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Lunedì 16 novembre 2015 14 Lunedì 16 novembre 2015 15 CULTURA & SPETTACOLI ALL’«IMPERIAL WAR MUSEUM» CENTOCINQUANTA FOTOGRAFIE SULL’ESPERIENZA DELLE DONNE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE Quando la guerra è pezzo da museo A Londra il nuovo allestimento e una mostra di Lee Miller PARLA LA GIOVANE RICERCATRICE AMMESSA ALL’IWM LONDINESE Fabia Martina, da Lecce alla istituzione britannica via Kosovo e Libano F abia Martina, 36 anni, originaria di Felline, provincia di Lecce, è laureata in Conservazione dei Beni Ar- cheologici, Architettonici e dell’Ambiente, specializza- ta in Conoscenza e Valorizzazione del Patrimonio Cul- turale, un Master e un Dottorato di ricerca presso l’Università del Salento. Martina, come e quando arriva all’Imperial War Museum (IWM)? «Sono stata ammessa nell’IWM nel maggio 2014 in occasione della ricorrenza del Centenario della Grande Guerra quando il Museo è stato aperto al pubblico per la prima volta dopo due anni in seguito ad un restauro memorabile. Ricordo il fiume di persone in coda per vedere il colossale Museo rimesso a nuovo!». Quali esperienze formative sono state importanti per arrivare a Londra? «Sicuramente l’esperienza in Kosovo e in Libano dove ho potuto studiare il patrimonio artistico, archeologico e monu- mentale in teatri di guerra, arricchendo la comprensione sulle cause, il corso e le conseguenze dei conflitti sul- la salvaguardia del patrimonio dell’umanità». Come si finanzia un museo come quello in cui lavora? «L’IWM è grato alle molte organizzazioni e persone che hanno contribuito al costo della realizzazione e all’allestimento delle gallerie. L’elenco sarebbe troppo lungo, ne cito solo al- cuni come il National Heritage Memorial Fund, The Rubin Fondation e The Wolfson Fondation che hanno supportato il costo dell’allestimento della mostra dell’Olocausto, le ali sud ovest dell’edificio e l’educational area. Molto impor- tante l’Heritage Lottery Fund, un istituto che distribuisce una quota dei proventi della Lot- teria Nazionale a progetti volti a preservare il patrimonio della nazione e che continua a sup- portare economicamente i progetti di appren- dimento sostenuti dall’IWM come ad esempio i progetti New Perspectives on the First World War, IWM Youth Advisers and Young Reporters. Grazie a questo istituto alcuni studenti lavorano a stretto contatto con i curatori delle mostre e la trovo un’idea fantastica». L’IWM sviluppa la ricerca? «L’IWM vanta uno dei più importanti dipartimenti di ricerca. Alcuni progetti sono stati finanziati dall’Arts & Humanities Research Council (AHRC) che facilita e incoraggia lo sviluppo di competenze e garantisce che la conoscenza sia correttamente canalizzata e diffusa». Come definirebbe in una sola parola l’IWM? «Unordinary si dice in inglese, un Museo fuori dal comune. I nostri visitatori sono talora persone che hanno vissuto la guer- ra oggi e portano dentro di sé l’orrore che essa comporta. Per- tanto l’assistenza del Museo è formata ad hoc per assistere i visitatori coinvolti emotivamente». [v. l.] di VINCENZO LEGROTTAGLIE A ll’Imperial War Museum (IWM) di Londra fino al 24 aprile 2016 sarà possibile visitare la mo- stra Lee Miller: a Woman’s War con 150 fotografie che ritraggono l’espe- rienza delle donne durante la Seconda Guerra Mondiale. L’esposizione, sponso- rizzata dalla Banca Barclays e prodotta in collaborazione con l’Archivio di Lee Mil- ler, ripercorrerà la straordinaria carriera della fotografa di «Vogue Magazine» pro- ponendo la sua percezione di genere. Mil- ler era l’unica donna ad essere accreditata ufficialmente come corrispondente di guerra degli Stati Uniti durante la Secon- da Guerra Mondiale. «Il più importante lascito della Mil- ler è senza dubbio la sua vi- sione della guerra», sostiene Hilary Roberts, curatrice del- la mostra. Riconosciuta oggi tra i più importanti fotografi in area di crisi del XX secolo, attra- verso il suo lavoro la Miller offre una panoramica inte- ressante dell’impatto del con- flitto sull’esistenza delle don- ne. L’incredibile contenitore della mostra è il museo bri- tannico integralmente dedi- cato alla guerra fondato nel 1917, quando la Prima Guer- ra Mondiale era ancora in corso. Da allora l’IWM registra l’impatto che la guerra ha sull’uomo, sconvolgendo le vite dei combattenti e dei civili. Dalla prima linea al fronte domestico dell’esi- stenza quotidiana, il museo colleziona ar- mi, uniformi, veicoli, bandiere, mappe, medaglie, film, registrazioni audio, foto- grafie, diari, lettere, dipinti e qualsiasi al- tro tipo di oggetto che dia un senso a ciò che in guerra si vede, si ascolta e si sente. «Ciascuno degli oggetti esposti dà voce alle persone che li hanno creati, usati e hanno avuto cura di essi, rivelando storie non so- lo di distruzione, sofferenza e perdita, ma anche di resistenza o ricerca di innova- zione, storie sul valore del concetto di do- vere e devozione, cameratismo e amore», spiega Diane Lees, direttrice dell’IWM. Il museo ha avuto tre sedi in Londra prima di arrivare in Lambeth Road, Sou- thwark dal 1936. L’odierno edificio era la sede centrale del Bethlem Royal Hospital, un luogo per il trattamento della malattia mentale conosciuto dal 1247. Nel corso de- gli anni l’ex ospedale psichiatrico è stato ampliato per creare spazi per le mostre; in occasione della commemorazione del cen- tenario della Prima Guerra Mondiale la sede è stata ulteriormente trasformata. Quando il museo ha riaperto al pubblico il 19 luglio 2014, dopo due anni di lavori, nes- suno si aspettava un cambiamento così netto. Il team di architetti dello studio Fo- ster & Partners, per 40 milioni di sterline, ha rinnovato il museo con uno spettaco- lare atrio e l’impressionante vista su un interno simile a una cattedrale dal cui sof- fitto sono sospese le testimonianze delle guerre passate. C’è il missile tedesco V2 che la Germania lanciò contro Londra e verso altre città d’Europa. Il vettore fu rea- lizzato da Wernher von Braun, l’ingegnere tedesco che giocò, nel secondo dopoguerra, un ruolo chiave nel programma spaziale degli Stati Uniti contribuendo al successo del primo passo dell’uomo sulla Luna. La volta del museo è inoltre «sorvolata» dallo Spitfire (caccia inglese), di questi modelli solo sei risultano essere sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale e dall’imponen- te Harrier Jet (aereo a decollo corto e at- terraggio verticale) per mezzo del quale le forze armate britanniche hanno sorvolato i cieli dell’Iraq e dell’Afghanistan. Un Har- rier ha trasportato David Cameron duran- te una sua visita in Afghanistan nel 2006, qualche anno prima che diventasse Primo Ministro. Ad accoglierci nel suggestivo atrio dell’istituzione culturale inglese c’è Fabia Martina, ricercatrice originaria di Felline, frazione di Alliste, in provincia di Lecce. La studiosa salentina riannoda il discorso storico puntualizzando l’apertura di quat- tro nuove sedi: il campo di aviazione di Duxford nel Cambridgeshire nel 1976, l’in- crociatore della Royal Navy HMS Belfast nel 1978, il centro di comando sotterraneo del governo denominato Churchill Mu- seum e Cabinet War Rooms nel 1984 e l’IWM North a Trafford, Manchester nel 2002. La galleria della Prima Guerra Mon- diale, quella che più appassiona la nostra accompagnatrice, inizia con la descrizione dell’impero britannico e si conclude con il momento della firma del Trattato di Ver- sailles nel 1919 dove si stabilì un confuso accordo di pace che ha posto i semi dei conflitti futuri. Nel percorrere l’affascinante viaggio all’interno della galleria i visitatori hanno la possibilità di scoprire attraverso più di 1.300 oggetti, tra questi tantissime foto e film alcuni in mostra per la prima volta, la storia della guerra attraverso gli occhi di persone in Gran Bretagna, nel suo impero fino a giungere al rapporto con gli alleati e all’impatto globale della guerra. «Il percor- so porta il visitatore a percepire l’atmo- «IMPERIAL WAR MUSEUM» DI LONDRA La facciata d’ingresso In alto una foto della seconda battaglia della Marna nel 1918 A sinistra, la ricercatrice salentina Fabia Martina e un autoscatto di Lee Miller nel bagno di Hitler (Monaco 1945) Vetrina LA MADRE EBRAICA SECONDO GHEULA CANARUTTO NEMNI L’elogio della Jewish Mama in un libro e in un blog n I matrimoni combinati? «Sono millenari, Meetic ci è arrivato solo ora». Parola di Jewish Mama, mamma ebraica secondo tradizione. «È chiaro siamo mamme come tutte le altre – dice Gheula Canarutto Nemni – ma con una responsabilità in più: dobbiamo noi tramandare la cultura ebraica, è così da sempre e lo sarà per sempre». Il suo primo romanzo «(Non) si può avere tutto», pubblicato da Mondadori, sta avendo successo e il suo blog www.gheulacanaruttonemni.com è seguito da mi- gliaia di persone. A Gusto Kosher a Roma, evento dedicato alla conoscenza di questa cultura, parla dell’archetipo Jewish Ma- ma, «quello che il pubblico conosce per aver visto i film di Woody Allen con quelle mamme ossessivamente presenti, in- sistenti e però ironiche, taglienti». In una parola «hutzpà»: arroganza, anticonformismo, audacia. Il confronto è tra ge- nerazioni: le mamme di oggi 2.0 e quelle più tradizionali, «ma anche le più aggiornate vogliono vivere la propria identità secondo l’ebraismo. Per dirne una, il congedo ai neopapà da noi non avrebbe successo». E tra le mamme ebraiche ci sono differenze, «soprattutto se parliamo di cucina, con le tre di- verse tradizioni anche se poi regna la fusion! Io ad esempio sono figlia di bolognesi e cucino le lasagne anche se kosher e rispettose della nostra cultura, in più ci metto la cannella e i profumi tripolini di mio marito». Perché ogni giorno ci mettiamo in vetrina Facebook e i «selfie» come nuovi «status symbol» (per poveri) in un libro del sociologo Vanni Codeluppi Uno spettacolare atrio e la vista sull’interno in cui sono sospese le testimonianze dei conflitti come aerei e missili sfera di terrore durante i difficili momenti della battaglia, capire dal vero come fosse una trincea, le sue dimensioni reali e le condizioni in cui i soldati vivevano ovvero sopravvivevano» – aggiunge la dottoressa Martina. Durante il 2013 l’IWM ha accolto oltre 1,8 milioni di persone tra le varie sedi. Per la nuova apertura si è verificato un boom di ingressi nei mesi di luglio, ago- sto e settembre 2015. In termini di visi- tatori on line, invece, più di 4,1 milioni di persone hanno visionato il sito web lo scorso anno, un aumento del 17 % rispetto all’anno precedente. Il pubblico dei social network è cresciuto di oltre il 300 % ri- spetto all’anno scorso. L’INTERVISTA DEL LUNEDÌ di GINO DATO «M i metto in vetri- na? Il titolo dell’ultimo sag- gio del sociologo Vanni Codeluppi, edito da Mimesis, esprime la nostra condizione al tem- po di Facebook. Appare come l’Era glaciale quella in cui la comunica- zione dei media avveniva senza la partecipazione, o con una parteci- pazione passiva o limitata, dei frui- tori, degli utenti, dei lettori o spet- tatori. Appartiene invece alla storia più recente l’innervamento di social network e mezzi assai sofisticati, che fasciano la nostra vita. Noi siamo e viviamo attraverso una epidermide digitale: social network, selfie, sms, WhatsApp ecc. Tanto da diventare i nuovi veri status symbol, che sop- piantano quelli tradizionali. Il libro di Codeluppi, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla IULM di Milano, analizza questa dilagante pratica di massa. Lei è stato uno dei primi analisti e interpreti della «vetrinizzazione». Ne parla dal 2007 . Cosa è e come è cambiata? «La vetrinizzazione è un impor- tante fenomeno sociale iniziato all’inizio del Settecento. Da allora non ha smesso di svilupparsi. Ri- spetto al 2007 possiamo dire che c’è stata un’ulteriore intensificazione del fenomeno. Con il termine “ve- trinizzazione” intendo indicare la lo- gica comunicativa della vetrina, ba- sata sulla messa in scena spettaco- lare dei prodotti. Essa si è progres- sivamente estesa all’intera superfi- cie di vendita e a tutte le principali tipologie di luoghi del consumo: cen- tri commerciali, alberghi, ristoranti, cinema, musei, parchi a tema, ae- roporti, Internet, ecc. Ma, più in ge- nerale, negli ultimi decenni si è pre- sentato soprattutto un processo di progressiva adozione da parte dei principali ambiti sociali di quella lo- gica di rappresentazione visiva che contraddistingue le modalità comu- nicative della vetrina». Nel nuovo libretto lei parla di una società dell’autocomunicazione. Che cosa vuol dire? «L’autocomunicazione è il risul- tato di un’intensa evoluzione tecno- logica che oggi rende possibile a cia- scun individuo porsi come emittente di messaggi di varia natura. Le per- sone cioè non si limitano più ad aspettare passivamente davanti allo schermo che arrivi loro qualcosa, come accadeva nell’epoca di mezzi di comunicazione di massa. Grazie al Web e agli smartphone, sono sostan- zialmente “entrate dentro lo scher- mo” e possono produrre e diffondere i loro messaggi per comunicare con gli altri. È possibile pertanto soste- nere che oggi ci troviamo di fronte allo sviluppo di una “società dell’au- tocomunicazione”». Quali sono gli «status symbol» di questa società? «Il concetto di status symbol è di- ventato decisamente più sofisticato. Tradizionalmente, questi prodotti comunicavano il possesso di un’ele- vata ricchezza economica. Negli ul- timi anni, invece, sul mercato sono arrivati dei prodotti che sono dotati di prezzi largamente accessibili e che non sono dunque in grado di attribuire alle persone la possibilità di collocarsi in una posizione par- ticolarmente elevata nella società». E allora? «Consentono però ugualmente di differenziarsi sul piano sociale. Pro- ducono infatti delle differenze come gli status symbol tradizionali, ma lo fanno soprattutto attraverso i nume- rosi significati culturali e sociali che riescono a esprimere all’interno del- la società. È il caso dei numerosi prodotti che oggi appartengono all’universo low cost oppure di quelli che sono firmati Hello Kitty». Il «selfie» porta a rafforzare l’iden- tità, Facebook persegue un altro mi- to, quello della trasparenza. Ma do- ve è finita la società del privato? «La borghesia, a partire nell’Ot- tocento, ha creato un potente muro simbolico in grado di difendere la sua intimità domestica. Prima della sua presa del potere, infatti, non esi- steva una netta distinzione tra il pub- blico e il privato, perché tutto ac- cadeva per strada. Oggi però sembra che le persone tendano a rinunciare al proprio diritto alla privacy allo scopo di riuscire a essere più efficaci sul piano della comunicazione della propria identità. Esibiscono perciò senza problemi il loro corpo e la loro vita privata agli estranei, seguendo il modello che viene praticato, ad esempio, dai concorrenti dei reality show televisivi». I politici come entrano in questa società della «intimità sempre con- nessa»? «È evidente che il mondo della po- litica oggi ha un notevole bisogno di fare ricorso ai media per perseguire i suoi obiettivi di visibilità. Anche tale mondo cerca cioè di “mettersi in ve- trina”, pertanto, è inevitabile per i politici guardare al modello costi- tuito dai divi. Il divismo e la politica perciò sono stati interessati da un processo di ibridazione». BELEN «Selfie» pure dal dentista Roma Fiction Fest, Kasia Smutniak migliore attrice per «Limbo» di Raiuno T he Man in the High Ca- stle (La svastica sul so- le), scritta da Frank Spotnitz e ispirata a Phi- lip K. Dick miglior serie e Kasia Smutniak miglior attrice per Lim- bo (Raiuno, andrà in onda il di- cembre) di Lucio Pellegrini: sono alcuni dei premi ufficiali della no- na edizione del Roma Fiction Fest, attribuiti dalla giuria presieduta da Steven Van Zandt (Little Ste- ven) e composta da Geppi Cuc- ciari, Giancarlo De Cataldo, Ste- fano Disegni, Gloria Satta, Mau- reen Van Zandt. Come miglior attore è stato scel- to Rami Malek per Mr. Robot (Me- diaset Premium), miglior regista Erik Skjoldbjaerg per Occupied. Il premio per la migliore sceneggia- tura è andato a Peter Bowker per Capital, il premio speciale della giuria a Deutschland 83 (Sky Atlantic) di Edward Berger e Sa- mira Radsi. Il premio assegnato dalla giuria di ragazzi alla miglior serie tv «young» è stato attribuito a Mr. Robot . Questi invece i premi speciali della nona edizione: premio Fran- cesco Scardamaglia alla miglior sceneggiatura a 1992 (Sky Atlan- tic); menzione speciale alla serie Una casa nel cuore; premio L.A.R.A. per il miglior attore e attrice nelle serie e miniserie edite 2014/2015 a Guido Caprino (per 1992) e Anita Caprioli (per La stra- da dritta, Raiuno). Il premio Telegatto Speciale è andato a Miriam Leone e Marco Bocci; il premio Carlo Bixio per la migliore sceneggiatura originale di fiction a Strangers di Alessan- dra Pomilio; la targa Siae «Idea d’Autore» ex aequo a Miranda & Io di Gianluca Argentero e In caso di incendio di Francesco Caronna. «Nonostante il dolore di questi giorni tolga il fiato a tutti noi, sono emozionata di ricevere questo pre- mio per il film Limbo che racconta il superamento di un trauma e il mio pensiero non può non andare a chi in queste ore si trova in un limbo dal quale dovrà trovare la forza di uscire». È stato il ringra- ziamento di Kasia Smutniak. IN «LIMBO» Kasia Smutniak

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Lunedì 16 novembre 201514 Lunedì 16 novembre 2015 15

C U LT U R A &S P E T TAC O L IA L L’«IMPERIAL WAR MUSEUM» CENTOCINQUANTA FOTOGRAFIE SULL’ESPERIENZA DELLE DONNE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Quando la guerraè pezzo da museoA Londra il nuovo allestimento e una mostra di Lee Miller

PARLA LA GIOVANE RICERCATRICE AMMESSA ALL’IWM LONDINESE

Fabia Martina, da Leccealla istituzione britannicavia Kosovo e Libano

Fabia Martina, 36 anni, originaria di Felline, provinciadi Lecce, è laureata in Conservazione dei Beni Ar-cheologici, Architettonici e dell’Ambiente, specializza-ta in Conoscenza e Valorizzazione del Patrimonio Cul-

turale, un Master e un Dottorato di ricerca presso l’U n ive r s i t àdel Salento.

Martina, come e quando arriva all’Imperial War Museum (IWM)?«Sono stata ammessa nell’IWM nel maggio 2014 in occasione

della ricorrenza del Centenario della Grande Guerra quando ilMuseo è stato aperto al pubblico per la prima volta dopo dueanni in seguito ad un restauro memorabile. Ricordo il fiume dipersone in coda per vedere il colossale Museo rimesso a nuovo!».

Quali esperienze formative sono state importanti per arrivare aLo n d ra ?«Sicuramente l’esperienza in Kosovo e in Libano dove ho

potuto studiare il patrimonio artistico, archeologico e monu-mentale in teatri di guerra, arricchendo la comprensione sullecause, il corso e le conseguenze dei conflitti sul-la salvaguardia del patrimonio dell’umanità».

Come si finanzia un museo come quello in cuil avo ra ?« L’IWM è grato alle molte organizzazioni e

persone che hanno contribuito al costo dellarealizzazione e all’allestimento delle gallerie.L’elenco sarebbe troppo lungo, ne cito solo al-cuni come il National Heritage Memorial Fund,The Rubin Fondation e The Wolfson Fondationche hanno supportato il costo dell’allestimentodella mostra dell’Olocausto, le ali sud ovestdell’edificio e l’educational area. Molto impor-tante l’Heritage Lottery Fund, un istituto chedistribuisce una quota dei proventi della Lot-teria Nazionale a progetti volti a preservare ilpatrimonio della nazione e che continua a sup-portare economicamente i progetti di appren-dimento sostenuti dall’IWM come ad esempio ipro getti New Perspectives on the First World War, IWM YouthAdvisers and Young Reporters. Grazie a questo istituto alcunistudenti lavorano a stretto contatto con i curatori delle mostre ela trovo un’idea fantastica».

L’IWM sviluppa la ricerca?« L’IWM vanta uno dei più importanti dipartimenti di ricerca.

Alcuni progetti sono stati finanziati dall’Arts & HumanitiesResearch Council (AHRC) che facilita e incoraggia lo sviluppo dicompetenze e garantisce che la conoscenza sia correttamentecanalizzata e diffusa».

Come definirebbe in una sola parola l’I WM ?«Unordinar y si dice in inglese, un Museo fuori dal comune. I

nostri visitatori sono talora persone che hanno vissuto la guer-ra oggi e portano dentro di sé l’orrore che essa comporta. Per-tanto l’assistenza del Museo è formata ad hoc per assistere ivisitatori coinvolti emotivamente». [v. l.]

di VINCENZO LEGROTTAGLIE

All’Imperial War Museum (IWM)di Londra fino al 24 aprile 2016sarà possibile visitare la mo-stra Lee Miller: a Woman’s War

con 150 fotografie che ritraggono l’espe -rienza delle donne durante la SecondaGuerra Mondiale. L’esposizione, sponso-rizzata dalla Banca Barclays e prodotta incollaborazione con l’Archivio di Lee Mil-ler, ripercorrerà la straordinaria carrieradella fotografa di «Vogue Magazine» pro-ponendo la sua percezione di genere. Mil-ler era l’unica donna ad essere accreditataufficialmente come corrispondente diguerra degli Stati Uniti durante la Secon-

da Guerra Mondiale. «Il piùimportante lascito della Mil-ler è senza dubbio la sua vi-sione della guerra», sostieneHilary Roberts, curatrice del-la mostra.

Riconosciuta oggi tra i piùimportanti fotografi in areadi crisi del XX secolo, attra-verso il suo lavoro la Milleroffre una panoramica inte-ressante dell’impatto del con-flitto sull’esistenza delle don-ne. L’incredibile contenitoredella mostra è il museo bri-tannico integralmente dedi-cato alla guerra fondato nel1917, quando la Prima Guer-ra Mondiale era ancora in

corso. Da allora l’IWM registra l’i m p at t oche la guerra ha sull’uomo, sconvolgendole vite dei combattenti e dei civili. Dallaprima linea al fronte domestico dell’esi -stenza quotidiana, il museo colleziona ar-mi, uniformi, veicoli, bandiere, mappe,medaglie, film, registrazioni audio, foto-grafie, diari, lettere, dipinti e qualsiasi al-tro tipo di oggetto che dia un senso a ciòche in guerra si vede, si ascolta e si sente.«Ciascuno degli oggetti esposti dà voce allepersone che li hanno creati, usati e hannoavuto cura di essi, rivelando storie non so-lo di distruzione, sofferenza e perdita, maanche di resistenza o ricerca di innova-zione, storie sul valore del concetto di do-

vere e devozione, cameratismo e amore»,spiega Diane Lees, direttrice dell’IWM.

Il museo ha avuto tre sedi in Londraprima di arrivare in Lambeth Road, Sou-thwark dal 1936. L’odierno edificio era lasede centrale del Bethlem Royal Hospital,un luogo per il trattamento della malattiamentale conosciuto dal 1247. Nel corso de-gli anni l’ex ospedale psichiatrico è statoampliato per creare spazi per le mostre; inoccasione della commemorazione del cen-tenario della Prima Guerra Mondiale lasede è stata ulteriormente trasformata.Quando il museo ha riaperto al pubblico il19 luglio 2014, dopo due anni di lavori, nes-suno si aspettava un cambiamento cosìnetto. Il team di architetti dello studio Fo-ster & Partners, per 40 milioni di sterline,ha rinnovato il museo con uno spettaco-lare atrio e l’impressionante vista su uninterno simile a una cattedrale dal cui sof-fitto sono sospese le testimonianze delleguerre passate. C’è il missile tedesco V2che la Germania lanciò contro Londra everso altre città d’Europa. Il vettore fu rea-

lizzato da Wernher von Braun, l’inge gneretedesco che giocò, nel secondo dopoguerra,un ruolo chiave nel programma spazialedegli Stati Uniti contribuendo al successodel primo passo dell’uomo sulla Luna. Lavolta del museo è inoltre «sorvolata» dalloSpitfire (caccia inglese), di questi modellisolo sei risultano essere sopravvissuti allaSeconda Guerra Mondiale e dall’imponen -te Harrier Jet (aereo a decollo corto e at-terraggio verticale) per mezzo del quale leforze armate britanniche hanno sorvolatoi cieli dell’Iraq e dell’Afghanistan. Un Har-rier ha trasportato David Cameron duran-te una sua visita in Afghanistan nel 2006,qualche anno prima che diventasse Primo

M i n i s t ro.Ad accoglierci nel suggestivo atrio

dell’istituzione culturale inglese c’è FabiaMartina, ricercatrice originaria di Felline,frazione di Alliste, in provincia di Lecce.La studiosa salentina riannoda il discorsostorico puntualizzando l’apertura di quat-tro nuove sedi: il campo di aviazione diDuxford nel Cambridgeshire nel 1976, l’in -crociatore della Royal Navy HMS Belfastnel 1978, il centro di comando sotterraneodel governo denominato Churchill Mu-seum e Cabinet War Rooms nel 1984 el’IWM North a Trafford, Manchester nel2002. La galleria della Prima Guerra Mon-diale, quella che più appassiona la nostra

accompagnatrice, inizia con la descrizionedell’impero britannico e si conclude con ilmomento della firma del Trattato di Ver-sailles nel 1919 dove si stabilì un confusoaccordo di pace che ha posto i semi deiconflitti futuri.

Nel percorrere l’affascinante viaggioall’interno della galleria i visitatori hannola possibilità di scoprire attraverso più di1.300 oggetti, tra questi tantissime foto efilm alcuni in mostra per la prima volta, lastoria della guerra attraverso gli occhi dipersone in Gran Bretagna, nel suo imperofino a giungere al rapporto con gli alleati eall’impatto globale della guerra. «Il percor-so porta il visitatore a percepire l’atmo -

«IMPERIALWA RMUSEUM»DI LONDRALa facciatad’ingressoIn alto una fotodella secondabattaglia dellaMarnanel 1918A sinistra, laricercatricesalentina FabiaMartina e unautoscatto diLee Miller nelbagno di Hitler(Monaco1945)

Ve t r i n aLA MADRE EBRAICA SECONDO GHEULA CANARUTTO NEMNI

L’elogio della Jewish Mama in un libro e in un blogn I matrimoni combinati? «Sono millenari, Meetic ci è arrivato

solo ora». Parola di Jewish Mama, mamma ebraica secondotradizione. «È chiaro siamo mamme come tutte le altre – diceGheula Canarutto Nemni – ma con una responsabilità in più:dobbiamo noi tramandare la cultura ebraica, è così da sempree lo sarà per sempre». Il suo primo romanzo «(Non) si puòavere tutto», pubblicato da Mondadori, sta avendo successo e ilsuo blog www.gheulacanaruttonemni.com è seguito da mi-gliaia di persone. A Gusto Kosher a Roma, evento dedicato allaconoscenza di questa cultura, parla dell’archetipo Jewish Ma-ma, «quello che il pubblico conosce per aver visto i film diWoody Allen con quelle mamme ossessivamente presenti, in-sistenti e però ironiche, taglienti». In una parola «hutzpà»:arroganza, anticonformismo, audacia. Il confronto è tra ge-nerazioni: le mamme di oggi 2.0 e quelle più tradizionali, «maanche le più aggiornate vogliono vivere la propria identitàsecondo l’ebraismo. Per dirne una, il congedo ai neopapà danoi non avrebbe successo». E tra le mamme ebraiche ci sonodifferenze, «soprattutto se parliamo di cucina, con le tre di-verse tradizioni anche se poi regna la fusion! Io ad esempiosono figlia di bolognesi e cucino le lasagne anche se kosher erispettose della nostra cultura, in più ci metto la cannella e iprofumi tripolini di mio marito».

Perché ogni giornoci mettiamo in vetrinaFacebook e i «selfie» come nuovi «status symbol»(per poveri) in un libro del sociologo Vanni Codeluppi

Uno spettacolare atrio e lavista sull’interno in cui sono

sospese le testimonianze deiconflitti come aerei e missili

sfera di terrore durante i difficili momentidella battaglia, capire dal vero come fosseuna trincea, le sue dimensioni reali e lecondizioni in cui i soldati vivevano ovverosopravvivevano» – aggiunge la dottoressaMartina. Durante il 2013 l’IWM ha accoltooltre 1,8 milioni di persone tra le variesedi. Per la nuova apertura si è verificatoun boom di ingressi nei mesi di luglio, ago-sto e settembre 2015. In termini di visi-tatori on line, invece, più di 4,1 milioni dipersone hanno visionato il sito web loscorso anno, un aumento del 17 % rispettoall’anno precedente. Il pubblico dei socialnetwork è cresciuto di oltre il 300 % ri-spetto all’anno scorso.

L’IN T E RV I S TA DEL LUNEDÌdi GINO DATO

«M i metto in vetri-na? Il titolodell’ultimo sag-gio del sociologo

Vanni Codeluppi, edito da Mimesis,esprime la nostra condizione al tem-po di Facebook. Appare come l’Eraglaciale quella in cui la comunica-zione dei media avveniva senza lapartecipazione, o con una parteci-pazione passiva o limitata, dei frui-tori, degli utenti, dei lettori o spet-tatori. Appartiene invece alla storiapiù recente l’innervamento di socialnetwork e mezzi assai sofisticati, chefasciano la nostra vita. Noi siamo eviviamo attraverso una epidermidedigitale: social network, selfie, sms,WhatsApp ecc. Tanto da diventare inuovi veri status symbol, che sop-piantano quelli tradizionali. Il librodi Codeluppi, ordinario di Sociologiadei processi culturali e comunicativialla IULM di Milano, analizza questadilagante pratica di massa.

Lei è stato uno dei primi analisti einterpreti della «vetrinizzazione».Ne parla dal 2007. Cosa è e come èc a m b i at a ?«La vetrinizzazione è un impor-

tante fenomeno sociale iniziatoall’inizio del Settecento. Da alloranon ha smesso di svilupparsi. Ri-spetto al 2007 possiamo dire che c’èstata un’ulteriore intensificazionedel fenomeno. Con il termine “ve -trinizzazione” intendo indicare la lo-gica comunicativa della vetrina, ba-sata sulla messa in scena spettaco-lare dei prodotti. Essa si è progres-sivamente estesa all’intera superfi-cie di vendita e a tutte le principalitipologie di luoghi del consumo: cen-tri commerciali, alberghi, ristoranti,cinema, musei, parchi a tema, ae-roporti, Internet, ecc. Ma, più in ge-nerale, negli ultimi decenni si è pre-sentato soprattutto un processo diprogressiva adozione da parte deiprincipali ambiti sociali di quella lo-gica di rappresentazione visiva checontraddistingue le modalità comu-

nicative della vetrina».Nel nuovo libretto lei parla di unasocietà dell’autocomunicazione.Che cosa vuol dire?« L’autocomunicazione è il risul-

tato di un’intensa evoluzione tecno-logica che oggi rende possibile a cia-scun individuo porsi come emittentedi messaggi di varia natura. Le per-sone cioè non si limitano più adaspettare passivamente davanti alloschermo che arrivi loro qualcosa,come accadeva nell’epoca di mezzi dicomunicazione di massa. Grazie alWeb e agli smartphone, sono sostan-zialmente “entrate dentro lo scher-mo” e possono produrre e diffonderei loro messaggi per comunicare congli altri. È possibile pertanto soste-nere che oggi ci troviamo di fronteallo sviluppo di una “società dell’au -tocomunicazione”».

Quali sono gli «status symbol» diquesta società?«Il concetto di status symbol è di-

ventato decisamente più sofisticato.Tradizionalmente, questi prodotticomunicavano il possesso di un’ele -vata ricchezza economica. Negli ul-timi anni, invece, sul mercato sonoarrivati dei prodotti che sono dotati

di prezzi largamente accessibili eche non sono dunque in grado diattribuire alle persone la possibilitàdi collocarsi in una posizione par-ticolarmente elevata nella società».

E allora?«Consentono però ugualmente di

differenziarsi sul piano sociale. Pro-ducono infatti delle differenze comegli status symbol tradizionali, ma lofanno soprattutto attraverso i nume-rosi significati culturali e sociali cheriescono a esprimere all’interno del-la società. È il caso dei numerosiprodotti che oggi appartengonoall’universo low cost oppure di quelliche sono firmati Hello Kitty».

Il «selfie» porta a rafforzare l’iden -tità, Facebook persegue un altro mi-to, quello della trasparenza. Ma do-ve è finita la società del privato?«La borghesia, a partire nell’Ot -

tocento, ha creato un potente murosimbolico in grado di difendere lasua intimità domestica. Prima dellasua presa del potere, infatti, non esi-steva una netta distinzione tra il pub-blico e il privato, perché tutto ac-cadeva per strada. Oggi però sembrache le persone tendano a rinunciareal proprio diritto alla privac y alloscopo di riuscire a essere più efficacisul piano della comunicazione dellapropria identità. Esibiscono perciòsenza problemi il loro corpo e la lorovita privata agli estranei, seguendo ilmodello che viene praticato, adesempio, dai concorrenti dei re a l i t yshow t e l ev i s iv i » .

I politici come entrano in questasocietà della «intimità sempre con-nessa»?«È evidente che il mondo della po-

litica oggi ha un notevole bisogno difare ricorso ai media per perseguire isuoi obiettivi di visibilità. Anche talemondo cerca cioè di “mettersi in ve-trina”, pertanto, è inevitabile per ipolitici guardare al modello costi-tuito dai divi. Il divismo e la politicaperciò sono stati interessati da unprocesso di ibridazione».

BELEN «Selfie» pure dal dentista

Roma Fiction Fest, Kasia Smutniakmigliore attrice per «Limbo» di Raiuno

The Man in the High Ca-stle (La svastica sul so-le), scritta da FrankSpotnitz e ispirata a Phi-

lip K. Dick miglior serie e KasiaSmutniak miglior attrice per Lim -bo (Raiuno, andrà in onda il di-cembre) di Lucio Pellegrini: sonoalcuni dei premi ufficiali della no-na edizione del Roma Fiction Fest,attribuiti dalla giuria presiedutada Steven Van Zandt (Little Ste-ven) e composta da Geppi Cuc-ciari, Giancarlo De Cataldo, Ste-fano Disegni, Gloria Satta, Mau-reen Van Zandt.

Come miglior attore è stato scel-to Rami Malek per Mr. Robot (Me -diaset Premium), miglior registaErik Skjoldbjaerg per Occupied. Il

premio per la migliore sceneggia-tura è andato a Peter Bowker perCapital, il premio speciale dellagiuria a Deutschland 83 (Sk yAtlantic) di Edward Berger e Sa-mira Radsi.

Il premio assegnato dalla giuriadi ragazzi alla miglior serie tv«young» è stato attribuito a M r.Ro b o t .

Questi invece i premi specialidella nona edizione: premio Fran-cesco Scardamaglia alla migliorsceneggiatura a 1992 (Sky Atlan-tic); menzione speciale alla serieUna casa nel cuore; premioL.A.R.A. per il miglior attore eattrice nelle serie e miniserie edite2014/2015 a Guido Caprino (per1992) e Anita Caprioli (per La stra-

da dritta, Raiuno).Il premio Telegatto Speciale è

andato a Miriam Leone e MarcoBocci; il premio Carlo Bixio per lamigliore sceneggiatura originaledi fiction a S t ra n ge rs di Alessan-dra Pomilio; la targa Siae «Idead’Autore» ex aequo a Miranda & Iodi Gianluca Argentero e In caso diincendio di Francesco Caronna.

«Nonostante il dolore di questigiorni tolga il fiato a tutti noi, sonoemozionata di ricevere questo pre-mio per il film Limbo che raccontail superamento di un trauma e ilmio pensiero non può non andarea chi in queste ore si trova in unlimbo dal quale dovrà trovare laforza di uscire». È stato il ringra-ziamento di Kasia Smutniak. IN «LIMBO» Kasia Smutniak