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ARACNE L’Oggetto e il senso per una lettura sociologica della comunicazione nella società dei consumi Paolo Contini

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ARACNE

L’Oggetto e il sensoper una lettura sociologica

della comunicazionenella società dei consumi

Paolo Contini

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I edizione: maggio 2005

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A coloro che più amo,

nel tempo,

oltre il tempo

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Indice

Introduzione ...................................................................................... 9

PARTE PRIMA

La sociologia dei consumi

1. Radici storiche del consumo ...................................................... 19

1.1 La nascita della cultura del consumo ................................ 19

1.2 Lo sviluppo della cultura del consumo: la società

dei consumi Americana ..................................................... 31

1.3 Penetrazione dell’ideologia del consumo in Italia ............. 34

2. La sociologia e lo studio sui consumi ....................................... 39

Premessa ..................................................................................... 39

2.1 La prima sociologia dei consumi ...................................... 40

2.2 La sociologia dei consumi dal secondo dopoguerra ........ 47

3. Il consumo oltre le cose ............................................................. 57

3.1 Il consumo come simbolo .................................................. 57

3.2 Dal consumo di massa alla personalizzazione

del consumo ........................................................................ 63

PARTE SECONDA

Consumo e comunicazione

4. Consumare e (è) comunicare ..................................................... 75

4.1 Quando il consumo incontra la comunicazione ............... 75

4.2 Il consumo e la comunicazione: logica dei significati

e categorie culturali ............................................................ 84

4.3 Il marketing, ovvero il principale raccordo tra imprese

e consumatori ..................................................................... 89

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Indice 8

5. Comunicazione e consumo ........................................................ 101

5.1 La pubblicità e il consumo ................................................ 101

5.2 Il prodotto ed il messaggio: uno sguardo semiotico

al marketing ........................................................................ 113

5.3 Testo, ipertesto, parole ed immagini ................................. 122

6. La crisi del globale ed il ritorno al singolare ............................ 135

6.1 La rivoluzione dei consumi nelle aziende:

dal marketing di massa al marketing di nicchia ............... 144

6.2 Il differente uso delle parole e delle immagini

nella comunicazione tradizionale e in prospettiva

futura ................................................................................... 155

Note conclusive

Tendenze attuali e sviluppi futuri: verso un’etica

della pubblicità? ......................................................................... 163

Bibliografia essenziale ..................................................................... 175

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Introduzione

Questo lavoro si pone come obiettivo quello di affron-

tare due aspetti strettamente interconnessi — le mode di

consumo e le strategie di comunicazione — contestualiz-

zate in una realtà estremamente complessa e sfuggente,

variamente definita, qual è la contemporaneità. Si tratta di

un periodo storico e sociale definito nei modi più vari:

nella letteratura sociologica e filosofica si incontrano so-

vente definizioni articolate, come era o società post-

moderna1, neo–barocca2, globalizzata / glocalizzata,

flessibile3, trasparente4, liquida e dell’incertezza5, del ri-

schio6; dell’accesso e della new economy7, dell’appar-

tenenza multipla, dell’io debole8, del narcisismo9, della

crisi della famiglia, delle tribù affettive, del consumo10,

della trasmutazione dei valori, del crollo delle grandi nar-

1 Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo. Trad.

It. Milano, Edizioni Seam, 1994 2 Calabrese O., La società neo–barocca, Bari, Laterza, 1992

3 Cesareo V., La società flessibile, Milano, Franco Angeli, 1987;

Sennet R., L’uomo flessibile, Milano, Feltrinelli, 1999 4 Vattimo G., La società trasparente, Milano, Garzanti, 1989

5 Bauman Z., La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino, 1999;

Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, 2000; Liquid Love. On the

Frailty of Human Bonds. Cambridge, Polity Press, 2003 6 Back U., La società del rischio, trad it. Roma, Carocci, 2000

7 Rifkin J., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy,

trad. it. Milano, Mondadori, 2000 8 Vattimo G., La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1989

9 Lasch C., La cultura del narcisismo, trad. it. Milano, Bompiani,

1979 10

Maffesoli M., Il tempo delle tribù, Roma, Armando Editore,

1988

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Introduzione 10

razioni11, dell’avvento di saperi alternativi, del disembed-

ding12, della computerizzazione13, dell’informatizza-

zione14, dell’estetizzazione15, della smaterializzazione16,

dell’iperconsumo / iperspesa17, della mcdonaldizzazione,

del disincantamento e reincantamento18, dell’ironia, del-

l’apparenza, della simulazione19, della spettacolarizzazio-

ne20, della vetrinizzazione e della disneyficazione21, del-

l’entertainment e della ludicizzazione22; dell’edonismo23,

11

Lyotard J.F., La condizione postmoderna, trad. it. Milano,

Feltrinelli, 1982 12

Giddens A., The Consequences of Modernity, Cambridge, Polity

Press, 1990 13

Lyotard J. F., op. cit. 14

Castells M., La nascita della società in rete, trad. it. Milano, U-

niv. Bocconi Editrice, 2002 15

Maffesoli F., Le paradigme estetique. In Sociologia e Sociétés,

vol. 17, 1985; Ferry L., Homo aesteticus, Paris, Grasset, 1990 16

Fabris G.P., Consumatore & mercato, Milano, Sperling & Ku-

pfer, 1995; Fabris G.P. – Minestroni L., Valore e valori della marca,

Milano, Franco Angeli, 2004 17

Ritzer G., L’era dell’iperconsumo. McDonaldizzazione, carte di

credito, luoghi del consumo e altri temi, Milano, Angeli, 2003; Mora-

ce F. – Terzi A. – Tomassini N., Iperspesa, Milano, Lupetti & Co.,

1990 18

Ritzer G., La religione dei consumi, trad. it., Bologna, Il Mulino,

2000 19

Baudrillard J., Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, appa-

renze e altri oggetti, trad. it. Milano, Cappelli, 1980; Baudrillard J.,

Simulations, New York, Semiotex(e), 1983 20

Codeluppi V., Lo spettacolo della merce. Il luoghi del consumo

dai passages a Disney World. Milano, Bompiani, 2000; Debord G., La

società dello spettacolo, Milano, Baldini & Castaldi, 1997 21

Augè M., Disneyland e altri nonluoghi, trad. it. Torino, Bollati

Boringhieri, 1999; Skorin M., Variations on a Theme Park: The New

American City and the End of Public Space, New York, Hill and

Wang, 1992 22

Huizinga J., Homo Ludens, Torino, Einaudi, 1946

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Introduzione 11

del decontrollo controllato delle emozioni24, dell’indi-

viduo senza passioni25; della ricerca di sensazioni26; della

polisensorialità27; della femminilizzazione, della fusività,

dell’ecopragmatismo28; dell’islamofobia29, del pacifismo, o

altro ancora.

Certamente, quale che sia il punto di vista adottato, la

contemporaneità presenta caratteristiche tali da legit-

timare tutte le definizioni. In sostanza è ampiamente con-

diviso il limite del paradigma moderno, il quale si rivela

incapace di rendere ragione di una situazione tanto caoti-

ca30, pregna di turbolenze, contraddittoria, che non segue

le logiche tradizionali ispirate ai principi illuministico–

cartesiani, razionalistici, meccanicistici, deterministici, u-

tilitaristici, o ai funzionalismi. Nel vissuto dell’hic et

nunc, della quotidianità, che tende a divenire centrale

23

Campbell C., L’etica romantica e lo spirito del consumismo,

Roma, Ed. Lavoro, 1992; Cutolo G., L’edonista virtuoso, Milano,

Lybra, 1989 24

Wouters C., Formalization and Informalization: Changing Ten-

sion Balances in Civilizing Processes, in Theory, Culture & Society, 3,

1986 25

Pulcini E., L’individuo senza passioni, Torino, Bollati Borin-

ghieri, 2001 26

Zuchermann M., Sensation seeking, Hillsdale, Erlaum, 1979 27

Cattaneo A., La società sensibile: tra postmodernismo e polisen-

sorialità. In Ferraresi M., La società del tempo libero, Milano, Arcipe-

lago Edizioni, 2003 28

Fabris G.P., Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Mila-

no, Angeli, 2003 29

Cattaneo A., Local people and newcomers in a multicultural and

multiethnic town: Milan, Italy. Book of abstracts VI European Con-

gress of Sociology ESA, 23–26/9/03, 2003 30

Gleick J., Caos, Milano, Rizzoli, 1989

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Introduzione 12

nell’esistenza dell’individuo e della società stessa31, viene

sempre più valorizzato il ruolo dell’esperienza con le sue

cinque componenti identificate da Schmitt (sense, feel,

think, act, relate)32.

Ed è proprio l’esperienza nella sua natura polimorfa e

sfaccettata, a definire e dare senso a un’esistenza estrema-

mente frammentata, connotata da tensioni olistiche33, ibri-

de34, implosive35 che producono una graduale, costante ri-

duzione dei confini tra reale e virtuale, rendendoli fungibili

e innescando un conseguente assottigliamento della classica

distinzione manichea immanente – trascendente, lavoro –

divertimento, tempo sacro – profano, quotidianità – feria-

lità, tempus otii – tempus negotii. Si celebrano così l’av-

vento dell’attimo–universo36, della nowaness, dei mondi –

di – sogno / possibili37, dell’iperrealtà38, dell’xpannow39,

31

Maffesoli M., op. cit., 32

Schmitt B., Experiential Marketing: How to Get Customers to

Sense. Feel, Think, Act and Relate to Your Company and Brands, New

York, The Free Press, 1999 33

Fabris G.P., op. cit., 34

Schmitt B., op. cit., 35

Ritzer J., op. cit., 36

Turner V., Dreams, field, and metaphors, London, Ithaca &

London Cornell University Press, 1974 37

Eco U., Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei te-

sti narrativi, Milano, Bompiani, 1979; Semprini A., La marca. Dal

prodotto al mercato, dal mercato alla società, Milano, Lupetti, 1996 38

Baudrillard J., op. cit. 39

Cattaneo A., Experiential glances et transformations and

changes occuring in Reflexive Modernization. Atti del VI International

Conference on Social Science Methodology, Recent Developements

and Applications in Social Research Methodology, Session “Is There

a Fundamental Change in The Individual Shaping of The Life

Course?”, Amsterdam 16–20/4/2004; Cattaneo A., L’xpannow e poli-

sensorialità come dimensione comunicativa e globalizzante, Relazione

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Introduzione 13

del bricoleur40, dell’uomo consumatore41, dell’homo pa-

tiens42, sentiens43, aesteticus44, ludens45.

Come in tutti i momenti di cambiamento di paradigma,

che preludono all’avvento di nuove epoche storiche, non

mancano di sorgere incertezze, dubbi, perplessità, timori, e

persino voci che preconizzano futuri dipinti in toni apoca-

littici. A complicare ulteriormente il quadro, si riscontrano

anche varie evidenze, comprovate scientificamente46, di una

profonda crisi di identità nella quale sembra versare la par-

te più giovane di questa società contemporanea, incapace

di ricoprire il tradizionale ruolo trainante di gruppo di rife-

rimento, di innovatore, di gruppo che detta le mode, le ten-

denze.

Inserendoci in questo dibattito — ad oggi complesso e

ancora aperto — ci sembra legittimo affermare che la so-

cietà Occidentale contemporanea sia (non solo, ma soprat-

tutto) una società del consumo. In diverse misure chiunque

riesce a connotare i tratti generali della presenza inscindi-

bile del mondo degli oggetti nella vita di ogni essere uma-

no.

presentata al Convegno Nazionale AIS Comunicazione e Globaliz-

zazione. Sessione: Metodologia della ricerca, 23–24/9/2004, Urbino 40

De Certau M., L’invenzione del quotidiano, trad. it, Roma, Ed.

Lavoro, 2001 41

Katona G., L’uomo consumatore, Milano, Etas Kompass, 1962 42

Cattarinussi B., Sentimenti, passioni, emozioni. La ricerca del

comportamento sociale, Milano, Angeli, 2000 43

Cattaneo A., op. cit. 44

Maffesoli M., op. cit.; Ferry L., op. cit. 45

Huizinga J., op. cit. 46

Fabris G.P., op. cit.

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Introduzione 14

D’altro canto ricercare nel passato gli elementi costitu-

tivi di tale processo, senza incorrere nelle facili generaliz-

zazioni con le quali all’espressione società dei consumi è

stata associata una valutazione critica piuttosto che una

descrizione neutrale, non è così semplice. L’ambiguità che

l’espressione società dei consumi porta con sé ha spesso

associato questo fenomeno alla sua degenerazione na-

turale, il consumismo. Depurare il campo di analisi da

questa lettura volta ad attaccare la continua e instancabile

ricerca di oggetti e servizi nuovi e distintivi ancorché su-

perflui, che molti critici sociali hanno associato alle fasi

avanzate dello sviluppo capitalistico trova risoluzione in

una indagine sociologica e storiografica dello sviluppo

della società dei consumi avulsa da connotazioni critiche e

moralistiche.

Nasce l’esigenza di tracciare una linea guida che non

necessariamente associ società dei consumi e rivoluzione

industriale, espansione del sistema capitalistico e mas-

sificazione delle merci.

Seguire la storia del consumo è ripercorrere le tappe

dello sviluppo dell’Europa e degli Stati Uniti, poiché il va-

lore economico si costruisce culturalmente nel corso di

processi storici di lungo periodo, tenendo conto che esi-

stono particolari periodi e luoghi in cui la storia del con-

sumo sembra scorrere più velocemente.

La curvatura dello studio sui consumi si estrinseca nel

processo di personalizzazione degli oggetti, che rispon-

dono in parte a logiche di gruppi sociali e che trovano

massima espressione di soddisfazione nel più grande mer-

cato che il mondo abbia mai conosciuto: internet. Consu-

mo e comunicazione, dunque. Fino all’ipotesi di una co-

municazione per il consumo che supera, paradossalmente,

l’oggetto. Un oggetto che perde progressivamente materia

ed acquista senso. Il desiderio che si insinua negli spazi e

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Introduzione 15

nei tempi dell’uomo. Perché non c’è consumo, senza pro-

duzione. E il tempo della produzione non permette la libe-

ra espressione del desiderio di avere. Consumo, legato a

doppio filo alla struttura capitalistica. Nella misura dei

modi e dei tempi che si dedicano al mantenimento del si-

stema come in un equazione si sviluppano i modi e i tempi

volti al consumo.

Società delle comunicazioni e/o società dei consumi,

quella contemporanea non si riconosce più negli antichi

paradigmi, quelli che Marcel Gauchet definì come “nati

dal periodo assiale”47

.

Quale che sia la griglia ermeneutica che si adoperi per

la lettura sociologica della contemporaneità, appare evi-

dente come si tratti di un nuovo momento di transizione, il

cui novum si situa nell’essere, questa fase, altra dalle pre-

cedenti cronologicamente, ma anche — diremmo — onto-

logicamente. Il pauroso processo di tecnologizzazione che

ha caratterizzato il XX secolo ha introdotto una velociz-

zazione disarmante nei processi di cambiamento.

Le mode di consumo, le strategie di comunicazione e le

interconnessioni che si stabiliscono tra le due sono indica-

tori efficaci, a nostro avviso, dell’essere della contempo-

raneità e del suo ”essere sé stessa”.

47

Gauchet M., Il disincanto del mondo, Einaudi, Torino, 1992

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PARTE PRIMA

La sociologia dei consumi

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Capitolo 1

Radici storiche del consumo

1.1 La nascita della cultura del consumo

Il concetto di consumo si è evoluto parallelamente alle

trasformazioni sociali ed economiche avvenute nell’ultimo secolo in Europa e negli Stati Uniti, con le dovute diffe-renze e gli inevitabili ritardi generazionali di un occidente non ancora globalizzato. Numerose sono le opinioni sui contesti che hanno portato alla nascita della cultura dei consumi. Gli studiosi McKendrick, Brewer, Plumb1, Co-deluppi2, si trovano d’accordo nel collocare l’inizio della cultura dei consumi nel periodo della rivoluzione indu-striale, epoca durante la quale il consumo si estende e si trasforma da fenomeno di élite a fenomeno collettivo.

Il consumo, in quanto tratto dell’“agire umano, al tem-po stesso individuale e sociale, dotato di senso, che si fon-da su un processo di acquisizione di beni e servizi, attra-verso uno scambio di denaro”3, diviene tema centrale nelle teorie sulla società a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. In quel periodo infatti si compie il passaggio da un’economia caratterizzata da derrate agricole e manufatti artigianali alla produzione in serie. L’industria chiave, simbolo della produzione di massa, è stata l’industria degli autoveicoli e in particolare dell’automobile. Essa aprì un

1 McKendrick N., Brewer J., Plumb J. M., The birth of a consumer

society: the commercialization of eighteenth century England, Indiana University Press, Bloominghton, 1982

2 Codeluppi V., La sociologia dei consumi: teorie classiche e pro-

spettive contemporanee, Carocci, Roma, 2002 3 Marcuse, H., L’uomo ad una dimensione, Einaudi, Torino, 1963

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I. La sociologia dei consumi

20

mercato rilevante per i prodotti siderurgici e metalmecca-nici, come la gomma, il vetro, il petrolio. Provocò la ri-strutturazione degli insediamenti urbani secondo direttrici periferiche e collegò i mercati rurali e urbani; stimolando la formazione di un settore economico "indotto" di indu-strie, organizzazioni commerciali e servizi connessi. Mise, inoltre, in moto una spesa pubblica consistente (strade, in-frastrutture dell’urbanizzazione, ecc.); contribuendo a tra-sformare sostanzialmente i modi di vita connotanti l’an-

cien regime economico. Assumendo l’automobile quale indice della "rivoluzione dei consumi", salta subito al-l’occhio la rilevante sfasatura tra Stati Uniti ed Europa: la piena espansione dell’industria automobilistica si ha negli Stati Uniti tra le due guerre, in Europa soltanto a partire dagli anni Cinquanta. Henry Hobhouse4 tuttavia scrive, nel suo Seedes of Change, “il punto di partenza per l’espan-sione Europea al di fuori del Mediterraneo […] non ha a-vuto nulla a che fare con la religione o lo sviluppo del Ca-pitalismo, ma ha avuto molto a che fare con il pepe. Le Americhe sono state scoperte come effetto non previsto della ricerca del pepe”. Lungi dal voler individuare la ge-nesi delle traversate transoceaniche esclusivamente nei nuovi bisogni di consumo, a promuovere il capitalismo non è stata solo la rivoluzione industriale, che raggiunge il suo apogeo nel secondo Ottocento, o la mentalità calcola-trice dei piccoli borghesi ispirati dall’ascetismo calvinista del Sei–Settecento, ma anche i consumi, dai piccoli lussi del popolo alle stravaganze della nobiltà già a partire dal tardo Medioevo.

4 Hobhouse H., Seeds of Change, Harper and Row, New York,

1985

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1. Radici storiche del consumo

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Diviene indispensabile precisare che, parafrasando Weber5, si può considerare la “società dei consumi” come un tipo di società in cui la “soddisfazione dei bisogni quo-tidiani“ avviene “per via capitalistica”, vale a dire tramite l’acquisto e l’utilizzo di merci sul mercato. Seguendo Weber, se in tutti i periodi storici troviamo forme di capi-talismo, intese come forme produttive volte alla massimiz-zazione del profitto, solo in Occidente, e da un determina-to momento in poi, nello sviluppo della società capitalisti-ca moderna possiamo rinvenire questo tipo di società, do-ve i bisogni anche più elementari vengono soddisfatti tra-mite delle azioni di consumo. Il consumo è una sfera di a-zioni con luoghi e tempi dedicati, con pratiche contrappo-ste e separate da quelle del lavoro. Il quotidiano vede l’al-ternarsi di tempi di lavoro e tempi di consumo, svolti in luoghi tendenzialmente diversi.

La tesi di Weber6 concentra nelle credenze e nelle pra-tiche protestanti, in particolar modo calviniste, uno spirito calcolatore affine al capitalismo che avrebbe material-mente permesso, mediante la coazione ascetica al rispar-mio, la formazione del capitale necessaria allo sviluppo dell’impresa capitalistica.

Coesisteva però uno spirito edonistico, incarnato non solo dai nobili e dall’alta finanza, ma anche, e in maniera sempre maggiore, dalle classi popolari, che vedevano nel consumo negli agi e persino negli sprechi forze di azione significativa.

La netta distinzione tra domanda e offerta dell’analisi economica classica non tiene conto, spesso, degli usi, delle

5 Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzo-

li, Milano, 1991 6 Weber M., op. cit.

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I. La sociologia dei consumi

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associazioni simboliche, del valore che connota un ogget-to, rendendo il consumo come un fenomeno passivo.

Per integrare l’ipotesi Weberiana è opportuno consi-derare le caratteristiche della cultura del consumo nel Sei–Settecento. Sociologia e storiografia hanno seguito per molto tempo una visione dualistica che lasciava alla sola organizzazione produttiva il ruolo attivo di motore della storia e considerava la società dei consumi quale epigono novecentesco della rivoluzione industriale. La radicale tra-sformazione della struttura economica e produttiva avreb-be attivato la rivoluzione della domanda, e la società dei consumi viene di conseguenza concepita quale risposta culturale ad una più profonda trasformazione economica. In quest’ottica la cultura del consumo coincide con il con-sumismo, a sua volta ridotto alla associazione tra pratiche di consumo e pubblicità ricondotte entrambe alla cultura di massa, derivato primo della produzione di massa.

La svolta anti–produzionista vede i lavori di Neil McKendrick7, Colin Campbell8 e Jean De Vries9 retro-datare la rivoluzione della domanda al Settecento o alla seconda metà del Seicento sottolineando, ciascuno in mo-do diverso, che i desideri di consumo hanno avuto un ruo-lo attivo e creativo nel dar forma alla modernità.

La svolta negli studi sul consumo di Mc Kendrick si e-vince dalla considerazione secondo la quale “la rivoluzio-ne dei consumi” è stata “il necessario corrispettivo della rivoluzione industriale”, “l’inevitabile sussulto dal lato

7 McKendrick N., op. cit. 8 Campbell C., L’etica romantica e lo spirito del consumismo mo-

derno, Lavoro, Roma, 1982 9 De Vries J., Peasant demand patterns and economics develope-

ment: Friesland 1550–1750, in Parker W. N. e Jones E. L., European

Peasant and their markets: Essay in Agrarian economic History, Princeton university Press, Princeton, N. Y., 1975

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1. Radici storiche del consumo

23

della domanda nell’equazione economica, corrispondente ad una analogo sussulto nella produzione”10, da collocarsi nella seconda metà del Settecento in Inghilterra, sullo sfondo di una società progressivamente più flessibile come risultato delle aspirazioni di status delle nuove classi bor-ghesi.

L’elevazione sociale della classe borghese si estrinseca-va nell’emulazione dei consumi dei custodi della raffina-tezza dell’epoca: i nobili. A questo proposito, le porcellane di Josiah Wegwood facevano leva sulle aspirazioni di sta-tus, e pur non utilizzando ancora tecniche produttive indu-striali, utilizzavano tecniche di vendita sofisticate.

Wegwood capisce e sfrutta le pretese dei nobili e le a-spirazioni dei borghesi sponsorizzando le sue porcellane tra le case reali, per poi sfruttare l’aura creata attorno ai suoi manufatti e vendere ai “nuovi ricchi”. Adotta vere e proprie tecniche di marketing e di design per produrre a costi accessibili una grande quantità di beni per soddisfare il gusto e la raffinatezza della classe borghese in ascesa. McKendrick offre, in definitiva, una spiegazione che po-tremmo definire consumista, per cui il processo di indu-strializzazione sarebbe stato l’effetto e non la causa dei nuovi desideri di consumo, sospinto dalla dimostrazione di status tramite tecniche promozionali. Tratteggia la doman-da come parte attiva del processo storico, dipingendola come “frutto naturale” dell’inclinazione dell’uomo ad imi-tare chi ha potere e status. I limiti della sua teorizzazione emergono proprio dall’appiattimento delle particolarità di un ambiente sociale in cui diviene lecito e possibile segui-re la moda, godere dell’ostentazione, attribuendo ai primi borghesi la voglia di consumare di più sull’emulazione, l’invidia, la voglia di dimostrazione del proprio status.

10 McKendrick N., op. cit.

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In aperto dissenso con McKendrick proprio sull’accen-tuazione di motivi di consumo a–storici e universali come l’emulazione e la voglia di rivalsa, Campbell cerca di completare il saggio di Weber, L’etica protestante e lo

spirito del Capitalismo fornendo una spiegazione che si può definire Modernista, nel suo saggio L’etica romantica

e lo spirito del consumismo moderno. Il sociologo e storico scozzese vuole dimostrare che non

solo l’orientamento alla produzione ma anche quello al consumo hanno contribuito alla modernità capitalistica. Il consumo è frutto di un nuovo atteggiamento etico ed este-tico che aspira alla novità ed all’originalità affondando le proprie radici nell’atteggiamento romantico. Tendendo a ciò che di propriamente moderno c’è nella cultura materia-le descrive il consumatore come un moderno “edonista” che “si allontana dalla realtà non appena la incontra, spo-stando i suoi sogni sempre più avanti nel tempo, attaccan-doli a oggetti del desiderio e poi, successivamente, stac-candoli da tali oggetti non appena li ha ottenuti e ne ha fat-to esperienza”11. Il consumismo moderno è un esercizio privato di edonismo particolare, potenzialmente infinito, e l’interesse si concentra soprattutto sui “significati e sulle immagini che possono essere attribuiti ad un prodotto, qualcosa che ne richiede la presenza di novità”12.

Collocando la rivoluzione dei consumi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento Campbell sostiene i-noltre che i consumatori moderni tendono a costruire il proprio contesto personale di godimento “rimestando e manipolando illusioni”, riproducendo i propri “sogni ad occhi aperti” primariamente tramite gli oggetti.

11 Campbell C., op. cit. 12 Ibid.

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I romantici ritenevano che il compito degli esseri umani fosse essenzialmente realizzarsi come singoli: in opposi-zione alla società e fedeli al principio sviluppano l’edo-nismo moderno definito dai piaceri dell’immaginazione e legato alla capacità di gestire emozioni.

Campbell da una spiegazione a quella che appare co-me una contraddizione nello sviluppo del capitalismo, ovvero il fatto che fossero quegli stessi borghesi inglesi, tra cui era più viva la fede protestante, a dare vita alla ri-voluzione dei consumi, sostenendo che fu proprio il con-trollo delle emozioni appreso tramite l’etica protestante a rendere possibile la concezione moderna del piacere, in-centrata sulla capacità di contemplare oggetti e di mani-polarne i significati.

Pur dando senso culturale alle fantasie individuali, Campbell trascura quei processi sociali che permettono lo sviluppo di certe fantasie verso determinati soggetti piut-tosto che altri, a seconda del loro genere, razza, sessualità.

Quella che per Campbell è una sindrome Sette–Otto-centesca si riscontra in ogni comunità urbana sufficien-temente vasta e sviluppata commercialmente dove vi sia-no tempo e ricchezza sufficienti per impegnarsi in forme complesse di costruzione e presentazione del sé attraver-so un numero sempre crescente di beni disponibili sul mercato.

In definitiva non tiene conto del fatto che l’edonismo dell’immaginazione si è innestato su una tendenza cul-turale di lungo periodo che predilige il materialismo e che si è combinata, a partire dal Settecento con la propensione a definire gli attori sociali come “consumatori”.

Gli studiosi McKendrick, Brewer e Plumb confermano il ruolo di promotore della cultura del consumo svolto dal-le imprese presentando il caso Josiah Wedgwood. Quella di Wedgwood è un’azienda inglese di ceramiche che nel

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XVIII secolo sfrutta le strategie di marketing per promuo-vere i suoi prodotti, in un primo momento, presso le classi più elevate e poi presso la classe media. Quest’ultima vede le prime come un modello di stile e di raffinatezza da imi-tare mediante la fruizione degli stessi beni di consumo. Wedgwood, cosciente di tale meccanismo imitativo, sce-glie di mostrare le proprie ceramiche nelle case di alcuni nobili in modo da trasferire un’aura di prestigio ai propri prodotti. Le imprese, in generale, propongono dei modelli di consumo che si oppongono a quelli tradizionali e locali adottando i nuovi strumenti del marketing e della pubblici-tà. La nascita della cultura del consumo nel XVIII secolo rende la donna protagonista: lavorando presso le imprese inglesi incomincia a disporre di un reddito per l’acquisto di quei beni che essa stessa ha in precedenza fabbricato a casa: abiti, biancheria, tendaggi ed accessori13. Il desiderio di beni materiali viene alimentato dallo sviluppo nella so-cietà inglese di un sistema di valori all’interno dei quali il consumo viene visto come portatore di benessere e del be-ne collettivo. La nascita della cultura del consumo si dif-fonde inoltre in seguito alla metamorfosi che il negozio subisce durante la rivoluzione industriale14. Fino al XVIII secolo il negozio mantiene al suo interno il laboratorio do-ve vengono costruite artigianalmente le merci. Quest’ul-time non sono visibili all’acquirente, in quanto stipate in enormi armadi. L’acquirente entra in bottega non sapendo cosa comprare e lascia che sia il negoziante a proporre dei pezzi, magnificandoli in ogni loro aspetto. Il cliente si sen-te dunque in obbligo di comprare in cambio del tempo a lui dedicato dal negoziante. Tutto questo cambia con

13 McKendrick N., Brewer J., Plumb J. M., op. cit. 14 Codeluppi V., Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo,

dai passages a Disney World, Bompiani, Milano, 2000

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1. Radici storiche del consumo

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l’inizio del XVIII secolo grazie alla nascita delle prime ve-trine. Esse hanno un aspetto non proprio simile a quelle at-tuali visto che sono realizzate unendo tanti frammenti di vetro. Si incomincia dunque ad esporre le prime merci. Lo stesso negozio al suo interno cambia fisionomia liberando-si degli armadi con grandi cassetti che vengono sostituiti da mobili idonei ad esporre i prodotti. Il laboratorio viene spostato dal negozio e va ad occupare le zone della perife-ria della città. In seguito, s’incomincia a produrre grandi lastre di cristallo che sostituiscono le “prime” vetrine. Le nuove vetrine dei negozi rendono più brillanti i colori del-le merci esposte. L’uso inoltre dell’illuminazione ar-tificiale e i giochi di luce di specchietti opportunamente posizionati accentuano la trasparenza delle vetrine. I nego-zianti cercano di attirare l’attenzione dei passanti mettendo in scena i prodotti come se fossero gli attori che recitano davanti al proprio pubblico su di un palcoscenico, la vetri-na. I beni perdono quindi il loro significato originario lega-to al rapporto diretto e personale del cliente con il nego-ziante e vengono contestualizzati all’interno delle rappre-sentazioni messe in scena nelle vetrine. Il cliente non fa più affidamento sul venditore, ma è lasciato solo davanti al prodotto. È proprio il cliente, divenuto ormai consumatore, che sceglie i prodotti più belli, più seducenti in base alle sue competenze d’acquisto. Con gli inizi dell’Ottocento, la rivoluzione industriale stimola la produzione in grandi quantità di merci che hanno dunque bisogno di luoghi in cui possano venire vendute15. Si moltiplicano i negozi gra-zie anche ai piani di riurbanizzazione realizzati a Parigi. Nella capitale francese si moltiplicano i consumi sulla spinta dell’ingordigia di beni manifestata dalle masse. I negozi diventano ormai insufficienti, in quanto non riesco-

15 Codeluppi V., op. cit.

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no a soddisfare le richieste distributive delle imprese. Si realizzano in centro a Parigi degli spazi di vendita accessi-bili a tutti, ma allo stesso tempo lussuosi e intimi come degli spazi privati. Nascono le prime gallerie commerciali o passages16. Tali luoghi del consumo presentano una struttura singolare: essi sono delle vie dotate di soffitti a vetrate in cui negozi lussuosi convivono con sale da the, librerie ed appartamenti. È qui che i parigini amano pas-seggiare, incontrare i nuovi amori, discutere e naturalmen-te consumare. Nasce in quegli anni la figura del flaneur che passa la giornata a vagare per la città senza meta per il puro desiderio di esplorare e vagabondare immerso nell’orgia di merci luccicanti.

Con il progresso industriale e la produzione massificata i luoghi del consumo si modificano nuovamente. Nascono spazi d’acquisto più ampi e sviluppati in altezza anche a causa dei costi degli affitti. È il periodo dei grandi magaz-zini — enormi palazzi raggiungibili dalla periferia grazie alle nuove arterie ferroviarie e tranviarie — che godono di enormi spazi di vendita dove tutto è spettacolarizzato. Il consumatore vi trova tutto ciò che può desiderare e viene stimolato da décor espositivi a tema. La messa in scena ti-pica delle vetrine dei negozi viene sostituita da spazi in-terni caratterizzati da rappresentazioni esotiche. L’ingor-digia di beni, il moltiplicarsi e trasformarsi dei luoghi di consumo e l’incessante riversarsi sul mercato di prodotti sono naturalmente stimolati da dei sistemi di valori a cui fanno capo l’etica protestante per l’agire delle imprese e l’etica romantica per l’agire dei consumatori17. La prima teorizzazione sulla capacità di mediazione simbolica dei beni risale a Marx che definì la differenza tra “valore

16 Ibid. 17 Campbell C., op. cit.

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1. Radici storiche del consumo

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d’uso” e “valore di scambio” di un oggetto, dove il primo è legato all’effettivo utilizzo del bene mentre il secondo gli viene attribuito dal mercato in base ad una sorta di per-cezione sociale del suo valore. Al di là degli elementi che costituiscono le parti strutturali e sovrastrutturali del con-cetto di consumo, già Marx pone le basi per l’elaborazione weberiana — che sarà ripresa dallo stesso Campbell — del concetto di stile di vita, concependo il consumo come un atto sociale. Weber, infatti, è il primo ad ipotizzare un le-game tra la strutturazione del sistema sociale e lo stile di consumo, mediante l’introduzione del concetto di “condot-ta di vita”, inteso come “quantità di onore e distinzione a cui un individuo può aspirare attraverso un comportamen-to di consumo”. La condotta di vita weberiana funziona da indicatore distintivo dei ceti. E la dialettica, la tensione, tra individuazione e omogeneizzazione del soggetto, tra il consumo di massa e l’individualismo, tra l’eccentricità (li-bertà di appropriarsi di segni) e l’atteggiamento blasé (in-differenza di fronte al loro carico di significazione), viene già colta nella speculazione di Simmel, per il quale la Mo-da realizza perfettamente lo spirito della società che si la-scia per la prima volta travolgere dai beni di consumo. Collin Campbell lega l’etica protestante di Weber ad una concezione romantica del consumo. Sono i ceti medi della società inglese di tradizione protestante a guidare le im-prese e lo fanno reinvestendo continuamente i profitti. Il successo della propria attività viene visto come la condotta ottimale, segno della benevolenza divina. L’accumulo di ricchezza viene quindi sostituito dal continuo reinve-stimento che conduce alla produzione di quantità crescenti di beni prodotti. Parallelamente all’etica protestante, nasce l’esigenza di gratificare il proprio sé attraverso qualsiasi esperienza piacevole. È all’interno di tale contesto che la cultura industriale fa nascere il desiderio incessante di

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consumare, il quale spinge gli individui a volere consu-mare sempre di più. Campbell spiega che questo desiderio non è legato all’acquisto di particolari beni, ma è fine a se stesso: “Noi non desideriamo in genere un oggetto parti-colare, sebbene questo a volte possa accadere; in linea di massima desideriamo desiderare e desideriamo cose nuove e diverse in una girandola continua d’insoddisfazione.”18 L’autore inserisce l’incessante desiderio di consumare nel concetto di etica romantica. Esso guida gli individui ad a-prirsi a tutte le esperienze possibili di consumo ricercando in ognuna la gratificazione de proprio sé. La donna assume un ruolo fondamentale nella diffusione della concezione romantica del consumo: incomincia a vedere la lettura di romanzi non più come fonte da cui trarre insegnamenti morali, ma come esperienza emozionante e gratificante. Con l’Ottocento la donna della classe media diventa una lettrice di romanzi che le permettono dunque di vivere le storie raccontate attraverso gli occhi degli autori. In segui-to, l’etica romantica guida gli individui nel desiderare beni non solo culturali ma appartenenti a tutti i comparti del consumo. L’etica romantica lega il consumo all’esperienza del sogno ad occhi aperti, il cui piacere svanisce una volta realizzato. L’acquisto effettivo del bene desiderato pone dunque fine al sogno, deludendo l’individuo che, in rispo-sta, produce altri nuovi desideri. Il tutto va a creare una si-tuazione di desiderio incessante di consumare nell’indi-viduo. La contrapposizione e l’assoluta inscindibilità tra massa e individuo e quindi tra consumo omogeneizzante e consumo come fattore distintivo individuale è già perfet-tamente presente nello spirito che anima le grandi metro-poli europee di fine Ottocento: ciò che libera l’individuo, il denaro, il suo spirito che permea tutto il reale, contempo-

18 Ibid.

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raneamente dissolve lo stesso individuo, lo omogeneizza. È la tragedia del moderno che altri non è che "una tragedia senza Eroi”19. Dentro tale contesto, la moda è il medium perfetto per analizzare tale contraddizione, è "la palestra della conquista dell’individualità, e quindi della distinzio-ne". Il teatro di tale tragedia è necessariamente la metropo-li: è quella Berlino che nell’ultimo trentennio dell’Otto-cento moltiplica i suoi abitanti e il suo tessuto urbano, è quella Parigi che così bene Baudelaire e Rilke avevano di-pinto nelle loro opere, ma il consumo indotto dalla moda ha un posto cruciale perché concilia la dicotomia tra ciò che è distinto e ciò che è omologato.

1.2 Lo sviluppo della cultura del consumo: la società

dei consumi Americana

Tra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Nove-

cento gli Stati Uniti ottengono la supremazia in campo in-dustriale superando l’Inghilterra, culla della rivoluzione industriale. Dalle idee di un ingegnere di nome Ford, na-sce la produzione di massa applicata prima al settore dell’automobile ed in seguito a tutta l’industria. Il modello

industriale fordista si fonda sull’idea dell’efficienza otte-nuta dalla parcellizzazione del processo industriale che scompone il prodotto in tante componenti compatibili le une alle altre ed assemblate da una catena di montaggio. Il risultato è la produzione di un prodotto unico e la messa sul mercato di un’offerta omogenea. La ricerca dell’effi-cienza conduce all’abbassamento dei costi di produzione attraverso le economie di scala che rendono i prezzi dei prodotti accessibili a tutti. Un esempio può essere l’auto-

19 Simmel G., La differenziazione sociale, Laterza, Bari, 1982

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mobile prodotta da Ford, il modello T, che prevede una so-la colorazione e nessun accessorio o personalizzazione. Tutto questo permette di rendere l’automobile accessibile anche alle classi operaie. Fino agli anni Venti l’industria americana deve far fronte ad un’eccedenza della domanda rispetto all’offerta e risponde con un orientamento di mar-keting al prodotto; la situazione economica positiva cam-bia con la crisi del 1929 legata alla sovrapproduzione. Le imprese americane cambiano direzione e, dall’orienta-mento al prodotto (omogeneo), passano all’orientamento alle vendite. Esse si pongono dunque come imperativo

quello di vendere tutto ciò che si produce. Si persegue tale scopo sfruttando tutti gli strumenti commerciali e di mar-keting nelle loro mani. Le imprese sono convinte che per stimolare la ripresa dei consumi sono necessari nuovi mo-delli di vita i cui valori sono radicati nella storia della so-cietà americana20. Tali modelli oltretutto rispettano la struttura sociale americana caratterizzata da una forma pi-ramidale, stratificata e permeabile. La civiltà americana da sempre ha dimostrato un’aspirazione al successo e alla vo-glia di rimarcare la propria superiorità. Lo ha fatto a livel-lo industriale, proponendo il modello della produzione di massa successivamente usato in Europa, e a livello di con-sumi con l’esportazione dell’American way of life. Le im-prese americane vedono nell’American dream la spinta al-la ripresa dei consumi, possibile grazie al reddito elevato di tutta la popolazione. Il sogno consiste nell’impegno di ogni americano a scalare la piramide sociale attraverso il sacrificio e la carriera professionale. Ogni strato vede quello superiore come un modello da imitare e raggiun-gere attraverso l’appropriazione dei suoi comportamenti e delle sue scelte di consumo. I valori tipici dell’American

20 Fabris G., Sociologia dei consumi, Hoepli, Milano, 1971

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dream sono il successo e l’ambizione professionale, la fa-miglia, il rapporto con il vicinato, la casa unifamiliare, le

amicizie fra le famiglie dei colleghi, le gite nel week end. Le imprese americane si fanno promotrici di tali valori at-traverso la pubblicità. L’advertising ricrea con precisione l’American way of life in modo da declinare tutti i suoi valori in una combinazione d’oggetti d’uso21. Le imprese americane propongono dunque una serie di beni il cui pos-sesso è segno di appartenenza alla “comunità”22. La com-binazione di tali beni è resa accessibile a quasi tutte le classi grazie alla massificazione dei mercati. Questi beni sono dunque posseduti da molti strati sociali, i quali aspi-rano a raggiungere la sommità della piramide. È proprio tale aspirazione che porta alla nascita del fenomeno dello status symbol. Lo status symbol è quel prodotto che l’americano cerca di possedere a tutti i costi. Il suo posses-so si traduce in sacrifici il cui risultato finale è l’illusione di appartenere allo strato sociale superiore. L’ascesa socia-le non pone fine alla seduzione dello status symbol, anzi la

alimenta sempre di più. Lo status symbol seduce sia l’uo-mo sia la donna attraverso prodotti come l’automobile sportiva, la villa al mare… All’interno di tale contesto si inserisce la teoria della “goccia a goccia” o “trickel down theory”, formulata negli anni Cinquanta da Fallers23, il quale fornisce una spiegazione dell’introduzione delle mode. Essa, in particolare, afferma che le mode nascono come innovazioni ai vertici della società e mano a mano scendono per effetto del “trickel effect” perdendo il loro significato simbolico iniziale. All’arrivo dell’innovazione agli strati sociali più bassi, essa viene sostituita da un’altra

21 Ibid. 22 Alberini F., Statu Nascenti, Il Mulino, Bologna, 1968 23 Fabris G., op. cit.

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moda che percorre lo stesso tragitto della precedente. Il tessuto politico e mediale, insieme alle grandi aziende, contribuisce a promuovere l’American way of life diffon-dendo modelli di vita e di successo tra gli americani. Un notevole contributo è da imputarsi al cinema e alla televi-sione che promuovono una società del benessere in cui l’aspirazione di ognuno è consumare e soddisfare sempre più nuovi bisogni emergenti.

1.3 Mutamenti socioculturali e penetrazione dell’ideo-

logia del consumo in Italia

Paolo Falabrino in “Pubblicità serva e padrona”24 forni-

sce un’interpretazione storica dello sviluppo in Italia della società dei consumi, inserendola nel secondo dopoguerra in occasione della liberazione dell’esercito americano. E-gli afferma che sono proprio i soldati americani a far in-contrare la società italiana con la cultura dei consumi, simbolo del periodo di benessere sociale e politico degli Stati Uniti. Tale incontro non risulta facile e privo di ral-lentamenti ed opposizioni. Notevoli sono le differenze fra la popolazione americana rappresentata dai suoi militari e quella italiana: la prima è industriale e potentemente av-viata verso il secolarismo, mentre la seconda è legata alla tradizione contadina e — non irrilevante — cattolica. Ini-zialmente viene visto con invidia e ostilità tutto ciò che gli americani rappresentano. Essi non sembrano aver mai vi-sto la povertà e la miseria, e il loro stesso equipaggiamen-to è segno del benessere della società in cui vivono. Gli i-taliani si avvicinano al consumo scambiando generi di

24 Falabrino P., Effimera e bella. Storia della pubblicità italiana,

Gutemberg, Torino, 2000

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prima necessità come cibo, coperte e bevande con gli ame-ricani. I soldati diffondono i nuovi modelli di vita che con-trastano con i valori tipicamente cattolico–contadini come il risparmio, l’onestà, il dovere, la rinuncia, la non consi-derazione del lusso… La cultura del consumo viene vista come qualcosa di veramente negativo ed effimero, in quanto promuove il consumo piuttosto che il risparmio, il piacere al posto della rinuncia25. Questo clima di condanna ha durata breve visto che, già dagli anni Cinquanta, con il boom economico incominciano ad inserirsi i modelli di consumo della società americana. L’Italia vive tra il 1950 e il 1963 un periodo di grande crescita economica, la quale trasforma il paese arretrato del secondo dopoguerra in una delle prime dieci potenze industriali del mondo. In questo periodo le grandi e medie imprese rivoluzionano la loro struttura e il loro funzionamento, razionalizzando la ge-stione delle risorse e l’organizzazione dei processi produt-tivi e del lavoro. I principi quali la serialità, la standardiz-zazione dei processi, la divisione tayloristica del lavoro portano al successo settori industriali come quello delle automobili, della chimica, della carta e della meccanica di precisione. La crescita italiana si traduce in un aumento del tenore di vita reso possibile dagli alti profitti delle in-dustrie che garantiscono un’ottima copertura occupaziona-le e elevati salari. Le imprese italiane, godendo di elevati profitti grazie alla loro efficienza, sono stimolate ad inve-stire in tecnologia sulla spinta di un mercato potenziale di-sposto ad acquistare grazie ad un buon livello di reddito. La situazione di benessere generale è il riflesso di una tra-sformazione della società italiana avvenuta durante gli an-ni del miracolo italiano. Negli anni precedenti, l’Italia si caratterizza per una struttura sociale rigida e suddivisa in

25 Falabrino P., op. cit.

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classi che permettevano poca mobilità sociale di tipo a-scensionale. S’individuano le due classi sociali di riferi-mento, rese più riconoscibili dall’indirizzamento eco-nomico in atto, di cui una è di dimensioni ridotte e l’altra, più ampia, coincide con gran parte della popolazione. O-gnuna è portatrice di un proprio sistema di valori che ren-de difficile l’incontro poiché verte su tendenze politiche opposte. In realtà, tra le due classi si interpone uno “strato cuscinetto” che non può né appartenere alla classe superio-re, quella della borghesia, né alla classe inferiore, quella del proletariato. Il boom economico mette in ombra l’importanza delle classi sociali lasciando lo spazio ad una “(…) gigantesca struttura sociale di ceti medi. Quello che era apparso come una sorta di strato cuscinetto tra borghe-sia e proletariato appariva in realtà divenire — in conco-mitanza ad un processo di terziarizzazione della società, destinato a fagocitare o ridurre grandemente la numerosità degli appartenenti alle classi sociali contrapposte nell’am-bito della piramide sociale — la fascia più consistente e tendenzialmente egemone nel sociale”26. Il nuovo assetto sociale italiano rimane inizialmente legato ai vecchi valori tipici della cultura contadino-cattolica della rinuncia sosti-tuiti rapidamente dalla cultura del consumo sulla spinta delle imprese. Esse diventano le promotrici di nuovi mo-delli di riferimento i cui valori vengono promossi attraver-so la pubblicità. Egli individua nella società italiana una iniziale resistenza nell’abbandonare i vecchi valori per ab-bracciare immediatamente quelli di tipo capitalistico. Essa ha bisogno quindi di essere rassicurata sul fatto che i beni promossi non vanno ad urtare categorie come la genuinità, la cura nel fare le cose, il sacrificio per ottenere ciò che si

26 Fabris G., Consumatore e mercato. Le nuove regole, Sperling &

Kupfer, Milano, 1995

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desidera27. Le imprese concepiscono attraverso gli stru-menti del marketing e dell’advertising un modo per rassi-curare tali ansie. Lo trovano associando i valori contadini e familiaristici a prodotti industriali che celano la loro rea-le veste. Le pubblicità si dotano di meccanismi di seduzio-ne rassicurante in modo da smentire le convinzioni sulla dannosità dei prodotti industriali. Esse inseriscono in rap-presentazioni di vita rurale prodotti industriali come frutto di tradizioni centenarie e di attività artigianali. Le resisten-ze alla cultura del consumo cadono; si sviluppano tra il ce-to medio comportamenti di consumo che non risultano es-sere solo il frutto dell’euforia di una situazione di benesse-re, la quale sembra aver cancellato i sacrifici dei primi an-ni del dopoguerra, ma vengono spinti dal desiderio comu-ne di ostentazione e di prestigio. Il già citato economista Duesenberry28 vede nell’impulso dell’individuo a miglio-rare continuamente le proprie condizioni di vita lo stimolo a comportamenti di consumo di tipo ostentativo. Bisogna tenere conto che tale teoria va inserita nel contesto di una società stratificata e dinamica come quella americana, ma può comunque trovare applicazione nella situazione italia-na. Sia la società americana sia quella italiana sono spinte ad acquistare continuamente nuovi beni per soddisfare il desiderio di miglioramento continuo delle proprie condi-zioni di vita. Il continuo ingresso sul mercato di nuovi be-ni stimola i comportamenti di consumo alimentando l’im-pulso a conoscere e fare propri modelli superiori. Nasce così quell’effetto che Duesenberry chiama “effetto di di-mostrazione” che tende a limitare gli atti di consumo abi-tuali. Lo stesso autore sostiene che la frequenza dei contat-

27 Alberoni F., op. cit. 28 Duesenberry J. S., Reddito, risparmio e teoria del comporta-

mento del consumatore, Etas Kompass, Milano, 1969

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ti con i beni di qualità superiore tende ad aumentare in si-tuazioni in cui le spese di consumo delle persone aumen-tano. Il risultato porta a consumi incessanti a scapito del risparmio. Lo sviluppo del fenomeno consumo in Italia verrà ripreso nella seconda parte del lavoro quando la cur-vatura odierna della società dei consumi verterà sul circui-to della comunicazione di massa. Nel prossimo capitolo si prenderanno in esame diversi approcci sociologici allo studio sui consumi.