Louis Althusser - Lenin e la filosofia - antiper.org · filosofi di professione per affermare che...

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disertano il partito. Che il buon vento se li porti, queste carogne. Il partito si libera dei rifiuti piccolo borghesi. Gli operai prendono di più le cose in mano. Il ruolo dei militanti operai si accentua. Tutto questo è meraviglioso». Alle proteste di Gorki, di cui aveva richiesto l’aiuto, Lenin risponde il 13 febbraio 1908: «Penso che alcune questioni da voi sollevate a proposito delle nostre divergenze siano soltanto un malinteso. Infatti non pensavo certo di “cacciare gli intellettuali”, come fanno certi stupidi sindacalisti, o negare che siano necessari al movimento operaio. Su questioni del genere non possono esserci divergenze tra noi». In compenso, nella stessa lettera, le divergenze andavano di buon passo per quello che riguarda la filosofia: «In merito al materialismo, in quanto concezione del mondo, penso di non essere d’accordo con voi nella sostanza…». Non facciamo fatica a immaginarlo, visto che Gorki difendeva la causa dell’empirio-criticismo e del neo- kantismo. Pag. 52 Mi sia consentito ringraziare la vostra Società per l’onore che mi ha fatto, invitandomi a presentarle quella che essa chiama, da quando esiste, e continuerà probabilmente a chiamare ancora a lungo, con un termine di disarmante nostalgia: una comunicazione 1 . I A buon diritto uno scienziato presenta una comunicazione davanti a una società scientifica. Una comunicazione e una discussione non possono essere che scientifiche. Ma allora, una comunicazione filosofica e una discussione filosofica? Comunicazione filosofica. Un’espressione che avrebbe certamente fatto ridere Lenin, di quel riso pieno e aperto dal quale i pescatori di Capri riconoscevano che era uno della loro stessa razza e parte. Era giusto sessant’anni fa, nel 1908. Lenin stava allora a Capri, in compagnia di Gorki, di cui apprezzava la generosità e ammirava l’ingegno, ma che trattava tuttavia da rivoluzionario piccolo-borghese. Gorki l’aveva invitato a Capri per discutere di filosofia con un gruppetto d’intellettuali bolscevichi di cui condivideva le tesi, gli Otzovisti. 1908: era l’indomani della prima Rivoluzione d’Ottobre, quella del 1905, il riflusso e la repressione del movimento operaio, lo smarrimento fra gli «intellettuali», anche fra gli stessi intellettuali bolscevichi. Buona parte di quest’ultimi aveva formato un gruppo, conosciuto nella storia con il nome di Otzovisti. 1 Comunicazione presentata alla Società Francese di Filosofia il 24 febbraio 1968 e riprodotta con l’approvazione del presidente Jean Wahl. Pag. 1

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disertano il partito. Che il buon vento se li porti, questecarogne. Il partito si libera dei rifiuti piccolo borghesi.Gli operai prendono di più le cose in mano. Il ruolo deimilitanti operai si accentua. Tutto questo èmeraviglioso».

Alle proteste di Gorki, di cui aveva richiesto l’aiuto,Lenin risponde il 13 febbraio 1908:

«Penso che alcune questioni da voi sollevate a propositodelle nostre divergenze siano soltanto un malinteso.Infatti non pensavo certo di “cacciare gli intellettuali”,come fanno certi stupidi sindacalisti, o negare che sianonecessari al movimento operaio. Su questioni del generenon possono esserci divergenze tra noi».

In compenso, nella stessa lettera, le divergenze andavanodi buon passo per quello che riguarda la filosofia: «Inmerito al materialismo, in quanto concezione del mondo,penso di non essere d’accordo con voi nella sostanza…».Non facciamo fatica a immaginarlo, visto che Gorkidifendeva la causa dell’empirio-criticismo e del neo-kantismo.

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Mi sia consentito ringraziare la vostra Società per l’onoreche mi ha fatto, invitandomi a presentarle quella cheessa chiama, da quando esiste, e continueràprobabilmente a chiamare ancora a lungo, con untermine di disarmante nostalgia: una comunicazione1.

I

A buon diritto uno scienziato presenta una comunicazionedavanti a una società scientifica. Una comunicazione euna discussione non possono essere che scientifiche. Maallora, una comunicazione filosofica e una discussionefilosofica?Comunicazione filosofica. Un’espressione che avrebbecertamente fatto ridere Lenin, di quel riso pieno e apertodal quale i pescatori di Capri riconoscevano che era unodella loro stessa razza e parte. Era giusto sessant’annifa, nel 1908. Lenin stava allora a Capri, in compagnia diGorki, di cui apprezzava la generosità e ammiraval’ingegno, ma che trattava tuttavia da rivoluzionariopiccolo-borghese. Gorki l’aveva invitato a Capri perdiscutere di filosofia con un gruppetto d’intellettualibolscevichi di cui condivideva le tesi, gli Otzovisti. 1908:era l’indomani della prima Rivoluzione d’Ottobre, quelladel 1905, il riflusso e la repressione del movimentooperaio, lo smarrimento fra gli «intellettuali», anche fragli stessi intellettuali bolscevichi. Buona parte diquest’ultimi aveva formato un gruppo, conosciuto nellastoria con il nome di Otzovisti.

1 Comunicazione presentata alla Società Francese di Filosofia il24 febbraio 1968 e riprodotta con l’approvazione delpresidente Jean Wahl.

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Politicamente gli otzovisti erano estremisti, per misureradicali: ritiro (otzovat’) dei rappresentanti dalla Duma,rifiuto di tutte le forme legali d’azione, passaggioimmediato all’azione violenta. Ma queste affermazioniestremiste mascheravano posizioni teoriche di destra. GliOtzovisti si erano lasciati conquistare da una filosofiaalla moda, o da una moda filosofica, l’«empirio-criticismo»,di cui il celebre fisico austriaco Ernst Mach avevarinnovato la forma. Questa filosofia da fisico e dafisiologo (Mach non era l’ultimo venuto: egli ha lasciatoun nome nella storia delle scienze) non era senza affinitàcon altre filosofie elaborate da scienziati, come quella diPoincarè, e da storici delle scienze, quali Duhem e Rey.Sono fenomeni che incominciamo a conoscere. Quandocerte scienze subiscono importanti rivolgimenti (comeallora la matematica e la fisica), si trovano sempre deifilosofi di professione per affermare che la «crisi dellascienza», o della matematica, o della fisica, è aperta.Affermazioni del genere sulla bocca di filosofi rientrano,direi quasi, nella norma: giacché un’intera categoria difilosofi passa il suo tempo a predire, ossia a spiarel’agonia delle scienze, per somministrare loro l’estremaunzione della filosofia, ad majorem gloria Dei. Ma ciò cheè più strano è che si trovano contemporaneamente degliscienziati – per parlare di crisi delle scienze e perscoprirsi all’improvviso straordinarie vocazioni filosofiche– che pensano di trasformarsi subitaneamente in filosofi,mentre non hanno mai smesso di praticare della filosofia,e che credono di proferire importanti rivelazioni, mentrenon fanno altro che ripetere banalità e luoghi comuniappartenenti a quella che la filosofia deve pur riconoscerecome la propria storia.Noi filosofi, che siamo comunque del mestiere, saremmo

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1. I professori di filosofia sono dei professori, ossia degliintellettuali impiegati in un sistema scolastico dato,soggetti a questo sistema, aventi nella loro massa lafunzione sociale di trasmettere e inculcare i «valoridell’ideologia dominante». Che possa esistere un certo«gioco» nelle istituzioni scolastiche o altre, che consenteindividualmente a certi professori di rivolgere il loroinsegnamento e la loro riflessione contro quei «valori»stabiliti, non modifica l’effetto di massa della funzionefilosofica professorale. I filosofi sono degli intellettuali,quindi dei piccoli borghesi, soggetti nella loro massaall’ideologia borghese e piccolo borghese.

2. Questa è la ragione per la quale la filosofia di cui,nella loro massa, i professori di filosofia, anche nella lorostessa libertà di «critica», sono i rappresentanti o ipoetatori è soggetta all’ideologia dominante – quella cheMarx definì fin dai tempi dell’Ideologia tedesca comel’ideologia della classe dominante. Questa ideologia èdominata dall’idealismo.

3. Questa situazione, tanto degli intellettuali piccoloborghesi professori di filosofia, quanto della filosofia cheessi insegnano, o ripetono dandole una forma personale,non esclude che alcuni intellettuali possano sfuggire allecoercizioni cui è soggetta la massa degli intellettuali e, sesono filosofi, aderire a una filosofia materialista e a unateoria rivoluzionaria. Il Manifesto ricordava già questapossibilità. Lenin la riprende e aggiunge che l’apporto diquesti intellettuali è indispensabile al Movimento operaio.Il 7 febbraio 1908 Lenin scriveva a Gorki:

«Il ruolo degli intellettuali è in diminuzione nel nostropartito: da tutte le parti ci viene annunciato che

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esserne poco alla volta trasformata. Meno che maipotremo dire allora che il marxismo è una filosofia: unafilosofia della prassi. Nel cuore della Teoria marxista c’èuna scienza: una scienza particolarissima, ma unascienza. Quello che il marxismo introduce di nuovo nellafilosofia è una nuova pratica della filosofia. Il marxismonon è una (nuova) filosofia della prassi, ma una (nuova)pratica della filosofia.Questa nuova pratica della filosofia può trasformare lafilosofia. E contribuire inoltre, alla propria stregua, allatrasformazione del mondo. Ma contribuire soltanto,giacchè non sono i teorici – scienziati o filosofi –, nonsono neppure gli «uomini» che fanno la storia – ma le«masse», ossia le classi alleate in una medesima lotta diclasse.

Febbraio 1968

Nota annessa

Per non ingannarsi sul senso di questa condanna deiprofessori di filosofia, e della filosofia da essi professata,bisogna fare attenzione alla data del testo e ad alcuneespressioni. Lenin, richiamandosi a Dietzgen, condanna iprofessori di filosofia nella loro massa, e non tutti iprofessori di filosofia senza eccezione. Condanna la lorofilosofia, ma non condanna la filosofia. Raccomanda anzidi studiare la loro filosofia per potere definire e seguire,in filosofia, una pratica diversa dalla loro. Possiamo fareuna triplice constatazione quindi, cui nel fondo la data ele circostanze non cambiano niente di essenziale.

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propensi a pensare che, in quanto a «crisi», questiscienziati vengono colti, in occasione della crescita di unascienza che essi scambiano invece per la sua conversione,da una crisi filosofica vistosa, nello stesso senso in cui sidice di un bambino che sta passando una «crisi difebbre». La loro filosofia spontanea, quotidiana, diventasemplicemente visibile anche ai loro occhi.L’empirio-criticismo di Mach con tutti i suoi sottoprodottibogdanoviano, lunaciarskiano, bazaroviano, ecc.,rappresentava appunto una crisi filosofica del genere.Sono fatti cronici. Per dare un’idea contemporanea dellacosa diremo che, fatte le debite proporzioni, la filosofiache alcuni biologi, genetisti, linguisti, ecc., stannocostruendo oggi sull’«informazione» è una piccola «crisi»filosofica di questo tipo, nella fattispecie, euforica.Ebbene, la cosa più interessante in queste crisi filosofichedi uomini di scienza, è che filosoficamente sono sempreorientate in un unico e medesimo senso: riprendono,rimodernandoli, vecchi temi empiristi o formalisti, ossiaidealisti: hanno perciò sempre come avversario ilmaterialismo.Gli otzovisti erano dunque empiriocriticisti ma, essendomarxisti (in quanto bolscevichi), dicevano che il marxismodoveva sbarazzarsi di quella metafisica precritica che erail «materialismo dialettico» e doveva, per diventare ilmarxismo del XX secolo, darsi finalmente la filosofia chegli era sempre mancata, appunto quella filosofia idealista,vagamente neo-kantiana, rielaborata e sottoscritta dagliscienziati, che era l’empirio-criticismo. Alcuni bolscevichidel gruppo volevano persino integrare al marxismo ivalori umani «genuini» della religione, e si definivano aquesto scopo «Costruttori di Dio». Ma lasciamo perdere.L’intenzione di Gorki era dunque d’invitare Lenin a

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discutere di filosofia con il gruppo dei filosofi otzovisti.Lenin pose le sue condizioni: caro Alexei Maximovitch,verrò molto volentieri da voi, ma rifiuto qualsiasidiscussione filosofica.Era evidentemente un atteggiamento tattico: poichél’essenziale era l’unità politica tra i bolscevichi emigrati,non bisognava dividerli con una discussione filosofica. Inquesta tattica però, possiamo scorgere assai più di unatattica, quella che vorrei chiamare una «pratica» dellafilosofia, e la coscienza di ciò che praticare la filosofiavuole dire; la coscienza insomma di questo fatto brutale,primario: che la filosofia divide. Se la scienza unisce, eunisce senza dividere, la filosofia divide, e non può unireche dividendo. Si capisce allora il riso di Lenin: nonesiste comunicazione filosofica, non esiste discussionefilosofica.Oggi qui non voglio altro che commentare questo riso, ilquale vale da solo una tesi.Una tesi che spero ci condurrà in qualche posto.E mi conduce subito a pormi la domanda che non puònon venirmi posta: se nessuna comunicazione filosofica èpossibile, che discorso potrò dunque tenere? E’evidentemente un discorso davanti a dei filosofi. Ma comel’abito non fa il monaco, così non sono gli auditori chefanno il discorso. Il mio discorso non sarà dunquefilosofico.Sarà tuttavia, per ragioni inevitabili che dipendono dalpunto della storia teorica in cui ci troviamo, un discorsonella filosofia. Ma questo discorso nella filosofia non sarànecessariamente un discorso di filosofia. Sarà, o almenovorrebbe essere, un discorso sulla filosofia. Questosignifica che la vostra società ha prevenuto i mieidesideri invitandomi a presentarvi una comunicazione.

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accanitamente tuttavia, nella teoria filosofica, diintervenire; nuova in quanto è una pratica che harinunciato alla denegazione e che, sapendo quello che fa,agisce secondo quello che è.Se questo è vero, si può allora sospettare che non a casoquesto risultato senza precedenti è stato provocato dallascoperta scientifica di Marx e pensata da un dirigentepolitico proletario. In definitiva infatti, se la filosofia èstata provocata a nascere dalla prima scienza della storiaumana, questo è avvenuto in Grecia, in una societàclassista, e sapendo bene fin dove lo sfruttamento diclasse può estendere i suoi effetti, non c’è dameravigliarsi se questi effetti hanno anche preso laforma, classica nelle società di classe, in cui le classidominanti negano di dominare, di una denegazionefilosofica della dominazione della filosofia da parte dellapolitica. Non c’è da meravigliarsi allora se soltanto laconoscenza scientifica dei meccanismi di dominazione diclasse e di tutti i suoi effetti, quale è stata prodotta daMarx e applicata da Lenin, abbia provocato nella filosofiaquello straordinario spostamento che fa vacillare ifantasmi delle denegazione, in cui la filosofia racconta sestessa, perché gli uomini lo credano e anche per credervi,di essere al di sopra della politica come è al di sopradelle classi.Ne consegue che soltanto con Lenin può prenderefinalmente corpo e significato la frase profetica della XITesi su Feuerbach. «(Fino ad ora) i filosofi hannointerpretato il mondo; si tratta invece di trasformarlo».Questa frase promette una nuova filosofia? Non credo. Lafilosofia non sarà soppressa: la filosofia resterà lafilosofia. Ma sapendo che cos’è la sua pratica e sapendoche cosa è essa, o almeno incominciando a saperlo, può

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filosofia marxista: ciò appunto che mancava a Engels.Basta allora un’altra parola solo per concludere. Infatti laconoscenza di questa doppia rappresentazione dellafilosofia, è solo, ma è propriamente, l’inizio balbettante,ma l’inizio, di una teoria della filosofia. Che questa teoriasia una teoria embrionale, che sia appena delineata inquella che sembrava essere una semplice polemica,nessuno lo contesterà. Ma almeno queste indicazioni diLenin, se si vuole raccoglierle, hanno il risultato ineditodi spostare la questione in un problema e di sottrarrequella che si chiama la filosofia marxista allaruminazione di una pratica filosofica che è, da sempre, inmodo assolutamente dominante, quella della denegazionedella propria pratica reale.In questo senso Lenin risponde – ed è il primo a farlogiacchè nessuno, nemmeno Engels, l’aveva fatto primo dilui – alla profezia dell’XI Tesi. Risponde personalmentecon lo «stile» della propria pratica filosofica. Praticaselvaggia, nel senso in cui Freud parla di analisiselvaggia, che non fornisce i titoli teorici delle proprieoperazioni, e che fa gridare la filosofiadell’«interpretazione» del mondo: la quale può anchevenire chiamata filosofia della denegazione.Il fatto è che questa pratica è una nuova praticafilosofica: nuova per il fatto che non è più quellaruminazione che s’identifica appunto con la pratica delladenegazione, in cui la filosofia, che pure non smette maidi intervenire «politicamente» nelle questioni in cui sidecide il destino reale delle scienze, tra lo scientifico cheesse instaurano e l’ideologico che le minaccia, e che nonsmette mai di intervenire «scientificamente» nelle lotte incui si decidono le sorti delle classi, tra lo scientifico che èal loro servizio e l’ideologico che le minaccia – nega

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Ciò che tenterò di dire potrebbe infatti meritare questotitolo se, come spero, potessi comunicarvi qualcosa sullafilosofia, qualche elemento rudimentale insomma, perl’idea di una teoria della filosofia. Teoria: qualcosa cheanticipa in un certo modo su una scienza.E appunto così vi chiedo di intendere il mio titolo: Lenine la filosofia. Non la filosofia di Lenin, bensì Lenin sullafilosofia. Ciò che noi dobbiamo a Lenin infatti, e che, purnon essendo del tutto senza precedenti forse, è peròsenza prezzo, è l’averci dato di che incominciare a poteretenere un certo tipo di discorso, un discorso che anticipasu ciò che sarà forse un giorno una teoria non filosoficadella filosofia.

II

Se tale è davvero il maggior merito di Lenin neiconfronti del nostro discorso presente, possiamo forseincominciare col regolare rapidamente una vecchiaquestione pendente tra la filosofia universitaria, ivicompresa la filosofia universitaria francese, e Lenin.Siccome sono anch’io universitario e insegno filosofia,faccio parte di quegli «intenditori» cui si rivolge Lenincon quel che segue.A quanto mi risulta, se si eccettua Henri Lefebvre chegli ha dedicato un’opera pregevolissima, la filosofiauniversitaria francese non si è degnata di interessarsi diun uomo che ha diretto la più grande rivoluzione politicadella Storia moderna e che inoltre ha lungamente ecoscienziosamente analizzato in Materialismo ed empirio-criticismo, le opere dei nostri compatrioti, Poincaré,Duhem e Rey, per non citarne altri.Chiedo venia a coloro tra i nostri maestri che potrei

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avere dimenticato, ma non mi sembra di distinguere nelmezzo secolo appena trascorso, al di fuori degli articoli difilosofi o di uomini di scienza comunisti, altro che pochepagine su Lenin: di Sartre su Les Temps Modernes del1946 (Materialismo e rivoluzione), di Merleau-Ponty (nelleAvventure della dialettica) e di Ricoeur (in un articolo suEsprit).Ricoeur parla con rispetto di Stato e rivoluzione, ma nonmi sembra abbia trattato della «filosofia» di Lenin. Sartredice che la filosofia materialista di Engels e di Lenin è«impensabile», nel senso di un Unding, un pensiero chenon può essere verificato dal semplice pensiero, perché èuna metafisica naturalista, pre-critica, pre-kantiana epre-hegeliana – ma le riconosce generosamente lafunzione di un «mito» platonico che aiuta i proletari aessere rivoluzionari. Merleau-Ponty se ne libera con unasola parola: la filosofia di Lenin è un «espediente».Rischierei sicuramente di agire in modo inopportuno seintraprendessi, sia pure con il maggiore tatto possibile, ilprocesso alla tradizione filosofica francese dacentocinquant’anni a questa parte, poiché il silenzio dicui la filosofia francese ha ricoperto questo passato valebene qualsiasi processo aperto. Questa tradizione deveoffrire uno spettacolo ben difficile da sopportare senessun filosofo francese conosciuto si è arrischiato ascriverne fino a oggi la storia.Ci vuole in effetti un certo coraggio per dire che lafilosofia francese, da Maine de Biran e Cousin a Bergsone Brunschvig, attraverso Ravaisson, Hamelin, Lachelier eBoutroux, non può essere salvata, davanti alla propriastoria se non da quei pochi grandi uomini contro cui si èaccanita, come Comte o Durkheim, o che ha seppellitonell’oblio come Cournot e Couturat; se non da alcuni

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marxista la lotta di classe ideologica. Per non eccedere ledichiarazioni di Lenin, possiamo dire che ai suoi occhi lafilosofia rappresenta la lotta di classe, ossia la politica.La rappresenta, il che presuppone un’istanza presso cuila politica è così rappresentata: questa istanza sono lescienze.Punto Nodale n. 1: rapporto tra la filosofia e le scienze.Punto Nodale n. 2: rapporto tra la filosofia e la politica.Tutto si decide in questo doppio rapporto.Possiamo allora avanzare la proposizione seguente: lafilosofia sarebbe la politica continuata in un certo modo,in un certo campo, a proposito di una certa realtà. Lafilosofia rappresenterebbe la politica nel campo dellateoria, per essere più precisi: presso le scienze, – eviceversa, la filosofia rappresenterebbe la scientificitàdella politica, presso le classi impegnate nella lotta diclasse. Come poi questa funzione sia regolata, attraversoquali meccanismi sia assicurata, attraverso qualimeccanismi possa essere falsata o finta, sia di regolafalsata, Lenin non ce lo dice. La sua convinzioneprofonda è che in ultima analisi nessuna filosofia puòevadere questa condizione, sfuggire al determinismo diquesta doppia rappresentazione, che la filosofia insommaesiste in qualche posto, come una terza istanza, traqueste due istanze maggiori, che la costituiscono appuntocome istanza: la lotta di classe e le scienze.Bastano allora ancora poche parole: se troviamo inEngels il Punto Nodale n.1, l’istanza Scienze, nontroviamo in Engels, nonostante l’accenno alla lotta delletendenze in filosofia, il Punto Nodale n.2, l’istanzapolitica. Ciò significa che Lenin non è il semplicecommentatore di Engels e che egli apporta qualcosa dinuovo e di decisivo in quello che si chiama il campo della

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dell’economia per vedere che si tratta di un concetto, enon di una semplice parola d’ordine.Lenin costata semplicemente che qualsiasi filosofiaprende partito, in funzione della sua tendenzafondamentale, contro la tendenza fondamentale opposta,attraverso le filosofie che la rappresentano. Ma nellostesso tempo constata che le filosofie, nella grandemaggioranza, tengono moltissimo a dichiararepubblicamente e a fornire la dimostrazione che esse nonprendono partito perché non sta a loro prendere partito.Così Kant: il «Kampfplatz» di cui parla, va bene per lealtre filosofie, precritiche, ma non per la filosofia critica.La sua filosofia si tiene fuori dal «Kampfplatz», in unaltro luogo, di dove si assegna appunto la funzione diarbitrare i conflitti della metafisica in nome degliinteressi della Ragione. Da quando esiste la filosofia, daldi Platone, sino al filosofo «funzionario dell’umanità» diHusserl, e anche fino a Heidegger, in certi suoi testi, lastoria della filosofia è dominata da questa ripetizione, cheè la ripetizione di una contraddizione: la denegazioneteorica della propria pratica e contemporaneamentegiganteschi sforzi teorici per registrare questadenegazione in discorsi coerenti.La risposta di Lenin a questo fatto sorprendente, chesembra costitutivo della quasi totalità delle filosofie,consiste nel dirci semplicemente qualche parolasull’insistenza di queste misteriose tendenze che siaffrontano nella storia della filosofia. Per Lenin, indefinitiva, queste tendenze sono in rapporto con posizionie quindi con conflitti di classe. Dico in rapporto perchéLenin non dice di più, e inoltre Lenin non dice mai chela filosofia si riduce alla pura e semplice lotta di classe,sia pure a quella che viene chiamata nella tradizione

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coscienziosi storici della filosofia, storici delle scienze edepistemologi che hanno lavorato pazientemente e insilenzio a formare coloro cui la nostra filosofia deve inparte, da trent’anni in qua, la sua rinascita: traquest’ultimi, che tutti conosciamo, mi sia consentitocitare soltanto gli scomparsi, Cavaillès e Bachelard2.D’altronde questa filosofia universitaria francese, dacentocinquant’anni profondamente religiosa, spiritualista ereazionaria, poi, nel migliore dei casi, conservatrice, e sultardi liberale e «personalista», questa filosofia che si èpermessa il lusso di ignorare Hegel, Marx e Freud,questa filosofia universitaria che non si è messaseriamente a leggere Kant, poi Hegel e Husserl, ascoprire l’esistenza di Frege e Russel se non da qualchedecina d’anni e a volte anche meno, perché mai sisarebbe interessata di quel bolscevico, di quelrivoluzionario, di quel politico che è Lenin?Oltre alle ragioni di classe che gravano pesantementesulle sue tradizioni propriamente filosofiche, oltre allacondanna espressa dalle sue menti più «aperte» contro«l’impensabile pensiero filosofico precritico di Lenin», lafilosofia francese di cui siamo eredi ha vissuto nellaconvinzione di non avere certamente nulla da impararedi filosofico, né da un politico né dalla politica. Tanto èvero che soltanto di recente alcuni filosofi universitarifrancesi si sono messi a studiare i grandi teorici dellafilosofia politica, Machiavelli, Spinoza, Hobbes, Grotius,Locke e anche Rousseau, il «nostro» Rousseau. Non piùdi trent’anni fa, questi autori era abbandonati a letteratie a giuristi, come avanzi.

2 Purtroppo bisogna ormai aggiungere a questa lista il nomedi Jean Hyppolite.

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Bisogna riconoscere che in fondo la filosofia universitariafrancese non si è affatto ingannata nel suo rifiutoradicale ad avere qualcosa da imparare dai politici edalla politica, e quindi anche da Lenin. Tutto ciò che harelazione con la politica può essere mortale alla filosofia,perché essa ne vive.Certo non si può dire che Lenin non abbia ripagato, e inlarga misura, la filosofia universitaria, se mai questa l’haletto. Ascoltiamolo in Materialismo ed empirio-criticismo,ove ricorda Dietzgen, quel famoso proletario tedesco dicui Marx ed Engels dicono che aveva «per conto suo», daautodidatta, e perché proletario militante, scoperto il«materialismo dialettico»:

«I professori di filosofia sono, Dietzgen, dei “servidiplomati”, i cui discorsi sui “beni ideali” abbrutiscono ilpopolo con l’aiuto di un idealismo pieno di affettazione.“Come il diavolo è il contrario del buon Dio, ilmaterialista lo è dell’universitario clericale”. La teoriamaterialistica della conoscenza è “un’arma universalecontro la fede religiosa”, e non soltanto contro “lareligione ordinaria, autentica, familiare a tutti, deicurati, ma anche contro la religione elevata,professorale, degli idealisti annebbiati”. All’equivoco degliuniversitari liberi pensatori, Dietzgen avrebbe preferitovolentieri “l’onestà religiosa”: qua almeno “c’è unsistema”, ci sono degli uomini completi che non separanola teoria dalla pratica. Per i signori professori “lafilosofia non è una scienza, bensì un mezzo di difesacontro la socialdemocrazia”.“Professori e ordinari, tutti coloro che si dicono filosofi,cadono, più o meno, malgrado la loro libertà di pensiero,nei pregiudizi, nella mistica… Nei riguardi dellasocialdemocrazia tutti costoro non formano che unamassa reazionaria. Occorre, per seguire il buon cammino

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vantaggiosamente in tutti i grandi filosofi, anche idealistie in colui che riassume tutta la storia della filosofia, inHegel. Ecco perché Lenin legge Hegel, con stupore, ma lalettura di Hegel dipende anche dalla pratica filosofica diLenin. Leggere Hegel da materialista significa tracciareentro di lui delle linee di separazione.Probabilmente mi sono spinto oltre la lettura di Lenin,ma non credo di essergli stato infedele. In ogni caso dicosemplicemente: Lenin ci fornisce di che incominciare apensare la forma specifica della pratica filosofica nellasua essenza e dare retrospettivamente un significato anumerose formule registrate nei grandi testi filosoficiclassici. Già Platone infatti, aveva a suo modo parlatodella lotta tra gli Amici delle Forme e gli Amici dellaTerra, e dichiarato che il vero filosofo deve saperedividere e tracciare linee di separazione.Rimane tuttavia ancora una questione fondamentale: checosa ne è delle due grandi correnti che si affrontanonella storia della filosofia? Lenin dà a questointerrogativo una risposta selvaggia, ma sempre unarisposta.

La presa di partito in filosofia

Questa risposta è contenuta nella tesi celebre, e, bisognapur dirlo, per molti scandalosa, della presa di partito infilosofia.Una tesi che suona come una parola d’ordinedirettamente politica in cui partito starebbe a significarepartito politico, partito comunista.Eppure basta leggere un po’ da vicino Lenin, nonsoltanto Materialismo ed empirio-criticismo, ma anche esoprattutto le sue analisi di teoria della storia e

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Che la filosofia abbia una storia e che tuttavia non viaccada nulla, diventa allora intellegibile. L’intervento diogni filosofia infatti, che sposta o modifica le categoriefilosofiche esistenti e quindi produce quei cambiamentinei discorsi filosofici in cui la storia della filosofiaesibisce la sua esistenza, questo intervento è proprio ilnulla filosofico di cui abbiamo constatata l’esistenza,giacchè, in realtà, una linea di separazione non è niente,neppure una linea, neppure un tracciato, ma il semplicefatto di «smarcamento», ossia il vuoto di una distanzapresa.Questa distanza lascia la sua traccia nelle distinzioni deldiscorso filosofico, nelle sue categorie e nel suodispositivo modificati, ma queste modificazioni non sononulla in se stesse perché agiscono solo al di fuori dellaloro presenza, nella distanza o nella non distanza chesepara le tendenze antagoniste dalle pratiche scientifiche,che sono la posta della loro lotta.Ciò che può esservi di veramente filosofico in questaoperazione di un tracciato nullo, è soltanto il suospostamento, ma questo è relativo alla storia dellepratiche scientifiche e delle scienze. C’è infatti una storiadelle scienze, e secondo le trasformazioni dellacongiuntura scientifica (ossia secondo lo stato dellescienze e dei loro problemi) e secondo lo stato deidispositivi filosofici provocati da queste trasformazioni, lelinee del fronte filosofico vengono a trovarsi spostate. Itermini che designano lo scientifico e l’ideologico sonodunque ogni volta da ripensare.C’è dunque una storia nella filosofia piuttosto che unastoria della filosofia: una storia dello spostamento, dellaripetizione indeterminata di una traccia nulla i cui effettisono reali. Questa storia può essere letta

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senza lasciarsi smontare dalle assurdità religiose ofilosofiche, studiare la più falsa delle vie false (denHolzweg der Holzwege), la filosofia”» (Materialismo edempirio-criticismo, p. 270)3.

E’ un testo inesorabile, ma che sa anche distinguere tra«liberi pensatori» e «uomini completi», anche religiosi, iquali hanno un «sistema» non soltanto speculativo maiscritto nella loro pratica. E’ anche un testo lucido: non acaso si chiude con queste sorprendenti parole diDietzgen, citate da Lenin: noi abbiamo bisogno di seguireuna via giusta; ora, per seguire una via giusta bisognastudiare la filosofia che è «la più falsa delle vie false»,ossia delle vie che non portano in nessun posto (denHolzweg der Holzwege). Il che significa propriamente chenon può esserci una via giusta (dobbiamo intendere: nellescienze, ma innanzi tutto nella politica) senza uno studio,e oltre questo senza una teoria della filosofia come falsavia, ossia come via che non porta in nessun posto.Ecco probabilmente la ragione ultima, oltre tutte quelleche abbiamo citate prima, per cui Lenin è insopportabilealla filosofia universitaria e, per non fare torto anessuno, alla grande maggioranza dei filosofi, se non atutti i filosofi, universitari o no. Ci è o ci è stato, unavolta o l’altra, filosoficamente insopportabile a tutti (parloevidentemente anche di me). Insopportabile perché infondo, nonostante tutto quello che possono raccontare sul

3 Le citazioni di Materialismo ed empirio-criticismo sono fatteseguendo la prima edizione italiana, Studio Editoriale Vivi,1946. Ndt Scriviamo in corsivo le citazioni di Dietzgen fatteda Lenin , il quale ha lui stesso sottolineato l’espressione«den Holzweg der Holzwege».

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carattere pre-critico della sua filosofia, sull’aspettosommario di certe sue categorie, i filosofi sentonobenissimo e sanno benissimo che la vera questione non èlì. Sentono e sanno benissimo che Lenin se ne infischiaaltamente delle loro obiezioni. Se ne infischia prima ditutto perché le aveva previste da tempo. Lenin stesso lodice: non sono un filosofo, sono impreparato in questocampo (lettera a Gorki, 7 febbraio 1908). Sempre Lenindice: so bene che le mie formulazioni, le mie definizionisono vaghe e imprecise; so che i filosofi accuseranno ilmaterialismo di essere «metafisico». Ma Lenin aggiunge:la questione non è lì. Non solo io non faccio la lorofilosofia, ma non «faccio» della filosofia come loro. Il loromodo di «fare» della filosofia è di spendere tesori diintelligenza e di acume per non fare altro che ruminarenella filosofia. Io invece tratto la filosofia diversamente,la pratico, come voleva Marx, conformemente a quello cheessa è. Ecco in che cosa penso di essere «materialistadialettico».Tutto questo lo si può leggere sia a chiare lettere, sia frale righe in Materialismo ed empirio-criticismo. Ed è perquesto che Lenin filosofo è insopportabile alla maggiorparte dei filosofi, i quali non vogliono riconoscere, ossiacapiscono senza confessarlo, che la vera questione è lì.La vera questione insomma, non è tanto sapere se Marx,Engels e Lenin sono o non sono veri filosofi, se le loroenunciazioni filosofiche sono formalmente ineccepibili, sedicono o no delle sciocchezze sulla «cosa in sé» di Kant,se il loro materialismo è precritico o no, ecc.: taliquestioni infatti sono e restano poste all’interno di unacerta pratica della filosofia. La vera questione riguardaproprio questa pratica tradizionale, che Lenin rimette incausa proponendo una pratica totalmente altra della

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filosofica come un intervento nel campo teorico.Intervento che riveste una doppia forma: teorica per laformulazione di categorie definite, pratica per la funzionedi queste categorie. Questa funzione consiste nel«tracciare una linea di separazione» all’interno del campoteorico tra idee dichiarate vere ed idee dichiarate false,tra lo scientifico e l’ideologico. Gli effetti di questotracciato sono duplici: positivi in quanto servono unacerta pratica – la pratica scientifica – negativi in quantodifendono questa pratica contro i pericoli di certe nozioniideologiche nel caso specifico quelle dell’idealismo e deldogmatismo. Tali, almeno, sono gli effetti prodottidall’intervento filosofico di Lenin.In questo tracciato di una linea di separazione vediamoaffrontarsi le due tendenze fondamentali di cui abbiamogià parlato. E' la filosofia materialista a tracciare questalinea di separazione per preservare la pratica scientificadagli assalti della filosofia idealista, lo scientifico dagliassalti dell’ideologico. Possiamo generalizzare questadefinizione dicendo: ogni filosofia consiste nel tracciato diuna linea di separazione maggiore mediante cui respingele nozioni ideologiche delle filosofie che rappresentano latendenza opposta alla sua; la posta di questo tracciato, equindi della pratica filosofica, è la pratica scientifica, lascientificità. Ritroviamo qui il nostro Punto Nodale n.1: ilrapporto privilegiato tra la filosofia e le scienze.Ritroviamo anche il gioco paradossale del rovesciamentodei termini in cui la storia della filosofia si annulla nelnulla che essa produce. Un nulla che non è nullo: hainfatti come posta il destino delle pratiche scientifiche,dello scientifico in genere e del suo altro, l’ideologico. Lepratiche scientifiche o vengono sfruttate o vengonoservite dall’intervento filosofico.

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Lenin nelle sue diverse opere. Questo presupporrebbeperò che sapessimo che cos’è la pratica filosofica inquanto tale.Orbene, in qualche rara occasione, Lenin si trovacostretto, per le esigenze stesse della polemica filosofica,a dire una specie di definizione della sua praticafilosofica. Ecco i due testi più netti:

«Direte che questa distinzione tra la veritàassoluta e la verità relativa è vaga. Vi risponderò:è “vaga” quel tanto che occorre per impedire allascienza di diventare un dogma nel peggior sensodella parola, cosa morta, fredda, ossificata; ma èabbastanza precisa per tracciare tra noi e ilfideismo, l’agnosticismo, l’idealismo filosofico, lasofistica dei seguaci di Hume e di Kant, una lineadi separazione decisiva e incancellabile»(Materialismo ed empirio-criticismo, p. 102).

«Non si deve certo dimenticare che il criterio dellapratica non può mai in fondo confermare oconfutare completamente un’idea umana,qualunque essa sia. Questo criterio è inoltreabbastanza “vago” per non permettere allaconoscenze umane di diventare “assolute”, ma èabbastanza determinato per permettere una lottaimplacabile contro tutte le varietà dell’idealismo edell’agnosticismo»(Materialismo ed empirio-criticismo, p. 107).

Altri testi confermano la posizione di Lenin. Non sitratta manifestamente di formule isolate e casuali, ma diun pensiero profondo.Lenin definisce dunque l’essenza ultima della pratica

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filosofia.Questa nuova pratica porta in sé qualcosa come lapromessa o l’embrione di una conoscenza oggettiva delmodo d’essere della filosofia come Holzweg der Holzwege.Ora l’ultima cosa che i filosofi e la filosofia possonosopportare, l’intollerabile, è forse proprio l’idea di questaconoscenza. Ciò che la filosofia non può sopportare èl’idea di una teoria (ossia di una conoscenza oggettiva)della filosofia, capace di mutare la sua praticatradizionale. Una teoria che potrebbe esserle mortale,giacchè essa vive della sua denegazione.La filosofia universitaria non può dunque tollerare Lenin(come d’altronde Marx) per due ragioni, che formano unasola e medesima ragione. Da un lato non può sopportarel’idea di avere qualcosa da imparare dalla politica e daun politico; dall’altro non può sopportare la idea che lafilosofia possa essere fatta oggetto di una teoria, ossia diuna conoscenza oggettiva.Che oltre tutto fosse un politico come Lenin, un «naïf» eun autodidatta in filosofia, ad avere l’audacia di proporrel’idea di una teoria della filosofia come essenziale a unapratica veramente cosciente e responsabile della filosofia,è evidentemente il colmo…La filosofia universitaria, o d’altro genere, anche qui nonsbaglia: se resiste con tanto accanimento a questoincontro apparentemente accidentale in cui un sempliceuomo politico le offre di che incominciare a conoscere checos’è la filosofia, è perché questo incontro colpisce giusto,colpisce nel punto maggiormente sensibile, nel puntodell’intollerabile, nel punto del «rimorso», di cuitradizionalmente la filosofia non è che la ruminazione, –esattamente nel punto in cui, per conoscersi nella suateoria, la filosofia deve riconoscere di non essere altro

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che politica investita in un certo modo, politicaproseguita in un certo modo, politica rimuginata in uncerto modo.Il fatto è che Lenin è il primo a dirlo e che può dirlosoltanto perché è un politico, non un politico qualsiasi,ma un dirigente proletario. Ecco perché Lenin èintollerabile alla ruminazione filosofica, altrettantointollerabile, e parlo pesando le parole, di Freud allaruminazione psicologica.Ci si rende ben conto che tra Lenin e la filosofia ufficialenon ci sono soltanto malintesi e conflitti di circostanza, eneppure le reazioni di suscettibilità offesa dei professoridi filosofia che si sentono dire in faccia da un semplicefiglio di maestro, piccolo avvocato diventato dirigenterivoluzionario, che essi sono, nella loro massa, soltantodegli intellettuali piccolo borghesi, degli ideologi la cuifunzione nel sistema d’educazione borghese è d’inculcarealle masse della gioventù studentesca i dogmi, critici epostcritici quanto si vuole, dell’ideologia delle classidominanti4. Tra Lenin e la filosofia ufficiale c’è unarelazione intollerabile nel vero senso della parola: quellaper cui la filosofia imperante è toccata nel vivo del suorimorso: la politica.

III

Ma per vedere bene in che modo i rapporti tra Lenin ela filosofia sono giunti a questo punto, occorre una certaprospettiva e, prima di parlare di Lenin e della filosofiamarxista dunque bisogna ricordare qual era la situazione

4 Vedi la Nota annessa alla fine del testo.

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Si può esprimere in altro modo la medesima difficoltà. Ladialettica, oggetto della filosofia, è detta una logica. Lafilosofia può davvero avere come oggetto l’oggetto dellaLogica? Sembra che la Logica tenda ormai adisinteressarsi sempre più della filosofia: essa è unascienza.Certo Engels difende contemporaneamente anche la tesidelle due tendenze, ma materialismo e dialettica da unaparte, lotta di tendenze e progresso filosoficoesclusivamente determinato dai progressi scientificidall’altra, ecco qualcosa che è ben difficile da pensareinsieme, ossia da pensare. Engels ci prova ma, anche senon si vuole prenderlo alla lettera (che è il minimo,trattandosi di un non specialista), è pur sempre chiarochi gli manca qualcosa d’essenziale.Questo significa che manca qualcosa d’essenziale al suopensiero per poter pensare. Proprio grazie a Lenin noipossiamo accorgerci che si tratta di una mancanza.Manca infatti al pensiero di Engels quello che Lenin gliapporta.Lenin apporta un pensiero profondamente coerente in cuisi trovano sistemate un certo numero di tesi radicali checircoscrivono dei vuoti, ma appunto dei vuoti pertinenti.Al centro di questo pensiero la tesi che la filosofia nonha oggetto, cioè: la filosofia non si spiega col semplicerapporto che essa ha con le scienze. Ci avviciniamo alPunto Nodale n.2. Ma ancora non l’abbiamo raggiunto.

Lenin e la pratica filosofica

Per arrivare a questo Punto Nodale n.2 dobbiamo entrarein un nuovo campo, quello della pratica filosofica.Sarebbe interessante studiare la pratica filosofica di

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del loro rapporto.Peggio ancora: egli non riuscì mai a sbarazzarsi del tuttodi un certo tema positivista dell’Ideologia tedesca. Per luila filosofia, di cui tuttavia raccomanda lo studiosistematico, deve scomparire, giacchè è soltanto illaboratorio artigianale ove sono state approntate nelpassato le categorie filosofiche necessarie alla scienza.Tempi passati, ormai. La filosofia ha fatto la sua opera.Ora deve cedere il posto alla scienza. Da quando lescienze sono scientificamente in grado di presentare ilsistema organico unitario dei loro rapporti non c’è piùbisogno né di una Naturphilosophie né di unaGeschichtphilosopie.Che cosa rimane alla filosofia? Un oggetto: la dialettica,le leggi più generali della natura (ma le scienze viprovvedono) e del pensiero. Restano dunque le leggi delpensiero, che possono venire ricavate dalla storia dellescienze. La filosofia non è dunque veramente separatadalla scienze; di qui il positivismo che minaccia certeformule di Engels, allorchè dice che essere materialisti èammettere la natura così com’è «senza aggiunteestranee»: eppure Engels sa bene che le scienze sono unprocesso di conoscenza. Ecco perché la filosofia hocomunque un oggetto: ma paradossalmente allora è ilpensiero puro, il che non dispiacerebbe all’idealismo. Checosa fa ad esempio oggi, per sua stessa ammissione,Claude Lèvi-Strauss che si richiama a Engels? Anche luistudia le leggi, diciamo le strutture del pensiero. Ricoeurgli ha dimostrato, e aveva ragione, che era Kant meno ilsoggetto trascendentale. Lèvi-Strauss non l’hasconfessato. In realtà se l’oggetto della filosofia è ilpensiero puro, è possibile richiamarsi a Engels e scoprirsikantiani, meno il soggetto trascendentale.

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della filosofia marxista.E' assolutamente escluso che io possa qui delinearne lastoria. Non siamo in grado di farlo, e per una ragionedeterminante: che bisognerebbe conoscere appunto checos’è questo x di cui dovremmo fare la storia e,sapendolo, che fossimo in condizione di sapere se questox ha o no una Storia, ossia ha o no diritto a una storia.Piuttosto che delineare, anche molto alla lontana, la«storia» della filosofia marxista, vorrei fare rilevare,attraverso testi e opere che si sono succeduti in questaStoria, l’esistenza di una difficoltà sintomatica.Una difficoltà che ha dato adito a discussioni famose, chedurano ancora oggi. E' sufficiente, per provarnel’esistenza, citare i titoli più comuni di queste discussioni:che cos’è nella sostanza la teoria marxista? Una scienzao una filosofia? Il marxismo è nella sostanza unafilosofia, «filosofia della prassi», – ma che ne è alloradelle pretese scientifiche enunciate da Marx? Il marxismoè invece nella sostanza una scienza, il materialismostorico, scienza della storia, – ma che ne è allora dellasua filosofia, il materialismo dialettico? O anche, se siaccetta la distinzione classica fra materialismo storico(scienza) e materialismo dialettico (filosofia), comepensare questa distinzione: in termini tradizionali o intermini nuovi? O anche: quali sono i rapporti tra ilmaterialismo e la dialettica nel materialismo dialettico? Oancora: che cos’è la dialettica, un semplice metodo o tuttala filosofia?Questa difficoltà, che alimenta tante discussioni, èsintomatica. Con questo vorrei suggerire che testimoniadi una realtà in parte enigmatica, di cui gli interrogativiclassici che abbiamo or ora ricordato rappresentano uncerto trattamento, ossia una certa interpretazione. Molto

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schematicamente diremo cioè, che le formulazioniclassiche interpretano questa difficoltà unicamente intermini di questioni filosofiche, all’interno quindi diquella che abbiamo chiamato la ruminazione filosofica –mentre dobbiamo pensare queste difficoltà, attraverso lequestioni filosofiche che non possono mancare diprodurre, in tutt’altri termini: in termini di problema,ossia di conoscenza oggettiva (quindi scientifica). Soltantoa questa condizione è possibile capire la confusione cheha fatto pensare prematuramente, in termini di questionifilosofiche, l’apporto teorico essenziale del marxismo allafilosofia, ossia l’insistenza di un certo problema che puòsì produrre effetti filosofici, ma appunto nella misura incui non è, in ultima analisi, una questione filosofica. Seuso di proposito questi termini, che presuppongono unadistinzione (problema scientifico, questione filosofica), nonè affatto per giudicare coloro che sono caduti in questaconfusione, poiché vi cadiamo tutti e abbiamo motivo dipensare che essa era, ed è ancora, inevitabile – al puntoche anche la filosofia marxista vi è rimasta e vi rimanepresa per ragioni necessarie.Basta infatti gettare un’occhiata al teatro di quella cheviene chiamata la filosofia marxista, dopo le Tesi suFeuerbach, per accorgerci che offre uno spettacolo moltoparticolare. Se si è d’accordo con me che bisogna lasciareda parte le opere giovanili di Marx (so di chiedere unaconcessione difficile a molti nonostante la validità delleragioni avanzate) e sottoscrivere la dichiarazione di Marxche l’Ideologia tedesca costituisce la «chiusura dei conti conla sua coscienza filosofica anteriore», dunque una rottura euna svolta decisiva nel suo pensiero, – e se ci si soffermaa considerare ciò che avviene fra le Tesi su Feuerbach(primo indice della «rottura», 1845) e l’Antidühring di

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delle nostre modificazioni, sempre possibili, dellaterminologia). Solo il ciarlatanismo o l’indigenzaintellettuali possono esigere per queste due “serie” diconcezioni ultime, infinitamente larghe, definizioni chenon siano che “semplici ripetizioni”: l’una o l’altra sonoconsiderate come primarie» (Materialismo ed empirio-criticismo, p. 110).

Il rovesciamento, che è formalmente il nulla che siproduce nella filosofia, nel suo discorso esplicito, non èperò nullo, o meglio è l’effetto di un annullamento,l’annullamento di una gerarchia anteriore sostituita dellagerarchia inversa. Quello che è in gioco nella filosofiaattraverso la categorie ultime che comandano tutti isistemi filosofici, è dunque il significato di questagerarchia, il significato di questa collocazione di unacategoria in posizione dominante, è insomma, nellafilosofia, qualche cosa che fa irresistibilmente pensare auna presa di potere o a una messa al potere.Filosoficamente dobbiamo dire: una messa al potere èsenza oggetto. Una messa al potere è ancora unacategoria meramente teorica? Una presa di potere (o unamessa al potere) è politica, essa non ha oggetto, ma hauna posta: il potere appunto, e un obiettivo: gli effetti delpotere.Qui bisogna fare una piccola pausa per vedere ciò cheLenin apporta di nuovo nei confronti di Engels. Il suocontributo è enorme, se si vogliono misurare bene glieffetti di quelle che troppo spesso sono state prese persemplici sfumature.In fondo Engels che ha lampi di genio straordinariquando lavora su Marx, non ha un pensiero paragonabilea quello di Lenin. Gli succede spesso di accostaresemplicemente delle tesi piuttosto che pensarle nell’unità

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loro una storia. Siccome la filosofia non ha oggetto nonpuò accadervi nulla. Il nulla della sua storia si ripetesemplicemente il nulla del suo oggetto.Incominciamo finalmente ad avvicinarci al Punto Nodalen.2 che dipende da queste famose tendenze. La filosofianon fa che ripetere argomenti i quali rappresentano, informa di categorie, il loro conflitto di fondo: e proprioquesto loro conflitto, innominabile nella filosofia, sostienequell’eterno rovesciamento nullo di cui la filosofia è ilteatro verboso, il rovesciamento della coppia categorialefondamentale materia/spirito. Come si manifesta allorauna tendenza? Nell’ordine gerarchico che instaura fra itermini della coppia: un ordine di dominazione.Ascoltiamo Lenin:

«Fingendo di discutere soltanto Beltov, e passando sottosilenzio Engels, Bogdanov si indigna di questedefinizioni, le quali, secondo lui, non sono altro che“ripetizioni” della “formula” di Engels…secondo la qualela materia è l’elemento primordiale e lo spiritol’elemento secondario per una tendenza filosofica, mentrel’altra tendenza professa il contrario. E tutti i seguacirussi di Mach ripetono estasiati la “confutazione” diBogdanov. La menoma riflessione proverebbe loro,tuttavia, che non si possono in fondo definire le duenozioni ultime della teoria della conoscenza cheindicando quale delle due si considera come primaria.Che cosa significa dare una “definizione”? Innanzi tuttosignifica riportare una concezione data a un’altra piùlarga. Si tratta ora di sapere se esistono concezioni piùlarghe di quelle dell’esistenza e del pensiero, dellamateria e della sensazione, del fisico e dello psichico,con le quali possa operare la teoria della conoscenza.No. Sono concezioni ultime, le più larghe, che lagnoseologia non ha ancora sorpassato (fatta astrazione

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Engels (1877), non si può fare a meno di essere colpitidal lungo spazio di vuoto filosofico.La XI Tesi su Feuerbach dichiarava:

«i filosofi hanno soltanto interpretato il mondo, si trattainvece di trasformarlo».

Questa semplice frase sembrava promettere una nuovafilosofia, che non fosse più interpretazione matrasformazione del mondo. Appunto in questo modod’altronde venne letta, più di mezzo secolo dopo, daLabriola e successivamente da Gramsci, che definirono ilmarxismo essenzialmente una nuova filosofia, una«filosofia della prassi». Tuttavia, bisogna arrendersiall’evidenza, questa frase profetica non produssenell’immediato nessuna nuova filosofia, in ogni casonessun discorso filosofico nuovo, al contrario aprì soltantoun lungo silenzio filosofico. Silenzio che vennepubblicamente rotto solo da qualcosa che ebbe tutte leapparenza di un incidente imprevisto: un precipitosointervento di Engels, obbligato a entrare nella battagliaideologica contro Dühring, costretto a «seguirlo sul suostesso terreno» per fare fronte alle conseguenze politichedegli scritti filosofici di questo professore di matematicatotalmente cieco, il cui influsso si estendevapericolosamente sul socialismo tedesco.Ecco quindi una situazione ben strana: una Tesi chesembra annunciare una rivoluzione nella filosofia, – indiun silenzio filosofico di trent’anni, e infine qualchecapitolo improvvisato di polemica filosofica pubblicato daEngels per motivi politici e ideologici, come introduzionea un ottimo compendio delle teorie scientifiche di Marx.Dobbiamo forse concludere che siamo vittime di unaillusione filosofica retrospettiva leggendo la XI Tesi come

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l’annuncio di una rivoluzione filosofica? Sì e no. Maprima di dire no, credo che dobbiamo innanzi tutto direseriamente sì: sì, siamo essenzialmente vittime diun’illusione filosofica. Ciò che le Tesi su Feuerbachannunciavano era, nel linguaggio necessariamentefilosofico di una dichiarazione di rottura con tutta lafilosofia «interpretativa», qualcosa di ben diverso da unanuova filosofia: era una nuova scienza, la scienza dellastoria di cui Marx porrà le basi, ancora infintamentefragili, nell’Ideologia tedesca.Il vuoto filosofico che segue l’annuncio della Tesi XI, èdunque il pieno di una scienza, è il pieno di un lavorointenso, lungo e penoso che imposta una scienza senzaprecedenti, sulla quale Marx consumerà tutta l’esistenza,sino alle ultime righe del Capitale che non potrà maiterminare. Questo pieno scientifico rappresenta la primaragione profonda per la quale la XI Tesi, anche seannunciava profeticamente un evento capace di segnareprofondamente la filosofia, non poteva produrre unafilosofia, anzi doveva proclamare la soppressione radicaledi ogni filosofia esistente, per mettere in primo piano illavoro di gestazione teorica della scoperta scientifica diMarx.Questa soppressione radicale della filosofia è iscritta,come sappiamo, a chiare lettere nell’Ideologia tedesca.Bisogna, dice Marx, sbarazzarsi di ogni ubbia filosofica, emettersi a studiare la realtà positiva, strappare i velidella filosofia e vedere finalmente la realtà com’è.L’Ideologia tedesca giustifica questa soppressione dellafilosofia con una teoria della filosofia come allucinazionee mistificazione o, per dirla tutta, come sogno, costruitousando quelli che chiamerò i resti diurni della storiareale degli uomini concreti, resti diurni rivestiti di

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suo oggetto: sono soltanto sofismi, arzigogoli, cavilli diprofessori, accomodamenti, compromessi il cui unicoobiettivo è di mascherare la posta reale del dibattito incui è impegnata ogni filosofia: la lotta fondamentale ditendenza tra il materialismo e l’idealismo. Come inpolitica, anche qui non ci sono vie di mezzo, non ci sonomezze misure o posizioni ibride. In fondo o si è idealistio si è materialisti. Tutti coloro che non si dichiaranoapertamente tali sono soltanto dei materialisti o degliidealisti «vergognosi» (Kant, Hume).Ma allora bisogna andare più avanti e dire che se tuttala storia della filosofia non è altro che la rifritturad’argomenti in cui si consuma una sola e unica lotta, lafilosofia è semplicemente lotta di tendenze, quel«Kampfplatz» di cui parlava Kant, ma che ci getta alloranella soggettività pura e semplice delle lotte ideologiche.Significa dire che la filosofia, propriamente parlando, nonha oggetto, nel senso in cui invece una scienza ha unoggetto.Lenin arriva sin qui – il che prova se non altro cheLenin pensa. Egli dichiara che i principi ultimi delmaterialismo non possono essere dimostrati più di quantonon possono essere dimostrati (né confutati, il cheirritava Diderot) quelli dell’idealismo. Non possono esseredimostrati perché non possono costituire l’oggetto di unaconoscenza, intendiamo con questo di una conoscenzaparagonabile a quella della scienza che dimostra laproprietà dei suoi oggetti.La filosofia quindi non ha oggetto. Ma tutto è collegato.Se non avviene nulla nella filosofia, è appunto perchénon ha oggetto. Se avviene effettivamente qualcosa nellescienze, è appunto perché hanno un oggetto, di cuipossono approfondirne la conoscenza, la qual cosa procura

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forme diventi una specie di gioco per nulla. Al limite lafilosofia non ha storia, la filosofia è quello strano luogoteorico dove non avviene propriamente nulla, nulla senon questa ripetizione del nulla. Dire che non avvienenulla in filosofia è dire che la filosofia non porta innessun posto perché non va in nessun posto: le vie cheapre sono appunto, come diceva Dietzgen prima diHeidegger, degli «Holzwege», delle vie che non portano innessun posto.E' d’altronde quello che suggerisce praticamente Lenin, ilquale, sin dalle prime pagine di Materialismo ed empirio-criticismo, spiega che Mach non fa che ripetere Berkeley,alla qual cosa egli oppone, da parte propria, la propriaripetizione di Diderot. Peggio ancora, ci si accorge cheBerkeley e Diderot si ripetono l’un l’altro, poiché sonod’accordo sulla coppia materia/spirito, di cui siaccontentano di disporre diversamente i termini. Il nulladella loro filosofia è semplicemente il nulla di questorovesciamento dei termini di una coppia categorialeimmutabile (materia/spirito) che rappresenta nella teoriafilosofica il gioco delle due tendenze antagoniste che siaffrontano attraverso questa coppia. La storia dellafilosofia è allora soltanto il nulla di questo rovesciamentoripetuto. Questi restituirebbe anche il suo significato allefamose formule sul rovesciamento di Hegel da parte diMarx-Hegel, di cui già lo stesso Engels disse che non eraaltro che un rovesciamento preliminareSu questo punto bisogna riconoscere che l’insistenza diLenin non conosce limiti o scrupoli. In Materialismo edempirio-criticismo almeno, (poiché il tono cambia su questipunti nei Quaderni), si butta dietro le spalle tutte lesfumature, tutte le distinzioni, le finezze, le sottigliezzeteoriche mediante cui la filosofia si sforza di pensare il

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un’esistenza meramente immaginaria, in cui l’ordine dellecose è rovesciato. La filosofia, al pari della religione edella morale, non è altro che ideologia: non ha storia,tutto ciò che sembra succedere in essa succede in realtàfuori di essa, nella sola storia reale, quella della vitamateriale degli uomini. La scienza allora è il realestesso, conosciuto attraverso l’atto che lo sveladistruggendo le ideologie che lo velano: al primo posto diqueste ideologie, la filosofia.Fermiamoci a questo momento drammatico per precisarneil significato. La rivoluzione teorica annunciata dalla XITesi è dunque in realtà la fondazione di una nuovascienza. Servendoci di un concetto di Bachelard, noicrediamo di poter pensare l’evento teorico che inauguraquesta nuova scienza come una «rottura epistemologica».Marx fonda una nuova scienza, ossia elabora un sistemadi concetti scientifici nuovi, laddove prima non esistevache un’impalcatura di nozioni ideologiche. Marx fonda lascienza della storia, laddove non c’erano che filosofiedella storia. Quando diciamo che Marx dispone unsistema teorico di concetti scientifici nel campo in cuiprima regnavano delle filosofie della storia, noi facciamouna metafora che è soltanto una metafora: suggeriamoinfatti che in uno stesso spazio, quello della Storia, Marxsostituisce alcune teorie ideologiche con una teoriascientifica. In realtà questo campo stesso ne vienetrasformato. Con questa fondamentale riserva, propongoperò di conservare in via provvisoria la metafora, e anzidi darle una forma ancora più precisa.Se consideriamo infatti le grandi scoperte scientifichedella storia, vediamo che quelle che chiamiamo le scienzepossono venire riferite, come altrettante formazioniregionali, a quelli che chiameremo i grandi continenti

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teorici. Possiamo adesso, col distacco di cui ormaidisponiamo, e senza anticipare su un futuro che neppurenoi, al pari di Marx, faremo «cuocere nelle nostrepentole», sviluppare la nostra metafora e dire che primadi Marx, soltanto due grandi continenti erano stati apertialla conoscenza scientifica attraverso rottureepistemologiche continuate: il continente Matematica coni Greci (da Talete o da coloro che il mito di questo nomedesigna) e il continente Fisica (da Galileo e dai suoisuccessori). Una scienza come la chimica, fondata dallarottura epistemologica di Lavoisier, è una scienzaregionale del continente fisica: tutti sanno ora che essavi è iscritta. Una scienza come la biologia che, daqualche decina d’anni appena, è uscita dalla prima fasedella sua rottura epistemologica inaugurata da Darwin eMendel, integrandosi alla chimica molecolare, rientraanch’essa nel continente Fisica. La Logica, nella suaforma moderna, rientra nel continente Matematica, ecc.E' probabile, per contrapposto, che la scoperta di Freudapra un nuovo continente, di cui abbiamo appena iniziatol’esplorazione.Se la metafora fila, possiamo allora avanzare laproposizione seguente: Marx aprì alla conoscenzascientifica un nuovo e terzo continente, il continenteStoria, con una rottura epistemologica il cui primo taglio,ancora tutto tremante, è iscritto nell’Ideologia tedesca,dopo essere stato annunciato nelle Tesi su Feuerbach.Questa rottura epistemologica non è evidentemente unavvenimento puntuale. Può anche darsi che si possa, perragionamento ricorrente, e in qualche piccolo particolare,attribuirle come il presentimento di un passato. Questarottura diventa in ogni caso visibile nei suoi primi segnima questi segni inaugurano soltanto l’inizio di una storia

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degli scienziati, si profila qualcosa di molto importanteche ci porrà davanti a un altro punto nodale decisivo, ditutt’altra natura.

Tesi 3. Anche qui Lenin riprende una tesi classica,esposta da Engels nel Ludwig Feuerbach, ma le dà unaportata senza precedenti. Questa tesi riguarda la storiadella filosofia concepita come storia di una lotta secolaretra due contrapposte tendenze: l’idealismo e ilmaterialismo.Bisogna proprio dire che nella sua brusca formulazionequesta tesi urta in pieno le convinzioni della stragrandemaggioranza dei filosofi di professione. I quali potrannoanche convenire, se accetteranno di leggere Lenin, e loleggeranno pure un giorno, che le sue tesi filosofichesono meno sommarie della reputazione di cui godono. Maho ragione di temere che essi resisteranno accanitamentea quest’ultima tesi, la quale rischia di ferirli nelle loroconvinzioni più profonde: decisamente appare loro troppogrossolana, buona tutt’al più per discussioni pubbliche,ossia ideologiche e politiche. Dire che tutta la storia dellafilosofia si riduce in ultima analisi a una lotta fra ilmaterialismo e l’idealismo, significa fare d’ogni erba unfascio e svilire tutta la ricchezza della storia dellafilosofia.In realtà questa tesi viene ad affermare che,nell’essenziale, la filosofia non ha davvero una storia.Che cos’è una storia che è soltanto ripetizione delloscontro di due tendenze fondamentali? Le forme e gliargomenti della lotta possono variare, è vero, ma se tuttala storia della filosofia non è altro che la storia di questeforme, basta ricondurle alle tendenze immutabili che esserappresentano per far sì che la trasformazione di queste

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principio di Carnot, ecc.), che la scoperta decisiva cheprovoca il rimaneggiamento obbligato della filosofiamaterialista, non viene tanto dalle scienze naturaliquanto dalle scienze della storia, dal materialismo storico.In un secondo senso, Lenin apporta un argomentoimportante. Non parla più allora della filosofia in genere,bensì della filosofia materialista. Questa è, in modo suoproprio, particolarmente interessata a ciò che succedenella pratica scientifica perché rappresenta, nella sua tesimaterialista, le convinzioni «spontanee» degli scienziati inmerito all’esistenza dell’oggetto della loro scienza edell’oggettività della loro conoscenza.Lenin non si stanca mai di ripetere in Materialismo edempirio-criticismo che gli specialisti di scienze naturalisono, nella maggior parte, «spontaneamente» materialisti,per almeno una delle tendenze della loro filosofiaspontanea. Pur combattendo le ideologie dellospontaneismo della pratica scientifica (empirismo,pragmatismo), Lenin riconosce, nell’esperienza dellapratica scientifica, una tendenza materialista spontaneadella massima importanza per la filosofia marxista. Eglimette allora in rapporto le tesi materialiste necessarieper pensare la specificità della conoscenza scientifica, conla tendenza materialista spontanea degli scienziati chepraticano le scienze: come esprimenti al tempo stessopraticamente e teoricamente una sola e medesima tesimaterialista, d’esistenza e d’oggettività.Anticipo fin da ora che l’insistenza leninistanell’affermare il legame privilegiato tra le scienze e lafilosofia materialista, dimostra che si tratta di un puntonodale decisivo, che chiameremo, se volete, Punto Nodalen. 1.Ma appunto, attraverso l’accenno alla filosofia spontanea

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senza fine. Come ogni rottura, anche questa rottura èinfatti una rottura continuata, all’interno della quale sipossono osservare complessi rimaneggiamenti.In effetti si può seguire empiricamente, nella serie degliscritti marxiani, l’operazione di questi rimaneggiamentiche riguardano concetti essenziali e il loro dispositivoteorico: nel Manifesto e in Miseria della filosofia, del 1847,in Per la critica dell’economia politica, del 1857, in Salario,prezzo e profitto, del 1865, nel primo libro del Capitale, del1867, ecc. Altri rimaneggiamenti e sviluppi si ebbero poinelle opere di Lenin, in particolare inquell’impareggiabile opera di sociologia economica,purtroppo misconosciuta dai sociologi, che si chiamaSviluppo del capitalismo in Russia, nell’Imperialismo ecc.Ancora oggi noi siamo iscritti, sia che accettiamo sia cherifiutiamo di saperlo, nello spazio teorico contrassegnato eaperto da questa rottura. Come le altre rotture chehanno aperto gli altri due continenti che conosciamo,anche questa rottura inaugura una storia che non avràmai fine.Ecco perché non dobbiamo leggere la XI Tesi su Feuerbachcome l’annuncio di una nuova filosofia, bensì come quellanecessaria dichiarazione di rottura con la filosofia che fapiazza pulita per la creazione di una nuova scienza. Eccoperché, dalla soppressione radicale di ogni filosofia, finoall’«incidente» imprevisto che provocò i capitoli filosoficidell’Antidühring, si stende quel lungo silenzio filosofico incui parla soltanto la nuova scienza.La quale certamente è materialista, ma come ogni altrascienza, e appunto per questo la sua teoria generaleporta il nome di «materialismo storico». Il materialismo èallora semplicemente l’atteggiamento rigoroso delloscienziato davanti alla realtà del suo oggetto, che gli

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consente di cogliere, come dirà Engels, «la natura senzanessuna aggiunta estranea».Nell’espressione un po’ strana di «materialismo storico»,(giacché per designare la chimica non si usa l’espressionematerialismo chimico), il termine materialismo registracontemporaneamente la rottura preliminare conl’idealismo delle filosofie della storia e l’instaurazionedella scientificità della storia. Materialismo storico vuoldire allora scienza della storia. Se qualcosa come lafilosofia marxista può allora mai nascere, dovrebbe esseredalla gestazione stessa di questa scienza, sorella del tuttooriginale certo, ma nella sua originalità stessa sorelladelle scienze esistenti, dopo un lungo intervallo di tempoche separa sempre un avvenimento filosofico dallarivoluzione scientifica che lo provoca.In effetti se vogliamo spingerci oltre nei motivi di questosilenzio filosofico, ci troviamo portati a proporre qui,limitandoci a illustrarla con dati puramente empirici, unatesi sui rapporti tra le scienze e la filosofia. Lenin iniziail suo libro Stato e rivoluzione con questa sempliceannotazione empirica: lo Stato non è sempre esistito;l’esistenza dello Stato si osserva soltanto nelle societàclassiste. Nello stesso modo noi diremo: la filosofia non èsempre esistita; l’esistenza della filosofia si osservasoltanto in un mondo che comporta quella che si chiamauna scienza, o più scienze. Scienza in senso stretto:disciplina teorica, cioè ideale e dimostrativa, e nonaggregato di risultati empirici.Ed ecco in breve le illustrazioni empiriche di questa tesi.Perché la filosofia nasca o rinasca, è necessario che lescienze siano. Forse per questo la filosofia in sensostretto è cominciata soltanto con Platone, suscitata anascere dall’esistenza della Matematica greca; è stata

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scientifica, Lenin adotta esattamente la medesimaposizione. Se Lenin ha scritto «senza teoria rivoluzionarianiente movimento rivoluzionario», potrebbe altrettanto beneavere scritto: senza teoria scientifica niente produzione diconoscenze scientifiche. La sua difesa delle esigenze dellateoria nella pratica scientifica ricalca esattamente la suadifesa delle esigenze della teoria nella pratica politica. Ilsuo anti-spontaneismo riveste allora la forma teoricadell’anti-empirismo, dell’anti-positivismo e dell’anti-pragmatismo.Ma nello stesso modo in cui il suo anti-spontaneismopolitico presuppone il più profondo rispetto dellaspontaneità delle masse, così il suo anti-spontaneismoteorico presuppone il più grande rispetto della pratica nelprocesso della conoscenza. Neppure per un istante, nénella sua concezione della scienza, né nella suaconcezione della politica, Lenin cade nel teoricismo.Questo primo punto consente di capire il secondo. Lafilosofia materialista è, agli occhi di Lenin,profondamente legata alla pratica scientifica. Mi pare chequesta tesi debba essere intesa in due sensi.Innanzi tutto in un primo senso estremamente classicoche illustra quanto abbiamo potuto osservareempiricamente nella storia dei rapporti che legano ognifilosofia alle scienze. Per Lenin ciò che accade nellescienze interessa in prima persona la filosofia. Le grandirivoluzioni scientifiche provocano rivolgimenti importantinella filosofia. E' la nota tesi di Engels: il materialismo cambia di formaad ogni grande scoperta scientifica; tesi difesa anche daLenin il quale dimostra, diversamente e meglio di Engels,affascinato invece dalle conseguenze filosofiche dellescoperte delle scienze naturali (la cellula, l’evoluzione, il

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legame è rappresentato dalle tesi materialistadell’oggettività.Due punti sono qui essenziali.Il primo concerne la natura della conoscenza scientifica.Le indicazioni contenute in Materialismo ed empirio-criticismo sono riprese, sviluppate e approfondite neiQuaderni sulla dialettica: esse danno tutto il lorosignificato all’anti-empirismo e all’anti-positivismo diLenin, all’interno stesso della concezione della praticascientifica. Sotto questo aspetto Lenin deve essere ancheconsiderato come un testimone che parla della praticascientifica da autentico esperto. Basta leggere i testi dalui consacrati al Capitale fra il 1898 e il 1905, la suaanalisi dello Sviluppo del capitalismo in Russia, pervedere che la sua pratica scientifica di teorico marxistadella storia, dell’economia politica e della sociologia ècostantemente accompagnata da acute riflessioniepistemologiche, che i suoi testi filosofici non fanno cheriprendere in forma più generale.Quello che Lenin mette in evidenza, e ancora una voltaattraverso categorie che possono essere contaminate daisuoi riferimenti empiristi (come, ad esempio, la categoriadi riflesso), è l’anti-empirismo della pratica scientifica, lafunzione decisiva dell’astrazione scientifica, meglio ancoradella sistematicità concettuale, e, in maniera piùgenerale, la funzione della teoria in quanto tale.Politicamente Lenin è conosciuto per la sua critica dello«spontaneismo» che prende di mira, bisogna dirlo, non laspontaneità, le risorse, l’invenzione, il genio delle massepopolari, bensì un’ideologia politica che, dietro il riparo diun’esaltazione verbale della spontaneità delle masse, lasfrutta per spingerla in una politica falsa. Non ci siavvede però, che nella sua concezione della pratica

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sconvolta da Cartesio, provocata alla sua rivoluzionemoderna dalla fisica galileiana; è stata riformataradicalmente da Kant, sotto l'effetto della scopertanewtoniana; è stata trasformata da Husserl, sotto lostimolo delle prime assiomatiche, ecc.Mi limito a suggerire questo tema, che andrebbeverificato per fare osservare, sempre in modo empirico,che Hegel non aveva in fondo tutti i torti quando dicevache la filosofia sorge una volta scesa la notte: allorchè lascienza, nata all’alba, ha già percorso l’arco di una lungagiornata. Sulla scienza che la provoca a nascere nella suaprima forma, o a rinascere nelle sue rivoluzioni, lafilosofia ha dunque sempre il ritardo di una lungagiornata, che può durare anni, vent’anni, mezzo secolooppure anche un secolo.C’è da pensare che lo choc delle rotture scientifiche nonsi faccia sentire al momento, e che ci voglia tempoaffinchè la filosofia ne venga trasformata. E c’èevidentemente anche da concluderne che il lavoro digestazione filosofica è impegnato in una continuarivincita col lavoro di gestazione scientifica, ciascuno deidue essendo al lavoro nell’altro. E 'chiaro che le nuovecategorie filosofiche vengono elaborate nel travaglio dellanuova scienza. E' vero anche però, che in certi casi(Platone, Cartesio appunto) la filosofia serve anche dalaboratorio teorico in cui sono messe a punto le nuovecategorie richieste dai concetti della nuova scienza. Tantoper fare un esempio, non fu forse elaborata nelcartesianesimo la nuova categoria della causalità,necessaria alla fisica galileiana, la quale inciampavanella causa aristotelica come in un «ostacoloepistemologico»? Se si aggiunge che i grandi eventifilosofici che conosciamo (la filosofia antica uscita da

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Platone, la filosofia moderna uscita da Cartesio)rimandano chiaramente all’apertura provocante dei duegrandi continenti scientifici, la Matematica greca e laFisica galileiana, possiamo enunciare (giacchè tutto ciòresta empirico) alcune inferenze su quella che pensiamodi potere chiamare la filosofia marxista. E precisamentetre inferenze:

Prima inferenza. Se Marx ha veramente aperto un nuovocontinente alla conoscenza scientifica, la sua scopertascientifica dovrebbe provocare un qualche rivolgimentoimportante nella filosofia. La XI Tesi era forse inanticipo: annunciava semplicemente un avvenimentomaggiore nel campo della filosofia. Sembra che potrebbeessere il caso.

Seconda inferenza. La filosofia esiste solamente nel suoritardo sulla provocazione scientifica. La filosofiamarxista dovrebbe quindi essere in ritardo sulla scienzamarxista della storia. Sembra proprio che questo sia ilcaso. Lo testimonia il vuoto di trent’anni fra le Tesi suFeuerbach e l’Antidühring, lo testimoniano anche certilunghi ristagni ulteriori, in cui continuiamo a segnare ilpasso in buona compagnia.

Terza inferenza. Abbiamo la possibilità di trovare nellagestazione della scienza marxista qualche elementoteorico, più avanzato di quanto non pensiamo, perelaborare, forti del distacco con cui possiamo guardareormai al suo ritardo, la filosofia marxista. Lenin diceva: ènel Capitale di Marx che va cercata la sua dialettica – eintendeva con questo la filosofia marxista stessa. Deveesserci nel Capitale di che completare o foggiare le nuove

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una radicale presa di posizione filosofica contro tutte leforme dell’empirismo e del positivismo: contro l’empirismoe il positivismo di certi materialisti stessi, contro ilnaturalismo, contro lo psicologismo, contro lo storicismo(su questo punto preciso, vedi la violenza polemica controlo storicismo di Bogdanov).Bisogna confessare che da parte di un filosofo che ci siaffanna a definire, sulla base di qualche formula,precritico, prekantiano, non è poi tanto male, anzi èpiuttosto stupefacente, giacchè questo dirigente bolscevicodel 1908 che evidentemente non aveva letto alloraneppure una riga di Kant e di Hegel, ma si eraaccontentato di Berkeley e di Diderot, dà prova, perstrane ragioni, di un senso «critico» dell’avversariopositivista e di un discernimento strategico straordinarionel concetto religioso della filosofia allora «ipercritica» deltempo.La cosa più sorprendente è che Lenin si assoggetti allosforzo di prendere queste posizioni anti-empiristenell’ambito stesso della sua problematica empirista diriferimento. Che si giunga a essere anti-empiristi, purpensando ed esprimendosi nelle categorie di basedell’empirismo, ecco un exploit paradossale che pone senon altro un piccolo «problema» ai filosofi in buona fedeche vorranno prenderlo in esame.Non significherà, per caso, che il campo dellaproblematica filosofica, le formulazioni categoriali, glienunciati filosofici, sono relativamente indifferenti alleprese di posizione filosofiche? Non significherà che infondo non succede niente di essenziale in ciò che sembracostituire la filosofia? Strano.Tesi 2. Se la filosofia è distinta dalle scienze, esiste peròtra la filosofia e le scienze un legame privilegiato. Questo

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buon «filosofo», di stare andando «in qualche posto».Ma la Tesi di Lenin va oltre la congiuntura immediata.Se bisogna assolutamente distinguere la categoriafilosofica di materia da ogni concetto scientifico, allora imaterialisti che applicano le categorie filosofiche aglioggetti delle scienze come ne fossero il concetto, finisconocol rimanere presi in un «quiproquo». Esempio: chifacesse un uso concettuale della coppia categorialemateria/spirito o materia/coscienza ha molte probabilitàdi cadere in paralogismi, giacchè

«l’opposizione tra la materia e la coscienza non ha unsignificato assoluto che entro limiti assai ristretti, enella circostanza solo in quelli del problema gnoseologicofondamentale: che cos’è primordiale, che cos’èsecondario? [ossia in filosofia]. Al di là di questi limiti[ossia nelle scienze] la relatività di questa opposizionenon presenta dubbi». (Materialismo ed empirio-criticismo,p. 112).

Non posso insistere su altre conseguenze, tutte di grandeimportanza, sul fatto per esempio che la distinzione trafilosofia e scienze apre necessariamente, nella prospettivaleniniana, il campo di una teoria della storia delleconoscenze, già annunciata da Lenin nella sua teoria deilimiti storici di ogni verità (leggi: di ogni conoscenzascientifica), che egli pensa come teoria della distinzionetra verità assoluta e verità relativa (in questa teoria sonopensate, in una sola coppia di categorie, tanto ladistinzione tra la filosofia e le scienze quanto la necessitàdi una teoria della storia delle scienze).Voglio soltanto fare osservare quanto segue. Ladistinzione tra la filosofia e le scienze, tra le categoriefilosofiche e i concetti scientifici costituisce nella sostanza

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categorie filosofiche: esse sono sicuramente operanti, allo«stato pratico». Sembra che potrebbe essere il caso.Bisogna leggere il Capitale e mettersi al lavoro.La giornata è ancora lunga, ma quasi insperatamente ègià molto avanti: la notte è ormai prossima a scendere.La filosofia marxista sta per sorgere.Se prendiamo queste inferenze come prospettive, vediamoche esse mettono, oserei dire, un certo ordine nellenostre speranze, e anche in certi nostri pensieri. Capiamoallora che la ragione ultima per cui Marx, preso com’eratra la miseria, l’accanito lavoro scientifico e le scadenzedella direzione politica, non scrisse mai quella Dialettica(o quella Filosofia) che vagheggiava, non è, qualunquecosa egli abbia creduta, perché non ne abbia mai «trovatoil tempo». Capiamo allora che la ragione ultima per cuiEngels, trovandosi dall’oggi al domani costretto a doveresprimere, come dice lui stesso, «il proprio parere sullequestioni di filosofia» non riuscì a convincere i filosofi diprofessione, non è il fatto di essere stato colto allasprovvista da una polemica semplicemente ideologica.Capiamo allora che la ragione ultima dei limiti filosoficidi Materialismo ed empirio-criticismo non dipendeesclusivamente dalle esigenze della lotta ideologica.Ora possiamo dirlo. Il tempo che Marx non potè trovare,la presa in contropiede di Engels, le leggi della lottaideologica, in cui Lenin dovette accontentarsi di rivolgerecontro l’avversario le sue stesse armi costituiscono sìaltrettante scuse, ma non una ragione.La ragione ultima è invece che i tempi non erano maturi,che la notte non era ancora calata e che nè Marx stesso,nè Engels, nè Lenin potevano ancora scrivere quellagrande opera filosofica che manca al marxismo. In uncerto senso, se è vero che venivano dopo la scienza da

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cui essa dipende, venivano però ancora troppo presto peruna filosofia indispensabile sì, ma che può tuttavianascere soltanto da un necessario ritardo.Partendo dal concetto di questo «ritardo» necessario, tuttodiventava chiaro, tutto, compreso il malinteso di coloroche, quali il giovane Lukacs e Gramsci, e tanti altri chenon avevano il loro genio, avevano spinto la loroimpazienza davanti a questa filosofia troppo lenta anascere, fino ad affermare che era già nata da tempo, sindalle origini, sino dalle Tesi su Feuerbach, e quindi benprima degli inizi della scienza marxista stessa: perconvincersene, dichiaravano molto semplicemente cheessendo ogni scienza una «sovrastruttura», essendo quindiogni scienza esistente positivista nel fondo perchéborghese, la «scienza» marxista non poteva essere chefilosofica, e il marxismo una filosofia, filosofiaposthegeliana o «filosofia della prassi».Partendo dal concetto di questo «ritardo» necessario,molte altre difficoltà potevano chiarirsi, anche nellastoria politica delle organizzazioni marxiste, dei lorofallimenti e delle loro crisi. Se è vero, come testimoniatutta la tradizione marxista, che il più grande eventodella storia della lotta di classe – ossia praticamentedella storia umana – è l’unione della teoria marxista edel movimento operaio, si capisce bene come l’equilibriointerno di questa unione possa essere minacciato da queicedimenti della teoria che si chiamano deviazioni, perquanto infime possano essere; si capisce la portatapolitica di quelle accanite discussioni teoriche scoppiatein seno al Movimento socialista, poi comunista, su quelleche Lenin chiamava semplici «sfumature», giacchè, dicevain Che fare: «da una sfumatura può dipendere il futuro delpartito socialdemocratico per molti, moltissimi anni».

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lo sviluppo, ossia con l’approfondimento della conoscenzascientifica. Il significato della categoria filosofica dimateria non muta, poiché non riguarda nessun oggetto discienza, ma afferma l’oggettività di ogni conoscenzascientifica di un oggetto. La categoria di materia non puòcambiare. E' «assoluta».Le conseguenze che Lenin trae da questa distinzionesono fondamentali. Innanzitutto Lenin comincia colristabilire la verità nella cosiddetta «crisi della fisica»: lafisica non è affatto in crisi, ma in via di crescenza. Lamateria non è «scomparsa». Solo che il concetto scientificodi materia ha cambiato contenuto, e continuerà acambiarlo in futuro, perché il processo conoscitivo èinfinito nel suo stesso oggetto.La pseudocrisi scientifica della fisica non è altro che unacrisi filosofica, in cui vediamo degli ideologi, che sonoanche gli scienziati, prendersela apertamente colmaterialismo. Quando dichiarano che la materia èscomparsa bisogna udire il discorso silenzioso del lorodesiderio: potesse scomparire il materialismo!Ed ecco Lenin che denuncia e confuta tutti questi filosofiimprovvisati che credevano finalmente giunta la loro ora!Che cosa resta oggi di questi personaggi? Chi li conosceancora? Diciamo almeno che quell’ignorante di filosofiache era Lenin, aveva se non altro del discernimento. Equale filosofo di professione seppe come lui, senzaaspettare né avere un attimo d’esitazione, impegnarsi cosìa fondo e con tale sicurezza, assolutamente solo, controtutti, in una battaglia apparentemente perduta? Mipiacerebbe venisse fatto qualche nome – al di fuori diHusserl, allora oggettivamente alleato di Lenin control’empirismo e lo storicismo – ma alleato provvisorio e chenon potè mai incontrarlo, giacchè Husserl credeva, da

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sulle formulazioni ma anche su certe articolazioni delpensiero di Lenin, nessuno tuttavia può negare che Leninpensi, ossia pensi sistematicamente e rigorosamente.Questo pensiero è appunto ciò che ci importa, per il fattoche enuncia delle Tesi. Eccole enunciate nella loro nudaessenza. Ne distinguerò tre:

Tesi 1. La filosofia non è una scienza. La filosofia èdistinta dalle scienze. Le categorie filosofiche sonodistinte dai concetti scientifici.E' una tesi basilare. Il punto chiave in cui si decide ilsuo destino è la categoria di materia, punto sensibilequant’altri mai per una filosofia materialista e per tuttele anime filosofiche che vogliono la sua salvezza, ossia lasua morte. Ora Lenin dice chiaro e tondo che ladistinzione tra la categoria filosofica di materia e ilconcetto scientifico di materia è vitale per la filosofiamarxista.

«La materia è una categoria filosofica» (Materialismo edempirio-criticismo, p.96 ).

«L’unica proprietà della materia, la cui ammissionedefinisce il materialismo filosofico, è quella di essereuna realtà oggettiva» (Materialismo ed empirio-criticismo,p. 206)

Ne consegue che la categoria filosofica di materia, che ècongiuntamente Tesi d’esistenza e Tesi d’oggettività, nonpuò mai essere confusa con i contenuti dei concettiscientifici di materia. I concetti scientifici di materiadefiniscono delle conoscenze, relative alla condizionestorica delle scienze, sull’oggetto di queste scienze. Ilcontenuto del concetto scientifico di materia cambia con

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Possiamo allora essere tentati di pensare che, essendo lateoria marxista quello che è, una scienza e una filosofia,e avendo la filosofia dovuto tardare sulla scienza, laquale ne è stata frenata nel suo sviluppo, questedeviazioni teoriche fossero in fondo inevitabili, nonsoltanto a causa degli effetti della lotta di classe sulla enella teoria, ma a causa del décalage interno alla teoriastessa.In effetti, ritornando sul passato del movimento marxistaoperaio, possiamo chiamare col loro nome le deviazioniteoriche che portarono ai grandi insuccessi storiciproletari, quello della II Internazionale, tanto per fare unesempio. Queste deviazioni si chiamano: economismo,evoluzionismo, volontarismo, umanesimo, empirismo,dogmatismo, ecc. Queste deviazioni sono nella sostanzafilosofiche, e come filosofiche sono state denunciate daigrandi dirigenti operai, Engels e Lenin per primi.Ma allora siamo molto vicini a capire perché esseabbiano travolto quegli stessi che le denunciavano: nonerano forse in un certo senso inevitabili, in funzionestessa del necessario ritardo della filosofia marxista?Andiamo sino in fondo. Se le cose stanno così, alloraanche nella profonda crisi che divide oggi il Movimentocomunista internazionale, i filosofi marxisti possonosussultare e tremare davanti al compito insperato, aforza d’essere sperato, che la storia assegna e affida loro.Se davvero, come tanti segni sembrano confermare, ilritardo della filosofia marxista può oggi in parte esserecolmato, non è soltanto il passato che ne sarà illuminato,ma fors’anche il futuro trasformato.In questo futuro trasformato, sarà resa giustizia a tutticoloro che avranno dovuto vivere nella contraddizione tral’urgenza politica e il ritardo filosofico. E sarà resa

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giustizia a uno dei più grandi, Lenin. Giustizia: la suaopera filosofica sarà allora compiuta. Compiuta, ossiacompletata e corretta. Noi dobbiamo questo servizio equesto omaggio all’uomo che ebbe la fortuna di nascere atempo per la politica, ma la disgrazia di nascere troppopresto per la filosofia. Dopo tutto, chi sceglie la propriadata di nascita?

IV

Possiamo a questo punto, istruiti della «storia» dellateoria marxista delle ragioni del ritardo della filosofiamarxista sulla scienza della storia, prendere direttamentein mano Lenin, ed entrare nella sua opera. Ma allora ilnostro «sogno» filosofico si dissolve: le cose non hanno lasua bella semplicità.Anticipo sulle mie conclusioni. No, Lenin non era natotroppo presto per la filosofia. Non si nasce mai troppopresto per la filosofia. Se la filosofia è in ritardo, e sel’essere in ritardo la fa appunto filosofia, come si puòmai essere in ritardo su un ritardo che non ha storia? Sebisogno ancora a ogni costo parlare di ritardo, siamo noia essere in ritardo su Lenin. Il nostro ritardo è soltantol’altro nome di un fraintendimento, perché noi ciinganniamo filosoficamente sui rapporti tra Lenin e lafilosofia. I rapporti tra Lenin e la filosofia si esprimonosì nella filosofia, all’interno del «gioco» che costituisce lafilosofia come filosofia, ma questi rapporti non sonofilosofici, perché questo «gioco» non è filosofico.Vorrei tentare di esporre i motivi di queste conclusioni inuna forma che, condensata e sistematica, risulterà perforza molto «filosofica» di Lenin, Materialismo ed empirio-criticismo. Dividerò questa esposizione in tre punti: 1) Le

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grandi Tesi filosofiche di Lenin; 2) Lenin e la praticafilosofica; 3) Lenin e la posizione di partito in filosofia.In occasione di ciascuno di questi punti cercherò didimostrare quello che Lenin apporta di nuovo alla teoriamarxista.

Le grandi Tesi filosofiche di Lenin

Per Tesi intendo, come tutti, le prese di posizionefilosofiche di Lenin, registrate in enunciatifilosofici. Lascio da parte, per il momento, l’obiezione cheha servito da schermo o da pretesto alla filosofiauniversitaria per non leggere Materialismo ed empirio-criticismo: la terminologia categoriale, i riferimenti storici,ossia le ignoranze di Lenin.E' un dato di fatto che meriterebbe da solo tutto unostudio, che Lenin si situa, sotto molti aspetti e fin dallasorprendente «ouverture» di Materialismo ed empirio-criticismo, in cui veniamo bruscamente rimandati aBerkeley e a Diderot, nello spazio teorico dell’empirismodel XVIII secolo, dunque in una problematica filosofica«ufficialmente» precritica, se si pensa che la filosofiadiventa «ufficialmente» critica con Kant.Una volta riscontrata l’esistenza di questo sistema diriferimento, una volta conosciuta la sua logicastrutturale, le formulazioni teoriche di Lenin si spieganoappunto come effetti di questa logica, comprese leincredibili distorsioni che Lenin fa subire allaterminologia categoriale dell’empirismo, per volgerlacontro l’empirismo stesso. Se infatti egli pensa nellaproblematica dell’empirismo oggettivo (Lenin diceaddirittura del «sensismo oggettivo») e se il fatto dipensare in questa problematica incide spesso non soltanto

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