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L'ultimo teorema di Fermat Da 300 anni si cerca senza successo di dimostrare un teorema, che Fermat asserì di poter provare, secondo il quale non esiste potenza di grado superiore al secondo che sia somma di due altre potenze dello stesso grado di Harold M. Edwards p ierre de Fermat, il matematico fran- cese del XVII secolo, è il padre della moderna teoria dei numeri, quel settore della matematica che si occu- pa dello studio delle proprietà dei numeri interi. Come molti studiosi del suo tempo si dedicava alla lettura dei classici, e per quanto riguarda la teoria dei numeri tras- se ispirazione dalla lettura di Diofanto, matematico greco la cui Arithmetica era stata riscoperta verso la metà del XVI secolo. Fermat segnò, in margine all'edi- zione di quest'opera di Diofanto in suo possesso, una serie di osservazioni che dopo la morte il figlio fece pubblicare insieme al testo del matematico greco. Una di queste note è diventata una delle proposizioni più famose nella storia della matematica. Subito dopo un problema che chiede di trovare quadrati che siano somma di due altri quadrati (per esempio, 25 è uguale a 9 più 16) troviamo scritto che «Non è possi- bile dividere un cubo in due cubi, o un biquadrato in due biquadrati, né in gene- rale dividere alcun'altra potenza di grado superiore al secondo in due altre potenze dello stesso grado: della qual cosa ho sco- perto una dimostrazione mirabile, che non può essere contenuta nella ristrettez- za del margine.» La proposizione in que- stione è nota come ultimo teorema di Fermat, e sebbene i più acuti matematici degli ultimi trecento anni si siano impe- gnati nella ricerca di una sua dimostrazio- ne, questa non è stata ancora trovata. L'ul- timo teorema di Fermat rimane uno dei maggiori problemi irrisolti della matema- tica moderna. È plausibile che Fermat possedesse una «dimostrazione mirabile» del teorema? Si trattava certo di un matematico genia- le, che contribuì a fondare la geometria analitica (con Cartesio), il calcolo infini- tesimale (con Leibniz e Newton), il calcolo delle probabilità (con Pascal). Non era un matematico di professione ma un magi- strato di Tolosa, nella Francia meridiona- le. La sua intensa partecipazione alla vita intellettuale dell'epoca avvenne essen- zialmente mediante contatti tenuti per corrispondenza con i maggiori studiosi dell'epoca. È suggestivo pensare che questo magi- strato di una città di provincia abbia bef- fato per tre secoli i migliori matematici, ma sembra improbabile che Fermat pos- sedesse una dimostrazione del suo teore- ma. Tranne che per questa famosa nota in margine alle opere di Diofanto, non c'è alcun accenno negli scritti di Fermat alla dimostrazione del teorema. Altrove af- fermò che possedeva la dimostrazione del fatto che non esistevano soluzioni delle equazioni x 3 + y 3 = z 3 e x 4 + y 4 = z 4 . Se avesse potuto dimostrare il caso generale (che x , + y r, = z, non possiede soluzioni intere positive per n intero positivo mag- giore di 2), quasi certamente ne avrebbe fatta menzione. Sembra più probabile che Fermat, quando scrisse la nota, avesse un abbozzo di dimostrazione che poi si rivelò errata. Le sue note non furono scritte per la pubblicazione e può darsi che non gli sia mai occorso di tornare sulla vecchia osservazione e di cancellarla. Ovviamente è più suggestivo pensare che Fermat possedesse la dimostrazione, e la cosa non è impossibile. In ogni caso, il teorema ha svolto un ruolo molto impor- tante nella storia della teoria dei numeri. Alcune delle maggiori creazioni del pen- siero matematico sono nate in occasione di studi rivolti a questo teorema, e le tecniche sviluppate per dimostrarlo si sono rivelate utili per la soluzione di molti altri problemi. La storia dell'ultimo teorema di Fermat fornisce poi un'ottima illustrazione della vera natura della ricerca matematica. Ai matematici si chiede spesso come sia pos- sibile fare ricerca nel loro campo. Dubito che fisici, astronomi o biologi si sentano porre questa domanda, ma per quanto riguarda i matematici sembra che la loro disciplina sia spesso considerata arida e che il loro lavoro debba necessariamente consistere nella classificazione ordinata di fatti ben noti. Niente di più falso, natu- ralmente. In matematica, come in ogni altro campo di studi, vi sono moltissimi problemi irrisolti e spesso la difficoltà a cui si trovano di fronte i matematici è quella di trovare problemi a cui possano dare una soluzione, e non il contrario. t difficile in genere spiegare al profano la natura dei problemi da affrontare, dato che la formulazione di questioni matema- tiche interessanti richiede un bagaglio di conoscenze specializzate : il teorema di Fermat è in questo senso una rara ecce- zione. Dimostrazioni per regresso all'infinito Parte del fascino del teorema di Fermat è dovuto al fatto che la sua formulazione è estremamente semplice: è impossibile trovare dei numeri interi positivi x, y, z e n tali che, per n maggiore di 2, valga l'equa- zione x , + y n = zn . Chi non si occupa pro- fessionalmente di matematica affronta spesso il problema in un modo che può sembrare ragionevole: per tentativi. Si consideri per esempio il caso in cui n = 3; in esso si deve dimostrare che l'equazione x 3 y 3 = z > non possiede soluzioni. I cubi dei primi dieci interi positivi sono 1, 8, 27, 64, 125,216, 343,512,729 e 1000. Non è difficile convincersi che nessuno di questi numeri può essere espresso come somma Pierre de Fermat è considerato il padre della teoria dei numeri, quel ramo della matematica che studia le proprietà degli interi. Nato nel 1601 nei pressi di Tolosa, trascorse tutta la sua vita nel sud della Francia, lontano dai grandi centri culturali europei. Di professione era un giurista e non un matematico; nessuno dei suoi lav ori matematici venne pubblicato prima della sua morte. La sua attiva partecipazione alla vita matematica del tempo si basava su una fitta corrispondenza con al- tri studiosi. Fermat formulò numerosi stimolanti teoremi, alcuni dei quali vennero dimostrati solo molto tempo dopo la sua morte. Nel 1840 restava da dimostrare un solo teorema, per cui venne chiamato ultimo teorema di Fermai: non esistono soluzioni intere all'equazione x''+ y" = z" per n maggiore di 2. È questo uno dei più famosi problemi insoluti della matema- tica moderna. Il ritratto di Fermat, appartenente alla collezione dell'Académie des Sciences, Inscriptions et Belles Lettres di Tolosa, è riprodotto per gentile concessione di Robert Gillis. 42

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L'ultimo teorema di FermatDa 300 anni si cerca senza successo di dimostrare un teorema, che Fermatasserì di poter provare, secondo il quale non esiste potenza di gradosuperiore al secondo che sia somma di due altre potenze dello stesso grado

di Harold M. Edwards

p

ierre de Fermat, il matematico fran-cese del XVII secolo, è il padredella moderna teoria dei numeri,

quel settore della matematica che si occu-pa dello studio delle proprietà dei numeriinteri. Come molti studiosi del suo temposi dedicava alla lettura dei classici, e perquanto riguarda la teoria dei numeri tras-se ispirazione dalla lettura di Diofanto,matematico greco la cui Arithmetica erastata riscoperta verso la metà del XVIsecolo. Fermat segnò, in margine all'edi-zione di quest'opera di Diofanto in suopossesso, una serie di osservazioni chedopo la morte il figlio fece pubblicareinsieme al testo del matematico greco.Una di queste note è diventata una delleproposizioni più famose nella storia dellamatematica.

Subito dopo un problema che chiede ditrovare quadrati che siano somma di duealtri quadrati (per esempio, 25 è uguale a 9più 16) troviamo scritto che «Non è possi-bile dividere un cubo in due cubi, o unbiquadrato in due biquadrati, né in gene-rale dividere alcun'altra potenza di gradosuperiore al secondo in due altre potenzedello stesso grado: della qual cosa ho sco-perto una dimostrazione mirabile, chenon può essere contenuta nella ristrettez-za del margine.» La proposizione in que-stione è nota come ultimo teorema diFermat, e sebbene i più acuti matematicidegli ultimi trecento anni si siano impe-gnati nella ricerca di una sua dimostrazio-ne, questa non è stata ancora trovata. L'ul-timo teorema di Fermat rimane uno deimaggiori problemi irrisolti della matema-tica moderna.

È plausibile che Fermat possedesse una«dimostrazione mirabile» del teorema?Si trattava certo di un matematico genia-le, che contribuì a fondare la geometriaanalitica (con Cartesio), il calcolo infini-tesimale (con Leibniz e Newton), il calcolodelle probabilità (con Pascal). Non era unmatematico di professione ma un magi-strato di Tolosa, nella Francia meridiona-le. La sua intensa partecipazione alla vitaintellettuale dell'epoca avvenne essen-zialmente mediante contatti tenuti percorrispondenza con i maggiori studiosidell'epoca.

È suggestivo pensare che questo magi-strato di una città di provincia abbia bef-fato per tre secoli i migliori matematici,ma sembra improbabile che Fermat pos-sedesse una dimostrazione del suo teore-ma. Tranne che per questa famosa nota inmargine alle opere di Diofanto, non c'èalcun accenno negli scritti di Fermat alladimostrazione del teorema. Altrove af-fermò che possedeva la dimostrazione delfatto che non esistevano soluzioni delleequazioni x 3 + y 3 = z 3 e x 4 + y 4 = z 4 . Seavesse potuto dimostrare il caso generale(che x , + y r, = z, non possiede soluzioniintere positive per n intero positivo mag-giore di 2), quasi certamente ne avrebbefatta menzione. Sembra più probabile cheFermat, quando scrisse la nota, avesse unabbozzo di dimostrazione che poi si rivelòerrata. Le sue note non furono scritte perla pubblicazione e può darsi che non glisia mai occorso di tornare sulla vecchiaosservazione e di cancellarla.

Ovviamente è più suggestivo pensareche Fermat possedesse la dimostrazione, ela cosa non è impossibile. In ogni caso, ilteorema ha svolto un ruolo molto impor-tante nella storia della teoria dei numeri.Alcune delle maggiori creazioni del pen-siero matematico sono nate in occasionedi studi rivolti a questo teorema, e letecniche sviluppate per dimostrarlo sisono rivelate utili per la soluzione di moltialtri problemi.

La storia dell'ultimo teorema di Fermatfornisce poi un'ottima illustrazione dellavera natura della ricerca matematica. Aimatematici si chiede spesso come sia pos-sibile fare ricerca nel loro campo. Dubito

che fisici, astronomi o biologi si sentanoporre questa domanda, ma per quantoriguarda i matematici sembra che la lorodisciplina sia spesso considerata arida eche il loro lavoro debba necessariamenteconsistere nella classificazione ordinatadi fatti ben noti. Niente di più falso, natu-ralmente. In matematica, come in ognialtro campo di studi, vi sono moltissimiproblemi irrisolti e spesso la difficoltà acui si trovano di fronte i matematici èquella di trovare problemi a cui possanodare una soluzione, e non il contrario. tdifficile in genere spiegare al profano lanatura dei problemi da affrontare, datoche la formulazione di questioni matema-tiche interessanti richiede un bagaglio diconoscenze specializzate : il teorema diFermat è in questo senso una rara ecce-zione.

Dimostrazioni per regresso all'infinito

Parte del fascino del teorema di Fermatè dovuto al fatto che la sua formulazione èestremamente semplice: è impossibiletrovare dei numeri interi positivi x, y, z e ntali che, per n maggiore di 2, valga l'equa-zione x , + yn = zn . Chi non si occupa pro-fessionalmente di matematica affrontaspesso il problema in un modo che puòsembrare ragionevole: per tentativi. Siconsideri per esempio il caso in cui n = 3;in esso si deve dimostrare che l'equazionex 3 y 3 = z > non possiede soluzioni. I cubidei primi dieci interi positivi sono 1, 8, 27,64, 125,216, 343,512,729 e 1000. Non èdifficile convincersi che nessuno di questinumeri può essere espresso come somma

Pierre de Fermat è considerato il padre della teoria dei numeri, quel ramo della matematica chestudia le proprietà degli interi. Nato nel 1601 nei pressi di Tolosa, trascorse tutta la sua vita nel suddella Francia, lontano dai grandi centri culturali europei. Di professione era un giurista e non unmatematico; nessuno dei suoi lav ori matematici venne pubblicato prima della sua morte. La suaattiva partecipazione alla vita matematica del tempo si basava su una fitta corrispondenza con al-tri studiosi. Fermat formulò numerosi stimolanti teoremi, alcuni dei quali vennero dimostratisolo molto tempo dopo la sua morte. Nel 1840 restava da dimostrare un solo teorema, percui venne chiamato ultimo teorema di Fermai: non esistono soluzioni intere all'equazionex''+ y" = z" per n maggiore di 2. È questo uno dei più famosi problemi insoluti della matema-tica moderna. Il ritratto di Fermat, appartenente alla collezione dell'Académie des Sciences,Inscriptions et Belles Lettres di Tolosa, è riprodotto per gentile concessione di Robert Gillis.

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Una tavoletta d'argilla babilonese con caratteri cuneiformi, risalente al1500 a.C. circa, è il più antico documento di teoria dei numeri. Vi sonoindicate (in una forma leggermente modificata) diverse classi di ternepitagoriche, ossia di interi positivi diversi fra loro, tali che x 2 + y 2 = z2,quali per esempio, 4 961, 6 480, 8 161. Fermat formulò il suo ultimoteorema mentre stava considerando un problema sulle terne pitagori-che. Ogni terna costituisce una dimostrazione della falsità del teoremaquando l'esponente n sia 2. Le terne pitagoriche derivano il loro nome

dal teorema di Pitagora, per il quale il quadrato dell'ipotenusa di untriangolo rettangolo è uguale alla somma dei quadrati dei due cateti.Non è facile trovare per tentativi tali terne, specialmente per numerielevati; è quindi verosimile che i babilonesi disponessero di un metodoper trovarle. È probabile che il loro interesse per queste terne fosseconnesso alle applicazioni geometriche, e che quindi conoscessero ilteorema mille anni prima di Pitagora. La tavoletta fa parte della col-lezione Plimpton nella Butler Library della Colombia University.

DIOPHA.NTIALEXANDRINI

ARITHMETICORVMLIBRI SEX ,

ET DE NVMERIS MVLTANGVLISLIBER VNVS.

CJ"M CO 11/1 E.:ACT ilk_115 C. (7. 3 "1C 11E7- I Y. C.&obféruationibusD.P. de FERMAT Senatorir Tolofan i .

Acceflit Doarinx Knalyticx i nueriturn nouum,colleftumcx varijs ciurdem D. de FERMAT Epiftolis.

T OLOSExcudebat BERNARDVS BOSC , è Regione Collegij Socieratis kr%

M. D C. L X X.

L'ultimo teorema di Fermai fu scritto sul margine di un'opera di teoria dei numeri dell'anticomatematico greco Diofanto. Ferrnat studiò molto intensamente quel testo, apponendo molte no-te sul margine della propria copia, una traduzione latina doluta a C. G. Bachet. Dopo la mortedi Fermat, avvenuta nel 1665, il figlio fece pubblicare una nuova edizione della traduzione delBachet, con in appendice le chiose del padre. Nell'illustrazione è riprodotto il frontespizio delvolume. In latino, esso annuncia Sei libri di aritmetica e un libro sui numeri poligonali diDiofanto di Alessandria, «con note dell'insigne gentiluomo C. G. Bachet e osservazioni deldottor P. de Fermai, Senatore di Tolosa» e «una nuova scoperta nel campo dell'Analisi, trattadall'epistolario dello stesso dottor de Fermat». Nella storica annotazione dedicata alle ternepitagoriche, Fermat scrisse: «Non è invece possibile dividere... alcun'altra potenza di grado su-periore al secondo in due altre potenze dello stesso grado: della qual cosa ho scoperto una di-mostrazione veramente mirabile, che non può essere contenuta nella ristrettezza di un margine».

di due altri cubi. Per esempio, se 512 fosseuguale alla somma di due altri cubi, questidovrebbero essere minori di 512 e prece-derlo nella lista dei cubi. I cubi 216 e 343sono dei buoni candidati, ma la lorosomma, 519, è troppo grande. La sommadi due cubi che viene prima, 216 più 216,dà 432 e non 512.

È facile verificare con questa procedu-ra che un cubo dato qualsiasi non èesprimibile come somma di due cubi. Icalcoli si possono effettuare rapidamentecon un calcolatore e si può verificare inbreve tempo che nessun cubo esprimibilecon meno di dieci cifre, per esempio, puòottenersi come somma di due altri cubi.C'è tuttavia un numero infinito di cubi dacontrollare e quindi anche il più velocedei calcolatori non potrebbe risolvere ilproblema.

Quando un non matematico abbia con-statato che non è possibile dimostrare pertentativi l'impossibilità di x 3 + y 3 =potrebbe cadere nell'estremo opposto, edomandarsi se possa mai dimostrarsi

un'asserzione di quel tipo. La risposta èche essa può essere dimostrata con unragionamento per assurdo: si assume l'e-sistenza di una soluzione dell'equazionee da tale assunzione si deduce un enun-ciato che si sa essere falso. Il fatto digiungere a un enunciato falso, o a unacontraddizione, sta a indicare che l'as-sunzione di partenza era falsa e, quindi,che non esiste alcuna soluzione.

In particolare, quando si abbia a chefare con enunciati che, come l'ultimo teo-rema di Fermat, riguardano gli interi posi-tivi, la dimostrazione per assurdo prendespesso la forma di una dimostrazione perregresso all'infinito. Fermat asserì di es-sere l'inventore di questo metodo, e af-fermò pure che quel metodo era alla basedi tutte le sue dimostrazioni nell'ambitodella teoria dei numeri. In una dimostra-zione per regresso all'infinito si mostracome, a partire da un intero positivo chevenga dato quale soluzione dell'equazio-ne sotto esame, sia possibile ottenere,sempre tra gli interi positivi, una soluzio-

ne minore. Lo stesso argomento puòquindi essere utilizzato per giungere a unasoluzione ancora minore e la procedurapuò essere ripetuta indefinitamente. Poi-ché d'altra parte le soluzioni sono interipositivi, è evidentemente impossibile tro-vare un numero infinito di soluzioni, cia-scuna più piccola della precedente. Nonesiste dunque alcuna soluzione.

I primi risultati

In tutti gli scritti di Fermat rimastici,riguardanti la teoria dei numeri, c'è un'u-nica dimostrazione, trovata anch'essa inuna nota a margine alle opere di Diofan-to. Essa concerne i triangoli pitagorici,triangoli rettangoli con cateti di lunghez-za intera. (Il nome è dovuto alla loro rela-zione con il teorema di Pitagora, secon-do il quale i cateti x ey e l'ipotenusa zsono fra loro correlati dall'equazionex 2 + y 2 = Z 2 ). Fermat dimostrò che l'areadi un siffatto triangolo non può essere unquadrato: se x, y e z sono interi positivi e

x2 +y2 = -2,z allora (1/2)xy non è il-qua-drato di un intero.

Fermat usò il metodo del regresso al-l'infinito. Nella fattispecie, fornì un me-todo esplicito in virtù del quale, dati gliinteri positivi x, y, z e u, tali da soddisfarele equazioni x 2 +y 2 = z 2 e (1/2)xy = u2,fosse possibile ottenere un altro insiemedi interi positivi X, Y, Z e U tali cheX2 + Y2 = Z 2 e (1/2) XY = U 2 , tale inol-tre, che il triangolo di lati X, Y e Z, ver-rebbe a essere più piccolo del triangolo dilati x, y e z, nel senso che l'ipotenusa Zsarebbe minore dell'ipotenusa z. La pro-cedura utilizzata da Fermat per ottenereX, YeZ è alquanto sofisticata e richiede-rebbe una lunga spiegazione. Tuttavia, ilfatto che una tale procedura esista. mo-stra l'impossibilità di trovare delle so-luzioni intere e positive alle equazionix 2 + y 2 = z 2 e (1/2)xy = u 2 , dato che unaparticolare soluzione x, y, z e u portereb-be a una soluzione minore X, Y, ZeUequesta a un'altra ancora minore X', Y', Z'e U', e via di seguito. Ciò comporterebbel'esistenza di un'infinità di interi positividecrescenti z > Z > Z'>... (Il simbolo« > » sta per «maggiore di»).

È degno di nota, e verosimilmente nonaccidentale, che questo risultato, ossiache l'area di un triangolo pitagorico nonpossa essere un quadrato, implichi chex4+ y4= z4 non ha soluzioni, o che l'ulti-mo teorema di Fermat è vero nel caso incui n = 4. A connettere le due proposi-zioni è sdfficiente un semplice ma inge-gnoso accorgimento: assumiamo che perdegli opportuni interi positivi x, y e z siabbia x 4 + y 4 = z 4 ; sia ora a uguale a y 4 , buguale a 2x 2 z 2 , c uguale a z 4 + x 4 e d ay 2 xz. Allora l'elementare identità alge-brica (r + s) 2 = r 2 + 2rs + s 2 implica chea 2 + 1) 2 è uguale a (z4— x4)2+ 4x4z4,ossia z 8 — 2x 4 z 4 + x 8 + 4x 4z 4, ossia (z4++x4) 2 , che equivale a c 2 . Inoltre, (1/2ab èuguale a (1/2 )y 42x 2z 2 , ossia (y 2xz ) 2 . cheequivale a d 2 . Allora si ha a 2 + b 2 = c 2 e(1/2) ab = d 2 , il che Fermat aveva dimo-strato impossibile. Dunque l'assunzionedi partenza, che x 4 + y 4 = z4 abbia unasoluzione, deve essere sbagliata, e l'ulti-mo teorema di Fermat è dimostrato nelcaso in cui n sia uguale a 4. In sintesi,Fermat stesso dimostrò il suo ultimo teo-rema per il caso delle quarte potenze.

La dimostrazione comporta inoltre lavalidità dell'ultimo teorema di Fermatanche per n multiplo di 4, dato che, se n èuguale a 4k, per qualche intero positivo k,x n + = z implica (x k )4 + (y k )4= (zk)4,il che è impossibile: una quarta potenzanon può essere la somma di due quartepotenze. Allo stesso modo, se si riesce adimostrare il teorema per un dato espo-nente m, allora esso vale per tutti i multi-pli di m. Poiché ogni intero positivomaggiore di 2 è divisibile o per un nume-ro primo dispari (ovvero diverso da 2), oper 4, sarà allora sufficiente dimostrare ilteorema per tutti quei casi in cui l'espo-nente sia un numero primo dispari.

Fermat riteneva di disporre della di-mostrazione del teorema per il caso nuguale a 3, ma nessuna dimostrazionedell'impossibilità di ottenere una soluzio-

ne di x 3 + y 3 = Z 3 fu pubblicata nei succes-sivi 100 anni. La dimostrazione, dovuta almatematico svizzero Leonhard Euler,presenta tuttavia una grave pecca.

La dimostrazione di Euler

Euler dimostrò il caso n = 3 per regres-so all'infinito, approntando una procedu-

ra grazie alla quale, a partire da una solu-zione data x, y e z dell'equazionex 3 + y 3 = z 3 , è possibile ricavare una nuo-va soluzione X, Y e Z, in cui Z è minore diz. Il metodo è eccessivamente lungo perpoter essere qui spiegato in dettaglio, ma,nelle linee generali, consiste nell'esecu-zione di una serie di calcoli connessi adalcune proprietà di x, y e z. Euler ridusse il

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Leonhard Euler (qui ritratto in un dipinto del 1745) dimostrò il teorema di Fermat per il primoesponente dispari, n uguale a 3. Prima della dimostrazione di Euler il teorema era stato provato(come corollario di lavori dello stesso Fermat) per un unico caso: n uguale a 4. Non è difficilemostrare che se il teorema vale per n uguale a qualche intero r, allora vale anche quando n è unqualsiasi multiplo dir. Poiché ogni intero è divisibile per 4 o per un numero primo dispari, resta dadimostrare il teorema per il solo caso in cui n sia un numero primo dispari. Il primo risultato inquesta direzione fu quello di Euler, ma per quanto la sua dimostrazione fosse ingegnosa, avevauna grossa pecca. Questa potè essere facilmente corretta nel caso n = 3, ma successivamentetornò a essere fonte di problemi per tentativi di soluzione dell'ultimo teorema di Fermat.

problema di ottenere una soluzione mi-nore a quello di dimostrare la seguenteasserzione: Se p e q sono due interi primifra loro (se cioè non hanno fattori, o divi-sori, comuni che siano maggiori di 1) ep 2 + 3q 2 è un cubo, allora esistono degliinteri a e b, tali che p è uguale a a 3 9ab 2 eq è uguale a 3a 2b — 3b. L'asserzione èvera, e può venire dimostrata sfruttandodelle semplici modificazioni del metodo,utilizzate altrove dallo stesso Euler Inquesto caso, tuttavia, Euler preferì utiliz-zare un nuovo tipo di argomentazione,che comportava l'introduzione di numeridella forma a + b V —3, con a e h interi.

Per comprendere l'interesse di Eulerper i numeri a + b V — 3, espandiamol'espressione (a + b V —3)3 . Otteniamo u-guale a a 3 +3a 2b —9ab2-3b3 ossia (a 3 — 9ab 2 ) + (3a 2b — 36 3 ) V — 3,ossia p + q V — 3, dove p e q sonodefiniti proprio come nella conclusione

dell'enunciato. In altri termini la con-clusione dell'enunciato stabilisce che(a +b V — 3) 3 = p +q V — 3. Ora, nel-l'enunciato si assume che p + 3q 2 sia uncubo; se riscriviamo p + 4 2 come(p + q V — 3) (p — q V — 3), l'asser-zione può essere così riformulata: Se(p +q V — 3) (p —q V — 3) è un cubo,allora anche p + q V — 3 deve essere uncubo, vale a dire, deve essere della forma(a + b V — 3)3 per opportuni a e b.Come si vede, l'introduzione dei numeria + b V — 3 rende possibile riformularel'asserzione in un modo più semplice enaturale.

I numeri a + b V — 3 formano un si-stema numerico molto simile a quellodegli interi. In entrambi i casi sommando,sottraendo o moltiplicando due numeridel sistema, si ottiene ancora un numero'del sistema, mentre ciò di norma non av-viene quando un numero venga diviso per

un altro. Per esempio, nel sistema degliinteri, 4 non divide 5 (ossia nessun intero,moltiplicato per 4 dà 5) e, analogamente,dati due numeri della forma a + b V — 3,non è solitamente possibile trovare unterzo numero di tale forma, che sia il loroquoziente. Le somiglianze tra i due siste-mi spinsero Euler a fare un altro passo,scorretto, nella sua dimostrazione. Egliapplicò ai numeri a + b V — 3 una notaproprietà degli interi.

La proprietà che serviva a Euler deri-vava dall'unicità della scomposizione infattori primi degli interi. Un intero positi-vo può essere scritto come il prodotto difattori primi in un unico modo. Così, 124è uguale a 2 x 2 x 31, e nessun altronumero primo diverso da 2 e da 31 èdivisore di 124. L'unicità della scomposi-zione implica la seguente proprietà: ilprodotto di interi positivi primi fra loropuò essere un cubo solo se ciascun interoè un cubo. Assumiamo, per esempio, chec e d siano primi fra loro e che c sia ugualea 1000, o 10 3 . Esprimiamo ciò come pro-dotto di fattori primi: 1000 è uguale a2 3 x 5 3 . La scomposizione di 1000 èottenuta suddividendo i fattori in duesottoinsiemi, per esempio (2 x 2 x 5)(2 x 5 x 5), o 20 x 50. Se la suddivisio-ne deve essere tale che i due sottoinsiemisiano primi fra loro allora tutti i 2 devonostare in un sottoinsieme, e tutti i 5 nell'al-tro. Dunque gli unici valori ammissibiliper i fattori c e d sono 2 3 , 5 3 e 1, e tuttisono cubi. Del pari, il prodotto di dueinteri positivi primi fra loro può essereun'n -esima potenza, solo se ciascun inte-ro è un'n -esima potenza.

Euler assunse che questa proprietàdegli interi valesse anche per i numeria+bV— 3 e dimostrò l'asserzione inbase al seguente ragionamento. L'asser-zione stabilisce che se p e q sono re-lativamente primi e (p + q V — 3)(p — q V — 3 ) è un cubo, allora anche(o + q V — 3) è un cubo. Euler dapprimamostrò che se p e q sono relativamenteprimi, allora anche (p + q V — 3) e(p — q V — 3) sono relativamente primi.Per estensione della proprietà degli interi,il prodotto di due numeri relativamenteprimi della forma a + b V — 3 può essereun cubo solo se sono cubi i numeri stessi.Quindi l'assunzione che (p + q V — 3)(p — q V — 3) sia un cubo, implica chep+qV— 3 è un cubo, col che l'asser-zione è dimostrata.

L'argomentazione condusse Euler allaconclusione desiderata. Il problema è cheil ragionamento per analogia con l'arit-metica degli interi non costituisce un'ar-gomentazione valida. Le argomentazionianalogiche sono molto suggestive e la sto-ria della matematica mostra che possonoessere fonte di idee utili, ma non possonoessere considerate dimostrazione di al-cunché. È particolarmente sorprendenteche Euler non sia stato più circospetto nelsuo uso dell'analogia, visto che, se pure inumeri a + b V — 3 hanno molte pro-prietà comuni agli interi, ve ne sono pa-recchie rispetto alle quali i due sisteminumerici differiscono. Per esempio, gliinteri dispongono di un ordinamento na-

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turale,... —2, —1, 0, 1, 2..., non così i nu-meri a + b V — 3. L'unico modo per es-sere sicuri che i numeri a + b V — 3 con-dividano con gli interi la proprietà, che ilprodotto di due numeri relativamenteprimi è un cubo solo se sono cubi i nume-ri, è di dimostrarlo.

Il vizio della dimostrazione di Euler

Peraltro, anche i migliori matematicisoccombono di tanto in tanto alla tenta-zione delle dimostrazioni per analogia;spesso derogano dal rigore necessarioperché sanno che la conclusione cuitendono è corretta. La tentazione si faparticolarmente forte quando l'argo-mentazione ha la seducente semplicitàdi quella di Euler. É anche possibileche Euler non si sia preoccupato di es-sere più rigoroso, dal momento che eracerto della correttezza della conclusionep + q V — 3 = (a + b — 3) 3 grazie aun diverso ordine di considerazioni. Mol-to prima di pubblicare la sua dimostrazio-ne per il caso n = 3 dell'ultimo teorema diFermat, Euler aveva lavorato attorno aun'altra asserzione indimostrata di Fer-mat, che riguarda la rappresentabilità deinumeri nella forma x 2 + 3y 2 . In particola-re, dimostrò l'asserzione di Fermat cheogni numero primo p che sia l'immediatosuccessore di un multiplo di 3 (vale a direp uguale a 3n + 1) dispone di un'unicarappresentazione come somma di unquadrato e del triplo di un quadrato (puguale a x 2 + 3y 2 ); per esempio 7 è ugua-le a2 x 3 +lea 2 2 + 3 x 1 2 . Le tecnichesviluppate da Euler per dimostrare que-sto teorema possono essere facilmenteadattate per provare il caso per n = 3 del-l'ultimo teorema di Fermat. É possibileche Euler abbia ottenuto l'enunciato conle tecniche già sperimentate, e che poinon abbia sottoposto a un esame suffi-cientemente attento la più insolita dimo-strazione.

Nella dimostrazione citata, Euler fuestremamente cauto nell'usare argomen-tazioni che potessero essere dubbie. Peresempio, un passo intermedio della dimo-strazione richiede che se a eh sono interiprimi fra loro, allora ogni fattore primodispari di a 2 + 3b 2 può essere espressonella forma c 2 + 3d 2 . In questo frangenteEuler non aveva la pericolosa sicurezzache l'enunciato da provare fosse corretto,e la sua dimostrazione è un modello dichiarezza e rigore. É peraltro curioso chel'esperienza di questa dimostrazione nonl'abbia insospettito circa l'affidabilità delsuo successivo argomento. L'argomentoanalogico può essere utilizzato per dimo-strare che ogni fattore primo dispari dia 2 + 36 2 è della forma c 2 + 3d 2 , ma puòessere anche usato per provare che ognifattore primo dispari di a 2 + 56 2 è dellaforma c 2 + 56 2 , il che è falso (si noti che4 2 + 5 x 1 2 è uguale a 21, e che nessunodei fattori di 21, cioè 3 e 7, può esserescritto come somma di un quadrato e delquintuplo di un quadrato). Considerazio-ni simili possono aver indotto Euler alrigore che caratterizza la prima dimostra-zione. Ma a esse evidentemente non ha

più pensato quando, svariati anni dopo, èritornato sull'argomento.

L'incidente occorso a Euler è stretta-mente connesso alla sua grande statura dimatematico, dotato di un'immaginazionee di un'inventiva straordinarie. La suacapacità di scorgere nuove connessioni eformulare problemi in modo originale eilluminante, fece della sua opera una fon-te di ispirazione cui attinsero generazionidi matematici. La sua scomposizione infattori primi dei numeri a + b V — 3 inanalogia alla scomposizione degli interi,costituisce una grossa ingenuità. Ma ineffetti, sebbene l'applicazione che eglifece dell'idea nella sua dimostrazione delcaso n = 3 dell'ultimo teorema di Fermatfosse prematura, gli eventi successivi pro-varono che l'idea era buona. Infatti, lapecca dell'argomento di Euler - il fattoche una proprietà derivata dall'unicità discomposizione degli interi non necessa-riamente vale per sistemi numerici cheper altri versi assomigliano a quello degliinteri - sarebbe tornata ad avere un postocentrale nell'ambito di più sofisticateindagini sul teorema.

Altri due casi

La dimostrazione di Euler necessita dialcune modifiche, ma nella sostanza sta-bilisce l'ultimo teorema di Fermat per ilcaso n = 3. Nel 1820 Gustav LejeuneDirichlet e Adrien-Marie Legendre,dimostrarono il teorema per il successivonumero primo, 5. Il metodo utilizzato erafondamentalmente un'estensione di quel-lo di Euler per n = 3, e l'analogo dellacruciale equazione p + q V — 3 == (a + b — 3) 3 era dato dall'equazionep + q V 5 = (a + b V'). (Al cresceredi n le equazioni di questo tipo diventa-no molto più complesse e il metodo non èpiù utilizzabile). Quando n sia 5, per pro-vare che p + q \TS è una quinta potenza,è necessario assumere non solo chep 2- 5q 2 è una quinta potenza e che p e qsono primi fra loro, come nel caso n = 3,ma altresì che abbiano parità opposta(ossia che uno sia dispari e l'altro pari) eche q sia divisibile per 5. La dimostrazio-ne di Dirichlet si fondava su uno studioestremamente rigoroso dei numeri dellaforma x— 5y 2 . Ricalcata su di un'altraopera di Euler, che includeva anche unprofondo studio dei numeri x 2 + 3y 2 , esu opere di Lagrange e Carl FriedrichGauss, non era in alcun modo compro-messa con l'analogia della scomposizionein fattori per gli interi.

Passarono circa 15 anni prima cheGabriel Lamé dimostrasse l'ultimo teo-rema di Fermat anche per il successivonumero primo, 7. Questo fu un grossorisultato, ma non lasciava presagire nulladi buono per il futuro, dato che la dimo-strazione era lunga, difficile e intima-mente legata al numero 7. C'erano benpoche speranze che essa potesse essereestesa al caso successivo, n = 11 o a qual-siasi altro caso. Sembrò allora che non sisarebbe compiuto alcun progresso so-stanziale nello studio dell'ultimo teoremadi Fermat, se non si fosse trovato un

modo nuovo di affrontare il problema.Lamé stesso propose una nuova via nel

1847. Egli cercò di provare il teoremagenerale introducendo una n-esima radi-ce complessa dell'unità: un numero com-plesso a tale che a" sia uguale a 1, mentrea k sia diverso da 1, per ogni k minore din. L'idea non era nuova. Nel secolo pre-cedente, Lagrange aveva notato che in-troducendo a nello studio dell'ultimoteorema di Fermat, si rende possibile lascomposizione di x" + y" = z" in n fatto-ri, ognuno contenente x e y alla primapotenza. (Normalmente è più agevolelavorare con variabili di grado inferiore).

Per ottenere la scomposizione osser-viamo che 1, a , a 2 ...a n- 1 sono le radici, osoluzioni, dell'equazione X' = 1, sicchèper il teorema fondamentale dell'algebra,X" — l = (X — 1) (X —a) (X —a2)...(X —a"-1). Poniamo ora X uguale a — xly emoltiplichiamo entrambi i lati dell'equa-zione per y" . Poiché stiamo considerandosolo casi in cui n sia dispari, l'equazionerisultante è x" + y" = (x + y) (x +ay )(x +a 2y )... (x+an-iy).

Gli interi ciclotomici

Ogni fattore di x" + y" è un numerodella forma ao+ a, a+ a2 a2 +a„-ia"-1, dovea 11 ... a„_ 1 sono interi. Numeri siffatti -numeri costituiti da interi e da potenze dia - sono noti come interi ciclotomici, datoche l'n -esima radice dell'unità è in strettarelazione con il problema di dividere unacirconferenza in n parti uguali. (Il numerocomplesso a può essere interpretato comeun punto sulla circonferenza con centronell'origine del piano complesso; l'arco dicerchio compreso tra 1eaè1n -esimodell'intera circonferenza) come i numeria + b V — 3, gli interi ciclotomici forma-no un sistema analogo a quello degli inte-ri, dato che sommando, sottraendo o mol-tiplicando due interi ciclotomici il risulta-to è ancora un intero ciclotomico, ma noncosì per la divisione.

L'elaborazione fatta da Lamé dell'a-ritmetica degli interi ciclotomici assomi-glia a quella sviluppata da Euler per inumeria + b V — 3, ma potrebbe esserneanche indipendente. Data la scomposi-zione di _v" + y" negli interi ciclotomici,Lamé propose di sfruttare il «fatto» che ilprodotto di due numeri primi fra loro (pernumeri intendiamo qui gli interi cicloto-miei) può essere una potenza n-esima solose ciascun numero è una potenza n -esima.Giunto a questo punto, Lamé tracciavauna strada abbastanza lineare che consen-tiva di giungere al completamento delladimostrazione dell'impossibilità dix "+ y"= z'! Il problema eche una proprie-tà, derivante dall'unicità della scomposi-zione in fattori degli interi, non è automa-ticamente applicabile agli interi cicloto-miei più di quanto non lo sia ai numeria + b V — 3. Infatti, sebbene l'applica-zione sia valida nel caso dei numeria + b V — 3 (ma per ragioni tutt'altro cheovvie), non vale in generale per gli intericiclotomici, o meglio, vale solo per valoripiccoli di n, quando n sia un primo dispa-ri e a una radice n -esima dell'unità.

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Ernst Eduard Kummer contribuì più di ogni altro al progresso degli studi sull'ultimo teorema diFermat. Nel 1847 il matematico tedesco scoprì, la% orando sul sistema dei numeri interi ciclotomi-ci, una condizione sufficiente perché un numero primo p sia un esponente per cui vale l'ultimoteorema di Fermat. In altri termini, se un primo p soddisfa la condizione di Kummer, alloral'equazione x P +y P =z » non ha soluzioni. Oggi i numeri primi che soddisfano tale condizionesono detti regolari. Quando vennero scoperti i numeri primi regolari, l'ultimo teorema di Fermatera stato verificato solo per n uguale a 3, 4, 5 e 7, ma Kummer riuscì a provarlo per tutti i primiminori di 100 (all'infuori di 37, 59 e 67). In seguito sono state scoperte condizioni sufficienti moltopiù inclusive. Tutti i numeri primi attualmente calcolabili, anche con i più potenti calcolatorielettronici, verificano l'ultimo teorema di Fermat. Il teorema, peraltro, non è stato dimostra-to. Anzi, non si è nemmeno riusciti a mostrare che valga per un numero infinito di primi.

Lo sfortunato Lamé fu così trascinatodal suo ottimismo da annunciare, in unariunione dell'Accademia delle Scienze diFrancia, di avere dimostrato l'ultimo teo-rema di Fermat. Non appena però ebbepresentato un abbozzo della sua dimo-strazione, Joseph Liouville contestò

prontamente l'utilizzazione nell'aritme-tica degli interi ciclotomici di proprietàdegli interi ordinari. Non è chiaro seLiouville fosse a conoscenza dell'analogoerrore di Euler. È comunque degna dinota la tempestività con cui individuò ilpunto debole dell'argomentazione di

Lamé. In effetti vi erano anche altre lacu-ne, ma l'entusiasmo di Lamé era tale dafargli sottovalutare le difficoltà. Sicchè ilmetodo risultò inapplicabile anche perquei particolari valori di n per i qualivaleva l'assunzione principale, ossia pern uguale a 3, 5, 7, 11, 13, 17 e 19.

Naturalmente Lamé rimase moltoimbarazzato per la banalità del suo erro-re, tanto più che l'aveva fatto pubblicarenegli atti dell'Accademia di Francia, eche l'avrebbe notato l'intero mondo ma-tematico. «Se solo tu fossi stato a Parigi,o io a Berlino - scrisse all'amico Dirichlet- tutto ciò non sarebbe successo». In real-tà, sarebbe bastato che Lamé avesse con-sultato gli atti dell'Accademia delleScienze di Berlino, tra i quali era apparsopochi mesi prima l'annuncio di una nuo-va e importante teoria sull'aritmeticadegli interi ciclotomici.

Il contributo di Kummer

L'autore della nuova teoria era ErnestEduard Kummer. Alcuni anni primaKummer aveva compreso che per pro-blemi di teoria dei numeri, simili all'ul-timo teorema di Fermat, la proprietà de-gli interi ordinari di maggior interesse èl'unicità della scomposizione in fattoriprimi. Di conseguenza, aveva cercato didimostrare tale proprietà per gli intericiclotomici. Dimostrò invece che la uni-cità della scomposizione di norma nonvale. (Egli rese nota tale scoperta nel1844, ma in uno scritto piuttosto oscuro).Nel proseguire i propri studi sugli intericiclotomici, a Kummer divenne tuttaviachiaro che in realtà non era necessarial'assunzione di unicità della scomposi-zione nella sua generalità (impossibile,come abbiamo visto, per gli interi ciclo-tomici). Nella teoria del 1847 mostrò cheera possibile modificare il concetto diunicità della scomposizione, così da po-terlo usare per la dimostrazione di sottilie pregnanti proprietà degli interi ciclo-tomici.

La base della teoria di Kummer eracostituita dall'introduzione, nell'aritme-tica degli interi ciclotomici. di ciò che eglichiamò fattori ideali primi, per analogiacon l'introduzione, nell'aritmetica ordi-naria, del numero immaginario i, oV — 1. Non mi soffermerò sulle caratteri-stiche dei numeri ideali di Kummer, senon per dire che essi restituirono agli inte-ri ciclotomici e ad altri sistemi numerici,quale quello dei numeri a + b V — 3,importanti proprietà, derivabili dall'uni-cità della scomposizione in fattori primi enecessarie a dimostrare vari casi dell'ul-timo teorema di Fermat. La teoria diKummer è sicuramente uno dei massimirisultati cui è pervenuta la matematica delXIX secolo. Dopo una bizzarra evoluzio-ne terminfologica, i numeri ideali primi diKummer e alcune classi di numeri ad essicorrelate, sono oggi nuovamente chiama-ti ideali. La teoria degli ideali è attual-mente una particolare branca della mate-matica, a ulteriore testimonianza dellaprolificità delle idee di Kummer. La sua

opera illustra una strana proprietà dellaricerca matematica: è impossibile preve-dere quali linee di ricerca condurranno ascoperte utili. I suoi studi di teoria deinumeri, caratterizzati da un impegno teo-rico di tipo decisamente «puro», lo porta-rono a concetti di una versatilità e utilitàmatematiche generali.

In particolare, la teoria di Kummer haconsentito il massimo degli avanzamentimai avvenuti nello studio dell'ultimo teo-rema di Fermat. Solo pochi anni prima siera considerata clamorosa la dimostra-zione dei casi n 5 e n = 7; nel 1847Kummer era in grado di dimostrare ilteorema per tutti gli esponenti primi mi-nori di 37, e quindi per tutti gli esponentiminori di 37. Inoltre, poco mancò chedimostrasse il teorema per tutti gli espo-nenti primi minori di 100, rimanendoesclusi dal suo metodo solo 37, 59 e 67.

Anche se molti storici della matematicahanno detto che la teoria di Kummer fuun prodotto dei suoi lavori sull'ultimoteorema di Fermat, un attento esame del-la sua opera e del suo epistolario mostrache tale teorema costituì qualcosa di inci-dentale. Lo scopo preminente di Kummerera quello di trovare una soluzione a unaltro problema di teoria dei numeri: ilproblema della legge delle reciprocitàsuperiori posta da Gauss. Essa consistenella generalizzazione a potenze superio-ri della legge di reciprocità dei residuiquadratici, dimostrata da Gauss. In bre-ve, quest'ultima stabilisce che, se p e qsono interi primi dispari, allora c'è unarelazione molto semplice tra le risposte aiquesiti «E p uguale al quadrato di unintero, a meno di un multiplo di q?» e «È quguale al quadrato di un intero, a meno diun multiplo di p?». Nel 1847 il lavoro diKummer sulla legge delle reciprocità su-periori era ancora agli inizi, ma nel 1859dimostrò un teorema che può considerar-si il culmine della sua opera nel campodella teoria dei numeri. L'opinione tradi-zionale che Kummer fosse mosso dall'in-teresse per il teorema di Fermat, non èperò del tutto errata, dato che esso è instretta connessione con il problema dellereciprocità superiori. Gauss stesso, chepure negò sempre di nutrire il benchéminimo interesse per l'ultimo teorema diFermat in quanto tale, espresse l'opinioneche dai suoi risultati sulle leggi delle reci-procità superiori si sarebbe potuto, ungiorno, dedurre il teorema di Fermat.

Numeri primi regolari

La teoria di Kummer del 1847 era par-ticolarmente preziosa, in quanto fornivauna condizione sufficiente, affinché unnumero primo dispari p fosse un espo-nente per cui valesse l'ultimo teorema diFermat. In altre parole, se un numeroprimo dispari p soddisfa la condizione diKummer, allora x P + y P z P non ha solu-zioni. Secondo l'attuale terminologia, unnumero primo che soddisfa tale condi-zione è detto regolare. (Più precisamen-te, un numero primop è regolare se e solose non divide il numeratore di alcuno dei

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animali e macchine dell'aria

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primi p - 3 numeri della serie di frazioninote come «numeri di Bernoulli»). Seb-bene la regolarità sia una condizione suf-ficiente per la validità dell'ultimo teore-ma di Fermat, non è però una condizionenecessaria. Esistono numeri primi p chenon sono regolari, ma per i quali si èdi-mostrata la impossibilità di x P + y P = z.Tutti i primi minori di 100, eccettdati 37,59, 67, sono regolari.

Kummer saltò alla conclusione che l'in-sieme dei numeri primi regolari fosse in-finito, ma ben presto si accorse che nonavrebbe potuto dimostrarlo. Tant'è chenessun tentativo successivo ha condotto auna dimostrazione, per quanto sulla basedell'intuizione e dell'evidenza numerical'asserzione che esistono un'infinità dinumeri primi regolari sembri essere cor-retta, almeno per quanto può esserlo unenunciato non dimostrato. (Abbastanzastranamente, è stato dimostrato che esi-stono infiniti numeri primi non regolari.Circa il 60 per cento dei numeri primiattualmente computabili sono regolari, eci sono buone ragioni per credere che perla maggior parte i numeri primi sianoregolari. Quindi i numeri primi possonoessere divisi in due sottoinsiemi, i regolarie gli irregolari; l'insieme che ci si aspetta-va infinito, non si riesce a dimostrare tale,mentre si sa infinito il suo complemento).

Negli anni successivi Kummer deter-minò altre condizioni sufficienti per la

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validità dell'ultimo teorema di Fermat,coprendo così altri numeri primi, inclusigli irregolari 37, 59 e 67. Dall'epoca diKummer sono state scoperte condizionisufficienti ancora più inclusive, tra cuispicca quella formulata da H.S. Vandiverdell'Università del Texas. Anche per lepiù potenti, non si è però riusciti a dimo-strare l'applicabilità a un numero infinitodi esponenti primi. È dunque possibile,anche se poco verosimile, che l'ultimoteorema di Fermat sia vero solo per uninsieme finito di esponenti primi, e cheesista un numero M molto grande tale cheil teorema sia falso per tutti gli esponentiprimi maggiori di M.

D'altra parte, le condizioni sufficientiattualmente note sono così inclusive, dacoprire tutti i numeri primi che sianofinora stati esaminati. In altri termini, si èdimostrato che tutti i numeri primi at-tualmente computabili sono esponentiper i quali vale l'ultimo teorema di Fer-mat. Gli algoritmi per decidere se unnumero primo soddisfa le condizioni sonomolto semplici, e negli ultimi 25 anni sonostate condotte numerose ricerche con i piùpotenti elaboratori, in particolare da par-te di D. H. Lehmer dell'Università diCalifornia a Berkeley, di R. G. Selfridgedell'Università della Florida, di WellsJohnson del Bowdoin College e di SamuelS. Wagstaff, della Università dell'Illinois.Agli inizi degli anni settanta, dai calcolifatti da Johnson l'ultimo teorema di Fer-mat risultava valido per tutti gli esponentiprimi minori di 30 000. Più recentementeWagstaff, sfruttando tecniche molto sofi-sticate e un potente elaboratore installatopresso l' Università dell'Illinois, ha eleva-to il limite a oltre 125 000.

La situazione attuale

Questi calcoli mostrano dunque che uneventuale controesempio all'ultimo teo-rema di Fermat (ossia un insieme di interix, y, z e p tali che xP + yP = ZP ) dovrebbeconsistere di numeri tanto enormi da esse-re al di fuori di ogni possibilità di calcolomanuale e forse anche della portata deipiù potenti elaboratori elettronici. Se p èun numero primo oltre il limite di Wag-staff, diciamo attorno a 300 000, si puòmostrare che xP + yP = z P è impossibile, ameno che x, y oz non sia divisibilé per p.Sicché z" deve essere maggiore di300 000300 000, un numero di almeno unmilione di cifre. Altri risultati indicanoche un controesempio dovrebbe coinvol-gere numeri ancora più insoliti.

In un certo senso, allora, l'ultimo teo-rema di Fermat è empiricamente vero. Sex n + r = z" ha una soluzione, i numeriche in essa compaiono sono così inimma-ginabilmente grandi da non poter esseremanipolati da alcun essere umano. Da unpunto di vista filosofico e matematico, ledimensioni dei numeri non hanno peral-tro nulla a che fare con la validità delteorema. Quando un matematico dice cheun enunciato è vero per tutti i numeri, nonintende dire che è vero solo per tutti inumeri, che qualcuno abbia mai contati oche possa mai contare. Al contrario, poi-

ché l'ultimo teorema di Fermat non èstatodimostrato per un numero infinito diesponenti primi, si potrebbe dire che tuttoil lavoro svolto non costituisce nulla piùche la verifica del teorema per poche mi-gliaia di casi particolari, e che non vi èancora alcuna seria indicazione sulla veri-tà o meno del teorema.

Qual è allora lo stato attuale della ricer-ca sull'ultimo teorema di Fermat? Esso ècertamente uno dei più famosi problemimatematici oggi irrisolti, ma non è ogget-to di molti studi, principalmente perchénessuno sa come affrontarlo. ría resistitoalle potenti tecniche di Kummer e ai suc-cessivi raffinamenti, n è si è riusciti a di-mostrarlo per un numero infinito di espo-nenti primi. Se qualcuno avanzasse unconcetto che lasciasse intravedere la pos-sibilità di un reale miglioramento dellasituazione, ciò solleverebbe sicuramenteun grande interesse stimolando molti stu-di. Così come stanno le cose, tuttavia, lericerche languono.

Interesse del problema

Negli ultimi cento anni l'ultimo teore-ma di Fermat è stato uno degli argomentipreferiti dai matematici dilettanti, accan-to al problema della quadratura del cer-chio e alla trisezione dell'angolo con riga ecompasso. L'ultimo teorema di Fermatdifferisce dalla quadratura del cerchio edalla trisezione dell'angolo per il fatto chequesti si sanno essere impossibili, il checonsente di cestinare senza bisogno dicontrolli le pretese soluzioni. Una talesicurezza non esiste per il teorema di Fer-mat. Anzi, non è inverosimile che esistauna dimostrazione ragionevolmentesemplice del teorema che Fermat disse diaver scoperto. Tuttavia, è molto raro chedei dilettanti riescano a provare anche ilcaso n = 3 dell'ultimo teorema di Fermat(quello dimostrato due secoli fa da Euler)e tanto meno i casi per n uguale a 5,7 e 11,più difficili ma altrettanto conosciuti.

Forse l'insistenza dei dilettanti, i qualipensano che i risultati matematici stianolì, giusto in attesa di essere notati, è dovutaa una vasta incomprensione di ciò chefanno i matematici. In questo articolo hocercato di mostrare come la matematicanon sia qualcosa di definitivamente bensquadrato, ma che, al contrario, i matema-tici sono sempre immersi in un mare diquestioni irrisolte. E, in effetti, le indagi-ni matematiche hanno spesso esiti tantoinaspettati da condurre il ricercatore adare delle risposte a quesiti molto lontanida quelli da cui aveva preso le mosse.Inoltre, come insegna la storia dell'ultimoteorema di Fermat, anche i grandi mate-matici possono sbagliarsi. L'ultimo teo-rema di Fermat resta un affascinante pro-blema e, sebbene la sua importanza siadovuta più che altro a un'accidentalitàstorica, continuerà ad attrarre l'attenzio-ne dei matematici fino alla sua risoluzio-ne. Ci sono tutti i presupposti per credereche in futuro, così come è avvenuto inpassato, il tentativo di stabilire l'ultimoteorema di Fermat porterà a nuove con-quiste matematiche.

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