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Lux, ex umbra

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In copertina:G.B. PIAZZETTA, Morte di Sant’Anna (particolare)

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Catalogo a cura di Antonello Privitera e Enzo Ferro

Si ringraziano, per i loro generosi contributi: Joanna Woodall, Ugo Ruggeri, Mauro Natale e Valentina Ciancio

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ERCOLE PROCACCINI, IL GIOVANE

(Milano, 1605-1680 circa)

Venere e CupidoOlio su tela, cm 116 x 83

PROVENIENZA: Collezione privata

Questa delicata rappresentazione delle confidenze di Amore con la propria madre, la Bellezza, èespressa fluidamente da Ercole Procaccini che abbandona per questo dipinto le tensioni volu-metriche ereditate dai modelli familiari di Giulio Cesare e Camillo per creare una composizionemorbida e rotonda, in cui la luce si posa lievemente sulle figure.

Tradizionalmente ascritta a Giuseppe Nuvolone (Milano 1619-1703?), l’opera è stata recente-mente attribuita dal professor Mauro Natale a Ercole Procaccini il Giovane. Restando dunqueevidente la pertinenza dell’opera all’area figurativa lombarda della seconda metà del Seicento, èanche interessante rilevare il rapporto dello schema compositivo con la Venere allo specchio di Ti-ziano alla National Gallery di Washington, che parte della critica tende ad identificare come l’ori-ginale citato dalle fonti da cui si dipartirono le numerose varianti presenti in molti musei ecollezioni. Questa Venere di Ercole Procaccini prende diretta ispirazione dall’esempio tizianescoed è molto vicina specialmente alla variante veneziana della Collezione Franchetti alla Ca’ d’Oro.

BIBLIOGRAFIA: C. MALVASIA, Felsina pittrice. Vita de’ pittori bolognesi, Bologna 1678 (edizione ana-statica, Bologna, 2005).

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GIOVAN BATTISTA PIAZZETTA

(Venezia, 1683-1754)

Morte di Sant’AnnaOlio su tela, cm 114 x 149

PROVENIENZA: Collezione privata

L’estrema vocazione chiaroscurale del Piazzetta sembrerebbe nuocergli, se non fosse che egli tal-volta non si cura volontariamente di rendere compiute le parti in ombra, complice la scarna illu-minazione dell’epoca; perciò, conoscendo la cura delle sue composizioni, sbaglieremmo sepensassimo ad una sua svogliatezza, specialmente trovandoci di fronte ad un dipinto che riescecon pochi elementi essenziali —e con la materia della sua propria arte— a raccontare meravi-gliosamente un dramma. Qui si rappresenta l’ars moriendi di Anna, la madre di Myriam. Condense e luminose pennellate l’artista sottolinea i momenti salienti e i movimenti della narra-zione: il respiro ignaro di Gioacchino, la cui nuca è avvolta dalla calda luce del sonno, e l’attesoirrompere della morte prontamente avvertito dalla Vergine che con la sinistra prende il polsodella madre e con la destra suggerisce al braccio di Cristo fanciullo, ma già medicus animarum,l’estrema carezza della benedizione. Un momento prima, sentendo la morte arrivare, Anna hacontratto le gambe, ritirando i piedi dallo sgabello che è caduto; o forse Gesù era seduto ai piedidella donna, e si è alzato di colpo per raggiungere la madre. In ogni caso, la concitazione è pas-sata e in questa sottigliezza narrativa brilla il composto pathos di questo dipinto: la morte arriva,ma non è un male.

L’attribuzione al Piazzetta, o a qualcuno a lui vicinissimo, nasce dalla comparazione con la Mortedi San Giuseppe del Kadriorg Art Museum di Tallinn, con la quale questa tela ha somiglianze nelloschema compositivo, sebbene espresso in forma speculare. Sono ancora influenti le tenebre di Jo-hann Liss e il clima cupo della Morte di San Giuseppe del Crespi, sebbene la feroce dialettica to-nale sembri qui schiarirsi, specie nella luce dorata che si distende sulla materia cromatica e ladinamizza. Altre suggestioni conducono verso Piazzetta, come il confronto di quest’opera con laterribile Morte di Dario (1746) di Ca’ Rezzonico e con il celebre San Giuseppe con il Bambino diPraga, col quale condivide l’andamento da sottinsù dell’immagine, già inaugurato da Liss nel voltodi San Gerolamo nella Chiesa dei Tolentini a Venezia. Il modello per la figura della Madonna è con

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tutta probabilità Maria Teresa d’Austria, olimpica musa dei veneti, come testimonia la vasta ico-nografia della sovrana e specialmente il ritratto preparato dal Piazzetta per l’edizione a stampa dellaGerusalemme Liberata, pubblicata da Albrizzi nel 1745; la figura stessa del Bambino benedicentesembra essere esemplata dal ritratto infantile di Giuseppe d’Asburgo. Il dipinto potrebbe esserestato eseguito proprio nel quarto decennio del Settecento, quando Piazzetta affianca un’intensaattività di illustratore a quella di pittore, e ritorna al chiaroscuro: l’allargarsi della mole di lavorogiustificherebbe una certa, inusuale velocità nell’esecuzione di alcune parti di questo dipinto cheresta, a dispetto di minimi squilibri, un’opera di intensa e funebre bellezza.

BIBLIOGRAFIA: A. MARIUZ, L’opera completa del Piazzetta, Milano, Rizzoli, 1982; G. KNOX (a curadi), Piazzetta: a tercentenary exhibition of drawings, prints, and books, (Washington, DC, National Gal-lery of Art, 20 novembre 1983 - 26 febbraio 1984), Washington 1983; V. SGARBI (a cura di), SanGiuseppe con il Bambino di Giovan Battista Piazzetta, Torino 2004.

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ADRIAEN THOMAS KEY

(Anversa, circa 1544 - dopo il 1589)

Ritratto di GentiluomoOlio su tela, cm 73 x 58Cornice francese settecentesca, intagliata e dorata

PROVENIENZA: I. Collezione Pallavicino-Grimaldi, Genova; venduto in asta a Roma, Galleria San-giorgi, 29 novembre - 2 dicembre 1899, cat. n. 276, illustrato alla tavola 16, come ‘Scuola vene-ziana’. II. Collezione del pittore inglese Charles Fairfax Murray, Londra; III. Catalogo d’asta dellaGalerie Georges Petit a Parigi, 15 giugno 1914, lotto 21, illustrato, come ‘Moro’.

Su uno sfondo grigio che vira al verde pallido si staglia la figura a mezzo busto del giovane edaustero gentiluomo, in abito scuro con gorgiera bianca. L’artista osserva oggettivamente ogni det-taglio e costruisce il suo racconto visivo partendo dai particolari espressivi del volto: gli occhi diun verde intenso e cupo, animati da luci di bianco, e la bocca incorniciata da un barba curata, resacon minuscoli tratti accostati. L’orecchio e la capigliatura sulla tempia sono dipinti con pennellomorbido che sfuma il colore e sfoca i contorni, aumentando così la profondità di campo. A cer-niera tra il volto ed il sobrio ma elegante abito è la gorgiera, il cui candido profilo sembra di-pinto o meglio scolpito come fosse un intarsio cloisonné. Raffinatissimo appare anche il gioco deinastri sulla manica della giacca, dato con tocchi di colore grigio lumeggiato di chiari.

Ringraziamo il professor Mauro Natale per aver suggerito la presente attribuzione sulla base difotografie a colori. Secondo lo studioso si tratta di “un vero capolavoro” da riferire all’attività gio-vanile di Adriaen Thomas Key, nel quale è raffigurato un ignoto personaggio della corte spa-gnola, come starebbe ad indicare anche la foggia del suo abbigliamento. Indipendentemente, Joanna Woodall, cui siamo grati per la squisita disponibilità, ha avanzato sullabase di fotografie a colori la medesima attribuzione: «Sebbene questo dipinto abbia molte dellecaratteristiche dell’opera di Mor, ed è certamente un capolavoro, penso che l’attribuzione adAdriaen Thomas Key sia più convincente. Le mie ragioni sono il disegno della testa leggermente‘appiattito’, mentre nell’opera di Mor —anche nello stato terribilmente sporco dell’autoritratto—la testa come volume nello spazio è disegnata in modo più deciso, prodotta attraverso ombreg-giature. In modo tale che in Key la faccia ha un aspetto lievemente ‘bombato’ o simile ad una

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maschera, mentre in Mor sembra proiettata in avanti. In un secondo momento, vorrei consultareuno storico del costume, perché penso che la data del vestito -in particolare la gorgiera- può es-sere tarda per Mor (morto nel 1576 circa)».

Sembrerebbe così escluso il nome di Antonis Mor, cui tradizionalmente il dipinto era assegnatoa partire dalla sua presenza nella raccolta del pittore inglese Charles Fairfax Murray fino al 1914,anno in cui la collezione fu dispersa in una vendita all’incanto e dell’opera andò perduta ogni trac-cia: anche se restano strette parentele con l’opera di Mor, specialmente col suo Ritratto di AntoinePerrenot de Granvelle (1549) conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Tuttavia, varrebbe la pena di mantenere congetturale anche l’attribuzione a Key, in vista di unapiù ampia e monografica ricognizione su quest’opera che mantiene ancora aperto il suo lumi-noso mistero. Non è infatti esclusa la possibilità di riprendere in esame, anche attraverso la con-sultazione degli archivi di casa Pallavicino, l’antica intuizione verso un autore veneziano, nonmancando al dipinto elementi che vanno anche in questa direzione a causa della sua straordina-ria qualità e dell’intensità del suo realismo psicologico.

BIBLIOGRAFIA: J. WOODALL, Anthonis Mor. Art and Authority. Studies in Netherlandish Art and Cul-tural History. Volume 8, Zwolle, Waanders Press, 2007. K. JONCKHEERE, Adriaen Thomasz. Key. Por-trait of a Calvinist painter, Turnhout 2007.

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GIULIO CESARE PROCACCINI

(Bologna, 1574 – Milano, 1625)

Sacrificio di IsaccoOlio su tela, cm 119 x 88Siglato in basso a destra GCPF (Giulio Cesare Procaccini Fecit)Cornice antica intagliata e dorata, con comparti colorati

PROVENIENZA: Collezione privata

Sebbene figlio e fratello di pittori, arrivati a Milano per lavorare all’immensa fabbrica del Duomo,Giulio Cesare nasce scultore e solo verso il 1600 si dedica alla pittura: ma alla fine della vita,quando tutto si ricapitola, sembra ritornare alla sua prima vocazione, diventando sempre piùscultoreo, quasi che dopo l’incontro genovese con Rubens voglia fare scultura dipinta. Questonuovo capolavoro, attribuito con certezza a Giulio Cesare dopo la pulizia che ha liberato la suasigla, è realizzato sicuramente nell’ultimo lustro di vita dell’artista ed è la prova di questo ritornoad una concezione marmorea dello spazio pittorico, ad una congestione formale ravvisabile anchein altre opere della maturità di Procaccini come l’Abramo accoglie i tre angeli, conservato al PalazzoMadama di Torino. La tela torinese ha in comune con questo Sacrificio di Isacco, oltre alla reve-rente solennità della figura di Abramo, la morfologia parmigianesca e correggesca nel tratteggiarei volti di fanciullo già proposta nell’Annunciazione nella cappella Acerbi in Sant’Antonio Abate aMilano, quasi contemporanea dell’altra Annunciazione già nella Collezione Koelliker.

Per potenza e forza drammatica, il dipinto è accostabile anche ad un altro quadro della maturitàdi Giulio Cesare, la Cattura di Cristo —anch’essa firmata— appartenuta alla Collezione Corsinidi New York, con la quale ha in comune la dialettica vittima-carnefice, non soltanto nella sceltaletteraria del soggetto ma soprattutto nello sviluppo pittorico: la sobria tensione delle masse mu-scolari di Abramo o dei carnefici, ravvisabile anche sotto le tuniche, e l’ovina rassegnazione diIsacco e Cristo che rovesciano gli occhi verso il cielo.

Questo Sacrificio di Isacco, tra i pochi dipinti firmati dell’artista (circa una dozzina), ha la grazia do-lorosa di un congedo dalla pittura: è probabilmente uno degli ultimi dipinti di Giulio Cesare,quando era uno di pittori più affermati e richiesti nel vivace mercato milanese del tempo, e ha

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la bellezza incerta dell’opera senile di un’artista che, sebbene precocemente invecchiato, non ri-nuncia a sperimentare, mescolando le maniere che affollano ormai la sua arte con la vocazione in-compiuta della propria giovinezza.

ANTONELLO PRIVITERA

L’opera si colloca nel contesto degli autografi dell’artista tra le acquisizioni più importanti deglistudi recenti, anche per le vive connessioni che essa presenta con il mondo formale di CamilloProcaccini, fratello maggiore dell’artista, con il quale Giulio Cesare giunge a Milano, da Bolo-gna, nel 1585. Rispetto ai modi di Camillo, però, ancora sostanzialmente coinvolti nel mondodel tardo manierismo felsineo —anche se attenti, in modo parziale, alle istanze naturalistiche delPasserotti e del Carracci— questo Sacrificio di Isacco si presenta con nuove inflessioni di stile, checoniugano i portati della cultura giovanile dell’artista con le sue nuove esperienze più strettamentelombarde, a contatto con il fare del Cerano e del Morazzone. L’impianto, vigorosissimo, dellascena, si articola con quella padronanza spaziale che è di Giulio Cesare, e può essere utilmentemesso in rapporto con sue opere quali le grandi Pietà della Parrocchiale di Gavardo e del Kun-sthistorisches Museum di Vienna, ma anche con il rametto della Maddalena assunta dagli angeli Mi-chele e Raffaele, con il Cristo benedicente, della collezione Herlitzka di Buenos Aires, forse databilenel secondo decennio del ‘600. Sono prevalenti, tuttavia, le analogie con opere più tarde quali laPresentazione a Costantino delle Reliquie della Passione della Pinacoteca del Castello Sforzesco di Mi-lano, firmato e datato 1620, mentre il complesso chiasmo spaziale che lega le figure risulta adot-tato da Giulio Cesare in opere della piena maturità, come il Caino ed Abele dell’Albertina diTorino, firmato e datato 1623, e la variante dello stesso tema della Galleria Arcivescovile di Mi-lano, presumibilmente coeva. Il fondale paesistico sulla sinistra della composizione, con il caproseminascosto nel cespuglio di rovi, segnala inoltre una consonanza con gli interessi naturalisticidi Tanzio da Varallo, già espliciti nel suo San Giovanni Battista nel deserto del Philbrook Museum diTulsa, databile 1627-29 ed in altre opere di simile temperie formale.Una circostanza questa, che invita a collocare nella fase più matura dell’attività di Giulio CesareProcaccini questo dipinto di straordinaria potenza drammatica, che coniuga le venustà neocor-reggesche dei volti di Isacco e dell’Angelo con la forza irosa del viso di Abramo, in un misto dilanguidezza e furore tipico del grande artista lombardo.

UGO RUGGERI

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BIBLIOGRAFIA: R. SOPRANI, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genoesi, Genova, 1674; H. BRIG-STOCKE, G. C. Procaccini reconsidered, in Jahrbuch der Berliner Museen, 1976; S. COPPA, La cronologiadella cappella Acerbi in Sant’Antonio Abate a Milano, in Arte Lombarda, voll. 58-59, pp. 85-89. M.ROSCI, Giulio Cesare Procaccini, Soncino, 1993. A. MORANDOTTI, Pittura Italiana Antica. Artisti eOpere del Seicento e del Settecento, Milano, 1995. H. BRIGSTOCKE (a cura di), Procaccini in America,London & New York, 2002. H. BRIGSTOCKE, Maestri del ‘600 e ‘700 Lombardo nella Collezione Ko-elliker, Milano, 2006.

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G.C. PROCACCINI, La Cattura di Cristo

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FELICE FICHERELLI, DETTO IL RIPOSO

(San Gimignano, 1605 - Firenze, 1669)

Maddalena in preghieraOlio su tela (forma ottagonale), cm 86,8 x 65Cornice antica intagliata e dorata

PROVENIENZA: Collezione privata

La storia dell’arte non sarà mai abbastanza grata per la prodigiosa e non didattica riscoperta delSeicento toscano e fiorentino, avviata dagli sforzi pionieristici di Mina Gregori, di Giuseppe Can-telli e Piero Bigonciari, coltivata dall’attenta sensibilità di un gruppo di collezionisti (Etro, Koel-liker) e antiquari (Pratesi, Moretti, Voena, Robilant) e culminata nella pregevolissimaricapitolazione di Francesca Baldassarri. Tra i barocchi toscani, Felice Ficherelli è uno degli arti-sti più espressivi dello stile morbido di cui questa Maddalena mistica è un testimone straordinario,sia per la diffusione della luce che per quella dei colori. La lezione del grande Furini è visibileproprio nella realizzazione delle numerose Maddalene, come quella fiorentina e quella napole-tana repertoriate dal Cantelli, alle quali la presente è forse superiore per ispirazione e tensioneestatica e paragonabile alle sue migliori realizzazioni, come la splendida Sant’Agata del Musée Ma-gnin di Digione.

BIBLIOGRAFIA: F. BALDINUCCI, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze, 1681-1728 (ed. anastatica, Firenze, 1974); G. CANTELLI, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, 1983;M. GREGORI, Felice Riposo, in «Comma», giugno-luglio, 1968; G. CANTELLI, Precisazioni sulla pit-tura fiorentina del Seicento: I Furiniani, in «Antichità Viva», n. 4, 1971. F. BALDASSARRI, La pittura delSeicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Torino, Robilant-Voena, 2009.

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CARLO MARATTA

(Camerano, 1635 - Roma, 1713 )

MadonnaOlio su tela, cm 73,5 x 62

PROVENIENZA: Collezione privata

Questa serena Madonna in preghiera, databile tra gli anni settanta e ottanta del XVII secolo, èassegnabile ad un raffinato pittore dell’entourage di Maratta: forse Niccolò Berrettoni, autore diiconografie strettamente marattesche. Di lui ricordiamo laVisitazione conservata nella chiesa par-rocchiale di Cura di Vetralla, con l’aspetto della Vergine che introduce al neoclassicismo: quelgusto nuovo che si affermerà ufficialmente verso la fine del XVIII secolo, e che emerge anchenella presente opera.

All’interno della produzione del Maratta, la scelta di opere, come termine di confronto per que-sto dipinto, è piuttosto ampia: i riferimenti più evidenti sono da ricercare in alcune opere comela Vergine col Bambino dei Musei Vaticani ed il Sonno di Gesù con angeli musicanti (1697), conser-vato al Louvre.

BIBLIOGRAFIA: G. P. BELLORI, Vita di Carlo Maratti pittore scritta da Gian Piero Bellori fin all’annoMDCLXXXIX., Pisa, Capurro, 1821; A. SUTHERLAND HARRIS-E. SCHARR (a cura di), Die Han-dzeichnungen von Andrea Sacchi und Carlo Maratta, Düsseldorf, The Museum, 1967; A. BLUNT, Mae-stri romani del Sei e Settecento: Domenichino, Sacchi, Lanfranco, Bernini, Pietro da Cortona, Testa, Mola,Sassoferrato, Maratta, Panini, Piranesi, Firenze, Alinari 1980.

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VINCENT SELLAER

(attivo a Mechelen nel 1538)

Leda e il CignoOlio su tavola, cm 76,8 x 108,2

PROVENIENZA: I. Sotheby’s London, Old Master Pictures, Sale 6944, lot 18. II. Collezione privata

Leda è raffigurata in un momento di pace domestica, mentre colloquia, adagiata su morbidi cu-scini, con il Cigno che le accarezza i capelli, quasi facendole da guanciale con l’ala. Appoggiatialla madre distesa, Castore e Polluce, nati dall’unione con Giove in veste di cigno: dopo quel-l’incontro, Leda depose due uova da cui nacquero, oltre ai due dioscuri, Elena di Troia e Cli-temnestra.

Il soggetto deriva dalla famosa composizione perduta della Leda leonardesca, che influenzò eispirò molti artisti olandesi del tempo, inclusi Joos e Cornelis van Cleve, entrambi i quali dipin-sero numerose varianti dello stesso soggetto. Questa tavola può essere messa in relazione conun’altra Leda di Sellaer, offerta recentemente all’incanto (Sotheby’s New York, 22 gennaio 2004,lot 58) e, per le figure infantili, con il Giove satiro, Antiope e i loro figli conservato nei Musées ro-yaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles. Specialmente nelle teste dei fanciulli è ravvisabilel’influsso leonardesco nell’uso dello sfumato, che Sellaer raccolse durante il suo periodo italiano(1522-1524), nel quale pare abbia lavorato con Moretto da Brescia.

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IMPRESSO IN TRECENTO COPIE

COL CARATTERE BEMBO

DA STIMMGRAF PER BIBLIOPATHOS

NEL MESE DI OTTOBRE DEL MMIX

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