L’uomo tra scienza, fede, filosofia

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Irapporti tra scienza, filosofia e fede sono oggetto di un interesse sempre vivo, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per chi, pur non essendo uno specialista, vuole capire se i progressi della scienza e le aperture filosofiche alla fede rivelata possano conciliarsi. Una condizione fondamentale per permettere un dialogo autentico tra queste tre aree del sapere è l’impegno del ricercatore sincero e onesto della verità a risolvere i problemi nel loro ordine proprio, guardando la realtà in una dimensione specifica secondo il punto di vista particolare della scienza chiamata in causa per indagarla. Studiando il nesso tra scienza e fede, con l’interesse che ad esso può portare la fisica teorica, emerge già una possibile via che conduce alla conoscenza dello «spirito umano».

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Quaderni ARCES

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Diego Molteni, Antonio Bellingreri, Luciano Sesta

L’uomo tra scienza, fede, filosofiaPer un dialogo con le nuove generazioni

Palumbo

a cura diAlessandro Di Vita

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Quaderni ARCES

COLLANA DEL

COLLEGIO UNIVERSITARIO ARCES

Via Lombardia, 6 – 90144 Palermotel. +39 091 346629 – fax +39 091 [email protected] – www.arces.it

PROGETTO GRAFICO Vincenzo Marineo

COMPOSIZIONE Fotocomp - Palermo

STAMPA Luxograph s.r.l. - Palermo

© 2005 by G. B. Palumbo & C. Editore S.P.A.Proprietà letteraria dell’EditoreStampato in Italia

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Presentazione Alessandro Di Vita 1

1 Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personale Diego Molteni 13

1 Premessa 13

2 Scienza e fede in breve 14

2.1 Scienza 14

2.2 Qual è, dunque, il grado di veridicità della scienza 15

2.3 Gödel 16

3 Fede 18

Appendice 21

2 Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona Antonio Bellingreri 23

1 La vita come totalità di Edith Stein 23

2 L’esistenza personale come Bildung 27

3 Il problema dell’empatia 37

4 Idee per una pedagogia fenomenologica 41

5 L’approche chrétien 44

6 L’idea di Bildung 47

7 Idee per una pedagogia ermeneutica 51

3 L’uomo tra scienza e filosofia: macchina o persona? Luciano Sesta 55

1 L’attuale primato della scienza nei confronti della filosofia 55

I N D I C E

V

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2 La dualità originaria: l’uomo come anima e corpo 57

3 Materialismo ed evoluzionismo: l’uomo è solo corpo 59

4 Ritornare all’uomo come persona 62

5 Conclusioni 67

VI

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PresentazioneAlessandro Di Vita*

Questa pubblicazione nasce da un’iniziativa promossa dal Cen-tro Culturale Monte Grifone del Collegio Universitario AR-CES di Palermo. Fondato nel 1983 da alcuni docenti e pro-fessionisti, il Centro Monte Grifone si occupa in modo glo-bale della formazione dei giovani, investendo energie sulle lo-ro doti creative. Le sue attività sono rivolte a studenti, tec-nici, artigiani, giovani alle prime esperienze di lavoro. Il Cen-tro offre loro l’opportunità di completare la propria forma-zione professionale, umana e culturale in un ambiente di stu-dio e di lavoro. I ragazzi sono seguiti da tutor che li aiutanoa orientarsi nelle scelte scolastiche e occupazionali. Le centi-naia di ragazzi che hanno frequentato il Centro dalla sua na-scita provengono dalla città di Palermo e da varie località del-la provincia di Palermo (Trabia, Bagheria, Ficarazzi, Misilmeri,Altofonte, Carini, ecc.). Il Centro promuove, inoltre, incon-tri di metodologia dello studio, storia, filosofia, musica, infor-matica e telematica; e anche corsi di fotografia, chitarra, ol-tre ad alcune visite guidate ai monumenti di Palermo.

I rapporti tra scienza, filosofia e fede sono oggetto di uninteresse sempre vivo non solo per gli addetti ai lavori, maanche per chi, pur non essendo uno specialista, vuole capire

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* Alessandro Di Vita è dottorando di ricerca in Pedagogia presso il Dipartimen-to di Pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Navarra (Pam-plona).

La cosa più incomprensibile dell’universoè il fatto che esso sia comprensibile

(Albert Einstein)

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se i progressi della scienza e le aperture filosofiche alla federivelata possano conciliarsi. Le tre relazioni qui pubblicate so-no il risultato di tre incontri organizzati dal Centro MonteGrifone e rivolti soprattutto a studenti dell’ultimo bienniodei licei e a giovani universitari. Con la loro presentazione,si intende offrire qualche risposta qualificata all’esigenza deigiovani d’oggi di approfondire in modo sistematico la cono-scenza dei fondamenti del sapere scientifico. I temi oggettodi riflessione sono stati affrontati da alcuni rappresentantidell’ambiente accademico palermitano, professionisti che sidedicano con passione alla ricerca scientifica nei campi dellafisica, della pedagogia, della bioetica e della filosofia. I tre stu-diosi hanno incontrato gli studenti nei mesi di marzo e apri-le del 2005 presso i locali della libreria “Kalós” di Palermo,in tre diverse occasioni in cui hanno avuto modo di esporrei loro temi e suscitare negli adolescenti, attraverso il dialogo,linee di ricerca personali.

La prima relazione, Scienza e fede: considerazioni per un per-corso di ricerca personale, è presentata con uno stile colloquialee in modo sintetico, tale da facilitare la riflessione personale.L’autore, Diego Molteni, un fisico di professione, sulla basedi alcuni principi che già la coscienza comune può intuire nel-la quotidianità, affronta il tema del rapporto esistente trascienza e fede. La «limitatezza» dell’uomo, la sua «reale ca-pacità» conoscitiva e il suo esser stato «voluto» da un Altrosono il filo conduttore del suo discorso. Sulla base di questeacquisizioni, egli cerca di far luce sull’identità (sullo statutoepistemologico) e sui compiti conoscitivi della scienza con-temporanea, sul suo aspetto «quantitativo» e sul rigore dellasua logica matematica. Queste considerazioni avviano già il di-battito sulla presunta e assoluta certezza della conoscenzascientifica, ma anche sulla provvisorietà delle sue ipotesi, an-corché possa scoprire, e abbia scoperto, delle «verità», cono-sciute universalmente. La scienza, infatti, nel suo processoconoscitivo, non può non tener conto di alcune «opzioni me-tafisiche implicite» comprendenti quegli elementi della realtànon immediatamente evidenti o verificabili, perché di natura

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qualitativa. Tali opzioni permettono di conoscere la realtà alivelli più profondi di quelli dell’esperienza empirica, smen-tendo la pretesa che la conoscenza scientifica sia l’unica co-noscenza certa del reale. L’alternativa metodologica non è,però, già la conoscenza che ci deriva dalla fede rivelata (l’in-sieme delle verità rivelate nelle Sacre Scritture), poiché, nonassumendo più come criterio di verità i procedimenti e le ope-razioni del metodo matematico, si può comunque conoscerela realtà per vie a noi ancora accessibili: queste sono le vie del-la ragione filosofica. In definitiva, ammettendo che la ragioneumana non può essere ridotta a mente «algoritmica», il pro-fessor Molteni giunge quasi a dimostrare la spiritualità del-l’uomo (gli altri due saggi qui presentati, del professor Bel-lingreri e del dottor Sesta, ne daranno una dimostrazione piùragionata ed esaustiva).

Nell’ultima parte del suo breve saggio entra, difatti, in me-rito all’oggetto di conoscenza della fede rivelata. Esso non èil «miracolo» o solo un insieme di dottrine sulla base delle qua-li regolare la propria vita. Esso è, innanzitutto, una personain cui credere e da conoscere: Gesù Cristo, l’unico Figlio diDio che può dare ragione della creazione e dell’alta dignità del-la persona umana. Seguendo l’esempio e le parole di Gesù –certo – si può scoprire il senso autentico della libertà umanae della sua destinazione ultima, ma l’atteggiamento di ricezionedella fede non è mera accettazione, accoglienza passiva di unaverità cui abbandonarsi ciecamente. Esso è piuttosto conse-guenza di una disposizione interiore alla ricerca razionale diuna verità divina che ci spinge, innanzitutto, a credere per ca-pire (credo ut intelligam) il dono ricevuto. Cercare di capire conla ragione le connessioni delle “operazioni mentali di Dio” av-venute nella storia dell’umanità, in specie negli ultimi duemilaanni, nella misura che ci è data, non è questione impossibileo troppo pretenziosa. Fede e ragione cooperano insieme allaricerca della verità. Ma la scienza non impedirà di credere sela volontà umana non opporrà il suo rifiuto, e se l’intellettoumilmente riconoscerà l’esistenza di una Verità che lo tra-scende. Il mondo, per l’uomo, non è un limite alla conoscen-

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za di Dio (neppure le violenti forze della natura e il male mo-rale lo sono): è piuttosto il tramite per giungere a lui. Il li-mite sta invece in noi, nelle nostre capacità conoscitive e neicondizionamenti cui siamo continuamente sottoposti. È perquesto che l’umiltà – a questa il professor Molteni ha fattospesso riferimento durante il primo incontro con i giovani –risulta come disposizione fondamentale del vero ricercatore.

La seconda relazione, Una dimostrazione pedagogica dell’e-sistenza della persona, presenta un argomento più specifico:l’autore individua il legame esistente tra fede e filosofia, at-traverso una descrizione dell’esperienza personale di EdithStein, donna e filosofa (allieva di Edmund Husserl, fondato-re del metodo fenomenologico),1 ebrea che si converte al cat-tolicesimo, ricercatrice di verità che entra nel Carmelo e of-fre la sua vita morendo martire ad Auschwitz e diviene san-ta della Chiesa (canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998 esuccessivamente proclamata copatrona d’Europa). L’itinera-rio intellettuale della Stein – caratterizzato da una perfettaunità tra pensiero ed esistenza vissuta – è scandito da alcunetappe, per la precisione tre (la conversione alla psicologiascientifica, quella alla filosofia come conoscenza vitale e for-matrice e quella alla fede cattolica), che la indussero a matu-rare l’idea di una Bildung cristiana (educazione cristiana) qua-lificata in senso proprio come categoria filosofico-pedagogica.Ella volle chiaramente pensare questa categoria nell’orizzon-te di una metafisica cristiana. I tratti fortemente autobiogra-fici del suo sistema teoretico denotano l’impegno di voler per-venire a una conoscenza oggettiva del suo vissuto soggettivo.A ben vedere, l’autore sembra voler porre in rilievo la verità

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1 È bene ricordare che il metodo fenomenologico, inteso come analisi della strut-tura oggettiva dei vissuti personali (Erlebnisse), fu fondato da Edmund Husserl (1859-1938), filosofo tedesco che funse da stella polare per un gruppo di discepoli che avreb-bero fatto la storia della fenomenologia contemporanea. Tra questi si possono men-zionare: M. Scheler, R. Ingarden, D. Von Hildebrand, E. Stein, M. Merleau-Ponty.Ognuno di questi pensatori diede vita a un sistema filosofico originale. Tra le operedi Husserl che meglio spiegano le funzioni del metodo fenomenologico si possono ri-cordare: le Ricerche logiche, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenome-nologica, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.

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secondo cui – come E. Stein dimostra – i problemi vannopensati nel loro ordine proprio. L’ordine pedagogico in cui sicolloca l’esistenza della Stein è, infatti, lo stesso ordine incui va “interpretata” la Bildung cristiana. Prima di ogni in-terpretazione (Auslegung) di ordine teologico, essa va vistanella situazione originaria in cui è sorta. Essa trova la sua ori-gine nell’ontologia dello spirito umano (pneuma), irriducibilea meccanismi psichici (psyché). E. Stein scopre l’esistenza del-lo spirito prima di abbracciare la fede cattolica e per mezzodi una filosofia fenomenologica liberata da ogni indebita in-terpretazione idealistica; questa prospettiva filosofica è pre-sentata nell’opera Psicologia e scienze dello spirito. Il progettodi una «filosofia cristiana» ideato dalla Stein si presenta co-me risposta esistenziale e «“vocazione originaria” del filoso-fare, che è la ricerca della verità tutta intera, la tensione a unsenso e un senso assoluto per l’esistenza». La filosofia, così in-tesa, ha una destinazione nella pratica della vita quotidianache mostra la sua educabilità proprio nell’accettare il «soc-corso» del logos e della persuasione che contribuiscono a sod-disfare, insieme all’impegno della volontà, il bisogno metafisi-co che segna l’animo umano. L’idea di Bildung proposta da E.Stein apporta anche uno specifico contributo teorico alla pe-dagogia scientifica: l’analisi fenomenologica dell’empatia pro-posta in Il problema dell’empatia, difatti, mostra la possibilitàche la relazione educativa possa essere interpretata come re-lazione empatica, cioè come un certo modo di abitare il mon-do personale degli uomini, un modo che presenti condizioniadeguate per costruire il proprio sé autentico come esito di unlavoro formativo che si attesta sulle istanze veritativa, eticae spirituale.2 Queste sono le conseguenze sul piano educativodi una lettura “pedagogico-scientifica” delle opere di E. Stein,in particolare della sua tesi dottorale (Il problema dell’empa-tia), che contiene dei prodigiosi “fermenti pedagogici” laten-ti, anche se l’autrice non li ha mai intenzionalmente indicati

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2 Cfr. A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, Vita e Pensiero, Milano 2005,pp. 191-206.

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3 Il maestro di E. Stein, Edmund Husserl, difatti, con la prospettiva complessivapresentata nell’opera intitolata Idee, si era allontanato dal significato originario cheegli stesso aveva associato al metodo fenomenologico, interpretandolo idealisticamen-te: la conoscenza conseguita col metodo fenomenologico non è una forma di allucina-zione che nasce e rimane nella coscienza del soggetto, ma è il risultato di una “verità”che la coscienza ha ricevuto direttamente dall’esperienza reale, una verità “incontra-ta” di cui la coscienza si è resa edotta. Di questo E. Stien era perfettamente convin-ta, come gli altri allievi del maestro.

come tali. Per questo, la dimostrazione della spiritualità del-l’uomo o dell’esistenza della persona operata qui dal profes-sor Bellingreri attraverso una lettura fenomenologico-erme-neutica della vita e del pensiero di E. Stein, appare un buonpreambolo per una pedagogia dell’empatia che voglia istituirequesta, mediante una riflessione razionale stringente, comecategoria pedagogica – quindi non già o non solo una Bildungche si configura nell’orizzonte di una metafisica cristiana –,presentandola quale forma di conoscenza autentica e adegua-ta dell’altro (comprensione empatica), e, insieme, vedere in es-sa l’essenza educativa, cioè ciò che definisce essenzialmente l’e-ducazione. Sotto questo aspetto, l’autore è molto più vicinoalla Stein non ancora convertita alla fede cattolica, quella cheperviene al senso di un’ontologia dello spirito attraverso unareinterpretazione dei concetti fondamentali della psicologiasperimentale.

Il metodo fenomenologico messo in atto da E. Stein – concui ella si mantenne fedele al primo Husserl3 – per pervenireall’ontologia dello spirito si caratterizza per tre aspetti fon-damentali: il primo consiste «in una messa tra parentesi di ciòche noi, in modo spontaneo, sappiamo, per potere affermaresolo ciò che si mostra con un’evidenza tale da non poter es-sere smentito. L’evidenza […] è il criterio della verità». Il se-condo è l’aspetto che permette alla filosofia fenomenologicadi definirsi «intuizione dell’essenza» (Wesensschau), intuizio-ne di ciò che è essenziale in una realtà (umana o no): esso per-mette di conoscere una realtà non in superficie o negli aspet-ti accidentali, ma in quegli elementi profondi che sono inquella permanenti. Per ultimo, la coscienza che è come vuo-tata di tutti i suoi giudizi con l’epoché (la messa tra parente-

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si del nostro sapere), avendo di fronte solo il mondo coi suoisignificati, può adesso riconoscere la sua essenza, cioè risco-prirsi come donatrice di senso, «capacità reale dell’io di co-gliere ed esprimere il senso di ogni realtà, che si rivela allospirito che vuole conoscerlo». Questi tre aspetti del metodofenomenologico sono gli stessi che restano presenti come «ele-menti vitali» nella prospettiva ermeneutica: questi elementiche hanno caratterizzato la ricerca di senso di E. Stein co-stituiscono come la base per poter proporre lo studio di unapedagogia scientifica e, in particolare, di una ontologia peda-gogica di stile ermeneutico. Le due prospettive (la fenome-nologica e la ermeneutica) si fondono nello stile proprio di unapedagogia fondamentale che studia «l’educazione in quantotale, nel suo intero o nella sua verità». La pedagogia fonda-mentale di stile fenomenologico-ermeneutico, in definitiva, stu-dia i problemi fondamentali dell’educazione mantenendosi inuna zona di confine tra la filosofia e tutte le altre scienze, inparticolare quelle umane, e privilegiando, da un lato, il con-fronto dialettico in senso ermeneutico con queste scienze, e dal-l’altro, la razionalità pedagogica come criterio adeguato perguardare la realtà educativa come orientata al compimento del-l’uomo (homo) in quanto uomo (vir).

La Bildung cristiana prospettata da E. Stein costituisce, ri-spetto a questo tipo di pedagogia fondamentale, una filosofiatout court che è audacemente proiettata verso la contempla-zione del Mistero, attestante l’avvento di un nuovo paradig-ma pedagogico aperto a una «antropologia soprannaturale»che ha come Archetipo l’«Immagine visibile dell’Invisibile»:Gesù. Questo è il senso in cui va intesa la Bildung della Steinnegli scritti sull’educazione religiosa raccolti ne La vita cometotalità.

Nel terzo e ultimo saggio, il dottor Sesta presenta una de-scrizione chiara del modo in cui l’uomo concepisce la cono-scenza di sé e del mondo attraverso gli strumenti e i metodipropri della scienza e della filosofia; egli dà, inoltre, utiliz-zando l’unico metodo della metafisica, la confutazione (elen-chos) o metodo dialettico in senso socratico, una dimostra-

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zione dell’esistenza della persona contro ogni riduzionismoscientista.

La coscienza comune accredita una fiducia maggiore allascienza piuttosto che alla filosofia, poiché si pensa che, nellaricerca della verità scientifica, lo scienziato abbia a che farecon “dati di fatto”, mentre il filosofo con idee che esistonosolo nella sua mente: per questo, il primo possiederebbe piùprestigio e credibilità del secondo. In realtà, come è spiegatobene dal dottor Sesta anche con esempi concreti, la scienza ela filosofia possono studiare i medesimi problemi e assumeregli stessi oggetti, ma utilizzando metodi e linguaggi diversi:se la scienza spiega gli oggetti che indaga secondo il paradig-ma fisico-chimico-matematico, la filosofia li comprende se-condo i principi propri della ragione che costituisce, a benvedere, il suo stesso metodo.4 Questo tipo di comprensionefilosofica del mondo e dell’uomo, a differenza delle spiegazionidella scienza, è, nondimeno, vera conoscenza, cioè conoscen-za adeguata della realtà che vediamo con gli occhi del nostrocorpo. «Con la nascita delle scienze sperimentali, sarà chiaroche, mentre le spiegazioni della scienza fanno riferimento aciò che può essere sperimentato sensibilmente, dunque al mon-do della materia, la filosofia attinge il mondo dell’anima, deiprincipi immateriali e invisibili. Questi principi non sono me-no reali per il fatto che non si vedono. Anche la vista non sivede, eppure è il principio che spiega tutto ciò che si vede».La natura umana è una realtà molto complessa, costituita dadistinte dimensioni di ordine materiale e spirituale: per que-sto, è giusto e legittimo – e potremmo dire anche “dovero-so” – risolvere i problemi nel loro ordine proprio, guardandola realtà in una dimensione specifica secondo il punto di vistaparticolare della scienza chiamata in causa per indagarla. Senon si segue questo criterio, si corre il serio rischio di esau-rire la conoscenza dell’intera natura umana nei risultati conse-guiti da un’unica scienza particolare che, avendo licenza d’in-dagare una particolare sezione del reale o dimensione umana,

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4 Cfr. E. Berti, Introduzione alla metafisica, UTET, Torino 1993, pp. 111-113.

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indebitamente, si esprimerebbe su problemi che essa non èchiamata a risolvere e risponderebbe a domande che esige-rebbero un diverso tipo di razionalità e un approccio disci-plinare distinto. Ciò che la scienza non può fare, e non èchiamata a fare, è pronunciarsi circa l’essenza delle cose edell’uomo, poiché essa non ha gli strumenti per farlo: questoproposito, da parte della scienza, coinciderebbe – come af-fermò una volta Galilei – con «l’impresa vana di tentar le es-senze». D’altro canto, la filosofia non è chiamata a far lucesu quelle dimensioni del reale che sono indagate con i criteridi oggettività intesi dalle scienze positive. Come è noto, nel-la scienza contemporanea, il concetto di oggettività ha assun-to una funzione vicaria, sostituendo il requisito stesso di ve-rità. Oggettivo, in tal senso, significa “vero” o ciò che può es-sere “verificato” sperimentalmente attraverso le note metodo-logiche della ripetibilità e controllabilità di un fenomeno o diun fatto.

I parametri di scientificità di un sapere vanno individuatinei concetti di «rigore» e di «oggettività». Il rigore è la ca-ratteristica di quel discorso scientifico in cui le singole affer-mazioni devono risultare giustificate e logicamente correlate;la giustificazione di tali affermazioni può essere sostenuta inquanto direttamente fondata su criteri di accertamento deidati fenomenici, dato che ogni scienza ha poi un modo tuttosuo di concretizzare i requisiti del rigore. Nell’accezione piùdiffusa, l’oggettività scientifica, nella cui definizione rientra-no i criteri fondamentali attraverso cui si precisa il concettostesso di rigore, è qualificata come intersoggettività e, insieme,come indipendenza dal soggetto. Questi due concetti appaiono,di primo acchito, contraddittori, poiché ci si può obiettare:come si può concepire una conoscenza valida per molti sog-getti, sia pure per una comunità scientifica, un conoscere in-dipendente dal soggetto, se l’attività conoscitiva è, per sua na-tura, personale, cioè propria di un soggetto? A questa do-manda si può rispondere ammettendo la possibilità che tra imembri di una comunità scientifica si possa trovare un accordosui significati specifici e sui modi di utilizzare le stesse nozioni

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nell’ambito di una scienza. «In altri termini, l’accordo inter-soggettivo a proposito di una certa nozione, sia essa concre-ta o astratta, risulta dal fatto che i soggetti interessati di-spongono di un certo numero di operazioni, già comunemen-te condivise, le quali permettono di verificare l’uso uniformeche essi fanno di questa: ciò può già risultare a livello di espe-rienza quotidiana, ma risulta ancora più evidente nel caso del-l’intersoggettività scientifica, che è sempre legata all’uso diprocedimenti standardizzati, accettati e condivisi da una co-munità di scienziati in una data epoca storica».5

La filosofia ci dice il perché delle cose: tale perché “ha ache vedere” con le convinzioni e i valori morali che una per-sona interiorizza come ideali di vita: Socrate stava in prigio-ne negli ultimi giorni della sua vita non perché le sue gambelo portarono lì, ma perché le sue convinzioni morali erano ta-li che egli preferì la prigione alla trasgressione delle leggi diAtene, la morte ai rimorsi di coscienza. In tal senso, la filo-sofia studia l’anima, la scienza il corpo: questa dualità uma-na è ineludibile.

Il dottor Sesta mette in evidenza l’alta dignità dell’uomo ela sua superiorità di natura rispetto a tutti gli altri esseri. Intal senso, contro l’evoluzionismo darwiniano che opera una ri-duzione ontologica dell’uomo all’animale non razionale e lateoria freudiana che individua negli istinti sessuali l’origine diogni azione umana «sublimata», propugna un ritorno alla «per-sona» superando ogni forma di equiparazione indebita del-l’uomo con le altre forme viventi: l’anima è il principio diunità della persona umana in cui si attestano le sue istanzespirituali e morali. Le scienze fisico-chimico-matematiche nonne possono dimostrare l’esistenza, ma neppure possono am-metterne semplicisticamente l’inesistenza; la filosofia, invece,ha gli strumenti metodologici e concettuali atti a darne ragio-ne. Partendo dai vissuti della nostra vita quotidiana, essa puòdimostrare che noi siamo più che agglomerato di atomi, più che

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5 E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza. Le dimensioni etiche dell’impresa scientifi-co-tecnologica, Rusconi, Milano 1992, p. 30.

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corpo, più che sistema psico-fisico: siamo un’unità di corpo espirito. Ciascuno di noi è una “persona”. «L’origine da unamateria comune, quale può essere la vita organica, non cancelladunque le differenze qualitative tra le varie forme di vita».

I tre relatori hanno seguito nella loro esposizione il filoconduttore della ricerca della persona: la certezza della suaesistenza, in definitiva, è il risultato cui pervengono – assu-mendo punti vista disciplinari, metodi e linguaggi diversi – lascienza, la fede e la filosofia quando sono impegnate insiemenella ricerca della verità sull’uomo e sul mondo. La conclu-sione, allora, è questa: il mondo, e in esso l’uomo con i suoiproblemi, i suoi travagli e i suoi interrogativi, pur nel miste-ro che li vela, hanno una loro intellegibilità.

Il Centro Culturale Monte Grifone ringrazia sentitamentei tre relatori intervenuti, augurandosi che in futuro possanoripetersi – come è auspicabile – incontri culturali qualificaticome questi, all’insegna del dialogo con le nuove generazioni ea beneficio della loro formazione integrale.

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1 Premessa

Da un incontro con studenti liceali, tenutosi il 9 marzo 2005,ho avuto lo spunto per scrivere queste brevi considerazioni sulrapporto tra fede e scienza. Mi sia consentita una esposizio-ne disinvolta, colloquiale, lasciando al lettore la possibilità disviluppare autonomamente queste idee e di approfondire conla ricerca personale il loro valore di verità. Inquadriamo le no-stre considerazioni nella cornice di questo quadro di fondo:

“L’uomo è un essere limitato”.

• Limitato in tantissimi sensi: fisici, intellettuali, morali…• L’uomo non è il padrone assoluto della sua esistenza.• Certamente possiamo suicidarci (e non è neppure detto che

riusciamo veramente ad annullarci, ad annichilirci; al dire dialcuni qualcosa di noi è eterno!), ma certamente non siamostati noi a darci l’esistenza. La nostra esistenza è frutto diuna grandissima varietà di circostanze fisiche, intellettuali,morali. Siamo esseri limitati, dati, con la nostra natura, lanostra struttura (se non ti piace la parola natura).

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* Diego Molteni è Professore Associato di Teoria della Relatività presso la Facoltàdi Scienze dell’Università degli Studi di Palermo.

Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personaleDiego Molteni*

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«La nostra esistenza è stata voluta».

Così Paul Davies chiude il suo libro La mente di Dio: «Lanostra esistenza è stata voluta». Ma proprio perché siamo sta-ti “voluti”, ne segue che ciò che siamo non è in modo totalee pieno solo nostro, così da poterci comportare da padroni, ar-bitri insindacabili. E così anche il nostro rapporto col mondoè segnato dalla nostra finitezza. Il mondo non è dipendente dame, non è totalmente mio. Va bene, sono “finito”, sono limi-tato … e allora? Accettare la nostra finitezza ci deve portarea essere umili, a non essere così sicuri di noi stessi, a guarda-re i fatti, ad ascoltare le esperienze degli altri, a essere aper-ti, a non prendere come metro di giudizio il mio interiore sen-tire, a rispettare il dato della nostra natura, a cercare di capi-re e rispettare il progetto che non è stato ideato da noi. Lamia ira o il mio compiacimento mi possono accecare. La sin-cera ricerca della verità e l’impegno di conformarsi a essa è ilmiglior modo per risolvere qualsiasi conflitto.

2 Scienza e fede in breve

In “soldoni” il problema del rapporto fede-scienza, in fin deiconti, è riassunto banalmente in:• Gli antichi uomini adoravano dei e attribuivano a essi fat-

ti che la scienza moderna ha spiegato.• La scienza spiegherà ogni miracolo…• Galileo, la Scienza, aveva ragione; la Chiesa, la Fede lo ha

condannato.

I soldoni, però, molto spesso, sono falsi, sono patacche!Ma andiamo al dettaglio dell’analisi che vi propongo.

2.1 Scienza

La scienza (fisico-chimico-matematica) attuale è basata sullalettura dell’aspetto quantitativo di ogni fenomeno reale. Pone

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il filtro della quantità ai suoi occhi. Collega numeri, cerca discoprire ricorrenze, regolarità, che una volta che sono am-piamente confermate, essa chiama “leggi”. Cerca di costrui-re dei modelli semplici alla base della molteplicità dei feno-meni. Recependo del reale il solo aspetto numerico, si affidaalla matematica, al rigore della sua logica. Qui nasce la suaforza. E la natura, interpellata, risponde. Risponde sì o no al-le previsioni dei modelli. È evidente che essa è anche scrittamore matematico, come diceva Galileo, cioè in termini quan-titativi, numerici, matematici. La forza della scienza è nel ri-scontro che la natura offre alle sue ipotesi.

Tuttavia la conoscenza scientifica, a rigore, racchiude sem-pre un certo grado di provvisorietà. Ogni teoria, ogni model-lo è valido finché non venga contraddetto da qualche risul-tato sperimentale. Per avere una conoscenza scientifica cer-ta, anche restando nell’ambito del suo stesso metodo, si do-vrebbe, prima di trarre conclusioni definitive, sperimentaretutto lo sperimentabile e per un tempo infinito!

Si capisce subito che la conoscenza scientifica ha delle op-zioni metafisiche implicite nel suo agire: la reale, oggettiva,consistenza del mondo; il criterio di semplicità; la fiducia nel-la comprensibilità; la possibilità di individuare entità qualita-tivamente differenti. In questa ultima opzione si parla deltempo, dello spazio, dell’inerzia, si danno criteri operativi permisurarli. Non si risponde alla domanda “che cos’è il tem-po?”. Anzi, possiamo dire che questa domanda non può es-sere posta nell’ambito della scienza, poiché per la scienza que-sta domanda non ha senso.

2.2 Qual è, dunque, il grado di veridicità della scienza?

Oggidì grazie alla tecnica, ispirata dalla scienza, e grazie al suodominio (per altro non assoluto) sulla natura si è indotti a ve-dere nella scienza l’unica forma di conoscenza certa, sicura,indiscutibile, paradigma della verità. Ma a questo punto pos-siamo porci la domanda in termini stringenti: “La conoscen-za scientifica è l’unica conoscenza certa del reale?”. Un no-

1. Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personale 15

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stro giovane amico entusiasta della scienza ci risponderebbe:“sì!”. Sì? Ma perché? In base a quale criterio tu dai questarisposta? Se vuoi giudicare la veridicità del metodo, non puoiusare il metodo stesso. D’altra parte la domanda stessa è, mipare, difficilmente inquadrabile come domanda scientifica,empiricamente verificabile con un esperimento. Dire “sì” misembra un’assunzione molto forte sul piano della ricerca del-la verità delle cose, della conoscenza del reale. Direi che è mol-to più di un atto di fede nella scienza, è un atto di volontà diesclusione di ogni forma di conoscenza che non sia riducibi-le in forma empirica.

Questo non significa che la fede sia l’alternativa alla co-noscenza scientifica. Significa dare spazio alla ragione nonformalizzata nella matematica, dare spazio alla filosofia. Re-sta la possibilità di dire “questa domanda non ha senso (scien-tifico)” e, pertanto, la rifiuto. Ma non sarebbe questo un for-te dogmatismo scientista?

La situazione diventa maggiormente complessa se teniamoconto delle acquisizioni della logica della dimostrazione ma-tematica. Vale la pena almeno sfiorare questo argomento, per-ché è anche ricco di aspetti meta-fisici.

2.3 Gödel

Kurt Gödel nel 1931 ci dimostra in termini rigorosi, assolu-ti, matematici che, nell’ambito di un linguaggio formale suf-ficientemente ricco, esistono sempre delle proposizioni, nonbanali, sicuramente vere o false, ma che non sono dimostra-bili attraverso procedure algoritmiche di dimostrazione. Nonesiste alcuna procedura algoritmica, meccanica, che conduca adimostrare la verità o la falsità di quelle proposizioni.

Mi pare che abbiamo una visione riduttiva della dimo-strazione matematica: essa sarebbe un puro processo “mecca-nico” di logica che parte da determinate premesse. Ma Gö-del ci mostra che non è così.1

16 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

1 Si veda l’appendice per capire come opera la prova di Gödel.

Page 24: L’uomo tra scienza, fede, filosofia

L’uomo, anche un matematico al lavoro, non è un calco-latore, non è un agglomerato molecolare che operi meccani-camente. Chi ha sentito parlare della meccanica quantistica midirà che questo è ovvio, già assodato dalla fisica moderna.Ma, in tal caso, mi pare che la situazione non migliori. Mi do-mando: come fa un sistema non deterministico a produrre ri-sultati assolutamente univoci, certi, senza la minima possibi-lità di incertezza?

Personalmente sono convinto che la capacità di astrazionedell’uomo non è riproducibile attraverso processi algoritmici,meccanici, né quanto-meccanici. Nel momento stesso in cuidiciamo “il pensiero è un processo descrivibile esaustivamen-te in termini deterministici”, ammettiamo che il pensiero è al-goritmico. Se ciò fosse vero, avremmo sempre delle aree diindecidibilità nella nostra conoscenza. Quali siano queste areenon lo so, ma mi azzardo a dire che – dato che qui trattiamodel pensiero di fronte al reale in generale – molte questionimetafisiche sono indecidibili alla mente algoritmica. Se ciò èvero, allora la nostra mente non è algoritmica. E noi siamomolto più ricchi, più liberi, più irriducibili a meccanismo diquanto non possiamo pensare.

Direi quasi che siamo vicini alla dimostrazione della spiri-tualità dell’uomo. Anche se certamente qualche bravo filo-sofo mi dirà: c’era bisogno di complicarsi tanto la vita? Haimai incontrato il problema degli universali? Come è possibileche una struttura materiale, per quanto complessa, possa ac-cogliere in se stessa nozioni astratte, generalissime, non ri-scontrabili nell’empirico? Chi ha mai toccato con mano lo“zero” o anche il povero “due”? E qui siamo proprio agli al-bori dell’astrazione. Chi ha misurato il peso, la sezione d’ur-to della “parola”, dell’“idea”? Hai mai toccato con manoun’idea? Eppure tutti ne parliamo come di una cosa quoti-diana, anche quando non ne abbiamo una buona per risolverei nostri problemi. Già… i “problemi”… Fermiamoci qui, poi-ché ci rendiamo conto che tutto il nostro parlare è basato suenti astratti.

1. Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personale 17

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3 Fede

Che intendiamo con fede? Credere, ritenere vero, senza di-mostrazione, che Dio esiste? Credere che Gesù Cristo è Uo-mo e Dio nello stesso tempo? Tante religioni sono ricche difatti “soprannaturali”. Ma purtroppo esistono anche uominiimbroglioni, che nella loro ignorante furbizia mentale ingan-nano se stessi e gli altri, fanatici, che si sentono inviati da Dioper una speciale missione, e anche esistono uomini sprovve-duti e ingenui che scambiano lucciole per lanterne. Mi per-metto questa considerazione: l’unica persona che ci ponga unserio problema di fede è Gesù Cristo.

Infatti, Adam Smith, Maometto, Budda, Mosè, Abramo,ecc. hanno detto di sé di essere, al massimo, degli illumina-ti, degli inviati per manifestare la volontà di Dio. Nessuno harivendicato per sé uno status speciale. Solo Gesù si proponecome Figlio di Dio in un senso non metaforico: «Filippo, chi ve-de me vede il Padre» (Gv 14, 9).

Direi che il problema della fede è questo: Gesù Cristo è ve-ramente quello che lui dice di essere? In altre parole, egli e idiscepoli, che lo hanno seguito e hanno dato origine al cri-stianesimo, erano dei pazzi? Tutto il resto sono dettagli.

Certamente le istanze della fede e della scienza sono in-carnate in uomini concreti che possono sbagliare. Certamentesbaglia il teologo “a trasporre nel campo della dottrina dellafede una questione di fatto appartenente alla ricerca scienti-fica” e quindi a condannare Galileo. Certamente sbaglia Ste-ven Hawking dicendo che il mondo si è auto-creato a parti-re da una fluttuazione quantistica del vuoto, e molto più gra-vemente sbaglia Sartori2 a non riconoscere la dignità dellapersona umana in colui che non è tuttora cosciente di essereauto-cosciente. Ma i contenuti delle affermazioni della fede edella scienza vanno esaminati, compresi alla luce della verità.Mi/Vi ricordo che Gesù Cristo stesso ci propone di crederealle opere che egli ha compiuto: «se non credete a me, alme-

18 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

2 Si veda il Corriere della Sera, 27 febbraio 2005.

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no credete alle opere che io compio» (Gv 10, 38), operibus cre-dite, e «la verità vi farà liberi» (Gv 8, 32).

Per illustrare la qualità raziocinante della fede cristiana con-frontiamola con questo fatto: non esiste alcuna prova storicache Maometto sia mai stato a Gerusalemme. Da quanto neso, egli stesso non afferma di esservi stato, ma di aver so-gnato di essere stato assunto in cielo da Gerusalemme. I mu-sulmani credono che ciò sia avvenuto realmente. La moscheadi Omar si dice che custodisca il luogo sacro da cui Mao-metto avrebbe spiccato il volo per il cielo.

I cristiani non chiedono la rinunzia all’uso della ragione. Laverità è anche scientifica. Se Gesù Cristo non fosse realmen-te esistito e morto e risorto, la fede cristiana non avrebbesenso (cfr. 1 Cor 15, 14). Ma la scienza fisico-chimico-mate-matica ha gli strumenti per validare tale fatto? Per validarloora, adesso? Che vorresti perché fosse validato? Una serie difoto? La registrazione dei segnali fisici emessi dal masso cherotola via? La ripresa televisiva di un Gesù sfolgorante chesfreccia verso il cielo? Forse, possiamo riprodurre una “ri-surrezione” in laboratorio? Ci convincerebbe la testimonian-za unanime di almeno una dozzina, no!, meglio dire di uncentinaio di notai (di nazionalità diversa, di credo religioso di-verso, ecc.) convocati appositamente per l’occasione? Oppu-re, più semplicemente, il sinedrio al gran completo e magariuna certa folla stupefatta, così che il cristianesimo possa di-mostrare di possedere il crisma della scientificità e della irre-futabilità? Non mancano i miracoli nel corso della storia. AFatima il sole ha roteato nel cielo di fronte a migliaia di per-sone. Ne hanno scritto pure i giornali dell’epoca. Eppure gliscettici di ieri e di oggi non ne fanno gran ché: «sarà passa-to un micro black hole – dicono –, come escluderlo?». A Si-racusa una banale immagine di ceramica della Madonna ha la-crimato anche di fronte ai giornalisti vere lacrime umane, «masi sa, l’umidità fa brutti scherzi». A Lourdes gli occhi incre-duli di Alexis Carrel, al tempo medico scettico e futuro pre-mio Nobel per la medicina, videro tornare alla normalità ilventre gonfio di una malata di tubercolosi intestinale. Resterà

1. Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personale 19

Page 27: L’uomo tra scienza, fede, filosofia

testimone autorevole e interdetto della forza misteriosa, tra-scendente, ma realissima, della fede.

La Risurrezione, come tutta la vicenda di Gesù Cristo, sisitua sul piano dell’iniziativa di Dio e della libera rispostadell’uomo e si trasmette attraverso la dimensione della fede-fiducia. Questa dimensione non richiede l’abbandono dellaragione, anzi, «la fiducia è una cosa seria!», diceva quellapubblicità. Ma il rigore assoluto, formale, non è esigibile al-la realtà concreta dei rapporti umani, degli eventi storici.“Ahimé! Sarà sempre possibile la frode…, ma allora comefaccio a decidere?”. Usa la ragione, valuta, indaga, verifical’attendibilità dei testimoni, le premesse, l’ambiente… Alla fi-ne nulla potrà costringerti a “credere”, ma la scienza non ti im-pedirà di credere.

Per ultimo, voglio affermare che tra scienza e fede non vi èalcun problema. Il problema c’è tra scienziati presuntuosi edecclesiastici imprudenti. Al massimo il problema potrebbe por-si nel confronto ragione e fede. Non a caso il papa GiovanniPaolo II ha scritto la Fides et Ratio (1998). Comunque, la scien-za, con le strettoie del suo metodo quantitativo, non ha poimolto da obiettare, anche se certamente essa è da ascoltare qua-le portatrice di notizie, aspetti, fatti della realtà, del mondo.Se, quindi, accetta con umiltà il suo ruolo di cooperazione al-la ricerca della verità, essa sarà un efficace strumento per lacomprensione e la costruzione di un mondo migliore, una fi-nestra sul mondo che porterà anche alla contemplazione. Gio-vanni Paolo II ci disse che fides et ratio «sono come le due alicon le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazio-ne della verità».3 Noi sappiamo perché il mondo è compren-sibile: «Coeli narrant gloriam Dei» (Sal 18, 1).

20 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

3 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, San Paolo, Milano 1998, p. 3.

Page 28: L’uomo tra scienza, fede, filosofia

Appendice

Come opera la prova di Gödel

(dal sito internet: http://www.shef.ac.uk/~puremath)

Per avere un’idea di come opera la prova di Gödel ecco un teoremasemplice:

Teorema: Esiste una funzione f che assegna un intero positivo, a partireda un intero positivo, che non può essere calcolata da nessun computer.Nemmeno in linea di principio. Non è una questione di potenza!

Che vuol dire “f che assegna un intero positivo, a partire da un inte-ro positivo”? Ad esempio:

La funzione aggiungi uno: n ---> n+1La funzione aggiungi due: n ---> n+2La funzione quadrato: n ---> n*nLa funzione potenza di potenza: n ---> nn

… ecc., ecc.

Prova: Scrivere una lista P1, P2, P3, di tutti i possibili programmi cheaccettano un intero positivo come input e forniscono un intero positi-vo come output. Come si può fare?

Scrivi tutte le possibili sequenze di simboli (“strings”, liste ovvero– orribilmente – stringhe) e scegli quelle che sono dei programmi dicomputer sintatticamente corretti. La stringa n. 1 sia “a” (che non èun programma), la n. 2 sia “b” (che non è un programma), la n. 3 sia“c”, la n. 21 sia “z”, la n. 22 sia “aa”, e così via. Avremo una sequenzache recita “la vispa Teresa…” (che non è un programma). Avremo laDivina Commedia (che non è un programma). Avremo un sacco di“strings” inutili, ma avremo anche tutti i possibili programmi (co-struibili con un qualunque linguaggio di programmazione) che poi an-diamo ri-numerando progressivamente. Così alla fine avremo P1, P2,P3, ecc. Se diamo, in input, un numero “n” al programma Pk, ne otte-niamo il numero pk(n); così chiamiamo pk la funzione calcolata da Pk.

Il teorema afferma che esiste sempre una funzione “f” che non èeguale ad alcun pk qualunque sia k. Facciamo attenzione al program-ma da Pn e diamogli in pasto “n” stesso, che cosa otteniamo? Otte-niamo il numero pn(n). Ora definiamo proprio così la nostra “f”: essaaggiunge un “uno” al valore calcolato dalla funzione pn che agisce sul

1. Scienza e fede: considerazioni per un percorso di ricerca personale 21

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numero n. Cioè, f(n) = pn(n)+1. Vediamo che cosa fa questa fun-zione:

Allora f(1) = p1(1)+1 che ovviamente è ! p1(1), quindi la nostraf è ! p1. Similmente f(2) = p2(2)+1 ! p2(2), e quindi f ! p2. Conti-nuando allo stesso modo, vediamo che f ! pk per qualsiasi k. Ma scor-rendo tutti gli indici “k” abbiamo preso in considerazione tutti pro-grammi definiti inizialmente.

La “f”, quindi, è ben definita e “calcolabile”, ma non è includibi-le nella serie delle P che abbiamo identificato prima. Essa opera un“salto di classe”. Il teorema di Gödel fa un uso esteso dell’idea che iprogrammi possono essere rappresentati da numeri e che essi possonooperare su se stessi.

22 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

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1 La vita come totalità di Edith Stein

Agli inizi del triste gennaio 1933, Edith Stein tenne una con-ferenza sul tema «Formare la gioventù alla luce della fedecattolica», nell’ambito delle giornate di lavoro del Congressodell’Istituto Germanico di Pedagogia Scientifica di Münster,svoltosi nella Frauenbundhaus di Berlino-Charlottenburg. Dapochi mesi aveva ricevuto presso questo Istituto l’incarico ditenere corsi di discipline filosofiche e pedagogiche. Il testo diquesta conferenza fu pubblicato per la prima volta nel 1990dai curatori dell’opera omnia, nel volume La vita come tota-lità che raccoglie, come dice il sottotitolo, gli Scritti sulla edu-cazione [Bildung] religiosa.1 Alcune pagine appaiono, a una

23

* Antonio Bellingreri è Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale pres-so la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Palermo.

1 E. Stein, La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa (trad. dal tedesco),Città Nuova, Roma 1994. L’«Archivum Carmelitanum Edith Stein» di Bruxelles ini-ziò, a partire dal 1950, la pubblicazione di tutte le opere, Edith Steins Werke. Sonostati curatori L. Gelber e M. Linssen, presso la Herder Verlag (Freiburg i.B. - Basel -Wien; ma, nel caso di alcuni volumi, è indicata, come sede dell’editore, Louvain -Freiburg i.B.); a tutt’oggi di questa edizione sono comparsi diciotto volumi (l’ultimoè uscito nel 1998). Dopo la canonizzazione (11 ottobre 1998), l’«Internazionale EdithStein Institut» di Würzburg ha avviato, sotto la direzione di M. Linssen e con la col-laborazione di H.-B. Gerl-Falkovitz, una nuova edizione critica, Edith Stein Gesam-tausgabe in 24 Bänden, sempre per i tipi della Herder Verlag (Freiburg i.B. - Basel -Wien). L’editore prevede di portare a termine il progetto nel 2008; nel caso di alcu-ni volumi, si tratta di semplice ripubblicazione. Per la stesura del mio saggio ho po-tuto consultare le Edith Steins Werke. Cito tale edizione tedesca con la sigla W, seguita

Una dimostrazione pedagogicadell’esistenza della personaAntonio Bellingreri*

2

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prima lettura, una sorta di commento filosofico-pedagogicodell’enciclica di Pio XI, Divini illius magistri, diffusa, come ènoto, il 31-12-1929 e dedicata al tema dell’educazione cri-stiana.2

Si può considerare questo testo come punto di riferimentoper un’analisi della prospettiva di E. Stein sull’educativo, a mo-tivo del suo carattere sintetico, che lo rende una sorta di bre-viario; ma anche a motivo della circostanza storica in cui ven-ne scritto: quel tragico inizio del ’33, così gravido di conse-guenze funeste per la Germania e l’Europa. Con esso sonoraccolti altri testi e tutti ruotano attorno all’idea di Bildung cri-stiana; formano perciò una silloge che, rispetto alle altre ope-re dell’Autrice, si deve qualificare in senso proprio pedagogicao filosofico-pedagogica, come è preferibile esprimersi.

Certo, quando accettò l’incarico a Münster, E. Stein di-chiarò che era sua esplicita intenzione assumere il compito diuna ricerca e «giustificazione dei fondamenti della pedago-gia». Non si può però dire che col termine pedagogia Ella in-tendesse una scienza distinta, quanto al suo oggetto formale,da una filosofia dell’uomo e della sua educazione; l’esame deisuoi scritti mostra in modo sin troppo evidente, che per leinon c’è distinzione reale tra la pedagogia e l’antropologia fi-losofica dell’educazione. Si deve pertanto affermare che, conquella sua dichiarazione d’intenti, ella volesse piuttosto pen-sare la categoria di Bildung nell’orizzonte di una metafisica cri-stiana, tentativo che, poi, viene messo in opera, attraverso ladialettica di una posizione di principio antitetica alla sua:quella che pensa la formazione e i suoi problemi in primo luo-go ed essenzialmente in un orizzonte psicologico; oppure, ri-conducibili a una concezione empiristica dell’esperienza, al-

24 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

da una cifra romana che indica il numero del volume, mentre viene indicato tra pa-rentesi l’anno di edizione. La vita come totalità porta, nell’originale, il significativo(forse intraducibile) titolo, Ganzheitliches Leben; è stata pubblicata come W XII (1989).Il testo della conferenza «Formare la gioventù alla luce della fede cattolica» è, nellatraduzione italiana, alle pp. 209-231 (W XII, pp. 209-230).

2 L’enciclica, precisamente, reca la data del 31.12.1929. Sul suo significato e sulcontesto storico in cui va inserita, cfr. N. Galli (a cura di), L’educazione cristiana ne-gli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II, Vita e Pensiero,Milano 1992.

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l’interno di un paradigma positivistico, che nega per princi-pio ogni ulteriorità rispetto al dato «puramente naturale».3

La Bildung è quindi vero contenuto fondamentale e meto-do insieme per la riflessione condotta ne La vita come tota-lità. Di che si tratta?

Reputo, in primo luogo, che la categoria di Bildung sia quel-la che interpreta nel modo più adeguato l’itinerario esistenzialedi E. Stein. In particolare, la sua Bildung personale avviene at-traverso successive conversioni, che costituiscono un approfon-dimento, un pervenire per tappe a riconoscere e a scegliere lapropria forma personale. Noteremo che già prima dell’adesionepiena alla fede cattolica, Ella ha vissuto una prima conversionealla psicologia scientifica, da lei intesa in una caratteristica ac-cezione esistenziale; e una seconda conversione alla filosofia, dalei esperita come conoscenza vitale e formatrice. Vista in que-sta prospettiva, che non separa l’investigazione intellettuale e «glistadi nel cammino dell’esistenza», tutta la sua costruzione teo-retica presenta (anche quando il linguaggio appare molto tecni-co) un forte carattere autobiografico; quasi che sempre si trat-tasse di dover pervenire a una conoscenza oggettiva del suo vis-suto soggettivo. L’intera sua esistenza – la sua sete inesausta diverità, la tensione al compimento – si rappresenta allora comeesistenza pedagogica: quasi un testo di pedagogia che ci offre unoriginale contributo nello stile della verità testimoniale.

L’idea di Bildung però porta anche, in secondo luogo, uncontributo di natura teorica, più specifico nel senso di una pe-dagogia scientifica. Per comprenderne la portata, si rende ne-cessario analizzare, prima degli Scritti sull’educazione religiosa,le due opere anteriori alla conversione, Il problema dell’empa-tia e Psicologia e scienze dello spirito.4 L’analisi fenomenologi-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 25

3 Cfr. E. Stein, «I tipi della psicologia e il loro significato per la pedagogia» (1929),in Id., La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, pp. 44-49 (W XII, 47-51).

4 E. Stein, Il problema dell’empatia (trad. dal tedesco), Studium, Roma 1998 (è l’e-dizione che qui citerò; esiste infatti un’altra traduzione italiana, a cura di M. Nicoletti,col titolo L’empatia, Franco Angeli, Milano, 1986. L’opera è del 1917; non è stata pub-blicata nelle Werke, ma a Halle, Bruckdruckerei des Waisenhauses); Id., Psicologia escienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica (trad. dal tedesco), Città Nuo-va, Roma 1996 (non è stata pubblicata nelle Werke, ma a Tubinga, Niemeyer, 1970).

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ca dell’empatia conduce E. Stein a pensare la struttura di unacomunicazione autentica che apra per il soggetto la possibilitàdi esperire con altri soggetti un mondo comune e di abitareuna comunità di persone. Come mostreremo, è possibile, apartire da questa analisi, interpretare la relazione educativacome relazione empatica e di riconoscimento reciproco, nellaquale ciascuno, in virtù dello sguardo e del giudizio dell’altro,è aiutato nella costituzione del suo sé autentico.

Il secondo testo contiene invece in abbozzo un’ontologiadello spirito, una sorta di dimostrazione filosofica e pedago-gica dell’esistenza dell’uomo: la dimostrazione che lo spiritonell’uomo (pneuma) è irriducibile ai vissuti psichici (psyché) evive di vita propria. È un aspetto di grande importanza sot-to il profilo critico: in primo luogo, perché risulta con ciòchiaro che la scoperta dello spirito avviene per E. Stein in untempo che precede la sua conversione e grazie alla filosofia fe-nomenologica; in secondo luogo, perché è proprio una taleontologia dello spirito il presupposto primo per istituire il sen-so originario della Bildung.

Ma quella di E. Stein è una Bildung cristiana, l’«Archeti-po» di ogni uomo, Forma perfecta dell’esistenza, è per lei Ge-sù Cristo. Siamo di fronte a un’antropologia teologica? E chene è della pedagogia, se – come appare a una prima lettura –il fine del cristiano, il fine dell’uomo e quello dell’educazio-ne vengono a coincidere nell’«uomo delle Beatitudini»? Unesame attento dei testi, a nostro parere, non consente di so-stenere fondatamente questa coincidenza dei fini. Soprattut-to però «il senso e la possibilità di una filosofia cristiana»vanno analizzati in tutta la loro complessità; si tratta, a miogiudizio, di un’originale e articolata «situazione ermeneuti-ca». Vedremo allora che la filosofia cristiana – coincidente perE. Stein con la filosofia tout court – è un modo possibile diconcepire il pensare filosofico, in sé valido e legittimo. È lostile filosofico proprio di chi decide di permanere nella fre-quentazione del Mistero; di mantenersi in un atteggiamentodi ricerca «orante ed adorante» del Vero e ricevere come undono offerto «la luce che viene dall’alto», senza tradire mai

26 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

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la convinzione che i problemi vanno però pensati nel loro or-dine proprio.

Del resto, ciò che l’Autrice intende per «filosofia cristia-na» risponde per lei pienamente alla «vocazione originaria»del filosofare, che è la ricerca della verità tutta intera, la ten-sione a un senso e un senso assoluto per l’esistenza. Si trattadi una concezione per la quale la filosofia ha in quanto taleuna destinazione in ultima istanza pratica – o poietico-prati-ca. E sarebbe meglio dire che si tratta di una concezione pai-detica della filosofia, pensata ed elaborata come quella formadi sapere intesa, nel mondo della vita, a «portare soccorso»,con il logos e con la persuasione, al bisogno metafisico del be-ne costitutivo di ogni uomo.

L’esito è una posizione che contiene contributi utili perpensare oggi un’ontologia pedagogica, intesa – con e oltreHusserl – come ontologia regionale. Con e oltre Husserl, per-ché il metodo fenomenologico messo in atto da E. Stein èfrutto di una sua personale rielaborazione critica. È la feno-menologia come metodo liberato dall’«interpretazione ideali-stica del metodo stesso», operata – a parere della Stein – dal-lo stesso Husserl già con il secondo volume delle Idee e chene tradirebbe il senso originario. La fenomenologia, come cer-cherò di mostrare, conserva proprio quegli elementi sui qua-li utilmente si innesterà l’ermeneutica.5

2 L’esistenza personale come Bildung

Il tempo dell’esistenza di E. Stein può essere considerato co-me una costante ricerca e progressiva conquista della formapersonale, grazie alla quale Ella ha raggiunto la sua attuazio-ne. Ora, questa consiste, a ben vedere, in un itinerario di ap-profondimento: un andare dalla superficie delle cose, da ciò chedella realtà immediatamente ci si manifesta, alla profondità delreale, che è la profondità della superficie e che per lei coin-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 27

5 Secondo il senso che a tale «innesto» è dato da P. Ricoeur, «De l’interprétation»,in Id., Du texte à l’action. Essais d’herméneutique II, Seuil, Paris 1986, pp. 11-35.

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cide con la scoperta del nesso grazie al quale ogni ente de-terminato è legato all’Assoluto. Accostando con questa ideale tappe della sua esistenza e le opere del suo pensiero, repu-to perciò che sia meglio parlare di successive conversioni di E.Stein: sono appunto i momenti della sua personale conquistadi realtà, la progressiva conformazione alla sua essenza per-sonale.6

All’origine di tutto è posta – così in fondo accade, diver-samente, a ogni uomo – una determinata intuizione di sé, delmondo e del proprio rapporto col mondo. Questa comprensioneglobale del senso dell’essere si presenta, al soggetto che la vi-ve o a chi in modo simpatetico la esperisce con lui, come uninsieme di tensioni indefinite, un indefinito aspirare, che èdesiderio d’essere in pienezza: un «ethos» originario – così lochiama E. Stein – che si dà solo per adombramenti, tra i qua-li di tanto in tanto penetra, come in uno squarcio, un fasciodi luce piena.7 La vita può diventare allora, così pensata e co-sì vissuta, il tempo di una rivelazione sempre più adeguata(sempre meno inadeguata) di sé a sé, fino ad arrivare – se maiciò possa accadere – a vedersi come in uno specchio perfetta-mente trasparente. È una rivelazione, lo vedremo, che secon-do E. Stein non avviene in modo saltuario e che accade sem-pre in un’opera d’interpretazione critica dell’immagine (dellemaschere) che ci costruiamo di noi stessi.

2.1 Conosciamo alcuni aspetti della biografia di E. Stein, del-la sua infanzia e della sua giovinezza, attraverso il testo Sto-ria di una famiglia ebrea. Lineamenti autobiografici; e della suaprima e piena età adulta, grazie ai due volumi dell’Autori-tratto epistolare.8 Il primo fatto evidente è che, nonostante un

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6 Cfr. M. J. Dubois, «L’itinéraire philosophique et spirituel d’Edith Stein», RevueThomiste, 1973, 73, pp. 111-118; A. Bellingreri, «Una vita come ricerca: le conver-sioni di Edith Stein», Nova et Vetera (edizione italiana), 1999, 3-4, pp. 165-174.

7 Cfr. E. Stein, «Ethos della professione femminile» (1930), in Id., La donna. Ilsuo compito secondo la natura e la grazia (trad. dal tedesco), Città Nuova, Roma 1987,pp. 49-66; pubblicato come W V (1959).

8 E. Stein, Storia di una famiglia ebrea. Lineamenti autobiografici: l’infanzia e gli an-ni giovanili (trad. dal tedesco), Città Nuova, Roma 1992; opera scritta nel 1933-1934e 1937 e pubblicato come W VII (1965). Id., Selbstbildnis in Briefen. I Teil: 1916-1934

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po’ di formalismo nell’ambiente familiare, grazie alla madre,donna forte e intera, Edith resta una figlia d’Israele. Porteràperciò – ecco un particolare da non trascurare – nel suo ba-gaglio culturale, anche la «valigia biblica». Colpisce comun-que più di ogni altra cosa, la sua inquietudine che la porta,durante i primi anni di liceo, a definirsi «atea» e insieme sem-pre «assetata di verità».9 In che senso?

Viene in chiaro qui un primo aspetto di quell’intuizione ori-ginaria, cui si è sopra fatto cenno, e il senso di ciò che pos-siamo chiamare la prima conversione di E. Stein, la conver-sione alla psicologia scientifica. Questa giovane donna ha sen-tito, sin dall’adolescenza, bruciarle dentro quasi fossero del-le ferite, quelle domande che ogni uomo che viene a questomondo sente urgere, prima o poi, nel proprio cuore: chi so-no? Qual è l’impronta che mi definisce? Oppure, sintetica-mente: qual è il segreto del mio cuore? Ora, è chiaro che nonsi può rispondere a questi interrogativi, se non si intuiscequalcosa della nostra origine (il donde) e del nostro destino (ildove); ciò solamente può farci comprendere se siamo fatti se-condo un modello; se tale modello sia una sorta di dono gra-tuito, anche solo determinato dal caso; o se in qualche modosia in nostro potere crearlo, dando una forma a ciò che è so-lo pura potenzialità.

La prima conversione di Edith, che aiuta a capire qualco-sa del suo «ateismo», è alla psicologia che a molti, in quei pri-mi anni del secolo, sembrò potesse portare una risposta esau-riente sul cuore umano. La psicologia sperimentale si presen-tava allora come una «scienza nuova», in possesso delle chia-vi dell’anima, capace di conoscere i meccanismi secondo cuisiamo fatti e la cui risultante è ciò che chiamiamo l’io. Trat-tandosi di meccanismi, è possibile perciò, conoscendoli, pa-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 29

e Id., Selbstbildnis in Briefen. II Teil: 1934-1942, pubblicati come W VIII (1976) e WIX (1977). Questi due volumi non sono ancora tradotti in italiano, mentre esiste unatraduzione spagnola, in unico volume: Autorretrato espiritual (1916-1942), a cura di J.M. Garcìa Rojo, Ed. de Spiritualidad, Madrid 1996. È solo un florilegio invece il te-sto Id., La scelta di Dio. Lettere dal 1917 al 1942, Mondadori, Milano 1998.

9 E. Stein, «Gli anni di studio a Breslavia», in Id., Storia di una famiglia ebrea. Li-neamenti autobiografici: l’infanzia e gli anni giovanili, pp. 168 ss.

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droneggiarli e svelare infine ciò che, solo per ignoranza, de-nominiamo segreto, ma che per la psicologia tale non è. Ènecessario solo il coraggio di accettarsi così come siamo, fa-cendo morire il nostro orgoglio di fronte alle furberie e allanascosta complicità con le tante tensioni che non esprimonola nostra «coscienza migliore», che si presentano anzi in evi-dente contraddizione con esse, ma che pure costituiscono iltessuto connettivo della nostra psiche.10

2.2 La seconda conversione avviene grazie all’incontro conHusserl, che E. Stein considererà sempre suo maestro, e conil Circolo fenomenologico di Gottinga.11

Da Husserl ella riceve la conferma della necessità di con-siderare, oltre il valore, anche i limiti della psicologia. E il pri-mo limite è costituito dal fatto che non è possibile, come al-cuni autori pretendevano, considerare le leggi della nostra co-noscenza solo come leggi psicologiche. Se così fosse, ognunoresterebbe chiuso nell’ordine dei suoi pensieri e «vittima» inqualche modo del funzionamento della propria psiche. Se co-sì fosse, soprattutto non sarebbe possibile parlare di una co-noscenza oggettiva in sé valida, indipendentemente dai processipsicologici attraverso cui, quanto alla sua genesi, si forma innoi. Le leggi della conoscenza oggettiva sono invece raziona-li perché posti dalla ragione. Così come parlando in generaledella «coscienza trascendentale», i vissuti personali del sog-getto, nella misura in cui formano un’unità di senso intelligi-bile (trovata o posta che sia dal soggetto stesso), appartengo-no a un ordine razionale e fanno del soggetto un individuo dinatura razionale.12

Da Husserl però E. Stein apprende in primo luogo un me-todo nuovo di pensare, la fenomenologia, presentato dal mae-stro come quello che permette di considerare la filosofa una

30 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

10 Cfr. R. Cerri Musso, La pedagogia dell’Einfühlung: Saggio su Edith Stein, La Scuo-la, Brescia 1995, p. 29.

11 Ibi, pp. 17-21. Ma anche, cfr. L. Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di EdithStein, Città Nuova, Roma 1992, pp. 16-33.

12 Cfr. E. Husserl, Ricerche logiche (trad. dal tedesco), Il Saggiatore, Milano 1968,p. 72.

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«scienza rigorosa» e insieme una «scelta di vita», capace diconferire un orientamento libero e razionale alla nostra esi-stenza.13 E. Stein è attratta in special modo da questo ulti-mo aspetto e l’approfondisce con originalità, convincendosiche la ricerca filosofica è investigazione intellettuale e insie-me (essenzialmente) coinvolgimento di tutta l’esistenza; e cheperciò la formazione personale si attua soprattutto attraver-so la conoscenza filosofica. Questa può divenire una cono-scenza vitale, che coinvolge sin nelle sfere intime del nostrocuore e della sua apertura all’essere; e una conoscenza for-matrice, che mentre lo rivela, dà insieme forma al sé perso-nale. Ci forma infatti ciò che, così come l’intelletto l’inter-preta e il volere lo ama, penetra nella nostra intimità e donaluce (senso) e forza (energia) a quel desiderio d’essere che giàda sempre ci costituisce. Per questo l’esito di una tale Bildungfilosofica adeguatamente intesa è una personale Weltan-schauung che esprime e rivela la propria cifra ontologica: il mo-do unico di esercitare l’esistenza o di abitare il mondo, checiascuno di noi è e che declina l’universale essenza umana inuno stile irripetibile.14

E. Stein assimila il metodo di Husserl e, come risulta giàevidente da quanto appena detto, in qualche modo lo ripen-sa, applicandolo con originalità nelle sue prime opere pro-priamente filosofiche pensate e scritte prima della sua con-versione cristiana, Il problema dell’empatia e Psicologia e scien-ze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica.15 In unparagrafo seguente prenderemo in esame lo scritto sull’empa-tia (che è del 1917); il suo contenuto e il metodo presentanoinfatti un nesso non estrinseco con l’idea di Bildung e un in-teresse diretto per la pedagogia che rende opportuno un esa-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 31

13 Id., La filosofia come scienza rigorosa (trad. dal tedesco), Paravia, Torino 1958,pp. 38 ss; Id., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (trad. daltedesco), Il Saggiatore, Milano 1961, p. 37.

14 Nel senso messo in evidenza da A. Kaiser, «Introduzione. La struttura storico-critica dell’ebraismo tedesco tra Ottocento e Novecento: pedagogie della Bildung», inId. (a cura di), La Bildung ebraico-tedesca del Novecento, Bompiani, Milano 1999, p.3; ma già da M. Gennari, Storia della Bildung. Formazione dell’uomo e storia della cul-tura in Germania e nella Mitteleuropa, La Scuola, Brescia 1995, pp. 9-10.

15 Opere citate prima nella nota 4.

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me più analitico. Nel secondo libro (che viene pubblicato nel1922, anno in cui l’Autrice riceve il battesimo, ma che è sta-to interamente concepito negli anni precedenti), E. Stein di-mostra l’incapacità della psicologia empirica a dirci che cosasia veramente la realtà psichica nella sua globalità. Essa si li-mita infatti – questo è il suo assunto – a descrivere gli aspet-ti di superficie, quelli osservabili empiricamente e descrivibi-li con obiettività. Si tratta però, con essa, dello studiodell’«anima del corpo», la psiche, e non dell’«anima dell’ani-ma», lo spirito. La psicologia sperimentale, in breve, non rie-sce a penetrare veramente, oltre e attraverso gli aspetti di su-perficie, la profondità dell’io.16

Per rispondere allora a quelle domande: che cos’è l’io? checos’è la psiche e il suo segreto? è necessario integrare la psico-logia scientifica con una riflessione filosofica, un’ontologia del-lo spirito. Ora, secondo E. Stein, una filosofia fenomenologi-ca in proposito ci dice, fondamentalmente, tre cose. In primoluogo, la psiche è irriducibile agli oggetti (naturali) e alle cose(artefatte); non è un «oggetto» o una «cosa».17 In secondoluogo, essa è sì unita intimamente al corpo, per il suo stessoesercizio o modo di essere; ma le forze psichiche (i pensieri,gli affetti, i comportamenti, ecc.) non sono lo stesso delle for-ze vitali (il sangue, i nervi, ecc.).18 In terzo luogo, nella nostravita psichica si manifestano fenomeni reali che non sono spie-gabili con i meccanismi descritti dalla psicologia, semplice-mente perché li neutralizzano, mettendoli fuori causa; si pon-gono infatti su di un piano che, mentre li attraversa, li tra-scende: quasi vivessero di vita autonoma rispetto ad essi.

In effetti, già solo «mettere tra parentesi», come amavaesprimersi Husserl, le nostre convinzioni «naturali» o le no-stre tendenze spontanee implica un atto di libertà e una vo-lontà di verità, manifestanti in noi una realtà che non è so-lo psichica, così come non è solo corporale. Gli atti di li-

32 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

16 E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica,pp. 65-71.

17 Ibi, p. 42.18 Ibi, pp. 56 ss.

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bertà e la volontà di verità manifestano in noi una realtà,più profonda rispetto alla superficie perché fondamentalmented’altro genere, che la tradizione culturale dell’Occidente, fi-losofica, teologica e artistica, ha denominato appunto col ter-mine spirito.19

Ma, di nuovo, che cos’è lo spirito? e qual è la sua ontolo-gia?20

2.3 È nella risposta a questa domanda che E. Stein compie unaterza conversione, quella che si manifesta come un approfon-dimento e insieme come un «mutamento d’altro genere». Ènoto l’episodio: leggendo, in una notte intensissima, l’auto-biografia di Teresa d’Avila, è costretta alla fine a cedere aun’evidenza che le si manifesta: «È qui tutta la verità!».21 Secerchiamo di svolgere un’analisi fenomenologica del suo vis-suto, comprendiamo tutta la singolarità di questo evento. Sitratta però di svolgerla riportandola a ciò che il linguaggiodella teologia cattolica chiama «l’evidenza della fede» e la cuichiave interpretativa è nelle parole di Gesù, quando affermache possono riconoscere il Mistero solo coloro che, accettan-do di abbandonarsi ad Esso, ricevono da Dio la luce e gli oc-chi per poter vedere.22 Come è possibile?

È stato scritto che ci si trova qui di fronte a un «saltoenigmatico», che accentua la complessità di questa filosofa –ebrea, cattolica, carmelitana, martire… – e che rende tutt’al-tro che semplice comprenderne il destino personale: il senso,la radicalità e una certa «ostinazione» nelle sue scelte.23 Bi-sogna riconoscere con chi ha formulato questo giudizio che

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 33

19 Ibi, p. 72.20 Oppure Lo statuto antropologico dell’essere spirituale, come si esprime, nel sotto-

titolo, A. Kaiser, Gnoseologia dell’educazione, La Scuola, Brescia 1998.21 Cfr. Renata De Spiritu Sancto, Edith Stein (trad. dal tedesco), Morcelliana, Bre-

scia 1952, p. 113.22 Gv 1, 12-13: «Quotquot autem acceperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fie-

ri, his, qui credunt in nomine eius, qui non ex sanguinibus neque ex voluntate carnisneque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt» (Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Edi-tio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 1586; sottolineature mie).

23 L. Boella-A. Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Raf-faello Cortina, Milano 2000, p. 13.

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molta letteratura agiografica, fiorita soprattutto negli ultimianni, affronta la questione con troppa fretta e conclude ri-conducendo tutto alla «pura fede» di una donna eccezional-mente assetata di Assoluto. Bisogna però anche riconoscereche sia il parlare di «pura fede» sia il riferimento al «saltoenigmatico», entrambi i giudizi quindi, non giovano a inten-dere che cosa sia questa conversione così carica di mistero ea comprendere quale sia stato veramente il vissuto personaledi E. Stein. E infatti: un salto c’è stato; ma, preparato dalleprecedenti conversioni, è un salto verso la luce più piena. Co-sì come c’è stata la fede, ma è una fides oculata, una fede chevuole tenere gli occhi aperti, per così dire. Di quale luce,però, e di quali occhi, qui si tratta? Quale singolare para-dosso vive questa fenomenologa che è pervenuta, con Husserl,a porre come criterio di verità proprio l’evidenza?

Come E. Stein stessa racconta, è l’evidenza della fede, unavirtù soprannaturale che ella riceve nell’ora della conversionee che non annienta, ma porta a pienezza le altre virtù natu-rali.24 Di fronte al testo di Teresa, ella riconosce ciò che, conevidenza, le appare, perché si manifesta da sé e perché, pro-prio nel manifestarsi, dona agli occhi una luce che la rendecapace di vedere una realtà che, altrimenti, i suoi occhi da so-li non sarebbero stati in grado di percepire. Possiamo anchedire, più brevemente, che ella riceve il dono della luce, unagrazia che viene dall’alto e per questo ha occhi capaci di ri-conoscere con libertà consapevole e vigile ciò che le si offreallo sguardo. Non può essere diversamente: E. Stein vede eperciò sa che è proprio il buon Dio – la stessa Trinità Santa,che è la «Verità tutta intera» – a rivelarsi a lei. Ma sarebbespropositato, irragionevole, nel modo di vedere della filoso-fia fenomenologica, pensare che ciò possa accadere solo in ra-gione della sua sete di Assoluto. È piuttosto un’Iniziativa di-vina, Libertà amorosa, quella di mostrarsi e di scegliere laforma stessa del mostrarsi: donando alla mente e al cuore la

34 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

24 Cfr. Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae: I. De Veritate, q. 14, a. 2, Re-spondeo; dove viene citato Gv 6, 4: «Qui videt Filium et credit in Eum, habet vitamaeternam» (Editio leonina, Marietti, Roma-Torino 1964, p. 283).

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luce che rende la «piccola Ester povera e impotente» real-mente e veramente atta a entrare in rapporto personale col Mi-stero stesso intradivino.25

Fedele a se stessa, al suo «ethos» e al suo itinerario di ap-profondimento che porta già da sempre una sorta di premo-nizione in tal senso, E. Stein pertanto riconosce e sceglie quelche le accade, decidendo, in quel momento, come lei stessatestimoniò, per Dio per Cristo per la Chiesa per il Carmelo,quasi si trattasse di una sola medesima realtà.26 Comprendia-mo allora quale inaudita verità le si è aperta, in quel mo-mento, a proposito dello spirito umano, la cui ontologia lei hagià indagato grazie alla filosofia. La domanda originaria chesempre l’ha accompagnata trova ora una risposta a tutta pri-ma impensabile, comunque sorprendente.

Lo spirito umano, così apprende a esprimersi E. Steingrazie alla frequentazione di Tommaso d’Aquino, è definitodal «desiderio naturale di vedere Dio».27 Si tratta di un se-me deposto nel nostro essere e che col nostro stesso esserericeviamo; un ethos originario che è insieme energia e for-ma, disposizione e tensione reale a un compimento secondouna natura personale che è in sé determinata. È desideriumessendi, istanza a essere in pienezza; forza che muove ogni uo-mo sin dal suo ingresso in questo mondo alla ricerca, ine-sausta ancorché spesso confusa, perché, fedele a se stesso,possa «attuarsi». Ogni incontro, fugace o duraturo, contie-ne una profezia di tutto questo: l’altro, il suo volto, ci in-terpella; e avviene, attraverso gli incontri, che il desiderio sivada rivelando, sia pure per tracce, a se stesso. Se un uomonon si mantenesse disponibile all’appello e all’incontro, quel

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 35

25 E. Stein, Lettera 31.10.1938, «A una superiora», in Id., La scelta di Dio. Let-tere dal 1917 al 1942, p. 107. Cfr., inoltre, H. U. Von Balthasar, Una estetica teologi-ca. 1: La percezione della forma (trad. dal tedesco), Jaca Book, Milano 1975, pp. 115ss. e 403 ss.

26 A. Sicari, «Edth Stein», in Id., Ritratti di santi, Jaca Book, Milano 1988 p. 150.27 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 2, art. 8 (Editio Leonina, Ma-

rietti, Roma-Torino 1962, vol. I, p. 15). Frutto dell’intenso lavoro di conversione del-la mente è la traduzione tedesca del De Veritate: E. Stein, Des hl. Thomas von Aqui-no Untersuchungen über die Wahrheit; opera degli anni 1929-1931, pubblicata come WIII (1952) e IV (1955).

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desiderio costitutivo resterebbe per lui sempre e solo il suoaltro dentro di sé, un tesoro nascosto e un bene destinato adeperire.28

L’Incontro singolare però di cui E. Stein ha fatto espe-rienza vissuta e di cui ci parla reinterpreta completamentequesta dialettica del desiderio. Infatti, è vero, da un canto,che il desiderio d’essere in pienezza si rivela proprio comedesiderio naturale «di vedere Dio», solo incontrando Dio. D’al-tro canto, però, Dio «nessuno lo ha mai visto»; pertanto,questo desiderio, pur essendo naturale, resterebbe da ultimoinefficace, oscuro e inerte, se Dio stesso non prendesse l’ini-ziativa di farsi «vedere», manifestandosi all’uomo in qualchemodo e in qualche forma che deve essere comunque pur sem-pre umana. Accade solo allora che il desiderio innato dello spi-rito umano sia aiutato a trovare il senso del suo possibile com-pimento. Ma per E. Stein, discepola di Teresa d’Avila, acca-de anche qualcosa di più: a ogni uomo che accetta la completaspoliazione di sé, per lasciar esser e accogliere lietamente ciòche si manifesta, si apre la possibilità di un sovra-compimen-to. Infatti, il Dio che si fa incontro all’uomo chiede di di-morare nel Cuore del suo cuore, in una dimora che Egli stes-so ha riservato per sé nello spirito umano.29

In due brevi opere, Il castello interiore e Natura e sovrana-tura nel “Faust” di Goethe, E. Stein medita, in sede di erme-neutica dei testi di Teresa d’Avila e di Goethe, su questa ve-rità spirituale che lei ha intuito, in modo così imprevedibileeppure così definitivo, nell’estate del 1921.30 Si tratta di unasorta di fenomenologia dell’infinità dell’anima umana, un’a-nalisi delle capacità inaudite e, per la maggior parte degli uo-mini, inespresse, che definiscono la reale sostanza dell’uomo,

36 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

28 E. Stein, Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere (trad.dal tedesco), Città Nuova, Roma 1988, pp. 445-448 e 450-458; opera completata nel1936 e pubblicata come W II (1952).

29 Ibi, pp. 461 ss. e 470-472. Inoltre, cfr. H. De Lubac, Il mistero del soprannatu-rale (trad. dal francese), Jaca Book, Milano 1978.

30 E. Stein, «Il castello interiore. Esposizione di S. Teresa di Gesù» (trad. dal te-desco), in Id., Natura persona e mistica, Città Nuova, Roma 1997, pp. 115-148; testoscritto nel 1936 e pubblicato in W VI (1962). Id., «Natura e soprannatura nel “Fau-st” di Goethe», ibi, pp. 29-48; testo probabilmente composto nel 1932.

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la sua verità. E. Stein ha riconosciuto e scelto questa veritàe ha deciso di impegnare per essa tutto, sino alla offerta estre-ma di sé ad Auschwitz.

3 Il problema dell’empatia

Il problema dell’empatia è l’argomento scelto per la sua tesi didottorato. La prima idea le venne riflettendo su alcune bre-vi considerazioni svolte da Husserl nelle sue lezioni su «Na-tura e spirito». Per il suo maestro la conoscenza oggettivanon è soltanto una conoscenza inerente agli oggetti così co-me si presentano alla coscienza; essa è tale anche in quanto«intersoggettiva». La nozione stessa di «esperienza di un mon-do esterno di oggetti» implica infatti una pluralità di sogget-ti che, da diversi punti di vista e con interessi diversificati,percepiscono una stessa realtà e possono così comunicare traloro. Proprio questa possibilità di comunicazione reciprocaviene denotata da Husserl col termine Einfühlung (che noitraduciamo abitualmente con “empatia” perché originaria-mente significa “intuizione per simpatia”, “immedesimazio-ne”). Husserl cita a proposito i testi di Th. Lipps, dove tro-va questo concetto; ma si limita a respingere la prospettiva«sperimentalista» dell’Autore, senza presentare argomenta-zioni specifiche.31

E. Stein intuisce che il tema è carico di significato, ben dilà dal problema della conoscenza oggettiva come intersogget-tività. Vede, in sostanza, che non si tratta solamente di unproblema di gnoseologia, ma interessa il più vasto mondo del-la comunicazione umana, la costituzione di senso della personae della comunità. Decide perciò di studiarlo, approfondendole riflessioni del maestro nel senso di ciò che, già allora, nelperiodo precedente la conversione cristiana, chiama un’onto-logia dello spirito.

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 37

31 Cfr. S. Vanni Rovighi, La fenomenologia di Husserl, Celuc, Milano 1973, pp. 40-42 e 90.

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Ma non solo a proposito del contenuto scelto noi trovia-mo un approfondimento personale della posizione di Husserl;E. Stein mette in atto, nel suo studio sull’empatia, una per-sonale interpretazione di tipo realistica (nel senso in cui que-sto termine si oppone a idealistica). Semplificando, per bre-vità, possiamo presentare la cosa osservando che la fenome-nologia che ella ha in mente è piuttosto quella delle Ricerchelogiche, forse di alcuni punti del primo volume delle Idee, manon della prospettiva complessiva di quest’opera. E. Steinpercepisce infatti che con quest’opera Husserl perviene aun’interpretazione idealistica del suo metodo, ciò che, a suogiudizio, porta a stravolgere il senso originario del metodostesso.32

L’empatia, come tutti i vissuti della coscienza, non è unsentimento vitale, ma un atto psichico; come tale viene stu-diato dalla psicologia sperimentale. La prospettiva della feno-menologia va però oltre: essa studia gli atti in quanto inten-zionali; gli atti che, per essere segnati o posti in essere dallalibertà e dalla conoscenza riflessa, non sono psichici, ma spi-rituali; in breve, l’analisi fenomenologica è analisi di strutturadegli atti intenzionali. Ora, come si legge anche nel testo Psi-cologia e scienze dello spirito, struttura degli atti intenzionali èla motivazione; si tratta, infatti, di atti che l’io compie con unperché, e per questo sono razionali e liberi. Mentre gli impulsisensibili sono atti non motivati, sottoposti a una causazionequasi fisica, gli atti razionali sono atti compiuti perché se nericonosce e afferma il senso, prendendo le distanze dagli atteg-giamenti definiti «spontanei» (o naturali e ovvii), nella misu-ra in cui (perché, ancora) non sono ritenuti veri.33

Tra gli atti intenzionali, l’empatia è atto originario in pri-mo luogo perché è atto di costituzione dell’altro da me come

38 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

32 E. Stein, «La fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso d’Aqui-no. Tentativo di un confronto», in Id., La ricerca della verità. Dalla fenomenologia al-la filosofia cristiana (trad. dal tedesco), Città Nuova, Roma 1993, pp. 61-90; testo del1929 non pubblicato nelle Werke. Cfr. su questo punto, A. Ales Bello, Edith Stein. Lapassione per la verità, Messaggero, Padova 1998, pp. 20-1.

33 E. Stein, Il problema dell’empatia, p. 202; Id., Psicologia e scienze dello spirito. Con-tributi per una fondazione filosofica, p. 72.

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soggetto che ha parte al mio stesso mondo; ma soprattutto per-ché la costituzione dell’altro io è la condizione di possibilitàper la costituzione del proprio io. Costituzione, in questo con-testo, è quasi sinonimo di «donazione di senso» (Sinn-Ge-bung) o, più semplicemente, atto di significazione. Si tratta diun termine chiave per la fenomenologia e la semantizzazionefa qui la differenza: solo intendendo, infatti, la donazione disenso come offerta e riconoscimento di senso, si evita quell’in-terpretazione idealistica del metodo rimproverata da E. Steinal maestro; e che induce a parlare piuttosto di conferimentodi senso.34

Nell’atto empatico l’altro si offre originariamente ed è ri-conosciuto come «corpo vivente» (Leib), e non solo corpomateriale (Körper), perché l’altro si presenta come soggetto.Io vedo che un mondo di cose e di oggetti, ma anche unmondo di altri soggetti si dispone attorno al suo sguardo.Tutto acquista un orientamento a partire dalla prospettiva chetale sguardo apre e che per ogni oggetto inteso costituisce unasorta di asse, un nucleo originante. Ora, per il soggetto chepercepisce empaticamente l’altro, per l’io, il tu non viene co-nosciuto per «associazione» o per «analogia d’inferenza», néper imitazione o per «unipatia», ci dice E. Stein, passandoin rassegna la letteratura critica – prevalentemente, quasiesclusivamente psicologica – sull’argomento. Ciò che l’altrovive o «esperisce» (erlebt) è il suo proprio vissuto e come ta-le non coincide con il mio proprio vissuto. Veramente origi-nario per me – questo ci rivela l’analisi di struttura dell’em-patia – è il mio sentire che l’altro sta vivendo un suo senti-re. Io, pertanto, non posso vivere la gioia e il dolore dell’al-tro, che è e resta il vissuto dell’altro; posso però percepire sim-pateticamente tale gioia o tale dolore, nella mia esperienza vis-suta che intende, per immedesimazione, ciò che l’altro staesperendo.35

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 39

34 Id., Il problema dell’empatia, pp. 204-217 e 217-218. Cfr. su questo, P. Ricoeur,A l’ecole de la phénoménologie, Vrin, Paris 1986, pp. 227-249.

35 E. Stein, Il problema dell’empatia, pp. 148-163.

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Accade allora che due soggetti vivano una stessa esperien-za; ma poiché questa ha risonanze differenti nel vissuto per-sonale di ognuno, è solo analogicamente la stessa esperienza.Solo così però nasce la possibilità di co-esperire il mondo, ov-vero la possibilità di avere un mondo comune: grazie alla co-municazione empatica, idonea a integrare le personali espe-rienze del mondo in una prospettiva che vede il differente co-me differente modo d’intendere l’identico. In altri termini,per l’analisi fenomenologica, ciò che del reale ci si offre vie-ne da ciascuno percepito secondo una prospettiva singolare edespresso con un linguaggio che è segnato dallo stile originaleche ciascun soggetto è. Ogni personale conoscenza (o inter-pretazione) del mondo è però insieme soggettiva (relativa al-la prospettiva del soggetto e perciò differente) e oggettiva(inerente a una stessa realtà intesa e perciò in qualche modoidentica): in breve, è una percezione differente dell’identicoe chiede per questo d’essere integrata.36

L’empatia non fonda però solo per E. Stein un mondo co-mune; essa apre la possibilità di vivere il noi, una comunitàdi soggetti. L’altro, infatti, è inteso come tu-per-un-altro-tu;oppure, un tu-con-me o tu-presso-di-me. È allora, grazie aquesta nuova possibilità, che l’empatia si rivela essenzialeper la costituzione di senso del mio proprio io. Se io fossi co-me una monade chiusa in sé, casa senza porte e senza fine-stre, a parte l’insuperabile opacità che resta in seno al miovedermi, io non uscirei mai da me stesso: non riuscirei so-prattutto a mettere in discussione le certezze che ho di me,del reale e del mio rapporto con il reale, per vedere argo-mentando se ciò di cui sono certo sia anche vero. L’empatia,la conoscenza che l’altro ha di me, il suo vivere con me lemie esperienze vissute, può essere invece la vera porta di ac-cesso alla realtà del mio sé, consentendomi di passare dallacertezza alla verità.37

40 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

36 Ibi, pp. 227-228. Su questo punto, cfr. V. Melchiorre, Corpo e persona, Mariet-ti, Genova 1987, pp. 53-91.

37 E. Stein, Il problema dell’empatia, p. 228. Cfr. V. Melchiorre, Metacritica dell’e-ros, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp. 54-60.

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4 Idee per una pedagogia fenomenologica

È evidente che E. Stein non aveva in animo di offrire, colsuo studio sull’empatia, un contributo pedagogico in sensoproprio. È però altrettanto evidente che queste analisi feno-menologiche costituiscono, tra le sue opere, quelle che di piùsi prestano a essere svolte nel senso di una pedagogia scien-tifica. L’intenzionalità pedagogica è piuttosto implicita e ilcompito del pedagogista che legge questa autrice potrebbeessere di rendere esplicito ciò che il suo testo suggerisce perriflettere sulla realtà educativa: per pensare l’empatia comecategoria pedagogica. Del resto, come già detto in prece-denza, senza tener presente quanto viene detto da E. Steinsull’empatia, non è possibile comprendere pienamente l’ideadi Bildung.

Ora, nella prospettiva pedagogica, l’analisi di struttura con-dotta da E. Stein è significativa innanzitutto perché consen-te di pensare la relazione educativa come relazione empatica.E. Stein perviene a una definizione meta-psicologica di que-sto vissuto, perché è visualizzato in quanto atto intenziona-le;38 l’azione educativa è atto intenzionale per eccellenza, se-gnato dalla conoscenza riflessa e libero. Concepirla pertantocome relazione empatica significa intenderla come relazionedi reciprocità, meglio di riconoscimento reciproco. Ciò che l’e-ducatore offre come proposta educativa è la rappresentazio-ne di un mondo di valori che l’educando può percepire comeforma per la sua persona, possibilità propria e sorgente di sen-so per la sua esistenza. Ma nel riconoscimento reciproco l’at-tenzione non è tanto per la persona stessa dell’educatore, èrivolta bensì a quel mondo che egli, nel modo di una causa-zione esemplare, apre per l’educando: un mondo che può es-sere comune e nel quale entrambi, educatore ed educando, lie-tamente possono abitare.39

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 41

38 Cfr. G. Corallo, Pedagogia: I. L’educazione. Problemi di pedagogia generale, SEI,Torino 1960, pp. 247 e 346.

39 Cfr. A. Bellingreri, «Parentele elettive. Una definizione pedagogica dell’inse-gnamento», Studium Educationis, 1999, 1, pp. 71-80.

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Approfondendo con un’interpretazione critica e creativa iltesto di E. Stein, emerge un’altra suggestione per la pedago-gia. Il tempo dell’esistenza può essere considerato come tem-po di un graduale pervenire a riconoscere e a scegliere la for-ma propria del desiderio d’essere che ci costituisce. Ora, larelazione empatica, per la sua struttura e per la sua dinami-ca, offre contenuto e metodo per affrontare questo difficilecompito. Lo sguardo dell’altro che co-esperisce il mio vissutopuò infatti esser d’aiuto a vedermi, reinterpretare le immagi-ni che io mi sono fatto di me e delle quali confesso di essercerto, traguardando una verità più ampia che può nascere dal-l’integrazione di una prospettiva su di me diversa dalla mia.40

A una condizione però, che è, a ben vedere, quella universa-le e necessaria, ancorché per se sola non sufficiente, di ognirelazione educativa: che l’altro sia costituito da un atteggia-mento etico di «rispetto» e mosso dalla volontà di prendersicura di me, in uno sguardo non espropriante e in un atteg-giamento di oblatività responsabile. Venendo meno tutto ciò,ogni relazione con l’altro (non solo quella educativa) sarebbepiuttosto misconoscimento e alienazione; gli altri, sarebberodavvero «l’inferno», per ricordare Sartre.41

Quanto qui esposto va oltre la lettera, non certo oltre lospirito dell’opera di E. Stein. Tale spirito, esplicato, può ren-dere Il problema dell’empatia opera attuale e interessante nel-la prospettiva pedagogica. Credo però che possa risultare an-cor più interessante per una pedagogia che voglia costituirsicome scienza distinta, il metodo stesso, quella reinterpreta-zione non-idealistica del metodo fenomenologico messo in at-to da E. Stein. Sono rilevanti per l’elaborazione del proble-ma pedagogico per eccellenza, che è la costituzione del sensooriginario dell’educare, in special modo tre aspetti di tale me-todo fenomenologico. Sono quelli stessi che poi – lo ha evi-denziato P. Ricoeur – restano presenti come «elementi vita-

42 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

40 Id., «Idee per una nuova paideia filosofica», Studium Educationis, 1999, 3, pp.482-490.

41 J. P. Sartre, L’essere e il nulla (trad. dal francese), Il Saggiatore, Milano 1962,pp. 447 ss. e 464 ss.

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li» nella prospettiva ermeneutica: questa, «innestandosi» sultronco della fenomenologia, ne ha svolto potenzialità che al-trimenti sarebbero rimaste latenti.42

Secondo la fenomenologia, noi siamo determinati, nella no-stra esistenza di ogni giorno, da conoscenze e giudizi che con-tinuiamo a ripetere senza mai chiederci se tali conoscenze sia-no vere e i giudizi ben fondati. Per questo, il primo momen-to del metodo consiste in una messa tra parentesi di ciò che noi,in modo spontaneo, sappiamo, per potere affermare solo ciòche si mostra con un’evidenza tale da non poter essere smen-tito. L’evidenza, infine, è il criterio della verità.43

Ma c’è dell’altro. È vero che ogni nostra conoscenza par-te dall’esperienza, che è la realtà immediatamente conosciu-ta; ma è vero anche che l’esperienza, i suoi dati o fatti con-statabili, non offrono tutta la realtà. Ciò che della realtà ap-pare immediatamente è solo la superficie del mondo, oltre laquale esiste una profondità, che si manifesta solo secondo al-cuni aspetti nella superficie. Ora, andando oltre ciò che im-mediatamente si manifesta di una realtà (ad esempio, di que-sto uomo che ho qui di fronte a me), è possibile cogliere ciòche è essenziale di quella realtà (ad esempio, l’essenza o verasostanza di questo stesso uomo, oltre i suoi atteggiamenti e isuoi modi determinati di comportarsi). In breve, è compitodella filosofia fenomenologica definirsi «intuizione dell’es-senza» (Wesensschau), di ciò che permane e non è accidenta-le di una realtà.44

C’è da ultimo un altro aspetto. Husserl afferma che, dopoaver «messo fuori uso» (filosofico) le nostre conoscenze del-l’atteggiamento naturale, resta solo il mondo e ne ricerca il

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 43

42 Cfr. le opere di P. Ricoeur, prima citate alle note 5 e 34.43 Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenolo-

gia (trad. dal tedesco), Einaudi, Torino 1965, pp. 59-64. Cfr. E. Stein, «Che cos’è lafenomenologia», in Id., La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristia-na pp. 58-59; testo del 1924, non ancora pubblicato nelle Werke.

44 E. Husserl, Ricerche logiche, p. 108 (si tratta della II Ricerca, cap. 1). E. Stein,«Significato della fenomenologia come visione del mondo», in Id., La ricerca della ve-rità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, p. 99; scritto presumibilmente nel 1932,pubblicato in W VI (1962).

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senso. È questa elementare evidenza che permette di ritrovarel’essenza della coscienza come «donatrice di senso», capacitàreale dell’io di cogliere ed esprimere il senso di ogni realtà,che si rivela allo spirito che vuole conoscerlo.45

5 L’approche chrétien

Dopo la conversione, E. Stein sente il bisogno d’incontrare imaestri del pensiero cristiano, i padri della Chiesa, i dottoridella Scolastica e i santi della mistica «oggettiva», non solocarmelitana. È un’esperienza di rinnovamento dell’esistenzae della mente; ma, a ben vedere, è soprattutto un lavoro diapprofondimento perché «le cose antiche» (vetera) non sono«tolte», ma ritrovate a un più alto livello (pertanto, nova). Ciòva detto, innanzitutto (e per quanto attiene al presente sag-gio) in riferimento alla riflessione che Ella ha condotto sul-l’empatia: al senso nuovo che le sue vedute acquistano ripen-sate nell’orizzonte di una Bildung cristiana.

Entrando, in particolare, nella «cattedrale della Scolastica»,E. Stein matura una prospettiva di pensiero che, con espres-sioni diverse, Ella qualifica come «metafisica cristiana» o «fi-losofia soprannaturale» o, semplicemente (con una dizione piùin uso negli anni Trenta, soprattutto in Francia) «filosofiacristiana».46 È la ragione che accetta di «lavorare insieme»(Zusammenarbeit) con la fede cattolica e che non è – così ac-cade per altri autori, ad esempio per J. Maritain – concezio-ne di un settore specifico della filosofia, una filosofia pratica«adeguatamente intesa»; è piuttosto la definizione della filo-sofia tout court.47

Per non banalizzare e da ultimo rendere sterile il contri-buto che per il pensiero, filosofico ma anche pedagogico, può

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45 Id., Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, pp. 324-325.46 Ibi, pp. 48-67. Su questo, X. Tilliette, «La filosofia cristiana secondo Edith

Stein», Aquinas, 1994, 37, pp. 389-394.47 E. Stein, Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, p. 63.

Il riferimento nel testo è a J. Maritain, De la philosophie chrétienne, Paris, Desclée, 1933.Su questa problematica, cfr. Ph. Secretan (a cura di), Phénoménologie et Philosophie chré-tienne, Cerf, Paris 1987, passim.

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venire da questa posizione, si rende necessario innanzituttopresentare in modo adeguato «Senso e possibilità di una fi-losofia cristiana», come si esprime l’autrice stessa in un pa-ragrafo del capitolo introduttivo di quello che resta il suo ca-polavoro, Essere finito ed essere eterno.48 Una cosa risulta su-bito evidente: più che una formuletta che ridesti dal lungo le-targo la «bella addormentata nel bosco», la filosofia cristianaesprime per lei uno stile di vita che, interpretandosi, si tra-duce in un metodo per il pensiero. Ed è da Tommaso d’A-quino che Ella dice di apprendere a tenere insieme e coniu-gare il pensiero metafisico e le verità rivelate, a concepire unafilosofia cristiana.

Ora, è noto, la stessa dizione «filosofia cristiana» è statagiudicata problematica da molti autori, che la ritengono sem-plicemente contraddittoria (come, viene detto, è un non-sen-so parlare di «geometria cristiana» e simili). Del resto, si è so-stenuto, una «filosofia cristiana» tradirebbe la convinzionepropria di Tommaso d’Aquino, secondo la quale la filosofiadebba essere «opera compiuta della ragione», tale da poter es-sere, grazie all’autonomia dalla teologia, proposta e discussacon ogni uomo, a prescindere dalla sua fede religiosa.49

E. Stein procede, nel suo capolavoro, diversamente. Ellaparla, senz’altro, di autonomia della filosofia e di universalità,nel senso di una proposta razionale per ogni uomo. Solo che,aggiunge, è proprio la ragione filosofica a riconoscere i suoi li-miti insuperabili: e la sua incapacità a pervenire alla cono-scenza della verità, soprattutto di quella relativa al nostro de-stino ultimo. È pertanto ragionevole, per ogni uomo che vo-glia esser davvero senza pregiudizi e fedele alla ragione, ac-costarsi alle verità rivelate e cercare in esse un aiuto per in-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 45

48 Ma anche cfr. E. Stein, Vie della conoscenza di Dio (trad. dal tedesco, in omo-nima antologia curata da C. Bettinelli), Messaggero, Padova 1983, pp. 125-186 (testopresumibilmente scritto nel 1941).

49 Cfr., tra le tante opere, Aa.Vv., La pedagogia cristiana: Atti del I Convegno diScholé, La Scuola, Brescia 1955; e Aa.Vv., Il senso della filosofia cristiana oggi, Mor-celliana, Brescia 1978. L’espressione di Tommaso d’Aquino «perfectum opus ratio-nis», citata da E. Stein, è inesatta; infatti, in Summa Theologiae, II-II, q. 45, art. 2,Respondeo, si trova la dizione «perfectum usus rationis».

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terpretare il mistero della nostra esistenza, del destino per-sonale e del mondo. Tale resta, peraltro, il fondo di ognirealtà: un mistero sovrabbondante di significato e sempre piùineffabile, a mano a mano che a esso ci si accosti e nono-stante la luce che pure esso offre.50

Personalmente ritengo interessante e fruttuosa questa im-postazione. Il cristiano che filosofa, ci dice in sostanza E. Stein,vive nella prossimità del Mistero, avendo egli scelto sovraogn’altra cosa d’esser definito dalla partecipazione vitale allaforma dell’esistenza di Cristo; in tale prossimità egli si tienee permane, quando va ricercando il senso dei problemi filo-sofici o pedagogici. Esiste, è ovvio, un senso di questi pro-blemi, che è indipendente dal Mistero cristiano e ogni uomo,credente e non credente, può ritrovarlo; tale è, ad esempio,il senso di un’ontologia dello spirito, cui E. Stein pervienereinterpretando i concetti fondamentali della psicologia spe-rimentale. Esiste però anche – è meno ovvio, ma è esatta-mente questo che viene inteso, con l’espressione filosofia cri-stiana, da E. Stein – un approfondimento dei problemi filo-sofici o pedagogici, che è reso possibile dallo sguardo apertoper l’intelligenza dal senso dell’essere e/o del destino dell’uo-mo, che il Mistero cristiano contiene.

Tale approfondimento, quando venga condotto criticamen-te, può costituire un arricchimento per l’intelligenza che ar-ticola, ermeneuticamente, la precomprensione della fede e deisuoi Symbola: il senso dell’essere che il Mistero cristiano por-ta, apre per l’intelligenza filosofica o pedagogica uno sguardoche offre la possibilità di un approfondimento nell’ordine pro-prio dell’intelligenza filosofica o pedagogica, formalmente distin-to dalla teologia (del resto, tale approfondimento rende possi-bile, nello stesso tempo, un’intelligenza teologica rinnovatadel Mistero, secondo vedute inedite).51

Vediamo allora come questo approfondimento viene con-dotto dall’autrice, relativamente all’idea di Bildung.

46 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

50 E. Stein, Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, p. 62.51 Ibi, p. 67.

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6 L’idea di Bildung

Tra gli scritti raccolti ne La vita come totalità, sono più si-gnificativi per l’antropologia pedagogica della Bildung quelliche, nella silloge, gli editori hanno posto come il primo, Sul-l’idea di formazione (che è del 1930) e l’ultimo, Formare lagioventù alla luce della fede cattolica (prima già citato).52 Ciòche colpisce innanzitutto in questi testi è la coscienza lucidaespressa dall’autrice, di «vivere in tempi difficili di non bre-ve durata». È questa situazione a esigere un’«intensa vita spi-rituale» e un pensare integrale, rivolto alla realtà tutta inte-ra e a ciò che è decisivo per il destino di ogni uomo. Ed èquesta convinzione che porta E. Stein ad affermare la neces-sità di un nuovo paradigma pedagogico, che vada oltre l’o-rizzonte «naturalistico» e che si mantenga aperto al contributodi un’«antropologia soprannaturale». La psicologia sperimen-tale, dice Ella riprendendo pensieri già presenti nelle opereprecedenti, non è in grado di raggiungere l’essenziale di unapersona perché le questioni esistenziali non sono di naturatecnica; né le statistiche sono in grado di «misurare i beni ei mali morali e spirituali di una persona».53

Una visione realistica della natura umana, ci dice E. Steinnel suo testo del gennaio 1933, implica il ragionevole rico-noscimento dello status naturae lapsae, di una ferita che segnala condizione umana. Non è possibile svolgere in modo ade-guato alcun lavoro educativo, se si prescinde da questa di-mensione, che è insieme antropologica e cosmologica. Ciò por-ta a dialettizzare due posizioni contrarie, tra loro antinomi-che: quella della bontà originaria (Rousseau) e quella dellacorruzione radicale dell’uomo (Lutero). Ora, è ragionevole ri-conoscere, in primo luogo, che una natura ferita esige di es-sere salvata: l’intelligenza ha bisogno d’essere illuminata e lalibertà d’essere essa stessa liberata. Così come è ragionevolepensare, in secondo luogo, che la guarigione e la salute non

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 47

52 E. Stein, La vita come totalità. Per una elevazione al senso dell’essere, pp. 21-36 e209-231 (W XII, pp. 25-38 e 209-230).

53 Ibi, pp. 76 (W XII, p. 77).

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può darsele da sé l’uomo stesso. A un uomo resta piuttosto,ragionevolmente, di disporsi ad accogliere l’«aiuto che vienedall’alto» e a saperlo riconoscere qualora gli si manifesti.54

L’aiuto a pensare questo compimento della speranza umana diredenzione può venire pertanto dalla rivelazione cristiana, co-sì come l’energia per averlo può essere opera della Grazia.

La metafisica elaborata da E. Stein è innanzitutto un’on-tologia trinitaria ed eucaristica dell’essere come donare. Essaè insieme un’antropologia della vocazione personale (una ana-litica esistenziale della formatività) e un’etica della libertà co-me responsabilità e impegno (un’etica del desiderio costituti-vo che perviene a se stesso). È questo l’orizzonte di sensoche consente di pensare innanzitutto il fine reale dell’uomo. Di-ventare, scrive E. Stein, «il sé nella mente di Dio» è la vo-cazione unica e irripetibile, aderendo alla quale ogni uomotrova la sua libertà originaria e si rivela per la sua esistenzaun significato eterno. La consapevolezza di questo destino,poi, permette di definire il fine proprio dell’educazione. E.Stein ha in mente un’opera educativa che aiuti un uomo a di-ventare capace di rispondere all’originaria chiamata divina. Epoiché condizione di ciò è la libertà, il possesso di sé per ildono di sé al compito conosciuto e amato, il fine dell’educa-zione è la conquista della libertà. La libertà, pertanto, cherende possibile l’educazione, la rende insieme necessaria.55

Forse ciò che è più originale in questa pedagogia filoso-fica è il plesso lessicale e semantico che concorre a istituirel’idea di Bildung: una rosa di concetti, la cui semantizza-zione concorre alla sua definizione eidetica. Il «sé nella men-te di Dio» è una «forma» personale «compiuta» (das Gebil-de); presente al soggetto perché gli si va rivelando come «im-magine concreta» (das Bild), essa è «rappresentazione» (dasAb-Bild, die Abbildung) di un Archetipo o «immagine origi-naria» (das Ur-Bild) dell’uomo. Per la filosofia cristiana, l’Ar-chetipo è Gesù, «Immagine visibile dell’Invisibile», e la sua

48 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

54 Ibi, p. 211 (W XII, p. 212).55 Ibi, p. 209 (W XII, p. 209).

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pienezza (pléroma) è custodita nella Chiesa, che è il suo Cor-po Mistico.56

Ogni uomo che viene a questo mondo riceve l’essere, es-senza ed esistenza personale, come un dono offerto e affida-to alle sue stesse mani nella forma originaria di un seme,un’impronta germinale che, col tempo dell’esistenza, si va di-spiegando; disvelando insieme il chi io sono e il dove io va-do. Ora, per E. Stein, l’impronta originaria che noi stessi sia-mo, l’atto d’essere che ci tiene fuori dal nulla e che consistenell’esercizio consapevole e libero dell’esistenza ricevuta, èpropriamente il nostro spirito. Lo spirito non è semplicementepsyché, che è l’anima del corpo in quanto principio della suavita; è bensì pneuma, l’anima dell’anima: vita sussistente aven-te in sé, indipendentemente dal corpo e dalle sue operazioni,una vita propria e l’energia per vivere. Della psyché, della suamutevolezza si occupa la psicologia; è la persona «empirica»,la sua «temperie individuale» (das Gemüt). Mentre dello pneu-ma, della sua immutabile struttura e del significato eterno, sioccupa la filosofia cristiana; si tratta della persona «spiritua-le» (geistliche), l’anima che dispiega per intero la sua forma pro-pria (die Seele).57

In questo dispiegamento acquista significato il lavoro edu-cativo, che consiste nell’aiutare ogni uomo così com’è (con ilsuo ethos originario, le sue forze, la sua indole…) a divenirecome deve essere. L’educando, il suo bisogno di essere educa-to, può esser espresso, dice efficacemente E. Stein, con lestesse parole che troviamo nel Vangelo: «Maestro, che cosa fa-re di buono per ottenere la vita eterna?» (Mt 19, 16). Da que-ste parole traspaiono l’aspirazione a un compimento che siabuono, cioè conforme alla propria natura originaria; e la do-cilitas, la volontà di lasciarsi istruire da parte di chi per que-sto si fa discepolo. Dal canto suo, secondo E. Stein l’educa-

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 49

56 Ibi, p. 21 (W XII, p. 25). Nel testo tedesco si legge: «Sagen wir Gebilde so mei-nen wir damit eben, dass es Geformtes, Gestaltes ist. Sagen wir Bild, so meinen wir,dass es Abbild eines Urbildes ist. Es gehört also zum Bildungsprozess, dass eine Ma-terie eine Form annimmt, die zum Abbild eines Urbildes macht» (corsivi nel testo).

57 Cfr. E. Stein, Einführung in die Philosophie, W XIII (1991), pp. 135 ss. e 170 ss.

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tore è definito da una «volontà di donare la vita e la salvez-za» all’educando, che costituisce «l’essenza dell’amore geni-toriale».58 Può accadere così che nella relazione «d’amore edi fiducia» che è l’educazione stessa, il discepolo sia aiutatoa pervenire alla visione di sé stesso: a vedere, attraverso l’al-tro, il suo proprio chi (l’identità) e il suo proprio dove (il com-pito). Non è, naturalmente, opera semplice perché quest’in-tuizione di sé è il risultato di una prudente opera di discerni-mento (Diskretion), che l’educando non riesce a compiere senon è aiutato, con intenzionalità e con dedizione, dal suoeducatore (o dalla comunità educante).

Si potrebbe accettare a proposito la tesi che esista in E.Stein una «pedagogia del discernimento», nella quale si com-pendierebbe il contributo più originale di questa autrice.59

C’è, a mio giudizio, una verità in questa proposta interpre-tativa; andrebbe però precisata, aggiungendo che si tratta quidi un metodo e insieme di un fine pedagogico. Il discerni-mento è, in primo luogo, il metodo posto in atto dall’educa-tore per aiutare l’educando a riconoscere e a scegliere la for-ma propria, che è il fine dell’opera educativa. Discernere è,infatti, un «legger dentro» e un «leggere in prospettiva» glieventi personali o le situazioni storiche, che tende a obietti-vi di valore (è quindi segnato, essenzialmente, da una inten-zionalità morale) e mette in movimento tutto il soggetto (lomobilita globalmente).60

Ma il discernimento, in secondo luogo, è un fine dell’ope-ra educativa: questa è rivolta all’acquisizione, da una parte del-l’educando, di un «tatto», che è la «saggezza acquisita», laphronesis di Aristotele o la prudentia di Tommaso d’Aquino.Ora, perché ciò avvenga, è necessario, da parte dell’educato-re, la comunicazione per connaturalitatem – una comunicazio-ne empatica, si potrebbe tradurre – e la testimonianza dellaprudenza in actu exercito. Questa testimonianza esemplare è

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58 Id., La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, p. 223 (W XII, p. 223).59 È quanto sostiene R. Cerri Musso, La pedagogia dell’Einfühlung: Saggio su Edith

Stein, cit.60 Ibi, pp. 43-48.

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l’unica «offerta di valori» veramente persuasiva perché vera-mente capace di mettere in movimento, con l’intelletto, an-che la volontà, facendo prediligere ciò che è riconosciuto e siè scelto.61

Esito della relazione educativa è la Bildung, diventare ciòche si è; in un processo che porta, gradualmente ma in mo-do decisivo, al «massimo dispiegamento» dell’impronta ger-minale ricevuta, autentica potenzialità reale dell’esistenza per-sonale. La Bildung consiste nel massimo dispiegamento del-l’essere e per questo porta «la massima personalizzazione del-l’essere», in un processo di crescita per approfondimento cheavviene attraverso necessarie tappe «simboliche», per così di-re: ogni momento prefigura, in qualche aspetto, la forma per-fecta, all’interno di un itinerario esistenziale che ha in sé il cri-terio e la regola di sé.62

7 Idee per una pedagogia ermeneutica

È possibile, scegliendo di studiare con simpatia intelligenteun’impostazione come quella di E. Stein, un arricchimento perla pedagogia come scienza; ritrovare, in particolare, propriograzie alla sua idea di Bildung cristiana, suggestioni per un’on-tologia pedagogica di stile ermeneutico.63

La pedagogia scientifica come qui viene intesa è scienza di-stinta dalle altre scienze, in quanto sapere determinato diaspetti determinati dell’educazione; così come, del resto, es-sa è distinta dalle scienze filosofiche, in quanto sono appun-to filosofiche. Scienza distinta, ma scienza per la quale il dia-logo critico con le singole scienze (naturali, umane ed esatte)e con la filosofia (l’antropologia, l’etica e l’ontologia) è costi-tutivo. Il suo oggetto proprio è l’educazione in quanto tale, nel

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61 E. Stein, La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, p. 224 (W XII, p. 225).62 Id., Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, p. 78. Cfr.

C. Fabro, «Stein Husserl e Heidegger», Humanitas, 1978, 33, pp. 485-517.63 Il riferimento è alle Ideen III di Husserl. Un esempio può essere quello disegna-

to, In dialogo con P. Ricoeur (come recita il sottotitolo) da P. Malavasi, L’impegno on-tologico della pedagogia, La Scuola, Brescia 1998.

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suo intero o nella sua verità; e il suo metodo è struttural-mente dialettico in senso ermeneutico. La pedagogia scientifi-ca, infatti, si costituisce nel dialogo critico con le «scienze-fonti», reinterpretandone le categorie, a partire da una defi-nizione veritativa dell’educazione, che ne costituisce il prin-cipio proprio come sapere distinto e il criterio perché queldialogo sia, in senso adeguato, pedagogico.

Ora, una tale definizione e il sapere che la pedagogia ela-bora in modo rigoroso e oggettivo attinge originariamente auna precomprensione di senso che è per essa scaturigine e in-sieme punto di fuga: la «ricchezza» pur sempre presente conla «povertà», e che mette in moto la ricerca.64 È in ultimaistanza l’a-priori di senso attinto nel «mondo della vita»: inluoghi in cui il senso è piuttosto esperienza vissuta segnata dalsenso. Tale originaria comprensione conferisce ai concetti diuna pedagogia scientifica una specifica calibratura e fa del-l’intero del suo discorso un «testo», un’originale offerta di sen-so per l’esistenza.

E. Stein ha elaborato una filosofia cristiana della Bildung,la cui struttura è, a ben vedere, di tipo ermeneutico e il cuiprocedere è orientato da quell’origine sovrabbondante di sen-so che è per lei la «Forma stessa dell’esistenza cristiana».Ella ha scelto di mantenersi nella più simpatetica delle fre-quentazioni, l’«intimità adorante» il Mistero, e in questaprossimità ha cercato di elaborare i fondamenti di una pe-dagogia. L’esito può essere giudicato insufficiente, nell’otti-ca di una pedagogia scientifica o comunque può apparire pro-blematico. Il suo tentativo però resta come aiuto a pensareuna pedagogia che, mentre vuole essere cristiana, ritiene peròdi poter offrire un contributo originale sul piano della razio-nalità pedagogica.

Esiste in sostanza, con e oltre E. Stein – ecco una con-clusione generale dopo l’analisi –, la possibilità di un ap-profondimento dei problemi pedagogici in quanto pedagogici;

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64 Secondo la celebre espressione platonica: Platone, Simposio, 201d-206a (tr. it. P.Pucci, in Id., Opere, 2 voll., Laterza, Bari 1974, vol. I, pp. 696-701.

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esiste, nella fattispecie, la possibilità d’istituire un’ontologiapedagogica, pensandola nel suo ordine proprio, segnata da prin-cipi propri e dal proprio metodo, che può essere fecondata dal-l’incontro, critico e simpatetico insieme, con il Mistero cri-stiano – precomprensione, orizzonte e a-priori di senso. Pos-sono aprirsi allora per l’intelligenza pedagogica delle prospet-tive inedite sul senso stesso dell’educare, sull’educabilità del-l’uomo e sulla formatività come esistenziale; e delle originalifigure ermeneutiche del tempo dell’esistenza come tempo incui ogni uomo può acquisire (o smarrire) la sua forma propria,realizzandosi in una relazione di riconoscimento reciproco (oalienandosi in forme di comunicazioni inautentiche e di mi-sconoscimento).

E. Stein ha scelto di vivere la sua morte come «olocau-sto», offerta sacrificale di sé «per il suo popolo».65 Ha cosìreso una verità testimoniale che, proprio perché vissuta adAuschwitz, attraversa il nichilismo che pure segna il secolo diAuschwitz. Ne accetta, da un lato, la verità terribile, real-mente tragica, che è quella di sostare presso l’abisso (Ab-Grund), la radicale negazione di senso – il silenzio di Dio. Malo sguardo che, secondo l’espressione di E. Stein «Über-die-Erfahrung-Hinausgehen», intende un orizzonte ulteriore ri-spetto al deserto – a ciò che immediatamente del reale si ma-nifesta e che in modo così evidente e cruento appare afflit-to dall’annientamento: tale sguardo oltrepassa l’abisso perchénon appartiene al deserto. La ragione pietosa, la ragione conil cuore, intende il fondamento (Grund) come l’Infinitamen-te Misericordioso.66

2. Una dimostrazione pedagogica dell’esistenza della persona 53

65 E. Stein, La scelta di Dio. Lettere dal 1917 al 1942, p. 129. Ma cfr. anche C. Bet-tinelli, «Introduzione» a E. Stein, Vie della conoscenza di Dio, pp. 48-50.

66 Id., Scientia crucis. Studio su San Giovanni della Croce (trad. dal tedesco), Ed.OCD, Roma 1996; ultimo volume scritto dall’A., nel 1942, pubblicato come W I(1950). Opera profondissima di teologia (e di pedagogia) spirituale, che può essere let-ta nell’ottica di una «filosofia del Sabato Santo», come ne parla X. Tilliette, La setti-mana santa dei filosofi, Morcelliana, Brescia 1992, pp. 109-142. La Croce è l’estremarealissima epoché, come abbandono totale di sé; la rivelazione compiuta che l’essere èpiuttosto ricevere l’essere come dono che chiede di essere riofferto. È l’estrema vicinanzaa Dio e a ciò che è di Dio, l’essere e il proprio sé.

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È lo sguardo che costituisce un uomo come persona spiri-tuale. Per ciò, l’esistenza e l’opera di Edith Stein portano unasorta di «dimostrazione» dell’esistenza dell’uomo: dell’«uomovivente», del quale Dio stesso si gloria.67

54 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

67 Cfr. Th. W. Adorno, Dialettica negativa (trad. dal tedesco), Einaudi, Torino1970, p. 326; H. U. Von Balthasar, Homo creatus est. Saggi teologici V (trad. dal te-desco), Morcelliana Brescia, 1991. Ma anche, M. Gennari, «Modernità e mistero. Teo-logia pneumatologia e filosofia dell’educazione», Studi europei (Olschki, Firenze), 1995,3, pp. 241-245.

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1 L’attuale primato della scienza nei confronti della filosofia

Se gettiamo uno sguardo al passato, ci accorgiamo che scien-za e filosofia nascono gemelle, vivono un felice connubio fi-no al XIII secolo, per poi, imboccando strade diverse, giun-gere a un divorzio per certi versi insanabile. Di questo di-vorzio ha fatto le spese soprattutto la filosofia. Non si puònegare, in effetti, che nell’affrontare il tema dell’uomo la fi-losofia parta oggi svantaggiata rispetto alla scienza, che sem-bra essere ormai l’unica forma di sapere credibile, godendo diun’autorità paragonabile a quella che, nel Medioevo, venivaattribuita alla teologia. Lo stesso linguaggio con cui ci espri-miamo quotidianamente, tradisce quanto ormai abbiamo ac-cettato il primato indiscusso della scienza su tutte le altre for-me di sapere. Così, quando vogliamo rendere autorevole unanostra opinione, spesso premettiamo la formuletta “è scienti-ficamente provato che…”, e non diciamo mai, invece, “è fi-losoficamente provato che…”. Certo, potremmo anche pro-vare a farlo, ma il risultato, probabilmente, sarebbe esatta-mente contrario a quello che vogliamo ottenere: la nostra ideanon solo non si presenterà più autorevole, ma perderà in cre-dibilità. Siamo dunque tutti un po’ convinti che la verità sucome vanno le cose nel mondo possa esserci detta più da unoscienziato che da un filosofo, dal momento che la scienza, co-

55

* Luciano Sesta è Dottore di Ricerca in Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Fi-losofia dell’Università degli Studi di Palermo.

L’uomo tra scienza e filosofia: macchina o persona?Luciano Sesta*

3

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sì si dice, è oggettiva e si basa su fatti osservabili e tangibi-li,1 mentre il filosofo costruisce delle teorie che non hanno ri-scontro nella realtà oggettiva. Così, le teorie filosofiche sa-rebbero solo interpretazioni soggettive, a immagine e somi-glianza del filosofo che le formula, laddove lo scienziato, alcontrario, si limiterebbe a constatare la realtà oggettiva conl’ausilio dei suoi potenti strumenti di osservazione. Da qui ilprestigio della figura dello scienziato e l’assoluta fiducia nel-la sua testimonianza da parte dell’opinione pubblica e la cor-rispondente diffidenza nei confronti del filosofo, paragonato,nella migliore delle ipotesi, a uno stravagante artista del pen-siero, rinchiuso nelle sue teorie e lontano dalla realtà.2

Nell’affrontare il problema dell’uomo, consideriamo qui lascienza e non la tecnica. La scienza può essere definita un in-sieme di conoscenze teoriche basate sull’osservazione, sulladescrizione e sulla spiegazione di alcuni fatti/fenomeni visibilie tangibili. Lo scopo della scienza è quello di stabilire “comestanno le cose”, in questo caso “come è fatto” l’uomo. Un li-bro di anatomia, per esempio, è un libro scientifico che, de-scrivendo come è fatto il corpo umano, ci dice anche, a suomodo, che cos’è l’uomo. La tecnica, o la tecnologia, può es-sere invece definita come la parte applicata della scienza. Loscopo della tecnica non è descrivere e spiegare la natura di unacosa ma la realizzazione di qualche azione, l’ottenimento diun risultato pratico.3 L’attuale successo della scienza è lega-to, spesso, al successo della tecnologia, che producendo be-nessere e comodità, spinge a vedere nella scienza una sorta dipanacea universale. Ora, qui non ci occupiamo della tecnicama solo della scienza. Non trattiamo, dunque, del modo in cuila scienza, attraverso la tecnologia, risolve i problemi praticidell’uomo e soddisfa i suoi bisogni, ma del modo in cui la

56 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

1 “Dato di fatto” si dice in latino anche “positum”. Di qui il nome scienza “posi-tiva”. Cfr. A. Livi, La filosofia e la sua storia. La filosofia contemporanea - Il Novecen-to, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1997, p. 1094.

2 Cfr. G. Savagnone, Theoria. Alla ricerca della filosofia, La Scuola, Brescia 1991,p. 220.

3 E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza. Le dimensioni etiche dell’impresa scientifi-co-tecnologica, Rusconi, Milano 1992, pp. 69-73.

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scienza guarda l’uomo e se ne forma un’immagine. La nostratesi è che sia la scienza sia la filosofia possono dare un’inter-pretazione convincente della natura umana, a patto, però, cheuna delle due non pretenda di dare l’unica interpretazione, maaccetti, umilmente, di convivere con quella dell’altra.

2 La dualità originaria: l’uomo come anima e corpo

Quando in Grecia tra il VII e il VI secolo nasce il pensierofilosofico, scienza e filosofia sono talmente intrecciate da rap-presentare due forme dello stesso tipo di sapere. Filosofia escienza si distinguono entrambe dal senso comune per il fat-to che non si limitano al “che” ma ricercano il “perché”.L’uomo comune, dice Aristotele nella Metafisica, sa «che» ilfuoco brucia e riscalda ma non sa «perché».4 Il sapiente, in-vece, non sa solo «che» il fuoco brucia ma ricerca anche il«perché» il fuoco brucia: egli ricerca dunque la causa, il prin-cipio in forza del quale il fuoco produce calore. Il sapiente èallora colui che, attraverso la scienza e la filosofia, non si li-mita a constatare i fatti, ma cerca la spiegazione dei fatti.Con la nascita delle scienze sperimentali, sarà chiaro che men-tre le spiegazioni della scienza fanno riferimento a ciò chepuò essere sperimentato sensibilmente, dunque al mondo del-la materia, la filosofia attinge il mondo dell’anima, dei prin-cipi immateriali e invisibili. Questi principi non sono menoreali per il fatto che non si vedono. Anche la vista non si ve-de, eppure è il principio di tutto ciò che si vede.

È importante, all’interno di questa fondamentale distin-zione, che scienza e filosofia rimangano ciascuna nel proprioambito di competenza. Nel Fedone Platone fa pronunciare aSocrate un discorso magistrale, in cui la distinzione tra ani-ma e corpo è fatta derivare dall’esistenza di due tipi diversidi cause. Per quelli che oggi noi chiameremmo i neuroscien-

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4 Aristolele, Metafisica, I, 981a, pp. 25-30.

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ziati, l’essere seduto di Socrate sul letto della prigione in at-tesa della morte può essere spiegato con una serie di cause pu-ramente fisiche, come se il tendersi e il distendersi dei ner-vi, provocando il movimento dei muscoli e delle ossa, fosse-ro le uniche vere e proprie cause sufficienti a spiegare la con-dizione di Socrate. In realtà questo, ci dice Platone, è assur-do. Se Socrate sta seduto sul letto della prigione, piuttosto,ciò accade perché gli ateniesi gli hanno votato contro ed egliha creduto suo dovere affrontare la pena, scegliendo ciò che,ai suoi occhi, era più giusto. La vera causa della condizioneattuale di Socrate è la sua scelta morale, il cui principio è l’a-nima. I meccanismi materiali che governano il corpo sono,tutt’al più, una con-causa:

Se uno dicesse che, se non avessi ossa, nervi e tutte le altre partidel corpo che ho, non sarei in grado di fare quello che ritengo di fa-re, direbbe bene; ma se dicesse che io faccio le cose che faccio pro-prio a causa di queste, e che, facendo le cose che faccio io agisco sì,con la mia intelligenza, ma non in virtù della scelta del meglio, costuiragionerebbe con grande leggerezza. Questo vuol dire non essere ca-pace di distinguere che altra è la vera causa e altro è il mezzo senzail quale la causa non potrebbe mai essere causa. E tuttavia proprio que-sta, quasi fosse la vera causa, la maggior parte degli uomini, branco-lando nel buio, chiamano causa e le danno un nome che non è suo (Fe-done, 99a-99b).

Così, se da un lato l’uomo è vincolato dai meccanismi delsuo corpo, d’altro lato, questi stessi meccanismi sono il segnosensibile della sua libertà e del suo principio, l’anima. Se in-vece Socrate fosse solo il corpo di Socrate, allora le cause fi-siche che spiegano lo stare in carcere di Socrate sarebbero lestesse che spiegano il suo stare nella piazza della città. Ciò si-gnifica che le cause fisiche non spiegano come mai Socrate èin carcere piuttosto che altrove. Come si può notare, in que-sta suggestiva pagina del Fedone Platone ha inteso dimostra-re che quando la scienza – qui identificata con la dottrina deimaterialisti fisiologi – vuole rispondere ai perché della filosofiasmette di essere scienza, non riesce, cioè, a fare ciò che inquanto scienza è chiamata a fare: spiegare i fenomeni.

58 L’uomo tra scienza, fede, filosofia

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Il grande insegnamento di Platone, mentre ci restituisce ladistinzione tra scienza e filosofia a partire dai rispettivi am-biti di competenza, dimostra che l’uomo non è solo anima nésolo corpo ma sempre, inseparabilmente, anima e corpo. Af-fermare che il corpo umano possiede un principio immateria-le chiamato anima non significa sconfessare il punto di vistascientifico. La filosofia, che studia l’anima, e la scienza, chestudia il corpo, non sono dunque incompatibili. Esse si rife-riscono alla medesima realtà, l’uomo Socrate, ma la spieganocon linguaggi diversi, con metodi diversi. La verità del pun-to di vista scientifico che indaga le leggi fisiche rimane, maviene meno la sua indebita pretesa di esaurire l’intera naturadell’uomo.

3 Materialismo ed evoluzionismo: l’uomo è solo corpo

Questa pretesa, invece, si imporrà gradualmente soprattuttonella modernità, quando scienza e filosofia cominciano a di-stinguersi nettamente. Con Newton, Galilei e Copernico, siassiste alla cosiddetta “rivoluzione scientifica”, il cui punto diforza, che segna la nascita della scienza così come noi oggi laintendiamo, consiste nel riduzionismo metodologico. Si trat-ta, in breve, di indagare le cose non nella loro totalità, ma sot-to un certo punto di vista, consapevolmente parziale. Galileisuggerisce così di abbandonare «l’impresa vana di tentar le es-senze», cioè di comprendere la natura profonda delle cose, einvita a limitarsi alle «affezioni» delle cose, ovvero agli aspet-ti quantificabili e misurabili con il metodo matematico.5

Ora, però, limitarsi a indagare le caratteristiche misurabilidelle cose e non la loro natura profonda non significa che ta-le natura non esista, ma solo che essa non è oggetto della scien-za. Di qui l’espressione realtà oggettiva, che non indica la realtàin se stessa, uguale per tutti e sottratta alla libera interpreta-

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5 G. Galilei, Opere, Ediz. Naz., Barbera, Firenze 1929-1939, 20 voll., vol. V, pp.187-188.

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zione – come siamo invece spesso portati a ritenere –, ma larealtà in quanto oggetto del metodo scientifico-matematico.Per una serie di circostanze complesse, la riduzione delle co-se ai loro aspetti quantificabili e sperimentabili, legittima dalpunto di vista della ricerca scientifica, diventerà un’indebitariduzione ontologica.6 Per esempio, è legittimo e doveroso, perla scienza anatomica, considerare il corpo umano come unamacchina complessa, un insieme di ossa, muscoli, nervi, or-gani ecc. Se non si considerasse il corpo umano come unamacchina, la scienza anatomica e l’arte medica non potrebberonascere e progredire. Per la scienza osservare e trattare l’uo-mo come una macchina è dunque legittimo. Ciò che non è le-gittima, invece, è la pretesa della scienza di avventurarsi inaffermazioni sulla natura o sull’essenza dell’uomo, per esempio,dicendo che l’uomo è solo una macchina. E questo è ciò cheaccade quando si cominciano a costruire macchine in grado direalizzare le stesse funzioni degli esseri umani (come per esem-pio i calcolatori). Dal momento che funzioni tipicamente uma-ne come il pensiero possono essere simulate da una macchi-na, ci si crede autorizzati ad affermare che tali funzioni nonrichiedono l’esistenza di un principio spirituale per poter es-sere comprese e spiegate.7 In questa prospettiva l’uomo nonè più, come era ancora per Socrate e per Platone, un sogget-to corporeo dotato di facoltà spirituali come il pensiero e lalibertà ma una macchina, ovvero un assemblaggio di parti ma-teriali, regolate da leggi meccaniche ed elettromagnetiche.Quella che noi chiamiamo anima non sarebbe altro che unafunzione biologica, che spingerà lo zoologo Karl Vogt (1817-1895) ad affermare che «Il cervello secerne pensiero come ilfegato secerne la bile». Si passa così dal corpo-macchina del-l’anatomia all’uomo-macchina della filosofia (J.-O. La Met-trie). Anche per alcuni scienziati e filosofi contemporanei l’uo-

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6 Cfr. M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954; tr. it. Saggi ediscorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp. 5-44.

7 E. Agazzi, La tecnoscienza e l’identità dell’uomo contemporaneo, “Seconda Navi-gazione”, Annuario di filosofia, 1998, pp. 74-90, 79. Si pensi al celebre test ideato dalmatematico inglese Alan Turing nel 1936.

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mo è una “macchina chimica” (J. Monod) e una “macchinadesiderante” (G. Deleuze).

Ora, dire che l’uomo è una macchina biochimica significaridurre, fino a eliminarle, le differenze tra l’uomo e gli altriesseri viventi. Questa ipotesi ben si sposa con una diffusamentalità, secondo la quale la persona umana non occupa unposto privilegiato nel cosmo, e secondo cui ogni convinzionecontraria non è altro che ingenuo antropocentrismo.8 Il su-peramento di quest’ultimo si è consumato nelle tre grandi ri-voluzioni che hanno profondamente ferito il narcisismo del-l’umanità.9 La rivoluzione di Copernico (1473-1543), quelladi Darwin (1809-1882) e infine quella di Freud (1856-1939).La rivoluzione cosmologica di Copernico infrange l’antica per-suasione che la terra fosse al centro dell’universo. L’illusionedi conservare comunque un primato sul mondo subumano vie-ne meno con la rivoluzione di Darwin: l’uomo ha stretti le-gami di parentela con gli animali, anzi deriva da essi. Infinela rivoluzione freudiana, che dimostra quanto le manifestazionipiù tipicamente umane dell’uomo, quali la religione, la cultu-ra, l’arte ecc. siano sublimazioni di istinti primari, che l’uo-mo ha in comune con gli animali.10

Come si può vedere, queste tre rivoluzioni nascono sul ter-reno della scienza e, insieme alla teoria del Big Bang, contri-buiscono a rinforzare l’idea che l’uomo sia soltanto un fram-mento di materia immerso nel cosmo. Ma è soprattutto l’e-voluzionismo che tocca l’uomo più da vicino. Secondo la teo-ria di Darwin ci sarebbe una continuità tra le specie più in-fime di vita, come virus e batteri, e le forme più complesseed evolute, come l’uomo. Come la vita può derivare dalla nonvita, l’organico dall’inorganico, così esseri viventi di una spe-cie derivano da esseri viventi di altre specie. La differenza tra

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8 Come, per esempio, quello espresso da Aristotele nella Politica: “le piante esistonoin funzione degli animali ma tutti gli altri animali esistono in funzione dell’uomo”.

9 M. Faggioni, La vita e le forme di vita. Rapporto fra biologia e antropologa, in J.D. Vial Correa - E. Sgreccia, La cultura della vita: fondamenti e dimensioni, LibreriaEditrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 65-100, 75.

10 Ibidem.

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vita umana, animale e vegetale, sarebbe una differenza di gra-do di complessità e non una differenza di essenza: come l’a-nimale non è che una pianta più evoluta, così l’uomo è soloun’animale più evoluto.11

4 Ritornare all’uomo come persona

Occorre ora fare attenzione al passaggio, a volte impercetti-bile, dal campo della scienza a quello della filosofia. La scien-za ci dice che probabilmente le varie forme di vita, vegetale,animale e umana, provengono dall’evoluzione di una materiacomune. Ma nel momento in cui dovesse anche dirci che que-ste forme di vita si equivalgono e che la vita umana non puòesser considerata una forma di esistenza superiore alle altre,si tratterebbe ancora di un’affermazione scientifica o filoso-fica? Il passaggio dall’una all’altra scatta quando l’ipotesi scien-tifica sull’origine dei viventi da un unico principio materialediventa una filosofia che nega la differenza ontologica, e dun-que anche di valore, tra le diverse forme di vita, quella uma-na compresa. È interessante notare come le varie scienze ri-percorrano a ritroso, nei loro metodi di spiegazione, l’evolu-zione dal semplice al complesso: dall’antropologia si passa al-la biologia e dalla biologia alla chimica, secondo un metododi spiegazione di tipo riduzionistico: i livelli superiori sonospiegati mediante i livelli inferiori: alla domanda filosofica“che cos’è l’uomo? ” la biologia risponde che “l’uomo è il suocorpo” e alla domanda “che cos’è il corpo dell’uomo?” la fi-sica e la chimica rispondono che “l’uomo è un aggregato diatomi e molecole”. E l’anima? Non esiste, rispondono le va-rie scienze, perché non è dimostrabile empiricamente. Il ri-

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11 A livello bio-chimico questo è senz’altro vero. Ma nel momento stesso in cui ciòche è vero a livello bio-chimico venisse fatto valere anche a livello ontologico, allorasi tratterebbe di un’estrapolazione indebita. Non sembra si possano trasferire di pesonell’ontologia criteri che valgono nella bio-chimica. Mentre infatti la continuità biolo-gica tra uomini e animali può essere verificata sperimentalmente, ovvero sul piano del-la scienza, la continuità ontologica non può essere né verificata né falsificata speri-mentalmente ma solo argomentata filosoficamente.

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duzionismo è così definitivamente consumato: la scienza, in-vece di lasciare umilmente alla filosofia quella fetta di realtàche non si lascia leggere in termini scientifici, finisce per di-chiararne presuntuosamente l’inesistenza.

È importante, a questo punto, stabilire se l’elemento bio-logico-materiale, nella sua origine e composizione, costituiscatutto l’uomo, esaurisca, cioè, la sua natura o essenza. Se cosìfosse, infatti, non ci sarebbero come già detto differenze ri-levanti tra l’uomo, l’animale e la pianta, dal momento che sitratterebbe di enti costituiti della medesima stoffa bio-chi-mica. Ma non ci sarebbe differenza neanche tra l’uomo e lamacchina, dal momento che, considerato dal punto di vistabiologico-materiale, l’uomo è soltanto un assemblaggio sofi-sticato di molecole, atomi, cellule ecc.

L’equiparazione delle diverse forme di vita si scontra, pri-ma ancora che con una corretta filosofia, con l’esperienza chefacciamo quotidianamente dell’uomo, nella persona di noi stes-si e degli altri. Essa nega, insomma, la nostra esperienza ef-fettiva dell’uomo come persona, ovvero come essere libero eintelligente di natura inseparabilmente corporea e spirituale.Senza entrare in merito all’ipotesi scientifica, possiamo nota-re le conseguenze controintuitive di questa equiparazione inquattro casi.

A) Se chiedessimo a un biologo che rapporto c’è tra lastruttura del DNA e la vita,12 con ogni probabilità egli ci ri-sponderà che sono la stessa cosa, perché il DNA, in biologia,è la vita. Eppure la vita è qualcosa di più complesso e riccodi quanto possiamo leggere scientificamente a partire dal

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12 La biologia genetica studia le basi e il funzionamento dell’ereditarietà. John Gre-gor Mendel (1822-1884) mostrò che l’informazione ereditaria consiste in unità sepa-rate, chiamate geni, e che si trasmette inalterata da una generazione all’altra. Diffe-renti geni sono ugualmente distribuiti tra le cellule germinali maschili e femminili. Igeni possono ricombinarsi nella prole che, così, incrementa la variabilità biologica.Questo vale per uomini, piante e animali. Il DNA (acido desossiribonucleico) è unacomplessa macromolecola che costituisce l’informazione ereditaria in tutti gli organi-smi viventi (il cui meccanismo di trasmissione è governato dall’acido ribonucleico oRNA). Il DNA è una sorta di ricetta/programma per la costruzione delle proteine edelle cellule di un organismo. Il genoma umano (insieme dei cromosomi di una cellu-la, germinale o somatica) possiede circa 100.000 geni.

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DNA. In altri termini: difficilmente la risposta alla doman-da: “che cos’è la vita?” può essere un’elencazione delle suepiù riposte componenti ereditarie e del loro funzionamento.Se dovessimo assumere un meccanicismo biologistico di que-sto tipo, dovremmo dire che il senso della letteratura sta nel-le lettere, quello della musica nelle note, e quello della storianelle date.13

Posso anche, per esempio, scoprire tutte le leggi chimicheche presiedono al fenomeno dell’amore e dell’amicizia. Leneuroscienze ci assicurano che l’amicizia e l’amore non sonoaltro che complesse reazioni bio-chimiche del mio e dell’altruicervello. Ma se conoscessi dettagliatamente queste reazionichimiche, se avessi cioè una conoscenza scientifica dell’amo-re e dell’amicizia, non avrei affatto la sensazione di trovarmidi fronte alla vera spiegazione del mio rapporto con Valenti-na o con Alessandro.14 Ancora una volta, come abbiamo giàvisto nel Fedone, quando si vuole comprendere la complessitàdi un fenomeno tipicamente umano utilizzando formule esclu-sivamente scientifiche, si finisce per rappresentarne una con-traffazione e non una spiegazione.15

B) Spesso per sostenere la stretta parentela tra l’uomo e glianimali si cita il fatto che condividiamo il 99% del nostro pa-

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13 J. Testart - C. Godin, Au bazar du vivant. Biologie, médecine et bioéthique sousla coupe libérale, Seuil, Paris 2001; tr. it. La vita in vendita. Biologia, medicina, bioeti-ca e il potere del mercato, Lindau, Torino 2004, p. 38.

14 Come ha mostrato Thomas Nagel, i fenomeni mentali interni non si lasciano af-ferrare pienamente da una descrizione scientifica e oggettiva della mente. Così, perquanto possiamo scrutare la fisiologia della percezione di un pipistrello, non sapremomai che cosa si prova a essere un pipistrello. Cfr. T. Nagel, What is it like to be a bat?(1974); tr. it. Che effetto fa essere un pipistrello?, in Questioni mortali, Il Saggiatore,Milano 1986, pp. 162-176.

15 Se spesso è utile considerare fenomeni superiori come soggetti alle leggi megliostabilite e più precise di fenomeni più elementari, occorre chiedersi se tale riduzionesia sempre possibile e rispettosa della complessità dei vari livelli di realtà e non ne rap-presenti, almeno in alcuni casi, un oggettivo impoverimento oltre che un ostacolo al-la loro autentica comprensione. Le scienze naturali, quando conducono a un riduzio-nismo a oltranza, diventano supremamente artificiali. Da un lato esse sono naturali per-ché si occupano delle cose di natura, d’altro lato sono artificiali perché per coltivarlel’uomo deve sospendere un modo di guardare le cose certamente più naturale di quel-lo a cui lo costringono le scienze “naturali”. (G. Angelini, La vita tra natura, cultura efede, in E. Sgreccia - M. Lombardi Ricci, La vita e l’uomo nell’età delle tecnologie ri-produttive, p. 99).

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trimonio genetico con lo scimpanzè. Un fatto simile, tuttavia,dovrebbe convincerci del contrario, ovvero che l’essenzialenon sta nei geni: se geneticamente soltanto un 1% distingueDante da uno scimpanzè, questa è forse la prova che non so-no i geni di Dante ad aver scritto la Divina Commedia e chetra uno scimpanzè e un uomo c’è una differenza qualitativa enon quantitativa. Una variazione quantitativa dell’1% non èin grado di spiegare, in effetti, la differenza qualitativa tra laDivina Commedia e gli scarabocchi, per quanto sofisticati perun animale, di uno scimpanzè.16

C) L’origine da una materia comune, quale può essere lavita organica, non cancella dunque le differenze qualitative trale varie forme di vita. Un altro esempio, molto semplice, ciaiuta a comprenderlo. Ipotizziamo che dalla medesima mate-ria, per esempio il marmo, provengano, per evoluzione inter-na, sia una semplice lastra grezza, sia la Pietà di Michelange-lo. Sottoposte a un’analisi chimica, la lastra e la Pietà pre-sentano le stesse caratteristiche. Materialmente sono la stes-sa cosa: marmo la lastra, marmo la Pietà. Ma chi oserebbe ne-gare che ci sia una differenza di valore decisiva tra l’una e l’al-tra? Solo chi non vede altro che il livello chimico della realtà,e non anche quello ontologico. Allo stesso modo, la differen-za tra una pianta e un uomo, sebbene sia minima quanto acomposizione chimica, è massima a livello ontologico.

D) In ultimo, si può accennare al motivo filosofico proba-bilmente più forte che rende problematica non tanto la teo-ria evoluzionistica, quanto la sua pretesa riduzionistica. Sitratta di un elementare principio della ragione, secondo cui ilpiù non può essere spiegato ricorrendo al meno, l’effetto nonpuò essere superiore alla sua causa e il caos non può essere il

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16 J. Testart - C. Godin, La vita in vendita…, cit., p. 54. Si potrebbe anche nota-re, per relativizzare l’importanza della costituzione genetica e dunque della dimensio-ne biologica, che mentre noi possediamo “soltanto” 30.000 geni, un chicco di riso nepossiede 50.000. Per evitare ogni visione deterministica della genetica, Jacques Te-start sostiene che il genoma sta all’uomo come il calendario alla meteorologia: offre untracciato senza determinarlo nei dettagli. Un’altra autorevole denuncia all’idolatria bio-logistica si trova in R. C. Lewontin, Biology as Ideology. The Doctrine of DNA, Con-cord, Ontario, Canada 1991; tr. it. Biologia come ideologia. La dottrina del DNA, Bol-lati Boringhieri, Torino 1993.

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17 A. Cavadi, L’uomo a più dimensioni, in A. Cavadi - N. Galantino - E. Guarne-ri, Alla ricerca dell’uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, Augustinus, Palermo1988, p. 64.

principio dell’ordine. Se vedo qualcosa che si muove deve es-serci una causa che possiede almeno il movimento, che pos-siede almeno la caratteristica del suo effetto. Se vedo un qua-dro, la sua causa non può essere un gatto. La causa di cui ilquadro è un effetto deve infatti possedere almeno la capacitàdi creare un’immagine. Allo stesso modo, un computer intel-ligente non può derivare da un’aggregazione casuale di pezzi,ma da una causa altrettanto intelligente quanto lo è il com-puter come effetto. L’uomo, insomma, non può derivare dalnon uomo. Viceversa il non uomo, un computer, un quadro,ecc., può derivare dall’uomo: è l’uomo a essere il modello del-la macchina e non la macchina a essere il modello dell’uomo.Se, dunque, il più non deriva dal meno, il meno, invece, puòderivare dal più (nella teoria del Big Bang, certo, l’effetto èmolto superiore alla causa).

Questi esempi dimostrano che la persona umana possiedeuna complessità che non si lascia facilmente mettere sullo stes-so piano della vita non umana e, di conseguenza, che l’uomonon può essere ridotto a un composto di parti materiali, auna macchina. Una prova classica di questa irriducibilità èdata dal fenomeno dell’autocoscienza. L’uomo, infatti, nonsolo conosce, ma sa di conoscere: conosce se stesso come l’es-sere che conosce. L’uomo è dotato, cioè, di autocoscienza.Così, quando qualcuno afferma invece di non essere altro chemateria, con ciò stesso dimostra di sapere auto-giudicarsi, dipoter prendere le distanze dalla propria dimensione materia-le, sia pure per negare, immediatamente, che tale distanza cisia. Ma non è precisamente questa capacità di auto-giudicar-si, di prendere consapevolezza di sé, che la materia in quan-to materia non possiede? Non ci sono pietre né animali ma-terialisti, per cui si può dire di essere solo materia a condi-zione di essere anche spirito: ovvero, a condizione di non es-sere davvero solo materia.17

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Questo salto di qualità, questa discontinuità ontologica nel-la continuità biologica tra le varie forme di vita, questa irri-ducibilità dell’uomo alla sua componente organica e materia-le, non può essere ignorata solo perché la scienza non sa spie-garsela. Tutto ciò rimane evidente anche dentro l’ipotesi evo-luzionistica. Non è cioè necessario, per affermare la superio-rità ontologica della persona umana, la sua spiritualità, nega-re l’ipotesi scientifica sull’origine dell’uomo dagli animali in-feriori.

In tal senso, l’uomo non è una parte del mondo ma un mon-do a parte, senza che ciò significhi fare dell’uomo il despotadella natura, colui che, per il fatto di rappresentarne il verti-ce, si sente autorizzato a saccheggiarla irrispettosamente. HansJonas, benché forse in modo un po’ riduttivo, ha scritto giu-stamente che «l’uomo non è in nulla superiore agli altri esse-ri viventi, eccetto che per poter essere soltanto lui responsa-bile anche per loro».18

5 Conclusioni

In conclusione, possiamo dire che la realtà, non solo umana,possiede una ricchezza di cui la scienza, quando pretende diessere l’unica forma credibile di sapere, ci restituisce un’im-magine inevitabilmente artificiale e impoverita. Ciò vale an-cora di più quando ci spostiamo dall’antropologia, che defi-nisce che cos’è l’uomo, all’etica, che si occupa invece di comel’uomo dovrebbe agire. E infatti, come ha scritto Ludwig Witt-genstein, «Noi sentiamo che, anche se tutte le possibili do-mande della scienza trovassero una risposta, i nostri proble-mi vitali non sarebbero neppure sfiorati».19 Se anche cono-scessi la struttura segreta della materia di cui è fatto l’universonon mi sarebbe di aiuto nella vita. Anche il grande scrittore

3. L’uomo tra scienza e filosofia: macchina o persona? 67

18 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt a. M. 1979; tr. it.Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P. Portinaio,Einaudi, Torino p. 128.

19 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Basil Blackwell, Oxford 1961;tr. it. a cura di A. G. Conte, Einaudi, Torino 1995, 6. 52, p. 81.

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russo Lev Tolstoj potrà scrivere: «La scienza è assurda, per-ché non risponde alla domanda più importante per noi: chedobbiamo fare? Come dobbiamo vivere?». Dire che la scien-za è assurda è però eccessivo e non rende giustizia alla scien-za sana, quella che si limita a fare il suo mestiere senza scon-finare nel campo della filosofia e della fede religiosa. Po-tremmo, allora, se ci è concesso, correggere Tolstoj dicendo:“La pretesa della scienza di esaurire il mistero della vita è as-surda, dal momento che la scienza non risponde alla doman-da più importante per noi: che dobbiamo fare? Come dob-biamo vivere?”.

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Finito di stampare dalla Luxograph s.r.l. per conto della G. B. Palumbo & C. Editore S.p.A.

Palermo, Dicembre 2005

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