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LUISSEPULVEDA

STORIADIUNALUMACACHESCOPRI'L'IMPORTANZADELLALENTEZZA

Titolooriginale:Historiadeuncaracolquedescubriólaimportanciadelalentitud

Incopertina:illustrazionediSimonaMulazzani

GraficadiGuidoScarabottolo

ISBN978-88-235-0771-5

©LuisSepúlveda2013

©2013UgoGuandaEditoreS.r.l.,VialeSolferino28,Parma

PresentazioneLANUOVAFAVOLADILUISSEPÚLVEDAPERILETTORIDITUTTELEETÀ

LelumachechevivononelpratochiamatoPaesedelDentediLeone,sottolafrondosapiantadelcalicanto,sonoabituateacondurreunavitalentaesilenziosa,anascondersidallosguardoavidodeglialtrianimali,eachiamarsi tra lorosemplicemente«lumaca».Unadi loro,però,trovaingiustononavereunnome,esoprattuttoècuriosadiscoprireleragionidellalentezza.Per questo, nonostante la disapprovazione delle compagne, intraprende un viaggio che laporteràaconoscereungufomalinconicoeunasaggiatartaruga,acomprendereilvaloredellamemoriaelaveranaturadelcoraggio,eaguidarelecompagneinun’avventuraarditaversola libertà. Un nuovo indimenticabile personaggio entra nella galleria del grande scrittorecileno.Un’altrastoriamemorabilecheinsegnaariscoprireilsensoperdutodeltempo.

LuisSepúlvedaènatoinCilenel1949eviveinSpagna,nelleAsturie.IsuoilibrisonoeditiinItaliadaGuanda:Ilvecchioche leggevaromanzid’amore, Ilmondoalla finedelmondo,Unnomedatorero,Lafrontierascomparsa,Incontrod’amoreinunpaeseinguerra,Diariodiunkillersentimentale,Jacaré,PatagoniaExpress,LerosediAtacama,Storiadiunagabbianellaedelgatto che le insegnòa volare,Raccontare, resistere (conBrunoArpaia), Il generalee ilgiudice,Unasporcastoria,IpeggioriraccontideifratelliGrim(conMarioDelgadoAparaín),Ilpotere dei sogni, Cronache dal Cono Sud, La lampada di Aladino, L’ombra di quel cheeravamo,Ritratto di gruppo con assenza,UltimenotiziedalSud,Tutti i racconti (a cura diBrunoArpaia),StoriadiungattoedeltopochediventòsuoamicoeIngredientiperunavitadiformidabilipassioni.NellacollanadigitaleGuanda.bitsonopresenti:Unospettrosiaggiraperla Spagna, Incontro d’amore in un paese in guerra, Storia d’amore senza parole, Piccolabiografiadiungrandedelmondo,UnacasaaSantiago,L’HotelZeta,Cenaconpoetimorti,L’isola, L’angelo vendicatore, Nuvole di fumo e La grande idea del dottor Ribera e 11settembre1973:e“Johny”preseilfucile.

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Apropositodiquestastoria...

Qualcheannofa,mentreeravamonelgiardinodicasa,mionipoteDanielsimiseaosservareattentamenteunalumaca.

All’improvvisovoltòlosguardoversodimeemifeceunadomandamoltodifficile:«Perchéècosìlentalalumaca?»

Gli dissi che in quel momento non avevo una risposta, ma gli promisi che un giorno, nonsapevoquando,gliel’avreidata.

Siccomeèunpuntod’onorepermemantenerelaparola,questastoriacercadirispondereallasuadomanda.

EnaturalmenteèdedicataaimieinipotiDanieleGabriel,allemienipotineCamila,AuroraeValentina,eallelentelumachedelgiardino.

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Capitoloprimo

Inunpratovicinoacasatuaoacasamiavivevaunacoloniadilumachesicurissimeditrovarsinelpostomiglioredelmondo.Nessunadilorosieramaispintafinoallimitaredelprato,nétanto meno fino alla strada asfaltata che iniziava proprio là dove crescevano gli ultimi filid’erba.Esiccomenonavevanoviaggiatononpotevanofareconfronti,quindiignoravanochepergliscoiattoliilpostomiglioreerasullacimadeifaggi,ocheperleapinonc’erapostopiùpiacevole delle arnie di legno disposte in fila dall’altra parte del prato. Non potevano fareconfrontimanonimportava,perchéperloroquelprato,dovegrazieallapioggiacrescevanoinabbondanzalepiantedidentedileone,erailpostomigliorepervivere.

Quando arrivavano i primi giorni di primavera e il sole faceva sentire delicatamente la suatiepida carezza, le lumache si svegliavano dal letargo invernale, con un lieve sforzo deimuscoli sollevavano il guscio quel tanto che bastava a mettere fuori la testa e subitoallungavanoicorniniconincimagliocchi.Allorascoprivanocongioiacheilpratoeracopertodierba,dipiccolifioriselvaticie,soprattutto,disaporitidentedileone.

Certe lumache, lepiù vecchie, chiamavano il pratoPaesedelDentediLeonee chiamavanoCasa la frondosa pianta di calicanto che ogni primavera germogliava con rinnovato vigoredalle foglie castigate dalla brina invernale. Sotto quelle fronde le lumache passavano granpartedellorotempo,nascosteallosguardoavidodegliuccelli.

Fralorosichiamavanosemplicemente«lumaca»equestoavoltecreavaqualcheconfusione,risoltacongrandeflemma.Succedeva,peresempio,cheunadelgruppovolesseparlareconun’altra,allorasussurrava:«Lumaca,vogliodirtiunacosa»,equestobastavaperchétuttelealtregirasserolatesta.Quellecheeranoallasuadestralagiravanoasinistra,quelleasinistrala giravano a destra, quelle che erano davanti si voltavano indietro e quelle di dietroallungavanoletestolinesussurrando:«Èamechevuoiraccontareunacosa?»

Allora la lumaca che voleva raccontare una cosa a un’altra lumaca si spostava lentamente,primaasinistra,poiadestraesubitodopoavantioindietro,ripetendo:«Midispiace,nonèatechevoglioraccontareunacosa»,finchénonarrivavaaccantoaquellaacuivolevadavveroraccontareunacosa,ingenerequalcheavvenimentolegatoallavitanelprato.

Lelumachesapevanodiesserelenteesilenziose,moltolenteemoltosilenziose,esapevanoanchechequellalentezzaequelsilenziolerendevanovulnerabili,moltopiùvulnerabilidialtri

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animali capaci di muoversi rapidamente e di lanciare grida d’allarme. Per evitare che lalentezzaeilsilenzioleimpaurisseropreferivanononparlarne,eaccettavanodiesserecomeeranoconlentaesilenziosarassegnazione.

«Loscoiattolosquittisceesaltasveltodiramoinramo,ilcardellinoelagazzavolanoveloci,unocantael’altrastride,ilgattoeilcanecorronoveloci,unomiagolael’altroabbaia,manoisiamo lente e silenziose, è la vita e non c’è niente da fare» sussurravano sempre le piùanziane.

Fra loro però c’era una lumaca che, pur accettando una vita lenta, molto lenta, e tuttasussurri,volevaconoscereimotividellalentezza.

Capitolosecondo

Lalumacachevolevaconoscereimotividellalentezzanonavevaunnome,comedelrestononloavevanolealtrelumache,equestolapreoccupavamolto.

Le sembrava ingiusto non avere un nome, e quando una delle lumache più vecchie ledomandava perché ci tenesse tanto, lei rispondeva come loro a bassa voce: «Perché ilcalicantosichiamacosì,calicanto,eperciòquandopiove,peresempio,diciamocheandiamoarifugiarcisottolefogliedicalicanto.Ancheilsaporitodentedileonesichiamacosì,dentedileone,eperciòquandodiciamocheandiamoamangiaredellefogliedidentedileonenoncisbagliamoenonmangiamoortiche».

Magliargomentidellalumacachevolevaconoscereimotividellalentezzanonrisvegliavanograndeinteressenellealtrelumache.Mormoravanofralorochelecoseandavanobenecosì,chebastavasapereilnomedelcalicanto,deldentedileone,delloscoiattoloedellagazza,delpratochechiamavanoPaesedelDentediLeone,esostenevanodinonaverbisognod’altroperessere felici comeerano, lumache lente e silenziose, tutte impegnate amantenereumido ilcorpoeaingrassareperresistereallungoinverno.

Un giorno la lumaca che voleva conoscere i motivi della lentezza sentì i sussurri di duelumachepiùanziane.Parlavanodelgufochevivevatralefogliedelfaggiopiùaltoevetusto

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dei tre che si ergevano lungounmarginedelprato.Dicevanoche sapevamolte cosee chenellenottidilunapiena,senzacurarsidiavereascoltatori,intonavaunalitaniaincuicantavatanti alberi, chiamati noce, ippocastano, leccio e quercia, che le lumache non avevanomaivistonériuscivanoaimmaginare.

Lalumacadecisedichiederealgufoimotividellalentezzae,lentamente,moltolentamente,sidiresse verso il più vetusto dei faggi. Lasciò il riparo delle foglie di calicanto quando larugiada faceva splendere il prato riflettendo le prime luci del mattino e arrivò al faggioquandoleombrelocoprivanocomeunmantodisilenzio.

«Gufo,vogliofartiunadomanda»sussurròallungandosiversol’alto.

«Checosasei?Dovetitrovi?»vollesapereilgufo.

«Sonounalumacaemitrovoaipiedideltronco»risposelei.

«Saràmegliochetusalga finoalmioramo,haiunavocina fievolecome il rumoredell’erbachecresce.Sali»lainvitòilgufo,elalumacacominciòunaltrolento,lentissimoviaggio.

Mentresiarrampicavafinoincimaalfaggio,illuminatosoltantodaltenuescintilliodellestellechesiinsinuavanelfogliame,passòaccantoaunoscoiattolochedormivaabbracciatoaisuoipiccoli, più in alto schivò l’alacre lavorio di un ragno che tesseva la sua tela fra i rami, equando,stancaperlasalita,arrivòalgufo,lalucedelnuovogiornorestituivaalfaggiotuttiisuoicolorielesuesfumature.

«Eccomiqua»sussurròlalumaca.

«Loso»risposeilgufo.

«Nonaprigliocchiperguardarmi?»sussurròdinuovolalumaca.

«Li apro la sera e vedo tutto quello che c’è, di giorno li chiudo e vedo tuttoquello che c’èstato.Qualèlatuadomanda?»indagòilgufo.

«Vogliosapereperchésonocosìlenta»sussurròlalumaca.

Allorailgufoaprìisuoienormiocchirotondielaosservòattentamente.

Poilirichiuse.

«Seilentaperchéhaisullespalleungranpeso»spiegòilgufo.

Lalumacatrovòlarispostapococonvincente,ilsuogusciononleeramaisembratopesante,nonlastancavaportarloenonavevamaisentitoun’altralumacalamentarsene.Alloralodissealgufoeaspettòchequellofinissediruotarelatestasulcollo.

«Io so volare ma non lo faccio. Una volta, tanto tempo prima che voi lumache veniste adabitare nel prato, c’erano molti più alberi di quelli che si vedono adesso. C’erano faggi eippocastani,lecci,nociequerce.Tuttiqueglialberieranolamiacasa,volavodiramoinramo,eilricordodiqueglialberichenoncisonopiùmipesacosìtantochenonpossovolare.

Tuseiunagiovanelumacaetuttociòchehaivisto,tuttociòchehaiprovato,amaroedolce,pioggiaesole,freddoenotte,èdentrodite,epesa,edessendocosìpiccolaquelpesotirendelenta.»

«Eachemiserveesserecosìlenta?»sussurròlalumaca.

«A questo non ho una risposta.Dovrai trovarla da sola» disse il gufo. E con il suo silenzioindicòchenonvolevaaltredomande.

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Capitoloterzo

Dopoilsuocolloquioconilgufo,lalumacachevolevaconoscereimotividellalentezzatornòlentamente,moltolentamente,allapiantadicalicantoetrovòlealtrelumacheimpegnateinquellachechiamavano«abitudine».

Unavolta,manessunoricordavaconprecisionequandofossesuccesso,ilventoavevaportatonelpratodellefogliecolorate,diformaregolare,conmarginidritticomenonneavevanomaivistesuglialberiesullepianteconosciute.Eranoarrivateplanando,avevanodanzatoleggerenell’ariaeallafineeranoatterratesull’erbaumida.Suquellefogliesivedevanostranisegnineriedegliesseriumanicosìinerti,cosìpiccoliecosìlontanidalrappresentareunpericolopergliabitantidelpratochetuttelelumacheseneeranostupite.

Lentamente,moltolentamente,lelumacheavevanopercorsoquellefogliecaduteesaminandoconattenzionegliesseriumaniimmobilichefacevanolafiladavantiaunagrandesuperficiepienadi alimentidall’ariamolto saporita,perchéalla finedelle foglie li vedevi con le facceallegreedelciboinmano.

«Qualcuno,nonricordochi,mihadettochegliumanidedicano la lorovitaaripeterecose,gestiecomportamentichechiamanoabitudini»spiegòunavecchialumaca.

«Nonmisembramalequestaabitudinedimangiareingruppo»dichiaròunasecondalumacaetuttelealtremosseroicorniniperindicarecheeranod’accordo,quell’abitudinedimangiareingruppoerafantastica.

Da quel giorno smisero di mangiare da sole quando capitava, spinte semplicemente dallafame, e decisero di farlo insieme al tramonto, riunite sotto le fitte foglie del calicanto. Perrenderepiùpiacevolel’abitudine,sialternavanofrachi,sussurrando,facevadelledomandeechi,sempreinunsussurro,davalerisposte.

«Checosaabbiamodamangiare?»chiedevauna.

«Dentedileone.Saporitefogliedidentedileone»rispondevaun’altra.

«Vorreimangiarequalcosadimoltosaporito»dicevauna.

«Ticonsiglioildentedileone»ribattevaun’altra.

Grazieall’«abitudine»ogni sera le lumache si radunavanoamangiare fogliolinedidentedileonesottoiramidelcalicantoesussurrandoparlavanodell’infaticabilelavorodelleformiche,dell’alterigia delle cavallette che attraversavano il prato con lunghi balzi senza fermarsi asalutare nessuno, e anche dei pericoli che leminacciavano. Temevano soprattutto i bruchi,

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capacidivincerelaforzaconcuilorosiaggrappavanoallefogliedelcalicanto,egliscarabei,lecuipotentimandiboleeranoingradodirompereilloroguscio.Mapiùdituttotemevanogliesseri umani. Quando una lumaca sussurrava «splash!» e poi lo sussurrava un’altra e poiun’altraancorafinoaripeteretuttequantequelsussurrod’allarme,sapevanochepercolpadel modo distratto di muoversi che hanno gli umani, posando dove capita i loro pesantipiedoni,moltedilorononsarebberoarrivateallapiacevoleabitudinedeltramonto.

Lalumacachevolevaconoscereimotividellalentezzaprendevaparteogniseraall’abitudinedimangiareedisussurraregliavvenimentidellagiornatasottoilcalicantoenonlasmettevadifaredomandesulperchédellalentezzaesulperchénonavevanounnome.

«Vediamounpo’» le risposeunaserauna lumacadellepiùvecchiecheormai sieraunpo’stufatadelle suedomande,«siamo lenteperchénonsappiamosaltarecome lecavallettenévolarecomelefarfalle.Equantoadaveredeinomi,devisaperechesologliumanisonocapacidi dare un nome alle cose e agli esseri del prato. E ora smettila con queste domandeinsensate,perchéseinsistiverraiespulsadalPaesedelDentediLeone.»

Questaminacciadispiacquemoltoallalumacachevolevaconoscereimotividellalentezzaeavereunnome.E le dispiacqueanche chenessunadelle altre lumache la appoggiasse o ladifendesse. E le dispiacque ancora di più che qualcuna addirittura sussurrasse: «Sì, sì, èmegliochevadavia,vogliamoviveretranquille».

Alloraallungòilpiùpossibileilcollo,mosseicorninicongliocchiperguardarletutteaunaaunae,alzandoilvolumedelsussurroquantolaminuscolaboccaleconsentiva,disse:«Ah,sì?Alloramenevado,etorneròsoltantoquandosapròperchésiamocosìlente,equandoavròunnome».

Capitoloquarto

Senzamai smettere dimangiare, le altre lumache videro allontanarsi la lumaca che volevaconoscereimotividellalentezzaeancheavereunnome,lentamente,moltolentamente,finoaspariredietroleerbepiùaltedelprato.

Quando il tramonto cedette il passo all’oscurità e i fili d’erba e le piante umide di rugiadacominciaronoariflettere ilbaglioredellestelle, la lumacadecisedicercareunpostosicuroperpassare lanotte,una superficie lisciaa cui attaccarsiperpoi chiudersi subitodentro ilguscio. Lentamente, molto lentamente, avanzò di lato, ma trovò soltanto erba e cambiòdirezione, finché i suoiminuscoli occhi scorserounapietranonmolto alta, che leparveunmagnificorifugio.Lentamente,moltolentamente,siarrampicòequandoarrivòincimascelseil punto più liscio. Allora adattò il corpo in modo da chiudere l’ingresso del guscio e sicontrasse.Controllòunpaiodivoltediaveraderitobeneallapietraesipreparòadormire.

Dentroilguscioilbuioeratotale.Ilcollo,latesta,icorniniegliocchiformavanounamassacompatta che si adattava perfettamente alla forma della cavità,ma la lumaca aveva troppipensieriperpoterconciliareilsonno.

Forse aveva commesso un errore abbandonando il gruppo e la sicurezza della pianta dicalicanto,pensava,maallo stesso tempoqualcosa,unavoce sconosciuta, le ripeteva che lalentezzadovevaavereunmotivoechepossedereunnomesuo,soltantosuo,unnomechelarendesseunicaeinconfondibile,dovevaessereunacosameravigliosa.

Stavapensandoaquestoquandosentìchelapietrasimuoveva,inmodoquasiimpercettibile,ma simuoveva.Daaltre lumachepiù vecchie aveva sentito raccontare storie terribili di unanimalechiamatoriccio,cheeratuttocopertodiaculeiequandoandavaincercadiciboeracapacedirovesciarepietremoltopesanti.

Lapietrasimossedinuovoeunavocechesuonavastanca,moltostanca,disse:«Chièchemièsalitosopra?»

Sempredallelumachepiùvecchieavevasentitodirecheilventopassandofraigiunchihailsuonodiunavocespaventosa,malavocechevenivadasottononlaspaventava.

«Seiunapietracheparla?»sussurrò.

«Unapietracheparla?Semivedicosìnonimporta,nonèoffensivo,matuchisei?»

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«Sonounalumacaemisonoattaccataateperpassarelanotte.Posso?»

«Unalumaca...Sì,puoirestare,lumaca,tueiociassomigliamo.»

Dopo aver detto questo, la pietra si mosse sistemandosi meglio nell’erba e la lumaca sidomandòchecosaavessevolutodireconqueldiscorsodiassomigliarsi.

«Perchéparlicosìlentamente?Seianchetu,comeme,unesserelento?»

«Parlocosìlentamenteperchéhotempo,taaantotempo.Sognid’oro,lumaca.»

La lumaca fece varie altre domande che non ricevettero risposta e alla fine si addormentòfiduciosa. Attraverso la superficie liscia a cui era attaccata percepiva il suono lieve di unarespirazionetranquilla,lasoddisfazionediunesserechedormivaprotettodallestelle.

Si svegliò con la sensazione che la pietra o l’essere lento si stessemuovendo. Lentamente,moltolentamente,lalumacadisteseimuscoli,misefuorilatesta,allungòlepiccolecornacongli occhi e scoprì di essere su una superficiemolto bella, bella quasi quanto ilmantello dimuschiochericoprivalepietrenellapartepiùumidadelprato.

«Deciditu,lumaca,oscendiotiportoconme»disselavocestanca.

Lentamente,moltolentamente, lalumacascesefinoaraggiungerel’erbaeallorascoprìchenonavevapassatolanotteattaccataaunapietraparlantemaaunessereprovvistodiundurocarapace dal quale spuntavano quattro zampemolto robuste, un collo pieno di rughe, unaboccachenonintimidivaedueocchisocchiusichelaosservavanoattenti.

«Sono una tartaruga» esclamò quell’essere vedendo che la lumaca allungava il collo perguardarla.

La lumaca non avevamai visto un animale di quelle dimensioni che non suscitasse paura.Alloraglielodissee la tartarugaavvicinò la testapersentiremeglio i suoi sussurriepoi leraccontòcheinrealtàdovevaancoracresceremolto.

Conilsuomodolento,flemmaticodiparlare,comesecercasseleparoleesatteconunosforzospossante, le spiegò che un tempo era stata un piccolo essere timoroso ma che eraimparentata con le grandi testuggini dalla vita lunghissima, che avevano bisogno di corpienormiperconservareilricordodituttoquellocheavevanovisto,sentito,temuto,amato,deimotivi dell’ira e della gioia, del perché del caldo e del freddo, del fuoco spaventoso edell’acquarinfrescante.

La tartaruga cominciò ad avanzare e a ogni passo che faceva, purmuovendosi lentamente,moltolentamente,obbligavalalumacaaunosforzoenormepernonrestareindietro.Inbrevelalumacasisentìsfinitaelechieseilpermessodisaliredinuovosulsuocarapace.

«Nonpossotenereiltuoritmo,seitroppoveloceperme»lespiegò.

«Ioveloce?Èlaprimavoltachemelodicono.Sì,lumaca,salipure»risposelatartaruga.

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Unavolta sistemata là sopra,dietro la testadella tartaruga, la lumaca le chiesedove stavaandando,ma l’altra ribatté che non era la domanda giusta e che avrebbe dovuto chiederleinvecedadoveveniva.Così,mentredalassùlalumacavedevapassareleerbedelpratoaunarapiditàsconosciuta,latartarugaleraccontòchevenivadall’obliodegliesseriumani.

«Nonsocos’èl’oblioenonconosconemmenogliesseriumani»sussurròlalumaca.

Allora la tartaruga diminuì la velocità e parlò del suo ingresso felice in una casa dove nonmancavanomai le fresche foglie di lattuga, la sugosa polpa di pomodoro e il dolce nettaredelle fragole. Dei piccoli di umano si prendevano cura di lei, la coccolavano e le avevanopersinopreparatouncomodo lettodipaglia in fondoalgiardino.Neigiornidi solecocentequel giardino era il suo mondo, ma quando la fredda pioggia accorciava le giornate e poiquando la neve trasformava il cortile in una gelida distesa inospitale, i piccoli di umano laportavanoincasaelafacevanodormireinunangolotiepidoeaccogliente.

«Nonsipuòdirechetelapassassimale»commentòlalumaca.

«Nonmilamento,magliesseriumanicresconoedimenticano»sospiròlatartarugaeleriferìcome, col trascorrere del tempo, man mano che i piccoli di umano erano diventati primagiovaniepoiadulti,leattenzionieranocostantementediminuite,ilcibosierafattopiùscarso,finchénon l’avevanoconsiderata soltantounapresenzamolestadi cuibisognava liberarsi el’avevanoabbandonatanelprato.

Lalumacasirattristòasentirelastoriadellatartarugaedivenneancorapiùtristequandolei,sempre cercando lentamente fra le tante parole che conosceva, le disse che stavaattraversandoquelprato,fraesseristraniavoltegentilieavolteostili,persemprelontanadaquellacheerastata lasuacasa,perchéeradiretta inunluogovagocheavevapernomelaparolapiùcrudele.Sichiamavaesilio.

«Tipossoaccompagnare?»sussurròlalumaca.

«Dimmiprimacosacerchi»risposelatartaruga,elalumacalespiegòchevolevaconoscereimotivi della propria lentezza e anche avere un nome, perché l’acqua che cade dal cielo sichiamapioggia,ifruttideirovisichiamanomoreeladeliziachecoladaifavisichiamamiele.Epoilespiegòchelasuadomandaeilsuodesiderioirritavanolealtrelumache,alpuntocheavevanominacciatodicacciarladalprato,echeleiavevapresoladecisionediandarseneedinonfareritornofinchénonavesseavutounarispostaeunnome.

Latartarugacercòconpiùcalmadelsolitoleparoleperreplicareeleraccontòchedurantelasua permanenza presso gli umani aveva imparatomolte cose. Per esempio che quando unumano faceva domande scomode, del tipo: «È necessario andare così in fretta?» oppure«Abbiamodavverobisognodituttequestecoseperesserefelici?»,lochiamavanoRibelle.

«Ribelle,mipiacequestonome!»sussurròlalumaca.«Ategliumanihannodatounnome?»

«Sì, visto che non ho mai dimenticato la strada di andata né quella del ritorno mi hannochiamatoMemoria...mapoisonostatiloroadimenticareme.»

«Allora,Memoria,proseguiamoinsieme?»domandòlalumaca.

«D’accordo, Ribelle» rispose la tartaruga, e girando su se stessa lentamente, moltolentamente,lespiegòchesarebberotornatesuiloropassiperchévolevamostrarlequalcosadiimportante.Qualcosacheleavrebbefattocapirecheeranocompagnedistradafindaprimadiconoscersi.

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Capitoloquinto

Il soleeraaltonelcieloquandoarrivaronoal limitaredelpratoche le lumachepiùvecchiechiamavano«lafinedellavita».

Làiniziavaunasuperficienera, liscia,chesistendevasulterrenocomeseunpezzodipelledellanottevifosserimastoattaccatoacoprireleerbeeifioriselvatici.

Dall’altrapartedellastrisciascurasivedevanodegliesseriumani,alcuniimpegnatiamettereunasopral’altraquellecheallalumacaparveropietre.Stupita,Ribellesussurròchegliumanieranooperosicomeleapiquandocostruisconounfavoelatartaruga,cercandoleparolenelpozzodeiricordi,lespiegòchequegliumanistavanocostruendocaseincuisarebberovissutialtri umani, adulti e cuccioli, che sarebbero arrivati trasportando le loro cose su grandianimalidallezampecircolari,forti,velociespintidacuoridimetallo.

«Forsehannosegnatounconfine.Daquellapartedella striscia scuragli esseriumaniedaquestapartegliesseridelprato»sussurròlalumaca.

«Nonècosìsemplice,Ribelle,guardaailati...»

Inerpicatasulcarapacedellatartaruga,lalumacaallungòilpiùpossibileilcolloelepiccolecornacongliocchi.Quellochevideaidueestremidellastrisciascuralefecevenireibrividiecercò invano fra leparolecheconosceva.La tartarugaavvertì il turbamentodella lumacaeconlasuacalmaimperturbabilelespiegòchelastrisciascurasichiamavastradaovia,cheigrandi animali accanto agli umani si chiamavanomacchine, e l’ombra densa e pesante chesputavanosichiamavaasfalto.Gliumaninonavevanol’abitudinedimuoversiapiedi,eraunsistematroppolentoperloroepreferivanousareanimalidimetalloche,piùeranorapidi,piùsuscitavanoammirazionee invidia.Quelloche la lumacavideeranoumanichecoprivanodiasfaltoilpratoperchéiloropotentianimalivipotesseroriposare.

«Nonsochecosaprovo,manonmipiace»sussurrò.

«Sichiamapaura,Ribelle,paura.»

«Allora non chiamarmi Ribelle. Credevo che questo nomemi avrebbe dato coraggio, tantocoraggio.»

La tartaruga, conmovimenti lenti,molto lenti, girò di nuovo su se stessa e si addentrònelprato.Mentresispostavaconlalumacasuldorsolespiegòchenonbisognavaaverpaurae,cercandofratuttelecosechesapeva,ledissequellocheripetevanosempregliumani:unveroribelleconoscelapauramasavincerla.

Quando le stelle consigliarono di interrompere la marcia e di abbandonarsi al riposo,

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mangiarono qualcosa prima dimettersi a dormire. La tartarugamasticò con lentezza dellemargheritineelalumacaqualchefogliasaporitadidentedileone.

«Chefarai,Ribelle?»domandòlatartaruga.

«Non lo so. Non so se voglio conoscere i motivi della lentezza oppure tornare dalle miecompagneeavvertirledell’oscuropericolocheincombesulprato.»

Latartaruga,masticandogliultimipetalidellemargheritine,ledissecheseleinonfossestataunalumacadall’andaturalenta,moltolenta,seinvecedellasualentezzaavesseavutoilvolovelocedelnibbio,larapiditàdellacavallettachecopreasaltienormidistanze,ol’agilitàdellavespacheorac’èoranonc’èperchéèpiùvelocedellosguardo,forsenonsarebbemaistatopossibilequell’incontrodiesserilenticomeunatartarugaeunalumaca.

«Capisci,Ribelle?»disseinfinelatartarugacongliocchichiusi.

«Credo di sì. Lamia lentezza è servita a incontrarti, a farmi dare un nome da te, a farmimostrareilpericolo,eorasochedevoavvertirelemiecompagne.»

«Èquestadeterminazioneafarediteunaribelle.»

Adesso che erano pronte a dormire, la lumaca cercò di arrampicarsi sul carapace dellatartaruga, ma lei disse che preferiva averla accanto. Così la lumaca aspettò che l’altraritraesse le quattro zampe, il collo rugoso, la testa, e che tutto sparisse, per tendere a suavoltaimuscoli,attaccarsiall’erbaeaccomodarsinelcavodellapropriaconchiglia.

Feceunsognoinquieto.Videladensamassascurasputatadallemacchineguadagnarespaziosulprato,coprireilcalicanto,elesuecompagnescomparireinghiottitedallapiùnerafatalità.

Fusvegliatadallatiepidacarezzadelsolechefiltravaattraversolaparetesottiledelguscio.Lentamente,moltolentamente,misefuoriilcollo,loallungò,poiallungòancheicorninicongliocchieallorasiaccorsechelatartaruganonc’erapiù.

Unasciadierbaschiacciataindicavaladirezionecheavevapreso,quellaoppostaallapiantadicalicanto.

«Grazie, Memoria, ti porterò sempre con me» sussurrò la lumaca, e lentamente, moltolentamente,simiseincamminopertornaredallesuecompagne.

Capitolosesto

Durante il tragittofinoallapiantadicalicanto, la lumacasi imbattéall’improvviso inalcuneformichechetrasportavanominuscolegocciolinedimieleinformazioneordinata.Obbedendoalleregolerispettatedatuttigliesseridelprato,sifermòimmediatamente,perchéseavesseattraversato senza preavviso quella specie di sentiero, la sua scia umida le avrebbe

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disorientate.

«Formiche,devoattraversare ilvostrosentieroperavvertire lemiecompagnediungrandepericolo»sussurròchinandolatestafinquasiatoccareterra.

«Esipuòsaperedichegrandepericolositratta?Restareneiranghi!»disseunaformicaunpo’piùvecchiadellealtre,chenontrasportavanullaesorvegliavaenergicaleportatrici.

Alloralalumacaparlòdegliesseriumaniedicomeavesserocominciatoacoprireilbordodelpratoconqualcosadidenso,piùscurodiunanottesenzastelle.

«Sembra molto grave, ma io non posso decidere il da farsi. La mia funzione è guidare leportatricialformicaio.Hodettorestareneiranghi!Vieniconmeeparlaconlaregina.»

Lalumacasiavviòinsiemeallaformica,manonriuscivaatenereilritmofreneticodellesuezampe,cosìrimaseindietroequandolentamente,moltolentamente,arrivòalformicaio,trovòadattenderlalaregina,circondatadalsuoseguito.

«Accidenti,quantocihaimesso.Nonsifaaspettareunaregina»larimproveròlaformicachel’avevapreceduta.Lareginaperòlediedeordineditacereesiavvicinòallalumaca.

«Èveroquellochedici?Èverochegliumanistannocoprendoilpratoconunmantopiùscurodellaterraprofonda?»

«Disgraziatamentepertuttinoi,èpropriocosì.UnatartarugadinomeMemoriamihaportatofinoaiconfinidell’erbael’hovistoconimieiocchi.»

«Non è la prima volta che ci succede. Esodo!» ordinò la regina e subito le formichecominciaronoausciredalformicaiotrasportandopezzettinidifoglie,goccedimiele,semi,glialimenticheimmagazzinavanonellegalleriesotterranee.

«Ringraziamo la tua lentezza, lumaca,perché se fossi statavelocecome il conigliooavessistrisciatosveltacomelaserpenonciavrestivistoeavvisato.Haiunnome?»

«MichiamoRibelle,èilnomechemihadatoMemoria.»

«Memoria,Ribelle,grazie»disselaregina,ealgridodi«Esodo!Esodo!»siunìallalungafiladiformichecheabbandonavanoilformicaio.

Primache il soleaccarezzasse ilpratocon isuoiultimiraggi, la lumacaavevaavvertitodelpericoloanche ibruchi,cheunavoltamessi inguardia laringraziaronoper lasua lentezza,perchésefossestatarapidacomelelucertoleeigrillinonliavrebbevistieallertati.

La lumaca scorse gli scarabei abbandonare in fretta le tane e allontanarsi in formazioneordinata,sospingendopallinedicibo.

Ribelle,lalumacacheormaiavevaunnomeeiniziavaaconoscereimotividellasualentezza,eraesaustaedecisediriposarsiunpo’primadiproseguireilviaggioperavvisarelepropriecompagne che in quel momento, inconsapevoli del pericolo, dovevano essere tutte presedall’abitudinedimangiare ingrupposotto le fogliedelcalicanto.Primadi ritirarsidentro ilguscio,notòchemoltiesserinotturnidelpratosieranomessiinmovimento.

I lombrichi timorosi del sole strisciavano lasciando scie umide sull’erba, le lucciole in fugavolavanobassissimeper illuminare lamarcia dei bruchi e leminuscole rane verdi dei pratisaltavanogracidandoincercadiunostagno.

Ribelle cominciò a percepire il piacevole sopore della stanchezza, ma quando stava peraddormentarsisentìarrivareunavocinadaunpuntomoltosottol’erba.

«Seitulalumacadicuitantosiparla?»disselavoce.

«Sì,etuchisei?»sussurròRibelle.

Allora,vicinissimoadovesitrovava,ilsuolosisollevòleggermenteel’erbalasciòspazioaunmonticelloditerrasmossadacuisbucòfuoriunatestaconilnasoapunta.

«Sonounatalpa.Cisonoesserichevivonoinvolosoprailprato,altriallivellodell’erbaealtri

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ancorasottoterra.Èverochegliumanicoprirannotuttoconunostratodighiaccionero?»

Lalumacarisposechepurtroppoerapropriocosìelatalpa,dopoaverringraziato,scomparvesottoilmonticelloperavvertirelesuecompagnecheavevanomoltodascavare.

Ribelle, la lumaca che ormai aveva un nome e conosceva sempre di più e sempremeglio imotividellasua lentezza,sipreparòdinuovoadormire,manonriuscìaconciliare ilsonnoperchénelguscioeraassediatadatroppedomande.

E se le sue compagne non le avessero creduto? E se le sue compagne sotto le foglie dicalicanto avessero preso il suo allarme come una nuova fastidiosa stravaganza, così comeavevanopresoilsuodesideriodiavereunnomeediconoscereimotividellalentezza?Enelcaso incui leavesserocreduto,accettando lanecessitàdi lasciare la lorocasa, ilPaesedelDentediLeone,dovesarebberoandate?

Capitolosettimo

Sotto le foglie del calicanto le lumache, ignare del pericolo che incombeva su di loro,voltaronoappenalatestaperguardarechisiavvicinava.

«Aquantoparenonèandatamoltolontano»sussurròunavecchialumaca.

«Haifameohaialtredomande?»ironizzòunasecondalumacasenzasmetteredimangiarelefogliedidentedileone.

«Se non ricordomale, hai detto che saresti tornata quando avessi avuto un nome e avessiconosciuto imotividella lentezza.Haiqualcosadadirci?»aggiunseconsarcasmounaterzalumaca.

Senza dare importanza ai loro sguardi di disprezzo, Ribelle avanzò lentamente, moltolentamente, fino all’ombra ospitale delle foglie di calicanto e raccontò l’incontro con latartarugadinomeMemoria.

«Oh, che incontro interessante! Un essere lento del prato si imbatte in un altro di parilentezza.Echecosaavetefatto?

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Unagaradivelocità?»sipresegiocodileiunavecchialumaca.

AncoraunavoltaRibelle ignorò icommentitaglientieriferì tuttoquellocheavevavisto,gliumanicheinvadevanoilpratoelocoprivanoconun’asfissiantecappaneracheerafontesoloditristezza.Adessolesueparoleattiraronol’attenzioneeprovocaronol’allarmedellelumachepiùgiovani,maquellevecchieviderochequestomettevainpericololaloroautorità.

«Nessunadinoihamaivistoquellochedicelatartarugaesisacheletartarughesonomoltopropenseainventarecosechenonesistono»spiegòunadiloro.

«Epoi,seanchefosse,nullacidicechegliumanivoglianoarrivarefinoalcalicanto»aggiunseunalumacatralepiùvecchie.

«Nonabbandoneremomaiilnostropostosottoilcalicanto.NonceneandremomaidalPaesedelDentediLeone»concluseun’altravecchialumaca.

AlloraRibelleparlòdegliesseridelprato.Dissecheleformiche,gliscarabei,ilombrichieletalpe stavano abbandonando il prato e che, secondo lei, anche lorodovevano fare la stessacosa.

«Tuttoquestoèintollerabile.Seiunaribelleeioesigochetudimostriquellochedici,incasocontrariotacievattenepersempre»leordinòlalumacapiùvecchiaditutte.

Ribellepensòche la lentezzaavrebbe impeditoalle sue compagnedi arrivare in tempopervedereglialtriesseridelpratocheseneandavano,portandosullespalleospingendoleloroprovviste, ma in quel mentre i suoi occhi si posarono sui lunghi ramoscelli in fiore delcalicanto,chetendevanoalcieloilorostrettipetaliviolacei.

«Saliteconme»sussurrò.

Lentamente,molto lentamente, Ribelle cominciò ad arrampicarsi su uno dei ramoscelli cheoscillavaappenaalvento.

Fu imitata da alcune lumache giovani e, per non perdere autorità, anche alcune delle piùvecchielaseguirono.

Perarrivare incimaairamoscelli impiegarono il temposenzamisuradegliesseri lenti.Nonerafaciletenersiaipetaliequandotutteebberoorientatoicorninicongliocchiversoilfondodelprato,quellocheviderolecolmòdiangoscia.

Conpazienza,ricordandoleparolediMemoria,Ribelledissechelestraneformechestavanoaccantoagliumanisichiamavanomacchine,echeilfittofumocheimpedivadivederealdilàdel confineera l’erbachebruciava sotto ilmantonero, all’iniziodensoemolle come fangofrescomapoisolidoeimpenetrabilecomepietra.

«Sono molto vicini» sussurrò la lumaca più vecchia e nella sua voce la paura soppiantaval’arroganza.

«Scappiamo! Scappiamo!» esclamarono le lumache più giovani e lentamente, moltolentamente,iniziaronoladiscesa.

Unavoltadiritornosotto le fogliedelcalicantotutte le lumacheguardaronoconrispetto lacompagnacheleavevaavvertitedelpericolo.

«Avevi ragione. Hai imparato molto nel tuo viaggio e dovrai guidarci nell’esodo. Prima dipartirehaidettochenonsarestitornatasenzaunnome.L’haiottenuto?»domandòlalumacapiùvecchia.

«Lohaidettotuprimadisaliresuirami.Ribelle,ècosìchemichiamo.ÈilnomechemihadatoMemoria.»

«Doveandremo?»domandòunadellelumachegiovani.

«Lasceremo il Paese del Dente di Leone,ma ne troveremo un altro. Andremo in un nuovoPaesedelDentediLeone»dichiaròRibelle.

E lentamente, molto lentamente, con il dolore dell’addio alla casa perduta, le lumache

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iniziaronoadallontanarsidallapiantadicalicanto.

Capitoloottavo

Lentamente, molto lentamente, il gruppo di lumache avanzava sull’erba. Erano tristi esentivanolatristezzatrasformarsiinunpiccolofardellocheappesantivailorogusci.

Nessunasiazzardavaaesprimerelasuapreoccupazioneecosì,quandovoltandolatestanonriuscirono più a scorgere il rimpianto albero di calicanto, una di loro avvisò le altre che sistavanodirigendoversoilconfinedelprato,cioèindirezionedegliumani:«Unmomento,macherazzadi leadersei, tu?Cistaiportandoverso ilpericolo»sussurrò, risvegliandoancoramaggioreinquietudinefralecompagne.

Ribelle si fermò e ricordò che gli uccelli e gli scoiattoli che abitavano il faggio più vetustorimanevano sempre sui rami a guardar scendere il sole nel suo rifugio, e che lo stessofacevanoiconiglieleranedelprato.

«Moltiesseriringrazianoinsilenzioperilteporericevuto,persinoifiorisichiudonopianoperconservarel’ultimocalore,manoi,esseridell’ombra,noncifermiamomaiaguardareilsolechesiallontanadall’oscurità»spiegòRibelle.

«Èvero,evitiamoilsoleperchélanostravitadipendedall’umiditàdelcorpo.Macontinuoanon capire perché ci porti là dove si trovano gli umani» dichiarò una delle lumache piùvecchie.

«PerchénelmioviaggioconMemoriahoosservatobenegliumaniehovistochenonstendonomaiilmantonerochecopreognicosasull’altrolatodeiloroguscidilegnoepietra,quellichechiamanocase.Forseancheagliumanipiacerestareaguardareilsolementrescendenelsuonidodifuoco.»

«Forse!Forse!Questovuoldirecheciconduciinunluogomaivisto,alqualeforsearriveremoe forse no, dato che non sei sicura di niente» esclamò indignata un’altra delle vecchielumache.

«E io dico che forse non dobbiamo abbandonare il calicanto, che forse gli umani nonarriverannofinlà,cheforsedobbiamolasciarperderequestaavventurasenzasenso»dichiaròunaterzalumacafralepiùvecchiedelgruppo.

«Sì, torniamo indietro,nonavremmomaidovutoandarcene!»esclamaronoall’unisonovarie

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lumache, e il gruppo si divise.Quasi tutte le lumache più vecchie intrapresero lentamente,molto lentamente, il ritorno alla pianta di calicanto, mentre le più giovani rivolsero i lorocorninicongliocchiversoRibelle.

«ÈverochenonsonosicuraditrovareilnuovoPaesedelDentediLeone.Èverochenonsodov’è,néquantotempoimpiegheremoadarrivare.Èverochenonsoseincontreremograndipericoliesearriveremotutte.MasocheilnuovoPaesedelDentediLeoneèdavantianoienonallenostrespalle.Ioproseguirò.Voipotetevenireconmeotornareindietro.»

Lentamente,moltolentamente,Ribelleripreseamuoversiequandosivoltòvidechetuttelelumachelaseguivano.

Nonprovòorgoglioné laminimafelicità. Inquelmomentopensòcheavrebbepreferitononessereseguitaperchécosìsarebbestataresponsabilesoltantodelpropriodestino.Lelumacheavevano fiducia in lei e questo la spaventòmolto,ma poi ricordòMemoria: un vero ribelleconosce la paura ma sa vincerla, e lentamente, molto lentamente, continuò ad avanzaresull’erba.

Capitolonono

Leprimeombrecelavanoormailapresenzadelleerbeedeifioriselvaticiquandolelumachearrivaronoallastrisciaduraenerachegliumanichiamavanostrada.

«Chepaura.Noncrescenientesuquestomantoscuro»sussurròunadiloro.

«Chefaremoadesso?»domandòun’altra.

«Aspetteremochegliumanisiriposino.Memoriamihainsegnatoche,comenoilofacciamonelcavodeinostrigusci,gliumanilofannonellelorocase.Làsimettonocomodieriposano»risposeRibelle.

Lecasedegliumaniavevanoforiilluminati,comesetuttelelucciolefosserochiuselàdentro.Lelumacheavevanofame,madopoaverassaggiatoqualchefogliadelleerbechecrescevanosul ciglio della strada si arresero. Avevano un sapore strano, sgradevole, lo stesso fetoreemanatodallasuperficienerachesistendevadavantialoro.

Lestellebrillavanoinvitandoalsilenzioseralequandoiforidellecasepianpianosispensero.RibellesapevachedovevanotrovarealpiùprestoilnuovoPaesedelDentediLeoneperchél’oscurità notturna si sarebbe fatta sempre più lunga, l’aria più fredda, e perché avevanobisognodinutrirsipersopportareilletargoalriparodallabrinaedallaneve.

«Ora»sussurròRibelleeperlaprimavoltatoccòilrigidostratonerochecoprivaquellochefinoapocotempoprimaerastatounfertileprato.

Lasuperficie leparveduraeruvida, il fetorecheemanava infastidiva il suoolfatto,maerauniforme, senza ostacoli da superare o aggirare, e anche se le lumache si muovevanolentamente, molto lentamente, quell’uniformità consentiva di spostarsi con una facilitàestrema.

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«Sentouncalducciomoltopiacevole»sussurròunalumaca,esifermò.

«Èvero.C’èunteporechetientradentro»aggiunseun’altra,esifermòanchelei.

«È delizioso questo calore. Perché non ci fermiamo e riprendiamo il cammino quando fagiorno?»domandòunaterzalumacaeRibellericordòcheMemorialeavevaraccontatocomelacappa,essendoscura,nonriflettesseiraggidelsoleetrattenesseilcalore.Equellaeraunatrappola,leavevaspiegatoMemoria.Certiesseridelprato,comeiricci,cedevanoalteporediquel suolo arido, si lasciavano vincere dalla sonnolenza e diventavano facile preda deglienormianimalisucuigliumanisispostavano.

«No,dobbiamoproseguire,senzaalcunasosta,dobbiamosforzarcidiarrivaredall’altraparte»feceintempoadireRibelleprimacheunpotenteruggitoleparalizzasseperlospavento.

Dal fondodella strada si avvicinava velocissimoun essere condueenormi occhi splendenticheleinvestìconlasualuceabbagliante.Passòrapidocomeunventoditempestaedopochesifuallontanatolelumacheviderochevariedilorononc’eranopiù.

Tremandodipanico,cometuttelesuecompagne,Ribelleordinòdiproseguiresenzafermarsi,primachequell’animaleterrificanteounaltrosimileripassasserodalì.

Fuunamarciapenosa,lelumachenonriuscivanoasussurrarealtrochelaloropauraeilloropentimento per aver seguito Ribelle, e quando raggiunsero il ciglio opposto della stradacercaronorifugio inunacavernacircolare, fredda, incuiscorrevaunsottile filod’acqua.Siattaccaronoalleparetiesiassopironosfinitedaldoloreedallafatica.

Lelumachedormivanotutte,tranneRibelle,cheerarimastaall’entratadellacaverna,attenta,icorninicongliocchirivoltiall’oscuritàdellanotte.

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Lastanchezzaperòvinseancheleiestavaperritirarsidentroilsuoguscioquandoilrumorediqualcosachescuoteval’arialafecesussultare.Unuccellosiposòall’entratadellacaverna.

«Lumaca,nontemere»dissel’uccello.

Ribelleuscì lentamente,molto lentamente,dallacavernaericonobbeilgufocheabitavanelfaggiopiùvetustodelprato.

«Matuvoli.Nontipesaquellochehaivisto?»

«Mi pesa più di prima,ma devo volare» rispose il gufo, e infilando la testa sotto l’ala pernascondereildispiacere,ledissechenonesistevapiùnessunodeitrefaggi,chegliumanieleloromacchineeranopiùrapididituttigliesseridelprato.

«Eilcalicanto?»siazzardòadomandareRibelle.

«Nonesistepiùnemmenoquello.Restamoltopocodelpratocheconoscevamo»risposeilgufoconancoramaggioretristezza.

«Credocheresteremoinquestacaverna,quiperlomenosiamoalsicuro»sussurròRibelle.

«Nonèunacavernaenonsietealsicuro»replicò ilgufo,spiegandolepoicheeranodentrounacosafabbricatadagliumani,unaspeciedilombricolungoegrosso,collegatoaunaboccametallicache,auncertoordine,lasciavauscireunfortetorrented’acqua.

«Hofallito.NonriusciròmaiaportarelemiecompagnenelnuovoPaesedelDentediLeone.Se sapessi tante cose come te... ma sono solo una lumaca, lenta, molto lenta» si lamentòRibelle.

«Lamianatura è osservare e sapere.E non lamentarti di essere lenta, lumaca.Grazie allalentezza di una tartaruga che ogni pochi passi girava indietro la testa per vedere se laseguivano,hosaputodiunagiovanelumacachiamataRibelle.

Una lumaca coraggiosa che, malgrado il pericolo, ha osato tornare ad avvertire le suecompagneecheadessostacercandodisalvarle.Nontiarrendere,Ribelle,viaiuteròausciredaqui.»

L’oscurità notturna cominciava a svanire quando le lumache, attaccate a un pezzo di legnosecondoleistruzionidelgufo,lovideroaprireleali,sbatterlefacendodeipassirapidi,ritrarrelezampeespiccareilvolo.

Il gufo planò in cerchio con le sue grandi ali spiegate fino a trovare una corrente d’ariadiscendente,poicalòsullegno,loafferròconisuoifortiartigliesirisollevòinaria,battendoconforzalealiperchéillegnoerapesante.

Dall’altolelumachecontemplaronoilsolechesorgevae,azzardandositimidamenteaestrarredalguscioicorninicongliocchi,viderochegranpartedelpratoerascomparsosottoilmantonerocheleincalzava.

Il gufo volò per un tempo che parve loro molto lungo, e il terreno e gli alberi e le lineeargentatedei ruscellie lecasedegliumanipassavanoaunavelocità inauditapergliesserilentideiprati,finchél’uccellononiniziòascendereedepositòilsuocaricovicinissimoadeigrandialberi.

«Questo è un bosco di castagni e gli umani non riusciranno facilmente a distruggerlo.Avanzatelasciandoviallespalleilmuschiochecrescesuitronchiearrivereteinunaradura.Làcresconoerbaefioriselvatici,maandatepiùinfrettapossibileperchéglialberi inizianogiàaperderelefoglieebenprestoilfreddoelanevesiimpadronirannodiognicosa.Iononpossoportarvifinoallaraduraperchélànonpotreispiccareilvolo.»

Lelumacheringraziaronoilgufoperl’aiutoeloguardaronolevarsiinariafinoaspariredietrolechiomedeglialberi.

«Avanti,proseguiamo»sussurròRibellee fu laprimaadavanzareversounamacchiaverdechesivedevasultroncodiuncastagno.

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Capitolodecimo

Lentamente, molto lentamente, le lumache entrarono nel bosco e avanzarono sul terrenotappezzatodifoglie,alcunecolormiele,altrepiùscure,alcuneintereealtremezzedisfatte.Nonc’eraerbaegliarbustielepiantinechecrescevanovicinoaigrossitronchimostravanovecchie tracce di frutti, forse mirtilli, che le lumache a volte avevano assaggiato e di cuiricordavanoconnostalgiailsapore.

Ribelle, attenta alle macchie di muschio sui tronchi che lentamente, molto lentamente silasciavanoallespalle,sipreoccupòperlamancanzadicibolìattorno.Tutteavevanofamee,pur trovando la forza di proseguire nel desiderio di arrivare al nuovo Paese del Dente diLeone, vedevano nell’incessante caduta delle foglie un segno dell’urgente necessità di unluogoprotetto,umidoebuioperlafecondazione.

Le lumache sapevano che ad altri esseri del prato la vita concedeva differenze nette ericonoscibili.Così,peresempio, fra i ragni ilmaschioerapiccoloe la femminagrande.Conloroinvecelavitaavevadecisochenellacavitàdeigusciportasseroquelleduedifferenzeche,unite,davanoluogoaunaterza.

Quando mancava pochissimo all’arrivo della brina e della neve, le lumache sentivano ilrichiamoirresistibiledellavitaelanecessitàdiperpetuarla.Allora,dopounlento,lentissimorituale in cui sfregavano i cornini, sidisponevanoaprolungare la stirpe.Primauna lumacadepositavainun’altraleminuscolegoccedafecondareesubitodopol’altrafacevalostessocon lei. Poi scavavano una buca profonda e vi deponevano le uova delle future lumache,protette dall’oscura umidità e al sicuro dai predatori. Ribelle sapeva che quel momento sistavaavvicinando.Eraurgentetrovareunrifugiosicuroedelcibo.

Lentamente,molto lentamente,glialberie lemacchiedimuschiosisuccedevano,unodopol’altro.L’avanzatadiventavasemprepiùlungaepenosaelaraduradicuiavevaparlatoilgufosembravamoltolontana.

Proseguirono finché l’oscurità non si impadronì del bosco. Per le lumache era un’oscuritàsconosciuta,perquantoallungasseroicorninicongliocchinonvedevanobrillareunastella.

«Non si vede più il muschio sui tronchi. Fermiamoci qui a riposare finché non spunta ilgiorno»sussurròRibelle.

«Cheimporta.NontroveremomaiilnuovoPaesedelDentediLeone»silamentòunalumaca.

«Fidarsidiunvecchiogufo,pensaunpo’.Tihaingannata»laaccusòun’altra.

«Sotto le foglie saremo al sicuro» sussurrò Ribelle, ma solo alcune delle sue compagneseguirono il consiglio. Molte si lasciarono semplicemente vincere dalla stanchezza e dallafamesenzacercarealtrorifugiocheilloroguscio.

Quando la luce fiocadelleprimeoredell’albapenetrònelbosco,Ribellee lesuecompagnesbucaronofuoridallacoltredifogliesottocuiavevanodormitoequellocheviderodiedeloroun dolore grandissimo. Delle lumache che non si erano nascoste non restava altro che laconchigliavuota.Nonconoscevanoilbosconégliessericheloabitavano,ignoravanoipericoliesevolevanosopravviveredovevanotrovarelaradura.

Lentamente,moltolentamente,sempreguidatedaRibelle,lelumachecontinuaronolamarcia,malafameminavaormai la lorovolontàealcune, invecediproseguire,preferironoritirarsi

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nelloroguscioeabbandonarsiaunsonnosenzasogninésperanze.

«CiaspettailnuovoPaesedelDentediLeone.ArriveremoalnuovoPaesedelDentediLeone»sussurravaRibelle,einquelleparoletrovavalaforzaperandareavanti.

Capitoloundicesimo

Quandofinalmentearrivaronoallaradurascoprironocheilfreddoleavevapreceduteel’erbaeraschiacciatasottounmantodibrina.

Ribellenonricordavaquantenottiavesserodormitosottolefoglie,sapevasolochedaquandoavevanoabbandonato la casadel calicanto il gruppodi lumache si era ridottoalmenodellametà.Solo lepiùgiovani l’avevanoseguitafinoinfondoeallungandoicorninicongliocchiosservavanoilpratocopertodibrina.

Alcentrodelpratoc’eraungrossotronco,forseunalberoabbattutodall’iradiuntemporale,elentamente,moltolentamente,visidiressero.Mentreavanzavano,Ribellesivoltavaindietropervedereselesuecompagnelaseguivanoelasciadibavachesi lasciavanoallespallelefecepensareaunatracciadidolore.

Iltroncosirivelòunmagnificorifugio,nonfeceronessunafaticaainfilarsilàsotto,doveoltreaessercilapenombraealnecessarioteporechedàunsensodicasa,crescevanoerbechenonerano state bruciate dalla brina.Non erano erbe saporitema erano nutrienti e le lumachemangiarono,lentamente,moltolentamente,finoasentirsisazie.

Allorasiprepararonoapassarelaprimanottenellanuovacasa,senzasaperesesarebbestataquelladefinitivaoseerasolounangolodoveconcedersiunpo’diriposoperpoiproseguire.Prima di ritirarsi dentro il guscio, Ribelle spiò la scia di bava che brillava sulla rugiada e

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stavoltapensòche,puressendouna tracciadidolore,eraancheuna tracciadi speranza,echiamòlesuecompagneaguardarlapernondimenticarlapiù.

Iltemposenzamisuradegliesserilentideipratitrascorseinmezzoadaltrabrina,allaneveeal gelo che le sprofondò nel letargo invernale. I loro corpi consumavano appena l’energianecessaria a respirare lentamente, molto lentamente, perché i loro cuori battesserolentamente,moltolentamente,eancheperchécrescesserolentamente,moltolentamente.

Allafinediqueltemposenzamisurauscironodalletargoequandosiaffacciaronoaiguscilaprimacosa che videro fuRibelle assorta aguardare il prato.L’erba si innalzava invitante, iprimi fiori selvatici aprivano i petali, c’era cibo in abbondanza,ma lo sguardo di Ribelle siposavalàdoveavevanolasciatolasciadibava.

«Guardate»sussurròRibelle.

Làdoveavevanolasciatolascia,inlungoeinlargofinoascomparirevicinoaiprimialberidelbosco,crescevanoappetitosefogliedidentedileone.

«Hai mantenuto la parola. Ci hai portato nel nuovo Paese del Dente di Leone» disse unalumacaentusiasta.

«No»sussurròRibelle,«tisbagli.Inquestoviaggiocheèiniziatoquandohovolutoavereunnomehoimparatotantecose.Hoimparatol’importanzadellalentezzae,adesso,hoimparatoche il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi» concluse in unsussurroelentamente,moltolentamente,seneandòamangiareinsiemeallesuecompagne.