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Newsletter indipendente di aggiornamento scientifico a cura degli Specializzandi della Scuola di Ginecologia e Ostetricia Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”- Roma LUGLIO 2014 JOURNAL CLUB Ob Gyn & Tesi di Specializzazione > Summary a pag. 3

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Newsletter indipendente di aggiornamento scientifico a cura degli Specializzandi dellaScuola di Ginecologia e Ostetricia

Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”- Roma

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Tesi di Specializzazione> Summary a pag. 3

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Cari Lettori,anche quest’anno i nostri Specializzandi dell’ultimo anno hannoterminato il loro percorso di formazione.

Sono stati certamente, per loro e per noi Docenti che li abbiamoaccompagnati, cinque anni impegnativi e fruttuosi, in un mondouniversitario e sanitario in costante mutamento e molto spesso indifficoltà.

La nostra Scuola, accreditata da qualche mese nel Board Euro-peo, ha sviluppato in questi ultimi anni nuovi percorsi di formazionee organizzazione che hanno dato occasione ai nostri Discenti dimigliorare non solo la propria professionalità scientifica e clinica,ma anche di inserirsi sempre di più in reti di collegamento e condi-visione con Enti e Centri di eccellenza e di interesse, in Italia e al-l’estero.

Questa rivista – che compie un anno di vita proprio in questigiorni – ne è una prova: per ogni numero la Redazione (compostadai nostri Specializzandi) ha scelto di offrire ai lettori analisi dipubblicazioni e lavori d’interesse internazionale, arricchiti dai com-menti di autorevoli esperti della nostra disciplina, in Italia e nelmondo, accanto alle testimonianze delle persone che hanno fondatola nostra Scuola, che ci hanno accompagnato e formato, accade-micamente e umanamente, negli ultimi decenni o che nella nostraScuola si sono formati per poi mettere servizio la propria profes-sionalità in altre Università e Aziende ospedaliere.

Crediamo che sia proprio questo orientamento di condivi-sione e collaborazione continua, accanto al continuo miglioramentoe completamento dei Piani Didattici e degli spazi e degli strumentidedicati all’apprendimento, la strada giusta e vincente affinchédalle Scuole di Specialità escano professionisti seri, preparati e for-mati, da ogni punto di vista.

Nell’ultima seduta di discussione delle Tesi di Diploma – che of-friamo ampiamente nei contenuti in questo numero speciale – inostri neo Specialisti ci hanno dimostrato che tutto questo si puòfare e si è fatto, attraverso un’interessante mattinata di confronto eaggiornamento, utile non solo per tutti i giovani colleghi, ma perl’intero personale medico e sanitario del Dipartimento.

Auguro a tutti loro, anche a nome del Consiglio della Scuola, diproseguire sulla strada dell’impegno e del miglioramento culturalee assistenziale costante, certo che saranno di esempio a tutti i lorocolleghi più giovani e, insieme a tutti i neo Specialisti delle nostreScuole italiane, a un mondo della Sanità che ha quanto mai bisognoin questo momento di persone competenti, pienamente dedicate eche davvero possano dare una svolta e lasciare un ottimo segno.

Un carissimo ringraziamento e augurio a tutti.

Giovanni Scambia

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“È proprio questoorientamento di condivisione e collaborazionecontinua, accanto alcontinuo miglioramentoe completamento dei Piani Didattici e degli spazi e deglistrumenti dedicatiall’apprendimento, la strada giusta e vincente affinché dalle Scuole di Specialità escanoprofessionisti seri,preparati e formati, da ogni punto di vista

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Tesi Diploma di Specializzazione

> Summary

> Lucia Casarella Velocimetria Doppler nel feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5Relatore: Prof.ssa Catia M. Bilardo

Correlatori: Dott.ssa Anna Franca Cavaliere e Dott.ssa Sara De Carolis

> Marco D’Errico Igroma cistico: storia naturale ostetrica e follow-up neurocognitivo e psicomotorio infantile . . . . . . . . . . . . . . . 12Relatore: Prof. Giuseppe Noia - Correlatore: Prof. Alessandro Caruso

> Laura Donati Analisi della frequenza di tagli cesarei secondo la classificazione di Robson e identificazione di strategie per il loro contenimento . . . . . . . . . . . . . . 18Relatore: Prof. Alessandro Caruso - Correlatore: Prof. Sergio Ferrazzani

> Angelo Licameli Esposizione peri-concezionale al clomifene e rischi riproduttivi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25Relatore: Dott. Marco De Santis - Correlatore: Prof. Giovanni Scambia

> Francesca Moro Aderenze pelviche dopo parto cesareo: a prospective observational study . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33Relatore: Prof.ssa Rosanna Apa - Correlatore: Prof. Antonio Lanzone

> Luigi Ricciardi Confronto tra mezzo di distensione liquido e CO2 nella valutazione del dolore intraoperatorio nell’esecuzione dell’isteroscopia diagnostica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Relatore: Prof. Antonio Lanzone - Correlatore: Dott. Maurizio Guido

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> Giulia Amadio Annessiectomia profilattica versus terapia adiuvante con analogo del GnRH in donne affette da carcinoma della mammellaormono-responsivo in premenopausa: studio di costo-efficacia e valutazione della qualità di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50Relatore: Prof. Giovanni Scambia - Correlatore: Dott.ssa Gabriella Ferrandina

> Sara Mainenti The accuracy of ultrasound in detecting the differenthistopatological subtypes in multilocular adnexal masses: an international multicenter study . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61Relatore: Dott.ssa Antonia Testa - Correlatore: Prof. Giovanni Scambia

> Marco Petrillo L’attivazione del pathway HGF/c-MET media l’aggressività biologica nelle pazienti affette da carcinoma ovarico avanzato sottoposte a chemioterapia neoadiuvante . . . . . . . . . . 67Relatore: Prof. Giovanni Scambia - Correlatore: Dott. ssa Anna Fagotti

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BackgroundIl ritardo di crescita intrauterina (IUGR) è unacomplicanza della gravidanza associata con unavarietà di esiti perinatali avversi. C’è scarso con-senso in letteratura e nella comune pra-tica clinica per quanto riguarda termi-nologia, eziologia e criteri diagnostici,con conseguente incertezza circa la ge-stione ottimale e il timing del parto.IUGR è un termine generico che indicauna condizione nella quale il feto nonraggiunge il peso minimo stabilito perl’epoca gestazionale. Questo può dipen-dere sia da una prederminazione gene-tica in cui il feto risulta costituzionalmente piccolo,ma raggiunge il suo potenziale di crescita (Smallfor Gestational Age – SGA) sia da fattori esterniper cui il feto con ritardo di crescita non raggiungeil suo potenziale di crescita a causa di una condi-zione patologica sottostante (1). Il termine IUGR,quindi, va limitato a quei feti ritenuti “a rischio”per esito potenzialmente sfavorevole a causa diuna condizione di insufficiente apporto ossigena-tivo – metabolico.

Tradizionalmente si riconoscono due tipologiedi IUGR: simmetrico e asimmetrico. Lo IUGRsimmetrico presenta tutte le misurazioni - addo-minale, cranica e scheletriche - diminuite propor-zionalmente ed è dovuto ad un danno fetale pre-coce (2-4). Lo IUGR asimmetrico ha esordio inepoca gestazionale tardiva, quando la crescita fe-tale è legata alla dimensione cellulare. È caratte-rizzato da una diminuzione relativamente mag-giore della dimensione addominale rispetto aquella della circonferenza della testa e dei para-metri scheletrici.

Lo IUGR complica il 3-12% delle gravidanzenei Paesi industrializzati e il 12-40% nei Paesi invia di sviluppo. L’incidenza dello IUGR varia inbase all’età gestazionale (EG): 90% tra 32-33 set-

timane; 50% tra 34-35 settimane; 10% tra 37-38settimane. I feti IUGR che sopravvivono all’am-biente uterino presentano un aumentato rischiodi morte perinatale e di morbilità legata a sepsi,

enterocolite necrotizzante (NEC), emor-ragia intracranica, encefalopatia ipossico– ischemica, trombocitopenia, insuffi-cienza renale, ipoglicemia, ipotermia,iperviscosità, policitemia, iperbilirubine-mia, deficit immunitari, aspirazione dimeconio, respiratory distress syndrome(RDS) e asfissia (4-8).

Stabilire la causa esatta di un ritardodi crescita è spesso difficile, il più delle

volte impossibile. Le cause di IUGR possono es-sere classificate come fetali, materne, materno-fe-tali. Le cause materne sono: malformazioni ute-rine, diabete con vasculopatia, nefropatie croniche,broncopneumopatia cronica ostruttiva, iperten-sione, preeclampsia, malattie della coagulazione,trombofilie congenite o acquisite, anemie materne,uso di sostanze teratogene, fumo, alcool e droghe,ridotta nutrizione (9-10).

Il fattore materno-fetale più importante è quelloplacentare. I fattori placentari includono placen-tazione insufficiente, anomalie a carico della pla-centa e del cordone ombelicale, come tumori pla-centari, accretismo, infarto, abruptio placentaeparziale cronica, placenta previa, mosaicismo pla-centare (es. Trisomia 16) e inserzione marginale ovelamentosa del funicolo, anomalo coiling cordo-nale, infezioni intrauterine.

Le cause fetali includono: alterazioni cromo-somiche come le aneuploidie (5-20%) e le cromo-somopatie, sindromi genetiche, gravidanza multi-pla, errori congeniti del metabolismo. In questifeti si manifesta nella maggior parte dei casi unoIUGR simmetrico precoce, che spesso è moltograve (4,10).

Di fondamentale importanza, ai fini dia-

Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonataleSpecializzanda: Dott.ssa Lucia Casarella

Relatore: Prof.ssa Catia M. Bilardo

Correlatori: Dott.ssa Anna Franca Cavaliere e Dott.ssa Sara De Carolis

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gnostici, è la conoscenza dell`epoca gestazionaleesatta. Il miglior test diagnostico in epoca prena-tale per la diagnosi di IUGR è l’ecografia seriata,sebbene una percentuale significativa (fino al 20%)di gravidanze interessate non verrà identificatacorrettamente. Per valutare la stima della crescitafetale, sono comunemente usate quattro misurebiometriche: diametro biparietale, circonferenzadella testa, circonferenza addominale, lunghezzadel femore. Formule multiple sono state utilizzateper calcolare il peso fetale in base a questi para-metri biometrici, ma quella universalmente rico-nosciuta è, senza dubbio, la formula di Hadlock(11). Lo IUGR raramente diventa evidente primadelle 28 settimane di gestazione, a meno che nonsia molto grave, e quindi l’ecografia di accresci-mento in un paziente ad alto rischio dovrebbe es-sere performata dopo tale settimana, se la crescitaè normale, potrebbe essere ripetuta dopo 4 setti-mane per confermare la normale velocità di cre-scita. La biometria non dovrebbe essere ripetutapiù spesso di una volta ogni due settimane, al finedi minimizzare l’errore diagnostico.

Uno strumento di grande valore nella diagnosie gestione dello IUGR è la Doppler velocimetria.Dal momento che i più precoci segni della com-promissione fetale si hanno per una riduzionedell’apporto di sostanze nutritive e di ossigeno chedeterminano variazione nell’emodinamica fetale,la flussimetria Doppler gioca un ruolo fondamen-tale nella valutazione dello stato di funzionalitàplacentare e del relativo rischio in caso di deterio-ramento della sua funzione. L’arteria ombelicaleviene studiata come indice di un inadeguato e in-sufficiente sviluppo del letto vascolare placentare,ma non riflette il grado di adattamento fetale atale condizione. Nei casi in cui si instaura unacondizione di ipossia cronica con conseguente ipo-sviluppo del feto si evidenzia un aumento dellapressione arteriosa fetale con vasocostrizione pol-monare, periferica e vasodilatazione cerebrale, co-ronarica e surrenalica. In particolare, si osservaun aumento del flusso diastolico cerebrale, feno-meno definito Brain sparing Effect (BSE). Si defi-nisce così un meccanismo di compenso per il quale

l’ossigenazione degli organi vitali del feto vienepreservata mediante un aumento del flusso san-guigno nei distretti “nobili”. Una crescita del rap-porto tra arteria ombelicale e arteria cerebralemedia (CPR Ratio), si associa ad un elevato rischiodi danno cerebrale così come di ischemia e diemorragia cerebrale. Il riscontro di una centraliz-zazione del circolo conferma uno stato di ipossiafetale e la necessità dello studio della circolazionevenosa fetale per evidenziare il deterioramentodella funzione cardiaca. Così nel dotto venoso,caratterizzato da un flusso anterogrado in condi-zioni di benessere, si osserverà un reflusso durantela sistole atriale. Lo scompenso nelle fasi terminaliè caratterizzato da un flusso diastolico assente odinvertito (reverse flow), un aumento dell’onda “re-verse” in vena cava inferiore, una pulsazione dellavena ombelicale cui corrispondono decelerazionitardive al tracciato cardiotocografico (CTG), ov-vero sofferenza fetale.

La distribuzione della circolazione nei vari or-gani può essere misurata dopo la nascita calco-lando la quantità di ossigeno tissutale, utilizzandola Near Infrared Spettroscopy (NIRS) (12-13). LaNIRS è un metodo non invasivo che può essereutilizzato per misurare l’ossigenazione dei tessutiin maniera continuativa. La NIRS è stata intro-dotta come metodo per monitorare l’ossigenazionee l’emodinamica cerebrale (14). Il principio dellaNIRS è basato sulla differente capacità di assor-bimento della luce da parte dell’Hb ossigenata odeossigenata. Lo spettrometro calcola il rapportotra emoglobina ossigenata rispetto alla quantitàtotale di emoglobina, fornendone il valore asso-luto: rSO2.

L’ossigenazione regionale dei tessuti (rSO2) ri-flette un letto vascolare venoso. Quando l’ossige-nazione arteriosa (saturazione transcutanea,SpO2) viene misurata simultaneamente, mediantepulsossimetria, l’equilibrio fra domanda e con-sumo di ossigeno a livello tissutale (estrazione diossigeno tessuto frazionaria, FTOE) può esserecalcolata utilizzando la seguente equazione: FTOE= (Sp02 – rSO2)/ SpO2. La FTOE riflette l’equi-librio tra l’apporto e l’estrazione di ossigeno tissu-tale e può essere utilizzato come indicatore del-l’ossigenazione dei tessuti e, quindi, di inadeguataperfusione (15).

Questo metodo può rappresentare in ma- >>

Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale

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niera più accurata la perfusione corporea totalenei neonati a rischio di insufficienza circolatoria(16-17). Le misurazioni NIRS multi-site potreb-bero in particolare essere rilevanti per i neonatiIUGR, specialmente in caso di IUGR asimme-trico.

MetodiNel nostro studio ci siamo concentrati sulla rile-vazione della disfunzione placentare prima dellanascita e sulla sua importanza per il neonato dopola nascita. Il nostro SCOPO PRINCIPALE è statoquello di determinare se le misurazioni Dopplerprima della nascita possano essere indicative delladistribuzione della circolazione del neonato dopola nascita. Lo SCOPO SECONDARIO è statoquello di valutare se l’associazione tra i PIs e ladistribuzione della ossigenazione postnatale diffe-risca tra i neonati prima della 34ª settimana + 0giorni di gestazione e quelli nati successivamentea tale epoca.

È stato pertanto effettuato uno studio osserva-zionale prospettico di coorte in cui sono stati in-clusi 47 nati affetti da IUGR, monitorati durantela gravidanza presso il Dipartimento di Ostetriciae Ginecologia della Universitair Medisch CentrumGroningen (UMCG) da Gennaio 2013 a Gennaio2014. L’inclusione nello studio è stata considerataprenatalmente al riscontro ecografico di una cir-conferenza addominale al di sotto del 10° percen-tile. Sono state incluse solo gravidanze singole.Sono stati esclusi casi di anomalie cromosomicheo sindromi malformative e infezioni congenite. Atutti i genitori è stato fornito il protocollo di studioe il consenso informato. Le misurazioni Doppler(arterie uterine, ombelicale e cerebrale media,dotto venoso) venivano eseguite settimanalmentedal momento della diagnosi di IUGR fino allanascita; oppure due volte alla settimana in caso dipeggioramento delle condizioni fetali o dopo le37 settimane di gestazione. Al fine dello studio siè tenuto conto solo dell’ultima misurazione rilevataprenatalmente e si iniziava la registrazione NIRSentro 18 ore dalla nascita, per due ore al giornodal primo al terzo giorno. I SomaSensors sono

stati collocati su tre posizioni: lato frontoparietalesinistro della testa del neonato (cerebrale), un cen-timetro sotto l’ombelico (addominale/splancnico)e fianco posteriore sinistro (rene). Le prime misuredovevano avvenire entro 18 ore dopo la nascita.Come misure di outcome sono stati utilizzati i va-lori NIRS, quali rSO2, SO2 transcutanea (SpO2),e FTOE calcolata del distretto cerebrale, renale eaddominale.

Analisi Statistica Abbiamo calcolato lo Z-score dei PI delle misura-zioni Doppler e li abbiamo usati come variabilicontinue per correlarle con i valori NIRS dei di-stretti studiati intese come variabili continue dioutcome: rSO2, SpO2 e FTOE. La FTOE riflettel’equilibrio tra l’apporto e l’estrazione di ossigenotissutale e può essere utilizzato come indicatoredell’ossigenazione dei tessuti e, quindi, di inade-guata perfusione. Per valutare l’associazione trale misure PI prima della nascita - da un lato - e lemisure FTOE e rapporto FTOE dopo la nascitadall’altro - sono stati calcolati i coefficienti di cor-relazione di Spearman, data la distribuzione nonnormale dei dati.

Risultati e DiscussioneSono stati inclusi in questo studio prospettico os-servazionale di coorte 47 neonati. Il gruppo è statodiviso in due sottogruppi in base all’età gestazio-nale al parto: Gruppo A ≤34 settimane (nr. 20neonati); Gruppo B >34 settimane + 0 giorni (nr.27). La distribuzione dei dati dei due gruppi è laseguente:

Gruppo A: la mediana del peso alla nascita èstata di 962 grammi (≤10ºpc) (interquartile rangeIQR 735-1315) e della circonferenza cranica èstata di 25.5 cm (IQR 23.6-28.3). L’Apgar scoremedio al 1º minuto è stato 6 (IQR 3-8), al 5º mi-nuto 7.5 (IQR 6-8.7). Otto (40%) neonati presen-tavano un pattern di crescita asimmetrico. Tutti ineonati di questo gruppo sono stati ricoveratipresso la Terapia Intensiva Neonatale. La duratamedia della degenza è stata 23 giorni (IQR 6-31).La mediana del pH misurato a livello arteriosodel cordone ombelicale è stata 7.23 (IQR 7.15-7.27), l’Eccesso Basi -3.0 (IQR (-4.75)-(2)). L’etàmaterna media al momento del parto è stata 29.9anni (27.1-34.7) e la mediana del BMI 26.4 >>

Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale

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(23.5-29.6). Otto madri hanno dichiarato di fu-mare nel corso della gravidanza e 3 di questehanno smesso di fumare nel corso della gestazione.Si sono verificati 2 casi di sindrome HELLP (10%)e 6 di preeclampsia (30%), in 12 è stata fatta dia-gnosi di oligoidramnios (60%), a 19 feti (95%) èstata effettuata la profilassi con corticosteroidi an-tenatali per la maturazione polmonare, in 2 casi(10%) si è verificata pPROM da più di 12 ore.Due (10%) sono stati i parti vaginali; 17 (85%) Itagli cesarei primari, 1 donna ha avuto un tagliocesareo ripetuto (5%).

Gruppo B: la mediana del peso alla nascita èstata di 2420 grammi (≤10ºpc) (IQR 1980-2640)e quella della circonferenza cranica di 31.2 cm(IQR 30 -32.5). L’Apgar score medio al 1º minutoè stato 9 (IQR 7-9), al 5º minuto 9 (IQR 8-10). In8 neonati il pattern di crescita risultava asimme-trico (29.6%). Solo 5 neonati sono stati ricoveratinella TIN (18.5%). La durata media della degenzaper questo gruppo di neonati è stata 4 giorni (IQR3-6). La mediana del pH misurato a livello arte-rioso del cordone ombelicale è stata 7.21 (IQR7.15-7.25), l’Eccesso Basi -6.0 (IQR (-7)-(4)). L’etàmaterna media è stata 31 anni (25.5-34.8) e delBMI 20.6 (19.5-22.4). Delle 27 madri appartenentia questo gruppo, 13 (48.1%) hanno dichiarato difumare durante la gravidanza e 3 di queste (11.1%)hanno smesso in corso di gestazione. Non si è re-gistrato nessun caso di HELLP, 1 caso di pree-clampsia (3.7%), in 12 casi è stata fatta diagnosidi Oligoidramnios (44.4%); a 2 feti (7.4%) è stataeffettuata la profilassi con corticosteroidi antenataliper la maturazione polmonare, in 1 caso (3.7%) siè verificata pPROM da più di 12 ore. Il 63% (17casi) ha avuto un parto vaginale, 3 donne (11.1%)hanno avuto un taglio cesareo primario, 7 un ta-glio cesareo ripetuto (25.9%).

Le complicanze neonatologiche sono state mag-giori nel Gruppo di neonati ≤34 settimane di ge-stazione. Due neonati del Gruppo A sono dece-duti, uno a causa di una enterocolite necrotizzantedopo 50 giorni dalla nascita, il secondo per unadisplasia broncopolmonare dopo tre mesi dallanascita.

Abbiamo ottenuto la misura NIRS multi-siteal primo giorno per 40 neonati; di questi, in 16non è stato possibile registrare con il sensore ad-dominale a causa della presenza del catetere om-belicale. Al giorno 2 le registrazioni sono state ef-fettuate solo su 35 bambini dal momento che partedi essi era stata dimessa in condizioni di benessere.Il terzo giorno, altri 4 bambini sono stati dimessi,quindi abbiamo registrato la multi-site NIRS per31 bambini.

Il nostro studio ha dimostrato che nei feti conIUGR del Gruppo A (≤ 34 settimane) esistonodiverse associazioni tra i valori della VelocimetriaDoppler e la saturazione di ossigeno a livello re-gionale in vari organi dopo la nascita. L’associa-zione più forte è risultata essere quella positivatra il PI dell’arteria ombelicale e la FTOE addo-minale (parametro che riflette l’equilibrio tra larichiesta di ossigeno da parte dei tessuti e l’estra-zione dello stesso) al giorno 1 dopo la nascita. Perquel che riguarda l’arteria cerebrale media e ildotto venoso sono state riscontrate diverse asso-ciazioni al giorno 1, 2 e 3 in entrambi i gruppi dineonati. L’ipotesi primaria di questa tesi risulta,pertanto, confermata.

Lo scopo secondario era stabilire se esistevanoassociazioni tra le misurazioni Doppler e la distri-buzione post natale dell’ossigenazione e come que-ste differivano tra i due gruppi A e B dei feti conIUGR. Nei neonati del gruppo A abbiamo riscon-trato una rSO2 più alta e una FTOE cerebralepiù bassa rispetto ai neonati del gruppo B. Taledifferenza svanisce nei primi due giorni dopo lanascita. Pertanto si può concludere che i neonaticon IUGR nati prima delle 34 settimane di gesta-zione che presentano brain sparing in utero lomantengono fino a due giorni dopo la nascita.Tale meccanismo non era presente nei nati dopo34 settimane di gestazione. La nostra ipotesi, per-tanto, risulta confermata.

Abbiamo riscontrato diverse associazioni, sti-mate da moderate a forti, tra il PI dell’arteria om-belicale e le misurazioni NIRS nei neonati delgruppo A al giorno 1. Le associazioni che abbiamoriscontrato, invece, nel gruppo B erano esclusiva-mente di grado moderato.

Abbiamo riscontrato nel gruppo dei neonatiprima della 34ª settimana uno z-score medio delPI dell’arteria ombelicale significativamente >>

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più alto di quello del gruppo dei nati dopo talesettimana di gestazione. Ciò potrebbe essere laconseguenza di una maggiore incidenza di ano-malie vascolari o disfunzioni della placenta in que-sto Gruppo. Nel nostro studio abbiamo riscontratouna differenza in termini di PI dell’arteria ombe-licale tra neonati affetti da IUGR prima della 34ªsettimana rispetto a quelli nati dopo tale settimanadi gestazione. Abbiamo trovato diverse associa-zioni tra PI dell’arteria ombelicale e rSO2 e FTOEaddominale nel Gruppo A, conformemente allanostra ipotesi. In maniera inattesa, non è stata ri-scontrata alcuna significativa associazione tra i 2gruppi, questo non era in linea con la nostra ipo-tesi. Ci aspettavamo di trovare le associazioni piùforti nel Gruppo A piuttosto che nel Gruppo B.Una possibile spiegazione di tale mancata signifi-catività è che, apparentemente, il PI dell’arteriaombelicale è associato alla misurazione NIRS ad-dominale, indipendentemente dall’epoca di gesta-zione alla nascita. Infine, abbiamo riscontratoun’associazione tra PI dell’arteria ombelicale erSO2 e FTOE addominale al giorno 1 nei neonatiIUGR del Gruppo A, che traduce una circola-zione neonatale alterata nei neonati pretermine.Nello IUGR la ridistribuzione della circolazionefetale avviene a spese di organi viscerali, ad esem-pio il sistema gastrointestinale, come spiegatoprima. Ciò predispone i neonati con IUGR adun’alterazione della funzione intestinale e dellacircolazione intestinale dopo la nascita. La pre-maturità e lo IUGR sono entrambi fattori di ri-schio importanti per lo sviluppo di NEC. I nostririsultati hanno mostrato una variabilità più ampianella rSO2 e nella FTOE addominale in entrambii gruppi, laddove Cortez et al. avevano dimostratovalori bassi di rSO2 a livello addominale, indicatividi “distress intestinale”, in 2 neonati almeno 24-48 ore prima della diagnosi clinica di NEC (18).La NEC si è verificata nella nostra popolazionedi studio, determinando exitus neonatale in 1 neo-nato a 50 giorni dalla nascita. Una possibile spie-gazione è il deterioramento vascolare intestinaleche causa la diminuzione della perfusione e l’ische-mia gastro-intestinale.

Le associazioni tra il PI dell’arteria cerebralemedia e il PI del dotto venoso con le misurazioniNIRS erano di grado moderato. Tale osservazionisono in linea con la nostra ipotesi primaria. L’as-sociazione tra PI dell’arteria cerebrale e misura-zioni NIRS nei neonati nati con IUGR primadelle 34 settimane è più forte di quella nel gruppoB di neonati. Pertanto la nostra ipotesi secondariaè solo parzialmente confermata dai risultati. Loz-score calcolato dei PI dell’arteria cerebrale medianel Gruppo A erano più bassi rispetto a quelli delGruppo B che indica un maggior numero di feticon brain sparing nel gruppo dei neonati primadella 34ª settimana. Questi risultati sono in lineacon gli studi precedenti nei neonati IUGR.

Sorprendentemente, non abbiamo trovato al-cuna associazione tra i parametri Doppler fetali erSO2 cerebrale nei due Gruppi. Verhagen et al.hanno riportato un aumento della saturazione ce-rebrale in neonati prematuri, che suggerisce un’al-terazione dell’associazione tra pattern di flusso emetabolismo fetale (19). Questa alterazione puòfungere da spiegazione per i nostri risultati. LaFTOE riflette l’equilibrio tra apporto e consumodi ossigeno. Una FTOE diminuita e una rSO2elevata possono essere spiegati come aumentodella perfusione cerebrale, da interpretare comeuna prosecuzione del fenomeno di brain sparingdopo la nascita. Tuttavia, i neonati del Gruppo Bmostrano un aumento della FTOE cerebralequindi l’assenza di brain sparing. Tale differenzacon il Gruppo A svanisce dopo i primi due giornidalla nascita.

Un’altra possibile spiegazione è l’autoregola-zione cerebrovascolare, un meccanismo di prote-zione del cervello, che mantiene un costante flussodi sangue nonostante la pressione arteriosa vari(20). I valori relativamente normali o alti di rSO2cerebrale che abbiamo riscontrato nei neonatiIUGR del Gruppo A, potrebbero essere spiegatidal meccanismo di autoregolazione. Abbiamo ipo-tizzato che a causa dello IUGR e del brain sparingin utero nella nostra popolazione di feti al di sottodella 34ª settimana di gestazione, il meccanismodi autoregolazione cerebrovascolare potrebbe es-sere nascosto dalla vasodilatazione cerebrale, adifferenza dei neonati pretermine di appropriatopeso alla nascita. Abbiamo interpretato tale risul-tato come l’instaurarsi precoce di una ridistri- >>

Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale

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buzione della circolazione fetale nei feti IUGR.Pertanto, dopo la nascita, i neonati IUGR hanno,oltre ad una compromessa o mancante autorego-lazione cerebrovascolare, un proprio meccanismodi protezione atto a sostenere un flusso sanguignocerebrovascolare e le esigenze nutrizionali. Maquesto è altamente speculativo.

I valori di riferimento per la saturazione di os-sigeno tissutale nei neonati sono stati riportati daMcNeill et al.: sono descritti valori basali di rSO2cerebrale, renale e addominale nei neonati pre-maturi (≤ 34 settimane) durante le prime settimanedi vita (21). Nel nostro studio abbiamo riscontratouna maggiore rSO2 cerebrale e una rSO2 renaleinferiore, rispetto ai loro risultati in neonati pre-maturi con IUGR. La variabilità della rSO2 erala più bassa per la misurazione cerebrale e la piùalta a livello addominale, tali risultati sono identicinel nostro studio nel Gruppo A. Abbiamo trovatola variabilità più bassa a livello cerebrale in en-trambi i gruppi. Nei primi 3 giorni abbiamo ri-scontrato una lenta diminuzione della rSO2 ce-rebrale, in accordo con lo stesso McNeill. La spie-gazione in merito a valori di rSO2 cerebrale ini-zialmente più alti e gradualmente in discesa puòessere legata al graduale aumento della domandadi ossigeno, anche durante un aumento fisiologicodel trasporto di ossigeno dovuto ad un aumentodel flusso sanguigno. Diversi studi hanno dimo-strato che le velocità di flusso cerebrale neonataleaumenta linearmente entro i primi giorni dopo lanascita. Le differenze riscontrate rSO2 tra il nostrostudio e quello di McNeill, possono essere il risul-tato della IUGR e del brain sparing.

In questo studio, gli z -score del PI del dottovenoso non differiva tra il Gruppo A e il GruppoB.

Nei neonati del Gruppo A è stata riscontratain un solo caso l’associazione tra PI del dotto ve-noso e SpO2. Più il PI del dotto venoso deviadalla normalità, cioè maggiore è la resistenza deiletti vascolari, migliore è la saturazione di ossigenotranscutaneo dopo la nascita.

L’associazione positiva tra il PI del dotto venosoe la saturazione di ossigeno transcutanea dopo la

nascita va interpretato come una sorta di mecca-nismo di compensazione per lo stato di ipossia delfeto, a causa della ipoperfusione tissutale. Questotipo di meccanismo di compensazione può pro-vocare uno stato temporaneo di iperossia del bam-bino dopo la nascita. Successivamente, la satura-zione di ossigeno transcutaneo ritorna alla nro-malità al giorno 2. Questo supporta la nostra ipo-tesi per cui una ridistribuzione della circolazionefetale sussiste per diversi giorni dopo la nascita.

Abbiamo riscontrato alcune associazioni tra ilPI del dotto venoso e la circolazione neonatale algiorno 3 (rSO2 e FTOE renale). Una possibilespiegazione potrebbe essere data dalla perdita didati relativi al dotto venoso e dalla diminuzionedel numero di bambini ospedalizzati, successiva-mente alla dimissione dei neonati in buone con-dizioni di salute. Ciò causa un errore nello studio.

Dato rilevante del nostro studio, oltre che esserelongitudinale, è rappresentato dal fatto che unsolo ecografista esperto ha eseguito le misurazioniDoppler, in tal modo le misurazioni non sono sog-gette a variabilità inter osservatore, rendendoleaffidabili. Un enorme punto di forza è che i neo-nati IUGR sono equamente distribuiti nei 2Gruppi. Quali sono tuttavia i limiti? In primoluogo, il numero relativamente ridotto del cam-pione di studio. Tuttavia, poiché questo è uno stu-dio di coorte osservazionale prospettico, può for-nire ipotesi, i nostri risultati potrebbero essere in-clusi in un campione più ampio e avere una signi-ficatività maggiore. In secondo luogo, non è statostudiato nessun gruppo di controllo con il qualeparagonare la circolazione fetale dopo la nascita,dal momento che si tratta di uno studio osserva-zionale. Da rilevare anche che il metodo NIRSha alcuni svantaggi: le misurazioni vengono presesolo per un periodo di 2 ore al giorno. Questopuò essere un limite, perché diminuzioni impor-tanti rSO2 potrebbero avvenire successivamente.Un’altra implicazione da considerare è l’associa-zione tra prematurità, IUGR e NEC: il neonatopretermine con IUGR è ad alto rischio di svilup-pare una NEC e richiede ulteriori studi dirimenti.La NIRS potrebbe essere uno strumento utile pervalutare e rilevare lo sviluppo di NEC mediantemisurazione della rSO2 addominale.

La finalità principale di questo studio, che lorende peraltro originale, è stata valutare l’as- >>

Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale

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sociazione tra circolazione fetale e neonatale econfrontare questi dati tra i due Gruppi. Se nepotrebbero dedurre implicazioni cliniche: i datiindicano che il brain sparing in neonati prematuricon IUGR persiste dopo la nascita. Ciò che meritaulteriori indagini è il possibile meccanismo di pro-tezione di brain sparing nel feto e nel neonato.

ConclusioniI nostri risultati hanno dimostrato che esistonoalcune associazioni tra misurazioni Doppler pre-natali e saturazione di ossigeno a livello delle re-gion renale e addominale nei neonati IUGR.Abbiamo ipotizzato che queste associazioni sianogiustificabili in base alla ridistribuzione della cir-colazione nei feti IUGR. Sorprendentemente,non abbiamo trovato alcuna associazione tra sa-turazione di ossigeno cerebrale e Doppler fetalenei neonati pretermine. Abbiamo riscontrato unaFTOE cerebrale più bassa nei neonati nati primadella 34ª settimana di gestazione rispetto ai neo-nati nati dopo questa settimana, che può sugge-rire come i neonati pretermine IUGR manten-gano una vasodilatazione cerebrale di adatta-mento dopo la nascita, fenomeno non si riscontranei neonati IUGR dopo la 34ª settimana di ge-stazione. l

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Velocimetria Doppler nel Feto IUGR: correlazione con l’outcome neonatale

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Obiettivo dello studioLo studio retrospettivo condotto sulla casistica dipazienti afferenti al Day Hospital (DH) di Oste-tricia del Dipartimento per la tutela della salutedella Donna e della Vita Nascente, delNeonato e dell’Adolescente del Policli-nico “Agostino Gemelli” di Roma si pro-pone di precisare il counseling fornitoalla paziente in gravidanza a cui vieneriscontrata la patologia fetale igroma ci-stico. Questo al fine di contenere il dub-bio diagnostico e di ricercare elementiprognostici utili alla consulenza ostetrica.Inoltre risulta fondamentale aver ogget-tivato il follow-up in età infantile per fornire allamadre una precisa consulenza sul benessere neu-rocognitivo e psicomotorio post-natale del feto.

Materiali e metodiLo studio retrospettivo condotto riguarda una ca-sistica di pazienti afferenti presso il Day Hospital(DH) di Ostetricia del Dipartimento per la tuteladella salute della Donna e della Vita Nascente,del Neonato e dell’Adolescente del Policlinico“Agostino Gemelli” di Roma tra il maggio 1985 eil dicembre 2012.

237 pazienti con una diagnosi di sospetta mal-formazione vasculo-linfatica del collo fetale sonostate valutate mediante ecografie ostetriche seriateeffettuate ogni tre settimane di gravidanza.

Gli studi ultrasonografici sono stati eseguiti me-diante Technos MP ESAOTE High DefinitionSystem e VOLUSON E8 usando sonde trans-ad-dominali a 3,5 MHz e sonde trans-vaginali.

Una volta posta la diagnosi di certezza, la cop-pia (ovvero la paziente e talvolta il partner) ha ri-cevuto un counseling diagnostico-prognostico alfine di precisare i punti chiave della gestione oste-trica del caso, l’associazione con patologie mal-formative eventualmente presenti, con cromoso-

mopatie e patologie cardiologiche fetali, e infineper illustrare l’eventualità di regressione in uterodella patologia del feto, specialmente se la formaera isolata.

Così è stata proposta la possibilità diprecisazione diagnostica mediante ac-certamento del cariotipo (amniocentesi)ed ecocardiografia fetale e, in buonaparte dei casi, quando questo era indi-cato, mediante il colloquio con un chi-rurgo pediatrico.

Il follow-up ostetrico è stato ottenutomediante ripetute interviste telefonichealle pazienti e mediante l’utilizzo del Si-

stema Informatico del Policlinico “A. Gemelli”(reperimento esami effettuati e referti di interventichirurgici ostetrici), che hanno permesso di rico-struire la storia clinica delle gravidanze inficiatedalla diagnosi fetale di igroma cistico.

Per quanto riguarda l’analisi statistica è statoeseguito il test del chi-quadrato per valutare l’as-sociazione tra esito neonatale (morte endouterinavs nato vivo) ed esito della gravidanza (aborto vsTC vs PS) con le seguenti variabili: NT alterata,edema nucale, igroma cistico, igroma settato/nonsettato, igroma retronucale/non retronucale,igroma associato/isolato, igroma regredito, igromascomparso, idrotorace, ascite, idropericardio,idrope, anasarca, cardiopatie, altre patologie fetaliassociate, cariotipo alterato, altri aborti.

Il test di Mann-Whitney è stato compiuto pervalutare l’associazione tra l’esito neonatale e l’etàmaterna, la dimensione dell’NT e dell’igroma (dia-metro massimo prima e ultima misurazione) e ledimensioni dell’ascite.

I neonati vivi, figli delle madri sottoposte aipredetti controlli presso il DH di Ostetricia, sonostati valutati in collaborazione con i colleghi Neu-ropsichiatri infantili del Dipartimento per la Tuteladella Salute della Donna e della Vita Nascente,

Igroma cistico: storia naturale ostetrica e follow-up neurocognitivo e psicomotorio infantileSpecializzando: Dott. Marco D’Errico

Relatore: Prof. Giuseppe Noia - Correlatore: Prof. Alessandro Caruso

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del Neonato e dell’adolescente, i quali hanno visi-tato i pazienti e hanno somministrato loro specificiquestionari scientificamente validati al fine di va-lutare il grado di rilevanza degli aspetti neuroco-gnitivi e psicomotori della patologia igroma cisticosui bambini (casistica fino ai 26 anni di età) le cuimadri avevano ricevuto tale diagnosi in gravi-danza.

A tutti i genitori dei bambini/adole scen -ti/adulti con riscontro ecografico di igroma ingravidanza è stata somministrata durante un’in-tervista il test Vineland Adaptive Behavior Scalesin forma completa per valutare la percezione deigenitori rispetto alle competenze adattive dei ri-spettivi figli.

Questo test valuta l’autonomia personale e laresponsabilità sociale delle persone dalla nascitafino all’età adulta.

La valutazione è suddivisa in quattro scale:

1) SOCIALIZZAZIONE suddivisa in tre sotto-scale: • RELAZIONE INTERPERSONALE• GIOCO E TEMPO LIBERO• REGOLE SOCIALI

2) ABILITÀ MOTORIE suddivisa in due sotto-scale: • GROSSOLANE• FINI

3) COMUNICAZIONE suddivisa a sua volta in tre sotto-scale: • RICEZIONE• ESPRESSIONE • SCRITTURA

4) ABILITÀ QUOTIDIANE suddivisa in tre sotto-scale: • PERSONALE• DOMESTICO• COMUNITÀ

n BAMBINI DI ETÀ COMPRESA TRA 1 ANNO E DUE MESI E 3 ANNIPer valutare lo sviluppo psicomotorio sono state

somministrate le Griffith’s Developmental Scales

(GMDS) : la valutazione cognitiva più utilizzata alivello internazionale per i bambini di età com-presa tra 0 e 4 anni.

n BAMBINI DI ETÀ COMPRESA TRA 4 E 6 ANNIPer valutare il livello cognitivo dai 4 anni in su

è stato somministrato il test delle matrici progres-sive colorate di Raven . Si tratta di un test di fun-zione logica non verbale, basato su modelli figu-rativi a difficoltà crescente, nel quale il soggettodeve identificare l’unica soluzione possibile traquelle proposte per completare correttamente ilmodello.

n BAMBINI A PARTIRE DAI 5 ANNI E 9 MESI DI ETÀA partire dai 5 anni e 9 mesi per valutare le

competenze motorie sono state eseguite le provedel Movement Assessment Battery for Children(ABC-2) che esamina le capacità manuali, le abi-lità con il sacchetto e l’equilibrio (statico e dina-mico).

Risultati della casistica ostetricaLa casistica ostetrica riguarda 237 pazienti affe-renti presso il DH di Ostetricia del Policlinico “A.Gemelli” dal maggio 1985 al dicembre 2012 condiagnosi di patologia malformativa vasculo-linfa-tica fetale. Tra queste, 17 pazienti hanno ricevutouna diagnosi di malformazione linfangiomatosanon assimilabile a igroma cistico, mentre 39 pa-zienti, in seguito ad accertamento della patologiaigromatosa, hanno deciso di interrompere volon-tariamente la gravidanza. Inoltre, per 45 pazientinon è stato possibile reperire informazioni ri-guardo alla gestione ostetrica successiva all’accessoeffettuato in DH di Ostetricia e pertanto, puravendo a disposizione per queste pazienti solo datiparziali (comunque utilizzabili nello studio dellefrequenze dei segni ecografici associati alla pato-logia) si è ritenuto opportuno escluderle dal fol-low-up.

Dunque la rimanente popolazione di studioconsta di 136 pazienti, di cui 93 pazienti hannosubito una interruzione spontanea di gravidanza(intesa come aborto spontaneo o morte endoute-rina del feto) e 43 pazienti (pari al 23% del cam-pione riferibile all’igroma cistico) hanno avuto unfiglio nato vivo, con ripartizione percentuale >>

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della modalità di parto tra un 43% di parti spon-tanei e un 57% di tagli cesarei.

Alla diagnosi l’età media delle pazienti è di 33anni, con una mediana di epoca gestazionale di14 settimane. Quest’ultima ha subito una sensibileanticipazione dal 1995 (mediana riferibile al pe-riodo pari a 15,3 settimane) a oggi, grazie al pro-gresso tecnico e scientifico della metodica ecogra-fica, che attualmente utilizza apparecchi moltopiù sensibili e operatori con maggior esperienzadiagnostica per tale tipo di malformazione.

Mediamente il peso dei neonati vivi è stato di3120 grammi.

L’epoca media di interruzione spontanea digravidanza nel gruppo degli aborti sponta -nei/morti endouterine è di 15 settimane.

Le forme retronucali dell’igroma cistico hannoavuto una frequenza nella popolazione esaminatadel 77%, mentre le forme non-retronucali solodell’8%.

Il 55% delle forme malformative ha mostratouna settazione, il 29% se ne è mostrata priva.

Il 73% dei feti affetti dalla malformazione lin-fangiomatosa ha mostrato altre anomalie ecogra-fiche associate come la presenza di cardiopatie,idropericardio, iperecogenicità intestinale, pato-logie del sistema nervoso centrale, malformazionischeletriche, pielectasia, idrope, idrotorace e ascite.

Il 53% della popolazione di studio ha effettuatometodiche invasive ai fini di precisare il cariotipopresente nei feti igromatosi: nel 59% di queste pa-zienti l’analisi effettuata (amniocentesi, villocentesio cordocentesi) ha mostrato un cariotipo normale,mentre nel restante 41% il cariotipo è risultato al-terato.

Tale ultimo valore percentuale risulta inoltrecosì composto:

Tra le pazienti che avevano effettuato un’eco-cardiografia fetale, il 77% mostrava un quadrocardiologico fetale di normalità, mentre il restante23% (26 pazienti) aveva ricevuto diagnosi di unacardiopatia fetale sottostante.

È stato ulteriormente possibile, in 16 di questicasi, ricostruire la diagnosi di patologia cardiacae il cariotipo fetali sottostanti, ma soprattutto l’out-come della gravidanza, con le relative considera-zioni in termini di frequenza delle singole cardio-patie sottostanti e di altri quadri polimalformativiassociati (sindrome di Noonan). >>

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Il test del chi-quadrato ha evidenziato che levariabili risultate significativamente associate allamorte endouterina sono:

Il test di Mann-Whitney ha evidenziato inoltreche sono associati alla morte endouterina dimen-sioni dell’igroma alla prima misurazione p =

0.003, all’ultima misurazionep = 0.001.

Nella popolazione i neo-nati vivi sono 43 e di questiin 6 casi è avvenuto il decessodopo la nascita (2 casi di di-stress respiratorio, 1 caso diemorragia cerebrale e 1 casodi scompenso cardiaco neo-natale per sindrome di Noo-nan e 2 casi di idrope fetale).In altri 8 casi invece è reli-quata una patologia invali-dante post-natale (2 casi ditrisomia 21, 2 casi di idroce-falia, 2 casi di sindrome diNoonan e 2 casi di quadrisindromici non altrimentispecificati, di cui 1 associatoa labiopalatoschisi). Delle 29pazienti rimanenti in tale sot-topopolazione purtroppo 4sono state non rintracciabilio non complianti al follow-

up proposto e quindi considerate come drop-outdalla popolazione di neonati successivamente stu-diati in epoca infantile riguardo allo sviluppo neu-rocognitivo e psicomotorio.

Risultati della casistica pediatricaI 25 bambini rimanenti sono stati tutti studiatimediante un test che potesse unire una valutazioneneurocognitiva a quella psicomotoria, e in questocaso il Vineland Adaptive Behavior Scales si è di-mostrato essere un test molto sensibile e com-pliante per il nostro fine.

In tutti i casi, i punteggi raggiunti dai bambini(in realtà in un caso la valutazione è stata in epocapost-adolescenziale) in questa scala di valutazionehanno mostrato una normalità dello sviluppo siasul versante neurocognitivo sia psicomotorio.

Tale test in 17 casi è stato somministrato tele-fonicamente ai genitori dei bambini, mentre in 8casi è stato portato a termine mediante visita neu-ropsichiatrica infantile presso il Policlinico “A. Ge-melli”. A tal proposito, questi stessi ultimi 8 >>

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bambini (di età compresa tra 1 anno e 2 mesi e 6anni e 9 mesi) sono riusciti a sottoporsi anche aun completamento della valutazione neuropsichia-trica infantile grazie all’allestimento di un ambu-latorio di follow-up presso il Policlinico “A. Ge-melli” e in questo caso è stato possibile compieresu di loro una valutazione psicomotoria mediantele scale di Griffith e una valutazione cognitiva tra-mite il test delle matrici colorate di Raven.

Inoltre 3 bambini (di età compresa tra i 5 annie 9 mesi e i 6 anni e 9 mesi) sono stati anche sot-toposti a una valutazione motoria pura medianteil Movement Assessment Battery for Children(ABC-2) e in questo caso una bambina ha mo-strato un ritardo temporale nell’esecuzione deltest: il neuropsichiatra infantile esaminante nonha correlato tale ritardo temporale a un patternrallentato di acquisizione motoria ma ad un habi-tus ostinato della bambina in questione, ben lon-tano dal definire un ritardo psicomotorio.

ConclusioniNel presente studio l’igroma cistico si è confermatoessere una patologia grave per il feto e certamenteun evento diagnostico fortemente complicativoper la gravidanza. Ma è necessario contenere ildubbio diagnostico mediante l’applicazione pe-dissequa di alcune valutazioni.

L’igroma cistico è certamente un marker pe-sante di patologie cromosomiche, vista l’elevataincidenza di quest’ultime nella popolazione di stu-dio, ma è anche molto spesso un epifenomeno dimanifestazioni idropico/anasarcatiche e di pato-logie morfostrutturali (soprattutto cardiologiche)del feto.

La gestione proposta alla paziente ha il pregiodi essere finalizzata sensu strictu all’esclusione oalla conferma di tali condizioni sottostanti al-l’igroma cistico e pertanto di consentire appro-priate valutazioni diagnostiche ma soprattutto pro-gnostiche.

Il pregio di tale studio risiede nell’aver dimo-strato che a volte tale patologia, quando non as-sociata alle predette condizioni complicative, per-mette la sopravvivenza del feto fino al termine

della gravidanza e in questicasi la probabilità di unoutcome normale è del58%.

Inoltre è stato impor-tante aver analizzato i mar-ker diagnostici studiatinella popolazione e averrintracciato tra questi al-cuni marker di letalità fe-tale della condizione mal-formativa, cioè segni eco-grafici rappresentanti va-riabili statisticamente e per-tanto clinicamente signifi-cative tra la sottopopola-zione di feti morti sponta-neamente in utero e quelladei neonati vivi.

I risultati di questo stu-dio entrano così a far partedella consulenza che si deveprestare alla madre in casodi diagnosi di igroma ci-stico fetale. l >>

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Igroma cistico: storia naturale ostetrica e follow-up neurocognitivo e psicomotorio infantile

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IntroduzioneNel mondo occidentale, il ricorso al Taglio Cesareo(TC) è progressivamente aumentato negli ultimidecenni (1). Nel 1985, l’Organizzazione Mondialedella Sanità ha emesso un documentoin cui stabilisce che non ci sono beneficiper la salute materno-fetale associati adun tasso di TC superiore al 10-15% (2).L’attuale tasso di TC in molti Paesi èben al di sopra di questo valore . L’Italia,con il 37%, occupa il primo posto tra iPaesi dell’Unione Europea, nel 2012come nel 2011, con valori più che doppirispetto al 14.7% della Finlandia, seguitadal Portogallo con il 33%, mentre tutti gli altriPaesi presentano percentuali inferiori al 30%. Con-siderando i paesi della Regione europea, un valorepiù alto si registra solo in Turchia, con il 47.6%(3); a livello internazionale, valori superiori a quelliitaliani si riscontrano in Brasile, Repubblica Do-menicana e Iran (4). In Italia si è passati dall’11,2%del 1980 al 36,6% del 2012 con valori più bassinell’Italia settentrionale (Lombardia, Veneto e To-scana tasso inferiore al 30%, Friuli Venezia Giulia24%) e più alti nell’Italia centrale e meridionale(Lazio insieme a Campania, Basilicata, Sicilia, Pu-glia, Molise e Calabria); con variazioni anche al-l’interno della stessa area geografica (5). Anchenella nostra regione del centro Italia, il Lazio, siosserva questo andamento: in un periodo di ventianni, dal 1985 al 2005 i tagli cesarei sono aumen-tati dal 23% al 42.7%, con un incremento pariall’85.7%. Nella nostra istituzione universitaria, ilPoliclinico Agostino Gemelli di Roma, il tasso diTC era del 15% negli anni ‘73-‘75, del 30% neglianni ’90, ed è arrivato a superare il 40% dopo il2000. Attualmente oscilla tra il 44 e il 46% neglianni 2012-2013.

La percentuale dei tagli cesarei è considerataun indicatore di qualità delle cure prestate nel-l’ambito della salute materno-infantile (6); l’inter-rogativo che occorre porsi è se il tasso dei cesarei

sia congruo e soprattutto appropriato.Questo tipo di analisi deve utilizzare unametodologia riconosciuta, condivisa eapplicabile a livello internazionale.

A tal proposito, la stratificazione dellacasistica secondo Robson, elaborata nel2001 (Tabella I) (7), rende possibile unacomparazione tra i risultati di una stessaunità operativa in tempi diversi, traquelli di differenti unità operative, e tra

quelli di diverse aree geografiche. I criteri usatida Robson identificano gruppi di donne ben defi-niti, mutuamente esclusivi e totalmente inclusivi,prospettici e clinicamente rilevanti, di facile com-prensione e organizzazione. I gruppi sono statisuddivisi usando i principali parametri ostetricipresenti al momento del parto: la parità (nullipara,multipara con o senza cicatrice uterina); la pre-sentazione fetale (cefalica, podalica, trasversa eobliqua); il numero di feti; il travaglio (spontaneo,indotto, taglio cesareo prima del travaglio) e l’etàgestazionale. Utilizzando questi parametri sonostati definiti dieci gruppi idonei e clinicamente ri-levanti che cercano di riflettere il più possibile larealtà clinica.

Questo studio si propone, tramite l’applicazionedella classificazione di Robson alle pazienti chehanno partorito presso la Sala Parto del PoliclinicoAgostino Gemelli di Roma nell’anno 2013, unacomparazione con alcuni dati della letteratura alfine di identificare le principali componenti chedeterminano il tasso di taglio cesareo. Dai datiemersi si potrebbe prospettare l’elaborazione distrategie per il contenimento dei tagli cesarei.

Analisi della frequenza di tagli cesarei secondo la classificazione di Robsonn e identificazione di strategie per il loro contenimentoSpecializzanda: Dott.ssa Laura Donati

Relatore: Prof. Alessandro Caruso - Correlatore: Prof. Sergio Ferrazzani

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Materiali e metodiTutte le donne che hanno partorito nel PoliclinicoA. Gemelli tra il 1/1/2013 e il 31/12/2013 sonostate classificate nelle 10 classi di rischio clinicosecondo Robson. La raccolta dei dati è stata con-dotta in maniera prospettica, tramite la consulta-zione della documentazione clinica in sala partoentro 12 ore dal parto, da un solo medico e con ilcontrollo del medico senior responsabile.

Per ogni paziente sono stati analizzati i para-metri necessari per la classificazione di Robson ealtre informazioni rilevanti: parità; presenza enumero di pregressi tagli cesarei; modalità delparto; induzione farmacologica del travaglio; pre-sentazione fetale; numero di feti; epoca gestazio-nale; indicazione al taglio cesareo pre-travaglio;indicazioni al taglio cesareo in travaglio; età ma-terna. Per analizzare in parte le modificazionidelle caratteristiche delle pazienti nel tempo èstata raccolta l’età materna in due anni campione:il 1995 e il 2005. Tutti i dati sono stati raccolti inun database.

È stato calcolato il numero totale dei parti, ilnumero totale dei tagli cesarei, e la frequenza glo-bale di ricorso al taglio cesareo. Le donne sonostate suddivise nelle classi di rischio e per ogniclasse è stato indicato il numero totale delle par-torienti, e quante tra queste sono state sottopostea taglio cesareo. Questo dato indica la frequenzadi taglio cesareo per ogni singola classe ed è statoottenuto dividendo il numero di TC per il numerototale di parti in ogni gruppo, espresso in percen-tuale. In seguito è stata calcolata la dimensionerelativa di ogni gruppo rispetto all’intera popola-zione, dividendo il numero dei parti in ognigruppo per il numero totale di parti dell’interapopolazione, espresso in percentuale. Questo datofornisce indicazioni circa le caratteristiche oste-triche della popolazione in studio. Per ogni classedi rischio clinico è stato inoltre calcolato il contri-buto assoluto al totale dei tagli cesarei, dividendoil numero di cesarei in ogni gruppo per il numerototale di parti dell’intera popolazione, espresso inpercentuale. Il contributo di ogni gruppo al >>

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totale dei TC dipende quindi non solo dalla per-centuale di TC entro il gruppo, ma anche dalladimensione della popolazione ostetrica in quelgruppo.

RisultatiNel periodo in esame nel nostro Policlinico sonostati espletati 3255 parti. Di questi, 1433 tramiteTaglio Cesareo, cioè il 44%. In Tabella II sonoriportati: il gruppo di appartenenza (colonna 1),la distribuzione delle pazienti nelle singole classidi rischio clinico, cioè il numero totale delle

donne in ogni gruppo e quante di queste hannosubito un TC (colonna 2), la dimensione relativadel gruppo (colonna 3), la frequenza di TC perogni singola classe di rischio (colonna 4) e il con-tributo assoluto di ogni classe al totale del TC(colonna 5).

L’analisi delle caratteristiche delle pazienti ciha mostrato che l’età materna, come atteso, è au-mentata dagli anni ’90 agli anni 2000. Infatti nel1995 l’età media delle gestanti che hanno partoritopresso il nostro ospedale era 30.9 anni, nel 200532.3 anni e nel 2013 32.8 anni. Secondo datiISTAT del 2012 l’età materna media al parto inItalia è 31.4 anni (nord 31.5; centro 31.8; sud31.2) (8).

Dall’analisi della distribuzione delle pa- >>

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zienti del 2013 si evince che i gruppi 1, 2, 5 e 10contribuiscono all’80% del tasso globale di TC.

Il gruppo 5 è il più grande contributore singolo,costituito da donne con gravidanza singole, al-meno un pregresso TC, a termine, con feto inpresentazione cefalica. Sebbene il gruppo rappre-senti solo il 14% dell’intera popolazione, con untasso di TC pari al 97% è al primo posto per ilcontributo assoluto al totale dei TC, con il 13.6%.

A seguire il gruppo 2, un gruppo molto ampio,costituito da nullipare con gravidanza singola, atermine, con feto in presentazione cefalica, in tra-vaglio indotto o che si sottopongono a TC pre-travaglio. Questa classe costituisce il 24% dell’in-tera popolazione, cioè il gruppo più numeroso,ed è il secondo contributore singolo al totale deiTC (11.4%).

Il terzo maggior con-tributore è il gruppo 10(gravidanza singola, pre-termine, presentazionecefalica), con il 6.7%.Questo gruppo costitui-sce il 9.6% dell’interapopolazione ostetrica,cioè è al quinto postodopo le classi 2, 1, 3 e 5,e ha un tasso di TC diben il 70%.

Il gruppo 1, cioè ilgruppo di nullipare congravidanza singola, atermine, feto in presen-tazione cefalica e trava-glio spontaneo, rappre-senta solo il 20% del totale della popolazione, conun tasso di TC del 17.5%, ed è il quarto contri-butore al totale dei TC.

I gruppo 6 e 7 (nullipare e multipare con gra-vidanza singola e feti in presentazione podalica),8 (gravidanza multiple) e 9 (gravidanza singolacon feto in situazione trasversa) hanno percentualidi TC molto alte, tra l’88% e il 100%. Tuttavia,essendo gruppi piuttosto esigui, il loro contributoal totale dei TC è molto basso.

Discussione Appare interessante confrontare i dati della nostracasistica all’elaborazione di Robson del 2013 (6).

Generalmente, secondo la valutazione di Rob-son, la somma del gruppo 1 e del gruppo 2 costi-tuisce il 35-42% del totale delle pazienti. Nel no-stro centro è pari al 44.4%.

Il rapporto tra gruppo 1 e gruppo 2 (gp 1/gp2) nella colonna 3 (Tabella II) dovrebbe esserepari a 2:1; se inferiore è indice di un alto tasso diinduzioni e TC pre-travaglio, il che comporta unamaggior probabilità di avere un alto tasso di TCnei gruppi 1 e 2 combinati. Nel nostro centro ilrapporto gp 1/gp 2 è invertito (20.4%/24.0%).Ciò significa che il numero di donne che accedonoalla nostra sala parto in stato di travaglio sponta-neo è esiguo rispetto alle donne che vengono in-dotte o che si sottopongono a TC pre-travaglio.

Un’ alta percentuale di TC nel gruppo 2 (piùdel 35%) suggerisce un alto tasso di TC pre-tra-

vaglio. Nella nostra popolazione di studio il tassodi TC nel gruppo 2 è 47.6%. La percentuale diTC nelle donne indotte nel gruppo 2 (gruppo 2a)generalmente è del 25-30%. Nel nostro centro ilgruppo 2a ha un tasso di TC pari al 30%, indi-cando che la quota maggiore è quella apportatadal gruppo 2b (TC pre-travaglio). Questo dato ri-flette in parte la richiesta di TC in elezione daparte delle donne. La Tabella III mostra i sotto-gruppi 2a-2b e 4a-4b nello specifico. >>

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Le possibilità di intervento su queste proble-matiche sono principalmente legate ad uno strettocontrollo sulle indicazioni alle induzioni, sulla me-todologia di induzione e sulla programmazionedei TC pre-travaglio. Ogni istituzione dovrebbeavere una politica chiara riguardo le induzioni,includendo una lista di indicazioni accettabili, do-vrebbe specificare la definizione di cervice favo-revole, le opzioni per la maturazione cervicale inpresenza di una cervice sfavorevole, i protocolli diinfusione ossitocica e i criteri per la diagnosi difallimento dell’induzione (9). In presenza di fattoridi rischio per il TC pre-travaglio, le pazienti an-drebbero esaminate durante la gravidanza, prefe-ribilmente all’inizio del terzo trimestre, daun’equipe di ostetrici esperti, che possano confer-mare le indicazioni al TC, che possono essere fe-tali, materne o indicazioni non mediche, avvalen-dosi anche del parere di colleghi specialisti in altrediscipline, o eventualmente smentirle, motivandole pazienti ad affrontare il travaglio.

La somma del gruppi 3 e 4 general-mente costituisce il 30-40% del totaledella popolazione. Nel nostro centrorappresenta il 24.9%, quindi una po-polazione di multipare al di sotto del-l’atteso, che appare correlato al bassoindice di natalità in Italia ( numero me-dio di figli per donna: 1.42, dati ISTAT2012) (8).

Una percentuale di TC nel gruppo4 superiore al 20% suggerisce un’altarichiesta di TC pre-travaglio, nono-stante ci siano relativamente poche indicazioni as-solute al TC nelle multipare. Nella nostra istitu-zione il gruppo 4 ha una percentuale di TC parial 24.6%. Ancora una volta il contributo maggiorea questa percentuale è apportato proprio dal nu-mero di TC eseguiti pre-travaglio.

Le multipare indotte (gruppo 4a) hanno gene-ralmente un tasso di TC tra il 4 e il 6%. Nel nostrocentro questa percentuale è del 7.1, quindi noneccessivamente superiore alla norma (Tabella III).

Analizzando il gruppo 5, una dimensione su-periore al 10% (colonna, 3 Tabella II) denota

un alto ricorso al TC negli anni passati, prevalen-temente nei gruppi 1 e 2. Nel nostro centro ilgruppo 5 ha una dimensione relativa del 14%. Sientra in questo modo in un circolo vizioso, percui il modo migliore per ridurre il contributo co-stituito da questo gruppo è prevenire il primo TCnelle nullipare.

Il gruppo 10 dovrebbe contenere circa il 4-5%delle donne. Nel nostro centro è 9.6%. Questoperché il nostro Policlinico rappresenta il centrodi terzo livello di riferimento nella nostra regioneLazio per le gravidanze ad alto rischio (circa 35000parti/anno). La percentuale di TC in questogruppo dovrebbe essere tra 15 e 20%. Nella nostraistituzione è del 70%, di cui i tre quarti eseguitipre-travaglio.

Analizzando la colonna 4 della Tabella II, èimportante concentrarsi sulla percentuale di TCnel gruppo 1 e 3. Nel gruppo 1 è considerato sod-disfacente un tasso di TC pari al 10%, mentre nelnostro centro tale percentuale raggiunge il 17%.Le indicazioni più comuni in questo gruppo sono“sospetto distress fetale” e “distocia”, come mo-strato in Tabella VII.

La percentuale di TC in questa classe può es-sere contenuta mediante molteplici interventi: sup-porto continuo in travaglio (assistenza one-to-one)(10); utilizzo di linee guida basate sulle evidenze eapplicate da tutti gli operatori per la diagnosi pre-coce e il trattamento della distocia (11-12); valu-tazione standardizzata della cardiotocografia intravaglio e prelievo di sangue dallo scalpo fetale(13-14); seconda opinione per la scelta di eseguireun TC in travaglio (15); verifica periodica dellacondotta ostetrica tramite “clinical audit” (16).

Nel gruppo 3 il tasso di TC non dovrebbe >>

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essere superiore al 3% e nel nostro centro è parial 2.2%, ma abbiamo visto come la percentualedi multipare rispetto alle nullipare sia esigua trale nostre pazienti.

Nel gruppo 5 sarebbe auspicabile una percen-tuale di TC pari al 50-60%, mentre nel nostrocentro nel 2013 è stata del 96.9%. Un valore cosìalto ci induce ad eseguire un’ulteriore analisi diquesto gruppo, suddividendo le donne in coloroche hanno subito un solo TC da quelle che nehanno subiti più di uno in precedenza e conside-rando la proporzione di donne che sono state sot-toposte a TC fuori travaglio. Nella nostra popo-lazione solo il 22% ha subito due o più pregressiTC oppure un pregresso TC e una pregressa mio-mectomia, pertanto il VBAC (Vaginal Birth AfterCesarean) poteva essere proposto alla maggio-ranza delle pazienti. Nonostante questo, il 94%di queste pazienti ha avuto un TC pre-travaglio,e la restante parte ha comunque optato per il TCa travaglio iniziato senza voler tentare il VBAC.Ci sono dati controversi riguardo il rapporto ri-schi/benefici del travaglio di prova nelle già cesa-rizzate rispetto al TC elettivo ripetuto (17). Re-centi studi indicano che il 60-80% delle donneche hanno subito un TC può partorire per via va-ginale in modo sicuro (18).

Infine, il gruppo 8 (gravidanze gemellari) do-vrebbe contenere l’1.5-2% delle pazienti. Nellanostra casistica rappresenta il 3%, a indicare ladiffusione della procreazione medicalmente assi-stita e l’incremento dell’età delle gestanti. Il tassodi TC in questo gruppo è generalmente il 60%,nel nostro centro è l’87.8%.

I punti salienti nell’analisi dei nostri dati sono:un’alta popolazione di nullipare; un basso rapportotra gruppo1 e gruppo 2 (il gruppo 1 dovrebbe es-sere il doppio rispetto al gruppo 2); una eccessivapercentuale di TC nel gruppo 1; un gruppo 10molto ampio.

ConclusioniI dati emersi dall’elaborazione della nostra casi-stica secondo Robson confermano che tale tipodi analisi è molto utile e scientificamente appro-

priata per valutare la frequenza di TC in terminiassoluti, per paragonare il tasso di TC nella stessaunità in periodi differenti, ma anche per parago-nare differenti unità in altre sedi e per compren-dere il fenomeno dell’aumento dei TC.

Da tali dati possiamo rilevare anzitutto alcunitratti caratterizzanti della popolazione di parto-rienti che afferisce al nostro punto nascita: un nu-mero elevato di primipare (gruppi 1 e 2), di donnecon pregresso TC (gruppo 5) e di gravidanza adalto rischio (gruppo 10). Queste ovviamente sonocaratteristiche non modificabili. Le caratteristichedel campione su cui possiamo agire, invece, sonole seguenti: molti ricoveri in fase latente di trava-glio, o prima del travaglio; molte induzioni chefalliscono l’obiettivo del “parto vaginale” (gruppo2a); molte richieste di TC pretravaglio (indicazionimediche inappropriate e volontà materna, gruppo2b); la sovrastima del CTG non rassicurante e ledifficoltà nella prevenzione o nella corretta dia-gnosi di distocia.

Da questa analisi possiamo dunque individuaredelle strategie concrete per il contenimento deiTC nella nostra struttura. Anzitutto la divulga-zione di linee guida condivise e applicate da tuttigli operatori, per avere una condotta ostetrica uni-forme. L’istituzione, per tutte le pazienti, di unambulatorio per la preospedalizzazione del partoe per la gestione delle pazienti che dovranno sot-toporsi (probabilmente o certamente) ad un TC,a cui accedere tra la 34ª e la 37ª settimana di ge-stazione, condotto da ostetrici esperti in grado dieseguire couselling adeguati alle pazienti e indi-rizzarle verso la scelta migliore per la propriasalute e quella del nascituro.

Riservare il ricovero in sala parto alle gestantiin fase attiva di travaglio o a casi patologici chedevono essere monitorizzati strettamente in attesadi un imminente TC, per non sovraccaricare il la-voro dell’equipe di turno, disperdendone le ener-gie, e monitorizzare le pazienti nelle fasi inizialidi travaglio in altro ambiente. Allo stesso tempo,adeguare il numero delle ostetriche per turno alleesigenze della sala parto (nel nostro caso almeno6) in modo da poter garantire uno stretto rapportotra ostetrica e partoriente.

Istituire una verifica periodica della conduzioneostetrica da parte del responsabile della sala parto,mediante clinical audit. >>

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Probabilmente saranno necessarie ulteriori va-lutazioni nel tempo, ma questa analisi può rap-presentare un’utile visione d’insieme dalla qualepartire per identificare gruppi di donne che pos-sano beneficiare di nuove strategie per il conteni-mento dei TC, in accordo con le evidenze scienti-fiche disponibili. l

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BackgroundLa sterilità costituisce oggi un problema medico esociale che, secondo l’Organizzazione Mondialedella Sanità, interessa circa il 15% delle coppie inetà fertile.1

Negli ultimi anni sono notevolmenteaumentati il numero e le tipologie dicure per la sterilità; nella scelta del trat-tamento bisognerebbe sempre tenerconto non solo della causa, ma anchedelle implicazioni fisiche, psicologicheed etiche che ciascuno presenta.

Quando la sterilità è dovuta a disfun-zioni ovulatorie, in presenza di una con-servata funzionalità ovarica e in assenza di altrecause, i farmaci per indurre l’ovulazione costitui-scono oggi le terapie più utilizzate. Fra questi ilpiù conosciuto è senz’altro il clomifene citrato(CC): in letteratura sono riportate percentuali diovulazione di circa il 75% e una pregnancy rate del20-40% dopo il suo utilizzo.2

Si stima che negli USA l’1,6% delle gravidanzeinizi dopo assunzione di CC, per un totale di oltre65000 donne interessate ogni anno.3 Sebbene siaun farmaco così ampiamente utilizzato, non sonoancora ben chiari i suoi effetti sul concepito. Se-condo la Food and Drug Administration (FDA),soprattutto sulla base di studi condotti su animali,il CC viene classificato come farmaco di categoria

X, ossia teratogeno, ed è pertanto controindicatoin gravidanza.4

Il CC è assunto dalla donna per cinque giorniconsecutivi, sottoforma di compresse, a dosaggi apartire da 50 mg/die, dal terzo o quarto giornodel ciclo mestruale o in qualunque momento, inassenza di mestruazioni. Ha un’emivita di circacinque giorni, ma i suoi metaboliti possono essereriscontrati nel sangue fino a 22 giorni e nelle fecifino a 6 settimane dopo l’ultima assunzione.5 In-corpora due agenti, l’enclomifene e lo zuclomi-fene: quest’ultimo, l’isomero più attivo, si accumulain cicli consecutivi e può essere ancora riscontrato

nel plasma un mese dopo l’ultima somministra-zione.6 Il sito primario di azione è l’ipotalamo,ma esplica la sua azione anche a livello ipofisario,ovarico e uterino. Il CC lega e blocca i recettori

per gli estrogeni a livello ipotalamico,causando la perdita del feedback nega-tivo degli estrogeni in circolo: questo de-termina, di conseguenza, un aumentodella secrezione dell’FSH e dell’LH daparte dell’ipofisi e, in ultima analisi, lastimolazione di uno o più follicoli ovarici,con la successiva ovulazione.7 La stimo-lazione di più follicoli può, in parte, spie-

gare l’aumento di gravidanze gemellaridopo uso di CC.8

Alla luce della possibilità che sia ancora pre-sente nel circolo materno al momento del conce-pimento e che, come per ogni altro farmaco, ladonna possa inavvertitamente assumerlo anchedopo il concepimento, è fondamentale capire se ilCC possa realmente avere effetti negativi sull’em-brione umano e sulla gravidanza. Rispondere aquesta domanda appare ancora più importantese pensiamo all’enorme numero di donne che as-sume questo farmaco nel mondo e all’impatto chepossa avere, ad esempio, anche un piccolo au-mento della frequenza di difetti congeniti su nu-meri così grandi.

Il presente lavoro si propone, pertanto, di va-lutare gli effetti del CC sul concepito e sulla gra-vidanza con particolare attenzione ai rischi del-l’esposizione dopo il concepimento, utilizzando idati di quattro centri europei di informazione te-ratologica (TIS – Teratogen Information Service).I TIS sono servizi specializzati nella valutazionedel rischio teratogeno e offrono il vantaggio diraggiungere utenze ampie attraverso consulenzetelefoniche. Hanno l’obiettivo, inoltre, di infor-mare adeguatamente la donna, di guidare i medicinella scelta di terapie per le pazienti in gravidanzao che cercano una gravidanza, di studiare even-tuali cause di difetti congeniti e di condividere

Esposizione peri-concezionale al clomifene e rischi riproduttiviSpecializzando: Dott. Angelo Licameli

Relatore: Prof. Marco De Santis - Correlatore: Prof. Giovanni Scambia

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le informazioni acquisite con la comunità scien-tifica.9

Obiettivo dello studioOggetto dello studio è stato l’impatto dell’assun-zione di CC nel periodo peri-concezionale sul fetoe sulla gravidanza. L’obiettivo principale è statodi valutare la frequenza di malformazioni conge-nite maggiori, definite come anomalie strutturali di

rilevanza medica, chirurgica o estetica, in pazienti esposteal CC in fase peri-concezionale rispetto ad ungruppo di controllo e alla popolazione generale.L’obiettivo secondario è stato quello di valutare,negli stessi gruppi, la percentuale di aborti spon-tanei, di IVG, di morti endouterine fetali (MEF),di parti prematuri, di neonati LGA (Large for Ge-stational Age, se il peso > al 90° centile per epocagestazionale alla nascita)10 e SGA (Small for Ge-stational Age, se il peso < 10° centile), la modalitàdel parto e il sesso del neonato.

Materiali e metodiIl lavoro si presenta come uno studio multicentrico,prospettico, di coorte. Sono stati coinvolti quattroCentri europei di Informazione Teratologica (TIS),e precisamente: il TIS dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Roma (Telefono Rosso); il TISdell’Istituto di Genetica Medica Epidemiologicadell’Università di Padova; il TIS del Presidio Ospe-daliero Garibaldi-Nesima di Catania e il TISdell’Assaf Harofeh Teratogen Information Centerdi Zeref, in Israele. Sono state arruolate tutte quellepazienti che hanno contattato uno dei quattroCentri per aver assunto CC in fase peri-concezio-nale, ossia dal mese precedente l’inizio della gra-vidanza al primo trimestre di gravidanza, dal 1989per il TIS di Padova, dal 1999 per il TIS di Zeref,dal 2000 per il TIS di Roma e dal 2006 per il TISdi Catania e fino alla fine del 2010.

Altro criterio di inclusione era non aver avutoun’esposizione concomitante ad un agente rico-nosciuto come teratogeno (farmaci, radiazioni io-nizzanti, infezioni). Le donne esposte al CC sonostate suddivise in due ulteriori gruppi: il Gruppo0, comprendente quelle donne che avevano as-

sunto il CC prima del 15° giorno di epoca gesta-zionale (EG), ossia prima del concepimento, e ilGruppo 1, comprendente le donne che avevanoassunto il CC dal 15º giorno di EG in poi, ossiadopo il concepimento. È stato successivamenteidentificato un gruppo di controllo, Gruppo 2, se-lezionando casualmente donne che avevano con-tattato uno dei quattro TIS durante gli stessi annidurante i quali sono stati raccolti i casi del Gruppo0 e 1, per un’esposizione durante il I trimestre digravidanza a farmaci riconosciuti come non tera-togeni. In ogni centro sono state selezionate ram-dom un numero doppio di donne per il gruppo dicontrollo rispetto al numero delle donne deiGruppi 0 e 1. I tre gruppi sono omogenei, per-tanto, per EG in cui la paziente ha contattato unTIS e periodo (anno) in cui sono avvenute le con-sulenze. Nei quattro centri è stata utilizzata unadocumentazione simile per la raccolta dei dati ela stessa metodologia per il follow-up. Durante ilprimo contatto telefonico veniva chiesto alla pa-ziente informazioni circa: età; comorbidità; parità;gravidità, intesa come numero complessivo di gra-vidanze precedenti, inclusa la gravidanza in atto;il numero di precedenti aborti spontanei, IVG,MEF e figli affetti da malformazioni congenite;eventuale assunzione di farmaci, con i rispettividosaggi ed epoche gestazionali di assunzione; as-sunzione di alcool e fumo; assunzione di acido fo-lico in fase pre-concezionale e/o nel primo trime-stre; esposizione ad altri agenti teratogeni noti.Alle pazienti che avevano assunto CC ne è statochiesto il dosaggio, l’indicazione e il periodo diassunzione (settimane prima della gravidanza oEG). È stato chiesto, infine, un consenso per lapartecipazione allo studio.

Da alcuni giorni dopo la data presunta delparto e fino ad un periodo di tempo massimo didue anni, le donne arruolate nello studio sonostate contattate per un follow-up telefonico e sonostate chieste le seguenti informazioni: esito dellagravidanza (aborto spontaneo, IVG, MEF o parto);EG al momento del parto; modalità del parto(parto vaginale o taglio cesareo); peso alla nascita;sesso del neonato; presenza di difetti congenitimaggiori (sono stati inclusi i casi di feti malformati,abortiti volontariamente, e tutti i bambini vivi allanascita); complicanze durante il parto (CTG nonrassicurante, liquido tinto di meconio, PROM, >>

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disturbi ipertensivi, etc.). I follow-up sono staticondotti, nella maggior parte dei casi, entro i duemesi di vita del bambino e tutte le informazionisono state registrate in un unico database. Sonostati esclusi dallo studio: le pazienti che avevanoavuto un’esposizione a un agente teratogeno; lepazienti per le quali non è stato possibile eseguireun follow-up; la pazienti per le quali mancavanopiù del 30% dei dati chiesti durante le interviste; icasi di anomalie cromosomiche; i casi di gravi-danza gemellare, per la nota maggiore frequenzadi malformazioni congenite11 L’analisi statistica èstata effettuata avvalendosi dell’utilizzo del pro-gramma “Statistical Package for Social Science(SPSS)”, versione 15.0. Le variabili continue sonoespresse come medie ± deviazione standard e levariabili categoriali sono rappresentate come fre-quenze. La distribuzione normale dei dati è stataverificata utilizzando il test di Kolmogorov-Smir-nov. L’opportuno test statistico, parametrico e nonparametrico (test t di Student o Mann Whitney,

ANOVA, ANOVA di Kruskal Wallis, test al X2 odi Fisher), è stato utilizzato per l’analisi dei risultati.L’analisi di correlazione tra le variabili è stata ef-fettuata tramite coefficiente di Spearman. Sonostati considerati statisticamente significativi risultaticon p < 0.05. Le variabili mancanti in almeno il30% delle pazienti arruolate nello studio, comel’assunzione di acido folico, assunzione di alcool,tabagismo e le complicanze durante il parto, non

sono state considerate per l’analisi statistica. Èstata valutata l’omogeneità dei tre gruppi per i se-guenti dati clinico-anamnestici: età materna, pa-rità, gravidità, frequenza di precedenti aborti spon-tanei, IVG e MEF. Sono stati poi confrontati fraloro: Gruppo 0 versus Gruppo 1 versus Gruppo2; Gruppo 0 e Gruppo 1, raggruppati insieme,versus Gruppo 2; Gruppo 1 versus Gruppo 2;Gruppo 1 versus Gruppo 0. Sono state analizzatele seguenti variabili (relative alla gravidanza inatto al momento della consulenza): frequenza didifetti congeniti, aborti spontanei, IVG, MEF, partiprematuri, neonati SGA e LGA; modalità delparto (parto vaginale, taglio cesareo); sesso delneonato. Si è infine confrontata, con un test diprobabilità, la frequenza di malformazioni delGruppo 1 con quella della popolazione generaleriportata in letteratura.

RisultatiSono state arruolate complessivamente 369 pa-zienti nei quattro centri: 41 esposte in fase pre-concezionale al CC (Gruppo 0); 82 in fase post-concezionale (Gruppo 1) e 246 per il gruppo dicontrollo (Gruppo 2). (Tabella 1) >>

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I tre Gruppi sono risultati omogenei all’analisistatistica per: età delle pazienti (età media 31 anni;p = 0,937), precedenti aborti spontanei, IVG eMEF. È stata riportato un solo caso di precedentefiglio nato con difetto congenita (nel Gruppo 1),non significativo statisticamente (variabile non pre-sente nella Tabella). Si è riscontrato una differenzasignificativa nella parità e nella gravidità. (Tabella

2 alla pag. precedente)Analizzando i dati relativi alla gravidanza in

atto al momento della consulenza con un TIS,Non sono state individuate differenze significativeper: frequenza di difetti congeniti, frequenza diaborti spontanei, frequenza di IVG, frequenza diMEF, modalità del parto, frequenza di parti pre-maturi, sesso del neonato, frequenza di neonatiSGA e LGA. (Tabella 3)

In particolare, la percentuale di malformazionicongenite è stata del 2,6% nel Gruppo 0, dell’8%nel Gruppo 1 e del 4,4 % nel Gruppo 2 (p =0,361). La percentuale di aborti spontanei è statadel 12,5% nel Gruppo 0, dell’11,1% nel Gruppo1 e del 7,4% nel Gruppo 2 (p = 0,430). La percen-tuale di IVG è stata del 5% nel Gruppo 0, del 2,5

% nel Gruppo 1 e del 5,2% nel Gruppo 2 (p =0,592). Un’unica morte fetale intrauterina è statariportata nel Gruppo 1, avvenuta a 22 settimanecompiute di EG, per cause non identificate; nes-suna nel Gruppo 0 e nel Gruppo 2 (p = 0,155). Lapercentuale di parti vaginali è stata del 75,8%, del72,5% e del 77,9%, rispettivamente nel Gruppo0, 1 e 2 (p = 0,652). La percentuale di parti pre-maturi è stata del 6,1% nel Gruppo 0, del 10,1%nel Gruppo 1e del 5% nel Gruppo 2 (p = 0,311).

Abbiamo poi messo a confronto: il Gruppo 0 eil Gruppo 1, considerati insieme (ossia tutti i casidi esposizione al CC), con il Gruppo 2; il Gruppo1 con il Gruppo 2; il Gruppo 0 con il Gruppo 1.Anche in questi casi non si è raggiunta un signifi-catività statistica per le variabili considerate. (Le

rispettive Tabelle e Figure non sono riportate in questo testo)

Le malformazioni congenite maggiori riscon-trate nei gruppi 0 e 1 sono riassunte nella Tabella

4 alla pag. successiva.(La Tabella dei difetti congeniti del Gruppo 2 non è ri-

portata in questo testo)

In tutti i casi l’indicazione alla terapia con CCera la sterilità. In nessun caso di malformazionecongenita riscontrata nei Gruppi 0 e 1 è stata ri-ferita una malattia sistemica materna (es. diabete,malattie autoimmuni), tabagismo o assunzione dialcool. L’esposizione al CC nel Gruppo 1 è avve-nuta, nella maggior parte dei casi, fra la quarta e

la settima settimana di EG;l’esposizione più tardiva è av-venuta, in un caso, all’undi-cesima settimana. Nell’unicocaso di difetti del tubo neurale(DTN) riscontrato nel nostrostudio, l’acrania, la madreaveva assunto acido folico findalla fase preconcezionale. Siè poi confrontato, con un testdi probabilità, la frequenza dimalformazioni riscontrata nelGruppo 1 (8,0%) con quellariportata in letteratura nellapopolazione generale (circa il3%):12 in questo caso è emersauna differenza significativanon solo da un punto di vistaclinico, ma anche statistico (p= 0,018). >>

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DiscussioneL’FDA classifica il CC come farmaco teratogenosulla base soprattutto di studi condotti su animali.In particolare è stata osservata una riduzione dosecorrelata dell’incidenza di impianti embrionari,della crescita fetale e dell’aumento del peso ma-terno in seguito ad esposizione in gravidanze ini-ziali di topi e ratti.13 14 È stato anche osservato unaumento della frequenza di exencefalia nei topiin caso di somministrazioni di CC prima dell’ovu-lazione14 e casi di cataratta congenita dose dipen-dente nei ratti, ma non nelle scimmie.15 Alcuniautori hanno anche riportato anomalie istologichedel tratto uro-genitale, simili a quelle causate daldietilstilbestrolo, in topi esposti al clomifene du-rante i primi giorni di vita.16

La maggior parte dei lavori che hanno studiatogli effetti del CC sulla gravidanza dell’uomo siconfigura come studi caso-controllo17 18 19 20 21 22

23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 e spesso si basano suidati di pochi casi. I risultati sono, peraltro, spesso

contraddittori e non sempre giungono a conclu-sioni definitive. Nella maggior parte dei lavori,inoltre, vengono presi in considerazione i casiesposti al CC solo prima dell’inizio della gravi-danza. Laddove vengano considerate anche leesposizioni dopo il concepimento, quasi mai i ri-sultati vengono analizzati distinguendo il periododi esposizione: è logico supporre, infatti, che il pe-riodo post concezionale sia quello maggiormenteesposto ai rischi teratogeni per la presenza in cir-colo del farmaco in una fase di embriogenesi inatto. Sono stati pubblicati, infine, alcuni studi dicoorte e case report.36 37 38 39 40 41 42 Tenendo inconsiderazione i limiti appena espressi, in alcunidegli studi citati viene riportato un aumento delrischio di alcuni difetti congeniti: difetti del tuboneurale, malformazione di Dandy Walker, coar-tazione dell’aorta, difetti settali cardiaci, atresiaesofagea, estrofia della cloaca, craniosinostosi, on-falocele e ipospadia.

Alla luce di quanto emerso in letteratura, >>

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si è disegnato uno studio multicentrico, prospettico,di coorte, e sono state arruolate 82 pazienti esposteal CC dopo il concepimento.

Questi dati sono molto preziosi perché consi-deriamo una tipologia particolare di pazienti. Sonodonne che cercano una gravidanza, si sottopon-gono a terapie per l’induzione dell’ovulazione esono seguite da uno specialista: è difficile, pertanto,che queste pazienti non si accorgano di essere ingravidanza e si sottopongano ad un ulteriore ciclodi CC. La preziosità del campione è sottolineataanche dal fatto che gli 82 casi sono stati raccoltiin ben 4 TIS, in un periodo di tempo variabiledai 4 anni (centro di Catania) ai 21 anni (centrodi Padova).

Solo 41 pazienti hanno contattato uno TIS peraver assunto il CC in fase pre-concezionale(Gruppo 0). Un numero così basso rispetto all’usocosì diffuso di CC è giustificabile dal fatto chel’assunzione corretta non desta preoccupazione:il CC viene prescritto dal curante della pazienteper favorire l’inizio di una gravidanza e le donnenon sono spinte a contattare un servizio di infor-mazione teratologica se scoprono di essere incinte.

I tre gruppi analizzati nel nostro studio sono ri-sultati omogenei per le caratteristiche clinico-anam-nestiche delle pazienti e per l’EG della consulenzatelefonica. Una differenza statisticamente signifi-cativa si è osservata solo nella parità e nel numerodi precedenti gravidanze, come, fra l’altro, ci aspet-tavamo: è più probabile che pazienti che inizinouna terapia per una storia di sterilità siano alla loroprima gravidanza o abbiano, comunque, un nu-mero di gravidanze precedenti inferiori rispetto aquelle che non ricorrono a terapie per la sterilità.

La frequenza di difetti congeniti riscontrati nelnostro studio è stata del 2,6% nel Gruppo 0,dell’8% nel Gruppo 1 e del 4,4% nel Gruppo 2.Le frequenze riscontrate nel Gruppo 0 e nelGruppo 2 sono sostanzialmente sovrapponibili aquella riportata per la popolazione generale, cheè di circa il 3%;13 è invece sensibilmente aumentataquella del Gruppo 1. Nonostante la frequenza dimalformazioni congenite sia quasi doppia nelGruppo 1 rispetto al Gruppo 2 (8% e 4,4%, ri-

spettivamente), non si raggiunge una significativitàstatistica (p = 0,263). Questo è spiegabile dal fattoche stiamo considerando eventi a bassa frequenzae che, per tali frequenze, il campione ha un nu-mero limitato di casi. Confrontando, infatti, conun test di probabilità la frequenza riscontrata nelGruppo 1 con quella della popolazione generalesi raggiunge pienamente una significatività stati-stica (p = 0,018).

Analizzando i singoli casi di malformazionicongenite nei Gruppi 0 e 1, possiamo fare alcuneconsiderazioni. Non sembrano esserci fattoriesterni che possano aver aumentato il rischio didifetti congeniti: in nessun caso sono state riferitepatologie materne (diabete, patologie autoimmuni,etc.), né tabagismo o assunzione di alcool. Solo inun caso, quello dell’anchiloglossia, è stato riportatoin anamnesi il dato di un precedente figlio affettoda un piccolo difetto del setto ventricolare, risoltosispontaneamente dopo la nascita. Nell’unico casodi DTN, un caso di acrania (Gruppo 1), l’acidofolico era stato assunto dalla fase pre-concezionalee anche durante il primo trimestre di gravidanza.Nel nostro lavoro non è stato riscontrato nessuncaso di difetto congenito a carico degli organi ge-nitali, a differenza di quanto emerge in altri studipresenti in letteratura.36 Sebbene non sia stato ri-scontrato un cluster di specifico di malformazioni,3 casi di difetti congeniti maggiori riportati nelGruppo 0 e nel Gruppo 1 interessavano il cuore:un difetto del setto interatriale e un difetto delsetto ventricolare di grado lieve, nel Gruppo 1, euna Tetralogia di Fallot di grado medio nelGruppo 0. Solo nello studio caso-controllo di Ree-fhius et al.19 è stato riscontrato un aumento signi-ficativo del rischio di difetti congeniti cardiaci, inparticolare di difetti settali e di coartazione del-l’aorta, ma gli stessi autori invitavano ad interpre-tare con cautela i risultati. Anche se stiamo consi-derando un campione limitato di casi è importantesottolineare che la frequenza di difetti cardiaci ri-scontrati nel Gruppo 1, circa 2,7%, è comunquenotevolmente superiore a quella riscontrata nelgruppo di controllo (Gruppo 2), circa lo 0,5%, enella popolazione generale, circa lo 0,8%.43

Abbiamo riscontrato, infine, un caso di anchi-loglossia, un caso di ostruzione ureterale monola-terale e un caso di agenesia di una mano: in lette-ratura non sono documentati altri casi simili. >>

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Nel considerare la frequenza di difetti congenitinon dobbiamo dimenticare che la sterilità stessapuò essere associata ad un aumento del rischio,44

a prescindere dall’utilizzo di un trattamento; al-cune situazioni, spesso associate a sterilità, comead esempio il diabete o un eccessivo peso materno,possono essere associate, infine, a un rischio au-mentato di difetti congeniti.45 46

Nel presente studio non sono emerse differenzestatisticamente significative per la frequenza diaborti spontanei, di parti pretermine, di neonatiSGA e LGA, modalità del parto e sesso del neo-nato: le frequenze riscontrate, peraltro, sono ab-bastanza simili da quelle riportate in letteratura.47

Questi dati offrono un contributo prezioso so-prattutto nella gestione di un counselling con unapaziente che abbia inavvertitamente assunto il CCdurante la gravidanza. È importante informarela donna che i dati attuali presenti in letteraturanon offrono conclusioni certe nell’uomo, ma lostudio da noi condotto ha riscontrato un rischiodell’8% di malformazioni congenite, quasi doppiorispetto a quello del gruppo di controllo (4,4%),sebbene non significativo statisticamente, e piùche doppio rispetto a quello della popolazione ge-nerale (3%). In particolare è utile informare lapaziente del riscontro di una frequenza di difetticongeniti cardiaci più che tripla rispetto a quellariscontrata nella popolazione generale e nelgruppo di controllo: è consigliabile, pertanto, unattento screening ecografico prenatale associandoanche un esame ecocardiografico fetale. Duranteil counselling è importante, allo stesso tempo, tran-quillizzare la paziente: siamo infatti di fronte adun rischio di difetti congeniti comunque basso(meno di un caso su dieci) e che, almeno in parte,può essere determinato anche dalle stesse causeche sottendono alla sterilità, oltre che dall’esposi-zione al CC. L’importanza dell’argomento e i datiemersi dal nostro studio, infine, devono stimolarela comunità scientifica a continuare a studiare glieffetti dell’esposizione peri-concezionale al CCper raggiungere evidenze più forti che possanoguidare gli operatori sanitari e le coppie in sceltesempre più appropriate e consapevoli. l

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IntroduzioneIl numero dei parti cesarei è in aumento e la suaincidenza è stimata nel mondo pari a 27% di tuttii parti (Lumbiganon et al 2010). Le più note e temi-bili complicanze del parto cesareo sono:eccessiva emorragia intra e postopera-toria, complicanze della ferita chirurgicae tromboembolismo venoso (Gilliam et

al 2002; Hadar et al 2011). Altre possibilicomplicanze a lungo termine, anche semeno documentate, sono rappresentateda: alterazioni del ciclo mestruali e me-trorragie, aderenze intrauterine, ano-malie di placentazione e gravidanza ec-topica (Miller et al 1997; Timor-Tritsch et al 2012;

Wang al 2009; Wu et al 2005). Il dolore pelvicocronico rappresenta un’altra possibile compli-canza a lungo termine del parto cesareo ed è suc-cessivo alle possibili aderenze pelviche post ope-ratorie (El-Shawarby et al 2011; Salim et al 2008;

Tulandi et al 2011). La prevalenza delle aderenze pelviche dopo

parto cesareo e interventi chirurgici è difficile dastimare in quanto richiede un successivo intervento(Awonuga et al 2011; Tsuji et al 2005; Tinelli et al

2011). Tuttavia gli attuali miglioramenti della qua-lità dell’ecografia transvaginale (TV) hanno resoquest’ultima metodica un valido strumento per lostudio delle aderenze pelviche in pazienti affetteda endometriosi e da pelvic infiammatory disease (PID)(Guerriero S et al 2010; Reid et al 2013; Hudelist et al

2013).Lo scopo del presente studio è quello di valutare

la prevalenza e la localizzazione delle aderenzepelviche visualizzate all’ecografia TV e transad-dominale (TA) in donne con precedenti tagli ce-sarei. Possibili variabili predittive di sviluppo delleaderenze e la possibile associazione tra le presenzadi aderenze e i sintomi delle pazienti sono statiinoltre valutati.

Materiali e metodiIl presente è uno studio prospettico osservazionalesvolto presso il Dipartimento di Ginecologia del-l’University College Hospital di Londra. Lo studio ha

avuto inizio a Ottobre 2012 e si è con-cluso a Marzo 2014. La popolazione inesame è la seguente: donne con uno opiù precedenti parti cesarei giunte allanostra osservazione, almeno dopo unanno dall’ultimo parto cesareo, per ese-guire un’ecografia ginecologica di con-trollo o richiesta dal loro medico per gra-vidanza iniziale (<8 settimane), dolore

pelvico o metrorragia.I dati anamnestici raccolti sono i seguenti: età,

indicazione all’esame ecografico, precedenti in-terventi chirurgici, dati relativi ai parti cesarei(epoca gestazionale raggiunta al momento delparto e modalità dell’intervento), possibili com-plicanze dopo il parto cesareo (emorragia postpartum, trasfusioni, anomalo sanguinamento pro-tratto per più di tre settimane dal parto, endome-triti, infezione delle ferita chirurgica ed ematomapelvico) ed eventuale sintomatologia della paziente(dismenorrea, dispareunia, dolore pelvico cronicoe sintomi urinari).

Tutte le pazienti incluse nello studio sono statesottoposte ad un’ ecografia TV e TA. L’esame èstato condotto da due operatori, ecografisti gine-cologi (FM e DJ).

Attraverso l’esame TV sono state riscontratel’eventuale presenza di aderenze pelviche nei se-guenti siti anatomici: annessi, scavo del Douglas eplica vescico-uterina.

La presenza di aderenze ovariche è stata dia-gnosticata attraverso un esame dinamico bima-nuale. Una gentile pressione con la sonda TV incombinazione con una pressione sull’addome dellapaziente da parte della mano libera dell’operatorepermetteva di valutare la mobilità dell’utero edelle ovaie. La presenza di un completo movi-mento dell’ovaio e di uno scivolamento dello

Aderenze pelviche dopo parto cesareo: “A prospective observational study”Specializzanda: Dott.ssa Francesca Moro

Relatore: Prof.ssa Rosanna Apa - Correlatore: Prof. Antonio Lanzone

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stesso sulle strutture circostanti quali l’utero, lafossetta ovarica e la parete pelvica laterale, ponevadiagnosi di ovaio mobile, quindi di assenza di ade-renze. In caso di una mobilità parziale, ossia

quando l’ovaio poteva essere solo parzialmentemobilizzato alla pressione bimanuale, o di unaimmobilità dell’ovaio, ossia in caso di mancatoscivolamento dell’ovaio sulle strutture circostanti,si poneva diagnosi di ovaie fisse e quindi di ade-renze ovariche (Holland et al 2010) (Figura 1).

L’eventuale presenza di idrosalpinge, descrittacome formazione ipo-anecogena oblunga scarsa-

mente vascolarizzata con pa-reti sottili e irregolari visualiz-zata in sede annessiale, è statainoltre segnalata.

Lo scavo del Douglas e l’even-tuale presenza di aderenze inquesta sede fu valutata attra-verso la tecnica dello sliding sign

come descritta da Reid et al(Reid et al 2013). Lo scavo delDouglas fu considerato com-pletamente libero, e quindiprivo di aderenze, in caso diuno sliding sign positivo tra laparete posteriore dell’utero edella cervice e la parete ante-riore dell’intestino. Al contra-rio in caso di totale assenzadello sliding sign, lo scavo delDouglas veniva consideratocompletamente obliterato; incaso in cui lo sliding sign era po-sitivo solo sul corpo uterino osulla cervice, il Douglas venivaconsiderato parzialmente obli-terato (Figura 2).

La presenza di aderenzenella plica vescico-uterina è statavalutata come segue: presenzadi tessuto iperecogeno tra lavescica e la parete anterioredell’utero a livello del seg-mento uterino inferiore e as-senza dello sliding sign tra que-ste due strutture (Figure 3).

I legamenti utero-sacrali, il setto-retto vaginale e il colon sigma-retto

sono stati infine esaminati al-l’esame TV per la diagnosieventuale di endometriosi pro-fonda (Bazot et al 2007; Hol- >>

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land et al 2010; Koga et al 2003). Dopo l’esame TV,l’operatore eseguiva una valutazione ecograficacon la sonda TA per valutare l’eventuale presenza

di aderenze tra l’utero e la pareteaddominale anteriore.

I criteri diagnostici di aderenzatra queste due strutture sono statii seguenti: assenza di movimentidel colon tra la parete addomi-nale anteriore e l’utero, densearee ipoecogene visualizzate traqueste due strutture e uno sliding

sign negativo tra la parete uterinaanteriore e la parete addominale(Figura 4).

Analisi statisticaIl test chi square è stato utilizzatoper valutare la significatività,quando appropriato. Una logisticregression analisys è stata utilizzatatra le seguenti variabili: aderenzepelviche, come variabili indipen-denti, e numero di parti cesarei,infezioni della ferita chirurgica,ematoma, anomalo sanguina-mento nel puerperio, trasfusioni,endometriti, come variabili di-pendenti.

Una seconda logistic regression

analisys è stata utilizzata tra le se-guenti variabili: dolore pelvicocronico, dismenorrea, dispareu-nia, sintomi urinari, come varia-bili indipendenti, e numero deiparti cesarei, adenomiosi, ade-renze pelviche come variabili di-pendenti. La significatività eraidentificata come p<0.05. L’ana-lista statistica è stata eseguita at-traverso il programma IBMSPSS Statistics 22 (SPSS Inc.,Chicago, IL, USA).

RisultatiDurante il periodo di studio 308donne con almeno un prece-dente taglio cesareo sono statereclutate e incluse nello stu- >>

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dio. Indicazioni all’ecografia erano: gravidanzainiziale (144/308, 46,8%), dolore pelvico (67/308,21.8%), sanguinamento vaginale anomalo o spot-

ting intermestruale (48/308, 15.6%), altre indica-zioni ginecologiche (49/308,15.9%).

Le caratteristiche basali della popolazione sonomostrate in Tabella 1 e i dati relativi al cesareosono mostrati in Tabella 2.

Riguardo le complicanze post-cesareo, la mag-gior parte delle pazienti non avevano avuto com-plicanze [266/308 (86.4%, 95% CI 82.6 – 90.2)].26/308 (8.4%, 95% CI 5.3 – 11.5) avevano avutoun infezione sulla cicatrice, 9/308 (2.9%, 95% CI1.0 – 4.5) un sanguinamento prolungato nel puer-

perio, 5/308 (1.6%, 95% CI 0.2 – 3.0) un ema-toma pelvico, una paziente aveva avuto un’ emor-ragia con necessità di trasfusione [1/308 (0.3%,95% CI 0.0 – 0.9)].

Riguardo la sintomatologia, 106/308 (34.4%,95% CI 29.1 – 39.7) donne avevano riportato undolore pelvico cronico, 23/308 (7.5%, 95% CI4.6 – 10.4) una storia di dismenorrea, 20/308(6.5%, 95% CI 3.8 – 9.3) lamentavano dispareu-nia, 6/308 (1.9%, 95% CI 0.4 – 3.4) pazienti rife-rirono disuria, 6/308 (1.9%, 95% CI 0.4 – 3.4)presentavano infezioni urinarie ricorrenti e 2/308(0.65, 95% CI 0.0 – 1.6) soffrivano di ritenzioneurinaria, 1/308 (0.3%, 95% CI 0.0 – 0.9) nicturiae 1/308 (0.3%, 95% CI 0.0 – 0.9) incontinenzada stress.

All’esame ecografico, in 139/308 (45.1%,95%CI 39.7 – 50.7) donne è stata fatta dia-

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gnosi di aderenze pelviche almeno in un distrettoanatomico. Le aderenze tra la vescica e il segmentouterino inferiore furono diagnosticate in 79/308(25.6%, 95% CI 20.7 – 30.5) donne. 67/308(21.8%, 95%CI 17.2 – 26.4) donne presentavanoaderenze tra la parete addominale e il viscere ute-rino, 46/308 (14.9%, 95% CI 11 – 18.9) presen-tavano aderenze ovariche, 38/308 (12.3%, 95%CI 8.6 – 16) avevano aderenze nello scavo delDouglas e 5/308 (11.6%, (95%CI 0.2 – 3%)

donne avevano evidenza di idrosalpinge. 24/308(7.8%, 95% CI 4.8-10.8) avevano evidenze di en-dometriosi profonda all’ecografia transvaginale.

Tra le 139 donne con evidenza di aderenzepelviche, 72 (51.8%) presentavano aderenze in unsingolo sito anatomico, 47 (33.8%) in due siti e 20(14.4%) presentavano aderenze che coinvolgevanotre o più siti anatomici.

La maggiore evidenza di aderenze si è riscon-trata in pazienti che oltre al taglio cesareo si eranosottoposte ad altri interventi di chirurgia pelvica[86/220 (39.1%) versus 53/88 (60.2%) p=0.001].

Per questo motivo, in una seconda analisi deidati, sono state escluse le pazienti che avevano

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avuto un intervento chirurgico oltre al taglio cesa-reo. La frequenza e la distribuzione delle aderenzein queste donne sono mostrate in Tabella 3.

L’analisi multivariata è stata così eseguita nelle220 pazienti che non avevano avuto nessun altrointervento chirurgico oltre al taglio cesareo. Taleanalisi ha individuato il numero dei parti cesarei[OR 3.4 (95% CI 2.1 – 5.5)] e l’infezione della fe-rita chirurgica nel postoperatorio [OR 11.7 (95%CI 3.5 – 39.5)] come fattori predittivi indipendentiper la presenza di aderenze tra la parete addomi-nale anteriore e l’utero. Il numero dei parti cesarei[OR 2.4 (95% CI 1.6 – 3.7)] è risultato un fattoreindipendente predittivo per la presenza di ade-renze a livello della plica vescicouterina. Nessu-n’altra variabile è stata selezionata come predittivaper la presenza di aderenze nella fossa ovarica onello scavo del Douglas.

È stata inoltre riscontrata una significativa as-sociazione tra aderenze della parete pelvica eutero, aderenze nella plica vescico-uterina e ade-renze della fossetta ovarica e dolore pelvico cronico(p<0.05).

La conditional binary logistic regression analysis haselezionato le aderenze tra la parete addominalee l’utero [OR 2.4 (95% CI 1.0 – 5.9)], le aderenzepelviche [OR 2.6 (95% CI 1.2 – 5.7)] e l’adeno-miosi (OR 2.3 [95% CI 1.1 – 4.9]) come fattoripredittivi indipendenti di dolore pelvico cronico.L’analisi ha inoltre individuato le aderenze nellaplica vescicouterina [OR 4.7 (95% CI 1.0 – 21.8)]come fattore predittivo per dismenorrea, le ade-renze ovariche (OR 5.1 [95% CI 1.4 – 21.7]) el’adenomiosi (OR 5.5 [95% CI 1.4 – 21.8]) per ladispareunia. Per la frequenza urinaria, nessun fat-tore predittivo è stato trovato significativo. Tutta-via, l’incidenza del dolore vescicale era troppobasso per un’analisi statistica adeguata.

DiscussioneIl presente studio ha dimostrato la presenza diaderenze pelviche in almeno un terzo di donnecon precedenti parti cesarei. Nella maggior partedei casi le aderenze sono state localizzate nellaplica vescico uterina e tra la parete addominale

anteriore e l’utero. I nostri risultati sono in accordo con quelli ri-

portati da Tulandi et al che, valutando le aderenzepelviche in sede intraoperatoria in pazienti sotto-poste ad un successivo taglio cesareo, hanno tro-vato tenaci aderenze nella plica vescico-uterinanel 30% dei casi e aderenze tra la parete addomi-nale anteriore e l’utero nel 23% delle pazienti.Gli autori mostrarono inoltre che la prevalenzadelle aderenze pelviche è aumentata con il numerodei tagli cesarei subiti. In accordo con i nostri ri-sultati, altri studi dimostrano che le aderenze pel-viche sono più rappresentate in donne che oltreal parto cesareo avevano subito altri interventichirurgici sulla pelvi, tra cui la laparoscopia per iltrattamento dell’endometriosi profonda (Salim et

al 2008; Soltan et al 1996; Tulandi et al 2011). I nostri dati hanno dimostrato un’associazione

tra aderenze tra l’utero e la parete addominaleanteriore e una storia di infezione della ferita chi-rurgica nel postoperatorio, contrariamente daquanto riportato da Soltan et al (Soltan et al 1996).L’analisi multivariata ha inoltre mostrato signifi-cative associazioni tra la presenza di aderenze tral’utero e la parete addominale anteriore e il dolorepelvico cronico. Al contrario nessuna associazioneè stata trovata tra la presenza di aderenze a livellodella parete addominale anteriore e l’utero e ladispareunia. Questo sintomo era invece comunenelle donne con evidenza di aderenze ovaricheche sono tipicamente presenti in caso di endome-triosi profonda. I nostri dati sono differenti daquelli presentati da Stark et al (Stark et al 2008), iquali non hanno riscontrato nessuna correlazionetra severità delle aderenze pelviche e dolore pelvicocronico, dispareunia o dismenorrea. Questa di-screpanza potrebbe essere spiegata dal fatto chelo studio presentato da Stark ha avuto un sample

size minore e i dati anamnestici sono stati raccoltipochi giorni prima del parto.

A differenza degli studi precedentemente no-minati che hanno valutato la presenza delle ade-renze pelviche in sede intraoperatoria, il nostrostudio ha valutato la presenza delle stesse conl’esame ecografico, il quale nonostante ha il van-taggio di essere un esame non invasivo, ben tolle-rato ed eseguito ambulatorialmente, rappresentaun esame indiretto.

Tuttavia diversi dati in letteratura hanno >>

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dimostrato come l’ecografia pelvica, se eseguitada esperti operatori e in combinazione con l’esamepalpatorio, rappresenti un metodo affidabile perla diagnosi delle aderenze pelviche del comparti-mento pelvico posteriore. Studi eseguiti in donnecon sospetto di endometriosi hanno mostratocome l’esame ecografico riproduca con elevataaffidabilità la presenza di aderenze che coinvol-gono lo scavo del Douglas (Holland et al 2013; Hu-

delist et al 2013). Purtroppo sono invece pochi inletteratura i dati riguardanti l’affidabilità dell’eco-grafia nella diagnosti delle aderenze pelviche checoinvolgono il compartimento anteriore, quali leaderenze della plica vescico-uterina e della pareteaddominale anteriore. Tuttavia, supponendo chela diagnosi ecografica delle aderenze del compar-timento anteriore è tecnicamente eseguita in ma-niera simile a quella utilizzata per le aderenze checoinvolgono lo scavo del Douglas, è molto proba-bile che l’ecografia rappresenti un esame alta-mente affidabile per lo studio delle aderenze pel-viche non solo in pazienti affette da endometriosima anche per lo studio delle aderenze che sicreano in seguito ad un parto cesareo tra utero,vescica e parete anteriore.

Un altro limite dell’ecografia pelvica, nello stu-dio delle aderenze pelviche, potrebbe essere rap-presentato dal fatto che questa metodica non hala capacità di diagnosticare le aderenze lasse, inparticolare se localizzate al di fuori dello scavo delDouglas, ma solo quelle di moderata-severa entità.Tuttavia le aderenze sottili e lasse non hanno di-mostrato essere correlate a sintomi clinici e pro-babilmente non hanno un significato clinico.

L’ecografia per la ricerca di aderenze pelvichein donne con precedenti parti cesarei o interventichirurgici presenta importanti vantaggi: sia percoloro che necessitano di un intervento chirur-gico in modo da pianificare al meglio l’intervento,sia nelle pazienti sintomatiche per identificare lacausa del loro dolore.

Per esempio le aderenze tra il viscere uterino ela parete addominale anteriore potrebbero causareuno spostamento craniale dell’utero in prossimitàdell’ombelico. Questo potrebbe provocare diffi-

coltà nell’inserimento del trocar laparoscopicotransombelicale e causare perforazione dei visceri.

In conclusione, il nostro studio ha documentatola prevalenza delle aderenze pelviche in donnecon precedenti parti cesarei e ha confermato chele aderenze pelviche sono un comune reperto eco-grafico in queste donne. Un’associazione tra leaderenze pelviche e i sintomi è stata inoltre dimo-strata. Donne affette da dolore pelvico cronico ocon sintomi urinari dovrebbero essere sottopostead un esame ecografico con particolare attenzioneal compartimento pelvico anteriore in modo davalutare la presenza di aderenze tra vescica, uteroe parete addominale. l

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IntroduzioneL’isteroscopia è il risultato di 200 anni di storiad’innovazione e continue modifiche di strumentie tecniche, tutte volte all’osservazione, diagnosi etrattamento delle patologie della cavitàuterina. A partire dallo sviluppo delprimo strumento in grado di visualizzarela cavità uterina ad opera del tedescoPhilip Bozzini (1773-1809) (1), si arrivaalla nascita della moderna isteroscopiaall’inizio degli anni 80 grazie allo stru-mento ideato da Jacques E.Hamou (2,3)dal calibro massimo di soli 4 mm e do-tato di visione obliqua a 30°, con unacamicia esterna che permette un efficace transitodel mezzo di distensione in cavità uterina. Suc-cessivamente lo sviluppo del sistema di lenti “rod-lens” Hopkins, l’introduzione delle fonti di luceallo xenon con cavi a fibre ottiche e l’utilizzo dimoderni sistemi video ad alta risoluzione, unita-mente alla riduzione del calibro degli isteroscopi(oggi sono disponibili ottiche a partire da un cali-bro di 2 mm fino ad arrivare a 4 mm) hanno per-messo a tale metodica di rendere non necessarioil ricovero a cui erano destinate le pazienti, ren-dendo possibile l’esecuzione dell’isteroscopia comepratica ambulatoriale. Inoltre, negli anni 90, un’ul-teriore innovazione è stata rappresentata dall’in-troduzione dell’isteroscopio operativo di Bettocchi(4) che ha permesso la nascita del concetto di “Of-fice Hysteroscopy” che consiste nel vedere e trat-tare (see and treat) ambulatorialmente patologieendouterine di dimensioni non eccessive. L’iste-roscopia, sia diagnostica che chirurgica, rappre-senta oggi il gold standard per lo studio e il tratta-mento delle patologie endouterine essendo inoltrela metodica più conservativa per l’integrità del-l’apparato ginecologico (5). Nonostante tali rac-

comandazioni però ancora oggi nell’immaginariodi molte pazienti l’isteroscopia rappresenta un’in-dagine molto invasiva e dolorosa ed è compito delginecologo che esegue la procedura utilizzare tutti

i presidi attualmente disponibili per farsi che l’esame provochi nella donna ilminor disconfort possibile. Infatti le fasiche possono provocare maggior doloresono il passaggio dello strumento all’in-terno del canale cervicale e la distensionedella cavità uterina. Mentre ormai vi èun consenso unanime che l’utilizzo distrumenti di calibro minore, unito aduna corretta gestualità operatoria (6) pos-

sano ridurre il disconfort legato al passaggio del-l’isteroscopio nel canale cervicale, ancora non viè accordo su quale mezzo di distensione della ca-vità uterina sia più tollerato dalle pazienti (7).

La distensione della cavità può essere ottenutacon l’utilizzo di un mezzo gassoso (Anidride car-bonica – CO2) o fluido elettrolitico o non elettro-litico (8,9). I mezzi di distensione fluida (sia elet-trolitici che non elettrolitici) possono essere utiliz-zati anche in ambito operatorio a seconda che siutilizzi un resettore ad energia bipolare o mono-polare mentre la CO2 può essere utilizzata in am-bito esclusivamente diagnostico. L’anidride car-bonica è un gas innocuo e incolore, ha lo stessoindice di rifrazione dell’aria e consente quindi unavisualizzazione chiara dell’endometrio. Inoltre nonè conduttore di corrente e non è infiammabile.Altri suoi vantaggi comprendono l’alta reperibilitàe il basso costo, il rapido riassorbimento, l’eccel-lente trasmissione delle immagini e la non solubi-lità con il sangue (10). Uno svantaggio è dato in-vece dall’alto costo dell’isteroinsufflatore e dalladifficoltà nell’eseguire l’esame in caso di presenzadi abbondanti perdite ematiche. Altro svan-

Confronto tra mezzo di distensione liquido e CO2 nella valutazione del dolore intraoperatorio nell’esecuzione dell’isteroscopia diagnosticaSpecializzando: Dott. Luigi Ricciardi

Relatore: Prof. Antonio Lanzone - Correlatore: Dott. Maurizio Guido

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taggio è la possibilità, soprattutto quando i tempidi esecuzione si allungano, di avere comparsa didolore alle spalle nelle pazienti al termine dellaprocedura. Tale dolore è dovuto ad un’irritazionetransitoria del nervo frenico da parte del gas che,attraverso le salpingi, arriva in cavità pelvica rag-giungendo successivamente lo spazio sottodiafram-matico quando la paziente si mette in posizioneeretta. Per ottenere una corretta distensione dellepareti uterine con CO2 è solitamente sufficienteuna pressione costante di almeno 60 mm\hg. Trai mezzi di distensione fluidi quello maggiormenteutilizzato è la soluzione fisiologica soprattutto peril suo basso costo e la facile reperibilità. La suasomministrazione è agevole sia attraverso l’utilizzodi manometri a pressione e sia per gravità. La so-luzione fisiologica non deve essere utilizzata inambito chirurgico con resettori monopolari, ma èpossibile utilizzarla con resettori bipolari. Poichéla soluzione fisiologica è iso-osmolare non si veri-ficano problemi di iponatremia, pur rimanendoun rischio di edema polmonare nel caso si utiliz-zino quantità molto elevate di soluzione (11). Unosvantaggio è la necessità di utilizzare un volumedi mezzo di distensione maggiore rispetto all’ani-dride carbonica poiché è necessario un certo ri-circolo del liquido al fine di ottenere una visualiz-zazione ottimale e questo è dovuto soprattutto allanecessità di eliminare i frustoli endometriali chesi sollevano al momento della dilatazione della ca-vità uterina, soprattutto se l’esame dovesse essereeseguito in una fase non ottimale del ciclo me-struale. Al fine di ottenere una distensione ottimalecon soluzione fisiologica è necessario mantenerela pressione intracavitaria compresa tra 80-100mm\hg.

Lo scopo primario di questo studio è quindiquello di cercare di dimostrare quale tra un mezzodi distensione gassoso (CO2) e un mezzo di di-stensione liquido (soluzione fisiologica) sia mag-giormente tollerabile dalle pazienti durante l’ese-cuzione di un’isteroscopia diagnostica. Lo studiosi prefigge di identificare anche se esistono dellepossibili variabili (età, storia ostetrica, calibro dello

strumento) che possano influenzare il disconfortprovato dalle pazienti e di conseguenza la sceltadel mezzo di distensione. In ultimo, in base allavalutazione del dolore intraoperatorio e all’insor-gere di possibili effetti collaterali che possano ren-dere necessaria la sospensione della procedura odaddirittura determinarne la non fattibilità, stabilirese, quando eseguita da ginecologi esperti dellaprocedura, l’isteroscopia diagnostica possa consi-derarsi una metodica diagnostica ambulatorialedi primo livello.

Materiali e metodiPer lo studio sono state esaminate 2008 pazientiche sono state sottoposte ad isteroscopia diagno-stica ambulatoriale tra il 2012 e il 2014 presso ilPoliclinico di Abano Terme e presso il PoliclinicoAgostino Gemelli di Roma. In 26 casi l’isteroscopianon è risultata eseguibile (8 casi per comparsa disindrome vagale, 18 per stenosi serrata del canalecervicale). In totale quindi l’isteroscopia è statacompletata in 1982 casi. In sole 6 pazienti in cui èstata utilizzata CO2 come mezzo di distensione siè avuta la comparsa di dolore retroscapolare, pron-tamente migliorato dopo somministrazione oraledi paracetamolo. Nel caso di pazienti in età fertilela procedura è stata eseguita tra il 6° e il 12°giorno del ciclo mestruale.

Le pazienti sono state randomizzate in base almezzo di distensione utilizzato per la procedura:995 isteroscopie eseguite utilizzando CO2, 987isteroscopie eseguite utilizzando soluzione fisiolo-gica. La distensione con CO2 è stata ottenuta me-diante l’utilizzo di un isteroinsufflatore elettronicoHamou (Karl Stortz) regolato con flusso di gasnon superiore a 60 ml\min, pressione di insuffla-zione di 100 mm\hg con controllo della pressioneintrauterina minore o uguale a 60 mm\hg. La di-stensione con soluzione salina è stata ottenuta me-diante l’utilizzo di uno spremisacca con manome-tro a pompa posto all’altezza di un metro dalpiano perineale con una pressione di 80-100mm\hg. Sono state utilizzate sacche di soluzionefisiologica della capienza di 1 litro. Con entrambele metodiche si è utilizzata la stessa fonte di lucefredda alogena da 250w condotta mediante l’uti-lizzo di cavo a fibre ottiche e la stessa strumenta-zione di output\imput video (telecamera KarlStorz e videoregistratore Sony). >>

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Le pazienti sono state ulteriormente randomiz-zate in base al tipo di isteroscopio utilizzato. In940 casi (di cui 485 con Co2 e 455 con soluzionesalina) è stato utilizzato un isteroscopio compostoda sistema ottico “Hopkins II-Karl Stortz” conun calibro di 4mm e un angolo di visione di 30°abbinato ad una camicia diagnostica da 5,1mmKarl Stortz. In 1042 casi (di cui 510 con Co2 e532 con fisiologica) è stato utilizzato un isterosco-pio composto da sistema ottico “Hopkins II – KarlStortz” con un calibro di 2,9mm e un angolo divisuale di 30° abbinato ad una camicia diagnosticada 3,5mm Karl Stortz.

Le pazienti sono state suddivise anche per storiaostetrica. Abbiamo avuto 924 pazienti nullipare(di cui 464 sottopsote a isteroscopia con Co2 e460 con soluzione salina) e 1058 pazienti pluripare(di cui 530 sottoposte a isteroscopia con Co2 e528 con soluzione salina). Il gruppo delle pazientinullipare comprende le pazienti sottoposte a taglioceareo.

Infine le pazienti sono state suddivise per fasciad’età in 4 gruppi: 20-40 anni, 472 pazienti intotale di cui 225 sottoposte ad isteroscopia conCo2 e 247 con soluzione salina. 40-50 anni, 683pazienti in totale di cui 350 sottoposte a isterosco-pia con Co2 e 333 con soluzione salina. 50-60anni, 437 pazienti in totale di cui 230 sottoposte aisteroscopia con Co2 e 207 con soluzione salina.Oltre 60 anni, 390 pazienti di cui 190 sottopostead isteroscopia con Co2 e 200 con fisiologica.

Tecnica dell’esame:La metodica utilizzata per l’esecuzione del-

l’isteroscopia diagnostica è stata similare in tuttele pazienti, eccetto che per il tempo di visualizza-zione del canale cervicale, il quale è stato ottenutomediante l’utilizzo di uno speculum nelle pazientisottoposte ad isteroscopia con Co2 e tramite l’ap-proccio vaginoscopico nelle pazienti sottoposte adisteroscopia con soluzione salina. In nessuno deidue gruppi sono stati utilizzati dilatatori meccanicio strumenti per manipolare la cervice uterina. Nelgruppo di pazienti con utilizzo della Co2 lo spe-culum è stato rimosso immediatamente dopo la

visualizzazione dell’orifizio uterino esterno e averappoggiato ad esso la punta dello strumento, poi-ché, con l’utilizzo della Co2, il passaggio dellostrumento attraverso le pareti vaginali potrebbedeterminare un inquinamento visivo eccessivo cheandrebbe a pregiudicare la qualità dell’immagine.Nelle pazienti sottoposte ad isteroscopia con so-luzione salina invece il tempo vaginoscopico haconsistito nell’appoggiare lo strumento al pianoimenale attivando l’erogazione del mezzo di di-stensione. Successivamente si è proceduto all’iden-tificazione del repere costituito dalla riflessionecervico-vaginale del fornice vaginale posteriore etramite i movimenti di lateralizzazione e retra-zione dell’isteroscopio all’identificazione dell’ ori-fizio uterino esterno. Da questo punto in poi latecnica è simile per entrambi i mezzi di distensioneè consiste nell’esecuzione di movimenti cosidetti“stop and see” e “stop and come back” poichétali movimenti consentono, attraverso l’arrestodella progressione e una minima retrazione del-l’isteroscopio, il ripristino di una visione ottimaleattraverso il ricircolo del mezzo di sospensione.La progressione dell’isteroscopio è ovviamente an-che influenzata dall’angolo di visuale dell’otticautilizzata (in questo caso 30°), quindi l’asse dellostrumento con il canale cervicale prevede il man-tenimento del percorso endocervicale alle “ore 6”del campo visivo se la lente frontale è orientataverso la parete anteriore del canale cervicale ealle “ore 12” quando la lente è orientata verso laparete posteriore. Al superamento dell’orifizio ute-rino interno dopo pochi secondi si ottiene la di-stensione della cavità endometriale ed è possibileiniziarne l’esplorazione che, sfruttando i movi-menti rotatori in senso oraio e antiorario e l’obli-quità della lente, consiste nell’identificare e visua-lizzare i recessi tubarici, nell’esplorare tutte le pa-reti uterine e nel valutare la regione cervico-istmica. Succesivamente si procede alla rimozionedell’isteroscopio e durante questo tempo si procedead una rivalutazione del canale cervicale poichéla dilatazione ottenuta dal passggio dello stru-mento permette in questo momento una migliorevisualizzazione del canale rispetto al tempo di in-gresso. Al momento della conclusione dell’esamele pazienti sono state invitate dapprima a rimaneredistese per circa un minuto e sucesivamente a se-dersi e scendere dal letto operatorio con cau- >>

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tela al fine di evitare la comparsa clinica diun’eventuale sindrome vagale.

Parametri analizzatiAl termine della procedura alle pazienti è stata ri-chiesta una valutazione del dolore intraoperatoriomediante l’utilizzo di uno score analogo-visivo(VAS – Visual Analogic Scale) con un punteggioattribuibile al dolore intraoperatorio provato va-riabile da 0 (assenza totale di disconfort operatorio)a 10 (dolore equiparabile al dolore massimo maiprovato dalla paziente). Tale valutazione è statarichiesta alle pazienti una prima volta 1 minutodopo il termine della procedura e successiave-mente dopo 5 minuti al fine di valutare anchel’eventuale persistere della sintomatologia dolo-rosa. Altro parametro analizzato è stato il tempodi esecuzione dell’isteroscopia espresso in secondi.Il tempo operatorio è stato calcolato a partire dal-l’introduzione dello speculum nel gruppo di pa-zienti sottoposte ad isteroscopie con CO2 e a par-tire dal tempo vaginoscopico nelle pazienti sotto-poste ad isteroscopia con soluzione salina.

La valutazione statistica è stata effettuata uti-lizzando il software “GraphPad-Prism Versione5”. La significatività statistica è espressa in terminidi p<0.005 con utilizzo di test parametrici e nonparametrici.

RisultatiQuesti sono i risultati ottenuti dopo l’analisi deidati. Analizzando come unico parametro il mezzodi distensione, indipendentemente dalle caratte-ristiche della paziente e dello strumento utilizzato,abbiamo ottenuto un valore di VAS ad un minutostatisticamente migliore nel gruppo di pazienti(995 casi) in cui è stata utilizzata CO2 come mezzodi distensione rispetto al gruppo di pazienti (987casi) in cui è stata utilizzata soluzione fisiologica.I valori di VAS dopo un minuto sono stati rispet-tivamente di 1,37 (CO2) contro 2,80 (soluzionefisiologica) con una significatività statistica osser-vata mediante t-test P<0.01 (Fig. 1).

Successivamente le pazienti sono state suddivisein base alla storia ostetrica (nullipare vs pluripare)ottenendo i seguenti risultati: analizzando le pa-zienti solamente in base alla storia ostetrica (indi-pendentemente dal mezzo di distensione utilizzato)abbiamo ottenuto un valore di VAS ad un minutodi 1,37 nelle pazienti pluripare (1058 casi) e di1,66 nelle pazienti nullipare (924 casi). Tale valorerisulta statisticamente significativo con un valoreP<0.05 (Fig. 2).

Suddividendo le pazienti in base alla storiaostetrica e al mezzo di distensione utilizzato ab-biamo ottenuto i seguenti risultati: nel gruppo dipazienti pluripare in cui è stata utilizzata CO2(530 casi) il valore di VAS è stato di 1,27 mentre ilvalore di VAS nel gruppo di pazienti pluripare incui è stata utilizzata soluzione fisiologica (528 casi)il valore di VAS è stato di 2,76. Tali valori rag-giungono la significatività statistica P<0.01 >>

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(Fig. 3). Analogalmente sono state analizzate lepazienti nullipare ottenendo un valore di VAS di1,50 nel gruppo di pazienti (464) in cui è stata uti-lizzata CO2 e un valore di VAS di 2,81 nel gruppodi pazienti (460) in cui è stata utilizzata soluzionefisiologica. Anche tali valori raggiungono la signi-ficatività statistica P<0.01 (Fig. 4).

In seguito le pazienti sono state suddivise inbase al tipo di isteroscopio utilizzato (5mm vs3,5mm) ottenendo i seguenti risultati: Analizzandole pazienti solamente in base al tipo di isteroscopioutilizzato, indipendentemente dal mezzo di di-stensione, abbiamo ottenuto un valore di VAS adun minuto di 1,82 nel gruppo di pazienti in cui èstato utilizzato uno strumento da 5 mm di diame-

tro (940 casi) e un valore di VAS di 1,25 nel gruppodi pazienti in cui è stato utilizzato di uno strumentoda 3,5 mm (1042 casi). Tali valori, osservati con t-test, raggiungono la significatività statistica P<0.05(Fig. 5). Suddividendo le pazienti in base allo stru-mento utilizzato e al mezzo di distensione abbiamoottenuto un valore di VAS ad un minuto di 1,61nelle pazienti in cui è stato utilizzato uno stru-mento da 5 mm con CO2 (485 casi) e un valoredi VAS di 2,86 nelle pazienti in cui è stato utiliz-zato uno strumento da 5 mm con soluzione fisio-logica (455 casi). Tali valori raggiungono la signi-ficatività statistica P<0.01 (Fig. 6). Analogalmentesono state analizzate le pazienti in cui è stato uti-lizzato uno strumento da 3,5 mm con CO2 (510casi) ottenendo un valore di VAS ad un minuto di1,21 e poi le pazienti in cui è stato utilizzato unostrumento da 3,5 mm con soluzione fisiologica(532 casi) ottenendo un valore di VAS di 2,45.Anche tali valori raggiungono la significatività >>

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statistica P<0.01 (Fig. 7). Le pazienti sono state suddivise in seguito in

base all’età. Analizzando i risultati indipendente-mente dal mezzo di distensione utilizzato abbiamoosservato un trend all’aumento dei valori di VASdirettamente proporzionale all’aumentare dell’etàdelle pazienti. Questi sono nel dettaglio i valoriosservati: Gruppo 20-40 anni (472 casi) VAS 1,31;Gruppo 40-50 anni (683 casi) VAS 1,49; Gruppo50-60 anni (437 casi) VAS 1,55; Gruppo oltre 60anni (390 casi) VAS 1,67. Dopo l’analisi statisticaeseguita con ANOVA non è stata comunque rag-giunta la significatività statistica (P=0.08). Suddi-videndo in seguito le pazienti in base alla fasciad’età e al mezzo di distensione utilizzato abbiamo

ottenuto i seguenti risultati: Nel gruppo 20-40anni abbiamo ottenuto una VAS di 1,29 nelle pa-zienti in cui è stata utilizzata CO2 (225 casi) euna VAS di 1,63 nelle pazienti in cui è stata uti-lizzata solzuione fisiologica (247 casi) raggiun-gendo la significatività statistica P<0.05 (Fig. 8).Nel gruppo 40-50 anni abbiamo ottenuto unaVAS di 1,38 nelle pazienti in cui è stata utilizzataCO2 (350 casi) e una VAS di 2,06 nelle pazientiin cui è stata utilizzata soluzione fisiologica (333casi) raggiungendo la significatività statisticaP<0.05 (Fig. 9). Nel gruppo 50-60 anni abbiamoottenuto una VAS di 1,40 nelle pazienti in cui èstata utilizzata CO2 (230 casi) e una VAS di 2,39nelle pazienti in cui è stata utilizzata soluzione fi-siologica (207 casi) raggiungendo la significativitàstatistica P<0.05 (Fig. 10). E infine nel gruppo ol-tre 60 anni abbiamo ottenuto una VAS di 1,53nelle pazienti in cui è stata utilizzata CO2 (190casi) e una VAS di 2,61 nelle pazienti in cui è >>

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stata utilizzata soluzione fisiologica (200 casi) rag-giungendo la significatività statistica P<0.05 (Fig.

11). Altro parametro analizzato è stato il tempo

operatorio e dopo l’analisi dei dati abbiamo otte-nuto i seguenti risultati: Il tempo operatorio medionelle pazienti in cui è stata utilizzata CO2 comemezzo di distenzione è stato di 58,34 secondi,mentre il tempo operatorio medio nelle pazientiin cui è stata utilizzata soluzione fisiologica comemezzo di distensione è stato di 78,44 secondi.Dopo l’analisi statistica dei dati mediante t-test siè osservato il raggiungimento della significatività

P<0.01 (Fig. 12). Suddividendo successivamentele pazienti in base allo strumento utilizzato ab-biamo osservato un tempo medio di 64,36 secnelle pazienti in cui è stato utilizzato un isterosco-pio da 5 mm e un tempo medio di 56,98 secondinelle pazienti in cui è stato utilizzato un isterosco-pio da 3,5 mm. Tali valori raggiungono la signifi-catività statistica P<0.05 (Fig. 13). In seguito lepazienti sono state suddivise in base alla storiaostetrica osservando un tempo medio di 61,76 se-condi nelle pazienti nullipare e un tempo mediodi 58,88 secondi nelle pazienti pluripare. Pur os-servando un trend di miglioramento nelle pazientipluripare tale valore, dopo t-test, non raggiungela significatività statistica (P=0.07). Infine abbiamoosservato il tempo operatorio confrontandolo conl’età delle pazienti, ottenendo un tempo medio di55,17 secondi nel gruppo 20-40 anni, un >>

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tempo medio di 59.05 secondi nel gruppo 40-50anni, un tempo medio di 63,49 secondi nel gruppo50-60 anni e un tempo medio di 64,47 secondinel gruppo oltre 60 anni. Tale dato dimostraquindi una correlazione statisticamente significa-tiva, osservata con ANOVA, tra tempo operatorioed età delle pazienti (P<0.05) (Fig. 14).

Per quel che riguarda i valori di VAS osservatidopo 5 minuti la media di tali valori non ha maisuperato il valore di 1 in tutti i gruppi analizzati.Non è stata osservata alcuna significatività statisticaconfrontando tra loro i vari gruppi.

DiscussioneLe modalità di esecuzione dell’isteroscopia dia-gnostica sono state negli anni ben definite in mododa rendere l’esame il meno doloroso possibile daparte della paziente e al tempo stesso da permet-tere al medico di poter effettuare uno studio com-pleto e approfondito della cavità uterina. L’averabbandonato l’utilizzo di strumenti per la mani-polazione del collo uterino e l’avvento della tecnicavaginoscopica hanno senz’altro rappresentatodelle innovazioni importanti che, congiuntamenteallo sviluppo di isteroscopi di calibro sempre mi-nore, di migliori fonti di luce e di videocamerepiù compatte e con una maggiore definizione,hanno permesso non solo all’isteroscopia diagno-stica di diventare a tutti gli effetti una metodicaambulatoriale, ma hanno reso possibile anche trat-tare efficacemente patologie di dimensioni noneccessive in regime ambulatoriale secondo i prin-cipi della “office hysteroscopy” (12). Ancora oggiperò un argomento molto dibatutto rigurda l’uti-lizzo dei mezzi di distensione in ambito diagno-stico, con particolare riferimento a quale offramaggiori vantaggi tra la CO2 e la soluzione fisio-logica. Mentre ormai vi è un consenso quasi una-mine sull’equiparabilità dei due mezzi per quelche riguarda la qualità di visione della cavità ute-rina (13-15) ancora non vi è un’intesa di veduteper quel che riguarda la tollerabilità e il disconfortdelle pazienti a seconda di quale mezzo di disten-sione si utilizzi. Effettuando infatti una ricerca

sulla letteratura fino ad oggi disponibile emergeche vi sono lavori che descrivono una maggiortollerabilità con l’utilizzo della CO2 (16,17), lavoriche descrivono una maggior tollerabilità con l’uti-lizzo di soluzione fisiologica (18,19) e lavori cheinvece descrivono come equiparabile (20,21) l’uti-lizzo dei due mezzi di distensione. Per quel cheriguarda l’utilizzo della CO2 due critiche impor-tanti al suo utilizzo sono la possibilità di comparsadi dolore retroscapolare alla fine della procedura,dovuta alla diffusione del gas nella regione sotto-diaframmatica con irritazione transitoria del nervofrenico, e la non possibilità di usare la tecnica va-ginoscopica per l’identificazione della cervice ute-rina ma la necessità di dover ricorrere all’utilizzodello speculum (22,23). Nonostante queste criticheperò nel nostro lavoro emerge un miglioramentosignificativo dei valori di VAS ad un minuto indi-pendentemente dallo strumento utilizzato, dall’etàe dalla storia ostetrica della paziente. Infatti sem-pre dalla letteratura si evince che la percentualedi comparsa di dolore retroscapolare è diretta-mente proporzionale all’aumentare dei tempi dellaprocedura (24) (nel nostro lavoro abbiamo avutocomparsa di tale sintomo in soli 6 casi su 995 iste-roscopie eseguite con CO2). Per quel che riguardainvece l’utilizzo dello speculum, la nostra metodicaprevede di mantenere lo speculum in vagina solofino all’ immediata identificazione dell’orifizio ute-rino esterno. Questo è probabilmente uno dei fat-tori che ha permesso, secondo i nostri dati, unariduzione significativa del tempo operatorio neicasi in cui è stata utilizzata CO2. La riduzionedel tempo operatorio sembra essere infatti deter-minante per permettere una riduzione del discon-fort nelle pazienti indipendentemente, come sievince dai dati analizzati, dal tipo di isteroscopioutilizzato e dal mezzo di distensione. Sappiamoinfatti che la distensione della cavità uterina rap-presenta una delle cause maggiori di insorgenzadi dolore intraoperatorio, e ciò è dovuto allo sti-molo dei recettori nocicettivi miometriali che tra-smettono l’impulso nervoso fino alle fibre delplesso di Frankenhauser. Minore è il tempo di sti-molo di questi recettori e minore sarà quindi diconseguenza il dolore avvertito dalla paziente. An-che la pressione di distensione è un fattore impor-tante in quanto minore è la pressione intracavita-ria, minore è di conseguenza lo stimolo noci- >>

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cettivo. Nel nostro lavoro abbiamo osservato cheper ottenere una ottimale visione della cavità en-dometriale è stato necessario raggiungere unapressione di 60 mm\hg con l’utilizzo di CO2 e di80-100 mm\hg con l’utilizzo di soluzione fisiolo-gica, quindi la maggior pressione necessaria conil mezzo di distensione liquido potrebbe contri-buire a spiegare i valori di VAS più alta rilevaticon quest’ultimo.

Una considerazione importante riguardo i datiottenuti è data dal fatto che la media dei valori diVAS ad un minuto analizzati, anche nel gruppoche ha raggiunto i valori più elevati, si è mantenutasempre al di sotto del valore di 3, un valore quindipiù che accettabile per quel che riguarda l’esecu-zione di una procedura invasiva senza l’utilizzo dialcuna tecnica anestesiologica. Tali valori inoltresi sono statisticamente ridotti, indipentemente dalmezzo di distensione utilizzato, quando abbiamoosservato i dati delle pazienti in cui è stato utiliz-zato uno strumento da 3,5 mm, a dimostrazionedel fatto che, quando possibile, è preferibile uti-lizzare strumenti con un calibro ridotto per ridurreil disconfort operatorio.

Altri importanti dati osservati sono l’immediatorecupero delle pazienti nel post operatorio (la me-dia dei valori di VAS dopo 5 minuti dalla finedella procedura è stata sempre inferiore ad 1 intutti i gruppi analizzati) e la bassa percentuale diimpossibilità all’esecuzione dell’esame o di neces-sità di sospenderlo (1982 isteroscopie eseguite suun totale di 2008 pazienti).

L’isteroscopia diagnostica sembra inoltre essereuna metodica applicabile su pazienti di tutte leetà, infatti abbiamo osservato un trend di aumentodei valori di VAS direttamente proporzionale al-l’aumento dell’età delle pazienti che non raggiungeperò la significatività statistica. La storia ostetricainvece influenza in maniera significativa il discon-fort operatorio, infatti abbiamo osservato un au-mento dei valori di VAS nelle pazienti nulliparerispetto invece alle pazienti che hanno avuto al-meno un parto vaginale. Ciò è sicuramente dovutoalle caratteristiche di maggior beanza di un canale

cervicale di una donna nullipara rispetto a quellodi una donna pluripara. Tali valori di VAS sonocomunque apparsi minori nel gruppo di pazientiin cui è stata utilizzata CO2 e nel gruppo di pa-zienti in cui è stato utilizzato un isteroscopio da3,5 mm.

In conclusione i nostri dati dimostrano: 1)Nell’ottica di un’esame puramente diagnostico(con l’utilizzo della CO2 non è possibile effettuareprocedure di “Office Hysteroscopy”) sarebbe con-sigliabile l’utilizzo della CO2 come mezzo di di-stensione per la maggior compliance delle pazientiin termini di disconfort operatorio, indipendente-mente dalla storia ostetrica e dall’età della pa-ziente. 2) I bassi valori di VAS ad un minuto os-servati in tutti i gruppi rendono l’isteroscopia am-bulatoriale una metodica diagnostica di primo li-vello eseguibile in donne di tutte le età quandoeseguita da operatori esperti della metodica. 3) Èpreferibile l’utilizzo di strumenti di minor calibropossibile poichè hanno provocato un disconfortpiù contenuto in tutti i gruppi di pazienti osservati.4) Il tempo operatorio rappresenta una variabilefondamentale per permettere la comparsa di unminor disconfort possibile nelle pazienti. l

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Confronto tra mezzo di distensione liquido e CO2 nella valutazione del dolore intraoperatorio nell’esecuzione dell’isteroscopia diagnostica

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IntroduzioneIl carcinoma della mammella ormono-sensibilerappresenta circa il 75% di tutti i carcinomi mam-mari invasivi1, distinguendosi dalle forme non or-mono-responsive per molte caratteristi-che clinico-patologiche, tra le quali ildecorso più indolente2.

L’espressione del recettore per gliestrogeni (ER) è direttamente correlatacon l’efficacia dell’inibizione dei pa-thway ER-dipendenti da parte di mo-dulatori selettivi come il tamoxifene, cheagisce da agonista parziale dell’ER, ocon misure che mirano a ridurre i livellidi estrogeni cirolanti, come l’ablazione ovarica,gli analoghi del GnRH (Gonadotropine ReleasingHormon) e gli inibitori dell’aromatasi3.

La terapia ormonale adiuvante per il carci-noma mammario ormono-sensibile è stata utiliz-zata per la prima volta oltre un secolo fa; nel 1896Beatson aveva già riconosciuto il ruolo fondamen-tale dell’ovariectomia bilaterale nel trattamentodel carcinoma della mammella4,5.

A partire dai risultati di una prima meta-analisi,che sosteneva l’efficacia dell’ablazione ovarica me-diante chirurgia o radioterapia come terapia adiu-vante per le donne in pre-menopausa affette dacarcinoma della mammella ormono-sensibile, sisviluppò successivamente una tendenza crescenteverso la soppressione farmacologica dell’attivitàovarica, mediante l’utilizzo dell’analogo delGnRH6. Nel 2005 un’overview di sei meta-analisi,condotta dall’Early Breast Cancer Trialists’ Col-laborative Group (EBCTCG), ha confermato chesalpingo-ovariectomia bilaterale (BSO) o la sop-

pressione ovarica farmacologica eseguita in 8.000donne riducevano significativamente la mortalitàper carcinoma della mammella7.

Le attuali linee guida prevedono, nella maggiorparte dei casi, trattamento con sommi-nistrazioni mensili, di un analogo delGnRH (Goserelin, Triptorelina, Leupro-relina) per 2-3 anni, affiancato dal ta-moxifene per 5 anni. Un’alternativa aquesto schema è la combinazione di en-trambi i farmaci per 2-3 anni, e succes-siva sostituzione del tamoxifene con uninibitore dell’aromatasi8,9.

Sebbene non siano state dimostratedifferenze significative tra la BSO e l’uso dell’ana-logo del GnRH ai fini della prevenzione della re-cidiva di carcinoma mammario10-12, l’uso dell’ana-logo del GnRH è l’approccio più comunementeusato, in quanto determina una soppressione ova-rica reversibile rispetto alla BSO; quest’ultimo ap-proccio però ha il vantaggio di ridurre immedia-tamente la produzione ormonale ovarica con unmiglior rapporto costo-efficacia13.

Numerosi studi epidemiologici hanno eviden-ziato che le pazienti con carcinoma mammariohanno un rischio aumentato (Standardized inci-dence ratio –SIR- 1.21-4.35) di sviluppare carci-noma ovarico rispetto alla popolazione generale,rischio che varia in relazione a diversi fattori di ri-schio, quali l’età al momento della diagnosi inizialedi tumore della mammella, lo stato recettoriale,la presenza di mutazione BRCA14.

Il ruolo dei fattori eredo-familiari nella storianaturale del carcinoma ovarico è ben noto: circail 10% delle neoplasie ovariche viene ascritto

Annessiectomia profilattica versus terapia adiuvante con analogo del GnRH in donne affette da carcinoma della mammella ormono-responsivo in premenopausa: studio di costo-efficacia e valutazione della qualità di vitaSpecializzanda: Dott.ssa Giulia Amadio

Relatore: Prof. Giovanni Scambia - Correlatore: Dott.ssa Gabriella Ferrandina

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a mutazioni di cluster genici; e la storia familiaredi tumore ovarico aumenta il rischio di malattiadi 3,6 volte. L’identificazione di mutazioni a livellodei geni oncosoppressori BRCA1 e BRCA2 è ri-tenuta responsabile della maggior parte delleforme ereditarie di carcinoma ovarico epiteliale edell’associazione fra carcinoma ovarico e tumoremammario (breast-ovarian cancer syndrome, sitespecific ovarian cancer syndrome)15 .

L’incidenza di un secondo carcinoma primitivoè generalmente espressa mediante i SIRs (stan-dardazed incidence ratios), cioè il rapporto tra icarcinomi osservati e quelli attesi. Schonfeld et al.hanno recentemente dimostrato che c’è un rischioreale di sviluppare un carcinoma dell’ovaio dopoun carcinoma mammario, evidenziando dei SIRselevati durante tutto il periodo dello studio (SIR,1.24; 95% CI, 1.2 - 1.3) e con un trend in dimi-nuzione con l’aumentare dell’età alla diagnosi dicarcinoma della mammella. L’incidenza di carci-noma ovarico mostrava un andamento bimodale,con un picco d’incidenza intorno ai venti anni dietà e un secondo picco intorno agli ottanta anni,con 5 e 6 casi per 10.000 donne rispettivamente14.

Nella popolazione del nostro studio (carcinomidella mammella ormono-responsivi di età com-presa tra i quaranta e i quarantanove anni), il SIRriportato da Schonfeld era pari ad 1,21 (CI 0.9 -1.6), con un’incidenza annua stimata in base al-l’età alla diagnosi di carcinoma della mammella(40-49 anni) pari a 2.5 (CI 1.8 - 3.1).

Il SIR maggiore è stato osservato nelle donnecon carcinoma della mammella non ormono-re-sponsivo, con età inferiore ai cinquanta anni (SIR,4.35; 95% CI, 3.5 to 5.4); in questo subset di pa-zienti, l’incidenza di carcinoma ovarico era dicirca due volte superiore rispetto a quella riscon-trata nei carcinomi della mammella ormono-re-sponsivi14, potendo ipotizzare una correlazionecon la mutazione del gene BRCA1, noto fattoredi rischio per il carcinoma ovarico e il carcinomamammario non ormono-responsivo16,17 .

Poiché la BSO si è dimostrata in grado di ri-durre di circa l’80-90% il rischio di insorgenza dicarcinoma ovarico nella popolazione generale didonne con fattori di rischio eredo-familiare18, taleapproccio potrebbe costituire nelle pazienti affetteda tumore della mammella ormono-sensibile inpremenopausa, una valida opzione preventivanell’ottica di ridurre sia il rischio di ripresa di ma-lattia mammaria, sia il rischio di insorgenza di tu-more ovarico.

In questo contesto, la riduzione del rischio disviluppare un tumore maligno dell’ovaio, patologiacaratterizzata da elevati livelli di morbidità e mor-talità con pesanti ripercussioni socio-sanitarie,comporterebbe, oltre agli evidenti benefici clinici,favorevoli risultati in termini di miglioramentodel rapporto costo-efficacia e di gestione dei costisanitari 13,19. È anche lecito aspettarsi che l’annes-siectomia profilattica possa esitare in un rilevante,favorevole impatto sulla qualità di vita e stressemotivo delle pazienti considerate ad alto rischiodi sviluppo di neoplasia ovarica. Gli indubbi van-taggi degli approcci chirurgici mini-invasivi (mi-nilaparoscopia, single site laparoscopy), che con-sentono una drastica riduzione dei tempi di inter-vento, degenza in ospedale, e convalescenza conun rapido ritorno alla vita familiare e lavorativarispetto alla chirurgia tradizionale, può contribuirein maniera non trascurabile a rendere l’annessiec-tomia profilattica una strategia competitiva anchein termini di compliance da parte della paziente.

Lo scopo di questo studio è di confrontare, inpazienti affette da carcinoma della mammella or-mono-sensibile, di età compresa tra 40 e 49 anni,due diversi approcci; l’annessiectomia bilateralelaparoscopica e la somministrazione mensile del-l’analogo del GnRH, in termini di costo-efficaciae di qualità di vita. Si valuterà inoltre il ruolo dellaBSO nella riduzione del rischio di sviluppare uncarcinoma ovarico primitivo.

Materiali e metodiÈ stata condotta una revisione della letteratura peridentificare trials randomizzati e meta-analisi, chevalutavano il tasso di recidiva a 5 anni e il tasso dimortalità a 5 anni, in donne in pre-menopausa af-fette da carcinoma della mammella ormono-sen-sibile sottoposte a terapia adiuvante con analogodel GnRH o BSO o nessuno dei trattamenti >>

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precedenti. L’incidenza dei decessi e delle recidiveè stata ottenuta dalla letteratura, e ogni studio in-cluso nella meta-analisi ha potuto contribuire apiù di un’associazione d’interesse. L’incidenza dicarcinoma ovarico in pazienti con storia anamne-stica di carcinoma della mammella è stata ottenutadalla letteratura, pertanto gli intervalli di confi-denza per questi valori sono stati calcolati con me-todi esatti. I costi sono stati definiti sulla base dellanormativa nazionale relativa alla remunerazionedelle prestazioni sanitarie e delle normative regio-nali relative al finanziamento delle prestazioni d’in-teresse. Sono stati utilizzati i DRG (Diagnosis rela-ted group) per la stima dei costi delle prestazioniospedaliere. Al fine di poter eseguire l’analisi di

costo-efficacia, abbiamo valutato i costi dei singolitrattamenti (Tabella 1a e Tabella 1b). I costi finalisono stati ottenuti sommando i singoli costi pon-derati per la probabilità di ogni evento. Per i costidell’analogo del GnRH abbiamo considerato unasomministrazione mensile del farmaco per tre anni,per il trattamento del carcinoma ovarico abbiamoindividuato due iter terapeutici: A) intervento chirurgico radicale (generalmente

fattibile nel 60% dei casi) seguito da sei cicli dichemioterapia adiuvante con carboplatino(AUC 5)- paclitaxel (175 mg/mq) q21

B) laparoscopia o laparotomia esplorativa conbiopsie (nei casi non citoriducibili in primaistanza - 40%) seguita da quattro cicli di che-mioterapia neoadiuvante e intervento di cito-riduzione di seconda istanza (IDS) e due ciclidi terapia adiuvante 45-49. Le utilità per la sopravvivenza e la recidiva di

malattia sono state ricavate dalla letteratura, e laqualità di vita aggiustata per ogni anno di vitaguadagnato (QALY) calcolata di conseguenza.

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RisultatiAbbiamo riportato in un albero decisionale (Fi-

gura 1) il tasso di mortalità e di recidiva a 5 anni,per le pazienti con carcinoma della mammella or-mono-sensibile di età compresa tra i 40 e i 49anni. Entrambe le strategie in studio si confer-mano efficaci in questo setting di pazienti; tuttavia,nonostante l’ampio intervallo di confidenza abbialimitato le possibilità di raggiungere una differenzastatisticamente significativa, si è documentato untrend a favore della BSO per entrambe le misuredi outcome. In particolare, la BSO si associa adun tasso di recidiva del 21.1% verso il 44% delGnRH. Analogamente per quanto riguarda il

tasso di mortalità si evidenzia un trend con unandamento clinico più favorevole delle pazientisottoposte ad annessiectomia bilaterale 69.2% ver-sus 78.9% del braccio con analogo del GnRH.

Dall’analisi dei costi emerge che tra la BSO(1763,06 euro) e il GnRH (6457,43 euro) c’è unadifferenza statisticamente significativa a favoredell’approccio chirurgico (Tabella 2).

Allo scopo di fornire un’analisi esemplificativadi quanto detto, la Tabella 3 esprime i costi calco-lati a partire da un campione ipotetico di 100.000donne con diagnosi di carcinoma mammario or-mono-responsivo sottoposte ai due trattamenti inesame. Per quanti riguarda costi correlati al trat-tamento con analogo del GnRH, calcolati consi-derando il trattamento globale di 36 mesi, si èipotizzato un costo totale di 644.200,000 euro; inconsiderazione dei dati della letteratura che ri-portano una incidenza di carcinoma ovarico nellapopolazione generale in Italia di 16 donne per100.000 per anno50 e dell’incremento del tasso

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Figura 1. Albero decisionale

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di rischio del 20% nella popolazione presa a cam-pione14, si è stimata un’incidenza annuale di 20carcinomi ovarici nel nostro campione per anno.Il costo complessivo quindi del trattamento pri-mario del tumore ovarico è stimabile intorno acirca 190.000 euro. Complessivamente l’approc-cio terapeutico con GnRH è gravato da un costocomplessivo di 644.388,900 euro che si traducein un costo per paziente di 6.443 euro. Per quanto

riguarda invece i costi correlati al trattamento conBSO, per 100.000 pazienti sottoposte a tratta-mento chirurgico il costo globale calcolato è di176.115,000 euro; e considerando l’incrementodi rischio di carcinoma ovarico del 20% nella po-polazione presa a campione14 e la riduzione di talerischio in seguito all’annessiectomia bilaterale, siè stimata un’incidenza annuale di 4 carcinomiovarici per 100.000 donne per anno. Il costo com-plessivo quindi del trattamento primario del tu-more ovarico è stimabile intorno a circa 40.000euro. Complessivamente l’approccio terapeuticocon BSO è gravato da un costo complessivo di176.152,864 euro che si traduce in un costo perpaziente di 1.761,52 euro. (Tabella 3)

Questa analisi esemplificativa conferma il van-

taggio economico dell’approc-cio chirurgico verso l’approcciofarmacologico. Dimostra comela differenza tra le due strategieterapeutiche sia sostanzial-mente ascrivibile al costo del-l’analogo utilizzato in adiu-vante, dal momento che datala scarsa incidenza di carci-noma ovarico secondario inquesto subset di pazienti e datol’enorme impatto preventivodella BSO sul rischio di carci-noma ovarico secondario, i co-sti del trattamento della pato-logia ovarica risultano dram-maticamente ridotti. Mentre irisultati delle analisi finora ri-portati esprimono il rapportocosto-efficacia in termini di co-sti puramente economici, piùrecentemente altre moda- >>

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lità di espressione di tale rapporto sono state messea punto sulla base del riconoscimento, trasversal-mente diffuso a tutte le aree della medicina, dellarilevanza della qualità di vita nella valutazione diqualsiasi approccio terapeutico. In particolarenell’ambito di un’analisi di costo-efficacia, è utilefocalizzarsi su quei trattamenti che migliorano laqualità e o la durata della vita e che allo stessotempo consentono di utilizzare al meglio le risorsesanitarie. In questo contesto è stato messo a puntoil concetto di QALY (quality-adjusted life-yearsgained- anni di vita guadagnati aggiustati per qua-lità di vita) il quale dà un’idea di quanti mesi oanni di vità in più, di qualità ragionevole, unapersona può guadagnare come risultato di un trat-tamento. Il QALY racchiude in un’unica unità dimisura, un indicatore di efficacia e un indicatoredi qualità, e ha largo impiego nella guida decisio-nale di processi o valutazione di procedure daparte di enti e agenzie in ambito sanitario, inquanto ormai parte integrante dellatecnologia sanitaria51. Tuttavia, ilQALY è strettamente legato alla sin-gola utilità che esprime l’impatto diuna singola patologia sulla qualità divita della paziente. Ad esempio inletteratura vengono riportati valoridi utilities pari a a 0.8 per i pazientiin trattamento dialitico o 0.5 per pa-zienti infartuati e 0.7 per pazienti af-fetti da patologie oncologiche. Uti-

lizzando il valore di utility di 0.7 per pazienti on-cologici sono stati calcolati nella nostra serie i va-lori di QALY relativi a nessun trattamento, terapiacon analogo e ablazione ovarica: calcolando ognianno di vita sana come 1 anno, e ogni anno divita con malattia come 0.7 (valore di utility per

carcinoma)24, l’attesa di vita sana in assenza ditrattamento adiuvante del carcinoma mammarioè pari a 0.71 anni, mentre l’utilizzo dell’analogodel GnRH aumenta gli anni attesi di vita sana da0.71 a 0.991 (con un incremento dell’utility di 0.281pari al 28.1%); con la BSO gli anni di vita aggiu-stati per qualità di vita raddoppiano, passando da0.71 a 1,399 (con un in incremento dell’utility dello0,689 pari al 68.9%). In termini pratici la chirurgiaraddoppia gli anni di vita sana attesi, mentre l’ana-logo del GnRH pur comporta un incremento deglianni di vita attesi, ma solo di 0.28 anni (cioè pochimesi) (Tabella 4).

Volendo attribuire un costo agli anni di vita at-tesi aggiustati per qualità di vita (QALY) con idue trattamenti rispettivamente, si evince che pergarantire alla paziente un anno di vita sana conla BSO è necessaria una spesa nettamente inferiorerispetto all’analogo del GnRH (1115,67 euro versus

5768,63 euro) (Tabella 5). >>

Annessiectomia profilattica versus terapia adiuvante con analogo del GnRH in donne affette da carcinoma della mammella ormono-responsivo in premenopausa: studio di costo-efficacia e valutazione della qualità di vita

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DiscussioneQuesto è il primo studio che calcola il rapportocosto efficacia di due strategie di soppressione ova-rica in pazienti con carcinoma mammario or-mono-responsivo (età 40-49 anni), prendendo inconsiderazione sia l’aspetto prettamente econo-mico sia la qualità di vita. A questo scopo abbiamoutilizzato il metodo del decision tree che utilizza serieconsecutive di simulazioni partendo da misure dioutcome derivati dalla letteratura, applicandolead una coorte ipotetica di pazienti.

L’analisi di sensibilità dei vari parametri nelcontesto dei rispettivi range contribuisce alla ro-bustezza dei risultati finali.

I risultati ottenuti suggeriscono che la BSO puòessere considerata un’opzione ragionevole in ter-mini di costo-efficacia e qualità di vita in questosubset di pazienti. In particolar modo conside-rando soltanto i costi globali delle due strategie,comprensivi dei costi del trattamento adiuvante edel trattamento del carcinoma ovarico, è emersoche la BSO si associa ad una spesa per pazientesignificativamente ridotta rispetto all’utilizzo delGnRH.

Quando si considera il calcolo dei costi espressoin ragione degli anni di vita guadagnati aggiustatiper qualità di vita (QALY), emerge come l’utilizzodell’analogo determina un aumento degli anni at-tesi di vita sana pari al 28.1%, il che si traduce inun prolungamento di soli pochi mesi. Al contrariola BSO determina un incremento del 68.9%.

Tra i vantaggi di questo studio, quello sicura-mente più evidente è la possibilità di eseguire unastima dei costi e dei benefici di due strategie tera-peutiche a confronto, altrimenti di difficile attua-zione nell’ambito di una sperimentazione clinica.In questo contesto la disponibilità di tali risultatipuò essere d’ausilio nella pianificazione e coun-selling di un trattamento adiuvante in casi sele-zionati; inoltre le stesse informazioni potrebberorappresentare la base per la pianificazione di studimirati in questa popolazione volti a definire il pos-

sibile ruolo della strategia chirurgica in un contestodi economia sanitaria. Tra gli altri vantaggi vaanche sottolineata la possibile applicabilità di que-ste strategie analitiche in setting clinici nei qualipossa emergere in maniera più evidente la supe-riorità della strategia chirurgica in termini di pre-venzione del carcinoma ovarico. Infatti è da con-siderare che nella popolazione presa in esame ilrischio di carcinoma ovarico risulta incrementatorispetto alla popolazione generale (del 20%), madecisamente inferiore rispetto ad altri subset dicarcinoma mammario, come la popolazione nonormono-responsiva, nella quale il rischio di carci-noma ovarico secondario è 3-4 volte più elevato14.In questo ambito ad esempio, la BSO svolgerebbeun ruolo fondamentale nella riduzione del solo ri-schio di sviluppo di carcinoma ovarico con com-prensibili risvolti non solo in termini di costi maanche in termini di prevenzione di una malattiacon elevata mortalità.

Va tuttavia considerato, che gli studi individuatie utilizzati per questa analisi, sebbene compren-dano ampie casistiche, non sono particolarmenterecenti, e possono quindi mancare di acquisizionicliniche e biomolecolari più recenti. Ad esempio,nella nostra serie non è stato possibile includere idati relativi all’eventuale presenza di mutazionidei geni BRCA 1 e BRCA2, i quali sono caratte-rizzati da un’incidenza annuale di carcinoma ova-rico e da una penetranza decisamente più elevateper il BRCA1. Tali informazioni potrebbero gio-care un ruolo chiave per una più fine discrimina-zione pur nell’ambito dello stesso setting clinicodi pazienti con carcinoma mammario a più elevatorischio di manifestare la malattia ovarica.

Attualmente per le giovani donne portatrici diuna mutazione germinale dei geni oncosoppressoriBRCA1 e BRCA 2, l’annessiectomia bilateraleprofilattica è in indicazione dall’età di 40 anni oal termine del percorso riproduttivo. Questo in-tervento che è in grado di ridurre il rischio di car-cinoma ovarico dell’80-90%, il rischio di carci-noma della mammella del 50%, e il rischio dellamortalità correlata al cancro del 60%18,52, sembraassociato a miglioramento non solo della saluteglobale ma anche psicologica53. Infatti è stato di-mostrato che il possibile peggioramento della qua-lità della vita e dei sintomi endocrini secondarialla menopausa chirurgica viene controbilan- >>

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ciato dal miglioramento dell’ansia della percezionedel rischio di sviluppare una neoplasia ovarica18.In questo contesto, la conoscenza dei fattori cheinfluenzano positivamente (elevato livello socio-culturale, attivita’ fisica, normalita’ del peso cor-poreao) o negativamente (giovane età alla chirurgiae mancanza di prole) il benessere a lungo terminedelle donne ad alto rischio di carcinoma ereditariodella mammella o dell’ovaio può essere sfruttataallo scopo di pianificare dei programmi psico-edu-cazionali di supporto54,55. Va anche sottolineatoche i timori delle pazienti correlati alla mera pro-cedura chirurgica (effetti estetici, complicanze,compromissioni funzionali ecc..) sono stati enor-memente minimizzati in tempi recenti dallo svi-luppo di approcci chirurgici mini-invasivi: l’ap-proccio laparoscopico infatti offre diversi vantaggirispetto alla chirurgia tradizionale quali il minortrauma della parete addominale, le ridotte dimen-sioni delle brecce laparoscopiche e minor traumaper gli organi addominali, con conseguente migliordecorso postoperatorio, minore degenza ospeda-liera e una più precoce ripresa delle ordinarie at-tività lavorative e sociali56,57.

Recentemente, sono state sviluppate altre tec-niche laparoscopiche che permettono di superarealcuni dei limiti della laparoscopia convenzionale,ad esempio con il LESS (Laparo-Endoscopic Sin-gle-Site Surgery), l’accesso endoscopico è singolo,solitamente ombelicale, e la procedura chirurgicaè caratterizzata da un’ulteriore riduzione dei tempi

operatori, delle complicanze e dei giorni di de-genza, come risulta da una revisione della lettera-tura relativamente alla chirurgia annessiale perpatologia benigna (Tabella 8)58-72.

Sebbene non ci siamo dati relativi al migliora-mento della qualità di vita nelle pazienti affetteda carcinoma mammario sottoposte ad annessiec-tomia profilattica laparotomica versus approcciolaparoscopico, è lecito supporre che la rapida ri-presa funzionale, il rapido ritorno alla vita fami-liare e lavorativa e il vantaggio cosmetico della la-paroscopia, in una paziente già sottoposta ad in-tervento mammario, possano risultare in una mi-gliore compliance all’intervento stesso e una migliorequalità di vita.

In conclusione la BSO sembra rappresentareuna strategia cost-effective, in quanto a parità di ef-ficacia rispetto all’analogo del GnRH in terminidi sopravvivenza globale e di prevenzione dellarecidiva di carcinoma della mammella ormono-responsivo, protegge dall’insorgenza di carcinomaovarico, e risulta economicamente più vantaggiosain termini di costi assoluti e per anni di vita gua-dagnati aggiustati per qualità di vita.

Rimane aperta la necessità di individuare nel-l’intervallo di tempo tra i 40 e i 49 anni, i subsetdi pazienti nelle quali la proposta dell’alternativachirurgica va individualizzata in relazione alla fa-scia di rischio e al completamento della funzioneriproduttiva e al counselling circa gli effetti colla-terali della menopausa. l

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Annessiectomia profilattica versus terapia adiuvante con analogo del GnRH in donne affette da carcinoma della mammella ormono-responsivo in premenopausa: studio di costo-efficacia e valutazione della qualità di vita

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Il carcinoma dell’ovaio rappresenta la quintacausa di morte per tumore nella donna e la

prima per patologia neoplastica ginecologica neipaesi sviluppati1.  Lo studio pre-operatorio dellemasse ovariche, riveste oggi notevole im-portanza in quanto consente di pianifi-care il management più appropriato perogni paziente. Ad oggi, una delle meto-diche più accurate nella diagnosi dei tu-mori ovarici è rappresentata dall’eco-grafia pelvica transvaginale. La man-canza di standardizzazione della termi-nologia e della metodologia con cui va-lutare le masse ovariche, ha condotto nel2000 alla pubblicazione di un Consensus2 da partedello IOTA (International Ovarian Tumor Ana-lysis), gruppo di ricerca internazionale sullo studiodelle masse ovariche. Secondo quanto pubblicatodal Consensus, le masse ovariche vengono distintein cinque categorie morfologiche: uniloculari (cistiuniloculare priva di setti e parti solide o papille),uniloculari-solide (cisti uniloculare con compo-nente solida o alme no una papilla, quest’ultimadefinita come la presenza di una componente so-lida presente sulla parete interna della cisti, di al-meno 3 mm di altezza), multiloculari (cisti conalmeno un setto ma privo di componenti solide opapille), multiloculari-solide (cisti multilocularecon componente solida misurabile o almeno unapapilla), solide (tumore in cui la componente solidarappresenta > 80% del tumore). A ciascuna classemorfologiche è associato uno specifico rischio dimalignità3, ovvero: le cisti uniloculari presentanoun rischio di malignità di 0.6%, le cisti multilocu-lari del 10%, le uniloculari-solide del 33%, le mul-tiloculari-solide 43% e infine le masse solide hannoun rischio di malignità del 65%.

Numerosi studi condotti nel corso di questi

anni, hanno dimostrato che l’ecografia pelvica è,nelle mani di un operatore esperto, una metodicamolto accurata nel discriminare le masse benignee maligne e alla valutazione soggettiva, definita

anche “subjective assessment”, rag-giunge una sensibilità dell’ 88% e unaspecificità del 96%4.

Durante questi anni, inoltre, sonostati elaborati dal gruppo IOTA, dei mo-delli e degli score (Scoring systems, sim-ple ultrasound rules, logistic regressionanalysis, artificial neural networks (ANN)e kernel methods, come support vectormachine models) con l’obiettivo di discri-

minare in modo oggettivo le masse ovariche. Traquesti vi sono i modelli di regressione logistica3

(LR1 e LR2) che si basano sulla valutazione di12 parametri (1: storia personale di carcinomaovarico; 2: terapia ormonale in corso; 3: età; 4:diametro massimo della lesione; 5: presenza didolore durante l’esame; 6: presenza di ascite; 7:presenza di vascolarizzazione all’interno di unapapilla; 8: presenza di un tumore solido puro; 9:massimo diametro della componente solida; 10:parete interna della cisti irregolare; 11: presenzadi cono d’ombra; 12: color score (1, 2, 3 o 4)) e 6parametri (1: età; 2: presenza di ascite; 3: presenzadi vascolarizzazione all’interno di una papilla; 4:massimo diametro della componente solida; 5:parete interna della cisti irregolare; 6: presenza dicono d’ombra) rispettivamente. Applicati alla po-polazione generale di masse ovariche, LR1 ha unasensibilità del 92% e una specificità dell’87% eLR2 ha una sensibilità del 92% e una specificitàdell’86%.

Un altro approccio per la discriminazione og-gettiva delle masse ovariche è quello basato sulle“simple ultrasound rules”5. Queste ultime

The accuracy of ultrasound in detecting the different histopatological subtypes in multilocular adnexal masses: an international multicenter studySpecializzanda: Dott.ssa Sara Mainenti

Relatore: Dott.ssa Antonia Testa - Correlatore: Prof. Giovanni Scambia

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prendono in considerazione 5 parametri ecograficipredittivi di malignità (M1 tumore solido irrego-lare, M2 ascite, M3 presenza di almeno 4 strutturepapillari, M4 massa multiloculare-solida irregolaredi diametro > 100 mm, M5 vascolarizzazione im-portante (color score 4)) e 5 parametri ecograficipredittivi di benignità (B1 cisti uniloculare, B2presenza di componente solida, dove la compo-nente solida maggiore ha dimensioni <7 mm, B3presenza di cono d’ombra, B4 tumore multilocu-lare a sperficie liscia < 100 mm, B5 assenza di va-scolarizzazione (color score 1)). Le “simple rules”risultano applicabili nel 75% delle masse ovarichee studi prospettici hanno dimostrato una sensibilitàdel 92% e una specificità del 96%6, che risulta si-mile a quella della subjective assessment.

Nel 2009, inoltre, è stato costruito uno scoringsystem per ciascuna categoria morfologica7 (cistiuniloculari, cisti multiloculari, tumori con almenouna componente solida ma assenza di papille, tu-mori con papille). I risultati di questo score hannodimostrato una sensibilità dell’88% e una speci-ficità del 90% nel discriminare tra una massa be-nigna e maligna. Lo scoring system sviluppatoper la categoria di masse multiloculari prevede lavalutazione dei seguenti parametri, ad ognunodei quali viene attribuito un peso differente: (asci-tes= 2; numero di loculi >5=1, dimensione mas-sima del tumore >100 mm=1, età >50= 1).Quando lo score risulta >3, la massa viene consi-derata maligna.

Sono stati condotti anche diversi studi sul ruolodei marcatori tumorali, in particolare il CA125 el’HE4, ma il loro ruolo rimane ancora oggi con-troverso8-12. Infatti, sebbene la valutazione dei mar-catori tumorali faccia parte dell’inquadramentodiagnostico delle pazienti con tumori ovarici, i ri-sultati dello IOTA suggeriscono il loro ruolo limi-tato nella caratterizzazione delle patologie ovari-che, soprattutto in donne in pre-menopausa. Di-versi studi dimostrano che donne con carcinomaovarico primitivo avanzato hanno elevati livelli diCA125, mentre quelle con tumori borderline ocarcinomi ovarici in Stadio I, che sono quelli più

difficili da individuare e diagnosticare corretta-mente, si presentano con livelli di CA125 solo lie-vemente o modestamente aumentati13-16. Inoltre,altre patologie extraovariche come quelle endo-metriali, pancreatiche, epatiche o polmonari14, 15,oppure le pazienti affette da endometriosi e quellein pre-menopausa possono avere un rialzo di talimarcatori. Quindi, poichè i risultati del CA125davano un elevato numero di masse classificateerroneamente come maligne rispetto al “patternrecognition” (o “subjective assessment”), il suo va-lore non è stato preso in considerazione in modellidi regressione logistica costruiti per discriminaretra tumori benigni e maligni.

Sebbene, nelle mani di operatori esperti l’eco-grafia pelvica risulta essere la metodica diagnosticapiù accurata nella discriminazione delle masseovariche, esiste tuttavia un rischio di fallimento ditale metodica in circa il 10% delle pazienti17. Icasi più complicati sono rappresentati da tumoricaratterizzati dalla presenza di papille, da cistimultiloculari con più di 10 loculi, cisti con conte-nuto interno “low level” e masse moderatamentevascolarizzate al color Doppler. All’interno di que-ste masse particolari, nessun modello di regres-sione logistica o score è stato in grado di discrimi-nare con accuratezza i benigni e i maligni. Le pa-tologie over-rappresentate tra le “masse difficili”sono i tumori borderline, lo struma ovarii,(cisto)adenofibroma e i fibromi ovarici. In questemasse la “subjective evaluation” ha dimostratouna sensibilità del 56% e una specificità del 77%,che risultano significativamente inferiori rispettoa quelle della popolazione generale di masse ova-riche17 (vs 88% e 96% rispettivamente4).

Sono stati pubblicati, inoltre, dal gruppo IOTA,diversi lavori sulle caratteristiche ecografiche didifferenti tipi istologici, i cui risultati hanno con-fermato che i tumori borderline di tipo intestinalesi presentano spesso come masse multiloculari digrandi dimensioni e con elevato numero di con-camerazioni18, e i tumori metastatici provenientidal colon e dalle vie biliari sono frequentementemultiloculari e bilaterali19.

Oggigiorno, non esistono tuttavia strumentidiagnostici in grado di discriminare chiaramentetra un tumore con basso grado di malignità e untumore aggressivo; tale problema è di cruciale im-portanza nella valutazione del rischio oncolo- >>

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gico e nel bilanciamento del trattamento rispettoad una minor radicalità chirurgica.

Di conseguenza, poiché le masse multilocularirappresentano una categoria difficile dal punto divista diagnostico, ci siamo dedicati allo studio diquesta particolare categoria morfologica, analiz-zando i dati raccolti prospetticamente secondo ilConsensus IOTA, in due centri di riferimentooncologico (UCSC, Roma, UCLH, Londra).

Gli obiettivi del nostro studio sono stati:• valutare la distribuzione di diversi tipi istologici,

non solo benigno e maligno ma anche borderline(BOT), primary invasive e metastatici;

• analizzare le caratteristiche cliniche e morfolo-giche dei vari istotipi all’interno di una popola-zione di masse ovariche multiloculari;

• analizzare l’accuratezza diagnostica della “sub-jective assessment”, LR1 e LR2, scoring systemdi Ameye e “simple rules”;

• identificare delle eventuali regole ecografichecon l’obiettivo di discriminare tra BOT, primaryinvasive e metastatici;

• realizzare una galleria di immagini ecografichetipiche di differenti tipi istologici.

Materiali e metodiIl presente studio è stato condotto in due centri diriferimento oncologico, ovvero la divisione di Gi-necologia Oncologica del Policlinico Gemelli diRoma e il Dipartimento di Ginecologia della Uni-versity College Hospital di Londra.

Sono state identificate le pazienti che presen-tavano alla valutazione ecografica pre-operatoria,una formazione annessiale multiloculare. Per ognipaziente sono stati raccolti i dati demografici non-ché i dati clinici; la valutazione ecografica è stataeseguita in entrambi i centri, da operatori esperticon almeno 10 anni di esperienza, nei 120 giorniprecedenti l’intervento. Quindi sono state riportatele caratteristiche ecografiche di ciascuna massa eapplicati i diversi modelli e score precedentementeelencati, ovvero i modelli di regressione logistica1 e 2, lo scoring system di Ameye, le simple ultra-sound rules. In tutti i casi, l’operatore ha utilizzato

la “subjective assessment” per suggerire la proba-bile natura della massa, in base alla valutazionesoggettiva.

I risultati della valutazione ecografica sono staticonfrontati con quelli istopatologici. I tumori sonostati classificati secondo i criteri raccomandatidall’International Federation of Gynecology andObstetrics.

Analisi statistica: i tumori maligni sono stati di-visi in 3 gruppi, ovvero borderline, primary inva-sive e metastatici. Le caratteristiche cliniche edecografiche sono state confrontate tra i vari gruppi.Sono stati utilizzati i test di Kruskal-Wallis el’ANOVA per testare la significatività tra variabilicontinue; il Chi-square test e il Fisher test per te-stare le differenze statisticamente significative tradati discreti. Il valore di p<0.05 è stato consideratocome statisticamente significativo.

Risultati255 pazienti con diagnosi pre-operatoria ecogra-fica di massa ovarica multiloculare sono state in-cluse nello studio (154 pazienti del centro di Romae 101 pazienti del centro di Londra). All’esameistologico definitivo, 216 (85%) masse risultavanobenigne, 18 (7%) borderline, 12 (5%) primary in-vasive e 9 (3%) metastatici.

Dall’analisi delle caratteristiche cliniche, èemerso che le pazienti con tumore benigno eranosignificativamente più giovani rispetto a quellecon tumori maligni (median: 45 years, range 16-84 vs median: 60 years, range 30-78, p<0.001).Inoltre, tra i tumori maligni, le pazienti con BOTerano più giovani rispetto a quelle con carcinomaovarico invasivo (median: 63 years, range 33-78)o metastatico (median: 52 years, range 52-75). Irisultati del CA125 erano disponibili solo per 132pazienti (median: 21 UI/ml; range: 4–1978U/ml), 37 (36%) delle 102 pazienti benigne ave-vano un valore >35 U/ml, e 22 (73%) di 30 pa-zienti maligne avevano un valore> 35 U/ml. Unadifferenza statisticamente significativa è stata os-servata tra benigni e maligni (p<0.001), ma nonall’interno dei diversi istotipi maligni.

La mediana relativa al diametro massimo deltumore era 90 mm (range, 14-350 mm), con unadifferenza statisticamente significativa tra tumoribenigni e maligni (p < 0.001). Tra i tumori mali-gni, i metastatici erano di dimensioni inferiori >>

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rispetto ai BOT e ai primary invasive e la diffe-renza tra questi gruppi è risultata statisticamentesignificativa (BOT vs primary invasive p=0.024;BOT vs metastatic p= 0.070; primary invasive vsmetastatic p=0.027).

Il numero di concamerazione >10 è risultatoassociato ai tumori maligni nell’85% dei casi ri-spetto al 18% nei tumori benigni, con una diffe-renza statisticamente significativa (p<0.001).

In termini di ecogenicità, il contenuto internodelle cisti era anecogeno o low-level nella mag-gioranza dei casi. In particolare i tumori malignipresentavano nel 74% dei casi un contenuto low-level, che è risultato significativamente più fre-quente rispetto al 29% dei tumori benigni(p<0.001).

I tumori benigni erano meno vascolarizzati,avendo il 53% di questi un color score 1 (=assenzadi vascolarizzazione) all’esame color Doppler, ri-spetto al 72% dei tumori maligni che avevano uncolor score 2 (=minima vascolarizzazione)(p<0.001). Una moderata vascolarizzazione (colorscore 3) era presente solo in una piccola percen-tuale di pazienti e la differenza tra benigni e ma-ligni non è risultata statisticamente significativa.

L’accuratezza diagnostica della “subjective eva-luation” nel discriminare tra benigni e maligni haraggiunto una sensibilità dell’ 85% (95% CI=69-94) (33/39), una specificità dell’ 84% (181/216)(95% CI= 78-88), una positive likelihood ratiosdi 5.2 (95% CI=3.6-22.7), e una negative likeli-hood ratios di 0.2 (95% CI= 0.01-0.5).

È stato possibile applicare le “simple rules” solonel 65% dei casi nei quali hanno raggiunto unasensibilità dell’ 80% (95% CI=30-99) (4/5), unaspecificità del 99% (95% CI=96-100) (1/162), unapositive likelihood ratios di 130 (95% CI=17.5-960), e una negative likelihood ratios di 0.2 (95%CI= 0-1.2).

Lo scoring system ha avuto una sensibilità del62% (95% CI=45-76) (24/39) e specificità del91% (95% CI=86-94) (197/216). I risultati relativiall’LR1 sono stati i seguenti: sensibilità del 67%(95% CI=52-81) (26/39) e specificità del 90%

(95% CI=86-94) (194/216), mentre per LR2 unasensibilità del 41% (95% CI=26-56) (16/39) e spe-cificità del 93% (95% CI=90-96) (201/216).

I BOT sono stati correttamente classificati dalla“subjective evaluation” nel 78% dei casi, mentresolo nel 28% dei casi mediante l’LR2. I tumorimetastatici erano classificati dalla “subjective as-sessment” come maligni nel 78% dei casi, mentresolo nel 33% dei casi venivano correttamente clas-sificati dallo scoring system. Le “simple rules” sonostate applicabili solo in 2 casi di BOT (solo 1 casoè stato correttamente classificato come maligno),in 3 primary invasive (tutti e 3 correttamente clas-sificati come maligni) e in nessun tumore meta-statico.

Studi precedenti hanno dimostrato che l’elevatonumero di loculi (>10) e le grandi dimensioni deltumore (> 10 cm) erano entrambi associati conun incrementato rischio di malignità. Quandoquesti criteri sono stati applicati alla nostra popo-lazione, si sono dimostrati utili nel determinare laprevalenza di BOT, primary invasive e metastatici.Infatti, considerando solo masse multiloculari conpiù di 10 loculi, la prevalenza di malignità era del45% (22% f BOT, 10% primary invasive tumors,9% metastasi ovariche).

Masse ovariche multiloculari con diametromaggiore a 10 cm, avevano una prevalenza dimalignità del 32% (17% BOT, 10% primary in-vasive, 5% metastatici). La prevalenza di malignitàincrementava al 54% quando consideravamo unamassa multiloculare >10 cm e con >10 loculi(29% BOT, 18% primary invasive, 7% metasta-stici).

Inoltre, una massa multiloculare con vascola-rizzazione assente (color score 1), risultava benignanel 98% dei casi e maligna in solo 2 casi (1 BOTe 1 primary invasive). Tumori multiloculari consuperficie liscia e regolare e diametro <10 cmerano benigni in tutti i casi.

DiscussioneIl presente studio ha dimostrato che, in una seriedi masse ovariche multiloculari, i tumori benignie i maligni differiscono significativamente quandovengono considerati il diametro massimo della le-sione e il numero di concamerazioni, risultando imaligni più frequentemente di maggiori dimen-sioni e con un numero maggiore di loculi. Tra >>

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i tumori maligni, le metastasi ovariche sono gene-ralmente bilaterali e di dimensioni più piccole ri-spetto ai BOT e ai primary invasive. Le masseovariche multiloculari rappresentano una catego-ria difficile da diagnosticare correttamente da tuttii metodi diagnostici.

Questo è il primo studio che analizza l’accura-tezza diagnostica nella discriminazione tra benignie maligni, della “subjective assessment”, delle“simple rules”, dei modelli di regressione logistica1 e 2, in una popolazione di masse ovariche mul-tiloculari. Nella nostra serie di masse multiloculari,è stata indagata la distribuzione di diversi tipi isto-logici (BOT, primary invasive, metastatici), e sonostati confrontati i dati raccolti in due centri di ri-ferimento oncologico. Inoltre, sono stati analizzatii parametri ecografici con l’obiettivo non solo didiscriminare tra benigno e maligno ma anche iBOT dai metastatici e dai primary invasive.

Una delle limitazioni del nostro studio è rap-presentata dal numero limitato di tumori invasivie metastatici. Inoltre, la chiara definizione di“smoothness” ovvero la regolarità della parete in-terna della cisti (che è un parametro incluso nellesimple rules benigne), specialmente in presenzadi un elevato numero di loculi, potrebbe rappre-sentare un altro limite di questo lavoro.

Facendo un confronto con i precedenti studiIOTA, nella nostra casistica la prevalenza di ma-lignità ottenuta risulta lievemente più alta (15%)rispetto a quella riportata per le masse multilocu-lari nella popolazione generale (10%)3, probabil-mente dovuta ad una maggior frequenza di mali-gnità e casi difficili che sono stati raccolti nellenostre due istituzione, essendo esse due centri diriferimento per tumori ginecologici.

Abbiamo osservato che l’accuratezza del “pat-tern recognition” (o “subjective assessment”) è piùbassa rispetto a quella riportata nella popolazionegenerale di masse ovariche (sensibilità 85% vs88%, specificità 84% vs 96%4), e questo dimostrache esistono particolari difficoltà diagnostiche inquesta specifica classe morfologica.

Lo scoring system, specificamente sviluppato

da Ameye et al per le masse multiloculari, ha datouna specificità accettabile (91%) ma una sensibilitàbassa (62%), rispetto ai risultati ottenuti nel lavorooriginale7 (sensitivity= 67% and specificity= 92%).In particolare, questo score fallisce nella correttaidentificazione delle masse maligne in pazientigiovani (<50 anni) anche in presenza di una massadi grandi dimensioni (>10 cm) e con numero ele-vato di concamerazioni (>10), e in assenza diascite.

Le simple rules erano invece applicabili in unapercentuale bassa di casi (65%), ma quando ap-plicabili davano una specificità molto elevata(99%), con una sensibilità dell’80%.

LR1 e LR2 hanno dimostrato una sensibilitàsignificativamente più bassa (67% and 42%, re-spectively) rispetto a quella riportata nella fase 1dello IOTA (LR1: sensibilità=93% e specifi-cità=97%; LR2: sensibilità =92%, specifi-cità=75%3). Questi risultati sottolineano la neces-sità di sviluppare un nuovo modello dedicato aquesta specifica classe morfologica. Infatti LR2fallisce nel riconoscere come maligne le massemultiloculari di grandi dimensioni e con elevatonumero di loculi, che sono con molta probabilitài BOT e i tumori ovarici invasivi di tipo intesti-nale.

Quando viene analizzata la distribuzione deidiversi istotipi in accordo con i differenti para-metri ecografici, il numero di loculi >10 e il dia-metro del tumore >10 cm, sono in grado di sele-zionare le masse con un’elevata prevalenza di ma-lignità (45% and 32%, rispettivamente). Inoltre,il nostro studio ha confermato che masse ovarichebilaterali, con dimensioni comprese tra 5 e 10 cme con più di 10 loculi, sono spesso associate contumori metastatici. Dall’altro canto, masse multi-loculari, non vascolarizzate alla valutazione colorDoppler o masse con superficie liscia e diametro<10 cm, sono benigne nella grande maggioranzadei casi.

In conclusione, le masse ovariche multilocularirappresentano ancora oggi una sfida diagnostica;queste comprendono una grande varietà di istotipie nessun metodo diagnostico è in grado di discri-minare con elevate accuratezza tra tumori benigni,BOT, invasive e metastatici.

I nostri risultati potrebbero, quindi, aprire pro-spettive future e portare alla creazione di mo- >>

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delli dedicati per le masse multiloculari, conl’obiettivo di differenziare non solo tra benigno emaligno, ma anche i differenti istotipi. La bassaprevalenza di malignità ed, in particolare, la raritàdei tumori metastatici, richiedono un databasemolto ampio che può essere raccolto solo attra-verso studi multicentrici, con il fine ultimo di svi-luppare e validare nuove “rules” diagnostiche. l

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IntroduzioneIl carcinoma ovarico è responsabile di circa il 4%delle morti per cancro nella popolazione femmi-nile, rappresentando la più letale tra le neoplasieginecologiche [1]. A causa della sua pre-sentazione clinica insidiosa e dell’assenzadi affidabili test di screening, oltre il 75%delle pazienti presenta malattia diffusaalla diagnosi [1]. Inoltre, nonostante imiglioramenti ottenuti nel managementmedico e chirurgico del carcinoma ova-rico avanzato, la maggior parte delle pa-zienti sviluppa recidiva di malattia entro2 anni, enfatizzando dunque la necessitàdi sviluppare più efficaci strategie terapeutiche.

Tra i fattori prognostici di maggior rilievo, l’as-senza di residuo tumore alla prima chirurgia (PDS)è stato riconosciuto come associato ad una pro-gnosi favorevole in numerosi studi retrospettivi[2]. D’altra parte, più recentemente, un vasto stu-dio randomizzato ha dimostrato che il trattamentochemioterapico neoadiuvante (NACT) seguito dachirurgia d’intervallo (IDS) potrebbe rappresentareun approccio alternativo in pazienti selezionatecon malattia avanzata [3].

L’approccio NACT-IDS sembra un’opzione te-rapeutica ragionevole considerando che oltre il70% delle pazienti con carcinoma ovarico ri-sponde alla chemioterapia a base di carbopla-tino/taxolo [4]. Tuttavia, va sottolineato che ungruppo non esiguo pari a circa il 30% delle pa-zienti, presenta una malattia chemioresistente, conquindi pochissime possibilità di risposta allaNACT [4]. Perciò, appare cruciale identificarequesta specifica coorte di donne, che probabil-mente otterrebbe maggior beneficio da una chi-rurgia citoriduttiva di prima istanza, piuttosto cheda un trattamento chemioterapico pre-operatorio.

Tuttavia la possibilità di risposta al trattamentoNACT non può attualmente essere predetta uti-lizzando variabili cliniche. Inoltre, nonostante mol-teplici marcatori biologici siano stati correlati alla

risposta alla chemioterapia a base di pla-tino [5,6], non è ancora disponibile unostrumento diagnostico affidabile.

In questo contesto, la ricerca con-dotta presso i nostri laboratori forniscenuove evidenze nell’identificazione di unprofilo genico/molecolare associato allarisposta alla NACT, con l’obiettivo di:sviluppare un affidabile ed efficace stru-mento diagnostico da utilizzare poten-

zialmente nella pratica clinica, nonché di indivi-duare nuove terapie biologiche personalizzatenella cura del carcinoma ovarico avanzato.

Pazienti e metodi 2.1 Estrazione di mRNA da FFPEDue coorti cliniche di pazienti con tumore ovaricotrattati presso l’Università Cattolica del SacroCuore di Roma, e presso l’Ospedale Danbury,Connecticut (USA) sono stati analizzati in questostudio retrospettivo. La corte iniziale è compostada 85 pazienti trattate con NACT-IDS, l’ulteriorecoorte di validazione comprende 109 casi sotto-posti a NACT-IDS. Le caratteristiche cliniche delledue coorti sono riassunte nella Tabella 1. Lo studioè stato approvato dall’Internal Review Board delDanbury Hospital e dell’Università Cattolica delScaro Cuore. I campioni FFPE sono stati tagliatia 10 micron di spessore e due fettine di tessutosono state messe in una provetta da 1,5 ml. Perogni provetta, un millilitro di xilene è stato ag-giunto e il contenuto centrifugato due volte adalta velocità per 3 minuti a temperatura ambiente.L’RNA totale è stato quindi estratto automa-

L’attivazione del pathway HGF/c-MET media l’aggressività biologica nelle pazientiaffette da carcinoma ovarico avanzato sottoposte a chemioterapia neoadiuvanteSpecializzando: Dott. Marco Petrillo

Relatore: Prof. Giovanni Scambia - Correlatore: Dott.ssa Anna Fagotti

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ticamente con il QIAcube utilizzando il kit miR-Neasy FFPE (Qiagen, Valencia, CA). L’RNA dallelinee cellulari A2780 e OVCAR-3 è stato estrattoautomaticamente con il QIAcube utilizzando ilkit miRNeasy (Qiagen, Valencia, CA). La quantitàdi RNA e la sua qualità sono stati valutati da Agi-lent 2100 Bioanalyzer (Agilent Technologies, SantaClara, CA).

2.2 Analisi di espressione genica e dei MicroRNAs

L’RNA totale è stato retrotrascritto utilizzando l’-High Capacity cDNA Reverse Transcription Kit(Applied Biosystem, Foster City, CA). La pre-am-plificazione PCR è stata effettuata in un ciclo di95° C per 10 min, 14 cicli a 95°C per 15 sec e poi

60°C per 4 min. Dopo la pre-amplificazione PCR,il prodotto è stato diluito 1:5 e conservato a -20°Cfino al momento dell’uso. La preparazione delchip è stata eseguita seguendo il protocollo delproduttore su un sistema BioMark (Fluidigm,South San Francisco, CA). Campioni e saggi sonostati caricati in un chip 48/48 di matrice dinamica(da Fluidigm Corporation), e successivamente ilchip è stato poi caricato sull’Instrument BioMarke la reazione è stata eseguita in un ciclo di 50°Cper 120 secondi, un ciclo di 95° C per 10 min, 40cicli a 95° C per 15 sec e 60°C per 4 min. L’analisidei dati è stata effettuata utilizzando il real-time

PCR software della piattaformaBioMark (Fluidigm Corporation,CA, USA) utilizzando il metododelta-delta come precedente-mente riportato [7,8].

2.3 Analisi Statistica e Bioinformatica

Il significato delle variazioni deilivelli di espressioni dei mi-croRNA o dei geni (chemiotera-pia neoadiuvante vs gruppi PDS-CT) è stata calcolata usando il testWilcoxon e il valore di p <0.05come soglia di significatività.L’elenco dei geni target di specificimicroRNA è stato preparato uti-lizzando diversi software disponi-bili sul sito microRNA.org, comeTargetScan (www.targetscan.org)e PicTar (http://pictar.mdc-ber-lin.de/). L’elenco è stato poi ela-borato utilizzando il software Da-vid (david.abcc.ncifcrf.gov/) e ul-teriormente revisionato utiliz-zando il database di Genecard(http://www.genecards.org) darepriorità geni per i quali un agentemirato potrebbe essere disponibile.

La correlazione tra micro-RNA e geni bersaglio èstata valutata utilizzando il test di correlazione diSpearman, impostando la soglia di significativitàper un valore di p <0.05. Se più microRNA eranopresenti con significativa capacità di modularel’espressione genica, il microRNA con il p-valuepiù basso è stato selezionato per l’analisi di >>

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correlazione con l’espressione genica. Per la quan-tificazione dell’espressione della proteina HGF /c-Met è stato prescelto come cutoff il valore me-diano. Tutte le analisi statistiche sono state effet-tuate con il pacchetto software JMP9 (SAS Insti-tute).

Risultati3.1 Analisi dei livelli di espressione genica

e dei microRNAs nella corte inizialeÈ stata inizialmente valutata una coorte di 85 pa-zienti affette da carcinoma ovarico (Tabella 1).

Al fine di individuare i circuiti biologici allabase della resistenza (e la successiva progressionedella malattia) abbiamo analizzato i livelli di 28microRNAs la cui espressione è stata recentementecorrelata allo sviluppo di farmacoresistenza in li-nee cellulari di carcinoma ovarico [8]. Come mo-strato in Figura 1, due microRNA (miR-141 emiR-143) sono risultati down-regolati e dodici(miR-20a, miR-183, miR-125b, miR-27a, mir-92s, let-7g, miR-128, miR-320, miR-145, miR-221, let7c e miR-193a-5p) upregolati dopo che-mioterapia neoadiuvante. In particolare, il MiR-193a-5p ha mostrato l’incremento più significativo.

Successivamente sono stati analizzati i livelli diespressione di ottanta geni bersaglio dei 14 mi-croRNAs significativamente modulati dal tratta-mento chemioterapico neoadiuvante. Tra tutti igeni modulati significativamente nella popolazionein studio, dieci hanno mostrato una correlazioneinversa significativa (ρ<0: MKI67, CHEK1, SRC,MET, PBK, Plk1, ERBB2, TWIST1, KIF11,TGFB1) e otto una diretta correlazione (ρ>0 :MITF, ID4, CXCR4, CXCL12, GNAI1, CCL2,PTEN, HGF) con i livelli dei suddetti microRNAs.

3.2 Analisi dei livelli di espressione genica e dei microRNAs nella corte di validazione

Al fine di validare i risultati ottenuti nel discovery

set abbiamo arruolato una coorte clinica aggiuntiva(coorte di validazione) di 109 pazienti. Per sopperiread un potenziale effetto confondente guidato dalledifferenze cliniche delle pazienti PDS-CT eNACT, abbiamo confrontato l’espressione di trefattori (miR-193a-5p, HGF e MET) in una coorteclinica caratterizzata da pazienti sottoposte tuttea NACT, confermando l’overespressione di HGFe MET dopo NACT. Per collegare questi risultaticon la risposta alla NACT, l’espressione di miR-193a-5p, HGF e MET è stata analizzata dopoaver raggruppato le pazienti secondo l’intervallolibero da platino (PFI). Abbiamo classificato le pa-zienti in tre gruppi in base al PFI: refrattarie (PFI<3 mesi), resistenti (PFI 3-12 mesi) e sensibili

(PFI>12 mesi). IlPFI rappresenta ilperiodo intercorsotra l’ultima sommi-nistrazione di tera-pia a base di platinoe la comparsa di re-cidiva. Come mo-strato in Figura 2,l’espressione dim i R - 1 9 3 a - 5 p ,HGF e c-MET è ri-sultata significativa-mente aumentatanel gruppo dellepazienti refrattarierispetto alle pa-zienti resistenti esensibili. >>

L’attivazione del pathway HGF/c-MET media l’aggressività biologica nelle pazienti affetteda carcinoma ovarico avanzato sottoposte a chemioterapia neoadiuvante

Figura 1 - Variazioni dei livelli di espressione di un pannello di microRNAs pre e post NACT

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3.3 Analisi dei lvelli proteici di HGF/c-MET nella coorte di validazione

L’analisi dell’espressione di HGF e c-MET a livelloproteico è stata effettuata valutando la durata delPFI nei seguenti quattro sottogruppi i pazienti:Alto HGF/Alto c-Met, Alto HGF/Basso c-Met,Alto c-Met/Basso HGF e Basso HGF/Basso c-Met. Come mostrato in Figura 3, abbiamo os-servato un PFI significativamente più breve nelgruppo con Alto HGF/Alto c-Met rispetto algruppo con Basso HGF/Basso c-Met (7.1 mesirispetto ai 13.4 mesi, p-value=001).

Questi risultati suggeriscono quindi che l’altaespressione di miR-193a-5p costiuisce un fattored’innesco per l’attivazione del pathway molecolareHGF/c-MET che in ultima analisi conferisce che-mioresistenza e prognosi sfavorevole nelle pazientiaffette da carcinoma ovarico avanzato.

DiscussioneIl presente studio costituisce la prima valutazionedelle modifiche biologiche a livello genico e pro-teico indotte dalla NACT nelle pazienti affette dacarcinoma ovarico avanzato. Un altro elemento

di forza dei nostri risultati è rappresentatodall’integrazione di genomica e proteomica.Se l’espressione genica e dei microRNA puòessere eseguita con svariate piattaforme dihigh-throughput sequencing, c’è sempre il pro-blema di correlare i risultati ottenuti conl’espressione del subset di cellule (tumorali/stromali) che sono rappresentate in propor-zioni diverse in un campione. Questo pro-blema è stato risolto nella nostra analisi conl’impiego dell’immunoistochimica fluore-scente quantitativa.

I risultati della nostra analisi hanno per-messo di identificare un potenziale pathwaycoinvolto nello sviluppo della chemioresi-stenza al trattamento NACT. L’ analisi èstata condotta partendo dall’analisi dei livellidi espressione di un pannello di microRNAs[9]. Con l’eccezione di miR-141 e miR- >>

L’attivazione del pathway HGF/c-MET media l’aggressività biologica nelle pazienti affette da carcinoma ovarico avanzato sottoposte a chemioterapia neoadiuvante

Figura 2 - Livelli di espressione di mir-193a-5p, HGF, c-MET in pazienti con malattia refrattaria reistente e sensibile (*p-value<0.05; p-value<0.001)

Figura 3 - Durata del PFI in base ai livelli di espressione proteica di HGF e c-MET (**p-value<0.001)

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143 abbiamo identificato un ampio aumento deilivelli di microRNA nei pazienti trattati con NACTe un significativo aumento in particolare del miR-193a-5p. Questo microRNA rappresenta un re-golatore centrale nella modulazione dell’espres-sione genica, e in particolare dei geni HGF e c-MET [10]. L’HGF è ormai ampiamente ricono-sciuto come un fattore pleiotropico coinvolto nel-l’acquisizione del potenziale metastatico delle cel-lule tumorali [11], mentre MET codifica per ilsuo recettore cellulare c-Met, e la loro espressionesembra aumentata nelle pazienti affette da carci-noma ovarico aggressivo [12]. In tale contesto èpossibile che l’aumentata espressione di c-Met siaun meccanismo di adattamento all’ipossia e allaneo-angiogenesi come recentemente dimostratocon l’uso della terapia anti-VEGF [8]. Lo stessomeccanismo è stato proposto nel carcinoma mam-mario metastatico cui l’asse HGF c-Met è sfruttatodalle cellule neoplastiche per contrastare le con-seguenze funzionali dell’ipossia [13]. Non stupiscedunque la nostra osservazione di un iperattiva-zione del pathway HGF/c-Met in pazienti chesaranno successivamente refrattarie a NACT, ossiacon un PFI ≤ 3 mesi. Al contrario, i pazienti conbassa espressione relativa di HGF e c-Met tendonoad avere un PFI più lungo e una prognosi migliore.Questi risultati suggeriscono che l’iperattivazionealla diagnosi di questo pathway molecolare possaessere sfruttato come strumento diagnostico peridentificare le pazienti da sottoporre a NACT. Ilriconoscimento del coinvolgimento diretto del pa-thway di HGF/c-Met nel tumore ovarico aggres-sivo, appare inoltre supportare la sperimentazioneclinica di inibitori dell’asse c-Met/HGF nella co-orte di pazienti sottoposte a NACT, aprendo lastrada verso una personalizzazione delle terapieoncologiche.

ConclusioniIn sintesi, questo studio traslazionale dimostra chegli elevati livelli di espressione proteica di HGF/c-Met alla diagnosi identificano pazienti affette dacarcinoma ovarico avanzato che saranno refrat-

tarie/resistenti alla NACT. Questa scoperta creaun’opportunità per migliorare e personalizzare lestrategie diagnostiche e terapeutiche in questo spe-cifico setting clinico. l

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L’attivazione del pathway HGF/c-MET media l’aggressività biologica nelle pazienti affetteda carcinoma ovarico avanzato sottoposte a chemioterapia neoadiuvante

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Da quest’anno un Premio in riconoscimentodella migliore Tesi di Diploma

A Marco Petrillo il 1° Premio della Scuola di Specializzazione per gli aspetti innovativi

della Tesi di Diploma e il percorso formativo quinquennale

Fattori biologici coinvolti nello sviluppo di resi-

stenza al trattamento chemioterapico neoadiu-

vante nel carcinoma ovarico avanzato: questo iltitolo della Tesi di Diploma che si è aggiudicata il primoPremio di riconoscimento della Scuola di Specializza-zione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università Catto-lica del Sacro Cuore.

Lo studio, presentato dal Dott. Marco Petrillo loscorso 25 giugno nel corso della seduta di Specializza-zione, rappresenta la prima valutazione dei pathwaysmolecolari coinvolti nello sviluppo di resistenza al trat-tamento chemioterapico neoadiuvante. I risultati di que-sto studio permetteranno di identificare nelle pazienticon iperattivazione del pathway HGF/cMET, il settingclinico con spiccata resistenza al trattamento neoadiu-vante, che trae il maggior beneficio da un approcciochirurgico citoriduttivo massimale. L’identificazione delpathway HGF/cMET quale attore cruciale nello svi-luppo di resistenza al trattamento neoadiuvante permet-terà inoltre di intraprendere nuovi studi clinici controllativolti ad introdurre innovative terapie biologiche perso-nalizzate nel trattamento medico del carcinoma ovarico.

“Premiando questo lavoro – ha dichiarato al termine dei lavori il Prof. Giovanni Scambia,Direttore della Scuola e Relatore della Tesi – la Commissione ha voluto riconoscere i meriti di

un allievo che, per curriculum formativo e impegno scientifico e di ricerca, ha dimostrato di aver in-trapreso un percorso che, a partire dai primi anni della formazione specialistica, si è sempre distintoper grande impegno e ricerca continua di innovazioni scientifiche verso la migliore cura e assistenzapossibile”.

“Ci auguriamo – ha concluso il Prof. Scambia – che a partire da quest’anno tale riconoscimentosia uno stimolo in più al lavoro e all’impegno di tutti i nostri Medici Specializzandi, nell’ottica di unpercorso di formazione da sempre impostato su criteri e obiettivi di avanzamento culturale versoun’assistenza terapeutica sempre più specialistica e all’avanguardia”.

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