L’URLO DEL GRIFONE – Edizione Giugno 2016 – Classe 3^C · precisamente riguardo al fronte...

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L’URLO DEL GRIFONE – Edizione Giugno 2016 – Classe 3^C La nostra redazione è tornata al lavoro e…

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L’URLO DEL GRIFONE – Edizione Giugno 2016 – Classe 3^C

La nostra redazione è tornata al lavoro e…

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In questa seconda edizione del giornalino scolastico “L’ Urlo del Grifone” tratteremo temi riguardanti la storia del nostro territorio e attività svolte durante l’ anno scolastico. La classe 3^C, i cui membri hanno scritto tutti gli articoli, può vantarsi dei “più grandi esponenti del giornalismo giovanile dell’ultimo secolo”....infatti gli argomenti trattati in questa edizione sono molti: dalla Prima Guerra Mondiale vista dal fronte italiano alla tragedia del Vajont, fino al terremoto del ’76 in Friuli. Sono presenti molteplici articoli sull’attualità, come quello riguardante la guerra in Siria e l’orientamento scolastico di noi ragazzi dopo la terza media. Si parla anche della gita a Villa Manin di Passariano e dell’interessante attività di “Rileggere la Via”….e molto altro!

Che dirvi più modestamente e seriamente......buona lettura!

Speriamo che il nostro giornalino vi piaccia quanto il primo!

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LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LA GITA A GORIZIA

La prima guerra mondiale è stata sicuramente la più potente e devastante fra le due, un avvenimento che non sconvolse solo la cartina europea ma intere nazioni. Partiamo con ordine: prima dello scoppio della Prima Guerra mondiale l'Europa viveva da circa quarant'anni una situazione di pace che era stabilita dal principio di equilibrio, emanato dal cancelliere tedesco Otto Von Bismark. In questa situazione nessuna potenza poteva crescere rispetto alle altre. In caso di allargamenti territoriali o di nuovi vantaggi per uno Stato i governi si accordavano per ricompensare gli altri paesi con adeguate contropartite. Con il congresso di Berlino (1878) la carta dell'Europa venne ridimensionata. Le novità furono: la formazione e l’indipendenza del nuovo stato della Bulgaria, della Serbia e del Montenegro, l'ammissione della Bosnia e dell' Erzegovina e il passaggio di Cipro nel Regno Unito. Alla fine del 1800 ci furono le dimissioni del cancelliere tedesco Von Bismark con la salita di Guglielmo II, che adottò una politica più aggressiva e mirata a privilegiare i rapporti con l'Austria. La Germania stava diventando sempre più potente sia economicamente sia sul controllo dei mari. Quest'ultimo miglioramento scatenò la rivalità del Regno Unito che voleva mantenere il suo dominio sui mari. Gli Inglesi si allearono così con i Francesi per tener testa alla potenza tedesca. In questo periodo l'Europa si trovava divisa in due grandi blocchi: uno formato dalla Triplice Alleanza, che era formata da Germania, Impero Austro-Ungarico e Italia, e uno dalla Triplice Intesa, formata da Regno Unito, Francia e Russia. Nel frattempo l'Impero Ottomano viveva una situazione di crisi per via del potere che fu preso dai Giovani Turchi, un'associazione di nazionalisti, che mirava alla modernizzazione della Turchia. Ovviamente questo fenomeno portò dei grandi miglioramenti in Turchia ma sfavorì le minoranze che rivendicarono la loro indipendenza. L'Austria sfruttò questa situazione e riuscì ad annettere la Bosnia e l'Erzegovina. Queste conquiste portarono a un conflitto maggiore con la Serbia e con la Russia: la prima mirava ad unificare tutte le regioni slave in una unica realtà, mentre la seconda mirava ad avere uno sbocco nel mar Mediterraneo. Le tensioni nelle regioni Balcaniche finirono col provocare due guerre balcaniche. Alla fine di esse la cartina europea risultò modificata. La più grave conseguenza fu il rafforzamento della Serbia. Il 28 giugno 1914 l'arciduca Ferdinando d'Asburgo venne ucciso in Bosnia da un giovane serbo che faceva parte dell' associazione "mano nera". L'Austria accusò la Serbia di aver organizzato precedentemente l'omicidio e diede loro un ultimatum, che non venne rispettato. Il 28 luglio 1914 l'Austria dichiarò guerra alla Serbia. La Russia, alleata di quest'ultima, mobilitò l'esercito in appoggio alla Serbia, disponendolo sulle frontiere con Austria e Germania. La Germania accorse in appoggio all'Austria sua

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alleata. La Francia, nel frattempo, mobilitò l'esercito in offensiva verso i tedeschi. Anche il Regno Unito partecipò quando la Germania attaccò il neutrale Belgio, alleato degli Inglesi. Iniziò così la prima guerra mondiale soprannominata anche: "La Grande Guerra" per via dell'alto numero di partecipanti e della durata. Fino a questo momento l'Italia assunse un ruolo neutrale. Solo un anno dopo lo scoppio della Guerra, l’Italia mobilitò il suo esercito per ottenere dei vantaggi territoriali, al fianco dell' Intesa. Uno tra i territori da conquistare era la zona di Trieste, sul fronte orientale. Le principali battaglie del nord-est vengono chiamate “le undici battaglie dell’ Isonzo”. In questi scontri, una delle protagoniste, è stata Gorizia, meta della nostra visita d’istruzione.

Il 26 febbraio 2016 noi, le classi terze della scuola secondaria di primo grado, ci siamo recate a Gorizia, per approfondire il tema della prima guerra mondiale, più precisamente riguardo al fronte italiano sul Carso. Siamo partiti alle 8:06, prendendo due corriere distinte. Durante il tragitto ci siamo intrattenuti svolgendo varie attività. Appena arrivati a Gorizia abbiamo scorto l’Isonzo, tema principale della poesia “I fiumi” di G. Ungaretti, letterato italiano. Alle 9:15 siamo arrivati alla nostra prima destinazione: museo storico tenuto alla Casa di Simone Tasso, (Cornello, Bergamo, 1478 - Milano, 1562) appartenente allo stesso casato di Torquato Tasso, poeta della Gerusalemme Liberata, e dei principi Thurn und Taxis ed è uno dei principali esponenti del ramo che tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento organizzò in modo stabile ed efficiente il servizio postale europeo .I Tasso erano peraltro una famiglia con origini antichissime ed il loro stemma recava un tasso in piena corsa ed un cornetto. Prima l'Imperatore Massimiliano e poi Re Carlo V modificarono questo stemma, via via arricchendolo con un'aquila a due teste e con l'iscrizione Kaiserliche-Post (Posta Imperiale). I corrieri dei Tasso, chiamati anche bergamaschi, formavano una Compagnia o Società, con tanto di regolare statuto che ottenne, già nel 1305, un solenne riconoscimento dal Senato Veneziano; ebbero inoltre privilegi speciali dai pontefici e da moltissimi sovrani di tutti i Paesi d'Europa. La dinastia dei Tasso era ripartita in tante azioni suddivise fra 32 famiglie ed assicurava un regolare servizio fra l'Italia, la Francia, la Germania e la Spagna. Nei primi tempi le Poste dei Tasso avevano il carattere di Poste auliche o Poste di Stato e, secondo le esigenze imperiali, si sopprimevano, si potenziavano o si spostavano da una località all'altra. All'inizio del XVI secolo assunsero un aspetto sovrannazionale e furono perciò chiamate Poste Internazionali della Casa d'Asburgo. Si hanno notizie di Gabriele, Omodeo, Ruggero, Francesco e per finire il nostro Simone, del quale abbiamo usufruito della casa per la nostra visita d' istruzione.

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Inizialmente siamo stati accolti nella sala conferenze, nella quale ci hanno spiegato le tappe principali della visita e ci hanno divisi in tre gruppi, uno per classe. Noi, classe 3C, siamo partiti con l’esposizione di alcuni quadri del futurista Giacomo Balla, che, in particolare con il “Manifesto futurista”, rappresentavano alcune ideologie del tempo, espresse anche dalle cartoline illustrateci dalla guida. Nella sala seguente venivano esposte le innumerevoli medaglie guadagnate da Armando Diaz. Successivamente siamo passati nei pressi di una ricostruzione dettagliata di un campo di battaglia, nel quale c’ erano due soldati: uno italiano e uno austriaco. Gli elmi e le divise permettono di riconoscere la nazionalità del combattente. L’elmo italiano è caratterizzato da una “crestina”, mentre quello austriaco non la possiede.

Nella tappa successiva erano in mostra tre baionette, con i rispettivi pugnali per infilzare i nemici a breve distanza. Questi oggetti erano posti accanto a delle divise di un soldato e di un comandante italiano, caratterizzate da un verde che consentivano di mimetizzarsi meglio con l'ambiente circostante, a differenza delle divise francesi napoleoniche, di colore rosso, che permettevano di distinguersi tra loro. Successivamente siamo stati accompagnati in una sala nella quale erano esposti: un plastico di una trincea, alcune foto delle condizioni di vita precarie e, per finire, delle piastrine di alcuni soldati. Il modellino era una riproduzione fedele delle trincee presenti sui vari fronti europei. Erano rappresentati dei soldati che svolgevano diverse mansioni assegnate loro. Le foto, come accennato sopra, raffiguravano lo stato igienico - sanitario di quel periodo sul luogo di battaglia. Queste erano davvero toccanti perchè ci rendevano consapevoli di quanto la nostra società sia cambiata, in meglio. Nella bacheca accanto erano disposte delle piastrine di alcuni soldati, anche se

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non si potevano scorgere i nomi dei diretti interessati ed erano rivestite da un materiale di colore argento, con all' interno degli oggetti personali. Siamo passati poi alla visione di una maschera a gas molto particolare, infatti, era formata da un pezzo di stoffa (che non era molto efficace) attaccato con dei fili dello stesso materiale. Ci siamo poi addentrati in un tunnel, nel quale erano proposti degli effetti acustici e visivi riguardanti questo argomento. Erano presenti inoltre delle armi, come le mitragliatrici, utili allo sterminio di massa. La sala era dotata di una colorazione blu, proficua a immergersi in questo contesto. Dopo aver assistito a questa rievocazione siamo passati in una stanza dove c'erano un proiettile e una parete con incisi alcuni nomi di soldati che avevano partecipato al conflitto. In seguito ci siamo cimentati nell' esperienza di presenziare alla visione di alcune armi da fuoco, come la mitragliatrice della nota marca " FIAT" e un lanciafiamme. Era presente pure un volantino di G. D' Annunzio, che lanciò su Vienna da un aereo, insieme a tantissimi altri. Questo è stato un modo molto rapido per invogliare la popolazione austriaca a cedere Trieste e Trento al dominio italiano, un poster della banca italiana di sconto e alcune armi che rientravano nel gruppo della "armi bianche", che sono dei coltelli, dei tirapugni e delle mazze ferrate. A questo punto eravamo alla fine della nostra prima tappa presso questo museo, ma mancavano ancora due sale. Nella prima si trovavano le lapidi costruite dai soldati sul campo di battaglia con tutto quello che trovavano in quel momento, per esempio, c'erano una lapide che era costituita da un fucile più un pezzo di ferro che formavano una croce, e da un pezzo di filo spinato strappato ipoteticamente dai reticolati che rimandava al ricordo della croce di spine indossata da Gesù quando doveva dirigersi al monte del Calvario. Queste lapidi erano davvero originali ed una loro caratteristica era quella di avere una citazione o una piccola frase composta da un soldato che sotterrò il corpo del morto. La seconda e ultima sala erano principalmente una commemorazione alle donne che partecipavano indirettamente a questo disastroso conflitto: le Crocerossine. Qui erano esposti i loro abiti abituali, i materiali con cui operavano, un manifesto di propaganda che cercava di arruolare più donne per salvaguardare la vita dei soldati in prima linea ed era esposta anche (pur non riguardando questo tema) la divisa che indossava un ufficiale italiano con alcune delle armi che portava abitualmente. Il percorso illustrato fino a questo momento faceva parte del museo.

Alla fine della nostra visita d’istruzione al museo di Gorizia ci siamo diretti in una sala per mangiare, nella quale ci siamo presi un’ora e mezza circa di pausa e abbiamo mangiato degli alimenti che ci erano stati forniti in precedenza dalla nostra scuola. Dopo aver mangiato e scherzato ci siamo diretti verso Redipuglia, accompagnati da una

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guida esperta che da quel momento in avanti ci ha fornito delle informazioni molto precise e dettagliate, senza rendere l’argomento troppo pensante, anzi, riuscendo a innescare in noi curiosità.

Appena arrivati sul luogo abbiamo trovato una baionetta molto particolare: infatti aveva la possibilità di lanciare le munizioni senza fare alcun tipo di rumore (fino a che questo non fosse arrivato al terreno). Dopo aver osservato questo particolare tipo di arma ci siamo diretti sul monte nel quale c’erano le due mete fondamentali della nostra visita a Redipuglia: una trincea ancora in buono stato e il sacrario militare. Quest’ ultimo, dedicato ai caduti della Grande Guerra, fu eretto al fianco della collina del monte Sei Busi e vi sono deposte le salme di circa 100.000 militi deceduti nel corso del conflitto. Tra questi troviamo anche la salma del Duca d’Aosta. Alle spalle si elevano i 22 gradoni (alti 2,5 metri e larghi 12) che, in ordine alfabetico, custodiscono le spoglie dei 39857 soldati identificati. Ogni loculo è sormontato dalla scritta "Presente" e sono raggiungibili grazie alle scalinate laterali che conducono in cima. Al centro del primo gradone si trova l'unica donna sepolta, una crocerossina. Arrivati al termine della scalinata e dei gradoni, due grandi tombe coperte da lastre di bronzo custodiscono i resti di oltre 60 mila soldati ignoti Ogni alunno è stato lasciato libero di cercare un suo familiare per circa venti minuti, poi, ci siamo dovuti ritrovare in cima al monumento per sentire degli approfondimenti sugli ultimi arrivati. Questi ultimi, infatti, non sono disposti in ordine alfabetico e sono 72 marinai e 56 uomini della Guardia di Finanza. Oltrepassate le due tombe siamo arrivati in cima al sacrario dove la visita è potuta continuare visitando la piccola cappella che custodisce la "Deposizione" e le formelle della Via Crucis dello scultore Castiglioni. Sopra a questa struttura religiosa si trovano le tre croci in bronzo che raffigurano la trinità. Dopo aver visitato Redipuglia ci siamo diretti verso una trincea situata non molto distante dal sacrario. Ci siamo arrivati tramite la nostra corriera che ci ha accompagnato per tutta la giornata, portandoci in tutte le tappe che avevamo previsto. Appena raggiunta

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la meta siamo scesi e percorso un tratto a piedi, percorrendo una trincea aperta, fino ad arrivare in una dolina che viene citata anche nella poesia "I Fiumi" di Giuseppe Ungaretti. La dolina è una conca di terra nella quale i soldati si rifugiavano e trascorrevano gran parte del loro tempo facendo passatempi di varia natura come, ad esempio, il gioco della tria. Di fronte al punto in cui la strada sterrata lasciava spazio alla dolina c'era un sotterraneo nel quale, però, non ci è stato concesso di entrare per motivi di sicurezza. Nella dolina era presente anche un'infermeria per curare i malati che subivano delle lesioni in battaglia. La vegetazione presente era composta principalmente composta da degli arbusti secchi per via della stagione invernale. Successivamente siamo passati ad osservare un altro esempio di trincea. Queste erano disposte a pochissimi metri di distanza le une dalle altre, anche a 50 metri. In questo modo i soldati erano più esposti al pericolo della morte, dato che era possibile anche lanciarsi armi, come le granate, con le mani e senza l'uso di vari macchinari. Infine ci siamo diretti verso la nostra scuola, arrivando con circa venti minuti di ritardo per colpa del traffico.

Questa uscita ci ha profondamente colpiti, soprattutto in alcune parti: la prima era quando abbiamo trovato esposte le foto delle condizioni di vita dei soldati. Ci hanno stupiti perchè erano davvero disumane ed è davvero sorprendente il fatto che si sia potuto sopravvivere anche ridotti a bere pochi sorsi d'acqua al giorno in un contesto importante come la Grande Guerra. Un altro aspetto che ci ha colpito è stato il sacrario di Redipuglia perchè, sulle 22 scalinate, erano presenti 39857 soldati identificati e oltre 60.000 soldati ignoti. Questo dimostra la potenza con cui il grande conflitto mondiale ha agito, provocando un'infinità di morti e feriti. Ma la visita che ci ha lasciato più stupefatti è stata, senza dubbio, quella alla trincea accanto al sacrario perchè è inimmaginabile per noi pensare di sopravvivere per anche mesi rinchiusi in uno spazio così ristretto, senza neanche poterne uscire per il rischio di essere ucciso senza pietà.

Lamparelli Andrea, Scomparin Andrea e Zucchiatti Davide

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LA GITA A VILLA MANIN E PORDENONE

Il giorno 2 marzo 2016 noi classi 3^A, 3^C e 2^A, accompagnate dalle professoresse Peresani, Beltramini e Distefano insieme al professor Vale e dall’educatore Palma, siamo andati a Villa Manin per vedere un’esposizione di alcuni dipinti di Joan Mirò e successivamente abbiamo partecipato ad un progetto svolto a Pordenone su come si creavano i colori nel passato e, successivamente, abbiamo visto una mostra fotografica di Steve McCurry. La mattina siamo partiti da via Santa Chiara e abbiamo raggiunto il maestoso complesso di Passariano di Codroipo noto come Villa Manin per visitare la mostra di Joan Mirò.

Villa Manin è un punto di riferimento culturale d’eccellenza ed è una meta turistica ricercata, racconta cinquecento anni di storia, tra splendore, decadenza e riscoperta. Il bellissimo complesso di Passariano è uno dei monumenti artistici più significativi del Friuli Venezia Giulia ed è destinato ad ospitare eventi di grande richiamo e rassegne dal respiro internazionale. Villa Manin è simbolo della ricchezza e della potenza della casata Manin, ultima residenza dei Dogi di Venezia nel territorio Friulano e Quartier Generale di Napoleone Bonaparte nel 1797, Villa Manin è oggi patrimonio della Regione Automa Friuli Venezia Giulia. Il primo nucleo della costruzione risale al Cinquecento , casa padronale di Antonio Manin. I lavori di ampliamento proseguono nella seconda metà del 1600 per volontà di Ludovico I° Manin mentre l’aspetto attuale della Villa è il frutto di una ristrutturazione del XVIII sec. Dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, Villa Manin presenta un nucleo centrale a tre piani, un tempo abitato a residenza gentilizia, da cui dipartono due barchesse, che si aprono con ariosi porticati.

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Il progetto è stato assegnato all’architetto Domenico Rossi. Nella Barchessa di Levante si trovano le scuderie, museo permanente di carrozze risalenti al XIX sec., nella sede distaccata dei Civici Musei di Udine , è presente una splendida collezione di armi e armature provenienti dai diversi continenti. È il parigino Louis Dorigny (1654-1742), uno degli artisti più richiesti dai nobili del tempo, a impreziosire con i suoi dipinti rococò gli interni di Villa Manin, dove una serie di sale affrescate conducono all’ampio salone centrale che si sviluppa in altezza su tutti i tre piani.

Noi ragazzi abbiamo fatto una breve sosta nella quale siamo riusciti a visitare il parco di fronte a Villa Manin, è il Parco di Passariano, splendido giardino che si estende sul retro della villa. Incantevole la passeggiata nel Parco: a catturare l’ attenzione dei visitatori, sculture sparse lungo tutto il percorso. Fascinose le statue che simboleggiano le allegorie delle virtù, dove spicca un imponente Pegaso, mentre a occidente del Parco si può ammirare il Tempietto belvedere Jonico, costruito nel 1820. Protagonista del grande progetto di restauro del parco è l’ingegner Pietro Quaglia.

Presso la Villa abbiamo visitato la mostra dedicata al pittore spagnolo Joan Mirò, formatosi all’accademia di Belle Arti di Barcellona sua città natale. Mirò nel 1920 si recò a Parigi e, dopo esperienze espressioniste e cubiste, aderì al Surrealismo nel 1924. Entrati dentro l’ingresso della Villa abbiamo incontrato due guide e dopo essere stati divisi in due gruppi abbiamo proseguito in compagnia della guida che ci ha spiegato i quadri di Mirò e le varie fasi artistiche che caratterizzano ogni periodo della sua vita, come per esempio, quella dove dichiara di vedere occhi dappertutto o quella in cui dipinge solo con il bianco o con il nero. L’artista realizza i suoi dipinti

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basandosi su collage costruiti in precedenza. Le forme ritagliate, ispirate spesso ad animali (uccelli, pesci, insetti) e costellazioni, si compongono liberamente su sfondi di colore variegato, ottenuti anche sfregando semplicemente i pennelli, per pulirli dai colori utilizzati in un dipinto precedente. Ogni dipinto, quindi, lascia parte dei suoi colori in quello successivo,stabilendo una continuità ideali, tra di essi. Le forme semplificate si diramano in linee morbide, o come raggi, o “ciglia incurvate“, creando immagini fantasiose che si allontanano dalle forme reali che le hanno ispirate. Le composizioni di Mirò sono asimmetriche e “piatte” cioè, prive di tridimensionalità e di prospettiva. L'artista rifiuterà sempre l'etichetta di “astrattista” dichiarando di avere comunque in mente la realtà come punto di partenza. Alcuni dipinti di Mirò sembrano popolati da organismi microscopici, che brulicano sulla superficie, a volte essi si trasformano in pittogrammi e segni di alfabeti immaginari, comunicando sensazioni gioiose.

La mostra sui dipinti di Joan Mirò ci è piaciuta, perché attraverso figure semplici, quasi infantili ha lasciato intendere significati quali la libertà, la spensieratezza, ma allo stesso tempo si può percepire da alcuni suoi dipinti si possono percepire la tristezza e l’angoscia provata dal pittore nel periodo del dopoguerra.

Dopo essere stati a Villa Manin (e aver visto i quadri di Joan Mirò ), dopo una piacevole pausa pranzo svolta nel giardino posto all’ingresso sulla villa, ci siamo recati a Pordenone e chi prima, chi dopo abbiamo partecipato al progetto che ci insegnava in modo anche divertente come si creavano i colori ad olio e a tempera, con materiali che usiamo tutti i giorni (tranne i vari pigmenti che erano invece stati comprati dalle signore che hanno organizzato il progetto).

Questo laboratorio si è svolto nel Palazzo Ricchieri, sede del museo civico d’arte, che ha avuto lascito del pittore pordenonese Michelangelo Grigoletti, esso custodisce numerose opere del territorio friulano. Questo museo si colloca accanto al Municipio al Duomo Concattedrale di San Marco. In origine l’edificio era formato solo dalla sola porzione di destra che, isolata, formava una tozza torre a base quadrata. Da essa la costruzione sia ampliò sia in orizzontale sia in altezza, innalza dosi sopra il piano terra, di due piani nobili, oltre al solaio che si estende tutt’ora sopra il palazzo.

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Pordenone è un comune italiano di 51632 abitanti, è il capoluogo dell’omonima provincia del Friuli Venezia Giulia ed è la principale città del Friuli occidentale o Destra Tagliamento. Pordenone si trova presso la confluenza del Noncello nel Meduna (principale affluente del Livenza). La storia di Pordenone è legata al Noncello, silenzioso corso d’acqua che per secoli è stato navigabile, determinando lo sviluppo economico della città e contribuendo a creare una peculiare propensione all’innovazione, allo scambio e al confronto nell’architettura e nella produzione artistica (che si possono trovare lungo tutta la città) che esprimono dinamismo e creatività.

Pordenone è una città ricca di musei che si disseminano lungo tutto il territorio, troviamo: il già citato sopra Museo Civico d’Arte, il ParCo Pordenone Arte Contemporanea, il Museo Civico di Storia Naturale, il Museo Diocesano di Arte Sacra, il Museo Archeologico del Friuli Occidentale, l’Immaginario Scientifico Museo delle scienze interattico e multimediale e, infine, il Teatro Comunale Giuseppe Verdi. Il ParCo Pordenone Arte Contemporanea è la nuova galleria d’arte moderna e contemporanea, intitolata al grande artista del Novecento Armando Pizzinato. Il Museo Civico di Storia Naturale è intitolato a Silvia Zenari è stato fondato nel 1970 e contiene significative collezioni naturalistiche. Il Museo Diocesano di Arte Sacra è stato inaugurato nel 1995, la raccolta presenta sezioni tipiche degli altri musei diocesani, come affreschi staccati, sculture in pietra e lignee, dipinti su tela e tavola, oreficeria e argenteria sacra, disegni e stampe manufatti tessili ed ex voto. Il Museo Archeologico del Friuli Occidentale è allestito presso il castello di Torre, il museo custodisce i numerosi reperti raccolti dall’ultimo esponente della famiglia residente

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nel maniero, il conte Giuseppe di Ragogna, durante la sua attività di archeologo. L’Immaginario Scientifico Museo delle scienze interattivo e multimediale : il museo racconta la scienza e la tecnologia attraverso l’uso delle impostazioni interattive, per giocare con fenomeni naturali ed esplorarne le leggi. Il Teatro Comunale Giuseppe Verdi sorge sulle ceneri del Cinema Teatro Verdi chiuso il 30 giugno 1999 e successivamente demolito. La struttura è dotata di una sala principale e di un “ridotto” che offre possibilità di utilizzo per concerti, spettacoli di prosa, conferenze, convegni e proiezioni d’essai e di una sala prove.

Ma Pordenone non è fatta solo di musei e magnifici palazzi antichi e moderni, ma è anche costituita da un bellissimo complesso di parchi, tra cui possiamo trovare: il parco fluviale del Noncello, il Parco Querini – Valdevit, il Parco Galvani, il Parco di Villa Carinzia, il Seminario Vescovile ed infine il Parco S.Valentino. Il Parco fluviale del Noncello è attraversato dal ponte di Adamo ed Eva, costruito nel 1920 come levatoio, per far passare le barche da trasporto verso il nuovo porto ipotizzato poco a monte e mai terminato, l’attuale ponte è un buon punto di osservazione degli elementi dell’area del Parco fluviale. Sulla riva destra del fiume si sviluppa la strada rivierasca detta appunto riviera del Pordenone. Il Parco Querini-Valdevit si ispirano ai giardini inglesi, mantenendo i dislivelli del terreno e alternando aree a prato ed altra alberate e on all’interno un piccolo specchio d’acqua. Il Parco Galvani ricorda quello dei giardini delle ville venete con all’interno un laghetto. Il parco ingloba, nella parte meridionale, la residenza della famiglia Galvani Villa Galvani costruita alla fini del Settecento. Il Parco di Villa Carinzia faceva parte del cotonificio, in viale Martelli, nella seconda metà dell’800, oggi sede di vari uffici e servizi della Provincia di Pordenone. Il Seminario vescovile è la più grande area di verde pubblico costituito da una trentina di ettari attraversati da diversi canaletti di risorgiva e delimitati dal vecchio corso del Noncello. Il Parco S. Valentino, all’interno sorge un esempio di archeologia industriale cittadina e impreziosito da un laghetto e dai piccoli corsi d’acqua che lo attraversano.

Alla fine del laboratorio, usciti dal Museo Civico d’Arte, abbiamo visitato una mostra che, pur essendo fuori programma, si è rivelata molto interessante. La mostra esponeva alcuni quadri del fotografo statunitense Steve McCurry. Steve McCurry nato a Philadelphia il 24 febbraio 1950, è un fotoreporter statunitense conosciuto principalmente per la fotografia “la ragazza afghana” pubblicata come copertina del National Geographic Magazine del giugno 1985, divenuta la più importante uscita della rivista. Steve McCurry ha avuto molto successo dopo aver portato degli scatti eseguiti nel territorio tra il confine del Pakistan e l’Afghanistan, allora controllato dai ribelli. McCurry è riuscito a portare le pellicole a destinazione cucendole nei vestiti, e

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sono state le prime immagini a mostrare il conflitto tra i vari Paesi arabi al mondo intero. Steve McCurry ha continuato nella sua carriera a fotografare vari conflitti internazionali. Durante la mostra ,infatti, la maggior parte delle fotografie che abbiamo visto riguardavano Paesi arabi o del Terzo Mondo, facendo emergere le condizioni in cui vivono le persone che abitano nei villaggi più poveri o che, semplicemente, non vivono nelle città ancora non toccate dalla guerra.

La gita a noi è piaciuta molto, abbiamo avuto la possibilità di vedere dal vivo i quadri di un grande pittore come Mirò, siamo riuscite ad entrare un po’ più nel personaggio grazie al laboratorio e abbiamo visto come lui e tanti altri facevano il colore e per concludere il caso fortuito (come direbbe Steve McCurry) ci ha la possibilità di vedere immagini toccanti riguardanti un’ altra realtà.

Ciesch Detto Cieschi Anna, Corsitto Laura, Erente Elisa

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IL CONFLITTO IN SIRIA E I MOVIMENTI MIGRATORI

Il 15 Marzo 2011 in Siria con le prime proteste popolari contro il duro regime di Bashar al-Asad, scoppia una guerra che ancora oggi dilania il paese, provocando migliaia di morti e di sfollati. La scintilla che fa scoppiare il conflitto è un semplice e all’ apparenza banale avvenimento: dei ragazzi scrivono dei graffiti inneggianti alla rivoluzione sui muri di Dar’a. La polizia li coglie in flagrante: vengono arrestati e torturati. Questo avvenimento scatena la rabbia dei cittadini. La folla scende in piazza a protestare scatenando la violenta repressione di Asad. Ci sono morti e feriti. Le proteste contro il regime si estendono ad altre città.Il 4 giugno ha luogo la prima azione armata degli oppositori al regime di Asad, che assaltano una stazione di polizia. Il governo reagisce con pugno di ferro schierando i carri armati e con l’ uso di elicotteri. Il paese viene squarciato in tre parti: le forza filo-governative, quelle ribelli (che hanno formato l’ ESL, esercito siriano libero) e i miliziani curdi, neutrali ed interessati soprattutto a proteggere i propri territori.L’ inizio della guerra non è favorevole ad Asad: i ribelli conquistano diverse posizioni strategiche scacciando l’ esercito governativo dalla città di Rastan. Le file rivoluzionarie vengono ingrossate da gruppi di terroristi, come il Fronte al-Nusra. Già dopo i primi mesi la situazione inizia a diventare politicamente e militarmente pericolosamente complessa. In Siria si scontrano tutte le fortissime ed inestricabili tensioni del Medio Oriente. I movimenti fondamentalisti islamici - ed i loro finanziatori occulti e dichiarati – non perdono l’ occasione di partecipare alla ridefinizione militare degli equilibri politici in Medio Oriente. Russia , Nato, Turchia, Iran , Arabia Saudita , Cina, singoli paesi europei con qualche velleità post coloniale, tutti iniziano a buttarsi o ad essere risucchiati nelle dinamiche della guerra Siriana.I ribelli scagliano due importanti offensive verso Damasco e Aleppo. L’ esercito regolare respinge l’ attacco a Damasco, ma viene colto di sorpresa ad Aleppo, dove ben metà della citta verrà conquistata dall’ esercito rivoluzionario.Intanto i gruppi estremisti islamici iniziano ad avere i primi successi autonomi: il più eclatante è la conquista di Raqqa da parte del fronte al-Nusra. La città diventerà nel 2014, con la proclamazione dello stato islamico, la capitale del cosiddetto Califfato (Daesh).Il rafforzamento dei fondamentalisti sunniti in Siria impensierisce l’ Iran, storico alleato di Asad. Il governo di Teheran teme che con la caduta del regime di Assad (appartenete alla minoranza alawita che pratica un Islam diverso da quello sunnita) le forze in campo nel Medio oriente possano sbilanciarsi a favore dei sunniti. Il governo iraniano fornisce quindi un sostegno consistente all’ esercito regolare siriano tramite le milizie libanesi Hezbollah.Il contributo dei combattenti sciiti rende possibile una serie di importanti vittorie delle forze fedeli ad Assad, a partire dalla battaglia di al-Qusayr. I ribelli sono per la prima volta costretti a cedere ampie zone, e riescono a riorganizzarsi solo grazie all’

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afflusso di missili e veicoli dall’ Arabia Saudita, storico ed acerrimo avversario dell’ Iran .Le numerose sconfitte patite dall’ ESL ne sgretolano la supremazia sulle operazioni di guerra, che passano quasi completamente in mano ai gruppi fondamentalisti islamici, in particolare il fronte al-Nusra. Quest’ultimo si rivela affine ai terroristi dell’ ISIS, a cui però non si uniscono. Infatti l’ organizzazione al-Qaeda intima all’ ISIS di rimanere in Iraq senza sconfinare.Nel 2014 viene proclamato dai fondamentalisti il Califfato di Siria e Iraq, aggiungendo un altro fattore militare in campo. I Russi si sono schierati a favore di Assad, aiutandolo con supporto aereo nell’ offensiva che i governativi hanno lanciato ad Aleppo. I raid hanno sortito l’ effetto sperato, scacciando i ribelli da buona parte della zona, ma a costo della parziale distruzione della meravigliosa città. In seguito a questo devastante attacco si è cercato un accordo per cessare le ostilità in Siria. Inizialmente non ha avuto successo, vista l’ intenzione di Assad di continuare la guerra fino alla conquista totale del paese, ma con il ritiro dei russi la situazione sembra essersi assestata e per ora i trattati di pace funzionano. L’ ISIS, da sola contro tutti, sembra in grave difficoltà.Questa guerra ha visto più di 215.000 persone, secondo le statistiche dell’ ONU, (non più aggiornate dal 2014) fra cui un alto numero di civili, perdere la vita. Altri bilanci parlano di 400.000 morti. Milioni di sfollati si dirigono verso i confini dei Paesi dell’ Est, venendo spesso rifiutati e scacciati. Il massacro sembra non avere fine nei territori controllati dai fondamentalisti. Le guerre di Siria hanno provocato un movimento epocale di popolazioni, interessando direttamente l’ Europa in questo drammatico conflitto, catapultando nella nostra vita persone di cultura diversa e a volte incompatibile con noi. Rifiutarli o accoglierli? Questo è il problema che la società del nostro tempo si trova ad affrontare, senza vie di scampo o possibilità di rimandare.

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L’ immigrazione dalla Siria

Negli ultimi anni il tasso di emigrazione dai paesi del Medio Oriente e da quelli dell’ Africa Sub-sahariana è aumentato enormemente. Il numero di conflitti anche non dichiarati è altissimo in tutto il mondo, ma non solo la guerra spinge gli abitanti dei paesi in via di sviluppo ad emigrare. In molti stati sono in vigore regimi dittatoriali, come in Siria, dove ciò ha portato ad una sanguinosa guerra civile ancora in corso. Gli emigranti dell’ Africa nera, ad esempio, vengono spinti verso la Libia e poi nel nostro Paese dal terribile gruppo estremista Boko Haram.

Ma quali sono le mete dei migranti?

Il nostro Paese è principalmente l’obbiettivo di Afghani e Pakistani. Queste popolazioni non vengono accolte da altri paesi come la Germania, perché i loro Paesi non sono ritenuti in stato di guerra. L’ Italia invece accoglie tutti i profughi senza distinzione, nonostante non abbia sempre un efficiente sistema di accoglienza. Spesso così le organizzazioni che devono garantire lo stanziamento ai profughi si trovano impreparate. Le vie d’ entrata dei profughi sono principalmente due: le isole del Canale di Sicilia ed il confine di Tarvisio. I profughi arrivati vengono trasferiti nelle più vicine città con uno strutturato sistema di accoglienza: Agrigento per coloro che arrivano dalla Sicilia e Udine per quelli di Tarvisio. Da qui vengono ridistribuiti sul territorio italiano. L’ arrivo dei profughi non è conosciuto dalle autorità prima che si presentino al confine e questo provoca l’ impreparazione ad accoglierli.

Per conoscere meglio le modalità di accoglienza abbiamo intervistato, insieme ad uno studente del Liceo Classico Stellini, il vicedirettore dell’ associazione Caritas Italiana. Le nostre domande si sono incentrate sull’ emigrazione siriana. Grazie a questo interessante incontro abbiamo capito molte cose in più rispetto a questi temi.

Le rotte dell’ immigrazione Siriana sono le stesse di quelle degli altri paesi: la rotta Balcanica e quella che attraversa tutto il nord Africa concludendosi in Sicilia. Ma ci sono alcune particolarità: mentre dei Pakistani e degli Afghani emigrano soltanto i giovani maschi, i Siriani si spostano con le famiglie, con donne, bambini e anziani. Questo comporta uno scambio di culture molto più consistente che con i singoli giovani ed un’integrazione più rapida.

In Italia la presenza Siriana è, però, quasi nulla, nonostante sia un passaggio chiave per i migranti. Infatti i Siriani, spesso più istruiti degli altri, preferiscono fermarsi in un paese dove possono facilmente trovare un lavoro e avere agevolazioni maggiori come la Germania. Essi sono infatti accolti e protetti con leggi speciali in questo

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paese. Probabilmente la politica di accoglienza tedesca è proprio mirata ad avere nel territorio extracomunitari con una cultura maggiore, che possano contribuire allo sviluppo economico. L’ accoglienza è molto complessa anche dal punto di vista giuridico. Appena arrivati i migranti hanno lo stato giuridico di richiedenti asilo politico. La richiesta può essere accolta o rifiutata, ma in quest’ ultimo caso è impossibile rimandare i profughi nel loro paese d’ origine. I rifugiati la cui richiesta è stata respinta rimangono quindi sempre nello stato di richiedenti asilo. Oggi nel mondo ci sono più di sessanta milioni di rifugiati, contro i quindici del ’94, e la situazione non sembra migliorare. Finché gli stati occidentali non attueranno politiche risolutive nei territori interessati i flussi di profughi continueranno ad aumentare, mettendo in difficoltà i paesi ospiti.

Guglielmo Tronti e Gabriel Fasano

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CONCORSO “EUROPA E GIOVANI 2016”

L’IRSE di Pordenone nel mese di marzo ha lanciato un concorso rivolto agli studenti sul tema dell’Europa che prevedeva questa traccia:

Partendo dalla favola di Gianni Rodari che inizia con “rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti” create una vostra favola “Correggiamo l’Europa”.

Il nostro compagno Guglielmo ha accettato la sfida….non è risultato vincitore, ma il testo ci piace molto lo stesso!

“Someday, following the example of the United States of America, there will be a United States of Europe” George Washington

“Ne soyons plus anglais ni français ni allemands. Soyons européens. Ne soyons plus européens, soyons hommes. - Soyons l'humanité. - Il nous reste à abdiquer un dernier égoïsme: la patrie.” Victor Hugo

"Die Einheit Europas war ein Traum von wenigen. Sie wurde eine Hoffnung für viele. Sie ist heute eine Notwendigkeit für uns alle." Konrad Adenauer

La vita era semplice, una volta. Ognuno faceva il suo, e poco contava quel che gli altri pensavano. Ma il futuro ed il progresso si sostituirono al passato, lasciando indietro i vecchi sistemi. C’era bisogno di unione, c’era bisogno di sentirsi accomunati a qualcuno da qualcosa, da qualsiasi cosa. Questo per ragioni svariate, dalle più meschine alle più nobili: c’era chi voleva semplicemente conquistare il potere, per arricchirsi, e chi voleva poter dire di appartenere a qualcosa di più grande di lui, che pulsa di vita ed energia e che cresce come un fiore di primavera.

Questa storia narra di un uomo, un uomo che non era diverso dagli altri.

“C’era una volta un uomo. Non aveva nome, non aveva famiglia, non aveva casa. Era un uomo, uno come tanti altri. Come tanti altri mangiava, beveva e dormiva, e come tanti altri a quell’ epoca si accontentava di quel poco che aveva per vivere. Non era un uomo triste. Non era un uomo felice. Era un uomo, uno come tanti altri.

Quest’ uomo si aggirava in un paese lontano, senza una meta ben precisa, vagabondando da una città all’ altra. La sua storia era destinata a finire qui, senza che nessuno lo conoscesse, senza che nessuno lo aiutasse, senza che nessuno lo rimproverasse. Non aveva uno scopo. Non aveva qualcuno da aiutare. Avrebbe continuato a vagabondare per tutta la durata della sua vita. Una vita come tante altre, una vita che non poteva dargli niente e non poteva togliergli niente.

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Un giorno quest’uomo arrivò in una città che non aveva mai visto. Lui aveva visto molto, ma non conosceva niente, perché non poteva, nella sua solitudine condivisa da migliaia di uomini, capire la grandezza di quello che gli stava attorno. Arrivato in questo ignoto paese, subito si diresse verso il mercato, per garantirsi il cibo di cui la sua misera esistenza bisognava. Non si soffermò su una grande fontana di diamanti, su un palazzo d’ oro zecchino, su una torre d’ argento. A lui interessava lo squallido mercato, covo di delinquenti di qualsiasi genere. Comprò il suo mangime e si mise alla ricerca di un ricovero per la notte.

Ma lui non aveva bisogno di cibo o di un posto per dormire. Aveva bisogno di qualcuno che gli aprisse gli occhi di fronte all’ immensità delle fontane di diamanti, dei palazzi d’ oro zecchino, delle torri d’ argento.

Ma chi, se gli uomini erano tutti uguali? E se fossero stati diversi, chi lo avrebbe aiutato? Diversità vuole dire diffidenza, e diffidenza diventa ostilità, ostilità diventa odio, e odio non significa che guerra. Nessuno avrebbe potuto aiutare quel povero uomo a diventare un vero uomo.”

Nessuno? Esiste pur sempre qualcuno di diverso, qualcuno che può cambiare le cose. C’è forse un modo per rendere l’umanità una vera umanità? Si, una soluzione c’è. E’ una cosa grande, enorme, che renderebbe l’uomo veramente diverso da qualsiasi altro essere, veramente Uomo, veramente guida del mondo.

Si, c’è un modo per rendere l’ umanità una vera umanità. La collaborazione intelligente di ogni essere umano con scambi di idee e opinioni. Punti di vista diversi che si incontrano a formare la vera Intelligenza, donata dalla Natura, per secoli sprecata in futilità che hanno portato solo divisioni e desolazione.

“Quell’uomo non sapeva di essere un Uomo. Non era felice. Non era triste. Ci volle qualcosa per cambiargli profondamente la vita. Non in meglio. Non in peggio. Semplicemente cambiò. Quella cosa fu il tempo. La vecchiaia. Nella solitudine della vecchiaia anche quell’uomo cominciò, per la prima volta nella sua vita, a farsi delle domande. E a cercare risposte. Negli altri, dove prima non aveva cercato mai niente. Iniziò a riflettere su come il mondo girava attorno a lui. Osservò le formiche, gli alberi, gli uomini e le stelle. Osservò il sole, le farfalle ed il terreno sotto i suoi piedi. Arrivò il momento in cui tutte queste cose per lui ebbero un senso. Ma non erano tante cose. Erano una sola cosa. Parti microscopiche, ma gigantesche di un unico universo. E capì, solo ora che era vecchio, che lui faceva parte dell’ universo, e che le stelle, le formiche, le farfalle e gli uomini erano parte di lui. Avevano la stessa madre.

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Lo stesso padre. La stessa solitudine. Una verità che non è semplice da accettare. Come si fa a sentirsi uguale ad una formica? L’ uomo non lo sapeva. Ma sapeva come sentirsi fratello di un altro uomo. Quello era possibile. Non facile. Ma possibile. E poi il resto sarebbe venuto da sé. Tutti gli uomini uniti sotto l’ unica insegna dell’ umanità. Un’ insegna di luce, di colore, di felicità. Capì che per vivere veramente bisogna vivere con l’ altro, conoscerlo, usare le sue capacità e donargli le proprie.

Per quanto vicino alla fine l’ uomo era ancora pieno di vitalità e non sprecò questa ardente energia nell’ autocommiserazione. Gli ultimi anni della sua vita furono gli unici veramente vissuti. Anni in cui sbandierò al vento le sue idee, idee che avevano fiducia nell’umanità. Parlava di unione, parlava di confronto, di comprensione.

Venne la sua ora. Le sue membra si irrigidirono nella fredda morsa della morte. Il suo cuore si fermò per non battere mai più. Era morto. L’ uomo senza nome, senza famiglia e senza casa era morto, ma aveva un nome, una famiglia ed una casa. Si chiamava Uomo, la sua famiglia era l’ Umanità e la sua casa il Mondo.”

Oggi gli uomini si odiano. Lo straniero è il nemico. Ma lo straniero non esiste. Siamo uomini. Sei un uomo tu che leggi ed è un uomo colui che bussa alla nostra porta, chiedendo il permesso di entrare nel nostro paese. Il nostro paese? Perché nostro? Noi non abbiamo il diritto di negare ai bisognosi l’ accoglienza, perché la terra su cui camminiamo è loro quanto nostra, perché la terra su cui camminiamo è dell’ umanità intera.

Si potrà mai realizzare questo sogno, in cui tutti possono esprimersi e sono accontentati? Per dare una risposta c’ è bisogno che l’ umanità maturi, che diventi adulta. Per dare una risposta c’ è bisogno di agire, di sondare la capacità sociale dell’ uomo, ma anche quella di rinunciare a una cosa per ottenere qualcosa di più grande, di superiore, che non è denaro, potere, nemmeno amore, ma è un sistema, a cui ognuno potrà aderire per migliorarlo nel modo in cui desidera ed in cui i peggioramenti non saranno contemplati, perché non si potrà che desiderare il bene dell’ altro, appartenente alla stessa specie e allo stesso pianeta.

Alla stessa specie e allo stesso pianeta. E allora sarà il paradiso.

Guglielmo Amelio Tronti

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VIAGGIO NELLA TRAGEDIA DEL VAJONT

Noi alunni delle classi terze della scuola secondaria di 1° grado il giorno 3 Maggio 2016 ci siamo recati presso i comuni di Erto e Casso, per visitare i luoghi in cui è accaduta la tragedia del Vajont.Dopo aver superato Erto, ci ha accolti una guida. Da subito abbiamo notato un paesaggio molto tranquillo, circondato da montagne e boschi. Davanti a noi, appena scesi dalla corriera, abbiamo riconosciuto il monte Toc, essendo l’unico che riportava il segno della frana e, inoltre, la parte di montagna mancante dove, dopo cinquantatre anni, si è formata una piccola collina, che si estende per tutta la vallata. Successivamente abbiamo intrapreso un percorso sopra un monte che ci ha portati a Casso. Lungo il percorso la guida ci ha mostrato il terreno friabile dei monti circostanti la diga che fu una delle cause che provocarono il disastro del Vajont. Ci siamo inoltrati all’interno di Casso scoprendo che era formato da un reticolato di vie strette e lunghe, che permettevano di ammirare le bellezze delle case vicine alcune disabitate, altre abitate. Questo paesino non è molto grande, la popolazione è di soli 385 abitanti. Le case hanno tutte l’aspetto uguale: alte dai due ai cinque piani, alcuni tetti costruiti con lastre di legno incastonate tra di loro, alcune case lasciano intravedere la costruzione in sassi, su altre, invece, è stata dipinta una o più facciate. Vi sorge anche una chiesa di color giallo (che è andato a far da sceneggiatura al film “Vajont- La diga del disonore” di E. Martinelli), in cui, su quattro lastre di marmo adagiate sulla facciata principale, vi sono scritti i nomi di coloro che sono morti nella 1º Guerra Mondiale , nella 2ª Guerra Mondiale e, in particolare, alle vittime della tragedia. Da Casso, abbiamo seguito la guida per una stradina laterale, che ci ha riportati a valle e una volta scesi ci siamo ritrovati davanti ai noi la diga. Alcuni se la immaginavano più grande, altri più piccola, altri più larga, altri ancora non avevano mai provato ad immaginare, ma in quel momento eravamo tutti a bocca aperta. Prima di imboccare una via accanto alla diga, abbiamo notato un monumento costruito dopo la tragedia. La sua particolarità era quella di possedere un tetto curvo, a “forma di diga”. Una volta giunti in prossimità della diga abbiamo fatto un bel respiro e abbiamo incominciato ad attraversarla. Quei 190m li abbiamo attraversati ognuno in modo differente. Alcuni hanno provato stupore per la vista e l’altezza, altri, che purtroppo soffrivano di vertigini, hanno avuto paura, altri ancora angoscia causata dalla comprensione di dove stavano mettendo i piedi. Dalla diga si poteva vedere l’incrocio delle due montagne che lasciavano intravedere il paese di Longarone, colpito anch’esso dall’onda. Sotto di noi, vi era una cascata che faceva un rumore quasi assordante, ma piacevole. Arrivati dall’altra parte, abbiamo potuto osservare i resti della centrale di controllo e le foto, sia della diga che dei paesi circostanti, prima e dopo la tragedia. Riattraversando la diga, e percorrendo un piccolo tratto di strada, ci siamo accorti di una cosa molto importante. Lungo il corrimano, vicino al monumento del Vajont, erano legati tra loro

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decine di fazzolettini di tutti i colori e in ognuno la data di nascita, di morte e il nome dei bambini vittime della disgrazia.Era arrivato il momento del pranzo, che abbiamo trascorso in un parco di Erto, che sembrava quasi disabitato. Successivamente siamo entrati nel museo del paesino nel quale vi erano alcuni resti di oggetti della tragedia e, attaccati alla parete, tante foto del prima, durante e dopo la frana. Inoltre vi era, al centro della sala, una grande statua in legno, che raffigurava una madre con in braccio il suo bambino. L’autore era l’artista Mauro Corona.Ritornati in corriera abbiamo ripensato alla giornata che stava andando a concludersi e abbiamo compreso l'importanza di questa gita perché ci è servita molto a capire il disastro provocato dall'onda. Inoltre ogni persona ha provato emozioni e sentimenti differenti: alcuni hanno provato angoscia a causa della morte di molte persone, altri sono rimasti sconvolti dalla grandezza del terreno franato, altri ancora hanno provato gioia e commozione per aver visitato i luoghi della disgrazia.

Focus Vajont: per chi non lo sapesse

La diga del Vajont è una diga in disuso progettata dall'ingegner Carlo Semenza e costruita negli anni tra il 1957 e il 1960 nel territorio del comune di Erto e Casso (PN), nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, lungo il corso del torrente Vajont, nota particolarmente per il disastro che vi è avvenuto.

La diga è di tipo a doppio arco, alta 261,60m, lunga 190 m e spessa 3,40 m. È al quinto posto al mondo come altezza e terza ad arco. All'epoca della sua costruzione era la diga più alta al mondo. Fungeva da serbatoio di regolazione stagionale per il fiume Piave, Maè e Boite. Le differenze di quota tra bacino e bacino venivano usate per produrre energia tramite piccole centrali idroelettriche.

La diga del Vajont è tristemente famosa per il disastro del 9 ottobre 1963, quando una frana del monte Toc precipitò nel bacino, facendolo traboccare e inondando il paese di Longarone, causando 1.917 vittime, tra cui 487 bambini e ragazzi sotto i 15 anni. Fatidica fu la superficialità degli studi preliminari per la realizzazione dell'opera, che non approfondirono e trascurarono alcuni elementi importanti che evidenziavano la friabilità del versante del monte Toc. Pare che le cause del disastro siano da attribuire principalmente al collaudo dell'opera, che consisteva nel riempimento ed al suo successivo parziale svuotamento, per arrivare alla quota di regime. Infatti sembrerebbe che la variazione delle pressioni esercitate dall'acqua sul già precario versante sia stato l'elemento scatenante la frana. È importante ricordare che la diga non crollò. Dalle verifiche effettuate durante il processo, emerse che le sollecitazioni cui il manufatto fu sottoposto durante la tragedia furono quasi 10 volte superiori a quelle prevedibili durante il normale esercizio. La tragedia fu causata dall'onda provocata dalla frana che superò il coronamento della diga (in altezza di circa 200 metri), abbattendosi nella valle del Piave, e dall'onda di riflusso che tornò verso il

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lago. La diga non crollò e l'onda danneggiò solamente il coronamento, portandosi via la strada soprastante e la parte più alta dell'imposta di sinistra. Le conseguenze sarebbero state ancora più disastrose se la diga avesse ceduto, in quanto la quantità di acqua che si sarebbe potuta riversare a valle, sarebbe stata doppia (l'onda complessiva è stata valutata in 50 milioni di metri cubi, di cui 25 risalirono i versanti dell'invaso ed i rimanenti 25 scavalcarono la diga) poiché la capienza del lago era di 150 milioni di metri cubi ma al momento dell'evento aveva un volume di 115 milioni di metri cubi.

Grande ed immediata fu l'azione di solidarietà che si manifestò in tutto il mondo: grazie ad essa, all'intervento delle autorità, dei vari Enti ed Associazioni e alla tenace volontà della popolazione locale, il paese fu ricostruito. Le case prefabbricate che servirono in un primo momento per i superstiti lasciarono il posto ai nuovi edifici, mentre in un paio d'anni le infrastrutture stradali, ferroviarie ed idrauliche furono realizzate in tempo record. La riedificazione avvenne non solo sotto il profilo urbanistico ma anche sotto il punto di vista sociale ed economico. L'economia di Longarone è vivace ed attiva, fondata sull'occhialeria, l'elettronica, il tessile, la lavorazione del legno.

La responsabilità del disastro è da attribuirsi alla superficialità dell’animo umano: si trattò quindi di inondazione aggravata dalla previsione dell'evento compresa la frana e gli omicidi.

Dopo il disastro le vittime sono state sepolte nel cimitero di Longarone dedicato alla loro memoria.

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Allison Del Fabro e Alice Vicario

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“RILEGGERE LA VIA”

La “Festa del Libro”viene celebrata il 23 aprile in tutto il mondo. La giornata evento si tiene in contemporanea in tutte le scuole che aderiscono all'iniziativa; è una preziosa occasione per dare visibilità ai libri e agli autori del nostro paese. Alla giornata del 23 aprile possono partecipare tutti: i lettori, i gruppi di lettura, i bambini, i ragazzi, gli insegnanti, i genitori, le scuole, le biblioteche, gli enti e le associazioni di comuni e città, anche se non aderenti alla rete, con attività di promozione della lettura.“Rileggere la via” è un evento che è stato creato dall’Educandato Statale Collegio Uccellis e si realizza ogni anno in primavera, in concomitanza con la “Festa del libro”. Questo evento è incentrato sulla lettura espressiva ma viene spesso accompagnata da piccole rappresentazioni teatrali e da interventi musicali eseguiti dai ragazzi delle medie. Non c’è un tema preciso ma ogni classe, in base al programma svolto durante l’anno, decide cosa presentare durante l’evento. “Rileggere la via” è aperto a tutti coloro che desiderano partecipare e passare una mattinata immersi nel mondo della lettura. Negli ultimi anni sono stati organizzati dei “mercatini del libro” il cui ricavato è stato donato a diverse associazioni locali. A noi ragazzi è sempre piaciuto molto questo progetto anche perchè ci permette di passare una giornata in modo alternativo leggendo, ma anche divertendoci! Noi alunni della 3^C l’anno scorso, c'eravamo divisi in diversi gruppi, ognuno dei quali ha rappresentato un testo dell’autore scelto. Per esempio dei ragazzi si sono immedesimati nella famosa opera di Dante Alighieri ″La Divina Commedia″, altri invece hanno recitato in ″Romeo e Giulietta″ dall'opera di William Shakespeare.

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Quest'anno, noi delle classi terze , per celebrale “Rileggere la via”, abbiamo avuto il piacere di incontrare la scrittrice Emanuela Da Ros che ha scritto il libro “La Storia di Marinella. Una bambina del Vajont”, il quale ci è stato consigliato dalla nostra professoressa Giulia Peresani.

Il testo è incentrato sulla storia Marinella che ha vissuto la tragedia della diga del Vajont, tema affrontato in classe e poi approfondito visitando i luoghi del disastro. Partecipando all'incontro abbiamo “scoperto” il motivo della scelta, da parte della scrittrice, di raccontare questa storia. Per coinvolgerci di più l'autrice ha preparato un powerpoint dove ha inserito alcune immagini di Marinella e la sua famiglia nel giorno della prima Comunione . Molti si sono emozionati vedendo la foto della bambina, altri non l'hanno molto apprezzata per il fatto che la immaginavano diversamente. La stessa scrittrice ci ha confessato di essersi commossa scrivendo questo libro soprattutto nel finale, ripensando a tutte le vittime di questa immane tragedia annunciata. L'autrice ha fatto molte ricerche sulla vita di Marinella; infatti è riuscita ad entrare in contatto con la zia della protagonista e il pompiere che ha trovato e conservato il quaderno, che è stato fondamentale come fonte di ispirazione e documentazione .

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L’URLO DEL GRIFONE – Edizione Giugno 2016 – Classe 3^C

Un altro particolare che ci è rimasto impresso è il racconto sul cimitero di Longarone; Emanuela Da Ros ci ha raccontato che l'unica lapide con una data di morte diversa dal 9 ottobre 1963, giorno della catastrofe, è quella di Gianfranco Trevisan, dottore fidato delle famiglie di Longarone, che è morto per aiutare una persona in difficoltà.Durante l'incontro due nostre compagne hanno esposto il loro powerpoint riguardante la diga del Vajont ed è stato consegnato alla scrittrice il nostro precedente giornalino scolastico.Interessante per noi della3^C, che siamo giornalisti alle prime armi, è stato capire quali sono i vari passaggi per arrivare alla stesura finale di un libro, ossia: raccogliere notizie o testimonianze, scrivere il testo, proporlo alla casa editrice dove viene letto da più persone specializzate che consigliano allo scrittore delle eventuali modifiche o aggiunte. Alla fine dell'incontro la signora Da Ros è stata molto disponibile e ha autografato i libri di ognuno con una dedica personalizzata.

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Emanuela Da Ros è nata a Vittorio Veneto, 24 dicembre 1959 ed è una giornalista, docente e scrittrice italiana, specializzata in libri per ragazzi. Dopo il conseguimento della laurea in Storia dell'Arte bizantina presso l'Università di Padova, Emanuela Da Ros si è dedicata all'insegnamento e contemporaneamente al giornalismo (dal 1997 è iscritta all'Albo dei Giornalisti del Veneto). Il suo esordio nel mondo della letteratura per ragazzi è avvenuto nel 2000 quando, a Bologna, nell'ambito della Fiera internazionale del Libro per Ragazzi, ha vinto il premio Pippi Calzelunghe nella sezione inediti. È attualmente la direttrice del giornale Quindicinale e del quotidiano online oggitreviso.it.

….i nostri consigli di lettura per l’estate!

Ci teniamo a darvi dei consigli per le vostre prossime letture estive. Come primo libro vi consigliamo “Se” di Emanuela Da Ros di cui la scrittrice ci ha parlato come suggerimento dopo il nostro incontro. Nel libro si parla di amore, amicizia, sesso e destino, si racconta la storia di Virginia, una studentessa di un liceo classico e di Paolo il bellissimo insegnante di educazione fisica di cui si innamora. Cosa accadrà?

Un altro libro che vi proponiamo è “ Non dirmi che hai paura “ di Giuseppe Catozzella. Si narra la storia di Samia Yusuf Omar e della sua passione per la corsa. Maggiore di

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sei figli, Samia nasce nel 1991 in una famiglia povera di Mogadiscio figlia di un uomo e di una venditrice di frutta.

Da sempre Samia ha la passione e l'attitudine per la corsa; quando Mo Farah, celebre mezzofondista britannico di origine somala, appare su un giornale, lei appende la sua foto nella camera che divide con i suoi fratelli, nella speranza di poter diventare come lui ma gareggiando per il suo paese, la Somalia.Dopo aver vinto tutte le gare per dilettanti somale, inizia a partecipare a gare per professionisti con l'aiuto del centro olimpico somalo, situato a Mogadiscio.

Partecipa alle Olimpiadi di Pechino 2008, nella gara dei 200 m, ottenendo il record personale di 32"16, l'ultimo tempo di tutte le batterie, venendo però comunque incoraggiata e applaudita dal pubblico presente allo stadio. La storia di Samia continua e affronta anche la triste realtà dei migranti…ce la farà Samia a realizzare i suoi sogni?

Ambesi Cristina, Fabbro Sara e De Nardi Lisa

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IN MEMORIA DEL 6 MAGGIO 1976

Il 6 Maggio noi classi terze della scuola “Uccellis”, in occasione del 40° anniversario del terremoto avvenuto nel 1976 in Friuli, accompagnati dal prof. Mussinano S. e dalle prof.sse Beltramini M., Distefano M., Peresani G., Tomat S. e Podrecca A., ci siamo ritrovati a scuola alle ore 8.00, per poi recarci in viale Della Vittoria, dove abbiamo atteso l’ arrivo della corriera che, successivamente, ci ha portato a Osoppo. Arrivati abbiamo assistito allo spettacolo commemorativo “Orcolat”, della compagnia Anà-Thema-Teatro presso il Teatro della Corte di Osoppo. Lo spettacolo era un viaggio fra i ricordi, una rievocazione della tragedia che colpì tutti senza distinzione, un susseguirsi di eventi che sembrano lontani da noi, ma che mai come oggi ci appartengono. Le attrici Stefania Maffeis e Raffaella Giampaoli, guidate dalla regia di Luca Ferri, raccontavano l’incredibile testimonianza di una ragazza, allora bambina, che con la sua nonna ha vissuto quegli indimenticabili giorni proprio nell’epicentro del terremoto a Gemona. Lo spettacolo era in italiano e in friulano ed era arricchito di contributi audio e video originari dell’epoca. Malgrado alcuni problemi tecnici, avvenuti all’inizio dello spettacolo, le attrici sono riuscite a coinvolgere gli spettatori e a suscitare in essi le emozioni che hanno provato i terremotati del Friuli.

Alle ore 12.00 circa ci siamo diretti vicino al parco “Ex-Colonia” dove abbiamo consumato il pranzo fornito dalla scuola. Nel parco c’erano numerosi campi dove era possibile giocare a calcio e a tennis e una vasta area verde con i giochi installati. Una volta finito il pranzo la corriera ci ha portato a Venzone, dove quella mattina il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella era stato in visita per commemorare l’evento. All’arrivo la RAI stava documentando l’avvenuto e la prof.ssa Beltramini, nostra insegnante di storia, ha rilasciato un’ intervista dove ha risposto alla domanda: “Perché avete portato i ragazzi qui oggi?”. La sua risposta è stata: ”Perché è giusto che vedano quello che è accaduto tanti anni fa in questa terra ”, inoltre è stata intervistata una nostra compagna di classe che ha risposto ad alcune domande poste dalla giornalista e ha spiegato cosa è il terremoto per noi ragazzi cioè un’emozione che anche se non vissuta viene trasmessa.

Davanti al municipio abbiamo incontrato la guida che ci ha illustrato delle fotografie che mettevano a confronto Venzone dopo il terremoto e Venzone oggi. Per arrivare al Duomo siamo passati attraverso delle vie dove sono ancora presenti i segni del terremoto, le pietre poste come base delle case sono quelle antecedenti al terremoto e in alcune di esse sono segnati dei numeri scritti in rosso che rappresentano la casa, la via e il numero della pietra per riconoscerne la posizione, mentre quelle poste al di

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sopra sono state ricostruite in seguito. La guida ci ha condotto al Duomo, ricostruito interamente con le pietre originali, perché gli abitanti del posto volevano che la chiesa fosse il più possibile uguale a prima perché volevano avere un punto di riferimento, qualcosa che non riportasse i danni provocati dal terremoto.

Il Duomo di Venzone è dedicato S. Andrea Apostolo. Di fronte al Duomo c’è una piccola cappella cimiteriale dove all’interno sono presenti quattro mummie. La prima mummia ritrovata risale al 1647 quando, con uno spostamento del sarcofago del Duomo, venne portata alla luce la mummia ”del Gobbo”, chiamata così non perché fosse in realtà gobba la persona, ma causata dalla sepoltura. Si narra che questa mummia abbia ispirato il Gobbo di Notre Dame di Hugo. Queste mummie si sono formate per una disfunzione del terreno del cimitero ovvero non faceva decomporre i corpi.

In seguito abbiamo visitato il museo Tiere Motus nel quale erano esposte delle foto scattate nei giorni successivi alla catastrofe del terremoto. Alla fine del giro abbiamo vissuto, sempre all’interno del museo, una simulazione del terremoto riprodotto da alcuni suoni e alcuni video con immagini.

Ma cosa ha significato vivere la realtà di quel terremoto? Questa è l’intervista rilasciataci dalla guida che ci ha accompagnato al museo del terremoto a Venzone.

“Un terremoto è veramente “lo sbandamento” di un paese poiché ti può togliere ogni certezza come in questo caso è successo con le palazzine a Majano, costruite allora con una tecnica molto innovativa, cioè il calcestruzzo. Bisogna davvero riflettere su questo evento, perché, ad esempio, parlando del caso di un bambino di 8 anni tirato fuori dalle macerie, se guardiamo le immagini dell’epoca ci accorgiamo che: le persone che assistono sono molto felici e chi lavora per aiutare le persone terremotate sa che i suoi sforzi non sono stati vani, ma hanno salvato delle persone. Persino 21 ore dopo la tragedia sono state trovate persone vive. Tra gli aiuti c’è stata anche una grande componente di militari. Perché militari? Per una ragione molto semplice, al di là del confine est c’era un paese legato strettamente all’URSS (Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche) che con gli USA avevano avviato una “guerra fredda” cioè senza armi, ma con la minaccia di utilizzare armi, principalmente nucleari. In caso di attacco il Friuli avrebbe dovuto resistere almeno 8 ore dall’inizio dell’invasione. Per i friulani la prima cosa da fare è salvare il salvabile dopo questa fase, forti della “Legge 17”, legge che prevedeva che dei tecnici girassero i comuni terremotati per stabilire la condizione delle infrastrutture, in base al risultato di questa perizia si stabiliva come comportarsi. Tuttavia secondo le superstizioni la legge 17 portava sfortuna per il numero che la identificava e per una strana coincidenza, forse, avevano ragione poiché

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questo decreto non menzionava alcun criterio di ricostruzione antisismico. I friulani potevano benissimo accettare i prefabbricati durante l’estate, ma in questo momento il loro motto era “dalle tende alle case”. Ma perché questo motto? Perché i friulani consci di quello che era successo in Sicilia una decina di anni prima e sapendo che alcuni siciliani vivevano ancora in prefabbricati hanno detto: “Se voi ci darete i soldi noi vi dimostreremo che entro l’inverno noi riusciremo a rientrare nelle nostre case” e loro ci sono riusciti. Dopo questo sforzo immane, però, la seconda catastrofe dell’11 e del 15 di settembre mandò in fumo il lavoro di un estate con le ultime scosse di assestamento. Dopo questa scossa non si può più ragionare “dalle tende alle case” perché siamo a settembre e l’inverno è alle porte. Quindi viene dato l’ordine di trasferire la popolazione verso le zone di mare come la località balneare di Lignano Sabbiadoro. In questo periodo un friulano tipo si alzava alle 6 del mattino, prendeva la corriera per tornare del proprio paese dove lavorava, faceva 8 ore di fabbrica e, poi, altre due di cantiere per ricostruire la propria casa. In questo periodo non a caso sono aumentate le malattie cardiache e il diabete, perché i friulani si sono letteralmente “ammazzati di lavoro”. Nel frattempo nei paesi terremotati venivano piazzati i prefabbricati. In questo caso si ebbe un livellamento delle classi sociali perché tutti avevano perso tutto allo stesso modo. Infine, però, il terremoto è sia distruzione, ma anche tanta solidarietà da tutto il mondo. L’esercito tedesco varcherà la frontiera violando qualunque accordo per aiutare, anche l’allora re di Norvegia Olaf V fece lo stesso e donò 252 prefabbricati”.

Da questa gita abbiamo imparato quanta solidarietà ci sia stata fra la gente e abbiamo capito realmente cosa è accaduto, perché guardando i giornali e gli articoli su Internet non si percepisce veramente l’accaduto, ma dal vivo si provano emozioni più concrete. Tra le persone intervenute alla visita del Presidente della Repubblica abbiamo conosciuto due ex volontari provenienti uno dalla Sardegna e uno dal Piemonte. Ci hanno raccontato di come i soccorritori, quando andavano a portare acqua e cibo alla popolazione del paese, tenessero nei loro furgoni delle vecchie scatole con all’interno giochi dei propri figli, utili magari come regalo ai bambini. Questi avevano scoperto, però, che i giochi erano nei furgoni e, quando arrivavano gli aiuti, assalivano letteralmente il furgone! Tra loro le ragazze erano le più furbe, perché prendevano i giochi più belli e nuovi rispetto ai loro amici maschi!

Tra i racconti ci ha colpito anche quello che ricordava una coppia di fidanzati che a causa del terremoto avevano perso la casa dove sarebbero andati ad abitare dopo le nozze. I due, amareggiati dall'evento, entrarono in crisi e finirono per allontanarsi. Uno dei soccorritori conobbe quell'uomo e gli chiese: “Ma tu le vuoi bene?” , “Certo”,

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rispose e allora lo incitò: “E allora vai da lei, non stare qui solo! Che aspetti!”... e i due si riavvicinarono e si sposarono.

Focus Terremoto: per chi non lo sapesse

Il 6 Maggio 1976 il Friuli tremò, spazzando via in pochi istanti paesi interi. Alle nove di sera un rumore cupo, sordo, irruppe nella quotidianità delle famiglie friulane. La zona più colpita fu quella a nord di Udine. Fu inizialmente indicato che l’epicentro della scossa era nella zona del Monte San Simeone (Bordano), tuttavia questa indicazione fu smentita dagli studi successivi che hanno individuato un epicentro macrosismico situato tra i comuni di Gemona e Artegna nelle vicinanze della località di Lessi ed un epicentro strumentale localizzato più a est fra Taipana e Lusevera, attribuendo all’ evento magnitudo 6.4 della scala Richter. I danni furono amplificati dalle particolari condizioni del suolo, dalla posizione dei paesi colpiti, quasi tutti i posti in cima ad alture e dall’età avanzata delle costruzioni. I paesi andati distrutti non avevano infatti riportato danni rilevanti nella prima e nella seconda guerra mondiale, a differenza di San Daniele del Friuli che, semidistrutta dai bombardamenti aerei del 1944, aveva dovuto ricostruire gran parte della sua struttura urbana con criteri moderni. La scossa, avvertita in tutto il nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani con danni, anche se molto più limitati per una popolazione totale di circa 500.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 989 morti e oltre 80.000 senza tetto, i danni strutturali riguardano 16.000 edifici da ricostruire e 71.000 da riparare. Anche le zone dell’alta e

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media valle del fiume Isonzo, in territorio Jugoslavo vennero colpita, interessando in particolare i comuni di Tolmino, Caporetto, Canale d’Isonzo e Plezzo. I soccorsi furono immediati e si iniziò immediatamente a scavare fra le macerie. Purtroppo, solo quattro mesi dopo, la terra tremò ancora con tre violente scosse di magnitudo 5.8, 5.9 e 6.1 della scala Richter, quando il 15 settembre crollò quel poco che era rimasto in piedi. I comuni di Trasaghis, Bordano, Osoppo, Montenars, Gemona del Friuli, Buia, Venzone e la frazione di Monteaperta furono fortemente danneggiati. Fu il primo terremoto in cui “la diretta” televisiva portò le immagini del dolore e della distruzione in tutte le case italiane . Nonostante una lunga serie di scosse di assestamento, che continuò per diversi mesi, la ricostruzione fu rapida e completa. L’8 maggio, a due giorni dal sisma, il Consiglio regionale del Friuli stanziò con effetto immediato 10 miliardi di lire (40.000.000 euro). La ricostruzione totale durò dieci anni. Ancora oggi il modo in cui venne gestito il dramma post-terremoto, viene ricordato come un alto esempio di efficienza e serietà. Il conto dei contributi statali per la ricostruzione del Friuli ammontava a 12.905 (circa 9.000.000 di euro). Il disastro diede, inoltre, un importante impulso alla formazione della protezione civile.

Intervista alla professoressa Manuela Beltramini come testimone del terremoto.

DOVE ERA QUANDO E’ SUCCESSO? Ero a casa di mia nonna a Reana, con mia zia.COSA HA PENSATO?Credo di aver gridato “Oddio è la fine del mondo!” e poi non ero più in grado di ragionare, alla fine mi sono aggrappata a mia zia e mi sono lasciata trascinare.C’E’ STATA LA NECESSITA’ DI SOCCORSI?Nella zona di Reana non c’è stata la necessità dei soccorsi anche se in una frazione ci sono stati pesanti danni, ma, comunque, abbiamo sentito i soccorsi che partivano da Udine.HA SENTITO ANCHE LE SCOSSE SUCCESSIVE?Ho sentito tutte le scosse, anche la prima, ma non sapevo cosa stava succedendo e ho capito che dovevo scendere al piano terra.IL TERREMOTO HA COLPITO GRAVEMENTE QUALCHE SUO FAMILIARE?Uno zio, fratello di mia mamma, che abitava a Moggio, zona molto colpita e di alto pericolo sismico. I primi giorni non si poteva comunicare ad eravamo molto preoccupati; alla fine non è successo niente di grave, si è solo danneggiata la casa.

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SONO MORTE PERSONE CHE CONOSCEVA? Una ragazza che ho conosciuto successivamente ha perso entrambi i genitori che si erano recati al ristorante “Morena” per una cena di lavoro, comunque circolavano le notizie di tanti morti o persone che restavano sotto le macerie.COSA E’ SUCCESSO DOPO IL TERREMOTO? Sono rimasta fuori casa per un anno e mezzo perché mi ero spaventata molto, ho dormito in una casetta costruita da un amico di mio padre in giardino. Oltre a me c’erano altri ragazzi che non rientravano nelle loro case perché erano traumatizzati o perché le case erano andate distrutte. Dormivamo in dei letti a castello e ci divertivamo molto perché la scuola quell’anno era finita il giorno del terremoto. In tutti i paesi erano state costruite delle tendopoli per dare un tetto a chi non ce lo aveva più. COME HA REAGITO LA GENTE?Nel nostro paese tutti si aiutavano c’era molta solidarietà e chi aveva di più dava agli altri. Questo fu un fatto positivo nella tragedia che dava la forza di andare avanti. Tutti cercavano di dare una mano, anche se in settembre con la seconda scossa le case che avevano retto alla prima sono cadute insieme a tutto ciò che era utile per la vita quotidiana.

Giorgia Rispoli, Timoteo Costantini, Federico Lauteri e Tanita Terenziani

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L'ORIENTAMENTO A SCUOLAQuando noi ragazzi della classe 3^C eravamo in seconda media abbiamo iniziato il lavoro dell’orientamento con le professoresse di matematica e italiano. All’inizio l’orientamento consisteva nel completamento delle schede inviate dal Centro Regionale dell’Orientamento del Friuli. Le schede contenevano alcune domande personali sulle nostre preferenze riguardo alle categorie di lavori più adatte a noi.

L’orientamento ci serve per capire cosa vogliamo fare nel nostro futuro; è un obbligo per le scuole e serve per chiarirci le idee. Le schede consegnateci dalle insegnanti analizzavano il nostro carattere: come ci comportiamo (sia in un contesto familiare che in quello scolastico) con i compagni e con i nostri parenti e amici, la categoria di professioni che vorremmo praticare una volta finiti gli studi e la nostra autostima per quanto riguarda il nostro corpo, le nostre prestazioni scolastiche e il nostro carattere. In terza abbiamo avuto la possibilità di fare una cosa diversa: avere dei colloqui con una psicologa per aiutarci nella scelta della scuola giusta per noi. Le ultime attività di orientamento di cui abbiamo potuto usufruire sono degli stage nelle scuole, cioè passare una giornata con gli studenti di una scuola che abbiamo scelto. Le scuole superiori hanno adottato metodi diversi per gli stage. La scuola Malignani ha fatto assistere gli stagisti alle prime due ore di lezione e, dopo la ricreazione, li ha portati a fare un giro per tutta la scuola, mentre le altre scuole secondarie di 2° grado hanno organizzato un'intera giornata nelle aule scolastiche con gli studenti delle scuole, a parte il Liceo Classico Stellini, che ha organizzato una intera giornata di lezione, ma questa volta gli studenti erano proprio gli stagisti. Gli stage hanno avuto riscontro positivo da quasi tutti gli studenti, entusiasti di intraprendere questo nuovo percorso: le scuole superiori.

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La maggior parte degli studenti delle classi terze medie dell'Uccellis si è iscritta al Liceo Scientifico G. Marinelli. Il seguente grafico indica la distribuzione percentuale delle iscrizioni a ciascuna scuola secondaria di 2° grado.

MALIGNANI

Il Malignani è un istituto tecnico e un liceo scientifico ma propone anche corsi serali. Gli indirizzi dell’Istituto Tecnico sono: Chimica, Materiali, Biotecnologie, Informatica e Telecomunicazioni, Aeronautica, Meccanica, Meccatronica, Energia, Elettronica, Elettrotecnica e Automazione mentre l’unica opzione per il Liceo è Scienze Applicate. Quest’anno ha avuto un “boom” di iscrizioni, con ben 28 nuove classi prime ed è la scuola più grande del Friuli con sedi in Via Leonardo da Vinci, a Udine, e a San Giovanni al Natisone, dove vengono iscritti, in assenza di posti, gli studenti fuori dalla provincia di Udine più vicini a quella sede.

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STELLINI

Lo Stellini è un Liceo Classico che presenta due potenziamenti: Archimede e Cicerone. Il primo più indirizzato verso le materie scientifiche, come matematica e scienze.

UCCELLIS

Il Liceo Uccellis propone tre diversi tipi di percorsi: il Liceo Pedagogico (Scienze Umane), il Liceo Classico Europeo e il Liceo Coreutico.

La peculiarità del Liceo Classico Europeo è la sua versatilità: è possibile scegliere tra ben tre tipi di indirizzi. Sono presenti l'indirizzo a prevalenza tedesca, quello a prevalenza inglese e la novità: l'indirizzo cinese che, oltre allo studio delle materie classiche quali greco e latino, prevede anche lo studio della lingua cinese.

Il Liceo delle Scienze Umane prevede un percorso di studi attuale, affiancando alle materie tradizionali lo studio delle Scienze Umane, consistenti in psicologia, pedagogia, sociologia e antropologia. Offre inoltre la collaborazione con persone diversamente abili e operatori esterni i quali lavorano nell'ambito delle Scienze Umane.

Il Liceo Coreutico prevede l'inserimento delle tecniche della danza e dello studio della sua storia nelle materie umanistico-scientifiche comuni a tutti i licei.

MARINELLI

Il Liceo Marinelli si propone di realizzare l’integrazione tra la ricerca e il metodo scientifico e i valori formativi delle discipline umanistiche e linguistiche, preludendo ad un ulteriore corso di studi specialistico e una professionalizzazione all'università. Il Marinelli conta ora 1354 studenti, 56 classi, di cui 12 classi prime, più di 100 docenti, occupa i due edifici collegati di viale Leonardo da Vinci e di via Galilei.

PERCOTO

Anche il Percoto si divide in quattro indirizzi: Liceo Linguistico, Liceo Musicale, Liceo delle Scienze Umane e Liceo Economico Sociale.

Il percorso del Liceo Linguistico è indirizzato allo studio di diverse lingue e guida lo studente a maturare le competenze necessarie per acquisire la padronanza comunicativa di tre lingue, oltre l’italiano e per comprendere la storia e la cultura delle civiltà studiate. Il Liceo Musicale, invece, approfondisce lo studio di tecniche musicali,

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storia della musica e organizza molti saggi durante l'anno. Il Liceo delle Scienze Umane è simile a quello dell'Uccellis ma con molte ore in meno a settimana e con uno studio meno approfondito delle materie classiche. Il Liceo Economico Sociale si focalizza sullo studio di materie scientifiche indirizzate verso lo studio dell'economia.

PAOLO DIACONO

Il Paolo Diacono è un convitto di Cividale del Friuli con quattro indirizzi: il Liceo Scientifico, Classico, delle Scienze Umane e Linguistico, ma presenta anche un percorso di studio per le classi medie ed elementari.

ZANON

L'Istituto commerciale Zanon presenta quattro indirizzi: RIM (Relazioni Internazionali per il Marketing), AFM (Amministrazione, Finanza e Marketing), SIA (Sistemi Informativi Aziendali) e Turismo. Il primo prevede uno studio più approfondito delle lingue (due i primi due anni, tre dal terzo in poi) e, come gli altri indirizzi, dell'economia ma si orienta in un contesto più internazionale. L'indirizzo AFM prepara gli studenti alla gestione di un'impresa con ore di economia aziendale, economia politica e diritto in più rispetto agli altri indirizzi. L'indirizzo SIA propone invece un piano di studi con molte ore di informatica a discapito delle ore di diritto. L'ultimo indirizzo, il turismo, si distacca dagli altri tre, preparando i ragazzi alla gestione di un'impresa turistica, studiando “discipline turistiche aziendali”, “arte e territorio” e altre materie legate esclusivamente al turismo.

MARINONI

L'Istituto Tecnico Marinoni ha un piano orario basato su materie tecniche ed è una scuola che garantisce una preparazione da geometri, con una concentrazione delle sue ore su materie collegate allo studio del territorio (geografia, topografia, disegno tecnico, fisica, geologia, etc.).

BERTONI

Il Bertoni è una scuola privata e, come scuola secondaria di secondo grado, i suoi corsi sono il Liceo Classico e quello Scientifico. I Licei prevedono 32 ore settimanali, con due ore opzionali per lo studio di inglese o tedesco e, ovviamente, il Liceo Scientifico tralascia le materie classiche, il Liceo Classico quelle scientifiche, con tre ore settimanali di matematica per i primi due anni e solamente due per i due anni successivi.

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CECONI

Il Ceconi è un Istituto Professionale, con un forte collegamento tra scuola e lavoro. I suoi indirizzi prevedono molti laboratorio e molte ore pratiche, oltre alle ore di teoria. Gli indirizzi sono: Manutenzione e assistenza tecnica, suddiviso in “Manutenzione dei mezzi di trasporto” e “Apparati, impianti e servizi tecnici industriali e civili”, Servizi socio-sanitari e Odontotecnica.

COPERNICO

Il Copernico è un liceo scientifico con tre potenziamenti: “Polis”, che offre l'opportunità di rinforzare le abilità linguistiche in un percorso formativo cui, oltre all'inglese, sarà possibile apprendere una seconda lingua straniera (scelta tra tedesco, francese, spagnolo e russo); Scienze-Motorie, che si propone di approfondire la conoscenza delle scienze motorie con una particolare attenzione alle attitudini ed alle capacità individuali, secondo programmi specifici da realizzarsi anche attraverso collaborazioni tra la scuola e gli Enti Locali, l'Università (Facoltà di Medicina e Chirurgia, Facoltà di Scienze Motorie e del settore Medico-Sanitario), il CONI e le Federazioni Sportive e Scientifico-Informatico, che è rivolto agli studenti interessati ad intraprendere un percorso di potenziamento delle discipline scientifiche . Questo percorso presenta alcuni degli aspetti più significativi della sperimentazione PNI (Piano Nazionale di Informatica), integrandoli con un approfondimento nell'ambito delle Scienze Naturali.

LE NOSTRE RIFLESSIONI SU ALCUNI RISULTATI

Risposte quali “Perché va di moda” o “Se ci vai sei figo”, seppur possano apparire poco convincenti, sono quelle date da molti studenti delle classi terze di fronte alla nostra domanda “Perché hai scelto quella scuola?”.

Ascoltando queste risposte abbiamo pensato che: si può essere fighi o meno davanti agli altri ma quello che conta è il modo in cui ci si sente all’interno della nuova scuola. Poiché, infatti, dovremo restarci per almeno 5 anni, è importante scegliere la scuola giusta per ciascuno di noi. Una scuola che ci dia anche l’opportunità di fare nuovi amici.

Nella nostra società, purtroppo, il benessere è legato troppo spesso a quello che gli altri pensano di noi piuttosto che a come ci sentiamo effettivamente. Questo discorso si lega alla scelta della scuola perché essa deve venire dalle nostre preferenze e dalle opportunità che avremo una volta conclusi gli studi e non dalla considerazione che hanno gli altri di noi rispetto alle scelte che facciamo. Alla fine della scuola, infatti,

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nella maggior parte dei casi, ci si separa e dunque non conta più quello che gli altri pensano di noi ma quello che realmente siamo e facciamo, dietro ad ogni maschera.

Elena Itri, Tommaso Danelutti e Filippo Moretti

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…e un po ' emoz ionat i come potete vedere qu i sotto . . .

…v i r i ngraz i amo e v i sa l ut i amo !

La c lasse 3C

Ambesi Impiombato Cristina, Ciesch Detto Cieschi Anna, Corsitto Laura, Costantini Scala Timoteo, Danelutti Tommaso, De Nardi Lisa, Del Fabro Allison Kristal, Erente Elisa, Fabbro Sara, Fasano Gabriel, Itri Elena, Lamparelli Andrea, Lauteri Federico, Moretti Filippo, Rispoli Giorgia, Scomparin Andrea, Terenzani Tanita, Tronti Guglielmo Amelio, Vicario Alice, Zucchiatti Davide.

Un r i ngraz i amento spec i a le va a l prof . C iro Iaqu into per l a co l l aboraz ione informat ica .

“L'ur lo de l gr i fone” è stato ideato e prodotto ne l l e ore sett imana l i de l Laborator i o d i Lettere svo l to da l l a prof . s sa G iu l i a Peresan i .