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Anno I | Maggio 2012 Anno III | Volume 3 n. 1 | Settembre 2014 Pituitary magazine for endocrinologists Editoriale Laura De Marinis Focus Resistenza alla terapia con analoghi di sintesi della somatostatina nel paziente acromegalico Barbara Trapasso, Sabrina Chiloiro, Donato Iacovazzo, Marilda Mormando, Serena Piacentini, Francesca Lugli, Antonella Giampietro, Linda Tartaglione, Giuseppe Grande, Domenico Milardi, Laura De Marinis, Antonio Bianchi Il paziente con patologia dell’ipofisi oggi Francesco Antonio Logoluso Pituitary Focus: Congressi Pituitary Focus: Associazione pazienti Pituitary Focus: Pubblicazioni Pituitary Focus

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Anno I | Maggio 2012 Anno III | Volume 3 n. 1 | Settembre 2014

Pituitary magazine for endocrinologists

EditorialeLaura De Marinis

FocusResistenza alla terapia con analoghi di sintesi della somatostatinanel paziente acromegalicoBarbara Trapasso, Sabrina Chiloiro, DonatoIacovazzo, Marilda Mormando, Serena Piacentini,Francesca Lugli, Antonella Giampietro, LindaTartaglione, Giuseppe Grande, Domenico Milardi,Laura De Marinis, Antonio Bianchi

Il paziente con patologia dell’ipofisi oggiFrancesco Antonio Logoluso

Pituitary Focus: Congressi

Pituitary Focus: Associazione pazienti

Pituitary Focus: Pubblicazioni

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Pituitary FocusPituitary magazine for endocrinologists

EDRA LSWR spaVia Spadolini 7 - 20141 MilanoTel. 02 88184.1 - Fax 02 88184.302

Anno III - Volume 3 n. 1 - 2014Quadrimestrale di aggiornamento scientificoReg. Trib. Milano N. 71 del 10.02.2012

Direttore responsabile Giorgio Albonetti

Coordinamento editorialeRossana MologniDaniela Vidotto

Collaborazione redazionaleContext sas - Milano

ImpaginazioneStudio Sismondo - Roma

StampaVela Web srl - Binasco (MI)

Iniziativa resa possibile grazie ad uncontributo educazionale di NovartisEdizione riservata per i Sigg. MediciFuori commercio

© 2014, EDRA LSWR spa - Tutti i diritti riservati. È vietatoriprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione otrasmettere sotto qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo,elettronico, meccanico, per foto copia, registrazione oaltro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senzaauto ri z zazione scritta dell’Editore. L’Editore non siassume alcuna responsabilità per qual siasi lesione e/odanno a persona o beni in quanto responsabilità diprodotto, ne gligenza o altrimenti, oppure a opera zionedi qualsiasi metodo, prodotto, istruzione o idea contenutinel materiale di cui trattasi. A causa del rapido progressonella scienza medica, l’Editore raccomanda la verificaindipendente delle diagnosi e del dosag gio dei medicinali.

Finito di stampare nel mese di xxxxxx 2014

Editoriale 3Laura De Marinis

FocusResistenza alla terapia 4con analoghi di sintesi della somatostatina nel paziente acromegalicoBarbara Trapasso, Sabrina Chiloiro, DonatoIacovazzo, Marilda Mormando, Serena Piacentini,Francesca Lugli, Antonella Giampietro, LindaTartaglione, Giuseppe Grande, Domenico Milardi,Laura De Marinis, Antonio Bianchi

Il paziente con patologia dell’ipofisi oggi 10Francesco Antonio Logoluso

Pituitary Focus: Congressi 16

Pituitary Focus: Associazione pazienti 18

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Anno III | Volume 3 n. 1 | Settembre 2014

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C ari Colleghi,ho il piacere di presentare il primo numero del 2014 di Pituitary Focus, nel quale siconfermano l’integrazione tra le nuove acquisizioni scientifiche e la gestione del paziente

come obiettivo primario di questa rivista scientifica. Con entusiasmo, Pituitary Focus dedica la sua attenzione alle patologie ipotalamo-ipofisarie eneuroendocrinologiche.

Questo numero si apre con un articolo sulla resistenza alla terapia con analoghi dellasomatostatina (SSA), tema di discussione biologica e clinica, che propone un riferimento alleattuali linee guida circa la diagnosi dell’acromegalia e un’analisi biomolecolare della patologia,con l’obiettivo di individuare il paziente con buona capacità di risposta alla terapia medica conSSA, il malato con resistenza farmacologica e un corretto management terapeutico attraversol’esperienza dell’Unità Operativa Semplice di Patologia Ipotalamo-Ipofisaria del PoliclinicoUniversitario “Agostino Gemelli” di Roma.

Il secondo lavoro descrive una visione moderna del rapporto medico-paziente. In un’epocaglobalizzata dai “media”, anche il paziente acromegalico è informato. Come ci suggerisce ildottor Logoluso nel suo articolo, si tratta di un paziente “potenziato” che vorrebbe esserecoinvolto nel processo decisionale. Pertanto è compito del medico fungere da guida arricchendole sue conoscenze, instradandolo, rendendolo più partecipe della propria condizione ecoinvolgendolo nella gestione della patologia da cui è affetto. In tale ottica si colloca la scelta di Pituitary Focus di riservare un approfondimento, nella sezionededicata, al rapporto che le associazioni dei pazienti hanno con le società scientifiche: lacollaborazione tra la Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e l’Associazione Nazionale ItalianaPatologie Ipofisarie (ANIPI) ne è la prova.

Nelle altre sezioni troviamo, inoltre, un utile promemoria sulle prossime attività congressuali e le più recenti acquisizioni della letteratura scientifica internazionale, qui presentateschematicamente in forma di “take home message”.

I contributi proposti in questo fascicolo sono dunque variegati, ma tutti accomunati dall’interessenei confronti del paziente e della tutela del prezioso rapporto empatico e di fiducia sul quale sifonda la professione medica. Non mancano, infine, novità inerenti l’approccio diagnostico eterapeutico alle malattie ipotalamo-ipofisarie, che rendono pragmatica questa rivista.Concludo ringraziando tutti gli autori che hanno offerto il loro contributo e il team di PituitaryFocus, che ha reso questa rivista ricca di suggerimenti utili per la professione.

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Laura De MarinisUOS Patologia Ipotalamo-Ipofisaria,Università Cattolica del Sacro Cuore,Policlinico Agostino Gemelli, Roma

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Le linee guida attualmente usate per diagno-sticare l’acromegalia includono le misurazionirandom di GH e di IGF-1 associate al test di sop-pressione con 75 g di glucosio (Oral GlucoseTolerance Test, OGTT). L’acromegalia può es-sere esclusa quando il GH random è < 1 μg/L,il GH nadir dopo OGTT è < 0,4 μg/L e l’IGF-1rientra nel range stabilito per età e genere. Il cri-terio diagnostico più attendibile e utilizzato è l’as-senza di soppressione del GH (GH > 0,4 μg/L)durante le 2 ore di test di soppressione conOGTT.2Nel diagnosticare l’acromegalia, specialmente

con un test dinamico, è necessario prestare at-tenzione ai falsi positivi. L’assenza di soppres-sione del GH durante OGTT e normali valori diIGF-1 potrebbero essere determinati da diabetemellito, epatopatie, nefropatie, malnutrizione,ipertiroidismo e anoressia nervosa. La fisiolo-gica soppressione del GH durante OGTT convalori di IGF-1 elevati, invece, può esser dovutaa gravidanza, tireopatie, errori analitico-labora-toristici, dosaggio di GH E IGF-1 nell’immediatopostoperatorio o dopo terapia con cortisonici,

oppioidi, sostanze dopamino-simili e ane -stetici.3 Inoltre, nel definire un paziente affettoda acromegalia, è doveroso considerare i va-lori di GH e IGF-1 corretti per età, sesso e in-dice di massa corporea (Body Mass Index,BMI). L’approccio terapeutico all’acromegalia è ri-

volto alla normalizzazione dei livelli di IGF-1 eGH rimuovendo, quando presente, l’adenomaipofisario o riducendo la massa tumorale. Gliobiettivi secondari sono la preservazione dellafunzionalità ipofisaria, la prevenzione delle re-cidive locali e il trattamento delle comorbilità. La terapia di prima linea per l’acromegalia è

la neurochirurgia, quando vi sono buone possi-bilità di cura oppure quando sussistono condi-zioni di necessità dovute a compressione dellevie ottiche o di altre strutture cerebrali. La terapia medica rappresenta attualmente

una terapia adiuvante della chirurgia e solo inalcuni casi può essere considerata come untrattamento di prima scelta quando il pazientepresenta particolari controindicazioni all’inter-vento o in attesa dello stesso. I farmaci più uti-

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L’acromegalia è una patologia endocrina cronica multisistemica, caratterizzata dall’iperse-crezione dell’ormone della crescita (Growth Hormone, GH) e del suo mediatore periferico, ilfattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (Insulin-like Growth Factor Type 1, IGF-1), ormonepeptidico dalle proprietà anaboliche. Secondo le attuali evidenze presenti in letteratura, lasindrome è correlata, nel 98% dei casi, a un adenoma ipofisario GH-secernente, general-mente benigno che, tuttavia, può andare incontro a un marcato accrescimento e presentareuna tendenza all’invasione di strutture anatomiche limitrofe. Meno frequentemente, invece, la causa dell’acromegalia è da ricondurre alla produzione ec-topica di ormone di rilascio della somatotropina (Growth Hormone Releasing Hormone,GHRH) o di GH da tumori neuroendocrini (2%). L’ipersecrezione di GH e di IGF-1 determina importanti sequele sul sistema muscolo-schele-trico, a livello cerebrale e circolatorio. La sintomatologia clinica è, dunque, espressione del-l’azione centrale e periferica della somatotropina e del suo mediatore. Il paziente acromegalico presenta modificazioni fisionomiche dovute all’iperostosi dell’ossofrontale, dell’osso mascellare e mandibolare, accrescimento delle estremità acrali, artralgie,complicanze cardiovascolari, complicanze metaboliche, complicanze respiratorie che infi-ciano la qualità di vita e aumentano il rischio di mortalità.1 Da ciò l’esigenza di stabilire uncorretto management dell’acromegalia attraverso una diagnosi precoce e specifica. Nono-stante la malattia sia caratterizzata da segni e sintomi patognomici, la diagnosi è spessoancora oggi tardiva.

Resistenza alla terapia con analoghi di sintesi della somatostatinanel paziente acromegalico

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Barbara Trapasso, SabrinaChiloiro, Donato Iacovazzo,Marilda Mormando, SerenaPiacentini, Francesca Lugli,Antonella Giampietro, LindaTartaglione, Giuseppe Grande,Domenico Milardi, LauraDe Marinis, Antonio BianchiUOS Patologia Ipotalamo-Ipofisaria,Università Cattolica del Sacro Cuore,Policlinico Agostino Gemelli, Roma

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lizzati attualmente sono gli analoghi della so-matostatina (octreotide sc, octreotide LAR, lan-reotide SR e ATG) e, a seguire, l’antagonistadel ricettore del GH (pegvisomant) e i dopa-mino-agonisti (cabergolina e bromocriptina).In ultima analisi, la radioterapia e la radiochi-

rurgia stereotassica possono rappresentareuna chance terapeutica nei casi di più com-plessa gestione.

Definizione di malattia “attiva” e incongruenze biochimiche

In rapporto alla risposta biochimica e tumo-rale del paziente a qualsiasi tipo di trattamento,l’acromegalia viene definita:• ben controllata se il GH nadir durante OGTT

è < 1 μg/L e il valore di IGF-1 è normale conmalattia clinicamente silente;

• inadeguatamente controllata se il GH nadirdurante OGTT è ≥ 1 μg/L, il valore di IGF-1è superiore al limite di normalità e la malattiaè clinicamente silente;

• non controllata o attiva se il GH nadir dopoOGTT è ≥ 1 μg/L, il valore di IGF-1 è supe-riore al limite di normalità e la malattia clini-camente attiva.1

La malattia attiva, pertanto, è caratterizzatada un eccesso di produzione di GH nonostantela terapia e da alti livelli circolanti di IGF-1.Anche in questo caso le alterazioni dei para-metri biochimici correlano con i cambiamenticlinici del paziente. I range proposti per GH eIGF-1 sono supportati da studi epidemiologiciin cui si dimostra una riduzione dell’aspettativadi vita nei pazienti che presentano livelli di or-mone superiori ai cut-off.Sebbene i livelli di GH e IGF-1 siano spesso

concordi, possono esistere due pattern discor-danti associati a malattia attiva. Freda3 ha di-mostrato la presenza di incongruenze biochi-miche che possono trarre in inganno il medico,e queste si riscontrano soprattutto se il pa-ziente è stato sottoposto a terapia con analo-ghi della somatostatina (Somatostatin Analo-gues, SSA). L’assenza o la ridotta soppres-sione del GH durante OGTT con normali valoridi IGF-1, corretti per età e genere, è descrittacon una frequenza compresa tra il 9 e il 39%nei diversi studi. Il significato clinico di tale di-screpanza non è ancora del tutto noto. Tutta-via, l’ipersecrezione di GH può essere conside-rata predittore di recidiva di malattia. È stata

inoltre descritta la discrepanza opposta, carat-terizzata dalla fisiologica soppressione del GHdurante OGTT ed elevati valori di IGF-1 correttiper età e genere. Più frequentemente questacondizione è correlabile alle tecniche laborato-rio-analitiche. La corretta interpretazione dellediscrepanze si ha solo dopo la ripetizione deitest dinamici o il dosaggio sierico degli ormonia distanza di 3-4 mesi, attraverso tecniche al-tamente sensibili e specifiche, e dopo l’esclu-sione di fattori confondenti come il diabetemellito, le epatopatie, le nefropatie, la malnu-trizione, l’ipertiroidismo, la gravidanza e l’ano -ressia nervosa.

Resistenza alla terapia medica con SSA

Gli SSA (octreotide sc, octreotide LAR, lanreo-tide SR e ATG) sono sostanze polipeptidiche disintesi che antagonizzando l’azione della soma-tostatina – ormone prodotto dall’ipotalamo, dalpancreas, dal tratto gastrointestinale e da cel-lule del sistema APUD (Amine Precursor Uptakeand Decarboxylation) – hanno la proprietà spe-cifica di inibire il rilascio di GH ipofisario. GliSSA antagonizzano anche molti fattori di cre-scita che concorrono in misura significativa adeterminare e diffondere la patologia neopla-stica quali IGF, prolattina, fattore di crescita tra-sformante alfa e beta, fattore di crescita deri-vato dalle piastrine o PDGF, fattore di crescitaepiteliale o EGF, fattore di crescita dell'endote-lio vascolare o VEGF.Svolgono inoltre funzioni antiproliferative, an-

tisecretorie, proapoptotiche e antimetastatichegrazie alla presenza di specifici recettori asso-ciati a proteine G, la cui azione di signaling, af-fidata alla subunità recettoriale alfa, determinaun’inibizione dell’adenilato-ciclasi e una ridu-zione del cAMP. Gli adenomi ipofisari GH-secernenti esprimono

sottotipi recettoriali per la somatostatina(SSTR) eterogenei. L’azione inibente della so-matostatina e dei suoi analoghi sul GH siesplica attraverso gli SSTR2 e gli SSTR5.Secondo le più recenti linee guida la terapia

con SSA è indicata:3

• come terapia di prima linea quando vi è unabassa probabilità di guarigione mediante ap-proccio neurochirurgico (adenomi a esten-sione extrasellare in assenza di segni neuro-logici di compressione tumorale);

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• come terapia adiuvante in caso di assenzadi guarigione dopo trattamento neurochirur-gico;

• come terapia neoadiuvante nei pazienti af-fetti da comorbilità che possono complicareil periodo peri o postoperatorio;

• come terapia di controllo nell’interciclo dellaradioterapia.

La terapia con SSA è efficace sia nel controllodell’ipersecrezione ormonale sia nel ridurre lamassa tumorale. • La risposta alla terapia con SSA, in termini

di riduzione dell’ipersecrezione ormonale, èottenuta dal 34% al 70% dei casi. Ciò è inrelazione con la durata del trattamento econ le popolazioni studiate.

• Una riduzione della massa tumorale > 20%è documentata nel 75% circa dei pazienti interapia con SSA.4

L’efficacia effettiva del trattamento con SSAdovrebbe essere definita, però, dopo almeno12 mesi di somministrazione del farmaco al do-saggio terapeutico. • La risposta alla terapia farmacologica con

SSA viene definita completa se vi è un buoncontrollo della secrezione di GH e IGF-1 e incaso di stabilizzazione del residuo o di ridu-zione della massa tumorale > 20%.5

• La risposta alla terapia farmacologica conSSA viene definita parziale in caso di man-cata normalizzazione di GH e IGF-1 ma conuna riduzione > 50% degli ormoni rispettoal baseline (inizio della terapia) e/o una ridu-zione della massa tumorale > 20%, sia uti-

lizzando gli SSA come trattamento di primalinea terapeutica sia come trattamento di se-conda linea.5

• Infine, si parla di assenza di risposta tera-peutica o resistenza alla terapia farmacolo-gica con SSA se vi sono mancata normaliz-zazione, assenza di una significativa ridu-zione dei valori di GH e IGF-1 e assenza diriduzione volumetrica tumorale in caso di te-rapia con SSA come prima linea, oppure inseguito a ricrescita tumorale in qualsiasi pa-ziente5 (Tab. 1).

La resistenza alla terapia con SSA può esserequindi biochimica, per valori di GH e IGF-1 indi-cativi di malattia attiva, e/o tumorale, per in-cremento delle dimensioni del tumore o ridu-zione del volume < 20% rispetto al basale.4

Più frequentemente, la resistenza biochimicae la resistenza tumorale si presentano conte-stualmente. È opportuno dunque definire la re-sistenza agli SSA solo dopo un anno di terapia,usando adeguate metodiche di dosaggio di GHe IGF-1 e correggendo i risultati per genere,età e BMI. Una piccola parte dei pazienti resi-stenti può tuttavia divenire parzialmente resi-stente o non resistente se trattata con la chi-rurgia.

Ipotesi biomolecolari della resistenza

La variabilità della risposta agli SSA è da ri-condurre all’assenza o alla ridotta densità deirecettori SSTR con elevata affinità per gli ana-

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US Tabella 1. Classificazione del paziente acromegalico in rapporto al tipo di risposta agli SSA

Paziente acromegalico “good responder” • Buon controllo di GH e IGF-1 • Massa tumorale ridotta > 20% se SSA usati come

terapia di prima linea o stabilizzazione del residuose SSA usati come terapia di seconda linea

• RMN negativa

Paziente acromegalico “partial responder” • Scarso controllo di GH e IGF-1 (ma riduzione > 50%rispetto all’inizio della terapia)

• Massa tumorale ridotta > 20% se SSA usati cometerapia di prima e di seconda linea

Paziente acromegalico “bad responder” • Assenza di una significativa riduzione di GH e IGF-1 • Assenza di riduzione della massa dopo terapia

di prima linea con SSA • Ricrescita tumorale

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loghi (SSTR2 e SSTR5) o all’eterogenea espres-sione di SSTR nelle cellule tumorali, alla desen-sibilizzazione del SSTR per disaccoppiamentodella cascata di segnale, alle mutazioni deigeni codificanti per SSTR con conseguenteperdita della funzionalità recettoriale.6,7

Una delle possibili spiegazioni circa la resi-stenza è data dall’eterodimerizzazione dei re-cettori SSTR2/SSTR5. L’alta espressione diun’isoforma tronca sst5TMDA può avere ef-fetto dominante su SSTR2, determinando dun-que una riduzione o un’assenza di risposta allaterapia con SSA. Varianti di sequenza di SSTR5sono state correlate, inoltre, alla diminuzionedella sensibilità recettoriale agli analoghi. Allabase della desensibilizzazione del SSTR vi è laridotta espressione o la mutazione della e-ca-derina, una glicoproteina integrale che medial’adesione cellulare in presenza dello ione cal-cio e che, se mutata, può creare una condi-zione predisponente l’insorgenza di neoplasieepiteliali e una ridotta espressione di RKIP (rafchinasi inibitore), che normalmente inibiscel’azione mitogena della MAP-chinasi, e che, sealterata, promuove lo stimolo mutageno. Mutazioni disattivanti il gene gsp, negli ade-

nomi GH-secernenti densamente granulati,sono correlate a un’insufficiente risposta aglianaloghi. Tali mutazioni determinano una mo-

difica della subunità alfa della proteina G recet-toriale e la successiva riduzione del cAMP. Infine, la quantificazione del DNA da sangue

periferico mediante PCR ha permesso di ri-scontrare polimorfismi di singoli nucleotidi deigeni che codificano per SSTR2 e SSTR5. Filopanti et al.6 hanno dimostrato la correla-

zione tra i polimorfismi dei geni per SSTR2 (A-83G, C-57G e T80C) e per SSTR5 (T-461C,C-325T e C-1004T) e la risposta alla terapiacon SSA. Soltanto due dei tre polimorfismi delgene codificante per SST5 (T-461C e C1004T)sono stati associati alla resistenza alla terapiacon analoghi, confermando l’importante ruolodi SST5 nel determinare la sensibilità degliadenomi GH-secernenti. Non è stata eviden-ziata alcuna correlazione tra i polimorfismi delgene per SSTR2 e la risposta alla terapia.Accanto alle ipotesi sopra citate, recente-

mente sono state descritte mutazioni del geneAIP sul cromosoma 11q13. Mutazioni di que-sto gene si ritrovano nel 20% dei pazienti conFIPA (Familial Isolated Pituitary Adenoma). Que-sti pazienti sono generalmente molto giovani eaffetti da tumore di grandi dimensioni, aggres-sivo e invasivo. Mutazioni germinali di AIP sonostate descritte anche in pazienti con giganti-smo e acromegalia in assenza di storia fami-liare (Fig. 1).

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Figura 1.Meccanismi biomolecolari di resistenza agli SSA.

Meccanismi biomolecolari di resistenza

Ridotta espressioneo mutazionedi e-caderina

Diminuzione dei recettori

SSTR2/SSTR5

Alta espressione

di sst5TMD4e mutazionedi SSTR55

Ridottaespressione

di RKIP

Mutazionidisattivanti

gsp

Mutazioni di AIP e ridotta

azione di ZAC-1

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Nei tumori familiari (anche nei GH-omi) unamutazione nella linea germinale del gene AIPcorrela con la resistenza alla terapia con ana-loghi: AIP svolge un’azione promuovente suZAC-1, un gene tumore-soppressore che agi-sce su un target di geni quali PAC1-R, PPARγ, iCK-inibitori p21 e p27, arrestando la cellula infase G1 e inducendo l’apoptosi. Nelle cellule tumorali in vivo, l’azione dell’oc-

treotide incrementa la fosforilazione della β-ca-tenina attraverso l’upregolazione del com-plesso GSK3-beta che a sua volta può influen-zare, insieme con AIP, l’espressione di ZAC-1e riverberarsi sulla risposta alla terapia. Anchenegli adenomi GH-secernenti sporadici, la ri-dotta espressione di AIP correla con la rispostaagli SSA. Il meccanismo esatto di interazionetra AIP e gli SSA non è a oggi completamenteconosciuto, ma la relazione tra AIP e ZAC-1esercita sicuramente un ruolo importante neldeterminare una ridotta risposta al tratta-mento.

Fattori predittivi di risposta alla terapia con analoghi

Accanto ai meccanismi biomolecolari analiz-zati in dettaglio nel paragrafo precedente, altri

fattori possono essere considerati predittivi diridotta risposta o resistenza alla terapia conanaloghi (Fig. 2).Le caratteristiche istopatologiche e radiologi-

che del tumore ipofisario GH-secernente pos-sono preannunciare un’insufficiente risposta. IGH-omi a cellule sparsamente granulate, peresempio, mostrano una minore riduzione deivalori di GH e IGF-1 dopo 6-12 mesi di terapiacon SSA. Fusco et al.8 hanno dimostrato chel’espressione di Ki-67 è nettamente inferiore neipazienti con acromegalia controllata tramiteSSA rispetto ai pazienti non responder. Seb-bene le dimensioni tumorali prima del tratta-mento non correlino con l’entità dello shrinkagein corso di terapia con SSA, i macroadenomisembrano mostrare una migliore risposta allaterapia in termini di riduzione della massa tu-morale, soprattutto se gli SSA sono utilizzaticome prima linea farmacologica. Al contrario,gli adenomi che mostrano un segnale iperin-tenso in T2 allo studio RMN rispondono menoagli SSA. L’“acute test” con octreotide sc può predire

la risposta a lungo termine agli analoghi: unariduzione > 75% dei livelli di GH dopo acutetest è stata proposta come cut-off per distin-guere i pazienti “good responder” dai “bad re-sponder”. Petrossian et al. hanno ipotizzato

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Fattori predittivi di resistenza

Giovane età

Altri valori di GH e IGF-1 dopo 6-12 mesi di terapia

Tumore a cellule sparsamente granulate

Aumento dell’espressione di Ki-67

Segnale iperintenso in T2 alla RMN

Ridotte dimensioni del tumore

Chirurgia radicaleFigura 2.

Fattori predittivi di resistenza agli SSA.

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USche una rimozione chirurgica parziale (debul-

king) aumenti le probabilità di risposta alla te-rapia postoperatoria con SSA, contrariamentea quanto si verifica dopo chirurgia apparente-mente radicale.5,9 L’eventuale radioterapia neo -adiuvante, rispetto alla terapia con SSA, sem-bra ridurne l’efficacia in termini di controllo or-monale. Inoltre, i valori di GH e IGF-1 ottenutidurante i primi 6 mesi di terapia sono conside-rati utili fattori predittivi. Infine, una migliore risposta alla terapia con

SSA è documentata nelle donne in età fertilein terapia orale con estroprogestinici e nei pa-zienti anziani che mostrano già alla diagnosivalori di GH e IGF-1 più bassi e tumori di minoridimensioni.9

Conclusioni

La monoterapia con SSA è generalmente ri-solutiva per il controllo biochimico e tumoraledell’acromegalico. L’efficacia terapeutica degliSSA viene definita, però, in rapporto ai valori diGH e IGF-1 e in relazione alle dimensioni del-

l’adenoma. Si parla, dunque, di resistenza aglianaloghi quando non si assiste a una significa-tiva riduzione dei valori ormonali, quando nonvi è riduzione della massa tumorale dopo tera-pia di prima linea con SSA o quando si assistea una ricrescita dell’adenoma ipofisario, che ap-pare clinicamente e neuroradiologicamente piùaggressivo. Alterazioni biomolecolari e/o fattori predittivi

sono alla base dell’assenza di risposta al trat-tamento. Da qui l’esperienza del gruppo diBianchi et al.10 che hanno suggerito, per i pa-zienti acromegalici “bad responder” alla mono-terapia con analoghi e con evidenza clinica, bio-chimica e di imaging severa, una terapia conpegvisomant + SSA. Tale terapia, tuttavia, ne-cessita di uno stretto follow-up del paziente poi-ché l’incremento della dose, dipendente dalladurata del trattamento, merita un adeguato ag-giustamento.Rispetto alla terapia con pegvisomant da solo

o con SSA ad alte dosi, il trattamento combi-nato sembra determinare una riduzione 3 voltemaggiore dei valori di IGF-1 e sembra determi-nare un buon controllo dei sintomi.

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BIBLIOGRAFIA

PUNTI CHIAVE

• L’approccio terapeuticoall’acromegalia è volto allanormalizzazione dei livelli di IGF-1e GH rimuovendo, quandopresente, l’adenoma ipofisario oriducendo la massa tumor ale.

• L’acromegalia attiva ècaratterizzata da valori di GHdopo OGTT ≥ 1 μg/L, alti livellicircolanti di IGF-1 esintomatologia non controllata.

• Possono esistere patterndiscordanti tra i valori di GH e IGF-1: l’esclusione di fattoriconfondenti è alla base di unacorretta interpretazione deirisultati.

• Nonostante la terapia con gli SSAvenga somministrata in manieraopportuna, insorgono spessomeccanismi di resistenzabiochimica, correlati ai valoriormonali, e di resistenza dimassa, associati ad aumenti del volume tumorale.

• Il tipo di risposta alla terapia con SSA permette di definire ilpaziente acromegalico “goodresponder”, “partial responder” e“bad responder”.

• La variabilità di risposta agli SSAè da ricondurre alla mancanza oalla ridotta densità di SSTR, alladesensibilizzazione recettorialeper alterazioni nel signaling, alle mutazioni dei geni codificantiper i SSTR.

• Mutazioni somatiche e germinalidel gene AIP sul cromosoma11q13 sono presenti in pazientiacromegalici FIPA e in pazientisenza storia familiare, insensibili oparzialmente sensibili alla terapiacon analoghi.

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Evoluzione del paziente con patologia dell’ipofisi

Domanda: se un paziente affetto da patologiadell’ipofisi, nel corso della visita, ci dice “Dot-tore, ho letto su internet che…” proviamo:a) interesse ed entusiasmo;b) indifferenza;c) un gran fastidio.Il paziente acromegalico, per tornare all’esem-

pio precedente, come tutti noi oggi ha unosmartphone, un tablet o un personal computercon il quale comunica, apprende, condivide.Non possiamo non considerare l’influenza dellainnovazione tecnologica, in particolare l’e_health,sui cambiamenti già in atto nei comportamentidel paziente, e potenziale fruitore dei servizi sa-nitari, il quale prende decisioni sul proprio per-corso di cura, sulla propria salute e più in ge-nerale sul proprio stile di vita in modo più auto-nomo, più critico, più partecipato.1

Il paziente, quando entra nel nostro ambulato-rio, probabilmente ha già in mente una diagnosidi malattia, ha confrontato i risultati degli esamisu internet, ha già partecipato a forum, a bloge continuerà a farlo anche dopo la visita con noispecialisti. Il paziente, più o meno soddisfattodelle informazioni ricevute dal medico, usa stru-menti alternativi per reperire, chiarire o appro-fondire tali informazioni, che si tratti di diagnosio di orari di visita, di strutture sanitarie, di scelta

di un medico o di una terapia. L’innovazione tec-nologica è una delle principali leve di “potenzia-mento” del paziente, della sua evoluzione.2Considerare questo aspetto del comporta-

mento del paziente con un senso di fastidio,come se fosse un’intrusione nelle nostre com-petenze specialistiche o una mera forma di “cy-bercondria”, è sbagliato. Il medico deve esseresempre più una guida sia nelle esperienze die_health sia nella conseguente gestione piùautonoma da parte del paziente del propriopercorso di cura, tanto in ambulatorio quantoa casa (e su internet). È compito del medico at-tivare in questo senso il paziente, consapevoledei vantaggi che scaturiscono da questa colla-borazione.

Vantaggi del paziente “potenziato”

“Attivare” un paziente con patologia dell’ipofisisignifica aumentare la sua conoscenza, abilità,destrezza nel gestire la propria patologia e –come già detto – tutto questo oggi è reso piùsemplice dal corretto utilizzo delle varie formedi innovazione tecnologica. Numerose evidenzedimostrano che i pazienti più attivamente coin-volti nella gestione delle proprie patologiehanno migliori risultati in termini sia di outcomesanitari sia di riduzione dei costi per il sistemasanitario.3

Immaginiamo una nostra visita specialistica di qualche anno fa a un paziente con una patologiaipofisaria, per esempio un acromegalico. Visti gli esami clinici effettuati, dopo un’anamnesicompleta e un accurato esame obiettivo informavamo il paziente sulle caratteristiche e sullastoria naturale della malattia, per poi giungere alla prescrizione di ulteriori accertamenti dia-gnostici e infine della terapia più opportuna. Il nostro paziente acromegalico acquisiva da noitutte le informazioni, quindi poteva seguire i nostri consigli oppure decidere di richiedere unsecondo parere (ritenendolo forse più autorevole). La possibilità di condividere le problema-tiche della malattia, di confrontarsi con chi aveva già affrontato la stessa esperienza era inmolti casi affidata all’improbabile evenienza – data la rarità della patologia – di conoscere oincontrare un altro acromegalico.Pensando a una delle ultime visite effettuate a un paziente con acromegalia possiamo affer-mare che oggi le caratteristiche generali non sono molto diverse dal passato, ma spesso sitrascura un aspetto: siamo di fronte un paziente o già “potenziato” o “da attivare”.

Il paziente con patologia dell’ipofisioggi

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Francesco Antonio LogolusoUO Endocrinologia,Azienda Ospedaliero UniversitariaConsorziale Policlinico di Bari

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Per cercare di quantificare questo vantaggioeconomico, alcuni ricercatori dell’Universitàdell’Oregon hanno sviluppato una misura dell’at-tivazione del paziente sulla base di una surveyvalidata che assegnava un punteggio alla capa-cità del paziente di gestire la propria malattia.4Circa 30.000 pazienti sono stati così suddivisiin quattro livelli in accordo con il loro “activationscore” ed è stata poi indagata la relazione coni costi e le spese sanitarie. I risultati dello stu-dio dimostrano che i pazienti del gruppo conpunteggio di attivazione più basso – ossia quellicon minore coinvolgimento, minore possibilitàdi confronto, scarsa conoscenza della propriapatologia e degli strumenti diagnostici e tera-peutici – erano gravati da costi – e quindi, pos-siamo dedurre, spese per un sistema sanitariocome il nostro – più alti di circa il 15% rispettoai costi sostenuti dai pazienti con punteggio diattivazione più alto (Tab. 1).Il paziente con patologia dell’ipofisi deve fre-

quentemente impegnarsi per programmare edeseguire, per esempio, esami diagnostici (riso-nanza magnetica, campimetria, esami ormo-nali, ecografia, polisonnografia) spesso senzapossedere una piena conoscenza delle carat-teristiche degli esami stessi. Considerando ladifficoltà oggettiva – nell’odierna realtà sanita-ria – per un comune cittadino nel destreggiarsitra prenotazioni, strutture diverse, qualità deiservizi erogati non è difficile immaginarequanto potrebbe essergli utile una realtà poten-ziata che gli permetta di condividere istanta-

neamente le proprie necessità e di fruire di in-formazioni, anche derivanti dalle esperienze dialtri pazienti, che lo aiutino a percorrere i percorsi più idonei e con il miglior rapportocosto/beneficio per il raggiungimento degliobiettivi.Molte organizzazioni sanitarie pubbliche e pri-

vate stanno adottando strategie per un mag-gior impegno dei pazienti, ad esempio per edu-carli alla condizione di malati e coinvolgerlinelle decisioni riguardanti diversi aspetti dellaloro patologia. Alla Mayo Clinic una app per-mette ai pazienti il pieno accesso alle proprienote mediche sino ai referti radiologici, il tuttosupportato da programmi finalizzati a definireun lessico condiviso, riducendo il più possibilel’uso del gergo medico.5 Sempre negli StatiUniti il National Committee for Quality Assu-rance, un’associazione no-profit che traccia laqualità delle cure fornite ai pazienti dalle orga-nizzazioni sanitarie, richiede una serie di datiche permettono di verificare quanto un pa-ziente sia stato attivato e quindi coinvolto nellagestione della sua patologia.Il ruolo del singolo medico nell’agevolare il

programma di potenziamento del paziente af-fetto da patologia dell’ipofisi dovrebbe eviden-ziarsi già durante la prima visita ambulatoriale,indagando quali sono gli strumenti e le moda-lità messi in atto dal paziente in modo da po-terli valutare e quindi condividere o correggere,oppure indicando al paziente le vie più idoneeanche di e-health per una sua attivazione.

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Livello di attivazione 2010 Costi pro capite previsti ($) Costi previsti in rapporto al livello 4

Livello 1 (punteggio più basso) 966* 1,21*

840 1,05Livello 2

783 0,97Livello 3

799 1,00Livello 4 (punteggio più alto)

Analisi condotta dagli autori su dati e cartelle cliniche elettroniche del Fairview Health Services (Exhibit 2). I costi relativi ai ricoveri e ai farmaci sono esclusi. *p < 0,05Fonte: modificata da Hibbard JH, et al. Health Aff (Millwood) 2013;32(2):216-22.

Tabella 1. Costi pro capite previsti per i pazienti in relazione alla misura del livello di attivazione (Patient Activation Measure, PAM)

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Gli ostacoli alla realizzazione di questo pro-gramma sono soprattutto il poco tempo di cui ilmedico dispone per poter svolgere tutte le sueattività, la mancanza di incentivi e a volte di pre-parazione per portare a termine tale compito.In Italia la consapevolezza dell’importanza di

questi aspetti della relazione medico-pazientee del ruolo del paziente potenziato si evidenziagià nel Piano Sanitario Nazionale del 2011,6

che sottolinea l’importanza: a) della valutazionedella soddisfazione del paziente; b) del poten-ziamento delle comunità di pazienti come fat-tore cruciale per la promozione della salute; c) della comunicazione e dell’informazione aipazienti e tra i pazienti. Nel piano è anche spe-cificato come la partecipazione del paziente in-cluda un ruolo attivo nella pianificazione, nelcontrollo e nella valutazione dei servizi sanitaria livello regionale e locale.

“Shared decision making” per il paziente con patologia dell’ipofisi

Molti fattori, tra cui i cambiamenti culturali ele conoscenze scientifiche degli ultimi decenni,hanno fatto sì che le persone desiderino otte-nere maggiori informazioni sul proprio stato disalute e partecipare attivamente al processo dicura. Coinvolgere il paziente nelle decisioni te-rapeutiche è dunque un aspetto fondamentaledel rapporto che si instaura tra il paziente el’operatore sanitario, chiunque esso sia (me-dico, infermiere ecc.). In quest’ottica è compitoprincipale dell’operatore sanitario svilupparespecifiche abilità comunicative per aiutare il pa-ziente a comprendere meglio ciò che gli sta ca-pitando e le possibili scelte per gestire il suoproblema.La comunicazione è un elemento fondamen-

tale nel rapporto medico-paziente, non solo dalpunto di vista della relazione terapeutica maanche per il notevole impatto sulla compren-sione, sulla soddisfazione, sull’adesione al trat-tamento, sulla salute e sul numero di ulteriorivisite richieste dal paziente.7“Shared decision making” può essere tradotto

in italiano come “processo decisionale condi-viso”. La terminologia può apparire complessae di non immediata lettura.Ognuno di noi, quando si trova a dover com-

piere una scelta, tanto più se riguarda la pro-pria salute, terrà in considerazione diversiaspetti che variano a seconda delle idee, dei

valori e delle preferenze personali. Quando ilmedico si trova di fronte a più possibili soluzioniper un determinato problema è fondamentaleche chieda il parere del paziente. Il processodecisionale condiviso è esattamente questo: unpercorso che medico e paziente compiono in-sieme e che porta a prendere una decisonecondivisa riguardo alla gestione di un disturboo di una malattia. Il medico mette a disposi-zione del paziente le proprie abilità e cono-scenze medico-scientifiche e il pazienteesprime dubbi, preferenze e aspettative. Lascelta sul da farsi sarà quella che terrà in con-siderazione entrambi gli aspetti, nell’interesseprimario di quel particolare individuo.8Numerose sono le situazioni in cui un paziente

con patologia dell’ipofisi può trovarsi di frontea una scelta. In ambito terapeutico, per esem-pio, le terapie ormonali sostitutive prevedonodiverse possibilità di associazioni tra farmaci,di modalità di somministrazione, di device dautilizzare. Anche le terapie mediche e le tecni-che chirurgiche per la cura di un adenoma del-l’ipofisi sono molteplici e a volte fruibili in luoghilontani da quello in cui il paziente risiede. Con-sideriamo, inoltre, come le stesse opzioni escelte diventino particolarmente delicate peruna paziente affetta da patologia dell’ipofisi chedebba affrontare una gravidanza.Il paziente è contento di essere coinvolto in

questo processo di share decision making?Uno studio iniziato nel 2002 dai ricercatori

dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI)aveva come obiettivi la valutazione delle prefe-renze dei pazienti e del livello di soddisfazioneriguardo al coinvolgimento nelle scelte terapeu-tiche.9 Lo studio mostra che il 68% dei pazientiintervistati desiderava essere coinvolto nellescelte terapeutiche; il 28% preferiva invece chefosse il medico a decidere senza coinvolgereil paziente; il 4% infine preferiva decidere dasolo, in autonomia rispetto al medico. Com-plessivamente, tra gli intervistati, 1 paziente su3 avrebbe voluto essere coinvolto maggior-mente rispetto a quanto era avvenuto durantel’ultima visita medica. Un aspetto nuovo e molto importante nello

share decision making è che mentre in passatoera l’operatore sanitario a offrire al paziente leconoscenze e le migliori evidenze scientifichedisponibili, oggi il paziente – come sottolineatoin precedenza – grazie alla maggiore diffusionee accessibilità alle informazioni è già poten-ziato e possiede un proprio bagaglio di notizie,

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!

!

!

MacroPattern di micro e mesosistemi specifici

di una cultura (credenze, conoscenze, opportunità)

EsoProcessi che influenzano indirettamente

l’individuo (politiche sanitarie, formazione sanitaria)

MesoRelazioni tra casa, ospedale, medico di base

MicroRelazione medico-paziente

(ospedale, ambulatori)Relazione paziente-familiari

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pareri, confronti, a volte convinzioni di cui dob-biamo tener conto.Ai tre sottosistemi sociali o livelli d’azione

(micro, meso, eso) nei quali il paziente si rela-zionava con gradi differenti di partecipazionepiù o meno diretta e che eravamo abituati aconsiderare in un recente passato, oggi si ag-giunge un macrolivello (Fig. 1) che rappresentail sistema di conoscenze derivanti dalla Rete eche comprende anche credenze, ideologie, cul-ture che incidono sul funzionamento a livellomicro, meso ed eso e quindi sul comporta-mento individuale.Shared decision making per il paziente con

patologia dell’ipofisi quindi sicuramente sì, mail medico deve sapere di non essere più la suasola fonte di informazioni e che ciò avviene al-l’interno di un contesto socioculturale caratte-rizzato da una crescente richiesta, da parte deipazienti e cittadini, di un ruolo attivo nelle curee di maggiore partecipazione.

Il ruolo delle associazioni dei pazientioggi

Le associazioni di pazienti giocano un ruolovitale nel Sistema Sanitario Nazionale fornendoogni giorno informazioni e supporto a milioni dipersone. A oggi, però, la loro capacità di promuovere

lo scambio di esperienze e conoscenze e difornire un supporto sociale e scientifico ai

membri dell’associazione, anche se sicura-mente aumentata rispetto al passato, deve es-sere implementata. Ciò si rende necessario perla presenza di una realtà che negli ultimi anniha registrato un incremento esponenziale: lanascita di comunità virtuali di pazienti, al difuori delle associazioni, che si scambiano espe-rienze personali e opinioni. Ecco infatti che iblog e i forum sono diventati una rilevante fontedi informazione per aiutare nella scelta di tera-pie, professionisti, strutture sanitarie, ovvia-mente senza alcun filtro o referenza, come ècaratteristico del web. Bisogna assolutamente impedire che queste

comunità virtuali prevalgano sulle associazionidi pazienti.Le associazioni svolgono una funzione cru-

ciale nell’aiutare i propri membri nella gestionedelle patologie, soprattutto quelle croniche orare, e sono spesso il primo approdo per i pa-zienti che hanno iniziato la loro navigazione nelweb non appena hanno avuto la diagnosi di ma-lattia. Dovrebbero quindi costituire il punto dipartenza referenziato del processo di potenzia-mento che porterà il paziente a interagire inmaniera più attiva con il medico.Il gioco di squadra che potrebbe realizzarsi

tra medici specialisti e pazienti nell’ambito delleassociazioni non deve essere sottovalutato.Le associazioni possono raccogliere dati e

storie cliniche costituendo una banca dati sem-pre aggiornata su diagnosi, terapie e cure chei medici potrebbero usare per avere dati in

Figura 1. I contesti socialiche influenzanole decisioni.

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US tempo reale, per esempio, sui benefici o gli ef-

fetti collaterali di un trattamento o per poterconfortare il paziente indicandogli un concretoaiuto nella gestione della sua patologia, ancheper quanto riguarda gli aspetti più pratici.In tempi come quelli attuali in cui le misure di

austerità e tagli penalizzano la spesa sanitaria,i gruppi di pazienti riuniti in associazioni con imedici specialisti possono lavorare insieme perassicurare che messaggi chiave siano ascol-tati dai politici, sottolineando necessità chepossono non essere state considerate a livello governativo.Questo tipo di alleanze possono esercitare

pressione sugli organi di governo affinché al-cuni argomenti vengano considerati in otticanon economica. Per esempio, i gruppi di pa-zienti spesso focalizzano l’attenzione sulla qua-lità e il valore della vita enfatizzando l’impor-tanza di migliorare la qualità delle cure, conside-razioni che spesso sono trascurate quando siprocede a una pianificazione sanitaria asettica.Una dimostrazione del potere esercitato dai

pazienti uniti in associazione, paragonabile aquello degli stakeholder in ambito aziendale, èl’iniziativa che nel 2008 permise di persuadereil governo inglese a rivedere le scelte effettuate

nell’approvazione dell’uso di nuovi farmaciantiaritmici.10

È frequente che medici, pazienti o altri ope-ratori della sanità si confrontino con problema-tiche correlate per esempio all’equità di ac-cesso al servizio sanitario, alla mancanza diservizi che si era supposto fossero forniti oalla scarsa utilità di alcuni servizi esistenti.Anche in questi casi le associazioni possonoessere fonte di conoscenza per i pazienti per-mettendo loro di evitare disagi o spese inutili,e per noi medici informandoci delle carenze odel malfunzionamento di strutture e servizi;possono inoltre essere strumento di interces-sione con il sistema sanitario per incoraggiarele necessarie rettifiche.Per quanto riguarda i pazienti con patologia

dell’ipofisi, ANIPI Italia ONLUS (AssociazioneNazionale Italiana Patologie Ipofisarie) è un’as-sociazione senza fini di lucro che unisce e co-ordina le ANIPI regionali federate. Le sue fina-lità (Tab. 2) sono perfettamente in linea contutto ciò che abbiamo visto essere la più at-tuale modalità di gestione partecipata di unapatologia; sarebbe opportuno da parte di tuttinoi contribuire al potenziamento di una risorsatanto importante.

Tabella 2. Le finalità di ANIPI Italia

• Favorire, in particolare in ambito sociale, la tutela dei diritti dei pazienti e delle loro famiglie:diritto alla salute, riabilitazione, assistenza, istruzione, formazione professionale, inserimentolavorativo, sport e tempo libero

• Organizzare manifestazioni e altre attività al fine di far conoscere le problematiche delle malattie ipofisarie

• Distribuire informazioni e aumentare la sensibilità e l'interesse nei confronti delle malattiedell'ipofisi tra il pubblico e presso la comunità medica

• Favorire lo scambio di informazioni e di esperienze con altre associazioni consimili

• Promuovere processi di integrazione dei pazienti con patologie ipofisarie nella realtà socialeanche richiedendo, qualora necessario, l'attuazione e/o la modifica delle normative vigenti

• Informare i pazienti affetti da patologie ipofisarie e le loro famiglie su argomenti connessi alla diagnosi e alla cura delle relative malattie e sui centri di riferimento

• Elaborare, presentare e gestire progetti unitari nei settori di comune interesse

• Costituirsi come soggetto unitario nei confronti delle istituzioni al fine di essere maggiormenteefficaci

• Sostenere, incoraggiare, promuovere e, quando possibile, finanziare la ricerca sui tumoriipofisari e su tutte le malattie dell'ipofisi, per migliorare la possibilità di prevenzione e di cura di queste patologie

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Conclusioni

Nella prossima visita a un paziente con pato-logia dell’ipofisi ricordiamo che migliorare la co-municazione medico-paziente significa ancheattivare un coinvolgimento che preveda lo svi-

luppo e la diffusione di strumenti e approcciadeguati, convinti che una maggiore partecipa-zione comporta benefici in termini di miglioreadesione ai trattamenti, con conseguenti mi-gliori esiti di salute, oltre a una maggiore sod-disfazione e minori sprechi di risorse.

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US PUNTI CHIAVE

• È impossibile oggi nonconsiderare l’influenzadell’innovazione tecnologica, in particolare l’e-health, suicambiamenti già in atto neicomportamenti del paziente, ilquale prende decisioni sul propriopercorso di cura, sulla propriasalute e più in generale sul propriostile di vita in modo più autonomo,più critico, più partecipato.

• “Attivare” un paziente conpatologia dell’ipofisi significaaumentare la sua conoscenza,abilità, destrezza nel gestire lapropria patologia e tutto questooggi è reso più semplice dalcorretto utilizzo delle varie formedi innovazione tecnologica.

• Numerose evidenze dimostranoche i pazienti più attivamentecoinvolti nella gestione delleproprie patologie ottengonomigliori risultati in termini sia dioutcome sanitari sia di riduzionedel costi per il sistema sanitario.

• Il processo decisionale condiviso(“shared decision making”) è unpercorso che medico e pazientecompiono insieme e che porta a prendere una decisonepartecipata riguardo alla gestionedi un disturbo o di una malattia.

• Oggi il medico non è più la solafonte di informazioni per ilpaziente riguardo alla suapatologia. Blog e forum sonodiventati una rilevante fonte diinformazione che influenza lascelta di terapie, professionisti,strutture sanitarie, ovviamentesenza alcun filtro o referenza,come è caratteristico del web.

• Le associazioni di pazienti giocanoun ruolo vitale nel SistemaSanitario Nazionale e il gioco disquadra che potrebbe realizzarsitra medici specialisti e pazientinell’ambito delle associazioni nondeve essere sottovalutato.

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BIBLIOGRAFIA

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SIProssimi Eventi

II Congresso Nazionale di Endocrinologia Oncologica Napoli, 23-25 ottobre 2014www.endo-onco.it

AME Congresso NazionaleAssociazione Medici EndocrinologiRoma, 7-9 novembre 2014www.associazionemediciendocrinologi.it

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SIHypinet 2015

Il prossimo incontro Hypinet (Hypothalamic-Pituitary Network) si svolgerà nel 2015 pressol’Ospedale Maurizio Bufalini di Cesena (data da definirsi).

L’incontro sarà suddiviso in tre sessioni.

• La prima sessione sarà occasione per valutare alcuni aspetti anatomo-patologici, clinici,radiologici e terapeutici degli adenomi radiologicamente invasivi e biologicamente aggressivi.In tale sessione, una relazione sarà dedicata alla radioterapia mediante tomoterapia degliadenomi ipofisari.

• La seconda sessione considererà la gestione perioperatoria relativa alla chirurgia endosco-pica transfenoidale: la preparazione del paziente all’intervento, il monitoraggio postinterventoe in dimissione, la gestione delle possibili complicanze postchirurgiche di competenza medicae chirurgica.

• Infine, la terza sessione sarà occasione per un aggiornamento relativo alla diagnostica dellamalattia di Cushing, con particolare riferimento al cateterismo dei seni petrosi inferiori: indi-cazioni, modalità di esecuzione operativa del test e limiti.

Gli organizzatori localiAntonio Balestrieri (Endocrinologia, Ospedale Maurizio Bufalini, Cesena)Teresa Nasi (Neurochirurgia, Ospedale Maurizio Bufalini, Cesena)

email: [email protected]

Per la rete HypinetMarco Faustini Fustini e Diego Mazzatenta(IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche, Bologna)

email: [email protected]

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ANIPI Italia e SIE: una collaborazione che prosegue

Pituitary Focus intervista il professore Gianluca Aimaretti (Consiglio direttivo SIE) e Fabiola Pon-tello (ANIPI Italia) per fare il punto della situazione sull’attuale e futura collaborazione che si pre-figge di abbracciare tutto il territorio nazionale.

Professore Aimaretti, da quando la SIE ha riconosciuto l’importanza di avere una com-missione di riferimento per le associazioni pazienti? Per quali motivi l’ha fatto? Qualibenefici sono derivati?

La Società Italiana di Endocrinologia ha riconosciuto l’importanza di rapportarsi con le as-sociazioni pazienti a partire dagli anni Novanta, periodo nel quale queste associazioni sonosorte e proliferate. Da allora nel Consiglio direttivo della Società è presente una commissioneche si relaziona con le associazioni pazienti, ma anche con le associazioni dei professionistisanitari (infermieri in primis) che lavorano in Endocrinologia e Diabetologia.Una società scientifica ha fini culturali e di progressione delle conoscenze nella propria di-sciplina che devono necessariamente riflettersi in cambiamenti, miglioramenti e aggiorna-menti della pratica clinica quotidiana. In altre parole, crescita culturale significa una cura piùefficace e puntuale del paziente e pertanto tra la SIE e le associazioni pazienti che si occu-pano di patologie endocrine si è creata questa sintonia di intenti. Inoltre le malattie endocri-nologiche sono per la maggior parte rare e croniche e richiedono perciò un supplemento diricerca e una specificità e continuità di cure nel tempo che devono vedere uniti pazienti, me-dici e ricercatori. Negli anni la SIE ha favorito la fondazione e la crescita delle associazionipazienti perché da una loro sana azione di pressione (lobbismo) non può che scaturire unamaggiore attenzione alle patologie endocrine da parte dei legislatori e della classe politica.

Quali attività/servizi la SIE ha messo in atto per supportare le associazioni pazienti?Sul sito della Società (www.societaitalianadiendocrinologia.it) è presente una sezione con ilink alle associazioni pazienti: il fine è creare un fermento di informazioni e notizie sia per gliendocrinologi sia per i pazienti. Inoltre il menu “Cerca l’endocrinologo” permette di trovarelo specialista più vicino con le competenze adatte per ciascuno.Nei congressi nazionali della Società, poi, viene sempre organizzato un simposio satelliteper far incontrare medici e pazienti in momenti di formazione e informazione.A livello locale/regionale, le sezioni regionali SIE organizzano incontri con le associazionipazienti e svolgono (o almeno ci provano) un ruolo di legame tra i pazienti e le istituzionidella salute nelle varie Regioni. Il nostro Servizio Sanitario è infatti organizzato in 20 differentisistemi regionali, pertanto prescrizioni ed esenzioni, possibilità diagnostiche e terapeutichepossono differire tra una regione e l’altra. Un legame forte tra medici e pazienti avrebbe unruolo di controparte fondamentale con i politici e i tecnici decisori delle pratiche sanitarie.La SIE nazionale poi potrebbe e dovrebbe fungere da catalizzatore delle varie istanze perarrivare a definizioni nazionali condivise ed equamente distribuite dal Nord al Centro, alSud Italia.

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In che modo un clinico che è vicino al paziente o all’associazione pazienti può miglio-rare i risultati del proprio lavoro?

Il lavoro del clinico non è indirizzato a curare una patologia, ma deve preoccuparsi di curareuna persona con una patologia. Pertanto solo da una relazione sinergica ed empatica trapaziente e medico può derivare un miglioramento nelle cure, mai disgiunto dalla volontà edall’impegno del paziente. Inoltre, come già evidenziato, la cura in endocrinologia è sempreper malattie croniche e frequentemente rare che richiedono un investimento emotivo e diempatia ancora superiore. Sono convinto che compito della cura del paziente con patologiaendocrinologica sia stimolarne la resilienza, ossia la capacità di affrontare le avversità dellavita, di superarle e di uscirne rafforzati ovvero di trovare una nuova omeostasi, che è poi ilfine ultimo del sistema endocrino. La ricerca scientifica endocrinologica sta progredendosempre più nella scoperta dei meccanismi patologici, molecolari e genetici delle malattie el’endocrinologia clinica, nel rapportarsi con il malato/paziente, deve trasferire queste cono-scenze per la cura della persona malata, di quella concreta persona malata.

Qual è stata la più rilevante iniziativa realizzata in collaborazione con ANIPI? La più rilevante attività che la SIE ha svolto in questi anni insieme ad ANIPI è stata quella difavorirne la crescita e lo sviluppo nelle diverse realtà regionali. In molte regioni italiane sonogià presenti sezioni regionali ANIPI e in altre si stanno formando i nuovi consigli direttivi.Sono stati organizzati anche momenti di formazione tra endocrinologi e associati ANIPI sem-pre in quell’ottica sopra riportata di applicare nella cura e amplificare l’avanzamento della ri-cerca nella patologia ipofisaria. In alcune realtà regionali ANIPI ha poi favorito e premiato la ricerca giovane nella patologiaipofisaria sostenendo i ricercatori e favorendo la diffusione della stessa. Il futuro però dovrebbe vedere le sezioni regionali SIE e le sezioni ANIPI insieme come con-troparte virtuosa delle istituzioni sanitarie regionali. I problemi di accessibilità diagnostica,possibilità prescrittive, uniformità nelle esenzioni e nei percorsi diagnostici e terapeutici nonpossono più essere gestiti in tavoli separati: da una parte i curanti, dall’altra i curati in rap-porto diretto con gli assessorati alla salute. È necessario che SIE compia uno sforzo e siraccordi con ANIPI per attivare confronti comuni con le Regioni su problematiche di saluterelative a malattie complesse, croniche e rare.

Signora Pontello, com’è nata la collaborazione tra SIE e ANIPI?La collaborazione tra SIE e ANIPI è nata circa tre anni fa, a seguito di un contatto telefonicoda parte di SIE.

Che cosa significa per un’associazione pazienti collaborare con una società scientifica?Per un’associazione di pazienti come ANIPI, collaborare con una società scientifica significaavere la possibilità di entrare in relazione e confrontarsi con i medici specialisti che seguono

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le patologie ipofisarie. Grazie a questa collaborazione si è instaurato un rapporto di fiduciareciproca tra i medici e i pazienti che si sono messi in gioco per realizzare la possibilità diquell’ascolto reciproco che oggi consente a ciascuno di esercitare al meglio il proprio ruolo.

Che tipo di contributo può offrire la collaborazione tra i medici e i pazienti per miglio-rare la gestione di patologie di difficile diagnosi e con accessi alle terapie non ancoracodificati?

La collaborazione tra medici e pazienti può dare un grande contributo per una migliore com-prensione delle patologie e degli effetti delle terapie da parte sia dei pazienti sia dei medici.Questo tipo di collaborazione è anche molto importante per i pazienti in quanto consenteuna migliore informazione in merito agli studi clinici.

Quale beneficio trae il singolo paziente dalla collaborazione di ANIPI e SIE?Grazie alla collaborazione con SIE un’associazione pazienti come ANIPI può garantire ai pa-zienti affetti da malattie rare un miglior tipo di assistenza e cura indirizzandoli da subito aicentri specializzati nel trattamento delle specifiche patologie e assicurando loro anche unamaggiore comprensione dell’evoluzione della malattia. Per i pazienti è importante soprattuttonon sentirsi abbandonati.

Quali sono i progetti di collaborazione più importanti?Lo scorso anno abbiamo partecipato con un nostro stand ad alcuni eventi organizzati dallaSIE e ci è stato possibile farci conoscere in tutto il territorio nazionale. Inoltre i medici hannopartecipato a un’indagine inerente la visibilità della nostra associazione che ci ha fornito im-portanti indicazioni su come farci conoscere meglio dai pazienti.

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The Lancet Diabetes & Endocrinology, Early Online Publication, 29 January 2014,doi:10.1016/S2213-8587(13)70211

ARTICLESCardiovascular events and mortality in patients with adrenalincidentalomas that are either non-secreting or associated with intermediate phenotype or subclinical Cushing’s syndrome: a 15-year retrospective studyGuido Di Dalmazi a, Valentina Vicennati a, Silvia Garelli a, Elena Casadioa, Eleonora Rinaldia, Emanuela Giampalmab, Cristina Mosconib, Rita Golfierib, Alexandro Paccapeloa, Uberto Pagottoa, Renato Pasquali a

a Endocrinology Unit, Department of Medical and Surgical Sciences, University Alma Mater Studiorum of Bologna,S. Orsola-Malpighi Hospital, Bologna, Italy

b Radiology Unit, Department of Digestive Diseases and Internal Medicine, University Alma Mater Studiorum of Bologna, S. Orsola-Malpighi Hospital, Bologna, Italy

SUMMARYBackground: Incidental discovery of adrenal masses has increased over the past few years. Mildalterations in cortisol secretion without clinical signs of overt hypercortisolism (subclinical Cushing’ssyndrome) are a common finding in patients with these tumours. Although metabolic alterationsand increased cardiovascular risk have been noted in patients with subclinical Cushing’s syndrome,incidence of cardiovascular events and mortality in the long term have not been assessed. Weaimed to ascertain the frequency of new cardiovascular events and mortality in patients with non-secreting adrenal incidentalomas, tumours of intermediate phenotype, or those causing subclinicalCushing’s syndrome.Methods: From January, 1995, to September, 2010, consecutive outpatients with adrenal inciden-talomas who were referred to the Endocrinology Unit of S Orsola-Malpighi Hospital, Bologna, Italy,were enrolled into our study. Individuals were assessed every 18–30 months for the first 5 years(mean follow-up 7.5 [SD 3.2] years, range 26 months to 15 years). Cortisol concentrations afterthe 1 mg dexamethasone suppression test (DST) were used to define non-secreting (+50 nmol/L)and intermediate phenotype (50–138 nmol/L) adrenal incidentalomas and subclinical Cushing’ssyndrome (+138 nmol/L). At the end of follow-up, patients were reclassified as having either un-changed or worsened secreting patterns from baseline.Findings: 198 outpatients were assessed; at the end of follow-up, 114 patients had stable non-se-creting adrenal incidentalomas, 61 had either a stable intermediate phenotype or subclinical Cush-ing’s syndrome, and 23 had a pattern of secretion that had worsened. By comparison with patientswith stable non-secreting adrenal incidentalomas, the incidence of cardiovascular events was higherin individuals with a stable intermediate phenotype or subclinical Cushing’s syndrome (6.7% vs 16.7%;p=0.04) and in those with worsened secreting patterns (6.7% vs 28.4%; p=0.02). Cardiovascularevents were associated independently with a change (from baseline to the end of follow-up) in cortisolconcentrations post DST (hazard ratio 1.13, 95% CI 1.05–1.21; p=0.001). Survival rates for all-cause mortality were lower in patients with either stable intermediate phenotype adrenal inciden-talomas or subclinical Cushing’s syndrome compared with those with stable non-secreting masses(57.0% vs 91.2%; p=0.005). Factors associated with mortality were age (hazard ratio 1.06, 95%CI 1.01–1.12; p=0.03) and mean concentrations of cortisol post DST (1.10, 1.01–1.19; p=0.04).Compared with patients with stable non-secreting adrenal incidentalomas, unadjusted survival forcardiovascular-specific mortality was lower in patients with either a stable intermediate phenotypeor subclinical Cushing’s syndrome (97.5% vs 78.4%; p=0.02) and in those with worsened secret-ing patterns (97.5% vs 60.0%; p=0.01). Cancer mortality did not differ between groups.Interpretation: Even when clinical signs of overt hypercortisolism are not present, patients withadrenal incidentalomas and mild hypercortisolism have an increased risk of cardiovascular eventsand mortality.

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TAKE HOME MESSAGE

• Negli ultimi anni, la scoperta casuale di masse surrenaliche è sensibilmente aumen-tata. Nei pazienti affetti da questi tumori sono frequenti lievi alterazioni nella secre-zione di cortisolo, pur in assenza di chiari segni clinici di ipercortisolismo (sindromedi Cushing subclinica). Obiettivo del lavoro è individuare l’incidenza di eventi cardio-vascolari e relativa mortalità nei pazienti con incidentalomi surrenalici non secer-nenti, a fenotipo intermedio, o responsabili di sindrome di Cushing subclinica.

• È stato condotto uno studio retrospettivo in un arco di tempo di 15 anni, dal 1995al 2010, sui pazienti afferiti consecutivamente all’Unità di Endocrinologia dell’Ospe-dale Sant’Orsola Malpighi di Bologna e sottoposti al test di soppressione con desa-metasone (1 mg). Il test ha permesso di distinguere le forme secernenti da quellenon secernenti.

• Al termine dello studio, su 198 pazienti non candidati all’intervento chirurgico, 114continuavano a presentare incidentalomi stabili non secernenti, 61 presentavano ilfenotipo intermedio o Cushing subclinico e 23 un pattern secretivo in peggiora-mento. Rispetto ai pazienti con incidentalomi stabilmente non secernenti, è statoosservato un numero molto più elevato di eventi cardiovascolari nei soggetti a fe-notipo intermedio o con Cushing subclinico (6,7% vs 16,7%) e ancor più in quellicon pattern secretivo ormonale in peggioramento (6,7% vs 28,4%). Anche il tassodi mortalità per tutte le cause è risultato maggiore, con fattori associati quali l’etàe il livello di cortisolemia dopo il test al desametasone.

• In conclusione, anche in assenza di segni manifesti di ipercortisolismo, i soggetticon incidentalomi e ipercortisolemia lieve presentano un aumentato rischio di eventie di mortalità cardiovascolare rispetto ai portatori di masse non secernenti.

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