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L’UNIVERSO SENZA STRINGHE

DI LEE SMOLIN

L I B R O I N A S S A G G I O

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L’universo senza stringhe DI LEE SMOLIN

Capitolo primo I cinque grandi problemi della fisica teorica

Sin dagli albori della fisica, alcuni hanno immaginato che la loro generazione sarebbe stata l’ultima ad affrontare l’ignoto. Ai fisici la loro disciplina è sempre parsa quasi completa. Questo autocompiacimento va in pezzi solo durante le rivoluzioni, quando le persone oneste sono obbligate ad ammettere di non conoscere gli elementi essenziali. Ma persino i rivoluzionari continuano a immaginare che la grande idea — quella che metterà tutto in relazione e porrà termine alla ricerca della conoscenza — stia appena dietro l’angolo. Viviamo in una di quelle fasi di rivoluzione, da un secolo. L’ultimo periodo simile coincide con la rivoluzione copernicana, iniziata al principio del Cinquecento, che segnò il crollo della cosmologia e delle teorie aristoteliche dello spazio, del tempo e del moto. Il culmine di quella rivoluzione fu la proposta di Isaac Newton di una nuova teoria della fisica, pubblicata nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687). La rivoluzione oggi in atto ebbe inizio nel 1900, quando Max Planck, con una formula che descrive la distribuzione dell’energia nello spettro della radiazione termica, dimostrò che l’energia non è continua, ma quantizzata. Questa rivoluzione non è ancora terminata. I problemi che i fisici devono risolvere oggi sono, per lo più, interrogativi che restano senza risposta a causa dell’incompletezza della rivoluzione scientifica del XX secolo. Il motivo essenziale della nostra incapacità di completare l’attuale rivoluzione scientifica è costituito da cinque problemi di straordinaria intrattabilità. Questi problemi erano già noti quando iniziai a studiare fisica negli anni Settanta e, anche se in questi trent’anni abbiamo imparato molto sul loro conto, continuano a essere irrisolti. In un modo o nell’altro, qualsiasi proposta di una teoria di fisica fondamentale deve risolvere questi cinque problemi, quindi vale la pena esaminarli più a fondo. Albert Einstein è stato senza dubbio il fisico più importante del Novecento. Il suo lavoro più rilevante è forse la scoperta della relatività generale, che è al momento la migliore teoria dello spazio, del tempo, del moto e della gravitazione. L’intuizione profonda di Einstein fu che la gravità e il moto sono intimamente

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collegati tra loro e con la geometria dello spazio e del tempo. Questa idea segnò la rottura con centinaia di anni di riflessioni sulla natura dello spazio e del tempo, che fino ad allora erano stati considerati fissi e assoluti. Essendo eterni e immutabili, offrivano un riferimento, che abbiamo usato per definire concetti come posizione ed energia. Nella teoria della relatività generale di Einstein, lo spazio e il tempo non offrono più un riferimento fisso e assoluto. Lo spazio è dinamico come la materia; si muove e si trasforma. Di conseguenza, l’intero universo può espandersi o contrarsi e il tempo può addirittura iniziare (in un Big Bang) e terminare (in un buco nero). Einstein realizzò anche qualcos’altro. Fu la prima persona a capire la necessità di una nuova teoria della materia e della radiazione. In realtà, il bisogno di una rottura, di un cambiamento, era implicito nella formula di Planck, ma Planck non ne aveva colto fino in fondo le implicazioni; pensava che fosse conciliabile con la fisica newtoniana. Einstein giudicò altrimenti e presentò il primo argomento conclusivo per una teoria siffatta nel 1905. Furono necessari altri vent’anni per inventare quella teoria, nota come meccanica quantistica. Le due scoperte, la relatività e il quanto, imposero entrambe una rottura definitiva con la fisica newtoniana. Tutt’e due, però, nonostante i grandi progressi realizzati nel corso del secolo, continuano a essere incomplete. Entrambe presentano difetti che suggeriscono l’esistenza di una teoria più profonda. Ma la ragione principale per cui ciascuna delle due è incompleta è l’esistenza dell’altra. La mente reclama una terza teoria che unifichi tutta la fisica, e per una ragione molto semplice. In un senso ovvio, la natura è «unificata»; l’universo in cui ci troviamo è interconnesso, in quanto ogni cosa interagisce con ogni altra cosa. Non è assolutamente possibile avere due teorie della natura che coprano fenomeni diversi come se una non avesse nulla a che fare con l’altra. Una teoria che pretenda di essere definitiva deve essere una teoria completa della natura, deve abbracciare tutto ciò che sappiamo. La fisica è sopravvissuta a lungo senza una tale teoria unitaria. Il motivo è che, relativamente agli esperimenti, siamo stati in grado di dividere il mondo in due regni. Nel regno atomico, governato dalla fisica quantistica, di solito possiamo ignorare la gravità e possiamo trattare lo spazio e il tempo pressappoco come faceva Newton — come un riferimento che non varia. Nell’altro regno, quello della gravitazione e della cosmologia, in generale possiamo ignorare i fenomeni quantistici. Tuttavia questa soluzione non può essere altro che temporanea,

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provvisoria. Superarla è il primo grande problema irrisolto della fisica teorica. Problema I: Combinare la relatività generale e la teoria quantistica in un ‘unica teoria che possa pretendere di essere la teoria completa della natura. Questo si chiama problema della gravità quantistica. Oltre agli argomenti basati sull’unità della natura, esistono problemi specifici di ognuna delle due teorie che richiedono l’unificazione con l’altra. Ciascuna teoria ha un problema di infiniti. In natura, dobbiamo ancora incontrare qualcosa di misurabile che abbia un valore infinito. Sia nella teoria quantistica sia nella relatività generale, tuttavia, incontriamo previsioni di quantità fisicamente percepibili che diventano infinite. Probabilmente è il modo in cui la natura punisce gli sfrontati teorici che osano spezzare la sua unità. La relatività generale ha un problema con gli infiniti perché all’interno di un buco nero la densità della materia e la forza del campo gravitazionale diventano rapidamente infinite. Sembra che ciò si sia verificato anche nei primissimi tempi della storia dell’universo — quanto meno se ci fidiamo di come la relatività generale ne descrive i primordi. Nel punto in cui la densità diventa infinita, le equazioni della relatività generale non valgono più. Alcuni lo interpretano come un arresto del tempo; secondo una concezione più ragionevole, però, la teoria è semplicemente inadeguata, come ipotizzano da molto tempo le persone giudiziose perché sono stati trascurati gli effetti della fisica quantistica. Anche la teoria quantistica ha i suoi guai con gli infiniti. Il problema si presenta ogni volta che si cerca di usare la meccanica quantistica per descrivere campi quali il campo elettromagnetico. Il problema è che i campi elettrici e magnetici hanno un valore in ogni punto dello spazio, il che significa che vi è un numero infinito di variabili (anche in un volume finito vi è un numero infinito di punti, quindi un numero infinito di variabili). Nella teoria quantistica si hanno fluttuazioni incontrollabili nei valori di ogni variabile quantistica. Un numero infinito di variabili, che fluttuano in maniera incontrollabile, può portare a equazioni che sfuggono al controllo e prevedono numeri infiniti quando formuliamo una domanda sulla probabilità che accada un certo evento, o sull’intensità di qualche forza. Anche in questo caso è inevitabile l’impressione che sia stata trascurata una parte essenziale della fisica. Da molto tempo si spera che, tenendo conto della gravità, si riusciranno a domare le fluttuazioni e nulla risulterà infinito. Se gli infiniti indicano la mancanza di unificazione, una teoria unificata ne sarà priva. Sarà una teoria finita, una teoria che risponde a ogni domanda fornendo numeri ragionevoli, numeri finiti.

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La meccanica quantistica ha conseguito notevoli successi spiegando vaste categorie di fenomeni. Il suo dominio si estende dalla radiazione alle proprietà dei transistor, dalla fisica delle particelle elementari all’azione degli enzimi e di altre grandi molecole che sono le particelle elementari della vita. Le sue previsioni sono state ripetutamente confermate nel corso del secolo passato, ma alcuni fisici hanno sempre nutrito dubbi nei suoi confronti, perché la realtà che descrive è molto bizzarra. La teoria quantistica contiene al suo interno alcuni apparenti paradossi concettuali che dopo ottant’anni sono ancora irrisolti. Un elettrone sembra essere sia un’onda sia una particella. E così la luce. Per di più, la teoria fornisce solo previsioni statistiche del comportamento subatomico. La nostra capacità di fare di meglio è limitata dal principio di indeterminazione, che ci dice che non possiamo misurare allo stesso tempo la posizione di una particella e la sua quantità di moto. La teoria offre solo probabilità. Una particella — un elettrone atomico, poniamo — può essere in qualsiasi posizione finché la misuriamo; la nostra osservazione in un qualche senso determina il suo stato. Tutto ciò suggerisce che la teoria quantistica non racconta tutta la storia. Di conseguenza, nonostante i suoi successi, molti esperti sono convinti che essa nasconda qualcosa di essenziale sulla natura che ancora non conosciamo. Uno dei problemi che hanno tormentato la teoria sin dall’inizio è quello relativo alla relazione tra la realtà e il formalismo. Tradizionalmente i fisici si aspettano che la scienza debba fornire una descrizione della realtà così come sarebbe in nostra assenza. La fisica dovrebbe essere qualcosa di più di un insieme di formule che prevedono quel che osserveremo in un esperimento: dovrebbe offrire un quadro di che cosa è la realtà. Siamo gli accidentali discendenti di un antico primate, comparso molto di recente nella storia del mondo. Non può essere che la realtà dipenda dalla nostra esistenza. Né il problema della mancanza di osservatori si può risolvere introducendo la possibilità di civiltà aliene, poiché vi è stato un tempo in cui ill mondo esisteva, ma era troppo caldo e denso per poter ospitare un’intelligenza organizzata. I filosofi chiamano realismo questa concezione. La si può riassumere dicendo che il mondo reale là fuori deve esistere indipendentemente da noi. Ne segue che i termini in cui la scienza descrive la realtà non possono coinvolgere in modo essenziale quel che abbiamo deciso di misurare o di non misurare. La meccanica quantistica, quanto meno nella forma in cui venne proposta inizialmente, non si conciliava facilmente con il realismo, perché presupponeva una divisione della natura in

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due parti: da una parte, il sistema da osservare, dall’altra noi, gli osservatori. Insieme a noi vi sono gli strumenti che usiamo per preparare gli esperimenti e prendere le misure e gli orologi che utilizziamo per registrare gli eventi. La teoria quantistica si può descrivere come un nuovo genere di linguaggio da usare per un dialogo tra noi e i sistemi che studiamo con i nostri strumenti. Questo linguaggio quantistico contiene verbi che si riferiscono alle nostre preparazioni e alle nostre misure e nomi che si riferiscono a quel che in seguito si osserva. Non dice alcunché su come sarebbe il mondo in nostra assenza. Dalla prima enunciazione della teoria quantistica si è scatenato un dibattito tra chi accetta questo modo di fare scienza e chi lo respinge. Molti fondatori della meccanica quantistica, compresi Einstein, Erwin Schrodinger e Louis de Broglie, giudicavano ripugnante questo approccio alla fisica. Erano realisti: ai loro occhi la teoria quantistica, indipendentemente dai suoi successi, non era completa, perché non offre un quadro della realtà in mancanza di una nostra interazione. Dall’altra parte stavano Niels Bohr, Werner Heisenberg e molti altri che, per nulla inorriditi, adottarono questo nuovo modo di fare scienza. Da allora, i realisti hanno riportato molti successi indicando le contraddizioni presenti nell’attuale formulazione della teoria quantistica. Alcune di queste apparenti contraddizioni emergono perché, se è universale, la teoria quantistica dovrebbe descrivere anche noi. I problemi, allora, provengono dalla divisione del mondo richiesta per comprendere la teoria quantistica. Una delle difficoltà è stabilire dove si traccia la linea di divisione, che dipende da chi effettua l’osservazione. Quando misurate un atomo, voi e i vostri strumenti stanno da una parte e l’atomo dall’altra. Ma supponiamo che io vi osservi lavorare grazie a una videocamera che ho allestito nel vostro laboratorio: posso considerare il tutto — compresi voi e i vostri strumenti, come anche gli atomi con cui giocherellate — come un unico sistema che io sto osservando. Dall’altra parte, ci sarei soltanto io. Voi e io descriviamo pertanto due diversi «sistemi»: il vostro comprende solo l’atomo, il mio comprende voi, l’atomo e tutto ciò che usate per studiarlo. Quel che voi vedete come una misurazione per me rappresenta due sistemi fisici che interagiscono. Perciò, anche se convenite che va bene che le azioni dell’osservatore facciano parte della teoria, la teoria cosi com’è non è sufficiente. La meccanica quantistica deve essere ampliata, in modo che tenga conto di molte descrizioni diverse, a seconda di chi è l’osservatore. Tutta la questione nota con il nome di problemi fondazionali

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della meccanica quantistica. E’ il secondo grande problema della fisica contemporanea.

Aggiornata il venerdì 23 maggio 2008 Edizione Mondolibri S.p.A., Milano www.mondolibri.it