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L'uomo che trasforma la coscienza. I miti profondi di M. Buber, P. Tillich e C. G. Jung* Ira Progoff, New York Nel 1965 ci vennero a mancare due grandi uomini del mondo dello spirito, Martin Buber e Paul Tillich; il primo mori in giugno, il secondo in ottobre. In passato avevano parlato entrambi qui ad Eranos. Entrambi condividevano l'orientamento spirituale che è l'idea fondamentale di Eranos, poiché avevano, ciascuno secondo il suo modo di vedere, una pro- fonda consapevolezza del fatto che i simboli non sono oggetti da usare e che non bisogna trasfor- marli in dogmi costrittivi. Sapevano piuttosto che i simboli sono mezzi, mezzi per potere entrare in dia- logo con la vita. Compresero che uno dei mezzi che l'uomo moderno ha per uscire dall'impasse spi- rituale del nostro tempo è quello di intraprendere un dialogo impegnato con i simboli fondamentali della storia: attraverso questo dialogo l'uomo mo- derno può sviluppare una profondità e sensibilità di coscienza tali da diventare capace di vedere in una nuova luce gli annosi problemi della esistenza umana. 142

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L'uomo che trasformala coscienza. I mitiprofondi di M.Buber, P. Tillich e C.G. Jung*Ira Progoff, New York

Nel 1965 ci vennero a mancare due grandi uominidel mondo dello spirito, Martin Buber e Paul Tillich;il primo mori in giugno, il secondo in ottobre. Inpassato avevano parlato entrambi qui ad Eranos.Entrambi condividevano l'orientamento spirituale cheè l'idea fondamentale di Eranos, poiché avevano,ciascuno secondo il suo modo di vedere, una pro-fonda consapevolezza del fatto che i simboli nonsono oggetti da usare e che non bisogna trasfor-marli in dogmi costrittivi. Sapevano piuttosto che isimboli sono mezzi, mezzi per potere entrare in dia-logo con la vita. Compresero che uno dei mezziche l'uomo moderno ha per uscire dall'impasse spi-rituale del nostro tempo è quello di intraprendereun dialogo impegnato con i simboli fondamentalidella storia: attraverso questo dialogo l'uomo mo-derno può sviluppare una profondità e sensibilitàdi coscienza tali da diventare capace di vedere inuna nuova luce gli annosi problemi della esistenzaumana.

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(1) Ira Progoff The Ideaof Eranos. Journal of Re-iigion and Health, Octo-ber 1966, Voi. 5, No. 4.

Fondamentalmente esiste uno stretto legame tral'interesse che muove le opere di Buber e Tillich, el'idea su cui si basa la Eranos Tagung (1). Tutti e tremirano a trasformare la qualità di coscienza chedomina l'era moderna. Ma mentre Martin Buber ePaul Tillich erano esseri umani individuali, la Era-nos Tagung è una situazione sociale. Dal momentoche una istituzione sociale, oltre ad offrire un con-testo sociale per alcune attività, ha il potere di di-ventare essa stessa un simbolo vivente, Eranos èdiventato molto di più che un posto in cui si pos-sono studiare i simboli storici, è diventato esso stes-so un simbolo attivo con una vita da diffondere nelmondo.

E' molto importante distinguere tra esseri umani in-dividuali che trasformano la coscienza dei loro si-mili, esseri umani come Buber, Tillich e Jung, e luo-ghi ed istituzioni che hanno questo stesso compito.Ogni periodo storico ha bisogno sia di persone chedi luoghi, e nel nostro periodo storico in modo par-ticolare si ha un enorme bisogno di entrambi. Miripropongo di approfondire in altra sede le impli-cazioni psicologiche e culturali coinvolte nello svi-luppo di istituzioni che possono servire come illuogo sociale di incontro in cui si può portare avantiil lavoro personale e profondo di evoluzione spi-rituale. Oggi invece vorrei fermare la nostra atten-zione su quegli individui che sentono intimamenteche il significato della loro vita, cioè il loro mitoprofondo, è quello di conseguire una trasformazioneche non si limiti solo alla loro coscienza, macoinvolga la coscienza dei loro simili.

Non c'è bisogno di dire che vivere secondo un talemito profondo è una cosa puramente soggettiva ameno che non trovi riconoscimento e non vengacorrisposta da parto degli altri. E ciò vigno indicatoinevitabilmente dal fatto che nelle persone della co-munità qualcosa viene scosso e modificato in segui-to all'incontro con quella persona il cui mito pro-fondo è quello di essere un uomo che trasforma lacoscienza. Se vogliamo studiare la fenomenologia

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di questo mito profondo per potere chiarire le suediramazioni psicologiche, esistenziali e sociali, dob-biamo osservare con attenzione le vite di quelle per-sone che oltre ad avere una intuizione soggettivadel loro ruolo, hanno trovato una oggettiva confer-ma al loro mito profondo attraverso la risposta dialtre persone, che testimoniano di averne subitol'influenza. A questo scopo vorrei parlarvi oggi diPaul Tillich e Martin Buber quali esempi di uominimoderni che vissero la loro vita come trasformatoridi coscienza. Siccome poi scopriremo che ci sonosomiglianze considerevoli, basate su una identità ditipo — o dinatipo (2), che è il termine che io usoa questo riguardo — esamineremo anche come pa-ragone la vita e l'opera di C. G. Jung per potertrarre dal loro confronto utili insegnamenti. Deveessere chiaro che anche Jung appartiene alla ca-tegoria di quegli uomini che trasformano la coscien-za, ma egli rappresentò questo ruolo nella sua vitain un modo completamente diverso da come lo vis-sero Buber e Tillich.Nella seguente discussione mi ripropongo di esa-minare ed approfondire i meccanismi necessariperché l'uomo moderno compia una trasformazioneo un accrescimento, di coscienza, poiché ho la cer-tezza che solo quando il mondo interiore dell'uomooccidentale avrà raggiunto un suo ordine, potremomigliorare durevolmente gli aspetti esteriori della ci-viltà occidentale. Già nell'estate del 1963, fu solle-vato questo problema qui ad Eranos, quando ci in-teressammo del significato di Utopia. Ma oggi vo-gliamo esaminare più da vicino i fattori psicologicidinamici socialmente e storicamente coinvolti nellatrasformazione della coscienza moderna. Per que-sto scopo, studieremo alcuni esempi tipici dell'uomoche trasforma la coscienza.

(2) Con i! termine dina-tipo, indico l'aspetto atti-vo di una immagine ar-chetipica che si svolgementre viene rappresen-tata dall'individuo nel cor-so della sua vita. Nei mioscritto di Eranos del 1964.The Integrity of Life andDeath, Eranos-Jahrbuch.Rhein-Verlag, Zurich 1965,ci sono esempi del dina-tipo dell 'Eroe e del di -natipo del Salvatore. TheImage of an Oracle, He-lixPress, New York 1964,contiene una discussionedettagliata su un dinatipoin azione. Vedi ancheDepth Psychology andModern Man, Ju l ianPress, New York 1959, pp.t82 sgg.

Usiamo questa espressione per indicare che l'uomoche trasforma la coscienza è una categoria o tipo diessere umano che si trova universalmente in ognisistema sociale, sia in civiltà primitive che in civiltà

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Unodegliscopifondamentalidelladiscussionechesegue èdiintrodurreaiproblemi di lunga portata implicati nella trasformazionesociale della coscienza. Fin da ora si comprenderà,comunque, che non sarà possibile trattare, in modoesauriente o solo adeguato le vite e le opere diquesti tre uomini nel breve tempo destinato aquesta discussione, li nostro scopo è quindipuramente introduttivo: è quel-

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progredite. In questo senso, si può dire che la categoriade l’uomo che trasforma la coscienza ha una qualitàarchetipica.Nello stesso tempo,essendo archetipica e quindiuniversale, è una categoria molto diffusa. Essa non puòessere portata a compimento come un archetipo ma solonelle forme particolari di esistenza individuale. A questopunto vediamo che, essendo gli archetipi soltantopossibilità o tendenze nel comportamento umano,quando arrivano ad essere rappresentati nella esistenzaumana concreta, non possono fare a meno di fran-tumarsi in particolari forme e modelli individuali e storici.Al punto in cui gli archetipi diventano specifici siesprimono in forme che vengono vissute indivi-dualmente ma che presuppongono al loro sviluppouno sfondo ed un modello storico.Equeste sono le immagini del seme, o dinatipi,nell'uomo,che procurano le forme ed i modelli storicispecifici attraverso i quali si compiono le tendenzedell'archetipo.Cosi scopriremo che, per quanto Buber, Tilliche Jung sono tutti esempi moderni della figura archetipica, l'uomo che trasforma la coscienza, le formespecifiche dell'archetipo attraverso le quali ciascuno di essi rappresenta il suo ruolo, sono diverse.Cosi, mentre il principio archetipico fondamentaleche determina il modello delle loro vite è lo stesso,le forme particolari di questa espressione, i loro dinatipi sono diversi. Le somiglianze e le differenzedi stile che caratterizzano lo svolgimento della lorovita sono molto importanti, specialmente in rapportoa possibili trasformazioni nella qualità didi coscienza dell'uomo moderno.

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lo di offrire una prospettiva, che permetta una va-iutazione più completa della vita e delle opere diTillich, Buber e Jung. Devo riservare questo studiopiù profondo per un'altra sede per ragioni di neces-sità, ma in questo contesto possiamo almeno, intro-durre i problemi.Poiché ciascuno dei tre uomini di cui parliamo èautore di una ricchissima produzione letteraria, ci èchiaramente impossibile presentare qui un esamecompleto della loro opera. Poiché non ci è possi-bile chiarire come vorremmo, in una forma intellet-tuale adeguata i nostri metodi interpretativi, piut-tosto che intraprendere una presentazione sistema-tica della loro opera, ho scelto un altro metodo,meno diretto, che potrebbe essere anche molto piùadatto agli scopi introduttivi di questo scritto. Trat-terò di Buber, Tillich e Jung confrontandoli fra diloro. Seguiremo per quanto possibile un punto divista aneddotico, cercando di comprendere i treuomini attraverso quei momenti della loro vita cheessi non dedicarono al lavoro intellettuale. Questopunto di vista aneddotico è volutamente asisiema-tico, ma, ciononostante, potrebbe permetterci di ac-costarci più direttamente ai miti profondi che cia-scuno di essi viveva nella realtà. Alla morte diMartin Buber, Paul Tillich pronunziò un discorso insuo onore alla Cerimonia Commemorativa che sitenne nella Sinagoga di Park Avenue in New YorkCity (3). In questo discorso Tillich si espresse contutto il suo essere. Rese onore a Buber entrando indialogo con lui, come aveva già fatto quattro anniprima alla Cerimonia Commemorativa per C. G. Jungtenutasi in New York City (4). Anche allora Tillichespresse il suo elogio nella forma più autenticapossibile, come un incontro aperto e senza riservecon quell'aspetto dell'opera e della vita di Jung cheaveva avuto in lui maggiore risonanza.In verità Tillich nel discorso in memoria di MartinBuber non parlò solo di Buber, ma indirettamenteanche di se stesso. Guardando retrospettivamente

(3) Pastora! Psychology,Seplember 1965, Voi. 16.No. 156, pg. 52.

(4) Paul Tillich, discorsoal Memorial Meeting forC. G. Jung. December 1.1961, pubblicato dallaNew York Association forAnalytical Psychology, pp.28-32.

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(5) " Pastoral Psycholo-gy ", op. cit. p. 53.

questo discorso che Tillich pronunziò solo tre mesiprima di morire, si potrebbe pensare che lo avevascritto anche per sé. E' molto comprensibile dal no-stro punto di vista psicologico, che ciò sia avve-nuto, in quanto Buber e Tillich espressero nelle lorovite lo stesso dinatipo. Ci potevamo quindi giusta-mente aspettare che esperienze profonde delle lorovite avessero molto in comune. Non era invece daaspettarsi che, vivendo lo stesso dinatipo, avesserouno stretto ed armonioso dialogo anche nei lororapporti personali e nelle loro opere. Difficilmenteci saremmo aspettata una cosa simile, dal momentoche le persone che vivono la stessa immagine divita sono più spesso in competizione ed in contra-sto fra loro che non in dialogo, come abbiamo avutotutti occasione di constatare nella storia del pen-siero. Il fatto che essi fossero in armonia tra di loroe non in competizione indica indubbiamente unacaratteristica della personalità di Buber come diTillich; ma esprime anche una qualità importantedel loro dinatipo. La capacità di dialogo sembraessere una caratteristica fondamentale dell'uomoche trasforma la coscienza nel mondo moderno. Neldiscorso in memoria di Buber, Tillich ricordò dueincontri che essi avevano avuto negli anni precedenti.Il primo risaliva agli anrìMn cui entrambi vivevano inEuropa. Il secondo avvenne dopo la loro partenzadall'Europa, quando Tillich si era già stabilito inAmerica e Buber si trovava di passaggio a NewYork (5).Si incontrarono per la prima volta, racconta Tillich,in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale quandoentrambi partecipavano al movimento di SocialismoReligoso. Durante una di queste riunioni Tillich ebbeil compito di esporre alcuni concetti fondamentaliper il movimento, in una forma che potesse soddi-sfare i gruppi di diverse tendenze che partecipa-vano alla riunione, gli umanisti ed i tradizionalisti.Per raggiungere questo scopo Tillich cercò di evi-tare l'uso dei termini religiosi più convenzionali,come per esempio Dio. Al suo posto usò frasi come

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realtà assoluta o interesse assoluto, che essendotermini più precisi da un punto di vista intellettuale,gli sembravano neutri sul piano emotivo e quindipiù sicuri da un punto di vista tattico. Buber allorarivolse a Tillich una critica che produsse in lui unaimpressione duratura. Buber affermò, secondoquanto riferisce Tillich, che i concetti intellettualierano soltanto una « facciata astratta » cheoffuscava il significato basilare delle attivitàreligiose e politiche. Alcune parole, disse, hanno unsignificato primordiale che non consiste nel riferirsi aqualche cosa, ma è inerente alle parole stesse. Anzinon solo alle parole ma alla loro stessa pronunzia.Tale è la parola Dio. Essa ha in sé una forzaprimordiale dalla quale riceve una vita ed un poterepropri. Cosi, anche se un intellettuale cerca dinascondere la parola Dio sotto una frase comeinteresse assoluto, il potere innato di questa parolapenetra attraverso quel concetto, che sta cercandodi nasconderla. Questo potere è infatti tanto grandee fondamentale — tanto inerente alla natura del-l'uomo, e quindi primordiale — che anche se si par-la, come fecero Nietzsche, o Dostoevski ed oggifanno alcuni giovani teologi Americani, di « la mor-te di Dio », la pronunzia della parola perfino in ter-mini di morte fa si che ne derivi qualcosa di vivo.Di qui il paradosso che parlare della morte di Dioproduce un effetto di risveglio spirituale e che quelliche pronunziarono questa frase in realtà contribui-rono in modo positivo alla vita spirituale dell'uomomoderno.

La realtà di questo fatto è il punto essenziale deldiscorso di Buber. La parola Dio ha, come egli so-steneva, una forza primordiale superiore ad ogniconcetto o contenuto intellettuale che le si possaattribuire. La parola stessa ha un suo proprio po-tere; il fatto quindi che essa venga usata in sensopositivo o negativo non è tanto importante quantoil fatto stesso di essere stata pronunziata. A questopunto non possiamo fare a meno di notare che

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l'aspetto primordiale della parola Dio di cui parlaBuber corrisponde, sul piano di una psicologia delprofondo, al fatto che la parola Dio esprime un fat-tore archetipico nella psiche umana. Essa è proprioli nell'uomo; è una esperienza innata nell'esistenzaumana; esiste, sia che la affermiamo o la neghia-mo. Cosi Buber espresse, a modo suo una conqui-sta alla quale C. G. Jung era giunto per una stradadiversa.

Per quanto riguarda Tillich, egli comprese, con lasua caratteristica apertura mentale il significatodell'argomento di Buber e lo accettò dicendo: « Bu-ber aveva ragione, ed io imparai la lezione ». Neglianni seguenti, dopo aver approfondito attentamentel'atteggiamento di Buber, Tillich lo applicò nella co-struzione e formulazione dei suoi concetti. In se-guito Tillich riconobbe che ne era stato influenzatoin modo particolare nello stile di liguaggio con cuicercava di comunicare nei suoi sermoni e nelle le-zioni meno ufficiali. Comprendendo questo fatto pos-siamo chiarire e comprendere più pienamente unadelle ambiguità che più colpiscono nell'opera diTillich: il contrasto tra le sue categorie strettamenteintellettuali e l'uso drammatico, spesso poetico, ditermini destinati ad interessare un pubblico laico.Nella teologia sistematica di Tillich, che per la suanatura richiede una struttura intellettuale, troviamotermini concettuali ben precisi; nei sermoni invece,che esprimono un suo tentativo maturo di raggiun-gere i suoi simili, Tillich segue il consiglio di Bubere parla con parole primordiali. E' un fatto stranoche, per potere stabilire un dialogo è necessarioparlare con parole primordiali. Superficialmente sipotrebbe pensare che non debba essere cosi. Leparole primordiali sono cosi vaste. Investono aspettidell'esperienza umana cosi profondi ed ampi, dafare pensare che proprio perché sono cosi' generalinon siano adatte a portare avanti un dialogo, inquanto un dialogo richiede qualcosa di piùparticolare ed anche di più oggettivo. Ma

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non è cosi. Le parole primordiali — come Dio eAmore — esprimono qualcosa di essenziale perogni persona, poiché fanno parte del profondo in-distinto dell'uomo. Qualcosa nell'intimo dell'uomo,indipendentemente dalle forme culturali o dalle dif-ferenze sociali, da alle parole primordiali una na-tura particolare tale che gli uomini possono com-prendersi tra di loro quando le pronunziano, qua-lunque sia la lingua particolare in cui venganoespresse. Per mezzo di queste parole, gli esseriumani possono comunicare tra di loro in quantoc'è di essenziale nella loro natura. Cosi si può sta-bilire un dialogo ad un livello profondo. Fu proprio diquesto argomento che Tillich discusse con Buber nelcorso dì quel loro secondo incontro che tantaimportanza ebbe per lui. Questo avvenne in unmomento posteriore della loro vita, quando siincontrarono in America, e questa volta fu Tillich asollevare il problema di come Buber concepiva lanatura del dialogo. Il punto principale del problemadi Tillich sembra che consistesse nell'osservare chela relazione che un uomo ha con un altro essereumano è sempre una relazione con un individuoparticolare, e che questo è inevitabilmente un indi-viduo con particolari caratteristiche, per esempio,svizzero, protestante, moderno, cittadino, di menta-lità scientifica e cosi via. Queste, diceva Tillich,sono caratteristiche oggettive. Cosi, nella misurain cui una persona si riferisce ad esse nell'altra per-sona, si riferisce a ciò che c'è di oggettivo nell'altrapersona presa come un oggetto, non come un sog-getto. A questo livello, quindi, si sviluppa tra i dueuna relazione Io-Esso, invece della relazione pri-mordiale lo-Tu di cui parla Buber.Tillich chiedeva quindi a Buber se la relazione trauomo e uomo non venga sempre tanto condizionatada fatti particolari di esistenza da dovere diventarenecessariamente una relazione Io-Esso. E doman-dava inoltre se in realtà la apertura incondizionatadella relazione lo-Tu, di cui parla Buber, non esistasoltanto in una relazione con ciò che è incondizio-

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(6) Presumo una familia-rità con i concetti fonda-mentali di Buber, alla lu-ce dello scritto su Buberpresentato precedente-mente agli incontri Era-nos dal prof. GershomSholem. Il lavoro classi-co di Buber su questoargomento è L'Io e ilTu, contenuto nell'ope-ra antologica edita dalleEdizioni di Comunità, Mi-lano 1959, con il titolo IIprincipio dialogico.

nato, cioè Dio. In questo modo Tiliich poneva a Buber una chiara distinzione intellettuale. Intendevache la relazione Io-Esso con tutti i suoi limiti è propria della esistenza condizionata degli esseri umani, che l'uomo incontra l'uomo solo nei limiti dellecircostanze della sua vita, e che la relazione lo-Tunon si riferisce alla relazione che l'uomo ha conl'uomo, ma alla relazione che l'uomo ha con Dio.La risposta di Buber a questo quesito e l'effetto prodotto su Tiliich furono caratteristici dei due uomini.Naturalmente per Buber è essenziale che la relazione lo-Tu venga considerata un fatto totale in sestesso (6). Sì può riferire a Dio come all'uomo comeanche ad un oggetto inanimato. E' un problema cheriguarda la profondità e la qualità della esperienzacon cui ci si accosta all'altro. Cosf una personapuò rivolgersi a Dio con l'atteggiamento di chi prega sperando che venga soddisfatto qualche suoparticolare desiderio; oppure può ricorrere a Dio inun momento di debolezza e paura per ricevere unsostegno emotivo. In ciascuno di questi casi si staservendo di Dio come un oggetto. Come dice Mei-ster Eckhart, è come se Dio fosse una candela cheun uomo accende in una camera oscura per potercercare qualcosa. Ma non appena ha trovato ciòche cercava, spegne la candela e la nasconde inun cassetto mettendola da parte per la prossimavolta che ne avrà bisogno. Questo atteggiamentodi usare Dio è la relazione Io-Esso nei riguardi diDio. /Noi sentiamo chiaramente che questa relazione conDio è imperfetta. Ma perché? Evidentemente per-ché l'idea che l'uomo occidentale ha di Dio è cheDio sia solamente soggetto. Sembrerebbe che Til-iich avesse in mente proprio questa idea nel porrela sua domanda. In quel momento considerò Diocome il soggetto infinito, come il Tu Eterno; e glisembrò che la relazione lo-Tu fosse il modo concui Buber parlava della relazione dell'uomo con Dio.In seguito però alla risposta di Buber ed al discorsoche ne derivò, Tiliich riusci a comprendere qual-

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cosa di diverso. Il che lo condusse ad una espe-rienza che fu per luì nuova e trasformatrice. Dallarisposta di Buber Tillich comprese che possiamopronunziare la Parola primordiale Dio, in ciascunodei due modi possibili: possiamo pronunziarla comeuna relazione Io-Esso o come una relazione lo-Tu.Dio in se stesso non è essenzialmente l'una o l'al-tra. Il problema consiste in come noi siamo capacidi rivolgerci a Dio.Si potrebbe dire la stessa cosa per una relazionecon un altro essere umano, o con un oggetto inani-mato, un albero, un pezzo di legno che stiamo scol-pendo, un compito che ci è stato affidato. Con tuttopossiamo entrare o in una relazione Io-Esso o inuna relazione lo-Tu. Il fattore determinante non con-siste nella natura del secondo elemento del dialogo,né nel fatto che ci rivolgiamo a Dio, o ad un uomo,o ad un albero. Il fattore determinante è la qualitàdi coscienza della persona che stabilisce la relazio-ne, l'Io capace di renderla una relazione Io-Esso olo-Tu.A questo punto si pongono due problemi. Il primoe più importante problema, che ha bisogno di es-sere esaminato in una prospettiva più ampia possi-bile, riguarda ciò che è necessario da un punto divista psicologico per conseguire quella qualità dicoscienza che rende possibile una relazione lo-Tu.Il secondo problema riguarda la natura stessa dellarelazione lo-Tu. Tillich comprese che essa non siriferisce puramente ad un fatto sociale. Compreseanche che implica molto di più di un atteggiamentoda seguire nella condotta etica. lo-Tu sembra es-sere essa stessa una parola primordiale. Le pro-fonde risonanze emotive che suscita indicano cheè un concetto che racchiude nel suo intimo un po-tere numinoso, nella stessa misura di un simboloarchetipico. Nella relazione lo-Tu non ci sono unsoggetto ed un oggetto, bensi due soggetti. Il chesignifica che una persona come è cosciente dellapropria realtà ugualmente è cosciente della realtàdell'altro, sia esso Dio, una persona, o un albero.

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(7) Pastora! Psychology,op. cit. p. 53.

Ma mentre ciò avviene, nell'atto di prendere co-scienza della realtà propria e dell'altro, viene allaluce un fatto nuovo che prima non c'era. Interviene,allora nella situazione una forza numinosa che esi-ste senza dubbio, ma è difficile definire. Emerge, inquesto aspetto della relazione lo-Tu, una realtà spi-rituale.Possiamo dire che a questo punto il concetto diBuber si rivelò a Tillich particolarmente suggestivo.Scrisse infatti: «Questo dialogo fu uno dei più im-portanti dialoghi che io abbia mai avuto » (7). Com-prese che la relazione lo-Tu ha in sé quella numi-nosità religiosa che generalmente viene identificatacon Dio; ma comprese anche che la relazione lo-Tunon è identica a Dio. Essa ha in sé il potere, ma inrealtà è molto più libera nella portata delle sue pos-sibilità. Giunge più lontano e permette a questo po-tere di accedere nelle piccole cose dell'esperienzaumana, in particolar modo nelle zone laiche delmondo moderno in cui Dio ha difficoltà a penetrare.Fu cosi che Tillich scopri nella realizzazione di undialogo lo-Tu e particolarmente nella qualità di co-scienza che lo rende possibile, l'essenza di ciò cheegli prima considerava la forza del divino, il Sacro.Questa fu per Tillich una esperienza trasformatrice.Fu per lui di una enorme importanza in quanto glioffri una dimensione particolare che gli permise dimettere a fuoco nella vita del mondo il suo concettodi Dio; concetto che precedentemente era statotroppo astratto ed elevato per poter essere usato.Ora poteva comprendere che la relazione lo-Tuesprimeva e racchiudeva quell'aspetto del suo con-cetto di Dio in cui risiede il potere, in modo chepossa essere vissuto dinamicamente e concreta-mente nella vita del mondo. Tillich stesso disse chequesto per lui significò « intuire che l'imperativomorale con il suo carattere assoluto è la stessacosa che richiedere che io riconosca ogni personacome una persona, ogni tu come un tu, e che iovenga riconosciuto nello stesso modo ».

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Questa consapevolezza del potere spirituale che siattualizza nel dialogo tra due Tu, diventò un puntofondamentale ed una esperienza costante nell'operadi Tillich. E' interessante notare che il termine dia-logo viene usato pochissime volte nei suoi scritti.Ma intanto il concetto e particolarmente l'esperien-za che esso rappresenta sono sempre sottintesi.Come se, una volta assorbito profondamente in sestesso il concetto di Buber relativo alla relazionelo-Tu, non dovesse più parlarne. Parlarne era statocompito di Buber. Proprio come avviene tra duepartner in affari; se uno cura le vendite e l'altro sioccupa della fabbrica, l'uno è complementare all'al-tro ed il lavoro è produttivo. Questo intendeva Til-Yicn quando nel suo discorso commemoraìwo tììsseche ricordava Buber come « un partner in un dia-logo ». Essi infatti lavorarono come partner, in unmodo privo di formalità, spontaneo, senza altra re-gola che i bisogni della loro vita interiore. Il loro èveramente un esempio ottimo ed utile di come pos-sa operare nel mondo moderno la relazione lo-Tu.Il concetto della relazione lo-Tu e della vita di dia-logo assume un significato particolare per coloroche pensano che nell'uomo non è importante sololo spirito ma anche la sua esistenza sociale e sto-rica. La relazione lo-Tu è un ponte tra l'aspetto spi-rituale e quello sociale. Sembrerebbe infatti che Bu-ber stesso sentisse fortemente il bisogno di trovarequesto legame. Ragioni profonde lo spingevano aricercare un legame concreto e che potesse esserevissuto tra Dio e uomo, divino ed umano. Sembrache questo fosse un bisogno del dispiegarsi dellasua immagine di vita, del suo dinatipo e del suomito profondo.Potremmo prendere come esempio di quanto ab-biamo detto una discussione molto interessante te-nuta da Buber riguardo al tanto drammatizzato ri-fiuto che Kierkegaard fece della sua fidanzata Re-gina. Non si trattò soltanto delle responsabilità eco-nomiche del matrimonio e di quanto avrebbero op-

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(8) Martin Buber, BetweenMan and Man, tradottoda R. G. Smith, Beaconpaperback, New York1955, p. 52.

(9) Ibid. p. 52.

(10) Ibid. p. 52.

presso il giovane filosofo. Ci saranno stati certa-mente anche altri problemi, romantici, fisici e dialtra natura; ma Kierkegaard trasformò il suo rap-porto con Regina in un principio filosofico. Scrisseinfatti « Per poter arrivare all'amore ho dovuto ri-muovere l'oggetto » (8).Per Buber un simile atteggiamento significa voltarele spalle al mondo proprio al punto in cui dovrebbeavere inizio la vita. Se rimuoviamo gli oggetti nonabbiamo modo di metterci alla prova. Buber scrive:« La creazione non è una barriera sulla strada cheporta a Dio. E' la strada stessa » (9). Ancora unavolta la relazione lo-Tu con la vita comporta, quan-do sia compresa e sperimentata profondamente,una trasformazione radicale nella qualità della co-scienza individuale. Quando consideriamo l'oggettodi un atto, sia esso amore, lavoro o qualunque altracosa, come qualcosa che si pone di fronte a noi,come un nemico da combattere, l'unica nostra pos-sibilità è di combattere valorosamente. Tale lottainfatti può essere pericolosa e perfino fatale. PoichéKierkegaard aveva questo atteggiamento, forse fecebene ad evitare di lottare tutta la vita con Regina.Ciò avrebbe potuto significare per lui una morteancora più prematura. Potremmo d'altra parte sug-gerire l'ipotesi, che se avesse accettato la lotta, lasua filosofia avrebbe acquistato un tono molto di-verso.Buber considera di grande importanza questo argo-mento, ed afferma con fiducia: « Dio vuole che noiarriviamo a Lui per mezzo delle Regine che Egli hacreato, e non rinunziando ad esse » (10). Per mezzodei compiti che incontriamo nella vita, e delle per-sone che rappresentano questi compiti quando noile consideriamo come responsabilità: questo Buberintende vivere la vita di dialogo. Le Regine del mon-do rappresentano le occasioni per stabilire dellerelazioni e per vivere la vita. Sono le condizioniperché avvenga la relazione lo-Tu. « Rimuovere l'og-getto », come fece Kierkegaard, significa rimuoverel'occasione di entrare nella vita e di ricavarne qual-

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che cosa; significa rimuovere l'occasione di avereun incontro lo-Tu. Produce un vuoto, e l'unico ri-sultato possibile è una vita puramente soggettiva.L'altra possibilità è quella di accettare la presenzadell'altro come un oggetto per la nostra vita e cer-care di entrare in un rapporto cosi profondo con luida trovare il Tu che quello racchiude, in modo chequesta persona che per noi era un oggetto, diventaun soggetto. Questo Buber intende per un atto spi-ritualmente creativo.

Nel racconto di una sua esperienza personale Bu-ber ci da una indicazione ulteriore di come ve-deva l'importanza di essere sempre pronti a coglie-re il Tu nell'altra persona. Racconta che un giornoun giovane andò a fargli visita per porgli alcunedomande. Mentre Buber parlava con lui era distrattoda altri pensieri e non si rivolse al suo interlocutorecon tutto se stesso. Senza rendersi conto del gradodi disperazione e confusione che aveva spinto il gio-vane a chiedergli un colloquio, lo lasciò andare via.In seguito Buber seppe che dopo la visita il giovanesi era suicidato; allora ne soffri molto, dando lacolpa a se stesso. Sentiva che se fosse riuscito araggiungere il Tu nell'altra persona, quella non sisarebbe suicidata (11). Se dal punto di vista dellapsicoterapia possiamo dire con certezza che Buberfu ingiusto con se stesso addossandosi questa col-pa, possiamo d'altra parte comprendere il suo pun-to di vista. Senti questo fatto come una prova fattapersonalmente in vita del significato della filosofia.Ogni volta che un essere umano ci avvicina, ab-biamo il dovere di essere attivamente presenti. Ab-biamo il dovere di entrare in dialogo per il solo fattoche un nostro simile ci è venuto incontro. Dobbia-mo essere presenti con tutte le nostre capacità cosiche il nostro lo possa entrare in relazione piena-mente con il Tu dell'altro.Questo fatto, che racchiude in sé una percezioneprofonda di grande importanza, ci offre una indi -cazione fondamentale per comprendere il mito pro-

(ti) Ibid. pp. 13-14.

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(12) Buber Martin, Eclissi di Dio. Edizioni di Comunità, Milano 1961.(13) Buber Martin, ToHallow This Life. Antologia edita con una introduzione di Jacob Trapp,Harper and Brothers, NewYork 1958.

fondo che guidò Buber. Egli si senti chiamato a vi-vere in mezzo al mondo, a raggiungere il Tu inmolti altri uomini. Anche il suo modo di parlare inpubblico, che era un tentativo di iniziare un dialogofra molti dei presenti contemporaneamente, ne erauna dimostrazione. Senti inoltre l'importanza di par-lare in posti in cui si potessero incontrare personedi ogni livello di vita, oltre che nelle università edaltri circoli intellettuali. Anche a questo riguardoMartin Buber e Paul Tillich si trovarono concordied agirono come partner.Nelle prime pagine dell'opera Eclissi di Dio Buberci descrive un'altra esperienza personale che si ri-ferisce a questo suo atteggiamento. Un operaio cheseguiva attento e riflessivo le sue lezioni di reli-gione rispondeva ripetendo continuamente la frase« So per esperienza che per sentirmi veramente amio agio nel mondo non ho bisogno dell'ipotesi" Dio " ». Buber replicò approfondendo ed esami-nando ampiamente il problema, fino a che l'operaionon fu d'accordo con lui. Ma anche questo nonera sufficiente per Buber. Desiderò accompagnarel'uomo nella fabbrica per dimostrare li nel mezzodel mondo industriale cosa intendeva per il Dio delDialogo (12).A questa si ricollega una storia Chassidica che Bu-ber racconta in uno dei suoi libri (13). Uno studentedel Talmud che si alza molto presto la mattina perpoter terminare gli studi, nota che il fabbro di fron-te sta già lavorando nel suo negozio con la luceaccesa. La mattina seguente lo studente si alza pri-ma per potersi mettere al lavoro prima del fabbro,ma la mattina successiva il fabbro si è alzato an-cora prima e si è messo al lavoro prima di lui. Lecose continuano in questo modo ed ognuno dei duecontinua ad alzarsi sempre prima per poter accen-dere la luce ed essere al lavoro prima dell'altro.Alla fine, arrivati al punto che non c'era quasi piùtempo per dormire, lo studente decise che era ne-cessario parlare con il fabbro ed avere una spie-gazione.

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Presa questa decisione andò a trovare il fabbro alsuo negozio, gli spiegò lo scopo dei suoi studi econ molta serietà concluse « Devi capire quello chesto facendo ». Al che il fabbro con pari serietà ri-spose « E tu devi capire quello che sto facendo io ».Buber condivideva questo riconoscimento chassidi-co del valore del Tu in ogni esser umano. Ogni per-sona ha la sua propria integrità, il suo bisogno diuna vita autentica, che devono essere rispettati co-me qualcosa che ha un suo proprio valore. Questoè il Tu nell'altra persona, e non dipende dagli aspettiesterni della società o dai casi della condizionesociale. Il Tu del fabbro non vale meno di quellodello studente. Entrambi hanno i loro compiti daportare a termine ed i loro limiti di orgoglio e diansia, fra gli altri limiti interiori, da superare. En-trambi hanno lo stesso valore se si considera que-sta dimensione di esperienza, la dimensione del Tu.Nel momento in cui diventa possibile l'incontro deiTu, tra lo studente ed il fabbro o tra qualunquealtri due Tu, l'incontro diventa un fatto che ha unvalore spirituale perenne. In questa occasione qual-cosa di nuovo viene creato, qualcosa di nuovo vie-ne alla luce: esiste ora una nuova realtà. Una voltapoi che è venuta alla luce ed è stata aggiunta allealtre esperienze umane, vi rimane per sempre. Unnuovo potere è venuto al mondo e ciò avviene ognivolta che si realizza una autentica relazione lo-Tu.Un significato spirituale penetra nel mondo attra-verso questo tipo di dialogo fra Tu. Cosi il fatto ditrovare un punto di contatto con il Tu dell'altro siarricchisce di una importanza sociale e spiritualeoltre che personale. Per Buber fu un fattore fonda-mentale nel senso della sua vocazione profonda;ed ebbe un ruolo molto importante nel suo mitoprofondo.

Ancora nel libro Eclissi di Dio, Buber ci raccontauna seconda esperienza simile all'incidente conl'operaio tedesco. Questa volta l'interlocutore fu unvenerabile professore di filosofia nella cui casa Bu-

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(14) " Eclissi di Dio ", op.cit. p. 7.

ber era ospite (14). Una mattina Buber gli lesse unparagrafo di un nuovo libro che stava scrivendo.Dopo che ebbe finito di leggere, il vecchio profes-sore prese la parola per esprimere il suo parere.Il tono con cui si espresse era cordiale ma diventòsempre più emotivo durante il suo discorso. Disse:« Come puoi arrivare a ripetere tante volte la pa-rola ' Dio '? Come puoi immaginare che i tuoi let-tori diano a questa parola il significato che tu vor-resti? Ciò che tu intendi col nome di Dio è qualcosache supera la comprensione umana, ma parlandonetu la hai abbassata al livello della concettualizzazio-ne umana. Quale altra parola del linguaggio umanoè stata cosi abusata disonorata, profanata! Tutto ilsangue innocente che è stato versato per lei l'haprivata del suo splendore. Tutte le ingiustizie che èstata costretta a coprire hanno cancellato i suoi li-neamenti. Quando sento chiamare ' Dio ' l'altissimo,mi sembra quasi una bestemmia ». Queste furonole parole del vecchio.Il punto di vista sostenuto dal professore era, in so-stanza, un'eco dell'atteggiamento di Tillich nel suoprimo incontro con Buber. Che cioè la parola Dio,in seguito a tutti gli abusi sociali che ha sopportatoe a tutte le errate implicazioni emotive che ha ac-quistato lungo il corso dei secoli, ha perso la suautilità. Sarebbe molto meglio usare al suo postoqualche espressione /intellettuale nuova e più pre-cisa, li professore riconosceva quanto fosse grandeed incommensurabile ciò che Buber cercava diesprimere con la parola Dio, e proprio per questaragione l'uso di questa parola lo turbava. Egli sen-tiva qualcosa di offensivo e di sacrilego in questouso dal momento che in questo periodo storico lapersona comune non darà alla parola lo stesso si-gnificato attribuitole da Buber.

E' da notare che proprio il modo in cui il profes-sore espresse la sua critica era una dimostrazionedi quanto Buber aveva sostenuto nella risposta dataa Tillich, argomento che Tillich accettò ed incor-porò nel suo pensiero. Che cioè la parola Dio è una

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parola primordiale — una parola archetipica, sepreferiamo — e perciò ogni volta che qualcuno haa che fare con essa, sia in modo positivo che ne-gativo, si producono necessariamente una grandeenergia ed un intenso effetto emotivo. Cosf il pro-fessore, mentre intellettualmente non può tollerarel'uso della parola Dio, mostra, con la sua reazioneuna profonda religiosità. La sua frase ' quasi unabestemmia ', impedendo un vero dialogo, indica cheegli identifica la parola Dio soltanto con la bontà ela perfezione.La risposta di Buber al professore fu molto interes-sante, ed egli riusci a fare un passo avanti rispettoalla risposta data a Tiliich nel loro primo incontro.Per prima cosa, ammise che la parola Dio è forte-mente sovraccaricata di associazioni estranee e cheporta con sé ancora molti fra i più seri errori e con-fusioni della storia; ma, soggiunge Buber, « Non po-trei abbandonarla » solo per questa ragione. A cau-sa di tutte le sovrastrutture connesse con la parolaDio, le persone che sentono Buber parlare ed usarela parola Dio comprendono qualcosa di diverso daciò che egli intende esprimere attraverso di essa:esiste quindi un problema di comunicazione, cheperò sussiste in realtà solo ad un livello superficiale.La comunicazione viene impedita solo alla super-ficie, bloccata da forme sociali di pensiero. Ad unlivello più profondo invece, la comunicazione puòprocedere con assoluta libertà senza tener contodelle associazioni coscienti, poiché la parola Dio,in quanto parola primordiale ed archetipica, è pre-sente in ognuno come potenzialità di conoscenza.E' presente nelle profondità della psiche di tutti;aspetta soltanto di essere richiamata. Per Buberquesta non è una affermazione puramente accade-mica, o filosofica, o di psicologia teoretica. Egli neè coinvolto con tutta la persona, facendone vera-mente il principio fondamentale sulla base del qualevisse gran parte del suo mito profondo. Poiché leconfusioni sono solo superficiali mentre nelprofondo della psiche di tutti gli uomini c'è

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(15) Ibid. p. 8.

(16) Ibid. p. 61.

questa unica immagine, la comunicazione è possi-bile senza tener conto di come « le razze umanehanno fatto a pezzi il mondo con le loro discordiereligiose » (15), come dice Buber. Bisogna quindiperseverare nell'usare la parola Dio. Bisogna per-severare nell'usarla ma non come un dogma bensìcome una affermazione di ciò che è presente nel-l'uomo, per quanto ricoperto dalla polvere della sto-ria. Se si persevera con pazienza l'uso di questaparola produrrà infine delle trasformazioni nella co-scienza dell'uomo in quel periodo storico in cui lasi pronunzia. Questa era la fede personale e fon-damentale di Buber. Era il punto centrale del mitoprofondo che lo sosteneva.Fu proprio per questa fede che gli veniva dalla con-sapevolezza della immagine che si svolgeva nellasua vita, che Buber potè rispondere come fece alvecchio professore. Quando gli fu rivolta l'accusadi parlare di un Dio diverso da quello immaginatodai suoi ascoltatori, potè rispondere con forza edaffermare che veramente parlava dello stesso Diodi tutti gli uomini. Disse: « In verità, io intendo quel-lo che le generazioni di uomini tormentate dall'in-ferno e all'assalto del paradiso intendono. E' vero,disegnano caricature e vi scrivono sotto ' Dio '; siuccidono gli uni con gli altri e dicono ' nel nome diDio'; ma quando ogni follia e delusione cadono inpolvere, quando si presentano di fronte a Lui nelletenebre più solitàrie e non dicono più ' Egli, Egli 'ma sospirano, gridano ' Tu, Tu ' tutti quell'unica pa-rola, e quando poi aggiungono ' Dio ', non implo-rano tutti il vero Dio, il Solo Dio Vivente, il Dio deifigli dell'uomo? Non è proprio Lui che li ascolta?E non è proprio per questa ragione che laparola ' Dio ' la parola della supplica, la parola cheè diventata un nome, è sacra per sempre in tutte lelingue umane? » (16).Cosi replicò Buber e ci racconta che in risposta ilprofessore lo abbracciò dicendo: « Diventiamo amici». Evidentemente la parola essenziale era statapronunziata. Ma cosa voleva dire veramente Buber

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con ciò? E cosa rivelava di se stesso cosi? Per pri-ma cosa faceva capire che secondo lui le diffe-renze nelle concezioni intellettuali di Dio sono dipoca importanza. Esse infatti, come per esempioquelle tra il punto di vista del professore ed il puntodi vista della persone comune, hanno poco a chefare con Dio.Dio non si interessa di ciò che uno pensa di Lui,ma di come uno entra in rapporto con Lui. E' que-sto che determina se avverrà o non una relazionelo-Tu, ed è per mezzo di questa relazione che ilpotere della divinità può penetrare nel mondo. Que-sto è il contatto con il Tu di un altro che genera ilpotere centrale di ciò che noi percepiamo ed indi-chiamo come divinità nel mondo. Dalla risposta cheBuber dette al professore possiamo comprenderequale significato attribuiva alla sua esistenza, qualecompito sentiva di dovere adempiere nella sua vita.La cosa più importante che si può dire su Dionell'era moderna, oltre al fatto che vi sono moltimodi contrastanti di conce-pirLo e che il Suo Nomeè molto misconosciuto, è che l'uomo moderno tendea vivere fuori della relazione con Dio. Ciononostante,come Buber aveva capito, la parola primordiale Dio èsempre presente. L'immagine archetipica è sempreli. Per qualche intuizione, che secondo me deriva daldinatipo che impersonava, era convinto che lacondizione di vita dell'uomo moderno èessenzialmente instabile. Le sue dinamicheprofonde la condurranno alla distruzione. Cosidobbiamo considerare transitorio dal punto di vistastorico il fatto che l'uomo nell'era moderna havissuto senza una reale relazione con Dio. Questamancanza di relazione dovrà infine cadere ed essererimpiazzata da una relazione reale e positiva. Laragione è semplicemente questa: poiché l'immaginedi Dio, che corrisponde alla parola primordiale Dio, èsempre presente nell'uomo, la sua immagineprofonda sopravvivrà sicuramente alle condizionisociali in cui nessuna relazione con Dio è vissuta. Ilvuoto verrà infranto, quando la pa-

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rola primordiale si farà pronunziare con una forzacapace di annullare le sue circostanze storiche.Questa fu una percezione intuitiva di Buber, cheesprimeva la inclinazione naturale del suo dinatipoed il mito profondo che egli viveva.

L'intuizione di Buber su come ciò avverrà corri-sponde a quella di Jung, quando Jung cercò unarisposta che chiarisse come un individuo che hauna frattura nella sua psiche viene spinto versol'integrazione. Jung arrivò alla conclusione che ilprimo passo è il peggioramento del disturbo. A que-sto seguirà, quando sarà diventato abbastanza se-rio, una ulteriore trasformazione che darà inizio alcapovolgimento. Allo stesso modo Buber compreseche quando l'uomo moderno avrà sofferto abbastan-za per la sua alienazione dalla vita, vista come ri-sultato della mancanza di relazione con Dio, i nega-tivi si negheranno a vicenda e la parola primordiale,l'archetipo, si ristabilirà come un fatto di esperienzaumana. Allora, fuori dagli abissi della disperazione,la parola sarà pronunziata in modo tale che sapre-mo che qualcuno l'ascolta. Allora, inoltre, la rela-zione con Dio tornerà ad essere lo e Tu. Cosi av-verrà. Alla fine dovrà avvenire. Che Buber intuiscaciò e vi creda è fondamentale per comprenderecome egli concepiva il suo destino, il compito par-ticolare della sua vita. Egli vide^^se stesso comeuna persona cui fu ordinato di continuare a pro-nunziare la parola primordiale durante questo pe-riodo intermedio finché non arrivi il momento in cuil'uomo moderno, preparato dalla storia, sarà capacedi pronunziarla ancora una volta da solo per suobisogno e per suo desiderio. Allora sarà stato por-tato a termine il compito principale della storia mo-derna e del destino personale di Buber, il compitodi ristabilire tra uomo e Dio il dialogo lo-Tu.

Da come ho descritto il modello del pensiero diBuber, possiamo vedere che il suo modo di pen-sare era qualcosa di molto più antico della psico-

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logia del profondo. Rappresenta quel modello ci-clico esposto da Mosé nella sua profezia della sto-ria che è il prototipo di tutte le profezie storichedella civiltà occidentale. E' il modello fondamentaledi profezia secondo cui l'uomo dimenticherà Dionei periodi di benessere e ritornerà a lui in tempodi sofferenza. Esprimendo questo modello Buberimpersonava nuovamente in forma moderna il dina-tipo del profeta. Ma dobbiamo osservare che lo ar-ricchiva anche di una nuova dimensione. Buberaggiungeva la dimensione del dialogo. Ciò eraveramente già implicito nella profezia che ri-guardava la relazione dell'uomo con Dio; ma ilmodo con cui Buber la formulò rende accessibilein modo più specifico all'uomo moderno il poteredell'incontro con Dio. La chiave di ciò consiste es-senzialmente nel fatto che Buber comprese che l'as-senza di potere nella storia è l'assenza di contatto,la mancanza di relazione, l'incapacità di un lo dipercepire un Tu al di fuori di se stesso con il qualestabilire un rapporto. Ma questo non può essereforzato. Bisogna aspettare il momento del dialogo.Bisogna aspettare che arrivi, ma nello stesso tem-po si può anche preparare la sua venuta parlando,pronunziando quella parola che giace nel profondodell'uomo aspettando il momento adatto per venirefuori.Nel pensiero di Buber è implicito che nel momentoin cui questa parola, che è la parola primordiale, èmaturata nell'uomo al punto di parlare, allora sonostate poste le basi del dialogo. Quando la parolaparla nell'uomo, è avvenuto il rapporto con il Tu.Secondo Buber ciò accade inevitabilmente di tantoin tanto nella storia, ma è necessario che nei pe-rìodi intermedi vi siano alcune persone tanto iden-tificate con la vita di Dio nel mondo, da testimoniarela continuità del Tu di Dio mentre altre persone cre-dono ed agiscono come se la parola non esistessepiù. La parola continua ad esistere anche se sepoltao nascosta. Alla fine farà in modo di essere pro-nunziata, ed è questo il valore del dinatipo rappre-

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sentato da Buber, il dinatipo dell'uomo che pronun-zia la parola di Dio. Quando arriva il momento incui la parola è pronta ad esprimere il suo bisognodi parlare nella storia dal profondo dell'uomo, ilfatto che qualcuno, anche nel periodo di silenzio,abbia continuato a pronunziarla agisce come unpunto focale per il nuovo dialogo e rende più facileil risveglio.La nuova dimensione ed il grande contributo offertida Buber non si limitano al fatto che egli pronunziala parola primordiale, Dio. Molti, infatti, potrebberofarlo in un contesto o in un altro, con maggiore ominore autenticità. Il suo grande contributo consistenell'avere mostrato all'uomo moderno che ciò chel'uomo cerca quando cerca Dio, non è contenutoin nessuna verità oggettiva; piuttosto è un avveni-mento profondo che dipende dalla qualità di rap-porto con il Tu in mezzo al mondo. Se dirigiamol'attenzione sul rapporto facciamo in modo che Diopossa diventare presente per noi. Su questo sfondopossiamo dare alla persona di Buber un ruolo difigura profetica. In tale definizione, come fecenotare Tillich, c'è del vero e del falso. Che Buber inalcuni suoi manierismi, si sia servito di qualcheornamento superficiale di stile profetico, fu una cosasoltanto esteriore e di poca importanza. Di maggiorrilievo per il ruolo di profeta fu il senso della storiache Buber possedeva. E' interessante a questoriguardo conoscere come Tillich definisce il profetico.Dice: « Profetico significa esprimere la presenzadivina in una situazione particolare ». L'aspettoprincipale di tale definizione è forse il suo porrel'accento sulla necessaria adattabilità. Buber fumolto consapevole di ciò. Cosf, avendo compresoche i simboli di Dio hanno perduto il loro valorenella forma di espressione convenzionale, richiamòl'attenzione sul potere intrinseco della relazione pri-mordiale lo-Tu, in quanto questa stabilisce un con-tatto che porta nel mondo la presenza della Divi-nità, ma non dipende affatto dal credere in simboliparticolari. Ne consegue che Buber potè accettare

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con estremo realismo il laicismo del mondo mo-derno ed essere inoltre assolutamente convinto chenon c'è niente di profano attualmente che non pos-sa essere santificato quando arriviamo ad una pro-fondità tale da poter entrare in rapporto con il Tuche è in esso.A questo punto l'intuizione di Buber ebbe enormiconseguenze sul lavoro che lo stesso Tìllich stavafacendo. Parlando di Buber Tillich disse: « Mi sonosempre trovato d'accordo, in nome di quello che hochiamato il Principio Protestante, su questa aper-tura verso ciò che è secolare; essa precorreva unatteggiamento su cui la fase più recente della teolo-gia Protestante ha posto l'accento: la libertà dallareligione, incluse le istituzioni religiose, in nome diquello che è lo scopo della religione» (17). Com-prendiamo a questo punto che per Tillich Buberimpersonava quella tensione critica con la qualeegli stesso dovette lottare prima di potere arrivaredalla posizione che aveva nel Cristianesimo ad unaposizione che gli permetteva di affermare la vitadello spirito per l'uomo moderno, o che gli permet-teva di passare dalla fede in un Dio legato ad unadottrina particolare ad una denominazione profeticadi quello che chiamò « Dio oltre Dio ». Cosi PaulTillich continua: « Questo atteggiamento spiegal'enorme influenza che Martin Buber esercitò sulmondo laico, specialmente sui giovani i quali ormaiconsiderano prive di significato le attività e le affer-mazioni delle chiese e delle sinagoghe. Egli avevacapito che non possiamo continuare a servirci diqueste come se niente fosse cambiato nella storia.Ciò fa di lui un teologo autentico ». Con questafrase, Paul Tillich rende a Martin Buber il suo tributodefinitivo rivelando nello stesso tempo a noi il suopersonale mito profondo. Secondo il pensiero diTillich essere un teologo autentico equivale ad essereun profeta di Dio in mezzo ad un mondo laico. Maper poter valutare esattamente il significato di questaespressione dobbiamo comprendere come Tillich sirappresentò l'immagine di

(Y!) " Pastoral Psycholo-gy ", op. cit. p. 54.

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un teologo e come questa si formò e si sviluppò nelcorso della sua vita e del suo lavoro.

(18) Tillich Paul, " On thèBoundary ", Charles Scrib-ner 's Sons, New York1966, p. 59.

Ci potremmo domandare come mai, in questa epo-ca di scienza e di filosofia della scienza, qualcunopossa aspirare ad essere in primo luogo un teologo.Questo problema riguarda non solo il punto da cuil'individuo parte e quello che vuole raggiungere, maanche da un punto di vista storico da dove partee dove vuole arrivare l'umanità. Il punto di partenzadi Tillich era nella situazione religiosa del Cristia-nesimo, non solo perché il padre era un ministroprotestante, ma anche perché egli vide il Cristiane-simo come la situazione fondamentale dell'uomo oc-cidentale. Questo indica dove l'uomo occidentale è;verso quale direzione si muova è poi un altro pro-blema.Che vi fossero inoltre coinvolti fattori di gusto sog-gettivo e di esperienze personali, lo possiamo rile-vare dal suo scritto autobiografico, in cui leggiamo:« II mio amore per le chiese, con la loro atmosferamistica, per la liturgia la musica ed i sermoni, perle grandi festività cristiane che influenzano la vitadella città per giorni ed anche per settimane du-rante l'anno, produsse in me una sensibilità incan-cellabile per ciò che è ecclesiastico e sacramen-tale. A ciò bisogna aggiungere i misteri della dot-trina cristiana e l'impronta che lasciano nella vitaprofonda di un ragazzo, il linguaggio delle Scritture,e le esperienze stimolanti della santità, della colpae del perdono. Tutto ciò ebbe un ruolo determinantenella mia decisione di diventare e continuare ad es-sere un teologo » (18).Questi fattori che fanno parte di un gusto perso-nale, sono come i canali lungo i quali incomincia ascorrere il piccolo fiume della personalità. Sonoespressioni del sé ambientale. Il sé ambientale èquella parte della personalità che attingiamo dalloesterno di noi stessi, dalle abitudini e dallo stile divita che ci circondano, in mezzo ai quali viviamo,imitando inconsciamente l'ambiente ed identifican-doci con esso come se esso fosse noi stessi.

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Mentre alcuni conformano tutta la loro vita a que-sti fattori ambientali, per altri il sé ambientale è soloil punto di partenza di fronte al quale si sviluppaquella parte della personalità che ha in sé il signifi-cato più ampio della vita dell'individuo. Per questepersone il sé ambientale mentre offre le prime pos-sibilità di sviluppo, in seguito diventa come un gu-scio che bisogna spezzare perché la vera vita del-l'individuo possa emergere. Nella vita di personecreative ritroviamo ogni volta questo modello fon-damentale; che quel seme che nasconde dentro disé il potere e la unicità della personalità individuale,perché possa stabilire le condizioni che permettanoil suo sviluppo totale, deve aprirsi un passaggio at-traverso il guscio delle sovrastrutture ambientali.Questo processo, comunque, di aprirsi un passag-gio ed irrompere fuori del guscio del sé ambientalenon avviene rapidamente, ma richiede tutta una vita.Richiede un movimento costante avanti e indietroin cui gli opposti che sono nella persona si muo-vono continuamente l'uno contro l'altro formandopoco alla volta nuove integrazioni. Cosi si svolge ilprocesso dialettico della psiche. La sensazione chela persona ha di se stesso, durante lo svolgimentodi questo processo, è quella di vivere contempora-neamente in due mondi e di dovere andare conti-nuamente avanti e indietro passando dall'uno all'al-tro. Cosi molto giustamente Tillich pubblicò con iltitolo On thè Boundary (19) un resoconto autobio-grafico della sua vita.Senti la sua vita come un susseguirsi di situazionidi limite che erano innate nelle contraddizioni dellasua esistenza, come i temperamenti diversi del pa-dre e della madre, l'aspetto urbano e quello ruraleche coesistevano in lui, il contrasto tra Luterane-simo e socialismo, tra il dottrinale e l'universale, trail tradizionale e l'utopistico. Sentendo di esseresempre sul limite di queste ed altre situazioni divita, riconobbe che la sua vita ed il suo lavoro po-trebbero essere compresi come un tentativo di con-ciliare gli opposti dentro di sé e di rendere la si-

(19) Ibid.

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tuazione di limite una occasione per la scoperta ela creazione di un significato nella vita. Nelle ricercheche abbiamo fatto nelle vite di persone creativeabbiamo ritrovato questo modello ricorrente:l'enorme sforzo compiuto dal seme per aprirsi unvarco attraverso il suo guscio ambientale. Ciò vienetalvolta vissuto come una opposizione totale in cui ilvecchio sé ricevuto dall'esterno ed il sé in germeche cerca di svilupparsi dall'interno combattono unalotta di vita o di morte. Spesso la violenza di questalotta è rappresentata nei sogni che mostrano cheuno degli opposti, l'ambientale o il potenziale deveessere fatto fuori.Nella psiche di alcune persone questa contraddizio-ne è mediata dalla immagine del seme, che in se-guito, si svilupperà nel dinatipo individuale, che sifissa sulla situazione ambientale con la quale sta-bilisce un rapporto. Il dinatipo, che a questo puntoè ancora ad un primo stadio del suo sviluppo, inseguito si serve della circostanza ambientale e laadatta ai suoi scopi più vasti; mitigando in questomodo l'intensità del conflitto e diminuendo di solitoquella parte di sofferenza estrinseca dovuta allosviluppo della vita creativa. Può accadere purtroppo^che, nell'adattare un aspetto ambientale, producaimpressioni ingannevoli per se stesso e per gli altri.In tal caso, allora diventa necessario un nuovo pro-cesso di definizione perché le sovrastrutture am-bientali possano essere eliminate ed il dinatipo possaemergere in tutta la sua integrità. Tillich era moltocosciente di questo movimento avanti e indietronella sua vita, e lo considerava l'essenza dellasituazione di limite alla quale attribuiva tantaimportanza. Considerò la sua vita come una lottaper superare e riformare limiti, vedendo la ricerca dinuovi limiti nell'esistenza personale come l'attocreativo fondamentale nella vita di una persona.Scrisse: « Vivere alla frontiera nella situazione dilimite significa tensione e movimento. In verità nonè uno stare immobile, ma piuttosto un superare edun ritornare, un ritornare ed un superare con-

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tinuo, un andare avanti e indietro, i! cui scopo èquello di creare una terza zona al di là dei territorilimitati, una zona in cui ci si può fermare per unpo' senza essere rinchiusi in stretti confini. La con-dizione di frontiera non è ancora quello che si puòchiamare «pace»; eppure è la porta attraverso laquale ogni individuo deve passare, e ogni nazionedeve passare, per potere raggiungere la pace. Per-ché pace significa essere in Ciò che Tutto Com-prende (Obergreifenden) che è lo scopo di questopassare e ripassare le frontiere. Soltanto colui chevive sui due fronti di una linea di confine può ser-vire Ciò che Tutto Comprende e, quindi, la pace— non quello che preferisce stare al sicuro nellaquiete di stretti confini —. La pace appare — nellavita personale come in quella politica — li dove unvecchio limite ha perso il suo valore e quindi il suopotere di disturbo, anche se sussiste come un li-mite secondario » (20).Questo senso di movimento continuo, una calmache racchiude in sé un conflitto dialettico, è fonda-mentale per comprendere lo sviluppo personale diTillich. E' particolarmente evidente nello sviluppoe nel cambiamento avvenuti durante la sua vita delruolo di teologo e nel modo in cui si svolse ed in-fine si trasformò il concetto che egli aveva del si-gnificato di questo ruolo. Tra le cause ambientaliche influenzarono la sua vita riconosciamo il fattodi essere il figlio di un ministro attivo e di successo,la sensazione di calore e piacevoli ricordi legati ariti religiosi, ed in modo particolare la convinzione,instillata in lui nel corso di molti anni, che tutti i pro-blemi importanti debbano alla fine trovare una so-luzione nell'ambito del Cristianesimo. Quest'ultimoatteggiamento fu decisivo perché Til lich entrassenegli studi teologici. Anche se nei suoi primi anniaveva mostrato un forte interesse per la filosofiacome pure una profonda sensibilità per i problemisociali della storia, egli non si permise di diventaresolo un filosofo, né di concentrarsi su studi socialio politici. La ragione che glielo impedi

(20) Tillich Paul, " TheFuture of Religions ", Edto da Jerald C. Braue-Harper and Row, Nev.York 1966.

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(21) Paul Tillich, Si scuo-tono le fondamenta. Astro-labio, Roma 1972.

sembra riguardare essenzialmente il suo sé ambien-tale, con particolare riferimento al punto di vista dicui abbiamo parlato secondo il quale tutti i pro-blemi essenziali debbono trovare una risposta defi-nitiva nell'ambito del Cristianesimo. Fu dunque lanatura del suo interesse ambientale che lo portò asviluppare il suo pensiero nel contesto del Cristia-nesimo; e ciò significava che il cammino che la suavita e la sua opera dovevano percorrere era quellodi un teologo.All'inizio questo non comportò nessun problematranne che essere un teologo significava operarenel contesto del Cristianesimo. In Si scuotono lefondamenta dice esplicitamente: « La teologia nonesiste fuori della comunità di coloro che affermanoche Gesù è il Cristo, fuori della Chiesa, assembleadi Dio» (21). In altre parole è una vocazione chepresuppone una fede Cristiana. Questo è il puntodi partenza ambientale. Il filosofo però e l'uomo diinteressi sociali hanno anche altre necessità, e que-ste diventando più forti entrarono sempre più afare parte della sua vocazione di teologo. Ad ognistadio successivo diventava dunque necessario de-finire il significato del ruolo del teologo; ed attra-verso queste nuove ripetute definizioni noi possiamoseguire l'evoluzione e lo svolgimento dell'immaginedi vita di Tillich.

I suoi interessi sociali furono tra i primi a ricon-giungersi con quelli teologici; cosa che in realtàavvenne molto facilmente nella sua giovinezza, for-se troppo facilmente. Entrò a fare parte del movi-mento Socialista Cristiano, ed in quel periodo av-venne l'incontro con Buber che abbiamo descrittoprima. Ma Tillich aveva bisogno di alcune dimen-sioni che mancavano ad un Socialista Religioso;aveva bisogno di costruire una interpretazione dellastoria, ed in seguito metterla in relazione con il con-testo del Cristianesimo. In conseguenza, Tillich feceuna distinzione tra un teologo di chiesa e un teo-logo di cultura. Il teologo di chiesa era limitato sot-

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to tutti gli aspetti dal fatto di interessarsi di dottrinaecclesiastica, mentre il teologo di cultura aveva ilcompito di approfondire tutti gli aspetti della cul-tura e di trame una interpretazione, che non dovevacoincidere necessariamente con i preconcetti del-i'insegnamento cristiano. Il teologo di cultura do-veva essere un uomo dalla mente completamentelibera; fermo restando, comunque, il suo impegnoteologico di metter in relazione le sue scoperte, unavolta portati a termine i suoi studi culturali, con iproblemi della chiesa. Ma anche questa nuova de-finizione del ruolo del teologo rappresentò un at-teggiamento temporaneo. Tillich aveva bisogno diuna nuova prospettiva; come fece notare James Lu-ther Adams quando scrisse nel suo libro su Tillich:« Le opere posteriori di Tillich non conservano ladistinzione tra ' teologo di cultura ' e ' teologo dichiesa ' » (22).In realtà oltre all'aspetto sociale e a quello dottri-nale, c'erano molti altri aspetti di cui Tillich avevabisogno; tra gli altri la dimensione artistica e quellaletteraria, aspetti questi della sua mentalità umani-stica. Ma il più importante tra i suoi vasti interessiera quello della filosofia, in particolare il bisognoche aveva di interessarsi dei problemi assoluti dellaesistenza umana. Mentre voleva affrontare le veritàdella vita umana esaminandole alla luce della eter-nità, era anche consapevole del fatto che la dottrinaCristiana ed il suo impegno personale nei confrontidella religione Cristiana comportavano un contestomolto preciso contrassegnato da limiti storici bendefiniti. Sapeva bene che il Cristianesimo presentaun sistema di simboli che permette di comprenderegli aspetti eterni dell'esistenza umana, ma che nonè esso stesso eterno. Aveva quindi bisogno di co-struire un ponte che gli permettesse di superare illimite di separazione tra il suo interesse per i valoriassoluti della filosofia ed il suo impegno verso lareligione cristiana. Anche questo passo implicavauna ulteriore nuova definizione di che cosa significaessere un teologo. Ciò viene chiarito in quello che

(22) Adams John Luther," Paul Till ich's Philoso-phy of Culture, Science,and Relig ion ", Harperand Row, New York 1965p. 89.

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(23) Paul Tillich, " Syste-matic Theology ", voi. I,The University of Chica-go Press, Chicago Illinois.1951, p. 62.

Tillich defini Metodo di Correlazione che è certa-mente il metodo fondamentale dell'opera di Tilliche la chiave per comprendere il suo pensiero. Permostrarvi più chiaramente possibile cosa intendeTillich con il suo Metodo di Correlazione, vi riporteròun brano del primo volume della sua TeologiaSistematica, in cui egli dice: « La teologiasistematica, nell'usare il metodo di correlazione,procede in questo modo: attraverso una analisidella condizione umana porta alla luce i problemiesistenziali e dimostra che i simboli del messaggiocristiano sono le risposte a questi problemi. L'analisidella condizione umana viene fatta in termini cheal giorno d'oggi vengono chiamati ' esistenziali ',ma analisi di questo tipo sono molto più antichedell'esistenzialismo, in realtà sono vecchie come ilpensiero dell'uomo che si rivolge su se stesso efin dal sorgere della filosofia hanno trovatoespressione in varie forme di concettualizzazio-ne.L'uomo che si è rivolto ad esaminare il suomondo, vi ha ogni volta ritrovato se stesso comeuna parte di esso; ma ha anche compreso nellostesso tempo di essere uno straniero nel mondo de-gli oggetti, incapace di penetrarlo oltre un certolivello di analisi scientifica. In seguito ha realizzatodi essere egli stesso la via di ingresso a livelli diconoscenza più profondi, che può trovare nella pro-pria esistenza l'unico mezzo possibile per accostarsialla esistenza in sé. Ciò non significa che l'uomo èpiù adatto degli altri oggetti ad essere esaminatocome materia di ricerca scientifica, anzi è proprioil contrario! Significa invece che l'esperienza im-mediata della propria esistenza personale rivelaqualcosa della esistenza in generale » (23).!n questa affermazione possiamo vedere quali ef-fetti psicologici produsse su Tillich la costruzionedi una teologia sistematica. In verità ci si potrebbechiedere come mai un uomo che aveva uno spiritocosi libero ed aperto dovesse sentire il bisogno dicostruire un sistema. L'idea stessa di un sistemasembrerebbe fuori luogo per un uomo simile, in

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quanto un sistema tende ad irrigidire il pensiero diuna persona. Tuttavia Tillich aveva bisogno di unsistema e questo doveva essere rigido proprio comedeve essere rigido un ponte. Questo deve esserealmeno tanto forte da permettere alle persone che10 attraversano di arrivare in salvo all'altro lato; lateologia sistematica di Tillich ebbe il compito particolare di essere il ponte che gli permettesse di oltrepassare il limite tra filosofia e religione.Il Metodo di Correlazione è fondamentale per comprendere ciò. Alla sua base c'è la consapevolezzache « l'uomo stesso rappresenta la via di ingressoa livelli di conoscenza più profondi, e che nella suastessa esistenza può trovare l'unico mezzo per accostarsi alla esistenza in sé ». Le implicazioni contenute in questa frase sono tanto vaste quanto quelle che si possono trovare nella psicologia dei profondo. Tillic realizzò che un uomo che guarda nellasua individualità ad un livello abbastanza profondoarriverà ad afferrare gli universali della vita; e naturalmente ed anche molto ingegnosamente, Tillichconcluse che questa operazione si può eseguire inentrambe le direzioni possibili: si può andare dall'individuale all'universale, e si può andare dall'universale all'individuale. Nel caso della religione, si puòandare dagli universali della condizione umana allerisposte particolari della religione cristiana, ammesso che si sia arrivati ad un livello abbastanza profondo per penetrare la dimensione simbolica delCristianesimo. Proprio attraverso la dimensione simbolica del Cristianesimo, andando da ciò che è universalmente esistenziale verso ciò che è particolarmente cristiano, si può realizzare il Metodo diCorrelazione.Secondo Tillich questo lavoro deve essere compiu-to da un teologo, e soltanto in un modo sistematico,cioè sostenuto e diretto da una struttura fissa. No-tiamo che il Metodo di Correlazione di Tillich eraun ponte che conservava il suo legame con il Cri-stianesimo, mantenendo cosi la sua immagine delseme in svolgimento, il suo dinatipo creativo, an-

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cora nel contesto protettivo del suo sé ambientale.A questo fatto è connessa una grande tensionepsicologica, in modo particolare per il tipo crea-tivo. Cosi scopriamo una certa ostinazione, comese qualcosa dentro di lui lo minacciasse continua-mente di distruggere il suo sistema. In realtà nonsarebbe troppo sbagliato dire che Tillich, negli anniseguenti esplose veramente fuori del suo sistema,e che le migliori espressioni della sua creatività letroviamo fuori del suo sistema, particolarmente neisuoi sermoni ed anche negli scambi che ebbe conaltri pensatori creativi del nostro tempo.Devo aggiungere comunque che per quanto il mag-gior contributo di Tillich sia al di fuori della suaTeologia Sistematica, esso fu reso possibile soltantodal fatto che egli si era per prima cosa assogget-tato a costruire la struttura. E' strano, ma talvoltaun uomo può costruire un ponte per potere andareavanti e indietro fra due rive per scoprire poi che ilponte porta ad una terza riva di cui egli non sapevaniente ma che in realtà è proprio quella che egliavrebbe voluto raggiungere da sempre. Questo po-trebbe essere accaduto molto verosimilmente a Til-lich, come accadde ad altri costruttori di sistemi.Naturalmente, dopo che il ponte ha portato una per-sona sulla terza riva, questa non ha più bisogno delponte, il quale comunque, potrebbe essere ancorautile ad altri.Ho accennato che una delle attività più creative diTillich nel periodo seguente della sua vita implicòuno scambio con alcuni pensatori indicativi. Tillichdisse, e potrebbe essere stato vero, di essere riu-scito a produrre ì sermoni soltanto con l'aiuto diquello che Buber gli aveva insegnato sul dialogo,ma in realtà egli stesso al livello più profondo eramolto dotato per il dialogo. Uno di questi dialoghidi cui Tillich parlò nei suoi scritti, e che sembra ve-ramente avere avuto una importanza fondamentaleperché egli potesse giungere alla sua successivainterpretazione del significato del ruolo del teologonel nostro tempo, fu quello che ebbe con Mircea

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Eliade, un uomo che per molti anni ha presentatoqui ad Eranos contributi di grande interesse.

Questo dialogo non riguardava solo l'uomo Eliade,ma la storia delle religioni in generale. Per Tillich,come per molte persone in questi ultimi anni, Eliadeè giunto a rappresentare la personificazione dellostudio della storia delle religioni. Sembra che peralcuni anni precedenti il suo incontro con Eliade,Tillich si stesse preparando a venire a patti con lastoria delle religioni, e ciò era implicito nellaostinazione che manifestava nell'essere un teologorinchiuso nei confini ambientali del Cristianesimo.L'immagine profonda del suo lavoro richiedeva unastruttura più vasta; ed il Metodo di Correlazioneall'interno della sua Teologia Sistematicarappresentava un principio elaborato con molta curaper equilibrare l'universale e la tradizione. Sembrachiaro che Tiilich per un lungo periodo senti di averebisogno di qualche altra cosa; ma ho l'impressioneche non riusci a compiere quel passo avanti che ilsuo lavoro richiedeva finché non si incontrò facciaa faccia con Eliade all'Università di Chicago enon si scontrò con il tipo di lavoro di Eliade.Se esaminiamo le possibilità che avrebbe potutoavere precedentemente, vediamo chiaramente chenon furono molto stimolanti per Tillich. L'incontrocon Rudolph Otto, di cui ci parla, non fu sufficienteper lui. Da un altro punto di vista Tillich si interessòmolto di psicoanalisi, particolarmente del lavoro diKaren Horney al tempo in cui visitò il Giappone perfare ricerche sullo Zen. Ma è chiaro che quel ge-nere di psicologia del profondo non aveva i mezziper fare luce sul tipo di problemi che Tillich avevabisogno di porre. Probabilmente solo Jung, tra glipsicologi del profondo, aveva vedute tanto ampieda potersi incontrare con Tillich sullo stesso piano.Sembra però che Tillich avesse una resistenza neiconfronti di Jung per diverse ragioni; in parte perragioni politiche e sociali, in parte perché l'atteg-

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giamento di Jung verso i simboli religiosi gli sem-brava ambiguo, in parte perché l'idea degli arche-tipi di Jung gli sembrava troppo vaga e « poco rigo-rosa ». Per quanto in seguito Tillich superò gli aspettipersonali della sua resistenza e lo fece con gran-dezza d'animo nel discorso che tenne alla cerimo-nia commemorativa in onore di Jung, riconosciamoche nella sua resistenza alla idea degli archetipi,c'è un aspetto oggettivo che merita un esame piùapprofondito.

Chi di voi conosce le opere di Eliade saprà cheegli si serve di un concetto degli archetipi che ve-ramente è completamente diverso da quello di Jung,e che si potrebbe definire un concetto esistenzialedegli archetipi più che un concetto di psicologiadel profondo. Il concetto che ne ha Jung promettedi asserire e di dimostrare molte più cose di quellodi Eliade; e per questa ragione è chiaro che investeun numero molto maggiore di problemi ed incontrauna resistenza molto più grande. Dopo tutto Jungsostiene che nelle strutture biologiche dell'essereumano sono innati modelli di comportamento insie-me con processi psicologici di sviluppo conflitto edecadenza, che si riflettono in strutture corrispon-denti di modelli simbolici che definisce archetipi. Illavoro di Jung in questo campo, per questo suonuovo concetto che gli archetipi non sono solo psi-cologici ma anche « del mondo », cioè espressionidel macrocosmo nel microcosmo, poneva problemiontologici troppo stimolanti per Tillich. Anche suquesto piano Tillich aveva delle riserve nei con-fronti di Jung, poiché, come Buber, non compren-deva bene la natura dell'impegno personale di Jung.Secondo me ciò era dovuto ad una diversità di tipi,in particolare sia Tillich che Buber davano vita adun dinatipo diverso da quello di Jung ed avevanoquindi una visione diversa della realtà assoluta. Matorneremo fra poco su questo punto. Tillich potevaaccettare come una ipotesi l'idea di Jung dellabase unitaria, cioè biologico/psicologica,

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0 psicoide secondo la definizione di Jung, degli archetipi; ma come una ipotesi da sottoporre ad unostudio più approfondito dal punto di vista scientifico.Di fronte ad un punto però dell'opera di Jung, sifermò: quello che si potrebbe definire « la denominazione degli archetipi ». Nel discorso commemorativo infatti Tillich disse: « Talvolta mi sembra chela denominazione degli archetipi fatta da Jung sia...in un certo qualmodo poco rigorosa e priva di unprincipio selettivo » (24). Anche altre persone naturalmente, pur riconoscendo alla ipotesi degli archetipi di Jung implicazioni di enorme portata, hannomosso questa stessa critica nei confronti della suaformulazione cosi vaga e poco dettagliata da lasciare adito ad abusi ambigui ed irresponsabili. Suciò si fondavano le riserve che Tillich e molti altriavevano verso l'idea degli archetipi di Jung. lo penso di non sbagliare dicendo che, se il concetto diarchetipo avesse avuto una formulazione più precisa convalidata da prove che fosse possibile studiare in termini di categorie già formulate al di fuoridel campo di lavoro di Jung, le implicazioni dell'ideafondamentale di Jung diventerebbero molto più significative per persone che oggi lavorano in varicampi di studio.In ogni caso si vede chiaramente che per Tillich1 uso che Eliade fa del termine e delconcetto diArchetipo, che contrastava con quello di Jung, fudi importanza particolare nel permettergli di compiere quei passo verso l'universalismo che avrebbesoddisfatto in più ampia misura la sua immagineprofonda del significato del ruolo teologo nel mondo moderno. Una prima ragione di ciò è semplicemente che il concetto di archetipo di Eliade affermamolto meno di quello di Jung, e quindi ha bisognodi dimostrare di meno ed è quindi meno espostoalle critiche. Una seconda ragione, che sembra lapiù importante, è che la qualità esistenziale dellaformulazione di Eliade corrispondeva molto da vicino al Metodo di Correlazione che Tillich avevausato, come abbiamo visto, per costruire il ponte

(24) Discorso commemo-rativo di Tillich per Jung,op. cit. pp. 32.

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tra la filosofia esistenzialista ed il Cristianesimo.Cosi per Tillich fu un passo naturale intraprenderecon Eliade un dialogo che estendesse il suo pontealla storia delle religioni in generale. Il concettooperativo degli archetipi usato da Eliade, e descrittoin Cosmos and History, si fonda sul principio cheesistono alcuni tipi di situazioni che ricorronospontaneamente proprio a causa della natura dellaesistenza personale e sociale dell'uomo, e che sirivelano attraverso sogni, miti ed altre espressionisimboliche. Eliade sostiene inoltre che l'uomo adogni livello di cultura fin dal più arcaico e primitivocercò costantemente di comprendere i misteri dellasua esistenza per poter trasformare le condizioni divita profonde ed esterne della sua vita, e chequesta ricerca tende a manifestarsi in strutture disimbolismo che si concentrano su alcuni temi chenel corso della storia ricorrono come variazioni su untema. Questi sono gli archetipi. Essi hanno a chefare con il tempo, i suoi cicli le sue ripetizioni e conl'escatologia. Hanno a che fare con il sacro vistocome una dimensione di vita e con il non sacro, ilprofano. Hanno a che fare con il ciclo di morte e dirinascita che viene sperimentato e simbolizzato neiriti di iniziazione. Queste situazioni archetipiche sonomateria di studio per Eliade, che non cerca dicostruirvi intorno un sistema analitico. Il suo scopoè semplicemente quello di descriverle e dicomprenderle per quello che sono in se stesse e dientrare in corrispondenza con esse più profon-damente possibile. Cerca di trame le implicazioniesistenziali che sono portate come illuminazioni con-fuse e spesso profondamente intuitive nell'internodelle strutture simboliche che si formano spontanea-mente e si presentano nei diversi miti e riti.Esaminando tutto ciò, vediamo come questo me-todo di lavoro di Eliade si adatta armoniosamentecon il Metodo di Correlazione di cui Tillich si eraservito nel particolare contesto del Cristianesimo.Egli aveva tratto dalla filosofia i problemi universalied eterni, cercando di metterli in relazione con le

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risposte ottenute dalle dottrine e dai simboli delCristianesimo. A questo punto, l'opera di Eliade glioffriva una sorgente nuova ed abbondante sia diquesti problemi esistenziali eterni che di una varietàdi possibili risposte presentate in forme simbolichecomplicate ed illimitate. Era proprio come se Eiiadegli avesse permesso di entrare in una miniera chesi sarebbe dimostrata una sorgente inesauribile dimateriali grezzi. A questo punto il metodo di corre-lazione poteva veramente diventare utile nel co-struire una teologia. Ma quanto diversa avrebbe do-vuto essere questa teologia! Prima di morire Tìllichaveva appena incominciato ad andare attivamentein questa direzione. Nello scritto in onore di Tillich,Eliade osserva molto giustamente, che la morte locolse proprio quando aveva iniziato un nuovo svol-gimento di pensiero. Dal nostro punto di vista, que-sto fu veramente un nuovo inizio, ma se avesse po-tuto vivere tanto da portarlo a termine, avrebbe rap-presentato il compimento del mito profondo che egliaveva personificato nel corso della sua vita matura.Con questo nuovo materiale sarebbe stato capacedi formulare il significato del ruolo del teologo nell'eramoderna.Nell'ultima lezione che tenne in pubblico, intitolataThe Significance of thè History of Religions for Syste-rnaticTheologian, Tillich indicava la direzione che questiavrebbe preso. Per il teologo Cristiano signi-ficherebbe per prima cosa un cambiamento nel suoatteggiamento fondamentale. Dovrebbe accettareTidea che esperienze valide di rivelazione religiosanon sono necessariamente riservate al Cristianesimo,ma sono, secondo una espressione di Tillich, possi-bilità « universalmente umane ». Significherebbe,continua Tillich, riconoscere che l'uomo riceve la ri-velazione nei termini delia condizione limitata dellasua umanità. Potrebbe quindi essere giusta, e po-trebbe essere sbagliata. In altre parole dobbiamo es-sere aperti ad accettare ciò che c'è di valido inogni tipo di esperienze religiose, ma dobbiamo an-che stare attenti ed assumere un atteggiamento cri-

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tico nei loro confronti. Questo cambiamento di mododi vedere implica una constatazione ulteriore, che ledifferenze di rivelazioni tra i diversi popoli del mondopotrebbero contenere nel loro aspetto complessivoun processo di rivelazione religiosa in continuo svi-luppo. Questa idea è in se stessa di grande impor-tanza per venirci presentata anche solo come unsuggerimento da un uomo che trascorse la sua vitacome un teologo cristiano. Tillich comunque, pro-segue affermando che dobbiamo riuscire a com-prendere che il processo di rivelazione religiosa, cheavviene in tutto il genere umano nel corso della sto-ria, non comprende soltanto gli avvenimenti che han-no luogo nei confini formali delle religioni, ma anchequelli che avvengono nel campo secolare. Dice cheil sacro, ed il suo significato qui si può ampliare siadal punto di vista di Buber che da quello di Eliade,« non si trova a fianco del profano, ma nelle profon-dità di questo ».Cosa possiamo dedurre da simili affermazioni? Til-lich le presentava come contributi per la TeologiaSistematica, in particolare come i fondamenti peruna nuova Teologia Sistematica. Chiaramente questateologia non sarebbe stata limitata al Cristianesimo;e non solo non sarebbe stata limitata al Cristiane-simo ortodosso nella sua forma attuale, ma non sa-rebbe stata ristretta al campo dell'esperienza reli-giosa cristiana nel suo complesso. Allora cosa saràun teologo? Non sarà più colui che offre una ela-borazione intellettuale sistematica della dottrina cri-stiana. Avrà perduto il suo carattere particolarmentecristiano; ma quando questo gli accadrà, verrà chia-mato con un nome riportato alla radice originaledella parola. Diventerà un teonomo, un uomo che haDio come legge profonda, un uomo che ha comeprincipio profondo di vita quello di rendere testimo-nianza alla presenza della divinità nel mondo. Aquesto punto abbiamo veramente compreso il si-gnificato che Tillich dava al suo mito profondo, alsuo essere un teologo. Ma durante gli anni in cuiadattava questa immagine del seme, questo dinatipo

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del teonomo nel contesto della sua base ambientaledel Cristianesimo, quando cercava di immergere lasua immagine del seme nel suo sé ambientale, nonruisci mai ad essere un teonomo non importa qualealto riconoscimento accademico possa avere rag-giunto. Non potè essere allora un teonomo, ma sol-tanto un teologo cristiano. Da qui la grande ten-sione di una urgenza profonda presente in Tillichdurante tutta la sua vita, che lo fece vivere sempresu un limite, sentendo anche nei momenti di mag-giore successo che qualche cosa di fondamentaleimportanza nella sua vita rimaneva incompiuta. Parlòdi se stesso come di un teologo e questo termineper lui indicava l'elogio più grande, come quandoparlò di Martin Buber. Ma si capiva che quandousava la parola teologo in questo modo, parlava diuna visione non di un fatto. Bisognerebbe dire nonancora un fatto; perché un sogno è un fatto che è ar-rivato appena un pò prima del tempo. Il ponte cheaveva costruito tra filosofia e Cristianesimo, arrivòveramente ad una terza terra, ad una terra teono-ma, in cui il nome di Dio poteva essere pronunziatoin varie forme, moltiplicando la testimonianza edampliando il significato. Questo passo mentre por-tava a compimento il mito profondo verso il qualeTillich aveva indirizzato tutta la sua vita, richiedevaanche un reale capovolgimento nel modo di defi-nire la sua vocazione cosi come l'aveva vissuta pertanti anni. Qualcosa doveva veramente morire per-ché potesse nascere in Tillich un Nuovo Essere cheportasse a compimento lo scopo del suo lavoro edella sua vita. E' simbolico che nell'ultimo discorsodella sua vita egli profetizzò un nuovo tipo di teo-logia che avrebbe inevitabilmente trasformato la suavecchia teologia sistematica, ma che sarebbe statoreso possibile soltanto da tutto il lavoro che egliaveva compiuto con passione.

Ho già detto prima che il modello delle vite e delleopere di Buber e Tillich racchiudeva una somiglianzàmolto forte, al punto tale che possiamo dedurre cheimpersonavano nelle loro vite lo stesso dinatipo.

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Lo deduciamo anche dal fatto che le cose che Til-lich disse nel parlare di Buber nel suo discorso com-memorativo su Buber, si possono adattare ugual-mente a lui stesso. D'altra parte, quando Tillich pro-nunziò il discorso in memoria di C. G. Jung dimostròcalore e simpatia, gli offrf anche l'omaggio supremodi impegnare un valido dialogo con i concetti fon-damentali della sua opera. Per quanto parlò con ilmassimo ardore e sincerità, in questo discorso nontroviamo affatto la comunione di sentimenti, la pro-fonda simpatia fatta di comprensione e di identifica-zione, che ritroviamo nel discorso su Buber. Sipotrebbero suggerire ragioni personali di poca im-portanza per spiegare questa differenza di tono, mahanno veramente poco valore. La ragione fondamen-tale di questa differenza è da ricercarsi nel fattoche Buber e Tillich esprimevano lo stesso dinatipo,mentre Jung ne esprimeva uno diverso. Una indica-zione ulteriore di questa differenza si potrebbe ri-cercare nel fatto che sia Buber che Tillich non riu-scirono mai a comprendere veramente e profonda-mente l'esperienza del significato spirituale dellarealtà psichica cosf come Jung la espresse nellasua Risposta a Giobbe. Anche questo è un soggettoche non posso trattare dettagliatamente in questasede; lo cito per dimostrare che i diversi dinatipiportano con sé differenze di temperamento e diffe-renze nella capacità di percezione a vari livelli. Spessone deriva che una persona è incapace di vedere qual-cosa che un'altra persona di intelligenza uguale trovadel tutto chiara.

Possiamo citare molti ed evidenti esempi di que-sto fatto. Per esempio quando Sigmund Freudcercò di accostarsi al problema della religione, conparticolare riguardo a ciò che defini il « sentimentooceanico », disse che rispettava questa esperienzanegli altri, poiché conosceva alcune persone degnedi rispetto che sostenevano di averla provata, mache da parte sua era « incapace per temperamento »di sperimentarla. Se Freud descriveva veramente cosi

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i suoi sentimenti concreti, dobbiamo dedurre chela spiegazione su basi di temperamento che egli dadella sua incapacità indica che sentiva che ciò eracausato da qualcosa che apparteneva alla sua stessanatura, cioè dalla sua immagine di vita o dal suodinatipo. Il dinatipo impersonato da Freud era sicu-ramente molto diverso da quello di Jung. Conoscia-mo bene, in altri campi di esperienza ma in modosimile, la situazione in cui una persona può vederecolori e forme aprirglisi spontaneamente e trasfor-marsi attraverso il suo occhio della mente, mentreun'altra persona dotata della stessa intelligenza pra-ticamente non vede proprio niente né all'esterno néall'interno. Un'altra persona ancora può udire tona-lità e ritmi formare modelli e strutture che rimangonodel tutto inaccessibili per qualcun altro. Ciò è in re-lazione con facoltà, sensibilità e capacità proprie diparticolari dinatipi, in questo caso il dinatipo del-l'artista figurativo e del musicista. Ogni dinatipo ècaratterizzato da un suo stile e da una propria ca-pacità di percepire la realtà e di entrare in relazionecon essa, i quali gli offrono sia i mezzi per esprimersiche i mezzi per raggiungere un più completo sviluppo.Queste capacità e modi di percepire sono, comun-que, originari del modello contenuto in ciascun di-natipo. Da ciò possono derivare grandi difficoltà dicomunicazione negli scambi tra persona che hannodinatipi diversi; ed è in questo senso che ho citatole differenze tra Buber e Tillich da un lato e Jungdall'altro.I problemi che Tillich trovò nel concetto di archetipidi Jung consistono proprio in questo; ma ciò nono-stante ii concetto rimane di una certa validità ed uti-lità. Da un punto di vista pragmatico, non ha alcunaimportanza per quale via si arriva all'ipotesi degliarchetipi. Qualcuno vi può arrivare su un piano pu-ramente sociale, osservando che alcuni modelli dicomportamento sorgono universalmente per ragionifunzionali. Qualcun altro vi può arrivare osservandoche la vita umana produce in tutti i tempi e culturealcuni modelli di espressione attraverso i quali l'uo-

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mo cerca di scandagliare le profondità della suaesistenza. Qualcuno può considerarla in termini dipredisposizioni biologiche o come modelli di compor-tamento in cui l'uomo è un microcosmo che rifletteun macrocosmo più vasto. Qualcun altro ancorapuò considerarla in termini delle complessità dellapsicologia del profondo e delle classificazioni ana-litiche di uno Jung o con il più diretto ed esistenzialepunto di vista di un Eliade. Qualunque sia la viaseguita per giungere a ciò, rimane il fatto che al-cuni modelli di comportamento si ripresentano ognivolta che la vita umana arriva ad un livello signifi-cativo di sviluppo sociale.

Il termine « archetipo » si riferisce a questo fattogenerale. Si può riferire anche a qualche cosa di piùspecifico, ma ciò implicherà sempre usi particolari.In se stesso il termine si riferisce a quanto c'è digenericamente universale come potenzialità nel-l'uomo. Si riferisce anche al livello del profondo nel-l'esperienza umana, a ciò che è fondamentale edessenziale più che superficiale, a ciò che è primor-diale più che recente ed a ciò che si trova nellaparte più intima ed irrazionale della psiche piuttostoche al limite esterno della coscienza. Allora com-prendiamo che il termine archetipo, nel suo uso piùfondamentale ed assolutamente indispensabile, siriferisce ad una qualità di coscienza. In questo sensodovremmo veramente usare il termine archetipocome un aggettivo piuttosto che come un nome. Po-tremmo parlare allora del livello o qualità archeti-pica della psiche o della coscienza, non degli arche-tipi. Potremmo parlare di tendenze archetipiche nellapsiche, non di particolari archetipi che fanno que-sto o quello. Facendo cosi, ci lasciamo prendere nelgioco di denominare gli archetipi. Ciò produce ildoppio effetto di allontanare persone come Tillich eBuber che hanno una conoscenza autentica, acqui-stata con le loro personali esperienze profonde, de-gli aspetti archetipici della psiche; e di rendercisempre più difficile arrivare ad una comprensione

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convalidata dall'esperienza dei fattori operanti nelleprofondità della psiche.

Mi sembra che per raggiungere questo scopo ab-biamo bisogno di semplificare invece che compli -care i metodi di classificazione. Abbiamo infatti bi-sogno di un metodo per chiarire il problema degliarchetipi su un piano concettuale per poterlo trat -tare da un punto di vista sperimentale e descrittivo,lo mi servo come strumento di ricerca in questa dire-zione di una formula di classificazione che è quan tomai semplice e pratica. Considero il concetto diarchetipo come un termine aggettivale utile ad orien-tarci verso il livello profondo della psiche. Non cercodi fare una classificazione in particolari archetipi,essenzialmente perché mi sembra necessario dif-ferenziare i diversi aspetti del livello archetipico dellapsiche prima di poter cominciare a dargli un nome ea classificarlo. Alcune delle accuse di « tendenzaalla confusione » mosse giustamente contro la no-menclatura junghiana sono dovute all'avere man-cato di osservare questa precauzione. Studiando ifattori archetipici della psiche, scopriamo che sisuddividono in due tipi principali:

1) Quei modelli e quelle immagini che presentanola potenzialità di riconoscere e conoscere la realtàin forme particolari. Queste sono le categorie innatedella conoscenza, che ho quindi denominate cogni-tipi (25).2) Quei modelli o potenzialità che debbono essereespressi o impersonati dinamicamente nella vitadell'individuo. Questi vengono percepiti come immagini di vita, o immagini del seme, che si svolgonoo crescono ed offrono la direzione ed il contenutodel destino dell'individuo. Questi li ho denominatidinatipi.

La distinzione tra conoscenza e sviluppo dinamicodella vita è di importanza enorme se si vuole de-scrivere quanto avviene nella profondità della psi-che. Molto spesso un'unica immagine si presenta

(25) Per una discussionepiù completa sui cogni-tipi vedi Progoff, " DepthPsychology and \Moder-Man ", Julian Preis, Nev.York t959.

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come un cognitipo ed un dinatipo contemporanea-mente, ed è decisivo comprendere la differenza difunzione. Si può presentare per esempio una figuradi un sogno, che per le sue qualità potrebbe esseredescritta come il vecchio saggio in quanto presentauna capacità di intuizione nella vita dell'individuo. Inquanto portatrice della qualità di conoscenza alprofondo della psiche, l'immagine del vecchio saggio èun cognitipo. In quanto portatrice della potenzialitàdi essere rappresentata ne! corso della vita del-l'individuo, sarebbe un dinatipo. Nei due casi la suafunzione ed il suo significato sarebbero completa-mente diversi. Nei sogni della maggior parte dellepersone, la figura del vecchio saggio sarebbe un co-gnitipo; ma nel caso di una persona come C. G.Jung, o Suzuki o Heidegger sarebbe un dinatipo per-ché sarebbe una immagine del seme sviluppantesidinamicamente nel corso della vita della persona.In realtà i dinatipi sono le particolari forme socialidi potenzialità in esseri umani individuali. In ognisocietà ci sono particolari possibilità per le funzionisociali, e particolari dinatipi che le porteranno acompimento. La figura del vecchio saggio è uno deidinatipi, come il profeta, o teonomo; altri dinatipisono: il poeta vate, il prototipo dei quali è Omeromentre Kazantzakis ne è un esempio moderno; lamadre che nutre; l'eroe, come Re Artù, o John Ken-nedy; il legislatore politico-spirituale, come Mosè oGandhi o Lincoln; il ricercatore della verità nellanatura (cioè lo scienziato); il musicista; l'artistafigurativo; e molti altri ancora. Ho già detto che ognidinatipo ha in sé i suoi talenti caratteristici ed il suostile espressivo. Penso che sarebbe scioccochiedere se l'artista figurativo diventa tale perché haun talento per il colore; ci si potrebbe ugualmentechiedere se un fiore diventa una rosa perché ha ipetali rossi. Questo è semplicemente il modo in cui ilsuo essere totale deriva da tutti gli aspetti che sidispiegano dal suo seme.

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Quanto accade per un fiore accade anche per unessere umano.Tuttavia, il processo di crescita presuppone in unuomo una immagine del significato e della direzionein cui sia procedendo. Questo è il mito profondo del-l'individuo che accompagna sempre lo sviluppo di undinatipo. E' la percezione soggettiva del processodi crescita nell'interno di una persona mediante ilquale si svolge la sua potenzialità. Questo non av-viene sempre come ci si aspettava o come si deside-rava, ma avviene comunque. Ne abbiamo visto unvalido esempio nella vita di Tillich. Questo mitoprofondo una volta espresso, conduce in una dire-zione di cui ha dato delle indicazioni, ma di cui nonvi era precedentemente alcuna certezza. Esso offread ogni dinatipo uno stile caratteristico di percepirela realtà, che è nello stesso tempo un segno di-stintivo ed una limitazione. Nel caso di intellettualispecialmente c'è una tendenza verso forme parti-colari di espressione che accompagnano il mitoprofondo. Queste sono come sogni concettualiz-zati che servono come un punto focale attraversoil quale convogliare il dispiegarsi della immagine delseme. Nel caso di Buber era la relazione lo-Tu; inquello di Tillich era il metodo di correlazione; inquello di Jung era la teoria dell'Individuazione.

Il termine immagine del seme è un buon sinonimoper dinatipo, poiché indica un processo di crescitala cui origine è nascosta nel profondo, cioè nellepotenzialità del seme della persona. Il processo dicrescita implica da parte della immagine del seme odinatipo la lotta per aprirsi un passaggio attraversole sovrastrutture del sé ambientale. Un esempiointeressante di questo processo lo abbiamo vistonella vita di Paul Tillich. Un processo molto simileviene descritto nella autobiografia di Jung, in cuiJung descrive lo sviluppo della sua vita. Iniziò comeun ragazzo svizzero, figlio di un pastore protestante,che andò a scuola, fu apprezzato dai suoi professo-ri, studiò medicina, cercò di fare tutto ciò che po-

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tesse soddisfare le persone del suo ambiente. Inquesto modo costruì' e cercò di esprimere il suo séambientale, ed in verità conservò per tutta la suavita alcuni atteggiamenti caratteristici di uno sviz-zero. Ma c'è un'altra esperienza che Jung descrive,e questa costituf la base della sua vita profonda.Mentre il suo sé ambientale cercava di fissare lasua vita esteriore, si venivano ad inserire nella suavita sogni e visioni, impulsi ad agire in modo impre-vedibile. Essi si presentavano senza essere chia-mati e sembravano incomprensibili al suo lato con-venzionale. In realtà ciò avveniva nei momenti piùsconvenienti dal punto di vista del sé ambientale,cosi da distruggere i piani sociali che egli avevafatto. In questo modo creavano nella psiche di Junguna tensione che lo inquietava e lo spaventava.Questa fece sorgere una pressione inferiore ed uncaos, come egli lo chiamò, che solamente il suoimpegno totale nel lavoro psicologico riusci a ri-solvere.Procedendo nei suoi studi teorici, Jung arrivò allaconclusione che queste incursioni che sconvolge-vano la sua personalità conscia, irrompendo comefacevano nel suo sé ambientale, dovevano essereintese come espressioni del suo inconscio. Com-prese che esse erano portatrici di un messaggioper lui e che egli aveva il compito di stabilire unarelazione con loro a livello conscio. Continuando inquesto processo, improvvisando tecniche che siadattassero ai suoi bisogni personali man mano cheandava avanti, questi contenuti del suo inconscio siespandevano e si sviluppavano e si rivelavano informe sempre più interessanti. Diventarono in realtàla fonte continua dalla quale lo sviluppo creativo dellavita di Jung attingeva. Da un lato diventarono icontenuti della sua vita profonda, che, in modo par-ticolare nel caso di Jung, era il significato della suaesistenza; e dall'altro lato diventarono man manoche lavorava su di essi e li trasformava in opere edattività esterne, la base su cui si formò la sua vitacreativa.

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Possiamo vedere con questa prospettiva una dellecaratteristiche essenziali di quello che Jung alloradescriveva come il suo inconscio. Ciò che è in-conscio è presente, ma è presente in una formache non esprime ancora ciò che è capace di diven-tare. Cosi la fantasia che disturbava la psiche diJung durante i suoi primi anni portava in sé in con-creto le potenzialità di tutto il suo sviluppo futuro.Ma a quel tempo egli non poteva saperlo. Sapevasolo che gli era estranea, che non si adattava alresto della sua vita, che era sconcertante e che loturbava. Aveva quindi veramente ragione allora adescriverla come inconscio; ma dal punto di vistadel futuro, avrebbe potuto anche chiamarla poten-zialità. Potenzialità è inconscio fintanto che non haancora trovato la forma che essa implica. Per que-sta ragione i processi della psiche che sono inrealtà processi di crescita e di sviluppo vengono per-cepiti come processi inconsci. Non hanno ancoraportato a compimento le loro forme latenti, ma nesono alla ricerca; e proprio a causa di questa ricercasono inconscio e processi nello stesso tempo. Quandol'inconscio irruppe nel sé ambientale di Jung,conteneva in realtà le potenzialità dello svolgimentodella sua vita. Questo fatto ci spinge a fare unaaffermazione ulteriore che cioè il processo impli-cato era simile ad un processo di sviluppo fuori daun seme. Conformemente, la forma di personalitàche alla fine emerge da questo processo è unaimmagine del seme o, con il termine che abbiamousato, un dìnatipo. Il dispiegarsi di una psiche indi-viduale implica in questo modo il sorgere di unaimmagine del seme, o dinatipo, di fronte al sé am-bientale; ed il caos che Jung provò è la confusionepersonale che inevitabilmente deriva dalla lotta trai due.Trovo molto interessante che Jung, quando si tro-vò a descrivere questo processo nella sua stessavita, gli unici termini che senti di dovere usare eche non aveva mai usato prima, furono personalitàn. 1 e personalità n. 2. Questi termini sono di una

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semplicità assoluta accentuata dalla anonimia deinomi numerici che diede loro. In essi non c'è nessu-na delle qualità drammatiche, antropomorfiche deitermini usati precedentemente, come ombra, perso-na, anima. Mi è sembrato infatti che quando Jungsi trovò a trattare con una psiche veramente im-portante, cioè con la sua stessa psiche non conquella di un paziente, si ridusse all'essenziale. Nonsi servi dei vecchi termini che erano stati importantimentre costruiva il suo sistema di pensiero. Se nesarebbe servito se essi non avessero causato tantierrori e confusioni. Per questo quando arrivò a de-scrivere lo svolgimento creativo della sua persona-lità, si servi di termini che non appartenevano alsistema precedentemente creato. Secondo me i ter-mini personalità n. 1 e personalità n. 2, nell'uso cheJung ne fa, corrispondono perfettamente ai terminisé ambientale e dinatipo, o immagine del seme, cheio sto usando ormai da qualche anno. Devoconfessare che non è un caso che queste due serie ditermini corrispondono l'una all'altra; e che ciò èdovuto ad alcune deduzioni che avevo fatte altempo in cui studiavo con Jung. Ero giunto allaconclusione che il sistema di concetti e la termino-logia che costituivano il fondamento della sua psico-logia analitica, appartenevano al periodo precedentedella sua opera, e che rappresentavano sempre piùun ostacolo, che impediva alla sua psicologia diandare verso quella direzione che sembrava esserlenecessaria da un punto di vista logico. Mi sembrò,particolarmente nel corso delle nostre conversazioni,che lo stesso Jung aveva superato di molto il siste-ma; ma avevo anche notato che dovunque le sueteorie e la sua pratica venivano insegnate come unapsicologia specificamente junghiana, veniva posta inevidenza la struttura di pensiero con il suo sistemadi termini e di concetti. Capii che una ragione diquesto fatto era che i termini almeno potevano veni-re insegnati mentre non si poteva insegnare la con-sapevolezza potentemente diretta che Jung avevaraggiunto, meno che mai agli studenti che si pre-

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sentavano chiedendo che venisse loro insegnata.Ciononostante, mi sembrava che questo falsificaval'opera di Jung e che si dovesse abbandonare questaabitudine. Finché un giorno, nel corso delle nostreconversazioni, parlai a Jung di ciò che pensavo suquanto avevo osservato a Zurigo. Egli considerò conmolta attenzione le mie critiche ed accolse ilproblema che gli ponevo e che si riferiva ad unosvantaggio fondamentale insito nel suo metodopsicologico che rendeva difficile compiere quei finiparticolari richiesti dalle sue concezioni. Dopoavere discusso per un pò gli aspetti soggettivi dellapsicoterapia, l'importanza di stabilire tecniche chepossano essere insegnate, provate ed ampliate,esaminammo di contro le falsificazioni che avvengo-no inevitabilmente quando si costruisce un puntodi vista e lo si presenta come un procedimento si-stematico che altri debbono usare. Esaminammo en-trambi gli aspetti del problema, soppesammo i duepunti di vista, ed infine ci trovammo d'accordo nel-l'ammettere che questo è un dilemma con cui dob-biamo pure venire ad un accordo, dal momento chedobbiamo imparare a convivere con esso. Dopo cheavemmo esaminato tutte le possibilità del problema eio ero soddisfatto della sua risposta ma ancorainquieto per le difficoltà che esistevano nel problema,alla fine riprovai e gli chiesi: « Supponi di esserelibero da tutti i problemi che il costruire unaformulazione intellettualmente valida dei tuoi metodicomporta; supponi di poterla affermare senza curartidelle incomprensioni e degli abusi degli altri.Supponi di poterla esporre in una forma che si adattiai tuoi più autentici sentimenti nei suoi confronti,quale sarebbe allora? ». Mentre parlavo il dr. Jungincominciò a fregarsi il mento, e sulle sue labbraspuntò il suo caratteri-stico mezzo sorriso. Unsorriso ironico e pensoso insieme. Infine disse: «Ah!,sarebbe troppo strano». E lasciando cadere le maniin quel suo modo strano come se si arrendesse econsegnasse tutte le sue

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difese, continuò: « Sarebbe troppo strano. Sarebbeun rapporto Zen ».Cosa intendeva Jung riferendosi ad un rapportoZen? Non intendeva naturalmente che la praticadello Zen doveva rimpiazzare la psicoterapia. Misembrava piuttosto che volesse dire, primo che illavoro doveva essere ridotto all'essenziale, e se-condo che il lavoro da compiere si trovava al di làdella sfera razionale. Ora domandiamoci: chi è ca-pace di conseguire una guarigione al di là della sferarazionale mediante un rapporto Zen? Non il medicogenerico; e non lo psichiatra, né lo psicoterapista, maun vecchio saggio. Ma un vecchio saggio è un dinatipoparticolare, che rappresenta uno stile particolare diessere uomo. Come ho notato precedentemente, lafigura del vecchio saggio che appare nei sogni è unmezzo di conoscenza e quindi un cognitipo; maquando appare come la figura che si porta avanti nelcorso della propria vita è un dina-tipo, chesvolgendosi nei sogni e nelle azioni di quellapersona, diventa la personificazione del suo mitoprofondo.Si potrebbero dire molte altre cose al riguardo, manon penso di dovere insistere nel mostrare che ilmito profondo di C. G. Jung era nel dinatipo delvecchio saggio. Ciò che mi preme indicare è chequesto è un dinatipo diverso da quello vissuto daBuber e Tillich vale a dire quello del teonomo, o,per usare un termine più comprensibile, il dinatipodel profeta, l'uomo che pronunzia la parola pri-maria, Dio.Quali sono allora le caratteristiche dei due tipi difigure, per quanto possiamo dedurre dalla nostradiscussione? Il dinatipo del profeta, o teonomo, èl'uomo che è portato dal suo mito profondo a cercaredi trasformare la propria coscienza e quella dei suoisimili nella storia e in relazione con la storia. E' lapersona che sente svolgersi dentro di sé continua-mente il compito di rendere accessibile alla storia,in termini sociali e nelle forme sempre mutevoli cheessa richiede, la dimensione del divino.

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Il dinatipo del vecchio saggio è l'uomo che vienespinto dal suo mito profondo a cercare di trasfor-mare la propria coscienza e quella dei suoi simili,ma in quantità molto minore che nel caso del pro-feta. Tende a concentrare questo lavoro completa-mente sull'individuo al di fuori della storia, al di làdella storia, e in alcuni casi a dispetto della storia esfidando la storia. Mi riferisco con questo a queimaestri spirituali che vissero in tempi in cui il lavorodi trasformazione della coscienza doveva essereportato avanti in segreto e non lo si poteva mo-strare al mondo. Ma il tempo in cui viviamo è privodi simili tenebre. Fortunatamente in questo periodostorico uomini dì entrambi i tipi, quello profetico equello del vecchio saggio hanno avuto la possibilitàdi portare avanti le loro opere e di vivere le loroimmagini.

Questi dinatipi sono entrambi aspetti di un'unicafigura archetipica, l'uomo che trasforma la coscienza.Di tanto in tanto tutte le culture, quelle primitivecome quelle progredite, hanno bisogno che sorganoin mezzo a loro simili figure, ma la nostra civiltàsembra averne un bisogno particolare. Ciò è dovutoin parte al fatto che viviamo in un perìodo di grandecrisi storica in cui si viene decidendo della soprav-vivenza della umanità; in parte al fatto che in questoperiodo storico siamo sulla soglia di una nuova era.Se l'uomo civile sopravvivrà a questo periodo stori-co nel futuro sarà possibile una qualità di vita piùnuova e più ampia, ed in vista di ciò è necessariocomprendere meglio ciò che è coinvolto nella tra-sformazione della coscienza.A cosa mira dunque la trasformazione della co-scienza? Dopo tutto lo scopo non è la trasforma-zione come fine a se stessa. Non è il cambiamentoper il cambiamento. Piuttosto è lo spostamento delcentro della consapevolezza verso un punto dellapsiche lontano dal legame con le cose e le atti-vità soggettive; è un cambiamento nello stile di con-sapevolezza che la porta ad entrare in contesti sim-bolici e ad un livello più essenziale di quello della

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ragione. Le parole di Jung che la quintessenza delsuo lavoro psicologico era un rapporto Zen, signi-ficavano questo. Significavano spostare il punto fo-cale della consapevolezza, cosa che può essereottenuta in diversi modi.Il modo seguito dal vecchio saggio per spostare illivello di consapevolezza si compie in maniera carat-teristica attraverso un programma di disciplina pre-sentato agli individui. Questa è la via seguita daimaestri spirituali di tutti i tempi, da Budda a Naga-rjuna attraverso i rabbini cabbalistici e chassidici aidirettori spirituali del Cristianesimo ed infine a mae-stri come Jung nel campo della moderna psicologiadel profondo. Per quanto riguarda Jung, il metododa lui svolto come stile particolare di espressionedel suo dinatipo è rappresentato nella formulazionedella sua teoria dell'individuazione. E questa, dob-biamo notare, ha una formulazione particolare: ilmodello di stadi determinati durante il processo;l'equilibrio degli opposti che culmina nella unitàsimmetrica di un mandala. In questa formulazionel'equilibrio di una unità simmetrica intorno ad unpunto centrale assume un particolare significato inquanto simbolico della immagine del vecchio saggio.Il vecchio saggio rimane al centro. Parte della suaautodisciplina implica che egli diventi sempre piùcapace di portarsi in questo centro e di rimanervi. Ilprototipo di questo è il detto di Lao Tse che unuomo può rimanere sulla soglia della sua capanna,e qui gli verrà incontro tutto quello che gli serviràper vivere. Pensiamo soltanto al valore che Jungattribuì al fatto di essere svizzero, ed ecco ilsimbolismo del fatto che rimase li al centro del mon-do, in Svizzera, a Kusnacht ed a Bollingen. Avevaragione ad affermare che il mondo avrebbe trovatoda solo la strada verso di lui al centro del suo man-dala; perché il dinatipo ha un suo potere innato, eJung impersonava lo stesso dinatipo di Lao Tse, ilvecchio saggio.Il dinatipo del profeta invece, diversamente da quellodel vecchio saggio, si dirige dal centro verso il mon-

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do. Si fonda sulle conoscenze che ha acquistatostudiando con persone appartenenti al tipo del vec-chio saggio, particolarmente su una conoscenza delprocesso centripeto, del modo di penetrare nel pro-fondo di se stesso. Ma fondamentalmente, l'uomoche impersona il dinatipo del profeta opera !o spo-stamento nel punto focale della consapevolezza de-gli altri mediante il dispiegarsi della sua immaginelatente, ed il raggiungimento del suo essere totale.Ciò è chiaramente visibile nella vita di Martin Bu-ber. Rappresentare il suo dinatipo lo portò continua-mente ad entrare in rapporto con il mondo, e gliincontri che vi fece perfezionarono sempre più lasua capacità di dialogo fino al punto in cui la suaformulazione della relazione lo-Tu gli rese possibileapportare nel mondo una nuova dimensione spiri-tuale. Mentre ciò avveniva, influenzò e trasformò lacoscienza degli altri con il suo essere. Una differenzaconsiste nel fatto che mentre il vecchio saggiosviluppa le sue capacità fondamentalmente in sestesso e ritirandosi in se stesso, l'uomo cheappartiene al dinatipo del profeta tende a sviluppare lesue capacità in mezzo al mondo ed in rapporto con glialtri. Ne abbiamo visto un esempio nello svilupparsidella consapevolezza di Tiilich stesso mediante ilcontatto personale ed immediato che ebbe conBuber e poi con Eliade. Una qualità della figura delprofeta è la sua apertura verso gli altri. Egli da, mamentre riceve. Il vecchio saggio, mantenendosi alcentro, tende più a dare come risultato dell'esserechiuso in se stesso. Il dinatipo del profeta inquanto figura aperta è particolarmente adatto aldare ed avere del dialogo. Cosi fu proprio in seguitoai suoi dialoghi che Tiilich riusci a dire al mondo unaparola trasformatrice più efficace. E' chiaro che i duedinatipi di cui parliamo non si oppongono l'unoall'altro, ma sono complementari e si sommano traloro. Cosi, se li esaminiamo insieme, possiamo trarrealcune conclusioni riguardo a quanto è essenzialeper i passi successivi nello

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sviluppo spirituale dell'uomo moderno. Credo chetutti e tre sarebbero d'accordo su questi punti:1) E' essenziale che la parola primordiale, la parolaarchetipica, Dio, si fissi nella coscienza moderna conrinnovato vigore.2) La realtà del divino deve essere rivelata da nuovimezzi che non si limitino alle tradizioni del passato.Ne è un esempio l'esperienza del dialogo lo-Tu, aggiungendovi forse la dimensione del profondo offerta dalla psicologia.3) Lf dove i simboli tradizionali si sono irrigiditi indogmi, c'è bisogno di una nuova religione universalista attinta dalla storia delle religioni. Tillicharrivò a questa idea universalista ed esistenzialista,intendendo con ciò non una soppressione delle differenze tra le religioni, ma un lavoro integrale difondo per giungere al prossimo passo evolutivo nellacoscienza dell'uomo.

Inoltre, a fondamento e a coronamento di questi trepunti c'è la realizzazione del livello profondo diesperienza, la consapevolezza che il reale è sim-bolico e che il simbolico è reale. E' necessario cheavvenga un capovolgimento dall'interno verso l'esternodella coscienza perché possa venire percepita ladimensione interiore di realtà e possano venire ri-conosciute le sue ingannevoli dinamiche. Nelle vitedei tre uomini di cui abbiamo parlato, il potere de!simbolo in svolgimento operava come un fattoreformativo interiore. Operava in essi perché opera nelmondo. E' chiaro che è qualcosa che si svolge nelnostro tempo, che si serve delle vite di alcune figureper rappresentare ciò che sta avvenendo; ma cheporta l'uomo moderno, per mezzo dello sviluppo dimolte persone, verso una qualità di coscienza chepotrebbe alla fine trasformare gli avvenimenti delnostro periodo storico.

(Trad. di GABRIELLA IACCARINO)

* Relazione letta agli incontri Eranos 1966 e pubblicata in:Eranos-Jahrbuch, voi. XXXV.

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