Lorenzo Panepinto

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NERO GIALLO CIANO MAGENTA Omicidio Panepinto, nessun colpevole DINO PATERNOSTRO Non si può dire che fu la giustizia a trion- fare quel 7 aprile 1914, nell’aula del Tri- bunale di Catania dove si era riunita la Corte d’Assise. Infatti, dopo un dibatti- mento durato appena 11 giorni, venne letta una sentenza, che lasciò con l’ama- ro in bocca i contadini di S. Stefano Qui- squina. «Avendo i giurati dato risposta negativa alle domande se l’imputato ab- bia ucciso Lorenzo Panepinto ed abbia tentato di uccidere Antonio Picone e Ignazio Reina – disse il presidente, cava- lier Sgroi – l’imputato Giuseppe Anzalo- ne deve essere dichiarato assolto per non aver commesso i fatti a lui attribuiti e pertanto si ordina la di lui scarcerazio- ne». Una sentenza "scandalosa", che la- sciò impunito l’assassinio di uno dei più amati dirigenti socialisti del movimento contadino isolano. Ma, per certi versi, una sentenza obbligata. Il vero scandalo, infatti, era accaduto qualche ora prima, quando la parte civile si era ritirata ina- spettatamente dal processo. A darne co- municazione era stato l’avv. Luigi Mac- chi. «Poiché non esclusa la possibilità di un equivoco di identificazione, per man- dato delle nostre costituenti, ci ritiriamo dalla causa», disse il legale, che era un noto esponente del socialismo catanese. Con lui, si erano ritirati anche gli altri av- vocati di parte civile, Gaspare Nicotri e Francesco Alessi, componenti della dire- zione regionale del Partito Socialista. In- credibilmente, la motivazione del ritiro stava tutta in quella «possibilità di equi- voco di identificazione», esclusa con fer- mezza dalla teste Provvidenza Rumore, che aveva visto in faccia l’assassino e che, coraggiosamente, confermò la cir- costanza davanti alla Corte. Tra l’altro, nemmeno gli avvocati difensori erano riusciti a smontarne la testimonianza con circostanze oggettive. Essi, infatti, poterono solamente fare delle insinua- zioni sulla sua condotta morale, che lo stesso codice di procedura penale di al- lora vietava. Le udienze processuali si erano aperte il 28 marzo 1914, con la lettura dei capi d’accusa contro Giuseppe Anzalone, 26 anni, originario di Lercara Friddi, cam- piere dell’ex feudo "Melia" di cui erano gabelloti i fratelli Petta. Grazie alla testi- monianza della Rumore e di tanti conta- dini stefanesi, tutto lasciava presagire che si potesse arrivare almeno alla con- danna di uno degli esecutori materiali del delitto. Allora perché quella scelta di ritirarsi, avallata dalla moglie e dei figli del Panepinto? È lecito pensare che in- tervennero fatti nuovi. Probabilmente, pressioni e minacce talmente forti, da indurre i familiari della vittima e i loro avvocati a ritirarsi. Il processo, infatti, si era svolto a Catania per legittima suspi- cione chiesta dagli avvocati di parte civi- le per ben due volte. E fu concessa con la motivazione che l’Anzalone era "figlioc- cio" del Ministro di Grazia e Giustizia on. Camillo Finocchiaro Aprile, anche lui di Lercara Friddi. Ma dietro il killer dovevano esserci i mandanti. Alcuni di essi erano stati indi- viduati e denunciati dalla polizia e dai carabinieri di S. Stefano Quisquina, tanto che il 2 giugno 1911 il prefetto di Agri- gento aveva scritto al Ministero degli in- terni, comunicandone i nomi: Rosario Ferlita, Domenico Ferlita, Giuseppe Fer- lita, Ignazio Scolaro e Giovanni Battista Scolaro, tutti grossi gabelloti degli ex feudi di S. Stefano Quisquina. Ma, tre an- ni dopo, il processo venne istruito solo a carico dell’Anzalone, perché tutti gli in- dividui denunciati come mandanti fu- rono prosciolti in sede istruttoria. Il de- litto Panepinto rimase, dunque, senza colpevoli. Il coraggioso maestro elemen- tare di questo paese dell’agrigentino, uno dei più noti dirigenti contadini fin dal tempo dei Fasci, era stato assassinato la sera del 16 maggio 1911, con due colpi di fucile al petto. Gli spararono davanti la porta della sua abitazione, in via Madre Chiesa n. 21, vicina alla centralissima piazza principale, a quell’ora frequenta- ta da molta gente, mentre stava conver- sando con le signorine Cannella. Era ac- compagnato da due amici - il cav. Picone e il signor Ignazio Reina - che rimasero feriti nell’agguato. Panepinto lasciò la moglie Maria Sala e tre piccoli figli nella più completa povertà. Il dolore di Verro: «Io, morto in licenza...» Da Reggio Calabria, dove era riparato dopo l’attentato del 6 novembre 1910, Bernardino Verro inviò un telegramma per l’assassinio di Panepinto. Poi, il 19 maggio 1911, scrisse a Napoleone Colajanni. «Ha visto che cosa hanno fatto del povero Panepinto? E’ la sollevazione della mafia gabellota e clericale contro gli organizzatori delle affittanze collettive. La verità è così terribile che mi rende quasi pazzo dallo sconforto. Il povero Panepinto cadde fulminato, ed io, tutte le volte che guardo la ferita del mio polso sinistro scorgo nella mia cicatrice il cadavere mio e quello del mio buon amico e compagno... Che cosa mi resta da fare? Diventare anch’io delinquente e vendicarmi col piombo e la dinamite, o aspettare come un morto in licenza che fra poco sarà assassinato?». In alto la piazza principale di Santo Stefano Quisquina, la casa di Lorenzo Panepinto e Peppe Cammarata, amico di Panepinto, che divenne sindaco di Santo Stefano Quisquina nel 1920 Al centro Lorenzo Panepinto, ucciso con due colpi di fucile al petto il 16 maggio del 1911. Maestro elementare, Panepinto era uno dei leader del movimento contadino Tutti assolti gli imputati dell’uccisione del leader contadino La deposizione di una teste oculare non servì a inchiodare i veri responsabili (d.p.) Lorenzo Panepinto nacque a S. Stefano Quisquina il 4 gennaio 1865, da Federico ed Angela Susinno. Fu maestro elementare e si dilettò pure di pittura. La sua vera passione era, però, la politica, che cominciò a praticare dal 1889, quando fu eletto consigliere comunale nel gruppo dei democratici mazziniani, che mise in minoranza il gruppo dei liberal-moderati fino ad allora al potere. La vecchia maggioranza reagì rabbiosamente, riuscendo a far sciogliere il consiglio comunale ed insediando il regio commissario Roncourt, la cui condotta partigiana non riuscì ad impedire una seconda sconfitta dei conservatori nelle elezioni dell’agosto 1890. Il governo del marchese Di Rudinì commissariò nuovamente il comune e Panepinto si dimise per protesta, dedicandosi all’insegnamento e alla pittura. Poi si sposò e partì per Napoli, ma al ritorno, nel 1893, la Sicilia era in subbuglio per il movimento dei Fasci. Fondò, quindi, il Fascio di S. Stefano, che pochi mesi dopo venne sciolto dal governo Crispi, come tutti gli altri Fasci dell’isola. Per rappresaglia politica fu licenziato dal comune dal posto di maestro elementare, ma non si scoraggiò e continuò i suoi studi pedagogici e di metologia didattica, pubblicando due interessanti volumi nel 1897. Nei primi del ’900, alla ripresa degli scioperi agricoli, Panepinto fu di nuovo in prima linea, al fianco di dirigenti come il corleonese Bernardino Verro e il prizzese Nicola Alongi, insieme ai quali avrebbe messo a punto un cambiamento di strategia politica, puntando a dare ai contadini gli strumenti delle cooperative agricole e delle Casse Agrarie, per emarginare i gabelloti dei feudi. Tra il 1907 e il 1908 fu in America, ma ritornò nuovamente al suo paese. A circa 10 anni dalla morte di Panepinto, nell’ottobre 1920, i socialisti di S. Stefano riuscirono a conquistare il municipio, eleggendo sindaco il mitico Peppe Cammarata, suo amico e collaboratore, che ne continuò la battaglia. La scheda Documenti C M Y N LA LAPIDE CHE RICORDA L’OMICIDIO PANEPINTO Fatale il ricorso alle «affittanze collettive» LA STORIA. Il sistema escogitato consentiva di superare l’intermediazione dei gabelloti mafiosi La notizia dell’assassinio di Lorenzo Panepinto eb- be una vasta eco su tutti i giornali siciliani e su al- cuni quotidiani nazionali. Il giorno dopo, si svol- sero i funerali, ai quali partecipò una folla enorme di oltre 4.000 persone, che portò in corteo la ba- ra scoperta. C’erano molte donne che piangevano, i rap- presentanti di diverse leghe contadine e persino una bandiera anarchica. La commemorazione uf- ficiale fu fatta in piazza Castello, dove, tra gli altri, parlò l’on. Alessandro Tasca. «E’ tempo di deci- dersi – disse Tasca – perché dopo le fucilate in- cruente contro Bernardino Verro (il leader dei contadini di Corleone aveva subito un attentato la sera del 6 novembre 1910 - ndr), dopo quelle che hanno squarciato il petto a Lorenzo Panepinto, una lotta senza quartiere è stata apertamente di- chiarata agli organizzatori del proletariato agri- colo». «E’ il duello mortale ripreso contro i nostri con- tadini a distanza di venti anni circa dai Fasci – ag- giunse Tasca – e noi diciamo in nome del prole- tariato siciliano al governo: - O con la maffia pa- dronale o con l’evoluzione economica e civile dei lavoratori siciliani». E il governo di allora scelse, ovviamente, di stare con la "maffia padronale". Non a caso, le indagini furono lente e farragi- nose e gli esiti processuali quelli che abbiamo ri- portato sopra. Eppure, il contesto in cui era ma- turato l’assassinio appariva abbastanza chiaro. Lorenzo Panepinto, che nel 1893 aveva fondato il Fascio contadino di S. Stefano Quisquina, su sol- lecitazione dei dirigenti socialisti della vicina Prizzi, in provincia di Palermo, agli inizi del nuo- vo secolo aveva dato vita alle "affittanze colletti- ve". «In quel momento – dice il prof. Salvatore Lu- po – Panepinto riusciva a riprendere in pieno il fi- lo interrotto dalla repressione dei fasci. Riusciva ad incidere finalmente, ma in quello stesso mo- mento decideva della propria sorte, come acca- deva anche a Bernardino Verro. Dinanzi alla no- vità rappresentata dalle affittanze, la mafia del feudo mutava la sua strategia ed addirittura tro- vava nuovi canali di arricchimento e di controllo sociale, andando anche ad uno svuotamento e ad una conquista dall’interno delle cooperative. Se le cosche mafiose incontravano sulla loro strada di- rigenti prestigiosi e capaci, oltre che onesti, come Panepinto e Verro, sceglievano il terrorismo po- litico come arma più efficace». Con le "affittanze collettive", infatti, i contadi- ni ottenevano direttamente dai proprietari ter- rieri la gestione degli ex feudi, "saltando" l’inter- mediazione parassitaria dei gabelloti mafiosi, che si videro colpiti nei loro interessi. Da qui la loro fe- roce reazione. Tra l’altro, a S. Stefano Quisquina Lorenzo Pa- nepinto era riuscito già nel 1910 ad ottenere l’af- fittanza collettiva dell’ex feudo "Mailla". E il 6 gennaio 1911 aveva costituito la Cassa Agraria Sociale Cooperativa, che poteva esercitare il cre- dito agrario ai contadini, assumere in affitto le terre, fare prestiti fruttiferi, acquistare sementi, concimi, sostanze anticrittogamiche, bestiame, macchine e attrezzi da distribuire ai contadini, e vendere collettivamente prodotti agricoli. Fino ad allora a S. Stefano era la Cassa Rurale Cattolica, presieduta da Felice Leto, che aveva l’assoluto dominio dell’economia e della politica. E Leto era cognato di Rosario Ferlita, denunciato come uno dei mandanti dell’assassinio Panepinto. «A queste graduali, ma incessanti conquiste, eb- be occasione di accennare il Panepinto nell’ulti- mo comizio del 1° maggio, che riuscì imponen- tissimo – scrisse Gaspare Nicotri su "L’Avanti!" del 31 maggio 1991 – e ricordò che il proletaria- to di S. Stefano si avanza sulla via del riscatto del- la servitù economica, sia per mezzo del credito agrario, sia per mezzo della cooperazione». Con le "affittanze collettive" e la Cassa Agraria Sociale Panepinto stava davvero disturbando "lorsignori", che decisero allora di chiudere per sempre la partita con due colpi di fucile. D.P. 36. DOMENICA 12 GIUGNO 2005 LA SICILIA Palermo

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Lorenzo Panepinto

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NERO GIALLO CIANO MAGENTA

Omicidio Panepinto, nessun colpevole

DINO PATERNOSTRO

Non si può dire che fu la giustizia a trion-fare quel 7 aprile 1914, nell’aula del Tri-bunale di Catania dove si era riunita laCorte d’Assise. Infatti, dopo un dibatti-mento durato appena 11 giorni, venneletta una sentenza, che lasciò con l’ama-ro in bocca i contadini di S. Stefano Qui-squina. «Avendo i giurati dato rispostanegativa alle domande se l’imputato ab-bia ucciso Lorenzo Panepinto ed abbiatentato di uccidere Antonio Picone eIgnazio Reina – disse il presidente, cava-lier Sgroi – l’imputato Giuseppe Anzalo-ne deve essere dichiarato assolto per nonaver commesso i fatti a lui attribuiti epertanto si ordina la di lui scarcerazio-ne». Una sentenza "scandalosa", che la-sciò impunito l’assassinio di uno dei piùamati dirigenti socialisti del movimentocontadino isolano. Ma, per certi versi,una sentenza obbligata. Il vero scandalo,infatti, era accaduto qualche ora prima,quando la parte civile si era ritirata ina-spettatamente dal processo. A darne co-municazione era stato l’avv. Luigi Mac-chi. «Poiché non esclusa la possibilità diun equivoco di identificazione, per man-dato delle nostre costituenti, ci ritiriamodalla causa», disse il legale, che era unnoto esponente del socialismo catanese.Con lui, si erano ritirati anche gli altri av-vocati di parte civile, Gaspare Nicotri eFrancesco Alessi, componenti della dire-zione regionale del Partito Socialista. In-credibilmente, la motivazione del ritirostava tutta in quella «possibilità di equi-voco di identificazione», esclusa con fer-mezza dalla teste Provvidenza Rumore,che aveva visto in faccia l’assassino eche, coraggiosamente, confermò la cir-costanza davanti alla Corte. Tra l’altro,nemmeno gli avvocati difensori eranoriusciti a smontarne la testimonianzacon circostanze oggettive. Essi, infatti,poterono solamente fare delle insinua-zioni sulla sua condotta morale, che lostesso codice di procedura penale di al-lora vietava.

Le udienze processuali si erano aperteil 28 marzo 1914, con la lettura dei capid’accusa contro Giuseppe Anzalone, 26

anni, originario di Lercara Friddi, cam-piere dell’ex feudo "Melia" di cui eranogabelloti i fratelli Petta. Grazie alla testi-monianza della Rumore e di tanti conta-dini stefanesi, tutto lasciava presagireche si potesse arrivare almeno alla con-danna di uno degli esecutori materialidel delitto. Allora perché quella scelta diritirarsi, avallata dalla moglie e dei figlidel Panepinto? È lecito pensare che in-tervennero fatti nuovi. Probabilmente,pressioni e minacce talmente forti, daindurre i familiari della vittima e i loroavvocati a ritirarsi. Il processo, infatti, siera svolto a Catania per legittima suspi-cione chiesta dagli avvocati di parte civi-le per ben due volte. E fu concessa con lamotivazione che l’Anzalone era "figlioc-cio" del Ministro di Grazia e Giustiziaon. Camillo Finocchiaro Aprile, anche luidi Lercara Friddi.

Ma dietro il killer dovevano esserci imandanti. Alcuni di essi erano stati indi-viduati e denunciati dalla polizia e daicarabinieri di S. Stefano Quisquina, tantoche il 2 giugno 1911 il prefetto di Agri-gento aveva scritto al Ministero degli in-terni, comunicandone i nomi: RosarioFerlita, Domenico Ferlita, Giuseppe Fer-lita, Ignazio Scolaro e Giovanni BattistaScolaro, tutti grossi gabelloti degli exfeudi di S. Stefano Quisquina. Ma, tre an-ni dopo, il processo venne istruito solo acarico dell’Anzalone, perché tutti gli in-dividui denunciati come mandanti fu-rono prosciolti in sede istruttoria. Il de-litto Panepinto rimase, dunque, senzacolpevoli. Il coraggioso maestro elemen-tare di questo paese dell’agrigentino, unodei più noti dirigenti contadini fin daltempo dei Fasci, era stato assassinato lasera del 16 maggio 1911, con due colpi difucile al petto. Gli spararono davanti laporta della sua abitazione, in via MadreChiesa n. 21, vicina alla centralissimapiazza principale, a quell’ora frequenta-ta da molta gente, mentre stava conver-sando con le signorine Cannella. Era ac-compagnato da due amici - il cav. Piconee il signor Ignazio Reina - che rimaseroferiti nell’agguato. Panepinto lasciò lamoglie Maria Sala e tre piccoli figli nellapiù completa povertà.

Il dolore di Verro: «Io, morto in licenza...»Da Reggio Calabria, dove era riparato dopo l’attentato del 6 novembre 1910,Bernardino Verro inviò un telegramma per l’assassinio di Panepinto. Poi, il 19maggio 1911, scrisse a Napoleone Colajanni. «Ha visto che cosa hanno fattodel povero Panepinto? E’ la sollevazione della mafia gabellota e clericale controgli organizzatori delle affittanze collettive. La verità è così terribile che mi rendequasi pazzo dallo sconforto. Il povero Panepinto cadde fulminato, ed io, tuttele volte che guardo la ferita del mio polso sinistro scorgo nella mia cicatrice ilcadavere mio e quello del mio buon amico e compagno... Che cosa mi resta dafare? Diventare anch’io delinquente e vendicarmi col piombo e la dinamite, oaspettare come un morto in licenza che fra poco sarà assassinato?».

In alto la piazza principale di Santo Stefano Quisquina, la casa diLorenzo Panepinto e Peppe Cammarata, amico di Panepinto, chedivenne sindaco di Santo Stefano Quisquina nel 1920

Al centro Lorenzo Panepinto, ucciso con due colpi di fucile al petto il16 maggio del 1911. Maestro elementare, Panepinto era uno deileader del movimento contadino

Tutti assolti gliimputatidell’uccisione delleader contadino

La deposizione di unateste oculare nonservì a inchiodare iveri responsabili

(d.p.) Lorenzo Panepintonacque a S. Stefano Quisquinail 4 gennaio 1865, da Federicoed Angela Susinno. Fumaestro elementare e sidilettò pure di pittura. La suavera passione era, però, lapolitica, che cominciò apraticare dal 1889, quando fueletto consigliere comunalenel gruppo dei democraticimazziniani, che mise inminoranza il gruppo deiliberal-moderati fino ad alloraal potere. La vecchiamaggioranza reagìrabbiosamente, riuscendo afar sciogliere il consigliocomunale ed insediando ilregio commissario Roncourt,la cui condotta partigiana nonriuscì ad impedire unaseconda sconfitta deiconservatori nelle elezionidell’agosto 1890. Il governodel marchese Di Rudinìcommissariò nuovamente ilcomune e Panepinto si dimiseper protesta, dedicandosiall’insegnamento e allapittura. Poi si sposò e partì perNapoli, ma al ritorno, nel1893, la Sicilia era insubbuglio per il movimentodei Fasci. Fondò, quindi, ilFascio di S. Stefano, che pochimesi dopo venne sciolto dalgoverno Crispi, come tutti glialtri Fasci dell’isola.Per rappresaglia politica fulicenziato dal comune dalposto di maestro elementare,ma non si scoraggiò econtinuò i suoi studipedagogici e di metologiadidattica, pubblicando dueinteressanti volumi nel 1897.Nei primi del ’900, alla ripresadegli scioperi agricoli,Panepinto fu di nuovo inprima linea, al fianco didirigenti come il corleoneseBernardino Verro e il prizzeseNicola Alongi, insieme ai qualiavrebbe messo a punto uncambiamento di strategiapolitica, puntando a dare aicontadini gli strumenti dellecooperative agricole e delleCasse Agrarie, per emarginarei gabelloti dei feudi. Tra il 1907 e il 1908 fu inAmerica, ma ritornònuovamente al suo paese. Acirca 10 anni dalla morte diPanepinto, nell’ottobre 1920,i socialisti di S. Stefanoriuscirono a conquistare ilmunicipio, eleggendo sindacoil mitico Peppe Cammarata,suo amico e collaboratore,che ne continuò la battaglia.

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LA LAPIDE CHE RICORDA L’OMICIDIO PANEPINTO

Fatale il ricorso alle «affittanze collettive»LA STORIA. Il sistema escogitato consentiva di superare l’intermediazione dei gabelloti mafiosiLa notizia dell’assassinio di Lorenzo Panepinto eb-be una vasta eco su tutti i giornali siciliani e su al-cuni quotidiani nazionali. Il giorno dopo, si svol-sero i funerali, ai quali partecipò una folla enormedi oltre 4.000 persone, che portò in corteo la ba-ra scoperta.

C’erano molte donne che piangevano, i rap-presentanti di diverse leghe contadine e persinouna bandiera anarchica. La commemorazione uf-ficiale fu fatta in piazza Castello, dove, tra gli altri,parlò l’on. Alessandro Tasca. «E’ tempo di deci-dersi – disse Tasca – perché dopo le fucilate in-cruente contro Bernardino Verro (il leader deicontadini di Corleone aveva subito un attentato lasera del 6 novembre 1910 - ndr), dopo quelle chehanno squarciato il petto a Lorenzo Panepinto,una lotta senza quartiere è stata apertamente di-chiarata agli organizzatori del proletariato agri-colo».

«E’ il duello mortale ripreso contro i nostri con-tadini a distanza di venti anni circa dai Fasci – ag-

giunse Tasca – e noi diciamo in nome del prole-tariato siciliano al governo: - O con la maffia pa-dronale o con l’evoluzione economica e civile deilavoratori siciliani». E il governo di allora scelse,ovviamente, di stare con la "maffia padronale".

Non a caso, le indagini furono lente e farragi-nose e gli esiti processuali quelli che abbiamo ri-portato sopra. Eppure, il contesto in cui era ma-turato l’assassinio appariva abbastanza chiaro.Lorenzo Panepinto, che nel 1893 aveva fondato ilFascio contadino di S. Stefano Quisquina, su sol-lecitazione dei dirigenti socialisti della vicinaPrizzi, in provincia di Palermo, agli inizi del nuo-vo secolo aveva dato vita alle "affittanze colletti-ve". «In quel momento – dice il prof. Salvatore Lu-po – Panepinto riusciva a riprendere in pieno il fi-lo interrotto dalla repressione dei fasci. Riuscivaad incidere finalmente, ma in quello stesso mo-mento decideva della propria sorte, come acca-deva anche a Bernardino Verro. Dinanzi alla no-vità rappresentata dalle affittanze, la mafia del

feudo mutava la sua strategia ed addirittura tro-vava nuovi canali di arricchimento e di controllosociale, andando anche ad uno svuotamento e aduna conquista dall’interno delle cooperative. Se lecosche mafiose incontravano sulla loro strada di-rigenti prestigiosi e capaci, oltre che onesti, comePanepinto e Verro, sceglievano il terrorismo po-litico come arma più efficace».

Con le "affittanze collettive", infatti, i contadi-ni ottenevano direttamente dai proprietari ter-rieri la gestione degli ex feudi, "saltando" l’inter-mediazione parassitaria dei gabelloti mafiosi, chesi videro colpiti nei loro interessi. Da qui la loro fe-roce reazione.

Tra l’altro, a S. Stefano Quisquina Lorenzo Pa-nepinto era riuscito già nel 1910 ad ottenere l’af-fittanza collettiva dell’ex feudo "Mailla". E il 6gennaio 1911 aveva costituito la Cassa AgrariaSociale Cooperativa, che poteva esercitare il cre-dito agrario ai contadini, assumere in affitto leterre, fare prestiti fruttiferi, acquistare sementi,

concimi, sostanze anticrittogamiche, bestiame,macchine e attrezzi da distribuire ai contadini, evendere collettivamente prodotti agricoli. Fino adallora a S. Stefano era la Cassa Rurale Cattolica,presieduta da Felice Leto, che aveva l’assolutodominio dell’economia e della politica. E Letoera cognato di Rosario Ferlita, denunciato comeuno dei mandanti dell’assassinio Panepinto.

«A queste graduali, ma incessanti conquiste, eb-be occasione di accennare il Panepinto nell’ulti-mo comizio del 1° maggio, che riuscì imponen-tissimo – scrisse Gaspare Nicotri su "L’Avanti!"del 31 maggio 1991 – e ricordò che il proletaria-to di S. Stefano si avanza sulla via del riscatto del-la servitù economica, sia per mezzo del creditoagrario, sia per mezzo della cooperazione». Con le"affittanze collettive" e la Cassa Agraria SocialePanepinto stava davvero disturbando "lorsignori",che decisero allora di chiudere per sempre lapartita con due colpi di fucile.

D.P.

36.DOMENIC A 12 GIUGNO 2005LA SICILIA

Palermo