanni Testori ed ilsuo caratteristico mondo ed, infine, ad un personaggio dostojewskiano che, per più aspetti, rassomiglia in-teriormente al Rocco del mio film: il Myskin de L’idiota, il rappresentante più illustre della bontà fine a sestessa.Di qui, da tutte queste sollecitazioni, spesso inavvertibili, è nata la storia di Rocco e i suoi fratelli.La storia di Rosaria, una donna lucana energica, forte, testarda, madre di cinque figli, “forti, belli, sani”che sono per lei come le cinque dita della mano. Morto il marito, attratta dal miraggio della grande città delNord, per fuggire la miseria si trasferisce a Milano.Ma la città non consente a tutti e cinque i ragazzi la stessa identica sorte: Simone, che sembra il più forte eche in realtà è il più debole, si perde e uccide una mondana.Rocco, il più sensibile, il più spiritualmente complesso, ottiene un successo che per lui - che si ritiene re-sponsabile delle disgrazie di Simone - è una forma di autopunizione: diventerà celebre attraverso il pugilato,un’attività che gli ripugna perché, quando egli è sul ring, di fronte all’avversario, sente scatenarsi dentroun odio per tutto e per tutti; un odio da cui egli rifugge quasi con orrore.Ciro, il più pratico, il più saggio ed il più concreto dei fratelli sarà l’unico ad inurbarsi completamente, adiventare una unità della comunità milanese, conscio dei suoi nuovi diritti e dei suoi nuovi doveri.Il più piccolo, Luca, forse un giorno tornerà in Lucania, quando anche laggiù le condizioni di vita sarannomutate, mentre Vincenzo si accontenterà di una vita modesta ma sicura al fianco di sua moglie”.Domanda:”Quali sono state le tappe che l’hanno condotto alla sceneggiatura definitiva?”.Risposta:”In un primo tempo ho scritto il soggetto. Poi un lungo trattamento insieme a Suso CecchiD’Amico e a Vasco Pratolini.Successivamente ho fatto un sopralluogo a Milano per attingere dalla carne viva della città alcuni elementie identificare gli ambienti, i luoghi in cui avrebbero vissuto i miei personaggi (la periferia dai grandi casoni

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grigi, Roserio, la Ghisolfa, Porta Ticinese, ecc.): e, sulla base di questi elementi ho scritto insieme con SusoCecchi D’Amico, Festa Campanile, Franciosa e Medioli una prima sceneggiatura.Poi nuovo sopralluogo a Milano: e questo secondo viaggio è servito per mettere meglio a punto sia i per-sonaggi che le situazioni.Ad esempio, nella prima stesura, avevamo sottolineato la nostalgia dei meridionali che vivono a Milanoper la loro terra. Parlando con molti di essi ci siamo resi conto, invece, che non lascerebbero mai la città,che mai tornerebbero ai loro paesi d’origine, perché - dicono - meglio arrangiarsi a Milano che patire inpaese.E in base a questa realtà nuova abbiamo notevolmente modificato il testo della prima stesura.Altro elemento che abbiamo captato è stato quello del sistema usato dai meridionali per avere una casa: edanche di questo abbiamo tenuto conto nelle correzioni e nelle modifiche.Infine eravamo in cerca di un finale diverso, più moderno, di quelli previsti dal trattamento e dalla primasceneggiatura poi. Infatti in una stesura Rocco moriva durante un combattimento, disputato pur sapendo dinon essere in condizioni fisiche adatte a boxare; in un’altra si faceva arrestare in luogo del fratello.Alla fine abbiamo trovato l’attuale finale (l’accettazione, come autopunizione, di un’attività tutt’altro checongeniale) che mi sembra assolutamente privo della melodrammaticità del primo e della meccanicità ar-tificiosa del secondo”.Domanda:”La sceneggiatura “definitiva” subirà altre modifiche, oppure girerà attenendosi scrupolosa-mente al testo?”.Risposta:”Naturalmente subirà una ulteriore trasformazione durante la lavorazione: perché essa mi serviràsolo come base di massima: e su questa base, volta per volta, inventer” ancora, tenendo particolarmenteconto degli elementi estemporanei, costituiti dai luoghi, dagli ambienti e soprattutto dalle necessità dram-matiche del racconto. Ho sempre fatto così per ogni mio film”.Domanda:”Sia in La terra trema che in Bellissima, e adesso in Rocco lei racconta delle “madri”. Qualirapporti esistono tra “Maruzza” siciliana, “Maddalena” romana e “Rosaria” lucana?Risposta:”Sono tre momenti dello sviluppo del personaggio “la madre”: quella de La terra trema era comeeffacée dagli avvenimenti; “Maddalena” di Bellissima era aspra e tenera, e stretta parente della “Rosaria”di Rocco: anche lei usava sua figlia per raggiungere il successo ed anche lei veniva sconfitta; “Rosaria” èuna di quelle “madri” che, come “Maddalena”, crede nei propri figli quasi con la furia di una scatenata;anche lei è sconfitta: e, in più di “Maddalena”, per la sua origine, recita sempre: recita la gioia ed il dolore,quasi dilatando all’esterno i sentimenti che sente dentro”.© Rocco e i suoi fratelli, Cappelli, Bologna 1978

I LUOGHI DEL FILMStazione Centrale: dove arriva il treno che porta a Milano la famiglia Parondi. L’arrivo del treno è visto con la macchina da preso postadietro un’inferriata, a significarecome Milano sia una città ostile, che li accoglie ma non li vuole.Via Dalmazio Birago 2: è una traversa di viale Argonne. Qui, in uno scantinato di un complesso di case popolari (il quartiere Fabio Filzi,edificato negli anni Trenta) va ad abitare la famiglia Parondi dopo l’arrivo a Milano dalla natia Lucania.Viale Monteceneri (Ghisolfa): il luogo ove Simone (Renato Salvatori) attende che un ragazzo in bicicletta gli porti informazioni su comerintracciare il fratello Rocco (Alain Delon), reo di frequentare la sua ex ragazza. la strada oggi si presenta radoppiata per la presenzadella sopraelevata.Via Monfalcone: zona Cimiano. La strada vicino al Parco Lambro è quella in cui Ciro (Max Cartier) si allontana in moto dopo che Simoneha confessato alla famiglia l’omicidio di Nadia (Annie Girardot). Cinema Principe di via Bligny: è il luogo davanti al quale Simone si apposta per aspettare il signor Morini (Roger Hanin) e accettarele sue avances. Oggi non esiste più (al suo posto c’è una banca). Per cercare di scampare alla crisi delle sale cinematografice, neglianni Ottanta si trasformò in cinema a luci rosse. Chiuse definitivamente i battenti nel 1996.La palestra di boxe: era quella del’Unione Sportiva Lombarda, ora trasformata e sede dell’Arcibellezza, via Bellezza, adiacente al ParcoRavizza.Via Gattamelata (zona Portello): qui, in uno spiazzo davanti agli stabilimenti Alfa Romeo, Ciro parla al fratello minore Luca (Rocco Vi-dolazzi), cercando di fargli capire la corretteza del suo atteggiamento nei confronti dell’altro fratello Simone.L’Idroscalo: in realtà la scena avrebbe dovuto essere girata in questo caratteristico luogo di Milano. In realtà, il Comune negò, per viadel contenuto “scandaloso” della scena, il permesso a girare,all’Idroscalo e quindi venne realizzata per ultima al Lago di Fogliano, vicinoa Latina.

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ROMANZO POPOLAREGiulio Basletti, operaio milanese non più giovanissimo, sposa la figliocciaVincenzina, di origini meridionali, dalla quale ha un figlio.Durante uno sciopero Giulio conosce Giovanni, un giovane poliziotto con ilquale, nonostante stiano dalla parte opposta delle barricate, fa amicizia.Quando Giovanni viene invitato a pranzo da Giulio, conosce Vincenzina e sene innamora. I due giovani diventeranno amanti. Giulio, dopo aver scopertoil tradimento scaccia Vincenzina iniziando, così, una vita di solitudine.

RECENSIONI

A livello tematico agiscono più spunti: l’emancipazione nei rapportiuomo-donna; l’omologazione nei comportamenti proletari; l’impattonord-sud quindici anni dopo la grande emigrazione. Come ne i soggettipiù riusciti del trio Age-Scarpelli-Monicelli, l’amalgama è perfetto, e so-prattutto non nuoce al tono generale di commedia che consente al filml’ormai abituale successo di pubblico. In questo caso, inoltre, non si èfatta una scelta di realismo perché i toni sono quelli, appunto, di un me-lodramma (come del resto denuncia lo stesso titolo e la canzone di Ro-sanna Fratello in funzione di leitmotiv): il realismo, se mai, è affidatoancora una volta a quella sorta di koiné linguistica usata dai protagonisti,che mescola cadenze lombarde, influssi meridionali, gerghi calcistico-sportivi. Non a caso, questo complesso linguaggio è stato creato con laconsulenza di Beppe Viola e di Enzo Jannacci. La Muti è «lanciata» come attrice di commedia, ruolo che la condurrà aldefinitivo successo, mentre Michele Placido rimane fisso nella sua partedi immigrato meridionale un po’ animalesco. Quanto a Tognazzi (il filmera originariamente ambientato a Roma e pensato per Manfredi: la sceltadi Tognazzí ha fatto sì che l’azione venisse spostata a Milano), Romanzo popolare cade all’apogeo della sua carriera,dopo che i personaggi dei film di Ferreri lo hanno fatto definitivamente accettare dalla critica. l’affresco di unaclasse operaia che esce dalla retorica (anche di sinistra) e che si avvia sulla strada dell’omologazione - come Pa-solini va scrivendo proprio in quel periodo - è perfettamente riuscito. Monicelli ritrova la freschezza delle sue

opere migliori, e quella matrice «nazionale» e «popolare» che lo caratterizza più di ognialtro regista italiano. Stefano Della Casa, Il Castoro Cinema, agosto1986

La vicenda è solo una componente del film: e forse,nelle intenzioni di Monicelli, neanche la più impor-tante. Premeva soprattutto, al regista, la rappresenta-zione di certa umanità sradicata, il poliziotto chetrascina le domeniche impostando cartoline per i suoi,la vita - confusa e promiscua - nei falansteri di periferia.Ma, a conti fatti, l’ambiziosa saldatura tra la “ firststory” e gli altri elementi del quadro rimane allo statodi desiderio. E questo, anche per la straordinaria den-sità dell’interpretazione di Tognazzi, che, una volta im-

Regia Mario MonicelliSoggetto Age, Scarpelli, Mario MonicelliScenaggiatura Age, Scarpelli, Mario Mo-nicelliProduttore Edmondo AmitiFotografia Luigi KuveillerMusiche Enzo Jannacci (la canzone Vin-cenzina e la fabbrica è di Enzo Jannacci-Beppe Viola)Origine Italia, 1974Interpreti Ugo Tognazzi, Ornella Muti, Mi-chele Placido, Pippo Starnazza, NicolinaPapetti, Alvaro Vitali, Vincenzo Crocitti,Calogero Azzaretto

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I LUOGHI DEL FILMVia Maffi (Sesto San Giovanni, zona Cascina Gatti): ove è ubicato il palazzo in cui abitano Giulio (Ugo Tognazzi) e Vincenzina (OrnellaMuti). Via Gramsci (Sesto San Giovanni): è qui che vengono girate le scene della terrazza.Via dei Transiti 2 (zona via Padova/viale Monza): nel cortile dello stabile (ora restaurato) vengono girate alcune scene.via Rubattino (zona Ortica): molte delle scene fuori dalla fabbriche sono state girate presso lo stabilimento Innocenti (sito smantellatoparzialmente negli anni Novanti, ma dove è ancora presente la Innse)Cinema Albanella, via Bottelli 11, quartiere Greco: è la sala a luci rosse dove Giulia porta Vincenzina a vedere un film per adulti. Orail cinema non esiste più. è stato chiuso agli inizi degli anni Ottanta. Oggi, al suo posto, c’è la Fondazione Teatro alla Scala di Milano.Via Apelle (zona viale Monza): nella scena in cui Giulio ferma la sua auto davanti a un bar per comperare le sigarette. Indirettamentecauserà la rottura del suo matrimonio con Vincenzina.Via Emilio De Marchi (cavalcavia di Greco): il luogo ove Giovanni (Michele Placido “convoca” Vincenzina per l’appuntamnto amoroso,che si consumerà in una baracca lungo la massicciata della ferrovia.Piazza Cinque Giornate: è la piazza dove c’è il mercatino in cui Giulio pedina Vincenzina. Oggi il mercatino non esiste più, al suo postouna semplice aiuola.

padronitosi del film, vi campeggia con onnivora maestria. Tutto si piega - narrazione e immagini – alla solida,fragile presenza di questo operaio sensato, sensuale, sentimentale e sentenzioso . Grazie a un senso impeccabile del ritmo, l’attore dà gusto ecolore alle battute di Giulio, o affronta, un po’ ingobbito ed inquartato, le alterne vicissitudini di un ménage altempo stesso infelice ed armonico. Tognazzi traccia con pudore e autorità questa indifesa parabola, pur attentoai risvolti faceti che la sceneggiatura gli commette. Francesco Savio, Il Mondo, 21 novembre 1974

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SAN BABILA ORE 20:UN DELITTO INUTILELa giornata di un gruppetto di neofascisti “sanbabilini” cosi detti per il luogoove amano ritrovarsi. La mattina partecipano alle esequie di un gerarca fascista poi, tra violenze,stupri, falliti attentati, arrivano a sera quando accoltellano una coppietta digiovani apparentemente di sinistra.

RECENSIONI

Il regista Carlo Lizzani ama muoversi tra cronaca e storia. Per lui il ci-nema è "un'arte di fatti e di uomini", le sue opere migliori nascono dallaricerca di una verità oggettiva, "storica", nella realtà della cronaca. Manegli ultimi tempi questa ricerca si era un po' appannata e la cronacaaveva preso il sopravvento. Il suo nuovo film [...] denota il tentativo diun'inversione di tendenza che però è riuscito solo in parte perché viziatoe limitato da una certa schematizzazione secondo cui alla base della vio-lenza nera dei giovani sanbabilini è una frustrazione da impotenza.Domenico Meccoli, Epoca, 21 aprile 1976

Lizzani scrive di condividere la poetica del neorealismo ed evita perciò,fin tanto che gli è possibile, di sacrificare all’esigenza dello spettacolo ilsuo stile e la sua morale, Sottolinea nei sanbabilinila componente razzi-stica, che si esprime nell’odio contro i rossi ma pure nel disprezzo perla femmina (la madre deole e lamaggiorata condiscendente ne sono idue più clamorosi esemplari). Riesce a raggiungere una notevole tensionenella sequenza dell’inseguimento tra le ombre della sera ai due fidanzatiincolpevoli. Evita persino il divismo, scritturando solo una Brigitte Skayquasi parodistica e per il resto lanciando visi nuovi. La portata del film è invece svilita dalla descrizione di casiclamorosi e di mentalità patologiche.Piero Perona, Stampa Sera, 30 marzo 1976

Regia Carlo LizzaniSoggetto Mino Giarda, Carlo LizzaniScenaggiatura Mino Giarda, Carlo Liz-zani, Ugo PirroProduttore Carlo MaiettoFotografia Piergiorgio PozziMusiche Ennio MorriconeMontaggio Franco FraticelliScenografia Pier Luigi BasileOrigine Italia, 1976Interpreti Pietro Brambilla, Giuliano Ce-sareo, Daniele Asti, Pietro Giannuso, Bri-gitte Skay, Gilberto Squizzato, GraziaBeccari, Mario Mattia, Walter Valdi,Franca Mantelli.

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I LUOGHI DEL FILMPiazza San Babila: luogo di ritrovo abituale del gruppo di giovani neofascisti.Piazzale Cimitero Maggiore: i sanbabilini escono dal cimitero dopo aver presenziato alle esequie di un vecchio fascista.Via Cesariano/via Canonica: dove si trovava il negozio di elettrodomestici in cui lavorava Alfredo.Liceo Classico Cesare Beccaria, via Linneo 5 (zona corso Sempione): davanti al liceo il gruppo di sanbabilini compie una azionevio-lenta sfasciando i motorini parcheggiati.Viale Ercole Marelli: all’uscita della metropolitana “Sesto Marelli”: qui si trovava lo stabilimento della Marelli dove i sanbabilini tentanodi compiere un attentato dinamitardo. Ora, al suo posto, c’è il moderno palazzo di Impregilo.Piazza Sempione 6: il sex shop dove i sanbabilini vanno a fare acquisti.Istituto Tecnico Carlo Cattaneo, piazza Vetra: è la scuola frequentata da Franco e Michele, due componenti del gruppo neofascista.Via San Pietro all’Orto: Paolo e Silvana sono indecisi se andare al cinema Arlecchino e litigano di fronte alla pizzeria Santa Lucia.

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COLPIRE AL CUOREEmilio, figlio adolescente di Dario, un docente universitario di sinistra, vivecon difficoltà i rapporti confidenziali che il padre mantiene con i propri ex al-lievi. Quando uno di questi viene ucciso in uno scontro a fuoco in un postodi blocco, Emilio denuncia ai carabinieri il fatto che il morto frequentava laloro casa. Ciò porterà a una inevitabile e progressiva incrinatura dei rapportitra padre e figlio.

RECENSIONI “È Patrizio Peci da piccolo!”, l’abbiamo sentita in un tranquillo pome-riggio feriale mentre passavano le ultime scene di Colpire al cuore. Pa-zienza. Si vede che i malati di zelo non sono solo quelli che brontolavanosulla “doppiezza” di Anni di piombo. Per fortuna il film di Amelio si tienelontano dai moralismi fastidiosi (e contrapposti), anzi mostra la più con-vincente felicità di intenzioni e di risultati proprio dove riesce a calarsicon delicatezza nei fatti preservando lucidità sia nel caos che nel dolore.In questo evita le pressioni della denuncia e della tesi politica, preferiscedare un senso a quello che si usa definire “clima sociale” e, meglio diquanto non abbiano fatto altri negli ultimi anni (a parte la Von Trotta,pensiamo ai vecchi Risi e Comencini e ad altri più giovani e mutiformilettori dei disagio politico-esistenziale: Bellocchio, Bertolucci, Giordana,Natoli, al limite Moretti), muove dal privato con l’intenzione di spiegaredall’interno, di precisare. Colpire al cuore non è un film sul terrorismo,piuttosto lo subisce, lo filtra in un quotidiano che ci riguarda tutti, tentadi indagare con discrezione, pur incidendo con durezza la facilità deigiudizi e dei luoghi comuni.Emilio tradisce il padre per gelosia.La gelosia violenta che cresce dalle risposte che non possono arrivare,da una negazione forzata che segna comunque, anche nei rapporti piùriusciti e intelligenti, una certa fase dell’esistenza. Emilio avverte una im-provvisa distanza dal padre, una sfasatura che intorbida certezze e umori.Nell’ansia adolescente che intravvede i salti brutali della maturità, Emilioosserva un padre diverso, sfuggente. Proprio quando le certezze non ba-stano ed altro si affaccia con la prepotenza della complessità, il figlionon trova il sostegno dei padre: capisce anche che questo non può venirgli, tuttavia li vuoto si estende, vanificacome una beffa l’occasione di sapere e di crescere.Prima di assumere l’oggettiva funzione dei l’inseguimento poliziesco, la ricerca di Emilio risponde ad un bisognodi verità: l’adolescente ambisce ad una piena e paritaria legittimazione da parte dell’adulto ma questi non può,per ragioni non solo congiunturali ma storiche proprie, essere all’altezza. Se non c’è mai una verità che bastinell’urto di generazioni, tanto meno questa può darsi nei tempi dello sfascio ideale e del sospetto.Così anche Dario, il padre, tradisce.Sandro Ferrari è un altro figlio che Emilio può accettare come fratello maggiore solo per poco. Sandro ruba laconfidenza di Dario, non è lontanissimo per età e aspetto da Emilio ma può concedersi il lusso di molte sicu-rezze. Con Dario divide segreti ed esclusive (nel senso che tagliano fuori Emilio) affinità. Emilio non coltivaalcun mito dei padre, tende anzi ad osservarlo criticamente (talvolta attraverso la mediocrità dei suoi studenti,oggi professori), Sandro invece lo rivendica come ascendente, allude con scostante civetteria a complicità po-

Regia Gianni AmelioSoggetto Gianni AmelioScenaggiatura Vincenzo CeramiProduttore Enzo PorcelliFotografia Tonino NardiMusiche Franco PiersantiMontaggio Anna Rosa NapoliScenografia Marco DenticiOrigine Italia, 1983Interpreti Jean-Louis Trintignant, FaustoRossi, Laura Morante, Sonia Gessner,Vanni Corbellini, Laura Nucci, Matteo Cerami, Vera Rossi

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litiche, se non dirette, ereditarie.Ma non c’è solo Sandro, anche Giulia entra in questo sottile gioco di rivalità. Giulia è la presenza femminile acui Emilio aspira, ha il calore di una sessualità matura ed è giovanissima. La donna che Emilio cerca in un con-flitto di immagine materna, di innocenza, di autonomia personale e di desiderio somiglia a lei, vive nell’intimitàoccasionale dell’automobile dove, al riparo dall’estraneità di Dario e Sandro, nasce qualche serale confidenza.Ma anche Giulia, a causa di Dario, è infedele. Il padre le ha già parlato di Emilio, ha inquinato l’originalità di unrapporto possibile solo nei delicati equilibri della casualità ma, proprio per questo, prezioso ed esigente. Dopol’uccisione di Sandro, Emilio cerca Giulia per sincerarsi della sua innocenza e, nello stesso tempo, (forse) perproteggerla. La scoperta degli incontri fra lei e il padre, equivale alla scoperta di una tresca: ribadisce un’esclu-sione generazionale ed affettiva. Dario fa da baby-sitter al figlio di Giulia e Sandro, le cose irriferibili che avevain comune con Sandro le ha anche con lei, Emilio resta privo di certezze al punto di rifluire nell’unico ambitosicuro che la storia del momento offre: una piatta e totale semplificazione della Colpa e del Castigo. Nellospazio incolmabile che separa le approssimazioni sanguinanti dell’adolescenza alla nuova scala di valori dellamaturità, Giulia appare come l’altra faccia dei tradimento intellettuale consumato dal padre con Sandro, anchelei esprime una irraggiungibile alterità, più intima e corporea, meno perdonabile.Lo Stato rimane allora, per intero, l’unica certezza, l’Ente sostitutivo di una funzione paterna introvabile: “Cosati ho insegnato ... ” - “A me niente papà, ma quello che insegni agli altri sono affari tuoi ... ”, lo Stato è l’unicoalleato di una rivolta generazionale che l’attualità trasforma in fattuale conservazione, in reazionaria vendetta.Questa mostruosa evoluzione che il film delinea poco a poco non risparmia nessuno, nemmeno Dario che ditutti è il più coerente. Fedele a un’etica maturata altrove, egli è incapace di applicarla ai bisogni di verità dell’oggi,preferisce l’infelice doppio binario della decadenza professionale e dell’agiatezza famigliare vissuta con rapportiinterpersonali democratici ma fatalmente freddi.Nella scena di apertura Dario insegue il figlio venendoci incontro. Già questo footing affannato dell’adulto apiedi che stenta ad affiancare l’adolescente in bicicletta esprime un’angoscia, quasi una premonizione di colpa,un rimorso. Nell’ultima scena, dentro lo stesso movimento di macchina, Emilio si allontana da solo fino ad ab-bandonare bruscamente il campo per lasciarlo, un istante, ad inanimate e decrepite achitetture di cemento. Emi-lio ha consumato finalmente il distacco dal padre con l’unica violenza di cui è stato capace e che tuttavia nongli appartiene: nell’infinita desolazione che il quadro ci regala dopo il breve e definitivo urlo delle sirene, ci

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torna alla mente lo scambio avvenuto fra padre e figlio poco prima: “Vuoi che ti dica cos’è male e cos’è bene?No. Padri così perfetti non ce ne sono più ... ” - “... e figli ancor meno”. - ribatte Emilio.Il silenzio di EmilioDopo la sepoltura di Sandro, Emilio osserva un uomo che si allontana. È una figura tarchiata, un operaio si di-rebbe, che per un momento si staglia contro la grande massa metallica di una raffineria. Fabbrica e cimiterosono dirimpetto, complementari nello spazio definito dall’inquadratura. Uno scorcio brevissimo e silenziosoche però raccoglie l’idea-chiave, anche sul piano linguistico, su cui il film è costruito. Il rapporto fra cimitero,fabbrica e operaio può essere percepito da alcuni e ignorato da altri; la silenziosa osservazione di Emilio esprimel’impotenza di dare senso a questa simbologia, denuncia la confusione di chi è privo di memoria. Il silenzio diEmilio sta fra l’ansia e la paura di avere risposte e il ritmo dei film è concepito nella cauta perlustrazione diquesto silenzio. Rifiutando ogni procedura ad effetto, il colpo di scena o la tensione di suspence usata e abusatain tanti plot poliziesco-politici, il film si snoda in morbide successioni, come in una dissolvenza di fasi regolatesull’ambiguità dei rapporti fra i personaggi. Il racconto ha così un movimento costante, largo, spazia in una ri-cerca che spesso è interiore e sospesa nei rimandi complessi dell’omertà o dell’allusione.Quasi senza soluzione di continuità la verifica di Emilio diventa pedinamento e delazione. Ma se i tempi narrativiseguono una progressione costante, se non c’è mai vera sosta, il metodico intreccio di una situazione spiegatain quella successiva rende anche l’idea della immutabilità. Emilio che passa dalla ricerca alla delazione rovesciacon indifferenza la prassi terrorista-vittima, da normale asservito semivolontariamente all’Ordine diventa attentatorenella pratica, studia tempi, abitudini, appostamenti. La feritoia che gli è servita in un primo momento per vedereGiulia è la stessa da dove spierà l’arresto del padre. La freddezza apparente con cui Emilio mette a profitto gliinteressi molteplici derivati dalla sua educazione progressista (la fotografia, l’esercizio dell’intelligenza, lo stan-dard culturale molto superiore alla media) dà idea di come l’azione possa perdere ogni vera soggettività e ub-bidire a logiche sempre più esterne, di come il disorientamento, o meglio la drammatica estraneità ad unamemoria riconosciuta fino pochissimi anni orsono, possa oggi produrre un gregariato di lusso.Dario fa castelli con le carte ed anche Emilio, la TV trasmette le immagini dove compare Sandro morto pocodopo che Emilio le ha viste dal vero e sempre il video propone indifferentemente scene di sangue da serialsamericani. È un gioco di specchi che sovrasta la impossibilità di comunicazione fra padre e figlio rifrangendole variazioni di un unico gioco, l’oggettività, che resta immobile.Separati nei linguaggi, Dario ed Emilio si scambiano silenzi. Solo che l’adulto, come abbiamo già osservato,riesce ancora, lontano dal figlio, a recuperare brani di memoria: Sandro, comunque Dario lo giudichi per lescelte politiche che ha fatto, è vicino a questa memoria, fa buone letture, cerca di imparare il tango. Ecco,proprio in quest’ultima situazione si evidenzia il massimo sforzo di Emilio di entrare nel gioco ed il suo falli-mento. Mentre la nonna cerca di sciogliere Sandro e nel parco domina un’insolita allegria, Emilio fa una speciedi serenata al gruppo mettendo sui davanzale della finestra un grammofono a tromba caricato con una vecchia

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canzone: Emilio è nella casa, a una distanza scoperta da un bellissimo carrello laterale che si interrompe bru-scamente sull’ultimo degli attoniti ascoltatori. Non vi sarà un’altra occasione.La musica anzi non farà in seguito che sancire, per contrasto, il silenzio. All’inizio Dario racconta una barzellettadove i matti musicisti dopo aver eseguito la Cucaracha e richiesti di fare Casta Diva, ripetono il ritornello dellacanzone con le parole della romanza. Benché la musica sia importante nel film (Sandro si presenta provandoalcuni accordi sul pianoforte) è il silenzio che prevale, che la spezza e la riduce a variante di consumo come leimmagini, gli oggetti. Nel presente che vive coi terrorismo, tutto si omologa, tutto si ripete. Dario dice che inuna situazione dove è concesso solo guardare dal buco della serratura “sembriamo tutti ladri, tutti assassini”.Subito dopo la presentazione a Venezia, Colpire al cuore (al cuore di chi? di Dario? di Emilio? di entrambi?) avevadiviso gli spettatori in due: chi parteggiava per il padre, chi per il figlio. L’importanza della riflessione di Amelioè invece nel paradosso (un figlio conservatore contro un padre progressista) che chiude, in un’amara perplessità,quasi vent’anni di ribellioni. A Emilio manca la madre, anche ad Ale dei Pugni in tasca mancava e per questo,forse, la puniva per la sua “cecità”. In una scena che ricorda un poco il personaggio bellocchiano, Emilio carezzae insulta sua madre resa sorda dagli auricolari. Ale forzava però la norma fino all’autodistruzione, Emilio si an-nulla nell’ordine. Invece che un matricidio, compie, in una sorta di inversione dialettica, un parricidio.Ma a guardar bene la vera tragedia di Colpire al cuore è constatare che una vera dialettica è scomparsa e che la viaper ridare senso alla ribellione è più difficile da trovare di quanto non lo sia mai stata. Dario rinuncia a trasmetterecertezze e mostra tutta l’onestà intellettuale che gli resta assieme ad altrettanta impotenza, Amelio si attiene alsalutare pessimismo che il film suggerisce ma, pur tenendo i giudizi entro confini controllatissimi, si prendetalvolta il rischio di qualche eccesso in lapidarietà. Poco male. Se i padri scompaiono coi figli, se gli uni diventanopadri-figli e gli altri figli-padri, un timido ruolo di sintesi educativa può essere concesso. Con buona pace perchi (e sono ancora troppi) non si stanca di pretendere attestati di innocenza e pentimenti anche quando nonc’è nulla di cui ci si debba pentireTullio Masoni, Cineforum, 224, maggio 1983

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La prospettiva scelta dal film per affrontare il tema del terrorismo e per descrivere la società italiana in quel de-licato passaggio temporale – con una distanza storica quasi del tutto assente dagli eventi, essendo la pellicoladel 1982 – è quella della famiglia e dei conflitti intergenerazionali in seno a essa. Osservatorio privilegiato suiconflitti sociali, sul corto circuito del pensiero democratico e delle ideologie, sulle istituzioni e sul loro ruolo,in Colpire al cuore il nucleo familiare è il centro del confronto tra due prospettive diverse di guardare il mondo ele cose.Da una parte c’è Dario, professore universitario, personaggio senza certezze, uscito probabilmente dal Sessan-totto con la consapevolezza del fallimento della figura del padre patriarca o autoritario ma incapace di promuo-verne una nuova, intenzionato a lasciare la massima libertà al figlio, facendo quasi il fratello maggiore di Emilio,se non, in taluni casi, il fratello minore. Non ha risposte ad alcun perché, ma solo dubbi e incertezze.Dall’altra parte c’è Emilio, ragazzo quattordicenne e perciò nel pieno della sua conflittuale crescita adolescen-ziale, timido e impacciato, che chiede di essere indirizzato, di essere protetto, di avere delle risposte alle sue le-gittime domande e che ottiene invece il contrario. Emilio è anche figura poco amabile perché scontroso,intelligente fino all’antipatia, in continua rivolta contro il mondo adulto di cui non capisce le dinamiche (nellascena della casa della nonna, Emilio non si rende conto di cosa discutano il padre e i suoi ex allievi), ma chepretende di giudicarle.Con la macchina fotografica sempre in mano – simbolo della ricerca della verità oggettiva – il ragazzo dimostradi avere una cieca fiducia nel dato empirico, in ciò che la realtà mostra. Emilio, e con esso lo spettatore, supponeche ci siano delle complicità tra Dario e Giulia, ma senza che nessun elemento del film ci confermi che essisono veramente terroristi o che esiste tra loro una relazione sentimentale. Ingabbiato in una realtà indecifrabile,Emilio finisce così per affidarsi all’autorità costituita, l’unica capace di tracciare solchi netti tra cattivi e buoni,di utilizzare legittimamente la forza e, attraverso l’applicazione della legge, di dire cosa è giusto e cosa no. LoStato si sostituisce inevitabilmente all’istituzione paterna: non esiste altra scelta per un ragazzo che preferiscecostruire la propria identità sull’autorità subita invece che sulla libertà, sulla soggezione invece che sul liberoarbitrio. Tale richiesta paradossale non si spiega solo con il periodo adolescenziale che vive Emilio, ma anchecon lo scacco sociale sperimentato dall’Italia negli anni di piombo. La storia di Dario ed Emilio è, ad un secondopiano di lettura, la storia di una popolazione che, negli anni del terrorismo, è spaccata in due (o meglio in tre,dato che uno degli slogan più diffusi in quel periodo era “Né con lo Stato, né con le BR”), priva di solidi puntidi riferimento all’indomani delle contestazioni post-sessantottine, sfilacciata, confusa, senza fiducia in nessunaistituzione (sia essa la polizia, la magistratura, la politica), lacerata da spinte eversive o reazionarie.La scelta di Emilio di denunciare il padre rinvia in altre parole a quella svolta di carattere autoritario che il regimepolitico italiano ha sostenuto in risposta a interventi destabilizzanti. Svolte restauratrici che, in assenza di anti-corpi necessari per difendere gli ordinamenti democratici, hanno trovato negli strati sociali più deboli e insicuri– ben rappresentati dall’adolescente Emilio – la legittimazione necessaria all’azione.Marco Dalla Gassa, Aiace Torino [...]Colpire al cuore vale per le riflessioni che suggerisce, ma si apprezza soprattutto per lo stile. [...] Ripetendo inqualche modo Il piccolo Archimede il film gira il coltello nella piaga dell’impossibilità di essere padri e figli. Amelione è tanto convinto che non sa e non vuole essere obiettivo. Il film non sta tutto dalla parte del padre: e nonsolo perchè Trintignant, al meglio delle sue possibilità di attore introspettivo e trepido, predomina sul ragazzo.Tullio Kezich, la Repubblica, 1 aprile 1983

Con qualche lentezza nel ritmo e qualche primo piano di troppo forse pensando a una prossima edizione tele-visiva, Colpire al cuore spicca tuttavia nel panorama della cinematografia nazionale. Gianni Amelio (La città del

I LUOGHI DEL FILMCascina Gobba (metropolitana): il luogo ove Emilio (Fausto Rossi) pedina Giulia (Laura Morante) convinto che la ragazza possa ap-partenenre a un gruppo terroristico. Università Statale: l’interno dove dove Emilio va a trovare il padre Giulio (Jean-Louis Trintignant) durante una lezione e, successiva-mente, il cortile d’onore del settecento.Piazza Duomo (retro cattedrale): Emilio su un tram vede i morti lasciati sul terreno da un attacco terroristico. Bergamo: molte delle scene del film film sono ambientate in questa città, fra Largo Porta Nuova con i Propilei, Piazza Vecchia, la funi-colare per Città Alta, il bar della funicolare dal quale si domina tutta la città bassa.

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sole) non ha la fatuità di Dino Risi (Caro papà) o l‘ambiguità di Bertolucci (La tragedia di un uomo ridicolo) nell’ad-dentrarsi con autentico coraggio a conoscere i meandri che originano il terrorismo. Il suo ario, che da ragazzoè stato testimone attivo della Resistenza e in età matura ha fatto parte della contestazione laica, ha forse fusola tolleranza con la debolezza mentre Emilio – preso dal sospetto e dalla delusione – si crea a poco a poco undiverso modello di brutalità.Gianni Amelio, che dirige con serenità l’esperto Trintignant e l’espressivo esordiente Rossi, non ama il braccioviolento della legge e non propone schemi di rigenerazioni universali. Esprime con la collaborazione dello sce-neggiatore Vincenzo Cerami il disagio di una generazione che riconosce tardivamente il proprio fallimento enon s’accorge che ormai la società tutta è stata colpita al cuore dal terrorismo e dall’ignoranza. Dario, Emilio,noi tuttisiamo soggetti dell’errore e all’orrore in questi interminabili anni di piombo.Piero Perona, Stampa Sera, 21 aprile 1983

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L’ARIA SERENA DELL’OVESTCesare Noviti conduce indagini di mercato mentre sogna di partire per unaricerca etnografica nel centroamerica. Veronica è un'infermiera e vive sola:frequenta un locale diverso ogni sera dove poter trovare un nuovo amante.Tobia, chimico farmaceutico amareggiato da contrasti con i colleghi, provaad allontanarsi dall'ambiente di lavoro e dalla noia della routine con la moglieClara. Irene da poco lavora come traduttrice ma - scontenta del recente tra-sferimento a Milano e della lunga relazione con Mario - pensa di abbandonarelavoro e fidanzato. Tutti i personaggi ruotano attorno a un’agendina dimenti-cata, mentre un cambiamento è nell'aria.

RECENSIONIVoce maschile: «Se fosse un sentimento cosa sarebbe?». Voce femminile:«Il piacere». «E se fosse una qualità?», «La dolcezza», «E un difetto?». Ri-satina soffocata: «Qualcosa che appiccica». Nella penombra di una ca-mera da letto, mentre la notte milanese dirada in alba, una ragazza siinfila i vestiti, spegne il registratore, trafuga la cassetta e silenziosamentese ne va. Cesare si sveglia e chiama «Olga», ma Olga non c'è: di lei è ri-masta solo un'agendina telefo nica. Si apre così L'aria serena dell'Ovest, il«valzer del caso» di Silvio Soldini, classe 1958, lunga esperienza di do-cumentarista, esordio nell'83 proprio a Locamo con Paesaggio con figure.Quell'agendina e il desiderio di Cesare di ritrovare la compagna d'unanotte innestano una serie di slittamenti progressivi nell'esistenza di 4personaggi destinati a sfiorarsi, incontrarsi e perdersi nei confortevoliinterni e nei nitidi esterni della metropoli lombarda. Olga, in realtà Ve-ronica, di giorno si avvolge in un bianco camice di infermiera, la sera siinguaina in vistosi abitini e va a cercare l'avventura effimera nelle disco-teche. Cesare, antropologo frustrato, sbarca il lunario facendo intervisteper una ditta di profumi e vi trasferisce il proprio disagio. Tobia è unchimico agiato con moglie ben inserita nel campo della moda che ungiorno sente il bisogno di trasgredire un'arida routine famigliare e lavo-rativa. Irene, una Bovary senese, convive con un carrierista universitario: nella poco solare Milano, vorrebbesentirsi sempre rassicurata. Costruito come un puzzle su piccoli frammenti di vita, il film si chiude circolarmentee amaramente, senza che i personaggi abbiano saputo cogliere le sollecitazioni offerte dal caso, fra due grandieventi: l'insurrezione di Tienanmen e la caduta del muro di Berlino. Con questo, Soldini ha inteso contrapporrel'aria densa e traumatizzata dell'Est all'aria serena dell'Ovest, dove sereno sta per mefitico, stagnante, smorto.Per chi in questi mesi ha visto su tanto cinema ex socialista le tracce della sofferenza e della lacerazione; e haavvertito lo stallo spirituale in cui si muove il cinema occidentale, e in particolar modo il nostro, il film italo-el-vetico, accolto qui con grande favore, è stato una sorpresa. Si può imputare alla ben calibrata sceneggiatura fir-mata dall'autore con Roberto Tiraboschi qualche momento faticoso. E forse si può discutere il finale tropposimmetrico, anche se mostra che almeno in Veronica - interpretata con sensibilità da Patrizia Piccinini - qualcosaè accaduto: l'infermiera non è l'unica del resto a fare un lavoro utile agli altri? L'aria serena dell'Ovest è un’operanotevole. È un cinema dello sguardo che cerca e trova quasi sempre l'immagine meno ovvia e più funzionale(bellissima la fotografia di Luca Bigazzi). È un cinema dell'oggettività che ci conduce in punta di piedi alla portadei sentimenti. È un cinema povero che risulta elegante. È un nuovo cinema italiano che s’affaccia con autoritàsulla scena internazionale: come mai non se lo è accaparrato Venezia? Alessandra Levantesi, La Stampa, 10 agosto 1990

Regia Silvio SoldiniSoggetto Silvio Soldini, Paola CandianiScenaggiatura Silvio Soldini, Roberto TiraboschiFotografia Luca BigazziMusiche Giovanni VenostaMontaggio Claudio CormoScenografia Daniela VerdenelliOrigine Italia, Svizzera, 1989Interpreti Fabrizio Bentivoglio, PatriziaPiccinini:, Antonella Fattori, Ivano Mare-scotti, Silli Togni, Roberto Accornero,Olga Durano, Cesare Bocci

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I LUOGHI DEL FILMStazione Garibaldi: compare nella scena iniziale del film, con una delle due torri FS.Via Larga angolo via Albricci: qui è ambientata la scena in cui Cesare (Fabrizio Bentivoglio) ascolta un nastro registrato mentre Tobia(Ivano Marescotti) atrraversa a piedi la strada. Sull’angolo il consolato del Libano. Via Larga ricompare anche verso la fine del film conl’immagine del Teatro Lirico.Giardini Pubblici Indro Montanelli (Porta Venezia): sono quelli osservati da Tobia con il binocolo.Museo di Scienze Naturali (Giardini Pubblici): Tobia si aggira per le sale espositive del secondo piano del Museo fra i diorami, nellascena successiva a quella dell’osservazione con il binocolo.Galleria Vittorio Emanuele II: Tobia segue Irene (Antonella Fattori). Il pedinamento prosegue in via Dogana, di fronte al Bar Mercurio.Bastioni di Porta Venezia: dove Tobia viene aggredito e accoltellato da due balordi.

Il secondo film del trentaduenne cineasta milanese Silvio Soldini costruisce i casi di quattro personaggi destinatia sfiorarsi, incontrarsi e perdersi, intorno a un'agendina telefonica dimenticata da una ragazza nella stanza daletto d'un amante occasionale, e intorno al desiderio di lui di ritrovare la compagna di poche ore. La ragazza èun'infermiera che di notte va in caccia d'avventure. Lui è un antropologo che sogna ricerche sul campo mentreè costretto a limitarsi a indagini di mercato per una ditta di profumi. Il terzo personaggio è un chimico bisognosod'evasione, il quarto una ragazza infelice. Ha scritto Alessandra Levantesi su «La Stampa»: «Il film si chiude cir-colarmente, amaramente fra due grandi eventi - la repressione di Tienanmen e la caduta del muro di Berlinosenza che i protagonisti in quell'aria serena, ovvero stagnante, dell'Ovest abbiano saputo cogliere le sollecitazionial cambiamento. Si può imputare al peraltro calibrato meccanismo narrativo, qualche momento faticoso peròquesto è un cinema povero che risulta sempre elegante; un cinema dello sguardo che trova sempre l'immaginemeno ovvia (bellissima la fotografia di Luca Bigazzi); un cinema dell'oggettività che non dimentica i senti-menti».Lietta Tornabuoni, La Stampa, 28 settembre 1990

[...] Gli attori del film recitano tutti in presa diretta. Sono tutti simpatici, interessanti. Ma l’unica che davvero siimpne è Patrizia Picinini, l’interprete della finta furba Veronica, che rivela una immagine e una forza comuni-

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cativa assai interessnti. Anche il suo personaggio è fragile e garbato, come tutti gli altri, ma possiede un rilevopiù sicuro. Alla base dell’operazione compiuta dal giovane regista, che qui esordisce nel lungometraggio (a 32anni), vi sono due elementi: un tema di impronta ideologica e un marchingegno narrativo. Ideologicamente ilregista sostiene che i giovani brghesi rampanti delal civiltà industriale sono cinici e conformisti, privi di moralee sordi ai sentimenti. Narrativamente Soldini riprende il tema del “Reigen” (“Girotondo”, 1896) del vienneseArthur Schnitzler, che Max Ophüls trasferì in un elegante film nel 1950 (La ronde), dove le coppie si intrecciano,si sovrappongono, si disfano. Inoltre ricorre all’espediente del filo conduttore, probabilmente ispirato dal fracche collegava i diversi episodi di Tales of Manhattan (Destino, 1942) di Julien Duvivier. Qui il filo è rappresentatodall’agendina con gli indirizzi e i numeri di telefono che all’inizio Veronica dimentica nella camera di Cesare,quando al mattino sguscia dal suo letto. Che si tratti di un filn “colto” è dimosrato dalla finezza con la quale sirappresenta una Milano mai riconoscibile eppure sempre presente, dai numerosi riferimenti cinefilici, e da unosoprattutto, clamoroso (e non a caso, nuovamente francese): Irene a letto con Cesare non riesce a fare all’amorecon lui esattamente come Anne non può farlo con Jean-Louis in Un homme et une femme (Un uomo e una donna,1966) di Claude Lelouch.Fernaldo Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema, Editori riuniti

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A CASA NOSTRAA Milano si muovono e si incrociano personaggi anonimi e di rilievo, le cuivite sono ugualmente regolate dal denaro. Quella di Ugo, banchiere corrottoe controllato da Rita, capitano della Guardia di Finanza, innamorata e noncorrisposta nel privato. Per strada si prostituisce Bianca, di cui si invaghisceOtello, pregiudicato agli arresti domiciliari e tenta invano di riscattare la fan-ciulla amata. Poi c'è Elodie, modella e amante di Ugo, sedotta e abbandonataTutto intorno Milano assiste indifferente alle loro vite spese male.

RECENSIONI

Un film sull’Italia degli intercettati e quella degli intercettatori. Un paeseche sta subendo un declino morale prima che economico. C’è un giudiziopesante in A casa nostra, ultimo lavoro di Francesca Comenicini. Un filmpolitico perché affronta temi molto attuali: le scalate, le intercettazioni,e gli intrecci malati tra il mondo finanziario e le istituzioni. Di sfondoc’è Milano, la città degli affari, dei soldi ma “anche dei contropoteri forticome la magistratura” come spiega la regista. Milano è silenziosa, un po’ambigua ma tremendamente affascinante nelle riprese dall’alto (dallaTorre Velasca). Seguendo le vicende dei tanti personaggi si rischia, certo,un po’ di confusione. I due antagonisti: Ugo, padrone di una banca, pia-cente e grande professionista (“mai visto uno bravo così coi soldi” glidice un faccendiere russo); dall’altra parte c’è Rita, ispettore della guardiadi finanza, una donna determinata e onesta quanto debole e un po’ fru-strata nella vita privata. Da tempo Rita segue gli affari loschi di Ugo, èlei in prima persona a studiare le intercettazioni senza mai riuscire a in-castrarlo, Ugo gode di protezioni importanti, magistrati e politici (stra-ordinaria interpretazione di Bebo Storti). Ugo ha una moglie con uninappagato desiderio di maternità e una giovane amante, Elodie, unamodella mantenuta in una suite con vista sul Duomo. Per procedere nei suoi affari serve un prestanome, Gerryè perfetto, è ingenuo, un po’ facilone, lavora in un supermercato e sogna i soldi.La corruzione, però, non è solo degli affaristi, ci sono anche i corpi femminili in vendita sui marciapiedi e l’in-vadenza dei cartelloni pubblicitari di una città in cui tutto si compra, persino i neonati.Il rapporto uomo/donna è l’altro tema forte: la maternità è sognata e spesso negata (ma c’è anche un’autenticascena di un parto).Nel film poi compaiono altri personaggi interessanti, quasi a formare uno spaccato completo di un paese complessoche non è solo terra dei maneggioni ma “è anche casa nostra”, come rivendica Rita urlandolo in faccia a Ugo.Viene in mente Il Caimano con la sua visione sconsolata di un paese ormai berlusconizzato, ma lì Moretti siconcentrava sulle malefatte del Cavaliere e sui suoi effetti sull’Italia. Da un punto di vista narrativo per la suacircolarità, A Casa nostra ricorda, invece, lo splendido Crash di Paul Haggis.La domanda è d’obbligo: è un film riuscito? In gran parte sì. La Comencini è brava ad evitare moralismi eccessivie una caricatura grottesca degli scandali italiani (per intenderci non è un film su Moggi o sui furbetti del quar-tierino). Il film poi è ben girato, con una splendida fotografia e una colonna sonora azzeccata e fortementeevocativa. Forse però c’è troppa carne al fuoco, a lungo è complicato seguire le vicende dei tanti personaggi,difficile vederne i legami. Alla fine poi tutto torna, ma troppo frettolosamente.Franesco Olivo, www.cinemadelsilenzio.it

Regia Francesca ComenciniSoggetto Francesca Comencini, (con laconsulenza di Gianni Barbacetto)Scenaggiatura Francesca Comencini,Franco BerniniFotografia Luca BigazziMusiche Banda Osiris, Fabio GurianMontaggio Massimo FiocchiScenografia Paola ComenciniProdotto da Donaella BotiOrigine Italia, 2006Interpreti Valeria Golino, Luca Zingaretti,Giuseppe Battiston, Laura Chiatti, LucaArgentero, Teco Celio, Bebo Storti, FabioGhidoni, Valentina Lodovini, CristinaSuciu, Teresa Acerbi, Elena Maria Bellini

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[...] Il film di Francesca Comencini si apre su Milano dentro un campo lunghissimo, è la città dove si svolgerannoi destini dei protagonisti, le relazioni interpersonali intrattenute per denaro, impedite dal denaro e terminateper denaro. La Milano dei traffici e delle intercettazioni, la Milano post tangentopoli che si è bevuta tutto davantiai bar, ai negozi, alle banche, agli scheletri delle fabbriche in disuso, cullata dallo sferragliare incessante dei tram.Milano, la città del padre Luigi Comencini, la città della Scala e del melodramma verdiano, che accompagna lesequenze sottolineando liricamente l'evoluzione emotiva dei personaggi. Da Milano, che nasconde i suoi affarisporchi ma anche la sua bellezza, l'Italia può forse ricominciare, perché è nel capoluogo lombardo che risiedonoi centri finanziari, le banche, la Borsa. La livida fotografia di Bigazzi impressiona Milano e sostiene la poeticaimpegnata di Francesca che si conferma la più "grande" delle sorelle Comencini.Marzia Gandolfi, www.mymovies.it

Un racconto corale che, attraverso le storie di rapporti di coppia in cui ognuno è schiavo delle proprie ossessionie immerso nella propria solitudine, riesce a far luce sugli angoli più bui dell’Italia contemporanea. Perché il drammaè inesorabile e non risparmia nessuno, né le esistenze corrotte della Milano bene, né i tormenti di chi vive sullastrada. A casa nostra è uno spietato ritratto degli anni Duemila, l’inizio di un nuovo millennio che si porta dietro,dentro e addosso gli strascichi della Milano post-da bere: all’ombra dei nuovi grattacieli che trasformano Milanoin metropoli mondiale, un giallo contemporaneo che intreccia micro-storie di potere, denaro e politica. Ma anchedei piccoli combattenti - peccatori anche loro, non santi - per una città e una vita più pulita.Carla Vulpiani, www.milanofilmfestival.it, 2015

I LUOGHI DEL FILMVia Fusinato (zona Villapizzone): la casa di ringhiera dove vive Rita (Valeria Golino) è in via Fusinato. al balcone si vede la stazione di Vil-lapizzone.Parco Lambro: è il luogo ove si prostituisce Bianca (Crsitina Suciu) e dove Otello (Giuseppe Battiston) la va a cercare. Si intravede il ca-vacavia della tangenziale sopra via Canelli.Caserma della Guardia di Finanza, via Fabio Filzi angolo via Tonale: dove lavora Rita, capitano della Guardia di Finanza.Via Ugo Foscolo (piaza Duomo): dove c’è l’albergo in cui abita Elodie (Laura Chiatti).Giardini Pubblici (Porta Venezia) fronte Museo Storia Naturale: dove passeggiano parlando Ugo (Luca Zingaretti) e Marco (Paolo Bes-segato)Cavalcavia di via Palizzi (zona Quarto Oggiaro): lo si intravede mentre Matteo (Fabio Ghidoni) transita in motorino dopo aver fatto l’amorea casa di Rita.Ospedale Niguarda: dove vengono ricoverate la madre di Matteo (Teresa Acerbis) e Bianca.

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«Voi credete di poter fare come vi pare, ma questo paese è anche casa nostra!». Così il capitano della Guardiadi Finanza Valeria Golino a brutto muso al furbetto Luca Zingaretti dopo mesi di intercettazioni senza essereriuscita a incastrarlo: un magistrato sta dalla sua parte. E lui, rabbioso: «Lei è una donna sola, quelli come leiprovano gusto a perseguitare quelli come me». è il succo civile di un film che è sicuramente molto civile ma se-condo modalità diverse da una tradizione italiana che è stata grande. Tanti destini incrociati (un po’ “alla Kie-slowski”, ormai si dice sempre così) nella Milano di oggi. Da una parte furbetti tracotanti e ben vestiti,portaborse, prestanome, mantenute, magnaccia e “finanziatori” dalla moralità più che dubbia, e anche un nonmeglio identificato “presidente” dall’ accento molto lombardo e almeno pubblicamente propugnatore di valoridio-patria-famiglia. Dall’ altra un professore in pensione, un’ infermiera, un benzinaio, una prostituta di buoncuore, e la poliziotta. Gente per bene, che tira la carretta. Uno spaccato italiano, il denaro sembra vincere maforse no, non sempre. Non davanti alla resa dei conti. Un film severo, triste, ma anche vigoroso A casa nostra diFrancesca Comenicini. Lode agli attori, una particolare a Giuseppe Battiston.PaoloD’Agostini, La Repubblica, 20 orttobre 2006

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BIBLIOGRAFIA

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INDICE

Introduzione........................................................................................3Tracce di cinema a Milano.................................................................5

Gli albori...................................................................................5Gli anni Trenta.........................................................................5La guerra..................................................................................6Gli anni Cinquanta e Sessanta..................................................7Gli anni Settanta. Fabbrica e rivoluzione.................................10Banditi a Milano. Il poliziottesco in salsa meneghina................12Gli anni Ottanta. Disimpegno e disillusione.............................13Una Milano da fuggire............................................................14Indipendenti crescono... ...........................................................16...in una città multietnica... ....................................................16...e senza sale cinematografiche..................................................17

Ifilm.....................................................................................................19Rocco e i suoi fratelli........................................................................21Romanzo popolare...........................................................................25San Babila ore 20: un delitto inutile...............................................27Colpire al cuore.................................................................................29L’aria serena dell’ovest.....................................................................35A casa nostra.....................................................................................38Bibliografia........................................................................................41