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Reuven Feuerstein, Raphael S. Feuerstein, Louis H. Falik e Ya’acov Rand LPAD: Learning Propensity Assessment Device Batteria per la Valutazione Dinamica della Propensione all’Apprendimento di Reuven Feuerstein Metodologie e percorsi per la didaica, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e il sostegno Collana direa da Dario Ianes

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Reuven Feuerstein, Raphael S. Feuerstein, Louis H. Falik e Ya’acov Rand

LPAD: Learning Propensity Assessment Device Batteria per la Valutazione Dinamica della Propensione all’Apprendimento di Reuven Feuerstein

Metodologie e percorsi per la didattica, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e il sostegnoCollana diretta da Dario Ianes

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I n d i c e

9 Presentazione all’edizione italiana (Mario Di Mauro)

15 Prefazione alla prima edizione (J. McV. Hunt)

21 Prefazione alla seconda edizione

27 Ringraziamenti

PrImA PArte Fondamenti teorici e concettuali

35 CAP. 1 La Tesi della Valutazione Dinamica: liberare il potenziale umano dalle sue catene psicometriche

109 CAP. 2 La valutazione dinamica: l’LPAD e una rassegna critica di altri approcci dinamici

151 CAP. 3 La Modificabilità Cognitiva Strutturale: condizioni, fonti e focus di cambiamento

SeCONDA PArte Applicazioni cliniche

181 CAP. 4 LPAD: procedure e strumenti

237 CAP. 5 La valutazione dinamica dei gruppi: fondamenti concettuali, applicazione e risultati dei test LPAD di gruppo

271 CAP. 6 L’LPAD-Basic: un adattamento per valutare i bisogni di popolazioni speciali

311 CAP. 7 Studi di caso

terzA PArte Applicazioni e ricerca

367 CAP. 8 Applicazione clinica e sperimentale del modello LPAD

421 CAP. 9 Sperimentare il modello LPAD: metodologia per la ricerca sulla modificabilità cognitiva

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467 CAP. 10 La differenza culturale estrema: un intervento educativo con allievi immigrati dall’Etiopia

489 CAP. 11 La valutazione della modificabilità cognitiva di bambini e giovani con sindrome di Down

quArtA PArte I risultati della valutazione dinamica

507 CAP. 12 Il profilo di modificabilità prodotto dall’LPAD

553 CAP. 13 Passato, presente e futuro dell’LPAD

573 Glossario

585 Bibliografia

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Presentazione all’edizione italiana

Leggere la seconda opera fondamentale di Reuven Feuerstein in lingua italiana è stato per molto tempo un forte desiderio, non solo di psicologi o di altri specialisti professionali ma anche, e soprattutto, di educatori, insegnanti, pedagogisti e genitori.

Avere finalmente la possibilità di conoscere l’esperienza scientifica e umana raccontata direttamente da uno studioso che ha rifiutato e combattuto nella sua vita il marchio pesante della diversità sancita da una scala di intelli-genza come un destino ineluttabile e definitivo, è certamente una occasione che fa molto piacere.

Nella storia della ricerca sull’intelligenza che nell’ultimo secolo ha avuto un ritmo molto alto di crescita, un momento di particolare rilevanza fu quel-lo vissuto ai primi del Novecento in Europa e nel Nord America, quando la società si trovò a reagire ai forti mutamenti che lo sviluppo dell’economia e della tecnologia portava con sé. La rapidità con cui progredivano le conoscen-ze scientifiche e il loro uso pratico infondevano ottimismo ma anche nuovi bisogni sociali, primo tra tutti quello che imponeva un controllo funzionalista dello stesso comportamento umano. L’uomo come sistema-macchina di cui ottimizzare le prestazioni e i livelli di efficienza diventava ingranaggio per un uso sociale differenziato e capace di rispondere ai criteri di modernità.

La possibilità di misurare l’intelligenza, qualunque cosa si intendesse, costituì una delle massime aspirazioni delle scienze umane e della psicologia sperimentale in particolare. Era tanto forte e sentito l’interesse per lo studio

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delle caratteristiche umane in termini di tratti individuali, che si ricorreva a stime indirette, come la capacità percettiva o i riflessi, per quantificare la natura dell’intelligenza, convinti che essa non potesse essere altrimenti rilevabile.

Certamente concezioni estreme che conducevano a un uso smodato delle ricerche e degli studi nel campo della psicologia, ma anche segno premonitore di dove potevano portare gli interessi della scienza applicata all’uomo.

In un bel libro dedicato proprio alla valutazione dei processi cognitivi Robert Sternberg e Elena Grigorenko scrivono della consueta prassi del testing oggi in America per cui «… a un certo momento, dopo che tutte le operazioni relative al test sono finite, ciascun soggetto esaminato riceve di solito il solo feedback che, lui o lei, avrà mai: un rapporto su un punteggio o una serie di punteggi. A partire da quel momento, l’esaminato starà probabilmente già studiando per un altro o altri test futuri» (Sternberg e Grigorenko, 2004).

Soprattutto nella scuola, ma non solo, la necessità di rispondere a criteri di efficienza tende ormai a condizionare i metodi di valutazione delle capacità individuali, concentrando l’attenzione in modo sempre più pressante sulla questione degli «standard» nella determinazione degli obiettivi di apprendi-mento o nell’individuazione delle soluzioni da adottare. La valutazione delle prestazioni cognitive, e più in generale dell’intelligenza, si concentra quasi con fare maniacale sui comportamenti considerati carenti con lo scopo, avvertito o meno, di facilitare la differenziazione e dirigere i processi di formazione e di orientamento professionale e sociale.

Reuven Feuerstein, pur all’interno di un paradigma scientifico e culturale condizionante che affondava le sue radici in una visione fissista e comporta-mentista dell’essere umano, ha compreso la pericolosità dei limiti di cui un tale credo soffriva e, oltrepassando i traguardi dei suoi maestri Piaget e Rey, ha esplorato la mente e la sua base neurale cogliendo il valore dell’intersog-gettività dell’esperienza umana più che quello di una visione determinista dei tratti umani.

Profondamente convinto della natura plastica dei processi neurofisiologici che interessano il pensiero e l’apprendimento ha messo così a punto in tanti anni di lavoro un metodo nuovo e originale di esaminare le capacità mentali di un bambino o di un giovane.

Ciò da cui ha preso avvio il suo ragionamento è stato il rifiuto di esaminare le capacità mentali di una persona solo in termini di misurazione di abilità ac-quisite e compiute, e di rilevare invece quanto in potenza ci fosse di disponibile, anche se non manifesto, in un comportamento cognitivo.

Ciò che negli ultimi anni si comprende sempre meglio a livello di ricerca neuroscientifica è che tutti gli organismi biologici sono sistemi complessi e

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che il cervello è anch’esso a sua volta complesso. La complessità del cervello dipende dal fatto che come sistema è caratterizzato da una serie di componenti che interagiscono tra loro in maniera distribuita, autonoma e non lineare.

Il processo di interazione e di auto-organizzazione di queste componenti porta all’emergenza di strutture e di comportamenti che appartengono a più domini di abilità, alcuni correlabili a fattori sociali e quindi culturali, altri a fattori biologici e adattivi che riguardano lo stesso funzionamento del cervello. Ciascun dominio di abilità, che sia percettivo, cognitivo, sociale o adattivo, fornisce un contributo al sistema globale che si auto-organizza continuamente e nel quale ciascuna componente di base opera in modo diffuso e distribuito.

Il concetto di «organizzazione distribuita» significa che nessuna compo-nente svolge un ruolo di supervisore centrale o ha diretto controllo sulle altre componenti. Questo rende impossibile predire il contributo specifico di un solo componente in isolamento, per cui, quando in un esperimento si prova a esaminare una specifica facoltà in isolamento dalle altre, si corre il rischio di perdere di vista il contributo che comunque anche le altre componenti forni-scono ai processi risultanti.

È importante, per queste ragioni, che qualunque prova o risultato di una prova sperimentale sia interpretato tenendo conto delle interazioni non lineari tra l’abilità rilevata in contesti laboratoriali e il ruolo di altre variabili incidenti sul processo osservato. È proprio questo modo di organizzarsi del cervello, infatti, che rende il processo «emergente», cioè con caratteristiche che via via si determinano e si specificano nel loro stesso evolversi.

È proprio il concetto di «plasticità», come carattere strutturale del neuro-cognitivo, ad aver permesso agli studi di Feuerstein di costruire la sua nuova base paradigmatica nella valutazione di un comportamento cognitivo, una matrice dinamica che non vede più al centro dell’attenzione una mente depurata del suo corpo, né più un corpo depurato del suo ambiente, né tanto meno un ambiente depurato della sua storia.

Questo libro, che, con quello sul Programma di Arricchimento Stru-mentale già tradotto, completa l’affascinante missione svolta dallo studioso rumeno-israeliano, descrive con passione umanistica, ancor prima che scien-tifica, le tappe che hanno permesso, dapprima, di dar forma concettuale ai presupposti che privilegiano il punto di vista dinamico dei processi mentali, e poi di costruire un vero e proprio sistema di test dinamici. L’acronimo LPAD (Learning Propensity Assessment Device) segna l’ambiente di lavoro in cui lo studioso ha sviluppato il suo pensiero.

Per Feuerstein il testing dinamico non può ridursi a blanda misura di una o più variabili casualmente quantificabili, ma si colloca all’interno di una visione

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più complessiva e generale in cui ciò che conta sono il cambiamento e la sua valutazione. Il concetto chiave che viene richiamato dalla sua metodologia è quello di Mediated Learning Experience (MLE), il modo cioè attraverso cui gli stimoli provenienti dal mondo esterno possono venire trasformati dall’azio-ne di un «mediatore» che seleziona e organizza per il soggetto l’universo di questi stimoli.

È attraverso tale processo che il soggetto acquisisce modelli di apprendi-mento e di comportamento che a loro volta diventano ingredienti importanti della sua capacità di essere modificato. I test che Feuerstein ha costruito e che costituiscono l’LPAD sono fondamentalmente differenti dagli altri strumenti di valutazione, e non solo per la loro varia composizione, ma soprattutto per-ché non ammettono vincoli di operazionalizzazioni, come è invece per tutto il tradizionale testing statico.

È interessante come, sin dalle prime pagine del libro, venga richiamato e sottolineato lo sforzo di numerosi studiosi che in tanti anni hanno tentato strade nuove, rifiutando il testing classico, non più visto come affidabile né per rilevare le capacità di un individuo né, tanto meno, per la predizione del suo futuro. Tutto il libro si muove lungo questo tracciato, testimoniando con report di lavoro e una grande varietà di esperienze dirette e indirette l’evidenza dei risultati conseguiti.

Il fatto che si tratti di una seconda edizione è significativo perché ma-nifesta l’evoluzione che negli ultimi anni hanno avuto insieme riflessione teorica e pratica sperimentale e che hanno interessato popolazioni diverse e finalità diverse. Dopo aver approfondito nella prima parte le basi concettuali dell’approccio dinamico, il libro fornisce una visione particolareggiata degli strumenti LPAD e delle loro applicazioni, sia in ambito clinico e sanitario sia, in particolar modo, in quello educativo e socioculturale.

Oggi, dice Feuerstein, non è più tempo di etichettamento delle persone e soprattutto dei bambini perché...

invece di segnare l’inizio di un periodo di sviluppo e di crescita per il bambino etichettato, l’assegnazione di un’etichetta ha l’effetto di arrestare qualunque tentativo fatto fino a quel momento per contrastare i problemi presentati dal soggetto. In molti casi, un insegnante che deve affrontare le difficoltà dell’allievo, e sta ancora cercando di comprenderne la speci-ficità, può essere ostacolato, nel decidere un possibile intervento, proprio dall’etichetta del bambino.

Anche se di lettura a tratti impegnativa, per la quantità e la varietà dei dati sperimentali proposti, il volume è comunque accessibile e soprattutto emoziona

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per come i casi di studio vengono descritti e raccontati. Può essere considerato anche un libro che favorisce chi sia interessato a un percorso di formazione professionale per valutatore dinamico, ma è certamente e soprattutto un libro che si rivolge a tutti coloro che si occupano di apprendimento, di educazione e di sviluppo della persona, e che credono che la capacità di creare nuovi mondi per una mente liberata sia infinitamente grande.

Tutti noi sappiamo che le idee cambiano la società e la storia così come la storia e la società cambiano le nostre idee. Ma le nostre idee ci portano a determinate esperienze e a determinate scelte. E, a loro volta, le esperienze modificano le nostre idee così come capita che ci costringano a rivederle completamente.

Ecco allora che un libro come questo apre una finestra grande e luminosa che fa vedere molto di più di quanto spesso le piccole finestre delle nostre case mentali non ci permettano di fare.

Mario Di MauroUniversità Ca’ Foscari di Venezia

Centro Interateneo per la Ricerca didattica e la Formazione avanzata Centro Studi Feuerstein

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Prefazione alla seconda edizione

Questo libro è un’edizione riveduta e ampliata di The Dynamic Asses-sment of Retarded Perfomers: The Learning Potential Assessment Device. Theory, Instruments and Techniques. Cominciammo a lavorarci nell’autunno del 1994. Partimmo con l’intenzione di rivedere il testo, aggiornandolo con le ricerche, i nuovi strumenti sviluppati e le esperienze cliniche dei vent’anni trascorsi dalla prima edizione. Tuttavia, ben presto capimmo che avremmo dovuto affrontare la miriade di problemi emersi in relazione ai concetti e ai processi connessi alla valutazione dinamica. Fra l’altro, l’LPAD era cresciuto da molti punti di vista, ampliando il nostro campo di interesse e di azione molto oltre i suoi confini iniziali. Così, poco alla volta, arrivammo alla conclusione che sarebbe stato opportuno presentare varie problematiche, aree professionali e ambiti applicativi, incoraggiati anche dal riscontro delle migliaia di persone che avevano partecipato ai nostri workshop, ai nostri corsi di formazione e alle nostre consulenze.

In questa edizione vengono trattate le principali evoluzioni che hanno avuto luogo nel nostro pensiero e nelle nostre pratiche, nonché nell’applica-zione dell’LPAD a una varietà di popolazioni e per finalità diverse. In conside-razione di tali evoluzioni, gli obiettivi sviluppati in precedenza erano diventati troppo ristretti per rispondere ai parametri di necessità, comprensione teorica e potenzialità metodologiche. Ciò è più che mai evidente nell’interesse iniziale per la deprivazione culturale e i suoi effetti sullo sviluppo cognitivo e le presta-zioni intellettive. Negli anni Settanta, questa era una cornice di riferimento di

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primaria necessità. Anche se continuiamo a considerarlo un concetto chiave, noi pensiamo che gli effetti della differenza e della deprivazione culturale vadano ben oltre le loro definizioni più circoscritte. Riteniamo infatti che la deprivazione culturale derivi da una carenza di esperienza di apprendimento mediato o da un’esperienza di apprendimento mediato inadeguata, la quale può essere dovuta a varie barriere — genetiche, cromosomiche, evolutive, esperienziali, affettivo-energetiche, ecc. — che portano a una scarsa capacità di trarre beneficio dall’apprendimento per esposizione diretta.

Benché tutte le manifestazioni di carenza delle prestazioni (intellettive, cognitive, scolastiche o di altro tipo) abbiano in comune il denominatore della deprivazione culturale, in certi casi questa insufficienza non corrisponde a un deficit di esperienza di apprendimento mediato ma a un carico eccessivo di richieste, che pesano sulla persona a causa dei cambiamenti, a cui siamo sempre più esposti, nella moderna tecnologia. A volte abbiamo a che fare con persone ad alto funzionamento che hanno tratto beneficio dall’esperienza di apprendimento mediato e sviluppato repertori comportamentali adattivi con grande successo e un livello elevato di efficienza ma che, a un certo punto, sperimentano improvvisamente un’insufficienza nel loro funzionamento, non perché non siano abbastanza intelligenti ma a causa del fatto che le richieste a cui sono sottoposte sono troppo elevate, troppo diverse e richiedono risposte adattive nuove a cui non sono preparate. Tali persone dovrebbero rientrare nella definizione di deprivazione culturale? Questo è un problema fondamentale per le società del Ventunesimo secolo.

«Deprivazione culturale» e «differenza culturale» sono due espressioni che in genere vengono utilizzate quando si parla di persone che provengono da una certa cultura e devono adattarsi a un’altra, nuova e poco familiare. Benché ciò rimanga vero in generale, improvvisamente il ritmo di cambiamento e di sviluppo nelle culture tecnologicamente avanzate ha cominciato a gravare in modo trasversale sui cittadini che ad esse appartengono. Molte persone integra-te nella loro cultura si ritrovano ad essere stressate e a sentirsi inadeguate e poco o niente affatto funzionali non perché siano immigrate (cioè hanno cambiato cultura) ma perché sono prive degli strumenti o degli atteggiamenti necessari per fronteggiare le richieste che la nuova cultura impone loro. L’esposizione sempre più breve e rapida agli stimoli (che negli Stati Uniti oggi viene chia-mata «fenomeno MTV») sta creando una tendenza, rinforzata dalla cultura, al disturbo da deficit di attenzione, o perlomeno a un progressivo calo delle capacità di attenzione (la prensione episodica della realtà).

Questa e altre tendenze analoghe ci hanno convinti a modificare il titolo, passando da La Valutazione Dinamica di persone con ritardo cognitivo a La Va-

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Prefazione alla seconda edizione 23

lutazione Dinamica della Modificabilità Cognitiva. Abbiamo risposto così alla necessità di orientare il processo di valutazione dinamica e la mediazione a una più ampia gamma di potenziali e difficoltà prestazionali, concentrandoci sulla promozione del funzionamento cognitivo in popolazioni eterogenee, e al bisogno personale di cambiare per adattarsi a condizioni di esistenza differenti.

Sebbene dalla pubblicazione della prima edizione vi siano stati sviluppi importanti nella valutazione dinamica, continua ad esserci una considerevole resistenza al cambiamento dei paradigmi funzionali di base in campo psicolo-gico e pedagogico. Sono stati sviluppati molti metodi che derivano dal nostro approccio e che hanno sollevato problematiche con cui sentiamo il bisogno di confrontarci. Questo libro risponde a chi ha usato il nostro paradigma in modi non del tutto rispondenti ai necessari cambiamenti nella tradizione psi-cometrica oppure senza tenere adeguatamente conto dei parametri essenziali del processo di valutazione dinamica. Nella misura in cui chi adotta una posi-zione di valutazione dinamica continua a adeguarsi ai vincoli dell’approccio psicometrico, noi siamo perplessi riguardo alla validità di tali adattamenti, che servono a perpetuare vari aspetti della tradizione della valutazione convenzio-nale. I primi capitoli di questo libro approfondiscono i principi e i parametri della valutazione dinamica, considerando le finalità e le strutture dei processi psicometrici rispetto a quelle della valutazione dinamica e trattando il tema delle resistenze all’approccio di quest’ultima.

L’LPAD procura prove della modificabilità della persona, a prescindere dall’eziologia della sua condizione, dall’età in cui è comparsa, dalla sua gravità e dal momento in cui viene attuato l’intervento. I risultati della valutazione dimostrano la capacità o la propensione della persona a farsi trasformare nella natura e nella struttura delle sue risposte. Nella misura in cui si crede che la persona non possa cambiare e che l’ottantacinque percento del funzionamen-to di un individuo sia determinato dall’eredità, e finché si pensa che queste condizioni siano immutabili, la responsabilità nei confronti della condizione dell’individuo è scarsa o nulla. Noi puntiamo il dito verso la persona in quan-to responsabile della propria condizione. La società, nelle sue competenze governative e di politica sociale, si sente quindi libera di ignorare il bisogno di cambiamento — che non viene considerato possibile. Questo libro presenta quindi degli argomenti contrari a quelli di Jensen (1969; 1973), di Herrnstein e Murray (1994) e altri autori che continuano a sostenere che tali cambiamenti non siano possibili oppure che non siano socialmente desiderabili o fattibili. Di fatto, quando il processo di valutazione dinamica evidenzia la propensione al cambiamento, emerge una responsabilità molto diversa... la società non ha più alibi.

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Il testo si compone di quattro parti. La prima sviluppa le basi concettuali e teoriche della valutazione dinamica: la necessità di un tale approccio per parti di popolazioni più ampie, il bisogno di ridefinire il concetto di intelligenza, le limitazioni metodologiche degli approcci psicometrici tradizionali alla valutazione e la cornice concettuale specifica della Modificabilità Cognitiva Strutturale con i suoi costrutti operativi di funzioni cognitive, carta cognitiva ed esperienza di apprendimento mediato. Nella seconda parte («Applicazioni cliniche») forniamo una descrizione dettagliata dei procedimenti e degli strumenti dell’LPAD (capitolo quarto) e delle sue applicazioni nei formati individuale e di gruppo (capitolo quinto). Il capitolo sesto è particolarmente importante, poiché in esso forniamo la prima descrizione degli adattamenti dell’LPAD per due popolazioni speciali, i bambini più piccoli e le persone più anziane con un funzionamento molto ridotto, la cui accessibilità all’LPAD in passato non era considerata possibile. Il capitolo sugli studi di caso (capitolo settimo) affronta alcune delle categorie diagnostiche più salienti che vengono prese in esame quando si identificano le popolazioni di persone a basso fun-zionamento (ad esempio, autismo, lesioni cerebrali, disturbi genetici e dello sviluppo, ecc.). La terza parte («Applicazioni e ricerca») comprende due capitoli (l’ottavo e il nono) che forniscono al lettore un’analisi più approfon-dita della costruzione degli strumenti LPAD e della loro verifica sul campo e applicazione nei paradigmi di ricerca. Nel capitolo decimo descriviamo una specifica applicazione di ricerca — carica di importanti implicazioni per la clinica e le politiche sociali — che riguarda l’integrazione della popolazione immigrata in un contesto culturale nuovo e diverso (gli etiopi in Israele). Nel capitolo undicesimo consideriamo l’uso della valutazione dinamica con un’al-tra popolazione di cui ci si è occupati molto e alla quale il nostro approccio di valutazione dinamica è stato applicato in modo sistematico e con successo, quella dei bambini con sindrome di Down. Questo capitolo è stato scritto dalla nostra collega Yael Mintzker, che ha svolto per molti anni un lavoro innovativo con questi bambini. Infine, nella quarta parte («I risultati della valutazione di-namica») ci occupiamo del processo di creazione dei profili di modificabilità, un concetto relativamente nuovo nel nostro continuo tentativo di modificare il processo di sintesi e comunicazione dei risultati della valutazione dinamica (capitolo dodicesimo). Nel capitolo tredicesimo consideriamo gli orientamenti per il futuro e riassumiamo ciò che pensiamo a proposito del contributo della valutazione dinamica in questo campo.

Il libro non presenta nel dettaglio tutto ciò che serve per somministrare l’LPAD. Questo è il tema dei manuali che accompagnano gli strumenti e richie-de una formazione sistematica. Il testo che state leggendo serve come guida

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Prefazione alla seconda edizione 25

per i contenuti che si trattano nella formazione, e ha come obiettivo quello di ampliare e approfondire l’uso dell’LPAD nell’implementazione del processo di valutazione dinamica.

La prefazione all’edizione del 1979 finiva con alcune frasi di cui ripropo-niamo una parafrasi di seguito.

Speriamo che questo libro comunichi al lettore non soltanto la nostra preoccupazione per l’attuale stato dell’arte nel campo della valutazione dei processi cognitivi e di apprendimento — compresi l’uso e gli effetti della valutazione psicometrica convenzionale — ma anche il nostro ottimismo riguardo al possibile contributo della valutazione dinamica alla valutazione e al trattamento delle molte persone che manifestano prestazioni scarse o limitate. Le persone — i nostri bambini, adolescenti e adulti — continuano ad essere la risorsa naturale più preziosa di una società. Non dovrebbe andare sprecata neppure una piccola parte di questa risorsa.

Fate molta attenzione a non dimenticare i figli dei poveri,perché è da loro che proviene la Torah (gli insegnamenti),

com’è scritto, «l’acqua uscirà dai loro secchi...»e perché di solito gli studiosi non danno alla luce figli

che sono studiosi? Disse il rabbino Joseph,«perché nessuno possa rivendicare la Torah

come un proprio diritto di nascita»Nedarim 81

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La tesi della Valutazione DinamicaLiberare il potenziale umano dalle sue catene psicometriche

La prima edizione di questo libro, pubblicata nel 1979, cominciava nel modo seguente: «La scoperta che le persone appartenenti a certi sottogruppi etnoculturali o di basso livello economico forniscano regolarmente prestazioni inferiori ai livelli di funzionamento caratteristici della cultura dominante è diventata un problema importante negli ultimi due o tre decenni».

Nel clima di quel periodo, si avvertiva la necessità di concentrarsi su popolazioni socioculturalmente ed etnoculturalmente diverse dalla tendenza dominante e di condannare le pratiche di valutazione psicometrica standardiz-zata convenzionali per la loro incapacità di descrivere accuratamente e obietti-vamente il potenziale e le capacità intellettive di queste persone andando al di là del loro scarso successo scolastico. Si percepiva una preoccupazione crescente riguardo alle implicazioni, sul piano della pianificazione educativa e sociale, delle ingiustizie connesse ai modelli e ai procedimenti di misurazione esistenti. Le cinquantasei fonti citate in relazione a questo argomento comprendevano alcuni dei ricercatori di maggiore spicco nel campo (Anastasi, 1950; 1965; 1976; Cronbach, 1970; 1971; 1975; Deutsch et al., 1964; Gagne, 1962; 1968; 1974; Havighurst, 1964; McVicker Hunt, 1961; Luria; 1973; Mercer, 1975; Reissman, 1962; ecc.). Nei tre decenni trascorsi dall’epoca della pubblicazio-ne, gli argomenti e le ragioni alla base di un nuovo approccio alla valutazione del potenziale umano non hanno perso nulla della loro urgenza. Col senno di poi, The Dynamic Assessment of Retarded Performers può essere considerato un fulcro attorno al quale è mutato l’equilibrio delle forze, stimolando sviluppi

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concettuali e metodologici che hanno forgiato una nuova prospettiva. La prima edizione ha fotografato le problematiche più critiche riguardanti lo sviluppo, il funzionamento e i diritti umani, definendo nuovi modelli concettuali ed esplorandone le implicazioni per la psicologia, la sociologia, la pedagogia e la politica sociale.

Da allora, nell’ambito della valutazione dinamica sono state pubblicate moltissime ricerche sulle definizioni di intelligenza, sul funzionamento cogni-tivo e sulle tecniche di valutazione (la bibliografia ICELP 2002 annovera oltre 3000 fonti). Ciò nonostante, i concetti statici di intelligenza, tanto criticati per i modelli negativi di pratica psicometrica, per i loro obiettivi didattici e curricolari, e per le prospettive di diagnosi ed etichettamento ad essi connessi, restano molto in voga. La prevalenza di questo punto di vista ci chiede con forza di continuare a prestare seriamente attenzione alla natura dei concetti e delle pratiche di valutazione in generale. Nel 1996, l’American Psychological Association ha convocato una task force di illustri studiosi affinché facessero il punto sui concetti di intelligenza e sulla ricerca nel campo delle pratiche di valutazione (Neisser et al., 1996). Uno degli elementi più importanti alla base della relazione della task force fu l’impatto delle teorie genetiche dell’intelligen-za proposte da Herrnstein e Murray nel libro The Bell Curve (1994). L’enorme popolarità di quest’opera e il grandissimo interesse da essa suscitato non fanno che estendere una linea di ricerca che ha avuto un’importanza analoga a quella di Arthur Jensen, Shuey e altri negli anni Sessanta, e testimoniano la persistenza del potere di quelle idee e di quelle pratiche. La conclusione di Herrnstein e Murray a proposito della non modificabilità dell’intelligenza viene presentata come un fatto scientifico: «Nel complesso, si può dire che la storia dei tentativi di incrementare l’intelligenza sia una storia di ambizioni elevate, dichiarazioni enfatiche e risultati deludenti. Nel futuro prossimo, i problemi di bassa capacità cognitiva non saranno risolti attraverso interventi esterni mirati a rendere i bambini più intelligenti» (Herrnstein e Murray, 1994, p. 389).

Per tutta risposta, la relazione di Neisser e colleghi precisa che «molti dei partecipanti [a questo dibattito] hanno fatto pochi sforzi per distinguere le questioni scientifiche da quelle politiche» (Neisser et al., p. 77). Rivedendo il postulato degli effetti dell’interazione tra genetica e ambiente da un punto di vista psicometrico, la task force confuta nettamente le affermazioni razzi-ste; tuttavia, non affronta in modo soddisfacente il problema dell’incapacità dei test psicometrici standardizzati di valutare in modo autentico le persone appartenenti a minoranze. La relazione di Neisser analizza le prove delle dif-ferenze individuali e di gruppo soltanto sulla base del modo in cui sono state fatte delle affermazioni che associano queste differenze all’intelligenza valutata

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La Tesi della Valutazione Dinamica 37

mediante metodi psicometrici, dissociando così la critica delle premesse alla base del testing psicometrico da quelle dell’interpretazione di questi risultati. Analogamente, nel 1999 è stato pubblicato un numero di «School Psychology Quarterly» dedicato alle problematiche connesse alla diversità e alla valutazio-ne cognitiva, in cui vengono presentate prove a sostegno degli approcci psico-metrici convenzionali alla misurazione dell’intelligenza e del funzionamento cognitivo di minoranze (si vedano Frisby, 1999; Braden, 1999).

Con questa seconda edizione intendiamo presentare un approccio genera-le alla valutazione e alla differenziazione nelle prestazioni nelle popolazioni di persone a basso funzionamento cognitivo e mettere in discussione i concetti e le pratiche di valutazione delle prestazioni negli approcci di valutazione psico-metrica convenzionali. Al centro della nostra attenzione continuano ad esserci i soggetti culturalmente svantaggiati, ma preferiamo comunque adottare una definizione sufficientemente ampia da comprendere ogni persona che manifesti un livello di funzionamento basso, a prescindere dall’eziologia, e il cui funzio-namento — per un’ampia varietà di ragioni — sollevi la questione e la neces-sità della modificabilità. In secondo luogo, questa edizione ri-concettualizza la natura dell’intelligenza, collegando l’intervento (insegnamento, recupero e modificabilità) con la valutazione attraverso l’uso del Learning Propensity Assessment Device. L’LPAD è un sistema basato sulla teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale (MCS) che è specificamente strutturato per enfatizzare le proprietà della cognizione rispecchianti modalità di comportamento in quanto stati anziché tratti. L’LPAD considera gli esseri umani nei termini del loro sviluppo biologico e socioculturale e del loro potenziale di modificabilità.

Due sono le questioni principali che derivano dalla premessa accettata secondo cui le persone appartenenti a sottogruppi socioeconomici, etnici o culturali, così come quelle appartenenti al gruppo culturale dominante, possono manifestare un basso livello di funzionamento e differenze nelle prestazioni cognitive. La prima riguarda il significato delle differenze osservate nelle misure psicometriche in termini di capacità di adattamento individuale. Più specifica-mente, se l’intelligenza viene intesa come capacità dell’individuo di adattarsi alle condizioni ambientali e alle circostanze mutevoli della vita modificando se stesso e le strutture responsabili dell’apprendimento, che significato ha il risultato di un test che indica insuccesso o incapacità di essere adattivi?

In secondo luogo, in che misura è possibile considerare stabile il livello di funzionamento riportato, quale che sia la sua eziologia, e fino a che punto può essere considerato un predittore attendibile dello sviluppo futuro della persona? In altre parole, quanto è suscettibile di cambiamento tale condizione, e fino a che punto dobbiamo cercare prove di modificabilità anziché indici attendibili

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e stabili di funzionamento, e quali sono le condizioni plausibili e necessarie per la modificazione evidenziate nel processo di valutazione?

Il significato della cognizione per l’adattamento umano: misurazione, valutazione e modificabilità

Modificabilità: predizione vs. cambiamento

Le pratiche psicometriche convenzionali derivano da una tradizione di ricerca che enfatizza l’attendibilità e la validità statistiche. Queste pratiche sono il riflesso di concettualizzazioni che intendono l’intelligenza come un feno-meno generalizzato e stabile. Sono inoltre coerenti con una posizione socio-filosofica che dà importanza alla misurazione, all’attendibilità, alla predicibilità e al pensiero lineare — la convinzione che queste qualità riflettano il mondo fenomenico (per una trattazione del pensiero pre-relativistico e relativistico, si veda Sinnott, 1981).

All’inizio degli anni Sessanta è stata chiarita la natura paradossale del rapporto fra impegno didattico e valutazione della pratica di insegnamento: «… l’unica valutazione che possiamo considerare valida per una pratica di in-segnamento è quella che misura tratti modificabili. Ma i test di cui disponiamo da usare per tali valutazioni sono intesi come predittori dello status futuro, e per essere buoni predittori devono essere insensibili proprio a quei cambiamenti che l’insegnante sta cercando di produrre e misurare» (Bereiter, 1962, p. 8). Oggi è chiaro che finché non muterà il paradigma di riferimento per il fun-zionamento intellettivo, ci sarà poco interesse per la produzione di strumenti di misurazione del cambiamento. Per ragioni concettuali e metodologiche, il cambiamento, nelle persone il cui corso di sviluppo atteso è stato predetto me-diante strumenti psicometrici convenzionali, viene spesso negato, trascurato oppure ignorato. Quando si manifesta, viene concettualizzato come un errore o una deviazione casuale dal corso di sviluppo atteso, invece di essere inteso come un fenomeno autentico che è stato prodotto fondatamente (mediante il processo di insegnamento o di valutazione) e che può essere misurato scien-tificamente. I sostenitori di qualunque forma di modello psicometrico non sposano appieno i principi fondamentali della valutazione dinamica — in altre parole, l’idea che la modificabilità dell’essere umano sia un’opzione per ogni individuo, di natura strutturale e non meramente periferica.

Nel corso degli ultimi decenni sono state accumulate molte prove del fatto che l’assunto alla base del procedimento di misurazione psicometrica è fortemente sospetto. «Il procedimento tradizionale mediante il quale gli psico-

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metristi stimano l’intelligenza delle persone consiste nel misurare il rendimento in relazione agli standard normativi per età; in altre parole, le persone vengo-no confrontate fra loro sotto il profilo della padronanza relativa dei prodotti dell’apprendimento precedente. Un approccio di questo genere si fonda sul presupposto che le persone messe a confronto abbiano avuto pari opportunità di apprendimento [...] [Questo] presupposto è evidentemente indifendibile» (Haywood et al., 1975, p. 97). Questo punto di vista venne formulato per la prima volta più di cinquant’anni fa dal professor André Rey (1934).

Oggi è chiaramente provato che l’ambiente esercita effetti importanti sullo sviluppo e sul livello di funzionamento manifesto dell’individuo. Sono stati osservati gruppi di persone con livelli esperienziali, culturali, sociali e di istruzione eterogenei (si vedano Moore, 1986a; Sattler, 1992; Hood e Johnson, 1997). Sebbene questa mole di ricerche attribuisca le variazioni rilevate nei test psicometrici a variabili come l’appartenenza a un particolare gruppo socio-economico, al numero di anni di esposizione scolastica, al livello di istruzione dei genitori, all’origine etnica, ecc., queste stesse variabili sono state utilizzate nelle interpretazioni dei dati che avvalorano l’origine genetica della differenza (si vedano Herrnstein e Murray, 1994; Jensen, 1973; Shuey, 1966).

In considerazione di questa «tradizione», è abbastanza paradossale che per gli approcci psicometrici le variazioni di background non inficino l’inter-pretazione delle differenze emerse dai test, differenze che di solito vengono considerate il riflesso di variazioni nel potenziale intellettivo e il segno di differenze stabili nel corso di sviluppo individuale atteso. Queste differenze stabili vengono ascritte (1) a determinanti genetiche ereditarie, cosicché le differenze vengono considerate immutabili; (2) a ipotetici fattori organici che si presume producano effetti irreversibili; oppure (3) a un background esperienziale i cui effetti avversi sull’individuo sono considerati irreversibili se si va oltre certi periodi critici presunti. Le teorie della MCS e dell’Esperienza di Apprendimento Mediato (EAM) affrontano l’inadeguatezza e i gravi limiti funzionali di queste ipotesi in relazione alle problematiche dell’individuazione precoce della disabilità evolutiva e genetica (si veda Feuerstein, 1997).

In ogni caso, l’idea che le differenze di prestazione osservate abbiano potere predittivo e discriminativo ha una lunga storia accademica (Hebb, 1949; Jensen, 1963; 1969; 1970; 1973; Herrnstein, 1973; Herrnstein e Murray, 1994). Le reazioni alla tesi e alle conclusioni di Herrnstein e Murray (nonché alla mole di letteratura sulla quale si basa il loro lavoro) sono state numerose ed eterogenee. La loro posizione è stata respinta, in quanto obiettivamente scorretta, da Sternberg (1995), Ramey (1994) e altri autori, i quali hanno passato in rassegna i molti studi da cui sono emersi miglioramenti sostanziali,

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conseguenti all’intervento, in una quantità di variabili di funzionamento intel-lettivo e cognitivo. Dai lavori sulla misurazione dell’intelligenza sono emersi due punti. Il primo riguarda prevalentemente questioni metodologiche; il secondo, problemi concettuali. Per quanto riguarda la metodologia, si afferma che i dati disponibili sono o inadeguati ad avvalorare l’idea che la prestazione ai test di intelligenza sia principalmente una funzione della dotazione genetica, o in realtà suffragano la concezione opposta — che l’ambiente sia il fattore de-terminante principale. Questo approccio venne corroborato per la prima volta dal lavoro di Kamin (1977) che rianalizzò i dati esistenti all’epoca e dimostrò l’assenza di ogni prova scientifica attendibile a sostegno di una concezione genetica dell’intelligenza.

La concettualizzazione dell’intelligenza coinvolge la questione fonda-mentale dello stesso QI e di cosa esso rappresenti. Anche se si utilizzasse una metodologia corretta per valutare il QI, resterebbe il problema del significato o dell’interpretazione dei risultati (il punteggio QI). Al di là del fornire una misura della prestazione manifesta in un particolare momento temporale e all’interno di un dato contesto di esperienza passata, opportunità di apprendi-mento e benefici tratti da tale esperienza, ci sono pochi motivi per assumere o accettare che tale prestazione in questi test di intelligenza fornisca una misura stabile o attendibile della performance futura.

Nel complesso, gli effetti rilevanti e negativi dei fattori genetici/am-bientali sulla prestazione dei test sono noti da molto tempo (Cronbach, 1975; Hunt, 1975). Le strategie di problem solving variano da una persona all’altra non soltanto a causa di «capacità» diverse ma anche a seconda delle condizioni e del fatto che il livello di prestazione in un compito deci-sionale può dipendere dall’utilizzo di processi differenti. Una delle più gravi carenze dei metodi psicometrici è la loro incapacità di valutare l’influenza di abitudini di lavoro, interessi e livelli di motivazione diversi, il che porta a invocare fattori endogeni per spiegare i livelli di prestazione (si veda ad esempio Haynes, 1971).

Sebbene i fattori genetici possano svolgere un ruolo significativo nell’ac-cessibilità individuale al cambiamento, possedendo la caratteristica di essere «radicati nel profondo», altre componenti del funzionamento individuale hanno effetti molto più importanti sul comportamento e rendono ancora meno significativa la predicibilità. Siamo arrivati a chiederci fino a che punto le determinanti genetiche o organiche debbano essere considerate immutabili in tutte le condizioni possibili, pur non negando l’importanza dei fattori genetici e cromosomici. Riteniamo che queste condizioni prodotte da tali fattori siano modificabili.

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La valutazione dinamicaL’LPAD e una rassegna critica di altri approcci dinamici

Nel primo capitolo abbiamo presentato i motivi per cui è urgente trovare delle alternative alle procedure di test convenzionali. Abbiamo affermato chia-ramente che la valutazione deve concentrarsi sul potenziale di cambiamento personale attraverso l’apprendimento. Questo potenziale può essere misurato soltanto mediante un processo attivo, e non potrà mai essere rivelato e conse-guito attraverso una valutazione statica delle capacità già presenti. Dato lo stato dei fatti nell’ambito della valutazione psicologica, è necessario affrontare in modo diretto l’antica resistenza che ostacola il riconoscimento della necessità di valutare la propensione dell’individuo al cambiamento e lo sviluppo dei mezzi necessari a questo scopo. La propensione al cambiamento costituisce il nucleo strutturale e procedurale del nostro approccio alla valutazione dinamica, che in questo capitolo verrà raffrontata con altri approcci.

Già nel 1934, il professor André Rey osservò che l’obiettivo delle procedu-re di test psicometrici avrebbe dovuto essere la misurazione della potenzialità di farsi modificare dall’apprendimento. Ipotizzò che la preferenza dominante nella storia del testing psicometrico di fare emergere le capacità di adattamento già esistenti — che egli denominò «accomodat» — riflettesse il desiderio di sviluppare metodi facili e veloci per indagare i processi intellettivi. Tuttavia, lo studio delle abilità già sviluppate, osservò l’autore, è inadatto a qualunque confronto significativo di abilità. Pertanto, ragionava Rey, questa posizione, per quanto possa essere metodologicamente conveniente (per la valutazione standard orientata in senso psicometrico), deve essere abbandonata a favore

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di una valutazione che indaghi i processi di sviluppo e la modificazione delle capacità intellettive e di adattamento (Rey, 1934).

L’idea che l’intelligenza si rifletta in modo più accurato attraverso la propensione a farsi modificare dall’apprendimento è stata sostenuta da molti studiosi dello sviluppo intellettivo. Nel 1968, A.G. Wesman1 affermò che i vari organismi possono avere una diversa suscettibilità al cambiamento. Un organismo, rispetto a un altro, può avere bisogno di uno stimolo più potente affinché si inneschi una reazione all’ambiente. Un particolare organismo può rispondere a una data classe di stimoli più prontamente rispetto ad altri. Inol-tre, gli organismi possono differenziarsi gli uni dagli altri sotto il profilo della prontezza a rispondere alle diverse categorie di stimoli. Possono esserci diffe-renze importanti anche nella capacità di modificare efficacemente il proprio comportamento per effetto dell’esperienza (Wesman, 1968, p. 267; si veda anche Feuerstein, 1978b).

Il concetto di intelligenza in quanto stato non implica soltanto una nuova definizione di modificabilità. Dal fatto di considerare l’intelligenza come il risultato di interazioni complesse fra l’organismo e l’ambiente discende anche che le procedure di valutazione utilizzate per gli interventi educativi e sociali non dovrebbero focalizzarsi sulle differenze inter-individuali. Al contrario, esse dovrebbero consentire di studiare in modo completo e indipendente ciascun particolare individuo, confrontando ognuno con se stesso riguardo al modo con cui le risposte agli interventi stimolano l’adattamento all’esperienza. Se l’intelligenza è uno stato, sempre pronto ad essere modificato, la flessibilità e l’adattabilità caratterizzate da questi stati instabili e potenzialmente modifica-bili si manifesteranno nelle funzioni intellettive e cognitive; ad esempio, nella velocità e nell’accuratezza con cui si produce l’apprendimento. In questa pro-spettiva, le etichette e le categorie diagnostiche generali perdono la loro utilità, tranne che per la descrizione del comportamento manifesto. Quest’ultimo, che per le procedure di test psicometrici convenzionali è il principale oggetto di studio, per la valutazione dinamica è soltanto il punto di partenza. Da lì in poi, le etichette diventano irrilevanti, grossolane e fuorvianti per quanto concerne

1 Sia Rey sia Wesman (che all’epoca dirigeva l’Educational Testing Service), nonostante le loro con-vinzioni qui riportate, furono costretti a lavorare con procedure psicometriche convenzionali rigide e statiche. Il professor Rey dovette cedere alle pressioni del settore e non si limitò a insegnare i test statici ma organizzò anche dei percorsi di formazione clinica basati su di essi. Wesman, le cui opinioni forti e nette abbiamo qui riportato, lavorò nella «roccaforte» di un’importante società che si occupava di pratiche di valutazione tradizionali. Ecco quindi un quadro delle potenti forze in gioco nel settore a quell’epoca, che continuano in misura considerevole a influire sugli psicologi e gli insegnanti di oggi e sono responsabili del fatto che, nonostante l’assenza di giustificazioni razionali adeguate per la psi-cometria e le prove considerevoli che si stanno accumulando a favore di un approccio di valutazione diverso, esse sono ancora applicate regolarmente.

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La valutazione dinamica 111

la valutazione della capacità di apprendimento di una persona specifica. La concezione dinamica/interattiva dell’intelligenza si riflette nel processo di valutazione dinamica, dove l’esaminatore e l’esaminato interagiscono come un insegnante e un allievo, un mediatore e un mediato.

Anche Luria (1961), nella sua critica vygotskiana degli approcci psico-metrici convenzionali, ha sostenuto l’importanza della relazione interattiva nel processo delle procedure di test.

Quando sappiamo che i processi psicologici superiori, attività intellet-tiva compresa, hanno una storia evolutiva complessa e si formano attra-verso il linguaggio infantile, che è basato sulle relazioni sociali, possiamo continuare a aderire ai [...] principi statici nella valutazione dell’intelletto e delle capacità del bambino? Possiamo continuare a giudicare con sicurezza lo sviluppo intellettivo di un bambino basandoci soltanto sul fatto che egli consegue autonomamente risultati più o meno buoni? Non sarebbe più giusto adottare un approccio diverso e rifiutare il principio statico della valutazione dell’esecuzione indipendente di un determinato compito da parte di un bambino a favore di quello del confronto fra il successo della sua prestazione autonoma e i risultati conseguiti con l’aiuto di un adulto? (Luria, 1961, pp. 40-41)

La posizione di Luria in merito al ruolo dell’interazione dà ancora più valore alla definizione di intelligenza in quanto stato che si riflette nella pro-pensione dell’organismo a modificarsi per adattarsi a situazioni interne ed esterne mutevoli. Valutando la modificabilità, noi accediamo all’adattabilità dell’individuo, al tipo di bisogno che meglio produrrà il cambiamento desi-derato, al tipo di intervento necessario, alla sua entità.

La Youth Aliyah: le prime indicazioni del rischio di una valutazione psi-cometrica errata

L’LPAD, e la necessità di un approccio di valutazione dinamica in gene-rale, nacquero dall’esperienza con popolazioni che per diverse ragioni avevano un funzionamento di basso livello e per le quali la valutazione convenzionale e i programmi di insegnamento normali erano totalmente inadeguati. Negli anni Cinquanta, mentre studiava con Piaget, l’autore senior di questo volume venne invitato a visitare dei campi di prima accoglienza nella Francia del sud e nel Maghreb per osservare e lavorare con le famiglie e i bambini sopravvissuti all’Olocausto e ad altre tragedie provocate dalla Seconda guerra mondiale in Europa, che alla fine sarebbero stati portati nel nuovo Stato di Israele. Questi

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bambini presentavano mancanza cognitive connesse al tipo di trauma che avevano vissuto, nonché mancanze di esperienze scolastiche significative. Pertanto i processi di istruzione a cui avevano bisogno di essere esposti erano condizionati dal riconoscimento della loro modificabilità, ben oltre i loro livelli di funzionamento manifesto. Accettare i loro bassi livelli di funzionamento ma-nifesto avrebbe voluto dire attribuire a queste persone un potenziale ridotto, in relazione al quale sarebbero stati perseguiti soltanto obiettivi di basso profilo, da cui sarebbero scaturiti trattamenti e interventi poco ambiziosi. Ciò avrebbe pesato fortemente sulle risorse a lungo termine del nuovo Stato di Israele e avrebbe rappresentato un grave svantaggio per i bambini in quanto esseri umani.

Durante la Seconda guerra mondiale, l’autore lavorò anche con alcuni bambini di una scuola di Bucarest, i quali erano affetti da gravi problemi lin-guistici, motori, di apprendimento e di comportamento sociale, sorti in seguito allo stress, alle destabilizzazioni e ai traumi connessi alla condizione di orfani di guerra o all’esperienza della separazione dalla famiglia, deportata in campi di concentramento o di lavoro. Il successo ottenuto con loro fu il primo segno del fatto che la modificabilità era non solo necessaria per la sopravvivenza ma anche possibile.

Per i bambini nei campi di prima accoglienza del sud della Francia, l’uso dei test statici divenne ben presto un grave problema. Quando questi (di età compresa fra i 10 e i 17 anni) vennero sottoposti a valutazione, quel che ne scaturì fu una sostanziale sottovalutazione del loro potenziale e della loro adattabilità. Non si evidenziò alcun processo mentale di livello superiore. Dei bambini che, nonostante le differenze culturali e le conseguenze delle loro condizioni difficili e destabilizzanti passate e presenti, apparivano normali in termini di cognizione e comportamento, fornirono prestazioni di livello bassissimo ai test statici, raggiungendo un QI compreso fra 40 e 75 al test di Binet-Simon e ad altre prove. I test di questo tipo, per giunta, sembrarono non mettere in evidenza le vere disabilità e disfunzioni comportamentali che i bambini stavano sperimentando. Le diagnosi di ritardo mentale, danno cerebrale, grave ritardo di sviluppo e via dicendo (scaturite dagli strumenti convenzionali statici) sembrarono essere errate e prive di fondamento in rela-zione al funzionamento manifesto osservato. I dati psicometrici collocarono la popolazione nella gamma compresa fra il funzionamento intellettivo limite e il ritardo medio e avrebbero portato pressoché inevitabilmente alla scelta di obiettivi di istruzione e di indirizzi di vita basati su questi bassi livelli di riuscita psicometrica e scolastica.

Da quel momento in poi cessammo gradualmente di fare affidamento sui test di QI. Insieme al professor André Rey cominciammo a cercare dei test

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La valutazione dinamica 113

di sviluppo alternativi, delle prove culture-free, degli indici di osservazione della prestazione e del comportamento e altri strumenti simili. Adattammo un’ampia gamma di strumenti già esistenti (es. Test del mosaico, i Cubi di Kohs, il Cattell fino ad arrivare alle Matrici di Raven). Anche a questo livello, tuttavia, i procedimenti continuavano a mettere in condizione di svantaggio questi bambini. Esaminammo le consegne e il loro effetto sulla prestazione, le questioni connesse alla variazione degli stimoli verbali, motori e grafici e i modi in cui essi suscitavano delle risposte relativamente all’età e al livello atteso di funzionamento. Il risultato fu che i compiti di tipo psicometrico non erano il modo giusto per valutare il vero potenziale di una persona. Le consegne del test, il tempo concesso, il carattere neutro o passivo dell’interazione fra valu-tatore e soggetto e altre dimensioni impedivano di ottenere un quadro reale del potenziale di questi bambini, a prescindere dal loro grado di imparzialità culturale o dalle loro strutture evolutive. Tutto ciò ci indusse a studiare i fattori responsabili dell’incapacità del bambino di rispondere adeguatamente.

La conclusione fu che l’inadeguatezza non stava nelle situazioni proposte nei test di per se stesse bensì nella mancanza di feedback dei test statici, nella scarsa disponibilità a preparare il bambino all’esecuzione di compiti di quel tipo e nel genere di consegne fornite per iniziare o proseguire la prestazione. Si giunse così allo sviluppo di processi e di compiti adattivi che divennero la base dell’LPAD; una ricerca non solo di nuovi strumenti ma anche di un nuovo tipo di approccio alla valutazione che rendesse più giustizia al bambino e fornisse dei modi per interpretare e mitigasse le carenze cognitive. Oltre allo sviluppo dell’LPAD, negli anni Cinquanta e Sessanta diversi ricercatori cominciarono a lavorare in una direzione simile. Essi dimostrarono che, se all’esaminato si chiede di imparare qualcosa attraverso un test, anziché limitarsi a esibire ciò che ha già appreso, si ottiene una rappresentazione del potenziale cognitivo molto diversa.

Haeussermann (1958) sviluppò un sistema di «Valutazione Educativa» per i bambini piccoli con disabilità. Il suo test era per molti versi simile al Binet per la forma e il materiale, tuttavia rispetto al formato di quest’ultimo presentava molte innovazioni e ampliamenti, dal momento che l’obiettivo era dinamico; si valutava il modo in cui il bambino perveniva a una data soluzione e si esplo-ravano le ragioni di particolari insuccessi. Lo scopo dichiarato era fornire una «valutazione scrupolosa delle aree importanti per lo sviluppo dell’apprendi-mento nel singolo bambino» (p. 46). Le informazioni raccolte sarebbero state utilizzate per dettagliare e pianificare un programma di insegnamento per la persona valutata. Schucman (1968) sviluppò un «Indice di Educabilità», procedimento che si basava sull’ipotesi che fosse possibile dedurre l’educabilità

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dalla capacità di beneficiare dell’insegnamento, dalla capacità di trasferimento del training e dalla ritenzione del contenuto o dei principi appresi. L’indice di Schucman misurava la discriminazione grossolana secondo parametri di for-ma, grandezza e colore, il comportamento imitativo e la memoria meccanica. Per stimare la capacità di apprendere, l’autrice utilizzava un modello di tipo test-allenamento-re-test. Il suo lavoro si aggiunse alla crescente mole di prove a sostegno dei principi operativi della valutazione dinamica, dal momento che i punteggi di trasferimento e ritenzione ottenuti per i suoi soggetti dimostrarono di essere i rivelatori più sensibili del potenziale cognitivo.

Inizialmente, Budoff (1968), dopo una prima esposizione all’LPAD,2 utilizzò dei compiti basati sui Disegni con i Cubi di Kohs e propose di sommi-nistrare i compiti di riferimento per tre volte, con una sessione di training fra un primo test e un’esperienza di re-test. Utilizzando questo metodo, Budoff e i suoi colleghi identificarono tre gruppi di allievi, denominati gainers (persone che progrediscono), non-gainers (persone che non progrediscono) e high scorers (persone che ottengono punteggi elevati). Ciò che emerse fu che i gainers e gli high scorers campionati nelle classi di educazione speciale imparavano tanto quanto i loro pari delle classi normali quando tutti i soggetti venivano testati con un esercizio didattico appositamente predisposto. I non-gainers di entrambi i tipi di classe fecero molto peggio dei gainers e degli high scorers.

La distinzione di Budoff fra il livello di funzionamento iniziale (valutato con il test) e il livello ottimale di prestazione del bambino in seguito a una procedura di ottimizzazione (Budoff, 1973) definito mediante i primi pun-teggi post-training, e la capacità del bambino di trarre vantaggio dal training, venivano valutate sottraendo i punteggi pre-training dai punteggi post-training, ottenendo così i punteggi di «progresso». Questo rappresentò un passo nella

2 Nel 1963 l’autore senior tenne un seminario presso il Flower and Fifths Hospital di New York, orga-nizzato dai professori Alfred Freedman e Martin Deutsch. Nel corso del seminario illustrò l’LPAD, presentandone le basi concettuali e alcuni degli strumenti che erano stati sviluppati all’epoca. Il pro-fessor J. McV. Hunt notò questo materiale e divulgò uno scritto, che era stato appositamente preparato per questa presentazione, fra i suoi studenti, specialmente quelli interessati allo sviluppo cognitivo e alle questioni connesse alla reversibilità delle disabilità, denominazione di questa problematica vigente all’epoca. Così Milton Budoff venne in contatto con questo lavoro, ebbe accesso ai materiali grazie al contatto con il professor Martin Deutsch, un altro dei nostri primi sostenitori e collaboratori, e cominciò a usare il modello test-intervento-re-test. Il primo compito di performance che scelse furono i Cubi di Kohs. L’autore senior interagì con Budoff affinché si rendesse conto del fatto che qualunque materiale manipolativo, in particolare il materiale che richiede una manipolazione moto-ria, può mettere in condizioni di svantaggio i bambini che hanno certe difficoltà di apprendimento a causa della loro tendenza ad agire impulsivamente e del fatto che non ricevono un feedback dalle loro manipolazioni. Quando si agisce in modo impulsivo e scarsamente controllato, l’apprendimento è molto limitato. All’epoca si suggerì a Budoff di utilizzare test di performance che richiedessero il pensiero rappresentativo, come il Raven e altri.

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La valutazione dinamica 115

direzione di un approccio di valutazione più dinamico. Tuttavia, la ricerca delle caratteristiche stabili delle persone incapaci di beneficiare dell’aiuto (non-gainers), intrapresa inizialmente da Budoff, non fece abbastanza strada nell’adozione del principio della valutazione dinamica. Invece di provare a scoprire le ragioni dell’insuccesso dell’intervento mirato a trasformare il bambino in un gainer, l’autore si mise alla ricerca di qualche caratteristica sta-bile, associata all’insuccesso, nell’ambito della personalità, della motivazione o della struttura cognitiva. La ricerca di caratteristiche stabili si concentra sulle cause endogene del funzionamento individuale e attribuisce potere alle caratteristiche presumibilmente più pervasive (come, ad esempio, i processi relativi alla personalità) ponendo così dei limiti all’entità dell’intervento futuro. Nelle versioni successive, Budoff e i suoi colleghi hanno affrontato i problemi presentati dai non-gainers e sottolineato la necessità di una «tassonomia delle abilità necessarie o appropriate che facilitano l’educabilità» (Budoff, 1973, p. 67; si veda anche Budoff e Hamilton, 1976).

In questo stesso periodo, ha cominciato ad accumularsi una mole di ricerche sui prerequisiti cognitivi che facilitano l’apprendimento. Clarke e colleghi (Clarke, Clarke e Cooper, 1970; Clarke, Cooper e Henney, 1966; Clarke e Clarke, 1967) hanno studiato la relazione fra complessità dello sti-molo, discriminazione e categorizzazione riscontrando che varie condizioni di training incrementano la sensibilità al materiale di stimolo in entrata, con effetti positivi sui compiti di trasferimento. Rohwer e Ammons (1971) hanno indagato il comportamento elaborativo, scoprendo che la tendenza all’elabo-razione spontanea potrebbe spiegare i modelli di apprendimento differenziali tra bambini con background socioeconomico elevato e basso. Gli stessi autori hanno anche riscontrato che entrambi i gruppi traevano beneficio dal training e dall’esercizio rispetto a un gruppo di controllo, mentre i bambini di basso livello socioeconomico non ottenevano praticamente alcun miglioramento dell’apprendimento attraverso l’esercizio, e invece miglioravano sostanzial-mente con il training. Alla luce di questi risultati, Rohwer ha evidenziato la necessità di sviluppare prove per misurare la capacità e lo stile di apprendi-mento, utilizzando test dinamici di apprendimento continuo anziché test che richiedono di rievocare materiale appreso in passato.

Haywood e colleghi hanno condotto una serie di studi, replicati con di-versi campioni di popolazione, cercando di incrementare la capacità di formare astrazioni verbali nelle persone con ritardo lieve (Gordon e Haywood, 1969; Foster, 1970; Call, 1973; Haywood e Switzky, 1974). Venne messa a punto una procedura arricchita che rafforzava l’input di stimolazione, la quale fu poi presentata ai soggetti, partendo dall’assunto che la scarsa capacità di formare

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astrazioni verbali rivelata dai test di intelligenza convenzionali potesse «essere il risultato di un deficit secondario nella capacità di input dell’informazione, an-ziché nella facoltà di formare astrazioni una volta dato un input di informazioni adeguato» (Haywood et al., 1975, p. 104, corsivo degli autori). In questi studi, l’arricchimento dell’input per il raggruppamento e la classificazione produsse un livello di prestazione comparabile con quello di soggetti di pari età a svilup-po normotipico. In questo studio si diede risalto all’arricchimento dell’input.

A quell’epoca, la maggior parte degli studi sui tipi di cambiamento nella prestazione di apprendimento si limitavano alla manipolazione degli stimoli, a discapito degli interventi sulla persona. Ad esempio, Call (1973) ha presentato a un gruppo di bambini di 8 anni, di condizione socioeconomica inferiore e con capacità basse o elevate, una condizione di arricchimento uditivo-e-pittorico in un compito di somiglianze. I bambini con capacità scarse risposero altrettanto bene di quelli con capacità elevate di pari età, e quelli che sperimentarono la procedura di arricchimento ebbero un incremento significativo nell’astrazio-ne verbale rispetto a quelli esposti alla procedura «soltanto uditiva». Questi risultati indicano che dei meccanismi relativamente semplici di variazione nella ricchezza dei dati di input o output possono incrementare il livello di prestazione di molti bambini a basso funzionamento in un’operazione cognitiva come l’astrazione verbale — che è indicativa del potenziale di ragionamento di ordine superiore. Quindi la manipolazione degli strumenti, anche se essi possono influire sul livello di funzionamento, non affronta la questione della struttura del funzionamento individuale.

Questo studio, come altri analoghi, illustra la conoscenza dei processi cognitivi dell’epoca e dimostra l’efficacia di un sistema di training-valutazione orientato dinamicamente nel fornire una stima valida e in termini prescrittivi utile del potenziale cognitivo del bambino a basso funzionamento. Un altro filone di ricerca si è occupato dell’analisi funzionale del comportamento (Fer-ster, 1965; Baer, Wolf e Risley, 1968; Bricker, 1970; Gardner, 1971; Bricker e Bricker, 1973). Questi studi si sono concentrati sul comportamento anziché sui bambini e hanno dato risalto alle determinanti ambientali del comportamento nel contesto di fattori genetici e/o organici rilevanti, cercando di identificare gli eventi antecedenti e conseguenti che determinano la qualità e la quantità di specifici comportamenti che necessitano di cambiamento. I dati raccolti erano direttamente rilevanti per l’implementazione di cambiamenti attraverso la mani-polazione degli eventi che li controllano. Haywood et al. (1975) hanno concluso che «la validità dell’analisi è testimoniata dalla misura in cui il comportamento cambia sistematicamente in seguito all’implementazione delle raccomandazioni derivate dalla valutazione» (p. 126) e che «l’analisi funzionale è un processo

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La valutazione dinamica 117

continuo che finisce soltanto quando il cambiamento comportamentale auspi-cato è stato conseguito e viene mantenuto dall’ambiente naturale» (p. 128).

Anche il lavoro di Piaget (1952; 1954; 1966; Piaget e Inhelder, 1969) ha dato origine a diversi tentativi di migliorare le procedure di valutazione. Alcuni di essi hanno preservato la natura statica delle procedure di test. Questi studi sono serviti più che altro a mettere in evidenza che il livello di funzionamento cognitivo di molti bambini culturalmente diversi può essere sviluppato ugual-mente, nonostante le evidenti variazioni di prestazione rivelate dalle misure psicometriche tradizionali (DeAvila, Havassay e Pascual-Leone, 1976). Lo studio strutturale di Uzgiris e Hunt (1975) è la testimonianza di un approccio riuscito ed efficace nell’utilizzo delle acquisizioni sullo sviluppo più importanti e basilari concettualizzate da Piaget, come la costruzione della permanenza dell’oggetto, delle relazioni mezzi-fini e dello sviluppo dei processi imitativi. Questo approccio dà buoni frutti nella valutazione e nella valutazione transcul-turale e si applica facilmente in modo dinamico. Bricker (1973) ha sviluppato un sistema diagnostico e didattico denominato Constructive Interaction Adaptation che rappresenta un tentativo di combinare il modello di sviluppo proposto da Piaget con i principi dell’analisi funzionale. L’approccio di Bricker tenta di integrare l’idea piagetiana di una sequenza evolutiva fissa con un adattamento metodologico per cui «il test viene somministrato in modo sequenziale fino al momento in cui la risposta del bambino non è appropriata e a quel punto termina la valutazione e comincia l’insegnamento» (Filler et al., 1975, p. 222). Così questo approccio accetta l’insuccesso utilizzandolo come punto di partenza per l’attività didattica.

Gli sviluppi contemporanei della valutazione dinamica nel contesto dell’LPAD

L’interesse stimolato dall’LPAD e la comparsa della prima edizione di questo libro si estesero in tre direzioni abbastanza diverse ma comunque con-nesse fra loro: lo sviluppo di un nuovo paradigma concettuale, l’inclusione delle caratteristiche dell’LPAD negli approcci psicometrici e la comparsa di applicazioni in molti contesti di ricerca.

Un nuovo paradigma concettuale

Gli autori interessati al cambiamento di paradigma generale, special-mente in relazione a specifiche popolazioni, cominciarono, sollecitati dal

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riconoscimento del valore dell’LPAD, a considerarne le implicazioni per gli interventi e le procedure (si veda Anastasi, 1982; Cronbach, 1990). Hilliard (1992) ritenne che il paradigma dell’LPAD e della valutazione dinamica fosse particolarmente rispondente ai bisogni socioeducativi della popolazione afro-americana. Presseisen, Smey-Richman e Beyer (1994) passarono in rassegna la letteratura sul pensiero e la cognizione dalla prospettiva dell’impatto sullo sviluppo cognitivo e sui curricoli didattici, e trassero delle osservazioni dalle implicazioni più ampie del paradigma. Al centro di tali osservazioni ci fu il riconoscimento del fatto che il pensiero ha una progressione evolutiva non lineare nel tempo (Wolf et al., 1991), che l’intelligenza non è un tratto fisso, ma riflette piuttosto le capacità di apprendere con velocità e stili diversi, nonché le ripercussioni sulle aspettative degli insegnanti e di altri soggetti riguardo agli indici di performance. Queste osservazioni includono la descrizione di Rogoff (1990) degli sviluppi microgenetici della cognizione, che comprendono le trasformazioni derivanti dalla sequenza dei tentativi di risposta ai problemi, nonché una ridefinizione dell’insegnamento che si discosta dal concetto di normed thinking o «pensiero normato» in cui gli allievi vengono considerati dicotomicamente come successi o insuccessi (si veda Jones e Pierce, 1992). Fra le implicazioni processuali del paradigma figurano lo sviluppo di un nuovo sistema di credenze e il cambiamento della nostra idea di ciò che costituisce una «buona» valutazione. Questo include il fornire agli allievi strumenti per la valutazione delle proprie prestazioni (Frederiksen e Collins, 1989), da cui scaturisce il processo di valutazione «autentico», la consapevolezza del potenziale di modificabilità in persone con un’ampia gamma di condizioni interferenti e situazioni di diversità culturale (Kaniel e Feuerstein, 1989) e un maggiore riconoscimento della necessità di costruire i processi metacognitivi (Paris e Winograd, 1990; Jones e Pierce, 1992). Questi tipi di osservazioni e conclusioni rafforzano la convinzione che vi sia bisogno di una «alternativa ottimistica» nel processo e nelle procedure di valutazione (Feuerstein, 1990).

L’inclusione delle caratteristiche dell’LPAD nella valutazione psicometrica

Una delle problematiche centrali nel dibattito sull’uso dei principi dell’LPAD riguarda la misura in cui gli approcci di valutazione dinamica con-servano le proprietà psicometriche della valutazione, dal momento che tali proprietà pongono dei limiti alla creazione di condizioni per il cambiamento cognitivo strutturale.

Molti ricercatori hanno suggerito di riformulare i concetti di intelligenza e i processi di valutazione, adottando un cosiddetto approccio interattivo (si

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vedano Budoff, 1987; Carlson, 1989; Embretson, 1990; Haywood e Wingen-feld, 1992). Alcuni di questi lavori hanno cercato esplicitamente di conservare il maggior numero possibile di proprietà psicometriche, creando strumenti e procedure che mantengano le qualità della validità e dell’attendibilità. Tipici di questo approccio sono i «test di apprendimento» di Guthke (1982; 1992) e Guthke e Stein (1996). Hamers, Sijtsma e Ruijssenaars (1993) hanno com-pendiato queste e altre attività di valutazione dinamica, dando loro il nome di approccio del potenziale di apprendimento. Questi studi, rappresentativi di una scuola «europea», sono la testimonianza del desiderio di psicologi e insegnanti di conservare le qualità della misurazione psicometrica creando al contempo delle condizioni per la modificazione del comportamento. Va sottolineato che lo scopo implicito è quello di studiare le variabili che influiscono sulla modifi-cabilità e di sviluppare le implicazioni per gli interventi curricolari.

Il secondo filone di sviluppi riguarda l’impatto dell’LPAD su certi aspetti della metodologia psicometrica statica convenzionale. Buchel e Scharnhorst (1993) hanno analizzato i compiti dell’LPAD da una prospettiva piagetiana, cercando di definire la complessità del compito in modo da misurare meglio il cambiamento strutturale dal punto di vista psicometrico. L’enfasi sugli aspetti interattivi della valutazione dinamica è stata associata a una scuola «nordamericana». Anche qui c’è il tentativo di conservare il più possibile le proprietà psicometriche del processo e di fornire collegamenti metodologici espliciti con i contenuti curricolari che gli allievi sono tenuti ad acquisire. Dal canto opposto, si assiste al tentativo di creare un atteggiamento più dinamico sia nella strumentazione sia nelle attività dell’esaminatore. I principali espo-nenti di questo approccio sono Bransford e collaboratori (1987), Campione (1989), Haywood e Tzuriel (1992), Lidz (1987; 1991) e Miller e collaboratori (1992). C’è stato un dibattito piuttosto vivace sia all’interno sia all’esterno di questo gruppo. Frisby e Braden (1992) hanno presentato delle critiche sostanziali all’approccio semantico, logico e metodologico dell’LPAD e, per estensione, ai principi generali della valutazione dinamica. Tzuriel (1992) ha risposto presentando la descrizione filosofica e metodologica delle finalità, delle procedure e delle variabili di esito rilevanti della valutazione dinamica concettualizzate in modo più prossimo a partire dalla prospettiva dell’LPAD.

Applicazioni nella ricerca: popolazioni specifiche

La terza direzione riflessa nello sviluppo della valutazione dinamica è quella dell’applicazione diretta agli studi sullo sviluppo cognitivo. Diverse ri-cerche hanno incorporato una prospettiva di apprendimento mediato e l’hanno

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applicata a una varietà di popolazioni diverse. Una caratteristica unica è stata il rapporto generale fra la valutazione dinamica e i concetti di intelligenza e cognizione nonché la sua applicazione a variabili di esito molto pragmatiche per popolazioni con bisogni speciali. Jensen, Robinson-Zanartu e Jensen (1992) discutono i processi di valutazione dinamica e l’EAM nello sviluppo delle strut-ture cognitive e della conoscenza, e identificano i collegamenti fondamentali. Molti ricercatori hanno rivolto l’attenzione alle applicazioni che riguardano i bambini piccoli, che si trovano a livelli «pre-cognitivi» ed evolutivi (Burns et al., 1996; Tzuriel, 1989; Lidz, 1887; 1992). Da una prospettiva leggermente diversa, Burns (1985), nel suo lavoro con i bambini piccoli, ha confrontato diverse varianti della «mediazione» — compresa la più limitata procedura di suggerimento graduato (una strategia che può essere generalmente associata con la scuola interattiva) — con gli approcci di valutazione statica, e ha riscon-trato che l’apprendimento mediato era la modalità di interazione più efficace.

Un’altra controversia ha riguardato la misura in cui la valutazione dina-mica dovrebbe essere direttamente ed esplicitamente connessa al contenuto (ad es., il curricolo scolastico). Ci si è chiesti in particolare se il processo di valutazione debba essere dominio specifico oppure mirato a processi cognitivi generalizzabili e neutri rispetto al contenuto e al curricolo (Bransford et al., 1987; Tzuriel, 1992). A questo proposito, Feuerstein, Feuerstein e Shur (1997) hanno sottolineato la necessità di includere nei processi la distanza spaziale e temporale, che garantisce la trasformazione e la generalizzazione di ciò che viene appreso. In altre parole, le strutture cognitive vengono modificate nella misura in cui il processo di apprendimento stabilisce delle distanze da ciò che è concreto, percepito attraverso i sensi e sperimentato direttamente.

Le applicazioni della valutazione dinamica sono state studiate in una varietà di gruppi socioculturali e specifiche popolazioni con bisogni speciali. Nel contesto dell’educazione speciale, Jitendra e Kameenui (1993) hanno esaminato l’LPAD e molti altri approcci dinamici dal punto di vista della loro applicabilità ai problemi dell’educazione speciale (ad es., il collegamento fra valutazione e insegnamento, il miglioramento delle caratteristiche predittive e prescrittive della valutazione, ecc.) e mettendoli in confronto con le prati-che di valutazione tradizionali. Secondo gli autori, i compiti della valutazione dinamica dovrebbero essere «strettamente allineati con l’insegnamento e i suoi obiettivi» (p. 15).

Altre applicazioni degli elementi esplorativi dell’LPAD di processi di valutazione dinamica sono rappresentati dal lavoro di Tzuriel et al. (1987) sul rapporto fra la risposta di apprendimento e l’intensità dell’intervento; lo studio di Keane e Kretchmer (1987) sulle differenze fra gruppi di mediazione

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e di controllo, in cui venne utilizzato un «feedback elaborato» con i bambini non udenti; la scoperta di Embretson (1987) secondo cui le valutazioni che utilizzano elementi delle procedure dinamiche non risentono degli effetti dell’esercizio e hanno una validità predittiva accettabile.

Per quanto riguarda popolazioni specifiche, Skuy et al. (1992) hanno rilevato cambiamenti in persone schizofreniche e con disturbi della condotta grazie all’utilizzo delle procedure di somministrazione «standard» dell’LPAD. Questa scoperta ha dei risvolti importanti per la percezione delle persone schizofreniche, poiché, smentendo l’idea prevalente sulla schizofrenia, ha di-mostrato l’esistenza di un’importante modificabilità in questa popolazione in termini di processi cognitivi. Laddove si ritiene che le persone affette da questo disturbo siano vittime di un processo di deterioramento aggressivo e perva-sivo, il lavoro con l’LPAD indica che sono invece capaci di modificare il loro pensiero e di compiere progressi. Kaniel e Feuerstein (1989) hanno utilizzato una procedura di somministrazione di gruppo dell’LPAD con bambini in età scolastica svantaggiati e avvantaggiati. In molti studi l’LPAD è stato utilizzato con persone etiopi emigrate in Israele (ad esempio, Kaniel et al., 1991; Kozulin e Lurie, 1994). Silverman e Waxman (1992) hanno adoperato le tecniche di valutazione dinamica nel contesto di un programma di educazione cognitiva per detenuti, Samuels, Lamb e Oberholzer (1992) hanno lavorato con adulti affetti da disabilità di apprendimento e Skuy, Kaniel e Tzuriel (1988) hanno pubblicato una relazione sull’uso delle procedure di valutazione dinamica nel contesto del loro lavoro con soggetti rappresentativi della popolazione nera svantaggiata in Sudafrica. Uno studio di Lifschitz (1997) ha inoltre fornito prove della presenza di modificabilità in una popolazione di anziani ospeda-lizzati e considerati avere un ritardo mentale. Studi di questo tipo dimostrano che esiste un potenziale di modificabilità in stadi di sviluppo avanzati e in popolazioni considerate inaccessibili per avere vissuto lunghi periodi della loro vita in ambienti segregati. Molti ricercatori hanno riferito di avere usato la valutazione dinamica nei loro studi di mediazione su bambini piccoli (Lidz, 199; Mearig, 1987; Tzuriel, 1989a; 1989b; Tzuriel e Caspi, 1992; Tzuriel e Eran, 1992; Tzuriel e Ernst, 1990; 1992).

Un’altra attività promettente, che attualmente sta riscuotendo molto in-teresse, è quella dell’applicazione sistematica delle tecniche di apprendimento mediato e di valutazione dinamica all’ambiente dell’allievo. Questa è la conse-guenza diretta della crescente consapevolezza del fatto che i cambiamenti di paradigma e il sostegno di nuove iniziative richiedono un’attenzione generale e sistematica agli ambienti e agli agenti che adotteranno i programmi, che lavoreranno per mantenerli e svilupperanno nuove strutture integrate basate

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su di essi. Esempi di iniziative di questo genere sono stati descritti da Draper e colleghi (1987), che presentano un’applicazione su vasta scala dei programmi di apprendimento mediato in un sistema scolastico urbano, con degli elementi di valutazione dinamica. Un altro esempio rappresentativo di un orientamento abbastanza diverso è quello di Lidz (1992), che sviluppa una base razionale e una struttura per incorporare la valutazione dinamica nei corsi di formazione per psicologi scolastici.

La presentazione dei risultati della valutazione dinamica è una caratte-ristica centrale del processo ed è essenziale per i fini dell’approccio. Boutro-gianni e Pratt (1990) presentano alcune considerazioni sulle problematiche relative alla consulenza in classe, al lavoro con i genitori, e alle implicazioni per lo sviluppo di interventi efficaci. Miller Hoy (1983) ha messo a confronto la relazione psicologica convenzionale, scritta nella prospettiva della valuta-zione statica, con il genere di resoconto necessario quando si usa l’approccio della valutazione dinamica. Delclos e colleghi (Delclos et al., 1987; Delclos et al., 1993) hanno studiato la relazione fra la presentazione dei risultati della valutazione dinamica e le aspettative e la capacità di iniziare l’intervento da parte degli insegnanti. In questi due studi, la consulenza orientata al processo e basata su risultati descrittivi è risultata correlata in modo diretto con un au-mento delle aspettative degli insegnanti e della loro flessibilità nel modificare i propri interventi. Ciò si verifica frequente quando l’obiettivo dell’LPAD è di consentire il passaggio dell’esaminato dall’ambiente dell’educazione speciale a quello dell’educazione normale.

L’LPAD e altri approcci alla valutazione dinamica

Passiamo ora a considerare alcuni elementi essenziali del processo di valutazione dinamica e a presentare l’LPAD in un contesto comparativo insieme a molti degli approcci più famosi e sviluppati in modo sistematico. Questi, insieme all’LPAD, sono stati oggetto di varie revisioni critiche e ana-lisi comparative (Campione, 1989; Jitendra e Kameenui, 1993; Grigorenko e Sternberg, 1998). Questa sezione identifica i parametri chiave di confronto delle caratteristiche della valutazione dinamica.

Ai fini di questo confronto, considereremo l’LPAD in rapporto alle procedure di test psicometrici convenzionali statici e all’Assisted Learning for Transfer (Campione e Brown, 1986a; 1986b), al Testing the Limits (Carlson e Wiedl, 1978; 1979), al Continuum of Assessment Model (Bransford et al., 1987), al Learning Potential (Budoff, 1974) e ai Learning Tests (Guthke, 1992;

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LPAD: procedure e strumenti

Ciò che abbiamo detto fin qui ha messo in luce l’inadeguatezza dei test e delle procedure psicometriche convenzionali che cercano di valutare le ca-pacità reali del soggetto con ritardo cognitivo, definito come una persona che presenta funzioni cognitive carenti o fragili ed è esposta in misura insufficiente all’apprendimento mediato. Uno dei principali difetti dei test psicometrici convenzionali è che non permettono di valutare il significato dei livelli di fun-zionamento manifesti, la possibile eziologia delle compromissioni e i fattori alla loro base. L’adesione a un modello di valutazione di tipo statico, caratteristica degli approcci psicometrici convenzionali, può produrre soltanto un processo tautologico, una profezia negativa che si autoavvera, in cui il livello di funzio-namento manifesto, già reputato basso, viene ancora una volta dimostrato e confermato dagli scarsi risultati conseguiti dall’esaminato. Per interrompere questo circolo vizioso occorre implementare un nuovo approccio alla valutazio-ne della prestazione carente. La valutazione ripetuta delle capacità già presenti dovrebbe essere abbandonata a favore di un nuovo paradigma di valutazione, che induca e poi valuti la prestazione modificata nella stessa situazione di test. In tale valutazione della modificabilità, bisogna occuparsi delle funzioni cognitive direttamente responsabili delle carenze. Chiaramente queste carenze possono manifestarsi in diverse fasi dell’atto mentale diverse (input o output) o possono essere dovute a componenti motivazionali ed emozionali; quindi non sono necessariamente il riflesso di una carenza di capacità elaborativa dell’individuo.

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182 LPAD: Learning Propensity Assessment Device

Come abbiamo spiegato nel capitolo primo, una valutazione efficace del potenziale cognitivo della persona culturalmente deprivata e/o a basso funzio-namento richiede un cambiamento radicale: il passaggio da una valutazione cognitiva statica a una dinamica. L’allontanamento dal metodo psicometrico convenzionale deve interessare quattro aree critiche: – la struttura degli strumenti di test;– la natura della situazione e delle procedure di test;– l’interpretazione dei risultati, il loro significato e il modo in cui vengono

comunicati ad altri;– l’orientamento del test, che passa dal prodotto al processo.

In questo capitolo viene illustrato un modello per la costruzione di stru-menti consoni agli obiettivi della valutazione dinamica. Le variazioni nella situazione di test e nella somministrazione degli strumenti vengono descritte nei termini di un processo anziché di un approccio orientato al prodotto, come criterio primario di valutazione. Presentiamo quindi la logica e l’ approccio da cui scaturisce un diverso sistema di interpretazione dei risultati del test. Infine descriviamo sinteticamente gli strumenti sviluppati per la batteria di test LPAD e li rapportiamo al modello.

Modifiche strutturali degli strumenti di misurazione

La struttura degli strumenti psicometrici convenzionali non può rispon-dere alla funzione principale della valutazione delle persone culturalmente deprivate e a basso funzionamento, che è quella di stimare il potenziale di modificabilità attraverso l’apprendimento. I test convenzionali, per come sono progettati, permettono di indagare soltanto le capacità cognitive già presenti in una persona riflesse nelle risposte spontanee ai compiti assegnati — il livello di risposta manifesto. Non consentono invece di valutare la capacità di acquisire abilità, strategie e operazioni da usare in nuove situazioni di test, con cui il soggetto ha a che fare nel corso della valutazione, e da proiettare sul compor-tamento in situazioni nuove che il test ha la funzione di predire. Ciò avviene perché la costruzione e l’inclusione di item (compiti) nei test convenzionali di solito non prevedono una relazione interna fra gli item precedenti e i suc-cessivi, fatta eccezione per la difficoltà crescente delle prove in certi tipi di test (spesso definiti «power test»). Anzi, nella maggior parte dei test di concezione tradizionale, gli item giudicati in grado di modificare la disposizione dell’esami-nato a rispondere ai compiti successivi vengono considerati spesso una fonte di contaminazione dell’attendibilità dei risultati e, sovente, eliminati. In altri

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LPAD: procedure e strumenti 183

casi, per lo stesso motivo, vengono eliminati anche quelli considerati sensibili ai processi di apprendimento all’interno della prova stessa. La sensibilità ai cambiamenti che avvengono nell’esaminato ne riduce l’attendibilità e li rende inadeguati rispetto all’obiettivo della misurazione statica reputato più impor-tante, cioè la valutazione delle caratteristiche stabili dell’individuo (per una trattazione più approfondita delle inadeguatezze e dei limiti della prospettiva che considera stabili e fisse le caratteristiche umane fondamentali, si vedano Feuerstein, Feuerstein e Schur, 1997; Feuerstein, Falik e Feuerstein, 1998).

Anche un test molto rilevante come le Matrici Progressive di Raven (Ra-ven, 1947; 1956; 1958; 1965; 1996), in cui gli item sono formulati in modo da preparare il soggetto a quelli successivi, progressivamente più difficili, non riesce a favorire l’apprendimento. Quando viene somministrato in maniera tradizionale, le spiegazioni sono ammesse soltanto per gli item più facili. L’esa-minato è poi lasciato a se stesso, senza una preparazione adeguata ad affrontare le prove successive, di difficoltà crescente, e senza feedback sulle prestazioni precedenti. L’iniziale esposizione diretta ai compiti sarebbe sicuramente utile per la persona che ha la capacità di essere modificata dall’esposizione ai primi compiti (più facili). Tuttavia, considerando la struttura cognitiva della persona a basso funzionamento o culturalmente deprivata, che non ha sperimentato una mediazione sufficiente o adeguata in precedenza, tale esposizione passiva non modifica la persona in modo da permettere un approccio efficace nei compiti più complessi. Così, i punteggi di queste persone, nelle condizioni di valutazione standard o convenzionali, possono mostrare un successo nei primi item, ma livelli di insuccesso crescenti nei successivi. Questo risultato viene di solito interpretato come una scarsa capacità di risolvere efficacemente i compiti che richiedano «processi mentali superiori», contrapposta a una capacità relativamente migliore di affrontare prove più semplici in cui sono coinvolti soltanto i processi percettivi elementari.

Il modello che descriviamo di seguito, per contro, fornisce una base per costruire una procedura dinamica di test mirata a valutare cinque caratteristiche:– la modificabilità dell’individuo di fronte a condizioni specificamente desi-

gnate a produrre cambiamenti;– il grado di modificabilità dell’esaminato, inteso come i livelli di funziona-

mento a cui può accedere, e l’importanza dei livelli raggiunti nella gerarchia delle operazioni cognitive (da quelle di tipo percettivo a quelle di ordine superiore);

– la quantità di investimento (insegnamento, terapia, durata del trattamento, ecc.) necessaria per produrre e conservare un cambiamento di una certa entità e di un certo genere;

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184 LPAD: Learning Propensity Assessment Device

– il significato del cambiamento in una determinata area per altri ambiti gene-rali di funzionamento. In altre parole, in quale misura i modelli di funziona-mento acquisiti nel processo di valutazione-training possono essere applicati in aree diverse rispetto a quella dello specifico training sperimentato;

– l’identificazione delle modalità preferenziali dell’individuo, rappresentative delle aree di relativa forza o debolezza, sia nei termini di un inventario delle risposte già presenti, sia dal punto di vista delle strategie preferite per con-seguire la modificazione desiderata nel modo più efficiente ed economico.

L’obiettivo della valutazione dinamica non è quello di raccogliere passiva-mente dei dati sulle abilità che una persona possiede o meno. Piuttosto si valuta la modificabilità dell’apprendimento in generale misurando la propensione dell’esaminato ad acquisire un certo principio, una disposizione nei confronti dell’apprendimento, un’abilità o un atteggiamento particolari in funzione del compito in questione e degli obiettivi dell’esaminato stesso, in seguito a una valutazione e a un’osservazione preliminari delle funzioni cognitive carenti. L’entità della modificabilità e dell’investimento di insegnamento necessario per produrre il cambiamento vengono valutate osservando la capacità di cogliere e quindi applicare le nuove abilità a una varietà di compiti sempre più diversi da quello che è servito a insegnare il principio. La portata del cambiamento viene valutata attraverso lo sviluppo di modelli di comportamento dimostratisi efficienti in aree diverse da quelle modificate attivamente con il processo di training, il quale attesta la generalizzabilità dell’apprendimento e la sua inclu-sione negli schemi strutturali del repertorio cognitivo dell’individuo.

Il modello LPAD per la costruzione di test dinamici

La figura 4.1 illustra il modello LPAD su cui si basa la costruzione degli strumenti.

Il cerchio più piccolo in alto al centro del cilindro rappresenta il proble-ma, il compito o la situazione iniziale che vengono presentati all’esaminato. La soluzione, o la padronanza del problema, richiede la comprensione di un dato principio, che si manifesta attraverso la messa in atto dell’operazione co-gnitiva pertinente. Ciò, a sua volta, dipende in modo diretto da funzioni più elementari che costituiscono i prerequisiti per i processi cognitivi nonché dalla sussistenza di un’adeguata disposizione per quanto riguarda la motivazione e l’atteggiamento. L’esaminato riceve il training necessario affinché sappia risolvere il problema iniziale. Quando dimostra di padroneggiarlo, gli viene sottoposta una serie di varianti più complesse, rappresentate nel modello in

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LPAD: procedure e strumenti 185

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Compito iniziale (usato per insegnare un principio cognitivo)

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FigurativoVerbale

analogia

SeriazioneMoltiplicazione logica

Permutazione

Sillogismo

Classificazione

ecc.

Fig. 4.1 Il modello cilindrico dell’LPAD.

forma di cerchi concentrici e divergenti che si irradiano dal centro. In buona parte, questa successione di compiti interconnessi e caratterizzati da vari gradi di novità, difficoltà e complessità simula le richieste adattative con cui spesso ci si confronta nella vita reale. I diversi gradi di novità, difficoltà e complessità vengono prodotti variando una delle dimensioni insite nella soluzione del compito: gli oggetti o la situazione, la relazione fra gli oggetti o le loro speci-fiche funzioni l’uno rispetto all’altro oppure le operazioni cognitive coinvolte nella soluzione del problema. Le linee radiali che segmentano la sommità del cilindro in sezioni indicano che il compito scelto comprende anche una o più modalità di presentazione (spaziale, pittorica, figurativa, verbale, logico-verbale o numerica). All’esaminato vengono presentate anche delle variazioni nella modalità di presentazione mantenendo lo stesso livello di novità, complessità

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186 LPAD: Learning Propensity Assessment Device

e difficoltà oppure aumentandolo. Queste variazioni di modalità possono av-venire nell’ambito dello stesso strumento oppure utilizzando diversi strumenti della batteria LPAD.

Pertanto è possibile mantenere costante l’operazione e modificare gli og-getti e le relazioni, variare la relazione fra gli oggetti o le loro funzioni specifiche, oppure cambiare le operazioni cognitive necessarie per risolvere il problema. La novità può allora essere definita in termini di numero e natura delle dimen-sioni introdotte nel problema rispetto a quelle utilizzate nel compito iniziale di training. Le specifiche operazioni richieste dal problema, schematizzato con il piccolo cerchio centrale, e dai compiti divergenti proposti dopo il training iniziale possono essere presentate all’esaminato con modalità o «linguaggi» diversi. Il modello comprende anche le operazioni mentali attinenti al compito: analogie, moltiplicazione logica, permutazioni, sillogismi, categorizzazione, seriazione, ecc.

I test e gli strumenti di misurazione sono costruiti sulla base delle tre dimensioni seguenti:– grado di novità e complessità del compito, rappresentato dai cerchi concentrici alla

sommità del cilindro. Per introdurre un elemento di novità si possono variare le dimensioni come la familiarità con l’oggetto, la funzione e la relazione, così come la familiarità con l’operazione mentale richiesta o utilizzata. La comples-sità consiste nel numero di unità da elaborare per risolvere il problema;

– il linguaggio o la modalità di presentazione. Questa dimensione è rappresentata graficamente dai segmenti dei cerchi. Il compito può essere presentato, ma non limitato, con una delle modalità seguenti: figurativa, pittorica, spaziale, verbale, logico-verbale o numerica;

– le operazioni mentali richieste per risolvere un dato problema. Questa dimensione è rappresentata dagli strati verticali del cilindro. Si possono usare moltissi-me operazioni: analogie, moltiplicazione logica, permutazioni, sillogismi, classificazione, seriazioni, ecc.; alcune sono essenziali per la soluzione del problema, mentre altre possono essere utilizzate nell’ampio e flessibile re-pertorio delle risposte dell’individuo.

I risultati ottenuti dall’esaminato con questi strumenti, insieme all’inte-razione con l’esaminatore e ai dati relativi alla situazione dell’LPAD, vanno a formare il seguente profilo:– la propensione dell’esaminato a comprendere il principio alla base del pro-

blema iniziale e a risolverlo;– l’entità e la natura dell’investimento necessario per insegnare il principio in

questione all’esaminato;

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LPAD: procedure e strumenti 187

– la misura in cui il principio appena acquisito viene applicato con successo alla soluzione di problemi via via più diversi dal compito iniziale;

– le preferenze differenziali dell’esaminato per una data modalità di presenta-zione di un problema;

– gli effetti differenziali delle varie strategie di training proposte all’esaminato nel recupero del funzionamento; essi vengono valutati usando i criteri di novità, complessità, linguaggio di presentazione e tipi di operazione mentale.

L’uso di questo approccio dinamico nella valutazione presuppone che la persona sia un sistema aperto passibile di cambiamenti importanti attraverso l’esposizione a stimoli esterni e/o interni. Tuttavia, si ritiene che il grado di modificabilità personale mediante esposizione diretta a varie fonti di stimo-lazione sia una funzione della quantità e della qualità dell’EAM. È l’EAM che sensibilizza l’organismo umano a particolari caratteristiche degli stimoli e che istituisce disposizioni e modalità di comprensione ed elaborazione della realtà essenziali per un adeguato uso integrato della nuova esperienza. Il soggetto con ritardo cognitivo è caratterizzato da un basso livello di mo-dificabilità attraverso l’esposizione diretta, cosa che si riflette nelle funzioni carenti sopradescritte. Pertanto, qualunque tentativo di valutare le capacità reali attraverso un confronto diretto con problemi per la soluzione dei quali mancano i prerequisiti porterà inevitabilmente a concludere che la persona abbia scarse capacità — una conclusione già deducibile a partire da altre aree di comportamento, come i risultati scolastici — e che questa condizione sia fissa e immutabile.

Le misure statiche omettono del tutto la valutazione separata della di-mensione della modificabilità poiché equiparano la misura del funzionamento manifesto alla capacità reale e immutabile dell’individuo. L’approccio dinamico non nega che il funzionamento dell’individuo, indicato dal livello di successo o dal comportamento generale, sia basso; tuttavia, ritenendo che questo livello riguardi solo il repertorio manifesto dell’individuo, prende in considerazione la possibilità di modificare questo repertorio adoperando le strategie di inter-vento appropriate. In questo modello teorico della modificabilità cognitiva, l’intelligenza viene definita come la capacità di usare l’esperienza precedente nell’adattamento a situazioni nuove. L’enfasi, in questa definizione, è sull’uso dell’esperienza acquisita in precedenza. Con ciò non si intende negare il possi-bile ruolo di una dotazione differenziale, ma si reputa che tale dotazione si limiti per lo più a conferire alla persona determinate tendenze o propensioni nell’uso dell’esperienza, cioè nell’apprendimento. L’effetto delle dotazioni differenziali può essere livellato con investimenti differenziali da parte delle persone. D’altro canto, una dotazione ridotta o normale può essere oscurata dalla mancanza di

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188 LPAD: Learning Propensity Assessment Device

un’EAM, che si manifesta con una prestazione di basso livello. Questo stato, purtroppo, viene spesso identificato come un ritardo cognitivo vero e proprio o, erroneamente, come un livello di intelligenza inferiore. La modificabilità dell’individuo può essere misurata in vitro soltanto usando una valutazione dinamica, strutturata in modo da compensare il background esperienziale mancante con un intervento concordato e mirato, e fornendo all’esaminato l’opportunità di dimostrare lo sviluppo graduale delle sue capacità, in seguito all’intervento mirato.

Esempi di test dinamici basati sul modello LPAD

Uno dei test costruiti sulla base del modello suddetto sono le Variazioni I LPAD. Esso verrà descritto in modo più particolareggiato in una successiva sezione di questo capitolo. Nella figura 4.2 sono illustrati un compito di training iniziale e sei variazioni.

Compito di training iniziale

Variazioni

alternative

1

1

4

2

5

3

6

4

2

5

3

6

Fig. 4.2LPAD Variazioni I.