L'ultimo vampiro

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Simone Giovagnoli, horror, young adults

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R. C. HAMMERS (Simone Giovagnoli)

L’ULTIMO VAMPIRO

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L’ULTIMO VAMPIRO Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-533-5 Copertina: Immagine Shutterstock

Prima edizione Maggio 2013 Stampato da

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Prologo James Joker, armato della lama di Ruthner, si assicurò che i suoi due figli, Simon e Jeremy, fossero dietro di lui. Ciò che stavano per fare poteva risultare pericoloso se non avessero seguito i suoi ordini. Pur avendo tra le mani una mappa precisa, in quella foresta era difficile orientarsi. Simon era confuso. Non riusciva a rendersi conto fino in fondo se era solo curiosità ciò che lo costringeva a seguire suo padre. Il sole era alto, James sapeva che così sarebbe stato tutto più facile. Simon era terrorizzato dal fruscio delle fronde al vento e dal crepitio delle foglie morte smosse da un animale che si allontanava allertato dai loro passi. Non riusciva a immaginare cosa dovesse aspettarsi da quella mattinata. Jeremy invece si sentiva al sicuro e protetto dalla presenza del genitore. Nessuno dei due pensò nemmeno per un attimo di disubbidire all’ordine del padre di stargli vicino. Seguirono il corso di un fiume finché non si bloccarono alla vista di un branco di lupi. Erano solo quattro, pelo grigio e marrone, lunghi poco più di un metro e alti circa sessanta centimetri. Jeremy si impaurì e si strinse con forza al padre. Simon non si preoccupò. Non aveva mai incontrato un lupo, ma dalle sue letture poteva riconoscere in quelle bestie degli esemplari appenninici, incroci tra una lupa e un pastore tedesco; animali particolarmente docili, abituati alla presenza dell’uomo e, in passato, soggetti alla persecuzione di molti bracconieri, tanto da rischiare l’estinzione. Tra i due branchi di certo quello in pericolo non era quello degli umani. James non sapeva come comportarsi. «Da qui in poi seguiremo un’altra strada, non dobbiamo farci notare.» Simon si stupì dell’ingenuità del padre. I lupi, con il loro olfatto cento volte più sensibile di quello dell’uomo, probabilmente si erano accorti della loro presenza già da molto.

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Allungarono così il loro percorso in mezzo al bosco, schivando rami spinosi e camminando su enormi radici di faggi secolari, per giungere infine nei pressi di una cascata maestosa che finiva in uno specchio d’acqua cristallina emettendo un fragore estasiante. Simon finalmente si convinse che fosse valsa la pena di assecondare il padre. Poco lontano vi era una casetta di legno ricoperta da numerosi rami e da muschio. Tutt’attorno la vegetazione era fitta e le erbacce sfioravano le ginocchia. Ricordava una di quelle baite di montagna da cartolina, ma qualcosa stonava: le finestre erano sigillate con travi di legno. «Ci siamo ragazzi. Rimanete dietro di me. Quello che sto per mostrarvi è pericoloso. Occhio quindi, non allontanatevi mai da me.» «Papà, di che pericolo stai parlando? Perché ci hai portati qui?» «Dovete sapere una cosa» rispose cambiando espressione in volto «vostro padre non è solo un vecchio falegname. Vedete… in primo luogo sono un cacciatore…» La voce, dal tono grave, era forte e sicura. Il padre si distingueva per la prestanza fisica, e il suo collo taurino era un biglietto da visita sufficiente ad assicurargli il rispetto dei più. Il suo viso dai tratti nordici e gli occhi scuri dalle palpebre a mezz’asta lo facevano apparire sempre brillante. «So che non è facile» disse James «forse avrei dovuto avvisarvi prima di portarvi qua, ma credo che non avreste preso sul serio le mie parole… così ho deciso di portarvi oggi con me per mostrarvi cosa…» Si fermò. Il discorso che aveva in mente non avrebbe potuto illuminare le menti dei ragazzi, così trovò più appropriato ricominciare tutto dall’inizio. «Da sempre la nostra famiglia segue le tracce di quegli esseri immondi. Fino a oggi ho collezionato duecentosettanta loro denti…» I due ragazzi rimasero interdetti, non sapevano cosa dire. «Mio padre fece ancora meglio di me. Grazie ai nostri avi, in giro per il pianeta vagano ancora solo un centinaio di vampiri…» fece un respiro e con una smorfia di desolazione continuò: «Noi, purtroppo, siamo rimasti in pochi. Non siamo più di venti. Per questo ora il mondo ha bisogno di voi due per estinguere finalmente questo male.» Simon non credeva alle sue orecchie.

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«Ormai siete diventati dei piccoli uomini, credo molto nelle vostre potenzialità. Un giorno non potrò più correre dietro ai vampiri, ma sarete voi a difendere l’umanità.» La storia dei vampiri a Jeremy sembrava davvero una stupidata, ma le parole del padre lo galvanizzarono. «Ma di cosa stai parlando?» disse Simon «vampiri? Collezione di canini? Ci stai prendendo in giro?» Simon amava studiare, per questo James Joker gli ripeteva sempre lo stesso concetto, che è con la forza delle braccia che l’uomo ha superato i mille e più problemi della storia. Che la mente può progettare un palazzo, lo studio può insegnarti che certi animali possono essere molto pericolosi, ma senza la potenza fisica non si riuscirebbero a costruire le case o ad affrontare un animale ostile. Oggigiorno il mondo aveva ancora più bisogno di gente come suo padre, perché la maggior parte delle persone si era rammollita, lasciando che fossero le macchine a fare il loro lavoro, tanto che un semplice topo era in grado di provocare il panico. Jeremy condivideva in pieno. Simon invece avrebbe preferito se il padre ogni tanto avesse letto un libro invece di passare ore a sollevare pesi e a scorrazzare per la città. «Un vecchio amico ha scoperto il nascondiglio di un vampiro e io voglio farvi assistere all’evento. Avrete molte cose da imparare nei prossimi anni, ma sono sicuro che il sangue che scorre nelle vostre vene renderà tutto più facile.» James tirò fuori dal suo zaino uno strano pugnale di legno. «Questo l’ho fatto io.» Simon, vedendolo, si ricordò dei cartoni animati con cui era cresciuto, della spada di legno che Peter Pan agitava spesso contro la propria nemesi, Capitan Uncino. Nient’altro che un giocattolo per bambini. Il ragazzo desiderò che la baita fosse vuota, non si sentiva affatto protetto da quel bastoncino di legno lavorato. Jeremy, invece, non stava prendendo affatto sul serio ciò che stava accadendo. Era eccitato come il giorno di Natale, ma ad attenderlo non c’era nessun regalo. James si avvicinò alla porta. Era sicuro di non trovarla chiusa. Provò a spingerla e lentamente la fece scorrere fino a permettergli di entrare.

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Un fetore terribile di carogna rendeva l’aria irrespirabile. La poca luce che poteva filtrare in quel momento mostrò un comodino con sopra un libro aperto. Altri erano su una libreria fissata alla parete sinistra. L’uomo si assicurò che non ci fosse nessun pericolo imminente e fece segno ai ragazzi di seguirlo. I due entrarono tappandosi il naso per evitare la puzza. Il padre prese in mano la torcia che aveva appeso alla cintura e l’accese. Ora tutta la stanza era visibile. La casa era grande e due porte di fronte all’entrata davano accesso ad altre due camere. Per terra c’erano macchie rosso amaranto: sangue secco. Simon rimase immobile nel terrore quando notò un corpo gonfio, in putrefazione. Riuscì ad alzare un braccio per indicare quella mostruosità. Il fratello si stava ancora guardando intorno, quando l’attenzione di James fu catturata dal figlio più scettico. Seguendo la direzione del dito capì la ragione di quel fetore e gli afferrò il braccio senza dire una parola. Il silenzio era assordante. Jeremy non capì finché abbassò anch’egli lo sguardo. Quella visione per lui fu troppo, così emise un urlo acuto. James subito lasciò la presa su Simon e si girò verso Jeremy. Aveva una mano occupata dal pugnale e l’altra dalla torcia. Diede la priorità al pugnale e lasciò cadere a terra la torcia, che nell’impatto quasi si spense. Senza dosare bene la forza, coprì la bocca del figlio con la sua grossa mano. L’urto ferì Jeremy, che all’inizio non diede peso al dolore per via all’adrenalina in circolo. James abbandonò la presa e raccolse la torcia. Rimasero tutti e tre fermi immobili come se aspettassero qualcosa. Si sentì un rumore strano provenire da dietro a una delle porte, come se qualcuno stesse stropicciando un sacchetto di plastica. I tre capirono che un vampiro si trovava in quella stanza e che era stato fatalmente svegliato durante il suo sonno diurno, ma il rumore cessò. James in una frazione di secondo ragionò che la cosa migliore da fare sarebbe stata affrontare subito il pericolo. Simon lo seguì, mentre Jeremy rimase immobile davanti all’ingresso. Si passò la lingua sul labbro dolorante e sentì il sapore del sangue. Con un calcio la porta cadde a terra. James, in quel buio, non riuscì a distinguere nessun corpo, ma il vampiro non poté fare a meno di notare lui. Gli saltò addosso facendolo cadere. Il pugnale volò a terra accanto ai piedi di Simon, che lo raccolse. La lotta proseguì.

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Da terra James fece partire un calcio diretto alle gambe di quell’essere, che per qualche istante barcollò. Sfruttando l’attimo, l’uomo riuscì a rialzarsi, ma meno di un secondo dopo si ritrovò scaraventato contro la piccola libreria. Turbato dal proprio dolore e dalla visione di quella scena, Jeremy cominciò a piangere come un neonato. Il legno scheggiato provocò a James un dolore terribile, tanto che la torcia gli cadde dalle mani. Le lacrime del ragazzo gli ricordarono che non era in gioco solo la sua vita, ma anche quella dei suoi due figli. Raccolse ogni briciola di forza che gli rimaneva e con un destro secco costrinse il vampiro a indietreggiare. Seguì una serie di pugni, poi una gomitata e, infine, un calcio diretto nel petto che fece perdere l’equilibrio alla creatura. Il vampiro cadde a terra. La sua testa sbatté sul corpo putrefatto. Il padre ormai aveva avuto la meglio sul mostro, ma il pugnale era nelle mani di Simon e il vampiro si stava dimenando con troppa forza per ucciderlo da solo. Prese l’unica decisione che poteva prendere. «Simon, conficcagli il pugnale sotto lo sterno!» Simon non si mosse. «Forza figliolo, ce la puoi fare… un solo colpo… un colpo secco…» Incurante dell’immane sforzo del padre per tener fermo il suo nemico, con passo lento si avvicinò al vampiro e guardò negli occhi il padre, che con i denti digrignati lo incitava. «Forza… forza Simon…» La mente di Simon ormai non era più capace di ragionare. Così fece ciò che la voce del padre gli suggerì. Si inginocchiò sul corpo e alzò il braccio armato di pugnale. Il vampiro continuava a dimenarsi per liberarsi della presa di James. Con energia abbassò il proprio avambraccio, che incontrò una forte resistenza nel punto in cui la lama si scontrò col petto. «Più in giù… più in giù lo devi colpire!» Ci riprovò. Se non ce l’avesse fatta il vampiro sarebbe riuscito a liberarsi, perché la presa del padre diventava sempre meno salda. Il legno di quel pugnale riuscì a penetrare la carne. Simon lasciò l’impugnatura della lama e si allontanò. Dalla ferita uscì un fiotto di sangue che in pochi istanti si confuse con quello già presente a terra.

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Il grido di dolore del vampiro fu uno stridio acuto che aveva qualcosa di disumano e che durò almeno dieci secondi. James lasciò la presa. Il nemico estrasse la lama dalla ferita, ma ormai era troppo tardi. Pochi istanti dopo il suo corpo era immobile. James era stanco e provato, ma il suo viso trasmetteva solo fierezza, come se non avesse mai perso nemmeno per un istante il controllo della situazione. Raccolse da terra il legno di Ruthner. Rialzandosi appoggiò la mano sulla spalla di Simon ed esclamò: «Questo pugnale ti appartiene. Sono fiero di te, figlio mio.» Jeremy stava ancora piangendo, ma le sue non erano più lacrime di terrore. Era un pianto di vergogna, si rendeva conto di non essere stato all’altezza della situazione, pensò di aver deluso il padre e questo lo mortificava. Per fortuna il genitore capì subito il suo cruccio. Si avvicinò a lui e gli sussurrò nell’orecchio: «Ehi campione, se il tuo pianto non avesse distratto il vampiro non sarei mai riuscito a liberarmi! Hai svolto degnamente il tuo lavoro. Appena arriveremo a casa costruirò un pugnale tutto tuo, così la prossima volta sarai tu ad ammazzare il vampiro.» Jeremy smise di piangere. Si fissarono negli occhi per un istante, poi James gli fece un occhiolino d’intesa. L’uomo raccolse la torcia da terra. Era ormai spenta, ma si riaccese dandole un paio di colpi sul comodino. Puntò il fascio di luce sul cadavere assicurandosi che fosse davvero esanime. Fu allora che si accorse che il corpo in putrefazione accanto al vampiro era quello di un orso. Non se ne preoccupò più. Dal suo zaino prese delle pinze ed eseguì il rituale. Strappò un canino dalla dentatura del vampiro. «Duecentosettantuno» disse.

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Oggi Le telecamere dello studio 11 stavano puntando sul viso di Simon Joker, davanti a lui una cattedra e dietro una grossa lavagna bianca che rifletteva la luce del proiettore. «Per questo i viaggi nel tempo… ehm… nel passato e nel futuro son… sarebbero teoricamente possibili. Immaginate un tunnel spaziale con un estremo fisso e l’altro in movimento a una velocità vicina a quella della luce…» Simon citò l’esempio di un collega americano. Prese un foglio, lo arrotolò formando una specie di “c” e, forata con una penna la parte superiore del foglio, cominciò a muovere avanti e indietro quella inferiore. «Come potete notare, possiamo entrare nel foglio nel nostro 2009. Una volta dentro, l’altra parte del tunnel è in continuo movimento spazio-temporale, per cui potremmo uscire in qualunque punto del nostro tunnel, sia che esso corrisponda al futuro o al passato…» Si fermò per un secondo. «Ovviamente non sarà possibile scegliere la data esatta dell’uscita, possiamo solo sperare di poter capire con quale criterio si muove il tunnel e quindi…» proseguì fissando la telecamera «non basta una DeLorean o una Chevrolet per viaggiare nel tempo!» Simon accennò un sorriso. «Sicuramente Einstein con le sue teorie ha stimolato la fantasia di tutti. Purtroppo le fluttuazioni quantiche, di cui abbiamo già parlato, non farebbero altro che distruggere il nostro tunnel.» «Stop!» Da dietro alla macchina da presa provenne l’urlo del regista, visibilmente irritato. Probabilmente era abituato a lavorare con dei professionisti, non con insegnanti di liceo. «Professor Joker, è interessante quello che ha da dire, ma il contratto prevede quaranta video-lezioni da quarantacinque minuti. Se ogni volta

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si perde nelle sue congetture, non riuscirà mai a insegnare fisica ai nostri spettatori nel tempo assegnato.» Simon per un attimo finse un’espressione imbronciata. «Sì, ha ragione… scusatemi tutti. Forse è meglio smettere per oggi. Anzi, forse è meglio se vi cercate qualcun altro a cui far ripetere a pappagallo le parole di un libro!» Il regista indirizzò a Simon un’occhiata bruciante. «Al diavolo!» Gettò a terra i fogli che aveva in mano, si girò di scatto e se ne andò infuriato.

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Una proposta La casa di Simon sembrava lo studio di un archeologo, piena com’era di oggetti bizzarri provenienti da ogni parte del mondo e mescolati in modo terribile: spade settecentesche vicino a dipinti egizi; gargoyle medievali accanto a stampante e computer. Sporcizia e disordine incupivano l’atmosfera della casa, illuminata a malapena da un’assurda lampada per la cromoterapia che modificava continuamente, senza seguire alcuna sequenza apparente, il proprio colore. Simon, steso sul divano sotto quella giostra di luci psichedeliche, si sforzava di leggere un libro intitolato Lupi mannari e vampiri. Più che una lettura per uomini soli, sembrava materiale di studio. All’improvviso, con uno scatto, si mise seduto, sorseggiò il suo tè e lesse ad alta voce: «Il vero vampiro è orribile a vedersi. Magro e peloso nello stato di veglia, quando giace ben nutrito nella sua bara diventa grasso e gonfio da scoppiare. Il sangue fresco gli cola dalla bocca, dal naso e dalle orecchie. La sua pelle è fosforescente e il suo alito fetido.» Schifato, chiuse il libro e lo gettò nella spazzatura. «Ma quanta ignoranza c’è in questo mondo? Come si possono descrivere i vampiri come esseri ripugnanti? I vampiri sono esattamente come noi! Sono…» Il telefono squillò interrompendo il suo soliloquio. Simon si voltò verso l’apparecchio, un telefono d’epoca accanto al quale giaceva un cellulare di ultima generazione che lamentava con un bip la propria carenza di energia. «Sì?» rispose. «Ehi fratellone! Come vanno le tue video-lezioni?» «Ah Jerry, giornataccia. Stamattina mi sono licenziato. Non sono proprio in grado di insegnare fisica a una telecamera mentre un regista primadonna mi fa cenno di tagliare corto con i miei discorsi. Preferivo di gran lunga i mocciosi dell’istituto tecnico, che al massimo

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dormivano o leggevano le riviste di videogiochi durante le mie lezioni. Il loro silenzio era molto più rispettoso.» «Simon… Simon, tu hai sbagliato tutto nella vita!» disse Jeremy in tono paterno «sei il primo della famiglia a non dedicare la propria esistenza alla caccia!» Seguirono un paio di secondi di silenzio. «Sai a quale caccia mi riferisco…» «Ne abbiamo già parlato. Ricordi quando uccisi il mio primo vampiro?» «Come no…» «Papà dopo averlo immobilizzato mi costrinse a colpirlo al cuore. Ricordo ancora gli occhi di quell’essere. Profondi come l’universo, oscuri come le tenebre… ma supplicavano pietà. Se non sapessi che si nutrono col nostro sangue, sicuramente li considererei semplici umani.» «Bah, sono solo dei fottutissimi mostri. Cinquecento anni fa in India ce n’erano a milioni, più degli umani. Divoravano la carne cruda… fortunatamente per l’India non c’è più pericolo; nell’ultima spedizione ho personalmente ucciso il Bhuta!» «Tu hai ucciso il Bhuta?» «Già, per me è stato un po’ come uccidere il presidente degli Stati Uniti…» fece Jeremy. «Non si ha tutti i giorni questo onore.» «Sì, e ormai si sono estinti definitivamente. Dal censimento del 1360 risulta che un solo vampiro è rimasto in vita.» «E non possono riprodursi, quindi…» «Già, la missione millenaria dell’uomo sta per concludersi.» «Certo… ma il problema è trovarlo, è come cercare un ago in un pagliaio!» «Sappiamo già dove tentare. È un Brucolaca, e come ben sai i Brucolaca per fede non possono accedere a territori altrui senza essere espressamente invitati.» «Dovremmo ringraziare chi ha scritto le leggi divine di questi vampiri…» «Già, e dovremmo complimentarci coi vampiri che le seguono in modo incondizionato.» Ci fu un attimo di silenzio. Jeremy si aspettava che il fratello deridesse ulteriormente la cultura Brucolaca, ma non fu così, allora riprese a parlare.

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«Qualche mese fa, quattro colleghi sono partiti per una spedizione e tre di loro hanno perso la vita durante la ricerca. Si trovavano ad Andros, in Grecia. L’unico superstite ha raccontato di un paesino con una vecchia chiesa sconsacrata. Un tempo probabilmente i suoi sacerdoti offrivano di loro spontanea volontà alloggio a ogni creatura. Difficilmente potrebbe essersi allontanato dall’isola.» «Comincio a temere che tu voglia mettermi in mezzo…» «Hai capito bene, Simon! C’è carenza di ammazzavampiri, la cultura odierna ha convinto tutti della inesistenza dei vampiri, è impossibile reclutare nuove leve senza venir presi per pazzi…» il tono della sua voce diventò serio «ho già pronti altri soggetti validi, ma quest’ultima spedizione non voglio farla senza di te.» «Senti, no. Io ho chiuso con queste storie.» «Ascoltami bene, Simon. Noi siamo gli unici eredi della dinastia…» «Appunto, ormai il ciclo dei Majlvan è chiuso. Abbiamo fatto il nostro dovere e ora possiamo starcene buoni buoni a farci i fatti nostri.» «Come i nostri avi hanno cominciato la guerra contro i vampiri, noi la concluderemo!» «Lascia perdere, Jerry. Non fa più per me.» «Voglio che anche tu sia partecipe. È l’epilogo della più lunga battaglia della storia! Forse nessuno si ricorderà di noi come uomini, tantomeno di loro, ma il nome della nostra famiglia continuerà a echeggiare nei racconti popolari, diventeremo leggenda! Un giorno scriveranno di noi paragonandoci a Ulisse, ad Achille e a Ettore. Potremo vivere in eterno!» «Jeremy, calmati. Nessuno ci paragonerà a nessuno. Non vorrei sminuire il tuo entusiasmo, ma se qualcuno mai scriverà di noi diventeremmo semplicemente protagonisti dell’ennesimo romanzo sui vampiri. Probabilmente non sarebbe nemmeno un bel romanzo dal momento che la caccia ai vampiri non è mai stata avventurosa, misteriosa o epica…» Simon alzò gli occhi al cielo e continuò: «Semplicemente incontri un vampiro, lo segui, aspetti che si addormenti e lo impali! In effetti ne uscirebbe una storia noiosa su dei cacciatori vigliacchi…» «Accidenti Simon…» sbuffò Jeremy «mettiamola così, allora; ricordi quando quel vampiro uccise nostro padre? Ricordi cosa provasti quando

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ci raccontarono com’era stato ucciso? Io ero disperato, mentre tu eri pervaso dall’ira, dal desiderio di vendetta…» Simon sentì riemergere in sé quell’antico e incontrastabile desiderio. A distanza di dieci anni viveva ancora in lui l’odio per quelle bestie notturne, ma era convinto che col tempo quel sentimento si sarebbe attenuato. Gli tornò alla mente ogni dettaglio di quella terribile notte. Suonò il campanello, le lancette dell’orologio avevano passato già da qualche ora la mezzanotte. Il fastidioso trillo, oltre alla madre, svegliò entrambi i fratelli. Tutti si alzarono dal proprio letto e si avvicinarono assonnati all’ingresso. Fu la donna ad aprire la porta. In piedi, sopra lo zerbino con scritto “Benvenuti” c’erano due agenti della polizia. Quello che aveva suonato il campanello si levò il berretto d’ordinanza appoggiandoselo sul petto ed esordì con le parole che nessun agente vorrebbe mai dover pronunciare: «Signora Joker, non trovo le parole per esprimerle…» La madre di Simon capì subito che era successo qualcosa al marito, il quale aveva assicurato che sarebbe stata una passeggiata uccidere quel vampiro. L’agente continuò. «Non è ancora chiaro cosa sia successo… purtroppo suo marito James è morto…» Simon e Jeremy sentirono ogni parola e i loro sentimenti in quell’istante si amplificarono. Jeremy cominciò a piangere disperatamente cercando conforto nella madre, che pareva ancora più fuori di sé; Simon invece sentì un forte senso di ingiustizia. Quel sentimento lo perseguitò fino al giorno del funerale, quando un amico del padre, tale Bertelli, gli confessò di esser stato al suo fianco nel momento della morte. Gli raccontò che il vampiro si era svegliato un attimo prima di essere impalato e che con un movimento istintivo aveva rivolto le proprie fauci verso la testa di James Joker, strappandogli a morsi il collo. L’amico aveva reagito subito infilzando il vampiro con il proprio paletto, ma per James ormai non c’era più nulla da fare. Simon realizzò che oltre ad aver perso il padre senza poter fare nulla, non avrebbe potuto nemmeno vendicare la sua memoria. Il vampiro era morto pochi istanti dopo aver cannibalizzato la sua vittima. Il suo bisogno di vendetta si estese verso tutti i vampiri del pianeta, poiché in

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quel momento ai suoi occhi diventarono tutti uguali; tutti i “succhiasangue” in vita erano potenziali colpevoli della morte del padre. I ricordi di Simon si fecero più vaghi e con la mente tornò alla conversazione telefonica col fratello, interrotta da una manciata di secondi di silenzio. «Il mio desiderio di vendetta è forte, ma non sono sicuro di voler…» Jeremy lo fermò. «Non puoi negarti! Ho già preso i biglietti. Durante il volo valuterai se partecipare o semplicemente assistere. Fino a quando non avrai deciso, l’unica cosa che dovrai fare sarà goderti la vacanza. Non sei mai stato in Grecia, questa è l’occasione buona!» Simon rimase titubante per qualche secondo. Poi rispose. «Una vacanza mi ci vorrebbe proprio. Va bene, mi hai convinto.» «Perfetto, il volo è domattina!» «Ma?!» «Ciao, fratellino.» Tu tu tu tu tu. Per evitare ripensamenti, Jeremy interruppe la conversazione. Simon appoggiò la cornetta e senza crucciarsi ulteriormente andò in camera da letto per preparare i bagagli.

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In Grecia Dopo aver salutato l’Italia, quattro ore di volo e uno scalo ad Atene, i due fratelli raggiunsero Mikonos. Jeremy, come promesso, si impegnò da subito a mantenere un clima rilassato e scherzoso, evitando di parlare di vampiri e comportandosi in modo spensierato. Per tutto il viaggio Simon sperò di riuscire a leggere l’ultimo libro comprato - l’ennesima denigrazione della teoria delle stringhe, moderno credo religioso degli scienziati - ma il fratello non gli permise nemmeno di finire la prefazione. La presenza di diverse belle ragazze fu un argomento sufficiente a riempire tutte le loro conversazioni. Simon si imbarazzava sempre quando capitava di parlare di donne, relazioni sentimentali e sesso, ma questo non gli impediva di trovare incredibilmente divertenti tutti i racconti delle svariate avventure del fratello, carichi di dettagli saporiti. Jeremy raccontò di quella volta al Melody Pub in cui una sconosciuta, in fila al bagno insieme a lui, lo stava fissando. Quando la porta si aprì permettendole di sfruttare il suo turno, la ragazza prese per mano il ragazzo ed esordì: «Entriamo insieme, così faremo prima.» Rimasero chiusi in bagno quasi mezz’ora, ignorando le lamentele di chi, sofferente, necessitava dei servizi igienici. Probabilmente il tutto si sarebbe ulteriormente prolungato se il proprietario del locale non li avesse colti in flagrante dopo aver forzato la porta. I due fecero una fragorosa risata, si rivestirono, e un po’ imbarazzati uscirono in fretta dal locale. Jeremy concluse il racconto sottolineando che quel giorno sia lui che la ragazza in questione tornarono a casa con la vescica ancora piena. Jeremy non era particolarmente bello, ma il suo era un fascino esplosivo, istantaneo, che scemava facilmente con chi cercava in lui una persona equilibrata e fedele. Forse anche per questo le sue storie d’amore raramente duravano più di qualche settimana, ma Jeremy non se ne fece mai un problema. La velocità con cui riusciva a portarsi a

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letto nuove ragazze gli impediva di scoprire cosa significasse rimanere soli. Simon non aveva storie del genere da raccontare, ma quando giunse il suo turno la conversazione non si interruppe per contrasto; insieme rievocarono tutti gli imbarazzanti fallimenti del fratello intelligente. Erano storie di incomprensioni, di esilaranti incontri al buio, di paradossali situazioni il cui l’epilogo era sempre lo stesso: una notte in bianco o tra le braccia di qualche imprevedibile pazza. Durante tutto il viaggio i due fratelli non fecero altro che ridere e divertirsi, ma presto avrebbero dovuto fare i conti con qualcosa di più serio. Arrivati sull’isola, i due scesero dal taxi che li aveva accompagnati fino a un grande parcheggio che dava sul mar Egeo, in quel periodo dell’anno nascosto da qualche banco di nebbia. «Che posto fantastico» disse Simon «mi ci voleva proprio una bella vacanza.» «Anche a me, e questo è un posto stupendo per riposarsi. In estate non c’è nulla di più divertente e rilassante di queste isole.» Purtroppo non era estate. «Dove siamo diretti ora?» chiese Simon «il nostro albergo è da queste parti?» Jeremy scosse la testa. «Non siamo ancora arrivati alla nostra meta, stiamo andando a prendere i nostri colleghi.» «I nostri colleghi?» «Certo, non ti aspetterai mica di uccidere l’ultimo vampiro esistente da soli?» Dopo una breve camminata, interrotta da qualche sosta per godere del panorama, i due fratelli entrarono nella camera di un residence, piuttosto grande ma disordinata. Macchine fotografiche e rullini erano sparsi sul divano accanto a della biancheria sporca. Una videocamera amatoriale giaceva a terra, spenta. C’era cenere di sigaretta sul tavolino che vibrava al ritmo dei bassi della TV accesa, che trasmetteva cartoni animati in greco a volume assordante.

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Risaltò subito all’occhio una sagoma umana nascosta nel fumo, sprofondata nella poltrona a lato del divano con una bottiglia di whisky in mano, con la bava colante dalla bocca aperta. «Abbassa il volume, brutto ubriacone!» fece una voce straziante «mi senti? Jeremy arriverà da un momento all’altro.» Dalla porta della cucina uscì una splendida ragazza, capelli lunghi lisci e castani. A prima vista non dimostrava più di venticinque anni, ma qualche piccola ruga lasciava intuire almeno cinque anni in più. I suoi lineamenti erano dolci, ma in quel momento la smorfia sul suo viso era tutt’altro che soave. Con un coltello in mano, noncurante della presenza dei due fratelli, la donna si avvicinò alla TV, spegnendola. Forzando due colpi di tosse per via del fumo che lentamente ondeggiava per tutta la stanza, si voltò verso il ragazzo sulla poltrona e notò fra le dita della mano sinistra una sigaretta consumata, con la cenere in equilibrio precario, che di lì a poco avrebbe ustionato le dita dello sprovveduto giovane. Allora Janet, così si chiamava quella splendida e determinata fanciulla, gli tolse di mano il filtro bruciato con uno strattone. Il gesto fu così violento da svegliare il ragazzo che dall’altra mano lasciò cadere la bottiglia. Il sottile vetro non resistette all’urto, la bottiglia si ruppe e il whisky innaffiò tutto il pavimento. «Ma che…?» «Brutto idiota, possibile che non riesci a rimanere sobrio per più di otto ore?» «No che non ci riesco. Lo sai che non dormo mai più di otto ore!» Forzò una risata. «Michael, ma chi me l’ha fatto fare di perdere tempo con uno come te! Alzati, a minuti arriverà Jeremy con suo fratello.» «Ma che dici? Arriveranno alle quattro di oggi pomeriggio. È ancora mattina.» Il dormiveglia che aveva improvvisato dopo essersi acceso la sigaretta gli aveva scombussolato l’orologio biologico; il risveglio improvviso e il sole ancora alto gli avevano fatto supporre che non fosse ancora ora di pranzo. «Michael, sono già passate le quattro!» disse Janet. «Cosa?» Girandosi di scatto verso la sveglia accanto alla televisione, Michael notò che effettivamente erano le 16:06.

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Janet involontariamente puntò il coltello verso Michael, che si sbilanciò all’indietro mettendo a dura prova le gambe posteriori della poltrona che, cedendo, si ribaltò insieme al giovane. Dall’altra parte della stanza Simon e Jeremy, divertiti dalla scena, decisero che era il momento di farsi notare. «Ehm ehm…!» con un finto colpo di tosse Jeremy riuscì a ottenere l’attenzione dei due.» «Oh, cielo! Sie… siete qui da molto?» domandò Janet. «Giusto il tempo di assistere alle vostre esternazioni d’affetto» rispose Simon con un sorriso. Michael si inserì nella conversazione dopo essersi rialzato da terra. «Janet non lo sa ancora, ma mi ama pazzamente!» «Certo Michael, ti amo come un vampiro ama abbronzarsi al sole.» I due si conoscevano già da qualche anno. Formavano una bella coppia insieme, ma non si erano mai spinti oltre il bacio sulla guancia. Janet non era attratta fisicamente da Michael; non era molto alto, aveva i capelli lunghi e usava vestirsi in modo esuberante. A Janet queste caratteristiche non erano mai piaciute, ma ammirava il suo carattere gentile e determinato. Jeremy si rese conto che il fratello stava dialogando con due sconosciuti, così esordì. «Forse è meglio fare delle presentazioni.» Michael si alzò definitivamente in piedi accanto a Janet formando casualmente un bizzarro siparietto di soldati in riga davanti al loro ufficiale. Jeremy, rivolgendosi al fratello, indicò Janet. «Lei è Janet, mi ha aiutato nell’uccisione del Bhuta. Esclusi noi due, è una delle poche persone rimaste in vita ad aver partecipato o anche solo assistito all’uccisione di un vampiro.» Diede poi una pacca sulla spalla alla ragazza. «Ed è una delle persone più in gamba che abbia mai conosciuto! Non c’è storia, leggenda o informazione sui vampiri che lei non conosca. Ha scritto un saggio in cui prende in esame centinaia di racconti popolari, e senza nessun aiuto è riuscita distinguere fra verità e fandonie. Ha messo un po’ di ordine.» Michael indicando la sporcizia nella stanza entrò nel discorso. «Quando riuscirà a mettere ordine anche a casa mia sarò pronto a sposarla.»

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«Non ti illudere» replicò Janet «il tuo schifo non lo pulirò mai! Tantomeno voglio che il mio nome venga accostato al tuo…» «Ehi, calma!» Simon cercò di smorzare i toni «dimmi Michael, anche tu sei un cacciatore di vampiri?» Janet e Jeremy si lasciarono scappare una risatina. «Michael non è un cacciatore. È un…» «Artista… sono un artista!» li interruppe Michael. Janet sbuffò sorridendo e Jeremy continuò la sua frase: «Michael è un regista, nonché uno scrittore.» Non aveva mai frequentato una vera e propria scuola di regia, ma la sua passione per il cinema l’aveva reso molto più informato ed esperto di molti studenti universitari; inoltre, studiando per conto suo, la sua cultura era molto approfondita, costruita con pazienza e passione a partire dai più bei classici della storia del cinema. A soli venticinque anni era più esperto di tanti altri registi più maturi di lui. «Scusa, ma a cosa ci serve un regista nonché scrittore?» domandò Simon. «Jeremy mi ha spiegato come si uccide un vampiro» rispose lo stesso Michael «tutto ciò che sapevo di loro l’ho buttato nel cesso e ho tirato l’acqua. Ora so che non dormono nelle bare ma nei letti, che non vivono necessariamente nei castelli ma in qualunque posto poco illuminato dal sole, che non hanno paura delle croci e che non si trasformano in pipistrelli o altre entità particolari… insomma, sono creature veramente noiose.» «Sarebbe quasi meglio se la gente continuasse a crederli straordinariamente malvagi» continuò Jeremy «in questo modo potremmo raccontare al mondo che le nostre sono state gesta da eroi, che abbiamo combattuto contro dei terribili e pericolosissimi mostri…» «E il mio compito sarà riprendere l’uccisione dell’ultimo vampiro creandoci sopra un caso…» Michael aveva le idee ben chiare sulla propria mansione «pubblicità su Internet, titoli in prima pagina per mesi. Diventeremo tutti ricchi!» «È squallido quello che state dicendo» esclamò Simon indignato «finiremmo per sembrare dei mercenari, desiderosi solo di fama e denaro. Io sono qui per liberare il mondo da questa piaga e per vendicare la morte di nostro padre. I vampiri da secoli terrorizzano gli umani, si nutrono del nostro sangue, conducono una vita misteriosa e…»

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Janet lo interruppe. «Devo correggerti. I vampiri in condizioni normali non si nutrono di sangue umano. Si accontentano di sangue animale. E poi hanno sempre condotto una vita normale, con la differenza che loro dormono di giorno. Sono molto simili agli umani.» A Janet bastò un secondo per riorganizzare le idee, poi proseguì. «In effetti, nel Simposio di Platone…» Michael pensò di interrompere la digressione storico-culturale di Janet, ma sapeva bene che sarebbe stato inutile; quando la ragazza cominciava a parlare di qualche sua passione, era impossibile fermarla. «Aristofane racconta di come l’uomo e la donna fossero un tempo uniti fisicamente nella stirpe degli androgini, esseri con quattro mani, quattro gambe, due volti sulla stessa testa, che convivevano creando un unico individuo estremamente vigoroso. Si dice che poi Zeus scelse di separarli per renderli più deboli. Oltre agli androgini c’era la stirpe maschile e quella femminile. Gli storici ne hanno sempre dato un’interpretazione errata, giustificata dalla omosessualità che com’è noto era ampiamente tollerata fra gli antichi greci. Si è sempre pensato che le stirpi maschili e femminili fossero formate da due umani dello stesso sesso, ma in realtà Aristofane si riferiva a un essere umano e a un vampiro dello stesso sesso, uniti insieme per creare una semi divinità, assai più potente degli androgini. Dalla loro separazione gli umani guadagnarono potere terreno e i vampiri mantennero i connotati propri della parte divina. L’immortalità, per intenderci.» Jeremy la interruppe. «Ammesso che non vengano trafitti al cuore!» «O uccisi dalla luce del sole…» aggiunse Michael. «Questo non è esatto, Michael» fece Simon «la luce non uccide i vampiri, li indebolisce molto e provoca ustioni alla loro pelle, ma che io sappia non è mai morto nessun vampiro per la luce solare.» Janet non si curò dei commenti e continuò: «A ogni modo, i greci avevano tanta fantasia e questa storia ne è una chiara dimostrazione. Volevo solo chiarire che a quel tempo era normalità convivere con i vampiri, non ucciderli. Purtroppo tutto il materiale che attestava questa convivenza è stato distrutto o travisato.» Sperando che Janet avesse finito, Michael sparò la prima stupidata che gli passò per la mente per evitare che riprendesse a raccontare tutte quelle storie che, fra l’altro, gli sembravano tutto fuorché interessanti.

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«E che mi dite di tutto ciò che si impara dal capolavoro di Murnau? Io so che…» Purtroppo fu proprio Janet a cogliere la palla al balzo. «Se ti riferisci al film Nosferatu, ti assicuro che è solo un agglomerato di luoghi comuni. Anzitutto quel film è ispirato a Dracula, il romanzo di Bram Stoker, ma per una questione di diritti prese il nome dal più celebre vampiro rumeno Nosferat, un vampiro di genere Incubus che tormenta i sonni degli umani e ingravida le donne. Come puoi capire è solo folklore, non c’è nemmeno una briciola di verità.» Michael, scocciato per esser stato interrotto mentre parlava di cinema, aspettò il primo istante di silenzio per dimostrare di essere culturalmente all’altezza. «Pensi che non lo sappia? Sono un intenditore di cinema! So anche che in realtà l’attore che interpretava Nosferatu era realmente un vampiro!» «Questo è vero!» intervenne Simon con fervore «quel vampiro è stato eliminato dal padre di mio padre pochi giorni dopo la fine delle riprese. È stata una pessima idea quella di far recitare a un vampiro la parte del vampiro… pessima idea per il vampiro, intendo.» Simon sorrise, pensando di essere stato particolarmente brillante. Ormai stanco di ascoltare, Jeremy buttò un occhio al proprio orologio in modo plateale. Tutti capirono che le conversazioni da salotto erano finite in quell’istante. «Be’, ragazzi, mi sembra che stiamo un po’ perdendo di vista il motivo per cui siamo qui. Dobbiamo uccidere l’ultimo vampiro.» «Ma siamo sicuri che sia proprio l’ultimo?» domandò Michael. Janet lo osservò con un’occhiata pungente. «Sì, siamo sicuri!» «Ok. Mi fido» disse Michael interdetto. Improvvisamente a Simon venne il dubbio di aver dimenticato qualcosa a casa. «Hai portato tutto il necessario, Jeremy?» «Certo. Anche se in realtà l’unica cosa che ci servirà è il legno sacro di Ruthner.» Simon e Jeremy posarono le valige sul tavolino davanti alla TV e con un gesto sincronizzato le aprirono. In entrambe, adagiati sopra gli abiti e in bella vista, due pugnali identici con alcune incisioni sulla lama. Michael, incuriosito, si avvicinò e ne prese uno in mano. Il primo contatto lo stordì. Si aspettava che il suo sforzo fosse bilanciato da

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almeno tre chili, ma l’oggetto non era più pesante di un cucchiaio di legno per cucinare. Stupito esclamò: «È leggerissimo. Ma… questo pugnale è tutto in legno!» «Certo» rispose Simon «ma solo alcuni tipi di legno lasciano schegge così piccole da impedire al corpo del vampiro di espellerle. Qualunque altro materiale permetterebbe la rigenerazione dei loro tessuti.» «Interessante. Cosa c’è scritto sulla lama? Non riesco a capire, somiglia a una lingua antica.» «Mi stupirei del contrario, è scritta in vampirico. Nella nostra lingua si legge: Affannoso è il respiro di nostra madre, la regina della notte, la vergine della Terra, la madre della luna. Reciso è il suo cuore da Adamo nostro padre, dispersi nelle tenebre i figli del suo amore, per sempre uniti con la stirpe dei mortali. Al suono di quelle parole, Janet si sentì percorrere il corpo da un brivido. L’incisione sulla lama le sembrò una sciocchezza, ma quel riferimento alla religione la turbò. Adamo, per cristiani, ebrei e islamici, era il primo uomo. Michael non fu altrettanto scosso, forse per non aver colto il riferimento biblico. Ascoltò le parole di Simon, ne memorizzò una parte, ma fu la curiosità a distrarlo. «Simon, tu leggi il vampirico?» gli chiese stupito. «Assolutamente no, solo i vampiri ci riescono. Vedi, è scritto tutto qui…» Simon girò il pugnale e sul lato opposto della lama c’era un’altra incisione con la traduzione. «Lo tradusse un vampiro sotto tortura a qualche mio avo.» Nel frattempo Jeremy appese una mappa al muro indicando un punto. «Non perdiamo altro tempo. Noi ci troviamo qui, mentre qui si trova la città da dove cominceremo le ricerche.»

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L’isola di Andros Dopo un viaggio in traghetto, fu scelto nuovamente il taxi come mezzo di locomozione. Nessuno dei quattro, infatti, pensò nemmeno per un istante di viaggiare con un mezzo proprio. Affittare un’auto in quel posto sarebbe stato più arduo che trovare il vampiro. Nell’ora del crepuscolo, il paese appariva tetro e la nebbia, che non permetteva di vedere più in là di qualche metro, contribuiva a rendere l’atmosfera ancor più cupa. In altri periodi dell’anno lo spettacolo sarebbe stato incantevole. Appena quattro mesi prima, durante l’estate, l’acqua dell’Egeo meridionale era limpidissima e le strade affollate da orde di turisti intenti a godersi il caldo e il panorama. Ma in quel periodo l’isola era quasi disabitata. La maggior parte delle costruzioni venivano affittate solo in alta stagione. Il pavé a terra era formato da pietre piuttosto grosse e lisce che costringevano i passanti a rivolgere la testa verso il basso per non inciampare. Una buona parte del paese era in pendenza, per cui in molte vie il transito era facilitato da centinaia di scalini. Il cielo era nascosto da nuvole minacciose e la luce della luna piena le attraversava creando un’atmosfera spettrale. Michael scese per primo per aprire il portabagagli del taxi. Le due valige di Simon e Jeremy erano sepolte sotto l’attrezzatura cinematografica. Il giovane regista estrasse il suo materiale e indossò le sue borse, mantenendo la telecamera in una posizione agevole nel caso urgessero riprese non previste. Simon lasciò cento euro al tassista che ne chiedeva solo novanta. Il taxi ripartì e i due fratelli si guardarono per un istante negli occhi. Entrambi sapevano qual era la prima cosa da fare. Tolsero dalle proprie valige i pugnali, nascondendoli bene sotto i cappotti, quindi entrarono in una locanda. Era un posto piccolo, con cinque tavolini tondi di legno. In fondo alla sala, dietro al bancone, l’oste, un uomo massiccio alto almeno un metro

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e novanta, era intento a pulire un boccale con qualcosa che somigliava più a un asciugamano che a uno strofinaccio da cucina. I muri erano grigi con qualche residuo d’intonaco bianco in equilibrio precario. L’illuminazione era indice del grado di civilizzazione del luogo: niente corrente elettrica, solo candele o lampade a olio. A una prima occhiata avrebbe potuto ricordare un ristorante a tema medievale, ma la realtà era che in quel locale il tempo si era fermato da chissà quando. «Simon, non sembra anche a te di aver viaggiato nel tempo?» chiese Jeremy. Tutti avevano avuto la stessa inquietante impressione, ma nessuno se la sentì di stimolarla con qualche commento aggiuntivo. L’oste si accorse di loro, sospese la sua opera di pulizia e rivolgendosi a Janet farfugliò qualcosa in greco. Nessuno dei ragazzi conosceva il greco moderno, così Michael improvvisò un inglese maccheronico. «We are Italy, do you speak english?» L’imbarazzante tentativo di Michael spezzò la tensione inducendo tutti a una risata. «Che c’è? Che ho detto di male?» «Gli hai appena detto che noi siamo l’Italia» rispose Janet ridendo. Nonostante il nome anglofono Michael era cittadino italiano e pur avendo viaggiato molto non aveva mai dato troppo peso alla sua ignoranza verso la lingua inglese. In qualche modo riusciva sempre a farsi capire. Cercando di giustificare il suo errore grammaticale si arrampicò sugli specchi. «È quello che volevo dire… in questo momento noi rappresentiamo l’Italia. Ora chiederò birra per tutti…» Riprovò, così, a comunicare di nuovo con l’oste. «Please, beer for all…» L’oste intuì la parola “beer” e riempì quattro bicchieri. Non appena furono serviti, nessuno poté fare a meno di notare il suo occhio completamente bianco, attraversato da una grossa cicatrice che sprofondava nella carne attorno all’orbita. Abituato a essere sfrontatamente esaminato dai turisti, l’oste mostrò di non dare troppo peso alla loro curiosità. «Cominciamo bene…» Simon esternò il suo sconcerto al fratello.

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«Non lasciamoci influenzare da queste cose.» Jeremy estrasse una mappa e indicò il punto in cui presumibilmente si trovavano. «Noi siamo qui. La chiesa in cui dovremmo recarci è qui.» Indicò un punto poco distante. «Non saranno più di un paio di chilometri.» «Cosa sono quelle croci attorno alla chiesa?» chiese il fratello. «Indicano la presenza di un cimitero.» Michael si eccitò all’idea di poter fare delle riprese in un cimitero, nonostante la paura che cercava di non mostrare. In fondo sapeva di avere accanto tre professionisti e con quel pensiero cercava di tranquillizzarsi. «Fantastico! Ho già tutto in mente. Prima filmerò alcune immagini di questa cittadella assurda. Poi, arrivati alla chiesa, mi concentrerò su un paio di tombe, racconterò qualche assurda storia di morti viventi che escono dalle bare e ne uscirà un capolavoro! Male che vada, sarà l’horror trash più bello della storia.» Nessuno gli diede retta e nemmeno si preoccupò per la vicinanza del cimitero. Tutti sapevano che i vampiri non escono dalle tombe e che, al contrario di ciò che si dice, non sono non-morti, bensì una razza completamente diversa di creature maligne. «Ma ditemi una cosa, i vampiri di cosa si nutrono? Bevono solo sangue o mangiano cibo proprio come noi?» li incalzò, acceso dai suoi progetti cinematografici. «Vedi Michael, fisicamente sono simili a noi, con la differenza che non hanno i reni, per cui il loro bisogno di sangue è dovuto all’impossibilità di mantenere pulito il proprio. Non avrebbero bisogno di nutrirsi, ma ovviamente per muoversi bruciano energia, così il loro corpo sintetizza una proteina particolare, chiamata V2, velenosa per noi umani, che trasforma i globuli rossi in energia» disse Janet, con un piglio da vera “biologa vampirica”. «Dalla reazione tra il sangue e la proteina V2 si produce una scoria tossica che rimane in circolo nell’organismo. Come noi, il vampiro deve evacuare i residui tossici, e lo fa tramite i suoi canini. Mentre dal superiore destro succhia il sangue della preda, da quello sinistro gli inietta il suo. Questo scambio provoca nell’uomo la morte istantanea per infarto.»

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Simon aggiunse alla dissertazione di Janet una metafora per chiarire il concetto. «Significa che succhiare il sangue, per il vampiro, equivale a una sorta di dialisi.» Janet annuì soddisfatta. «E che mi dici della loro avversione per la luce?» «Nessuno ha trovato ancora una risposta alla tua domanda. I vampiri sono afflitti da tutte le peggiori malattie della pelle. Su tutte, una variante estesa e cronica della sclerodermia. La loro pelle è durissima, così dura che nemmeno i proiettili possono inciderla. Sono scoperti solo in un punto preciso che si trova sotto lo sterno, dove un bravo ammazzavampiri sa che deve conficcare il legno. Il loro colorito bianco poi è dato da una vitiligine estesa a tutto il corpo. La loro sensibilità al sole non è riconducibile a nessuna malattia diagnosticata negli umani; i raggi di luce inducono la loro pelle a un’autocombustione. Tuttavia potrebbero essere lasciati per ore in un solarium e ne uscirebbero perfettamente illesi. Nessuno ha capito quale radiazione del sole sia così dannosa per loro.» A sentirla parlare così, Michael fantasticò sulle tante qualità, non solo intellettuali, di Janet, sicuro che prima o poi anche lei avrebbe trovato qualcosa di interessante in lui. Fortunatamente, quando Jeremy pensò di rivolgersi all’oste per avere qualche informazione in più sul luogo in cui si trovavano, l’uomo stavolta impiegò molto meno a capire l’inglese del ragazzo, lingua che l’uno conosceva perfettamente per esigenze di lavoro e che l’altro padroneggiava grazie a studi scolastici più approfonditi di quelli del fratello. «Cosa mi sa dire di questa chiesa?» L’oste capì subito che si trattava della vecchia basilica sulla collina. «Quella basilica bizantina fu costruita fra l’undicesimo e dodicesimo secolo; probabilmente fu dedicata a qualche martire, ma fu sconsacrata un centinaio d’anni fa e molti oggetti religiosi sono stati rimossi.» Jeremy si stupì della perizia dell’oste, meraviglia che crebbe con le informazioni che l’uomo gli fornì appena dopo. «Questa zona del paese sembra non meritarsi un culto ortodosso… tuttavia al suo interno vive ancora un vecchio sacerdote, Padre Fillinio, così mi pare che si chiami. Credo che ormai la basilica ospiti solamente poveri viandanti e moribondi.»

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Jeremy ebbe l’impressione che quell’uomo gli stesse nascondendo qualcosa. L’oste bevve un sorso di birra, poi continuò: «Dovrebbero farlo santo quel frate, da solo ha recintato l’edificio, ha scavato un cimitero e tuttora si preoccupa di seppellire i suoi ospiti più sfortunati.» Jeremy per un istante temette di trovarsi nel luogo sbagliato, ma presto si ricredette; senza dubbio il frate doveva aver offerto ospitalità al vampiro, per il quale poteva rivelarsi conveniente bere sangue da corpi di cui nessuno avrebbe recriminato la morte. Con l’unico occhio disponibile, l’oste non poté far a meno di notare il pugnale di legno nascosto all’interno del cappotto di Jeremy. Conosceva bene quell’oggetto, in passato l’aveva visto altre volte. L’oste, come indotto da un riflesso, si mise una mano sull’occhio di vetro. Senza curarsi troppo di quel gesto improvviso, Jeremy lo ringraziò e chiese quattro letti per la notte. L’oste gli offrì due camere, ognuna con un letto matrimoniale. Il ragazzo accettò. «Due matrimoniali?» esclamò Janet «non vi aspetterete che io accetti di rimanere sola con Michael?» I due avevano già dormito nella stessa stanza in passato, ma stavolta Janet sembrava molto decisa a voler rimanere da sola. «Ehi passerotto, domattina mi ringrazierai per averti offerto la notte più bella della tua vita.» Michael cominciò a eccitarsi, l’idea di stare solo nello stesso letto con Janet lo faceva sognare a occhi aperti. Ma le sue speranze furono presto spezzate. «Va bene, Janet. Allora tu dormirai con me e Michael dormirà con mio fratello.» Michael provò a protestare alle parole di Simon, ma quella sistemazione andava bene a tutti gli altri, così fu zittito subito. I quattro si alzarono dal tavolo, raccolsero le proprie valige e s’incamminarono verso le proprie stanze. Non appena si sistemarono nelle camere, l’imperativo fu dormire. Solo Michael, ancora innervosito, appoggiò i suoi bagagli sul letto, si mise la telecamera a tracolla e senza dire niente a nessuno uscì. Pensò che vagare da solo per la città poteva essere un buon modo per sfogare la propria rabbia e per fare qualche ripresa.

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Prima notte di terrore La nebbia era ancora fitta. Percorrendo gli stretti vicoli dell’isola, l’oste Nevim giunse alla vecchia basilica. Il suo unico occhio gli offriva una visione poco precisa dell’insieme, ma i ricordi lo aiutavano laddove la vista difettava, per questo di rado gli capitava di non percepire correttamente la profondità o di valutare erratamente le altezze. Aprendo il portone dell’edificio sconsacrato catturò l’attenzione di coloro che vivevano lì, tre uomini che, vedendo una persona amica, tornarono presto al proprio riposo. Le tenebre avevano invaso anche l’interno della chiesa, soltanto un fievole chiaro di luna filtrava attraverso le vetrate. Quel poco di luce permetteva all’occhio opportunamente dilatato di intravedere alcune sagome umane. Nevim non si curò di nessuno e con passo deciso raggiunse una porticina dietro all’altare. Lì il buio era totale, ma l’oste sapeva bene come muoversi, conosceva alla perfezione quell’edificio. Percorse un corridoio e raggiunse una porta. Bussò un paio di volte prima di entrare. La stanza era illuminata da una candela, l’arredamento era composto solo da un vecchio armadio, una brandina e un tavolo con due sedie. Nevim si rivolse all’unica presenza in quella stanza. «Sono venuti per ucciderti, non abbiamo più tempo!» Nella mente di Michael, intanto, la stizza aveva preso il sopravvento, tanto che la strada poco rassicurante che decise di percorrere non lo terrorizzò nemmeno per un istante. Per qualche minuto il suo unico sfogo fu imprecare a voce alta e scimmiottare la voce di Simon: «“Janet cara, tu dormirai accanto a me…”. Chi si crede di esser quel Simon?! Forse non ha capito con chi ha a che fare! Janet è mia! Se scopro anche solo che l’ha fissata negli occhi per più di un secondo, giuro che lo faccio diventare il protagonista di uno snuff movie! Lo so io dove gli metto il pugnale se…»

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Improvvisamente si rese conto di essersi perso. Il vicolo si faceva sempre più stretto e non se ne vedeva la fine. Allora alzò la testa e notò che le case erano tutte non più alte di tre metri. Non si vedeva nessuna luce accesa, il silenzio era irreale, nessuna voce, nessun rumore, nemmeno l’abbaiare di un cane. Solo il vento fischiava infilandosi con prepotenza in quello stretto vicolo. Michael proseguì sperando di trovare qualche indicazione, ma invano. Dietro ai tetti notò un edificio più grande degli altri, decrepito e ricoperto di erbacce. Dall’enorme croce che si ergeva dalla sua sommità, capì di essere giunto alla basilica. Sapeva che non sarebbe stata una buona idea entrarci di notte, se davvero ospitava un vampiro, l’avrebbe trovato sicuramente sveglio a quell’ora. Tuttavia aveva ancora in mente la mappa di Jeremy e ricordò che quella chiesa era collegata alla sua taverna da un’unica strada principale. Il terrore gli impedì di pensare ancora, almeno per un istante, a Janet e Simon. Tuttavia accese la videocamera, la appoggiò sulla sua spalla e la impugnò come fosse un’arma pronta a sparare al primo segno di pericolo. Cominciò a camminare con passo moderato. Pensò più volte di girarsi per controllare se qualche “entità maligna” lo stesse seguendo, ma era talmente impaurito da non averne il coraggio. Cercò compagnia nella sua voce tremolante che cominciò a ripetere le prime cose che gli passavano per la testa, tra cui uno dei suoi monologhi preferiti: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno…» Prima che Michael riuscisse a terminare la sua stramba quanto solitaria prova di recitazione, fu interrotto da un violento tonfo. Si girò di scatto per capire cosa fosse, ma fu urtato con forza da qualcosa. Nella confusione riuscì a contare cinque creature spaventose. Poi dieci. Il suo cuore cominciò a battere così forte da lasciarlo senza respiro. Il giovane provò a dimenarsi. Nonostante il violento scontro, la telecamera gli rimase a tracolla. Col braccio destro si difese il volto dall’attacco, mentre con la mano sinistra impugnò la telecamera e cominciò a brandirla contro gli avversari. Riuscì a colpirne uno, che cadde a terra. Tutti gli altri scapparono.

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Un altro tonfo echeggiò nell’aria. Fortunatamente era solo un’altalena che sbatteva contro dei barili di legno. Fu allora che, dopo aver abbassato lo sguardo, capì cosa fosse successo. Il pipistrello morto a terra dimostrava chiaramente la dinamica dei fatti: il vento aveva scagliato l’altalena contro i barili e i piccoli mammiferi appesi sotto i tetti, data la loro sensibilità ai suoni, si erano allertati scappando da un possibile pericolo, investendo in pieno il ragazzo. Michael riprese fiato e riordinò le idee. Controllò che la telecamera avesse registrato tutto. Ebbe una spiacevole sorpresa: la macchina non funzionava più. L’apparecchio aveva subito un impatto troppo forte. Quasi sicuramente il CCD, il cuore della telecamera, il circuito integrato che trasforma le radiazioni elettromagnetiche in impulsi elettrici ricostruendone poi un filmato su pellicola, era andato completamente distrutto. “Neanche MacGyver riuscirebbe a ripararla” pensò. Mestamente, Michael s’incamminò verso la basilica. La scarica di emozioni appena ricevuta lo privò nuovamente di ogni paura; pensò che le cose non sarebbero potute andare peggio di così.

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Un allarme inaspettato Dopo aver svuotato la valigia, Simon mise da parte il pigiama da notte e appoggiò sopra una sedia gli abiti per il giorno dopo. Posò poi il pugnale sul comodino, si spogliò, indossò l’abito da notte e si affacciò alla finestra. Nel frattempo Janet entrò in bagno. Nonostante lo stato di abbandono della locanda, la loro stanza era pulita e sul soffitto penzolava persino una lampadina. Ne cercò l’interruttore, trovandolo accanto al lavello. Come avrebbe potuto prevedere, nessuna luce si accese. Fortunatamente aveva portato con sé un candelabro. La ragazza si tolse la vestaglia e la appoggiò sopra il water. Fece lo stesso con la biancheria intima. Avviò il flusso d’acqua nella vasca e vi entrò. Intanto Simon ammirava il paesaggio dalla finestra; la nebbia era calata ed era visibile la basilica in cima alla collina. Mentre scrutava l’imponente edificio, un fulmine catturò la sua attenzione. La luce della saetta per un istante illuminò il panorama, mostrando le tombe e i monumenti funerari attorno a essa. Accanto a una lapide sembrarono distinguersi le sagome di due uomini. L’immagine durò una frazione di secondo, dopodiché sentì solo il tuono, che gli provocò un leggero sussulto. Pensò a Michael, lo aveva visto un po’ alterato. Non escluse che potesse esserlo perché Janet aveva voluto dormire in un letto diverso dal suo. Uno sbadiglio sgombrò la sua mente da ogni preoccupazione sul regista. Si stese sul letto e istantaneamente molti pensieri cominciarono a tormentarlo. Quando l’eccessiva attività celebrale lo costrinse a chiudere gli occhi per la stanchezza, Janet lo fece trasalire aprendo la porta del bagno. «Stavi dormendo?» «Uhm?! No… stavo pensando…» «A cosa stavi pensando?» «A… niente. Niente in particolare.»

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«Niente? Ecco perché stavi per addormentarti.» Janet sorrise e si infilò sotto le coperte. «In realtà pensavo a tutta questa storia dei vampiri. Insomma, sono esseri malvagi, uno solo di loro potrebbe distruggere l’intera razza umana.» «Ah davvero?» fingendo di non sapere niente di vampiri un po’ per prenderlo in giro e un po’ per invogliarlo a parlare e, allo stesso tempo, stancarlo per poter incominciare a dormire il più presto possibile. Ma Simon la prese sul serio. «Sì. Sono poche le persone che saprebbero come comportarsi con un vampiro… eppure la guerra è stata vinta da noi umani, come se non avessero mai sfruttato la loro superiorità per annientarci.» «Non so risponderti. I vampiri sono esseri disciplinati, non provano i nostri stessi sentimenti; se uccidi uno di loro, gli altri non sentono il bisogno di vendetta. In più sono estremamente condizionati dalle loro credenze e dai loro dogmi; se viene loro imposto di comportarsi in un certo modo, per loro è inconcepibile fare diversamente.» Simon sorrise. «Detto così sembra che siano molto più virtuosi di noi…» A quelle parole la candela si esaurì e il buio invase improvvisamente l’intera stanza. Ma Janet sembrò non curarsene e proseguì: «Dimentichi che per migliaia d’anni si sono nutriti di sangue umano. Non lo hanno fatto di certo per questioni di sopravvivenza, per quella sarebbe bastato il sangue animale.» «Anche per noi è sufficiente mangiare pane e bere acqua» incalzò il ragazzo «eppure sterminiamo animali e ci godiamo una vita di lussi a discapito di qualcun altro. Probabilmente il sangue umano è più pregiato di quello di altri animali. Come un buon vino italiano rispetto a una qualunque bibita.» «Vedi, Simon, noi stiamo solo aiutando la natura a seguire il suo corso. Se esistessero ancora i dinosauri, vivremmo come facciamo ora? Se esistesse una razza dominante più forte della nostra, pensi che non farebbe di tutto per eliminarci? I vampiri sono una minaccia! Per fortuna la loro estinzione è vicina. Nessuno crederà più nell’esistenza dei vampiri quando verranno completamente eliminati e nessuno morirà più come tuo padre.» Per Simon la morte del padre era stata chiaramente un incidente. In fondo era successo in un modo tanto stupido quanto insolito.

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«Dovresti combatterli solo per come l’hanno ucciso…» «Sì… infatti sono qui solo per quel motivo.» Ci fu un istante di silenzio in cui sembrò che entrambi si fossero orma addormentati, ma poi Simon riprese a parlare: «Eppure… sai… Confucio amava ripetere: “Prima di intraprendere la strada della vendetta, scava due tombe” e anche: “La tolleranza si guadagna il cuore di molte persone”.» Janet, anche per il sonno incombente, non sapeva come convincere Simon che quello che stavano per fare era del tutto legittimo, così iniziò a mollare la presa. «Certo che Confucio la sapeva lunga.» «Sai cos’altro disse Confucio? “Chi desidera procurare il…”.» Spazientita, Janet lo interruppe. «Confucio ha parlato anche troppo!» Simon, stranamente, apprezzò. La determinazione della giovane lo rassicurava, ma i dubbi rimasero. Lontano dalla locanda, Michael si trovò a pochi metri dall’entrata della basilica. L’edificio era ancora più imponente di quanto aveva immaginato vedendolo da lontano. La recinzione formava un quadrato dal perimetro enorme. Le lapidi si accalcavano per tutta l’area non occupata dalla chiesa. Il ragazzo, incuriosito, si fermò a leggere i nomi dei defunti. Non aveva mai sentito nessuno di quei nomi. Da una piccola croce incisa prima della data si intuiva che sulla lapide era riportato solo il giorno della morte e non quello della nascita. Sotto ogni nome c’era una frase in greco antico. Michael provò a tradurne qualcuna ricorrendo alle conoscenze acquisite nella scuola superiore. Molte avevano in comune la parola Vrykolaka, sconosciuta al giovane. Una di esse recitava: È qui sepolto un Vrykolaka la stirpe della sterile madre è privata di un altro discendente, di un altro viso dall’ira dei figli di Eva ucciso. Michael non capiva a cosa si riferissero quelle parole, ma leggendo di Eva non poté fare a meno di ricordarsi del pugnale di Simon:

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Reciso è il suo cuore da Adamo nostro padre. Si propose di chiedere informazioni a Janet, sperando così di alimentare nuovamente quella complicità che li univa quando insieme affrontavano quel tipo di argomenti. Un fulmine non troppo lontano illuminò il cielo. Decise di abbandonare il cimitero, ma qualcosa lo colpì alla nuca. Il ragazzo sentì una scossa percorrere tutta la colonna vertebrale. Prima di cadere a terra pensò di essere stato colpito da un fulmine, ma mentre cercava appiglio notò a terra un’ombra. Si voltò e vide un corpo che brandiva un’asse di legno con entrambe le mani. Fece appena in tempo a supporre di avere davanti a sé il vampiro quando altre due bastonate gli colpirono prima il ginocchio destro poi l’orecchio sinistro. Stavolta l’assalto fu troppo violento. Michael cadde a terra svenuto. Fine anteprima.Continua...