L'OblòSulCortile_2011bMarzo

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NOME SOCIETÀ Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci, Milano Tempi duri... Carducciani diletti, eccovi un altro numero del vostro giornale preferito, partorito durante le recenti vacanze. Mentre noi redattori buttava- mo giù qualche riga tra una gozzoviglia e l’altra, nel mondo accadevano le più disparate sciagure. La disastrosa scossa di terre- moto in Giappone, insieme al conseguente tsunami, ha deva- stato il nord del paese (9.400 morti e 15.600 dispersi) cau- sando danni notevoli alla cen- trale nucleare di Fukushima, da cui è uscito materiale radio- attivo che rischia, se non l’ha già fatto, di contaminare l’ecosistema. Per reazione si rinfiamma il dibattito (di cui avevamo trattato nello scorso numero, e ci scusiamo per aver dato più spazio ad una delle due opinioni a causa della lo- gorrea della redattrice) sulla convenienza dell’esistenza di centrali di questo tipo, in Italia e nel mondo. Il “Risorgimento mediorienta- le” ha portato alle dimissioni dei primi ministri di Egitto e Tunisia, mentre in Libia Ghed- dafi rimane attaccato alla leadership, soffocando i moti nel sangue. Le Nazioni Unite hanno reagito dichiarando nel paese la no-fly zone, cioè il divieto di sorvolarne i cieli agli aerei del Rais, e hanno dato inizio ad un’azione militare aerea per farlo rispettare. Nel nostro paese invece si è festeggiato un ben più antico Risorgimento, quello di 150 anni fa, con qualche polemica, ma con un patriottismo degno (se non superiore?) di quello che si sfoggia durante i mon- diali di calcio. La nostra scuola ha ospitato degli interessanti workshops su questo tema (no, non sui mondiali di calcio) di cui parleremo nel numero. Sul fronte politico ci si appre- sta a discutere la riforma della giustizia, una riforma costitu- zionale che cambierebbe nel profondo il sistema giudiziario italiano. Troverete un articolo anche su quest’argomento. Per quanto riguarda l’Oblò, segnaliamo che siamo riusciti a mettere in piedi un numero di 20 pagine (non accadeva almeno dal 2007, DAL 2007!) e che non ci riuniamo più in aula studenti ma nel semin- terrato, nell’ultima aula del corridoio opposto a quello del bar, ora disabitata. Ogni visita è assai gradita, come pure contributi, consigli, dichiara- zioni di stima ed amicizia, abbracci intensi e non, dichia- razioni d’amore, urla donne- sche e svenimenti. Buone 20 pagine!!! Dario Pierri L’Editoriale Per la verità, ci era parso strano fin da subito sentire Berlusconi promettere che si sarebbe presentato davanti ai giudici (non succede dal 17 giugno 2003). Poi, peccando di ottimismo, pensammo che, d’altra parte, non aveva altra scelta, essendo schiaccianti e gravi i capi d’imputazione ed essendosi dissolto il turboscudo dell’illegittimo impedimento. Né potrebbe servire a qualcosa il conflit- to d’attribuzioni sollevato, senza nem- meno arrossire, dagli ottimi Reguzzoni, Sardelli e Cicchitto (tessera P2 numero 2232) con motivazioni tanto risibili quan- to campate per aria, dal momento che il Tribunale non è obbligato a fermare il procedimento in attesa del giudizio della Consulta. L’unica altra alternativa sarebbe potuta essere, in memoria del vecchio amico Bottino Craxi, una tempestiva fuga ad Hammamet. Ma, si sa, il Cavaliere non è tipo da darsi per vinto facilmente. Ecco- lo dunque annunciare in gran pompa una “riforma epocale” della Giustizia (si fa per dire). L’ennesima porcata ai limiti dell’eversivo partorita da quel genio (si fa sempre per dire) di Al Fano. Uno che, a guardarlo in faccia, farebbe dubitare se- riamente dell’infondatezza di certe teorie lombrosiane. Ecco, in un paese civile un individuo del calibro del nostro Angelino faticherebbe a trovare un impiego come lavapiatti. In Italia, invece, fa il ministro della Giustizia (del governo Berlusconi, s’intende) ed è scambiato addirittura per uno statista. A tal punto che si affida alla sua penna il compito di riformare la Costi- tuzione. Verrebbe da chiedersi se questo Alfano non sia per caso un omonimo dell’autore della celebre legge 124/2008 (il lodo Al Nano), quella cestinata dalla Con- sulta perché in contrasto con l’articolo 3. Continua a pagina 2 A NNO V N UMERO IV M ARZO 2011 SOMMARIO La porcata epocale 2 What do you think of Italy? 3 Giappone: una storia che si 4 Napolitano e i 150 di Unità Tv spazzatura 5 Facebook come droga 6 Tiresia oggi 7 150 anni di Unità d’Italia 8 Super Carnival Party 9 Intervista a Linda Caridi 10 11 L’amore trionfa sempre? 12 America e Italia a confronto 13 Milano è bellissima 14 Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi 15 The problem, intervista 16 Festival del Cinema Africano 17 Giochi 18 REAL BUT STRANGE - NEWS 19 Eventi del mese di Aprile La Redazione 20

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Giornalino dell'anno scolastico 2010/2011, numero di Marzo.

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Marzo 2011

NOME SOCIETÀ

Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci, Milano

Tempi duri... Carducciani diletti, eccovi un altro numero del vostro giornale preferito, partorito durante le recenti vacanze.

Mentre noi redattori buttava-mo giù qualche riga tra una gozzoviglia e l’altra, nel mondo accadevano le più disparate sciagure.

La disastrosa scossa di terre-moto in Giappone, insieme al conseguente tsunami, ha deva-stato il nord del paese (9.400 morti e 15.600 dispersi) cau-sando danni notevoli alla cen-trale nucleare di Fukushima, da cui è uscito materiale radio-attivo che rischia, se non l’ha già fatto, di contaminare l’ecosistema. Per reazione si rinfiamma il dibattito (di cui avevamo trattato nello scorso numero, e ci scusiamo per aver dato più spazio ad una delle due opinioni a causa della lo-gorrea della redattrice) sulla

convenienza dell’esistenza di centrali di questo tipo, in Italia e nel mondo.

Il “Risorgimento mediorienta-le” ha portato alle dimissioni dei primi ministri di Egitto e Tunisia, mentre in Libia Ghed-dafi rimane attaccato alla leadership, soffocando i moti nel sangue. Le Nazioni Unite hanno reagito dichiarando nel paese la no-fly zone, cioè il divieto di sorvolarne i cieli agli aerei del Rais, e hanno dato inizio ad un’azione militare aerea per farlo rispettare.

Nel nostro paese invece si è festeggiato un ben più antico Risorgimento, quello di 150 anni fa, con qualche polemica, ma con un patriottismo degno (se non superiore?) di quello che si sfoggia durante i mon-diali di calcio. La nostra scuola ha ospitato degli interessanti workshops su questo tema (no, non sui mondiali di calcio) di

cui parleremo nel numero.

Sul fronte politico ci si appre-sta a discutere la riforma della giustizia, una riforma costitu-zionale che cambierebbe nel profondo il sistema giudiziario italiano. Troverete un articolo anche su quest’argomento.

Per quanto riguarda l’Oblò, segnaliamo che siamo riusciti a mettere in piedi un numero di 20 pagine (non accadeva almeno dal 2007, DAL 2007!) e che non ci riuniamo più in aula studenti ma nel semin-terrato, nell’ultima aula del corridoio opposto a quello del bar, ora disabitata. Ogni visita è assai gradita, come pure contributi, consigli, dichiara-zioni di stima ed amicizia, abbracci intensi e non, dichia-razioni d’amore, urla donne-sche e svenimenti.

Buone 20 pagine!!!

Dario Pierri

L’Editoriale

Per la verità, ci era parso strano fin da subito sentire Berlusconi promettere che si sarebbe presentato davanti ai giudici (non succede dal 17 giugno 2003). Poi, peccando di ottimismo, pensammo che, d’altra parte, non aveva altra scelta, essendo schiaccianti e gravi i capi d’imputazione ed essendosi dissolto il turboscudo dell’illegittimo impedimento. Né potrebbe servire a qualcosa il conflit-to d’attribuzioni sollevato, senza nem-meno arrossire, dagli ottimi Reguzzoni, Sardelli e Cicchitto (tessera P2 numero 2232) con motivazioni tanto risibili quan-to campate per aria, dal momento che il

Tribunale non è obbligato a fermare il procedimento in attesa del giudizio della Consulta. L’unica altra alternativa sarebbe potuta essere, in memoria del vecchio amico Bottino Craxi, una tempestiva fuga ad Hammamet. Ma, si sa, il Cavaliere non è tipo da darsi per vinto facilmente. Ecco-lo dunque annunciare in gran pompa una “riforma epocale” della Giustizia (si fa per dire). L’ennesima porcata ai limiti dell’eversivo partorita da quel genio (si fa sempre per dire) di Al Fano. Uno che, a guardarlo in faccia, farebbe dubitare se-riamente dell’infondatezza di certe teorie lombrosiane. Ecco, in un paese civile un

individuo del calibro del nostro Angelino faticherebbe a trovare un impiego come lavapiatti. In Italia, invece, fa il ministro della Giustizia (del governo Berlusconi, s’intende) ed è scambiato addirittura per uno statista. A tal punto che si affida alla sua penna il compito di riformare la Costi-tuzione. Verrebbe da chiedersi se questo Alfano non sia per caso un omonimo dell’autore della celebre legge 124/2008 (il lodo Al Nano), quella cestinata dalla Con-sulta perché in contrasto con l’articolo 3.

Continua a pagina 2

ANNO V — NUMERO IV

MARZO 2011

SOMMARIO

La porcata epocale 2

What do you think of Italy? 3

Giappone: una storia che si 4

Napolitano e i 150 di Unità

Tv spazzatura

5

Facebook come droga 6

Tiresia oggi 7

150 anni di Unità d’Italia 8

Super Carnival Party 9

Intervista a Linda Caridi 10

11

L’amore trionfa sempre? 12

America e Italia a confronto 13

Milano è bellissima 14

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

15

The problem, intervista 16

Festival del Cinema Africano 17

Giochi 18

REAL – BUT – STRANGE - NEWS 19

Eventi del mese di Aprile

La Redazione

20

ATTUALITÀ ANNO V — NUMERO IV PAGINA 2

Continua da pagina 1 No, è proprio lui. Insomma, siamo in otti-me mani: la riforma costituzionale, qui, la si fa scrivere a chi della Costituzione non conosce neanche i principi fondamentali come il principio di uguaglianza. Del resto, basta dare un’occhiata ai punti della (contro)riforma per farsi un’idea del con-cetto di democrazia che hanno questi signori. Separazione della carriere; doppio Csm; azione penale a discrezione parla-mentare; corte di disciplina esterna ai Csm e sotto il controllo del potere politico; polizia giudiziaria alle dipendenze dell’esecutivo; inappellabilità per le asso-luzioni in primo grado; responsabilità “civile” per i magistrati. E ancora, tra le file del Pdl si vocifera di un possibile iter parallelo per le leggi sul processo breve (cioè morto) e sul bavaglio a stampa e intercettazioni. Il Privato Corruttore e i suoi scherani si sono affrettati a sbandie-rare questi provvedimenti come necessari per velocizzare la tempistica dei processi italiani. Balle, dato che nessuno di questi accorgimenti riguarda minimamente la procedura processuale. Ma tanto basta per far abboccare un buon numero di allocchi, di servi, di fedeli e di ignoranti. La realtà è un’altra. E cioè che questa “riforma epocale” è quanto di più perico-loso ci si potesse attendere dalla banda del Cainano, dal momento che mira aper-tamente alla subordinazione del potere giudiziario ai poteri “politici”, ossia l’esecutivo e il legislativo, in nome di un imprecisato “primato della politica” (che nelle democrazie liberali non esiste, es-sendo i tre poteri separati e indipendenti), con buona pace del barone di Monte-squieu e della liberaldemocrazia. Ma andiamo con ordine. Al primo posto nella riforma campeggia la tanto agognata separazione delle carriere (il primo a pro-porla fu il centro-sinistra, ai tempi della Bicamerale, con le celeberrime “bozze Boato”, ispirate niente meno che al “piano di rinascita democratica” di Licio Gelli, il Venerabile Maestro della P2), dalla quale consegue la separazione dei Csm. In cosa consiste? Nel distacco dalla magistratura giudicante della magistratura inquirente, affidata al patrocinio del ministro della Giustizia, dunque alle dipendenze dell’esecutivo. Si è detto che la separazio-ne delle carriere è indispensabile per ga-rantire la parità nel processo fra accusa e difesa perché, ad oggi, l’imputato è in posizione svantaggiata rispetto al pubblico ministero. Niente di più falso e fuorviante. Questa opinione si fonda sulla convinzio-

ne che procuratori e giudici facciano due mestieri diversi. Basterebbe un minimo di conoscenza del diritto per smentire questa tesi insostenibile. Infatti pm e giudici perseguono esattamente gli stes-si obiettivi con le medesime tecniche professionali. Il pm non è, come vogliono farci credere B&C, “l’avvocato dell’accusa”. Il pm è un magistrato che, a differenza del giudice ordinario, accerta-ta la verità dei fatti, invece di emettere una sentenza di condanna o di assoluzio-ne, emette una richiesta di condanna o assoluzione. La separazione delle carriere non è a garanzia dell’imputato, privandolo di fatto della garanzia di imparzialità nell’indagine: è a garanzia del potere politico, sottratto in questo modo al controllo di legalità. Discorso simile per l’obbligatorietà dell’azione penale, che sarà limitata da un elenco di reati “prioritari”, a discrezione del Parlamen-to. In pratica, su quali reati indagare, lo deciderà la maggioranza. Più che di una riforma si tratta di una ritorsione, in sen-so autoritario, del partito degli inquisiti contro la magistratura che osa (addirittura!) esercitare le proprie fun-zioni con correttezza e indipendenza, specie da condizionamenti politici. Così, nel paese dei cinque gradi di giudizio e del ricorso facile (e della prescrizione breve), la magistratura, già fortemente subordinata alla politica, dovrà anche sottostare alla spada di Damocle della responsabilità (in)civile per gli “errori” commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, a discrezione di una corte di disciplina di nomina per due terzi politi-ca. Un ulteriore deterrente contro le indagini scomode, come se non bastas-sero le continue ispezioni con i relativi procedimenti disciplinari davanti al Csm. Viene da ridere, poi, a pensare che chi propone questa riforma è proprio chi strepita notte e giorno contro “l’uso politico della giustizia” da parte di “certe procure”, la “politicizzazione della giusti-zia” e contro lo “stato di polizia”. Infatti, fra le altre cose, la proposta del governo prevede l’affidamento della polizia giudi-ziaria non più al coordinamento del pm (art. 107) ma alle direttive del ministro dell’Interno. Logica stringente. Per non parlare della vergogna della riproposizio-ne, con legge costituzionale, della legge Pecorella – bocciata dalla Consulta nel 2007 - sull’inappellabilità da parte del pm delle sentenze di assoluzione. In pratica, se una legge è incostituzionale, non è sbagliata la legge: è sbagliata la

Costituzione. Poco importa se ad essere violato è, ancora una volta, l’articolo 3 (per la Corte, infatti “consentire all’imputato di proporre appello nei confronti delle sentenze di condanna senza concedere al pubblico ministero lo speculare potere di appellare contro «le sentenze di assoluzione», se non in un caso estremamente circoscritto, significherebbe porre l’imputato in «una posizione di evidente favore nei con-fronti degli altri componenti la collettivi-tà»”, “i cui interessi sono rappresentati e difesi dal pubblico ministero”). Ora, che questa maxi-porcata riesca a passare indenne la doppia lettura di Camera e Senato, prima della fine della legislatura, è altamente improbabile. Ma, posto che ce la si faccia per tempo, a meno di giravolte improvvise di Pd e Terzo Polo, è molto difficile (non impos-sibile, come l’esperienza della Bicame-rale ci insegna) che questa controrifor-ma ottenga nei due rami del Parlamen-to la maggioranza dei due terzi dei suoi membri necessaria per evitare il refe-rendum confermativo. Eventualità che, alla luce dell’esito infausto (per B.) del referendum sulla devolution del 2006, per i berluscones costituisce indubbia-mente un rischio di bocciatura. Proprio da parte di quel tanto evocato “popolo” che la propaganda dell’ometto vorreb-be, compatto, al suo fianco. Ma allora perché sbilanciarsi con una riforma tan-to ardita? E’ semplice: in questo modo potrà far passare qualsiasi cosa risulti dai suoi processi per una vendetta delle toghe contro la sua “riforma epocale”. Cioè, confidando nell’inefficienza dell’informazione nostrana, urlare al complotto e buttarla in politica. Quando basterebbe dare un’occhiata sommaria agli atti per smentire questa cretinata. Del resto, per dirla con Travaglio, “milioni di italiani si sono già convinti che i processi a B. non sono il movente, ma l’effetto della sua ‘discesa in campo’ nel ’94, anche se le inchieste sulla Finin-vest erano iniziate due anni prima e nel ’94 stavano arrivando a lui”. Così, il Pri-vato Corruttore potrà gabellare i suoi processi come “una ritorsione della corporazione togata contro chi vuole privarla dei suoi privilegi”. E’ proprio vero: il lupo perde il pelo ma non il vi-zio. Quello, non serve nemmeno tra-piantarlo.

Claudio Fatti

ATTUALITÀ MARZO 2011 PAGINA 3

Da brava esterofila, dopo aver conosciuto in montagna Silvia, italiana residente a Basilea, e aver parlato con lei della situazione politica e sociale italiana dal punto di vista svizzero, ho pensato di chiedere in modo molto rapido a parenti ed amici all’estero, più o meno studen-ti, di parlarmi di quali notizie vengano messe più in evidenza e cosa colpisca di più dell’Italia e di noi italiani nel loro Paese. E ovviamente cosa pensano loro di noi. Ho quindi selezionato, per fornirvi un approccio semplice, sincero, stereotipato ma diretto, opinioni di giovani che studiano e vivono come noi in contesti diversi, e non di anziani giornalisti che sbuffano e urlano sulle più illustri testate mondiali. Non aspettatevi la Verità, ma solo il frutto della propaganda estetica e menzognera che da un bel po’ d’anni il nostro governo si diverte a fare.

“Ho sentito molte notizie riguardo all’Italia, e penso che un Primo Ministro dovrebbe avere un comportamento buono ed esemplare, perché se non fosse così il Paese perderebbe la reputazione! Capisci cosa intendo? Credo che la ragione per cui noi pensiamo che gli italiani siano tutti dei “Latin lovers” è per via di persone come Berlusconi, che credono che le donne siano solo dei giocattoli sessuali” – Lorena, 17 anni, Catalogna (Spagna)

“Mi impressiona la mafia, perché è ovunque, ma nessuno ne parla; le notizie sono tutte “L’Italia è sull’orlo del precipizio”, e la gente parla solo di donne nude e tasse minime; ma nessuno si ribella, perché alle persone va bene non dover pagare molte tasse e poter fare quello che si vuole… Questo è tutto quello che so” – Moritz, 16 anni, Germania

“Conosco un proverbio che dice: il tedesco ama l’italiano ma non lo rispetta, l’italiano rispetta il tedesco ma non lo ama. Penso che sug-gerisca molto sull’atteggiamento degli svizzeri nei nostri confronti. Gli italiani sono visti da un lato come un popolo vivace, allegro, il quale non si lascia mai mancare buone feste con cibo gustoso, dall’altro (prendendo come riferimento il governo) come dei corrotti, negligenti e seduttori. Spesso si dimentica (o è messo poco in rilievo) che ci sono tantissimi italiani che occupano posizioni di alto livello. Non a caso il direttore dell’Università di Basilea è proprio un italiano. Ciononostante la percezione dell’italiano intellettuale e competen-te non prevale sulla concezione dell’italiano ‘pomodoro-mozzarella’.” - Silvia, 18 anni, Svizzera

“Well, Italy is seen as a place of art and passion and culture and romance, the men are seen as very suave and charming, and the women are seen as beautiful; Italy itself is seen as a country of beautiful art and history, however in some senses the Italians are seen as a joke because they are so "passionate": the men are seen as too charming and the women as too passionate…” - Mitchell, 22 anni, Regno Unito

“L'Italia è un paese che certamente spicca in Europa: gli italiani stessi danno l'impressione di essere molto sicuri di sè, probabilmente perché consci della loro cultura e tradizione storica. Si tratta di una società con grandi risorse, non solo materiali ma anche a livello umano. Berlusconi come persona incarna la fantasia del "macho" con molto potere, ma gli italiani lo hanno eletto per questioni pura-mente politiche e lui li rappresenta sotto questo unico punto di vista. La decisione di eliminarlo dalla politica italiana dovrebbe essere sostenuta da ragioni politiche invece che morali.” - Mariana e Nicolas, 19 e 21 anni, Perù (Traduzione di Eleonora Seno 4H)

“La situazione politica italiana? Direi che c'è bisogno di una riforma drastica e penso che i criminali attualmente presenti nelle istituzioni debbano essere arrestati appena possibile. Deve accadere questo o i giovani e gli adulti uniti devono manifestare per le strade fino a che le loro voci siano ascoltate.” - Joe, 20 anni, USA (Traduzione di Giuliano Pascoe)

“Gli spagnoli hanno un atteggiamento molto critico nei confronti dell'Italia, sopratutto perchè non riescono a concepire l'idea che Silvio Berlusconi, tutto tranne che un uomo politico, sia stato votato da così tante persone. Al posto degli italiani si vergognerebbero profon-damente di avere un personaggio del genere come presidente del Consiglio del loro paese poiché l'immagine che offre è davvero pessi-ma.” - Andrea, 18 anni, Spagna

Caro lettore, perdonami l’apostrofe, ma voglio farti riflettere: ti riconosci nei modelli di italiano che questi ragazzi hanno presentato? Ti senti davvero così? Sei davvero un mafioso, un ladro, un dongiovanni, un pappone? E cara lettrice, sei anche tu solamente facile e pas-sionale? Io no, non lo sono, e non credo che tu lo sia, che tutti siano così.

Sono nettamente emerse in ogni flash allusioni al presidente del Consiglio, alcune più critiche, altre meno, alla tradizione culinaria e artistica; sono emersi anche molti stereotipi, per certi versi preoccupanti, per altri ilari. Da nazione a nazione cambiano i punti evidenzia-ti dai media: nell’UK è molto sottolineato l’eccesso italiano, soprattutto in ambito relazionale ed emotivo, in Germania l’evasione fiscale e la corruzione, in Spagna il mito del sesso italiano e la figura del premier come interprete e promotore dello stesso, e ancora in Svizzera una stima e un affetto fraterno dovuto alla vicinanza e profonda diversità culturale. Vorrei che l’Italia riscattasse la sua immagine; io sono stanca di “pizza-mandolino”, “mafia-cappuccino”, “Berlusconi-Monica Bellucci”, l’Italia non è la sagra della salsiccia, o il paese della cuccagna, noi non mangiamo e basta, gli uomini italiani non sono dei papponi pervertiti, le donne italiane non sono solo facili e passio-nali. L’Italia è un paese che lavora, che lotta, che si affila le unghie per appigliarsi meglio a ciò che può, è piena di contrasti ed ostacoli, ma anche di donne e uomini che si impegnano e tentano di migliorare la terra che li ospita. Ma finché la “maggioranza” vorrà cibarci di menzogne e stereotipi, anche a costo di essere tutti derisi e di recitare la parte del fanalino di coda, non crediate che la situazione cam-bierà: ricordando l’intervento a scuola della Professoressa Silvia Vegetti Finzi del 15 Marzo, spero che ci siano altri moti spontanei, senza colori politici, che dicano “Basta” definitivamente alle umiliazioni che l’Italia di oggi ci procura; anche noi possiamo e dobbiamo essere considerati seriamente, ma dobbiamo darne prova, e smetterla di recitare una parte che non ci si addice. Spero di poter tornare ancora nelle strade, come il 13 febbraio, con centinaia di migliaia di sciarpe bianche e “Basta” di disgusto gridati all’unisono. Questo modello non mi rispecchia, e lo dico chiaramente; penso che sia arrivato il momento di fare qualcosa per porre fine a questo schifo. Credo che sia ora di togliere la maschera che indossi, Italia...

What do you think of Italy? Domande flash sulla situazione italiana a nostri coetanei all’estero

Eleonora Sacco

ATTUALITÀ ANNO V — NUMERO IV PAGINA 4

Sono le 14.46 locali dell’ 11 marzo quando il Giappone viene investito dal terremoto più potente che sia mai stato registrato nella nazione, con epicentro a 130 km a est di Sendai, a nord- est del paese. Alla scossa di magnitudo 8,9 della scala Richter, segue uno tsunami con onde alte 10 m che si ab-battono con l’incredibile velocità di 750km/h sulla prefettura di Fukushima e Miyagi. Le città sulla costa vengono inondate mentre diverse isole, veri paradisi terrestri, scompaiono sotto l’acqua. Il bilancio provvisorio delle vitti-me è di 7.197 morti e quasi 11 mila dispersi. Ma non basta. A cau-sa di un black-out elettrico la procedura di raffreddamento di 11 reattori di centrali nucleari presenti nelle prefetture di Miyagi, Ibaraki e Fukushima si interrompe e vengo-no rilevati livelli di radioattività altissimi. I danni maggiori si verificano nella centrale di Fukushima Daiichi dove avvengono diverse esplosioni ed incendi che inducono a dichia-rare lo stato di emergenza nucleare. Tutta-via, secondo cablogrammi diplomatici riser-vati, diffusi da Wikileaks, l’Aiea (agenzia internazionale per l’energia atomica) aveva in precedenza ammonito il governo di To-kyo sui rischi, derivanti da un eventuale sisma, nella centrale di Fukusima, i cui stan-dard di sicurezza geologica risalenti agli anni settanta non corrispondevano alle direttive dell’agenzia. Un impianto del genere dove-va dunque essere spento. Ma le responsabi-lità maggiori sono da attribuire alla Tepco, la multinazionale che non vanta una fama di grande trasparenza, dato che nel 2002 i suoi vertici si sono dovuti dimettere per aver falsificato i rapporti sulla sicurezza delle centrali per un periodo di oltre 15 anni. Secondo Greenpeace, infatti , tra il 1980 e il 1990 la Tepco nascose almeno tre incidenti nucleari. Clamoroso fu l’incendio nell’impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa che, in seguito a un sisma di magni-tudo 6,8 Richter, provocò la dispersione di oltre 1000 litri di acqua radioattiva nel Mar del Giappone. Dai successivi controlli emer-se addirittura che la centrale era stata co-struita nelle immediate vicinanze di una faglia attiva.

Un caso analogo risale a quasi un anno fa quando il 20 aprile la piattaforma Dee-pwater Horizon della compagnia petroli-fera inglese Bp esplode al largo della Louisiana e poi si inabissa, uccidendo 11 uomini e aprendo una falla a 1500 metri di profondità. E’ un vero e proprio disa-stro ambientale che causa un riversa-mento di petrolio nel golfo del Messico

che terminerà solo 106 giorni più tardi. Secondo le stime della Bp a luglio sono già stati riversati in mare tra i 500 e gli 870 milioni di litri di petrolio, di cui solo il 20% viene raccolto, il 5 % bruciato e l’ 8 % diluito con solventi di cui si ignorano gli effetti su uomini e animali. Gran parte del petrolio finisce dunque sul fondale oceanico.

Nonostante la compagnia abbia stanzia-to 20 miliardi di dollari i danni provocati sono immensi: esemplari di numerose specie animali, anche a rischio di estin-zione, rimangono contaminati, la pesca locale crolla e il turismo ne risente grave-mente. Anche in questo caso le respon-sabilità, oltre ad essere politiche (i vertici del dipartimento minerario, che, sotto pressione di Obama, si dimettono, ave-vano approvato piani di sicurezza inesi-stenti) riguardano soprattutto la società. La Bp, infatti, in 10 anni non ha effettua-to controlli sulle valvole di sicurezza che servono per bloccare la fuoriuscita del petrolio ed è a conoscenza del fatto che una delle valvole che doveva sigillare il pozzo Macondo non funziona. Ma la cosa più grave è che essa non possiede nessun piano ambientale in caso di disa-stro (persino nell’emergenza chiamano una persona morta da 5 anni). Gravi negligenze dunque che agli Italiani sono ben note. Basta ricordare il terremoto

dell’ Aquila, il cui bilancio sarebbe potuto essere diverso se tutti, a partire dalle istitu-zioni, avessero fatto correttamente il pro-prio dovere. Il giorno dopo la scossa del 30 marzo (la più intensa del sciame sismico in atto) si riunisce la commissione Grandi Rischi a cui i geologi locali, consapevoli del grande rischio, non possono partecipare. Il risultato è un comunicato stampa rassicu-

rante che abbassa il livello di guardia generale. Il 6 aprile a causa di una scossa di magnitudo 5,9 perdono la vita 308 persone. L’edificio della prefettura, che era stato classificato dal Rapporto Barberi (2001) come a rischio medio-alto e da cui sarebbero dovuti partire i primi soccorsi, crolla e persino il pronto soccorso dell’ ospedale viene danneggiato, così che i feriti sono curati sotto una tenda o in mezzo alla strada.

Benchè nel 2006 l’Abruzzo Engineerin, società di proprietà della regione, abbia

redatto delle schede di vulnerabilità sismi-ca degli edifici pubblici della regione, il lavoro, commissionato dalla Protezione civile e costato ben 4 milioni di euro (soldi pubblici), si rivela inutile, in quanto non garantisce la messa in sicurezza degli edifici a rischio da parte delle istituzioni. Così la Casa dello studente, nonostante le rassicu-razioni dell'ufficio tecnico dell'Azienda diritto allo studio ai ragazzi, che hanno segnalato più volte crepe, crolla. Muoiono 8 giovani pieni di progetti che avevano il diritto di realizzarli.

Molti altri sarebbero gli esempi di politici e privati che per incapacità, negligenza e interessi personali hanno provocato stragi e disastri ambientali. In molti casi sono state aperte inchieste giudiziarie, tuttavia non penso che basti la magistratura per evitare simili episodi. È necessario che si crei uno spirito collettivo di rispetto e di responsabilità verso le altre persone e l’ambiente. È proprio sulla tutela di questi che bisogna riflettere, anche in prospettiva dei prossimi referendum. Sono le scelte di ora che influiranno sul futuro delle prossi-me generazioni perché “se c’è qualcuno seduto all’ombra oggi, è perché qualcun’altro ha piantato un albero molto tempo fa”.

Xhestina Myftaraj

Giappone: una storia che si ripete

ATTUALITÀ MARZO 2011 PAGINA 5

Pubblichiamo la lettera del Presidente Napolitano rivolta ai giovani studenti italiani, in particolare ai partecipanti all’iniziativa L’Italia unita a scuola organizzata dalla Laterza, in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Il Presidente mostra il suo sostegno nei confronti degli studenti e della Scuola, fondamentale veicolo culturale ed educativo, esortando i giovani a essere coscienti sia dei loro obiettivi sia dei loro diritti e doveri all’interno dello Stato italiano, in particolare nell’ambito della Costituzione.

Sono lieto di aderire all’invito della Casa Editrice Laterza, che mi chiede di contribuire con una breve riflessione ai dibattiti che si terranno in dieci scuole italiane il 15 e 17 marzo, in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, dibattiti che hanno in comu-ne il tema di fondo: L’Italia unita a scuola. A questo tema limiterò le mie osservazioni. Ma mi congratulo per le scelte degli specifici argomenti che verranno discussi: pur diversi tra l’una e l’altra scuola, rivelano in ogni caso un forte impegno civile. Guardando alla nostra storia di nazione unita, da un secolo e mezzo, in un solo Stato, è giusto esprimere anzitutto una più che giustifica-ta soddisfazione per il grande contributo che l’istruzione pubblica ha dato alla crescita dei sentimenti di unità e di identità nazionale degli Italiani. Un contributo di cui c’è ancora e più che mai bisogno per rafforzare la coesione del paese dinanzi alle ardue prove cui è chiamato. Va al tempo stesso sottolineata l’importanza del compito che spetta alla Scuola nel diffondere tra le nuove generazioni una più appro-fondita conoscenza dei diritti e dei doveri che da più di mezzo secolo la Costituzione repubblicana garantisce e indica a tutti i cittadini. E guardando oltre i nostri confini, appare necessario che la Scuola prepari i giovani ad essere sempre più consapevoli degli obiettivi che dobbiamo proporci, come Stato nazionale, nel quadro dell’Unione Europea. C’è ancora molto da fare affinché in Europa tutte le catego-rie sociali e tutte le realtà regionali possano essere partecipi di un più elevato livello comune di benessere. Inoltre, la nuova realtà di un mondo in cui grandi popoli si stanno dimostrando capaci di uscire da una secolare condizione di arretratezza, ma nel quale esistono vasti arsenali di armi di distruzione di massa e comunque ogni crisi e conflitto locale rischia di coinvolgere tutti, impone ai paesi ancora oggi più ricchi di risorse di assumersi nuove responsabilità, per contribuire alla cooperazione fra gli Stati, alla sicurezza, alla pace e al progres-so civile in tutti i continenti. Le nuove generazioni, che hanno la fortuna di vivere in un’Europa di pace, libera dall’incubo di ricorrenti conflitti, dovranno far fronte con coraggio e lungimiranza a sfide nuove e difficili. È compito anche della Scuola far crescere nei giovani le conoscenze e i valori neces-sari per meglio affrontarle. Ancora complimenti per il vostro impegno e auguri di buon lavoro.

A cura di Chiara Compagnoni

Napolitano e i 150 anni di unità

E’ stato testato da alcuni ricercatori neozelandesi , che guardare la televisione per più di due ore al giorno, in età infantile, possa portare

ad una malattia chiamata ADHD , un disturbo neurologico che indebolisce il sistema di apprendimento del soggetto , e una predisposi-

zione a malattie respiratorie come l’asma a causa dell’inattività, dovuta alla posizione assunta davanti al tubo catodico, che è appunto

statica, inoltre questa crea uno stato di passività nel soggetto adulto o bambino che sia, poiché subisce le immagini dalle quali viene

bombardato continuamente , rendendolo così incapace di avere la forza di spegnere la televisione, provocando anche in casi più estremi

una dipendenza. Da alcuni studi fatti dall’America Heart Association si è scoperto che mangiare davanti alla televisione, vizio di molti

ragazzi, porti ad una scarsa educazione alimentare e che possa essere la terza causa di obesità causata da una vita sedentaria; gli studi

hanno appunto rilevato un 43% di persone obese che mangiano almeno 5 volte su

7 davanti alla televisione. Un altro problema della televisione sono i programmi

che vengono trasmessi che oggi diventano sempre più demenziali rendendo

l’ignoranza, la cattiva educazione e la mercificazione della donna il centro di ognu-

no di essi; infatti in ogni programma vi sono donne mezze nude spesso anche intel-

ligenti, che negano la loro cultura per sembrare stupide a causa di un sistema im-

posto dalla società, che rappresenta la donna come un oggetto senza un cervello.

Impone ai giovani dei modelli di ignoranza ipocrisia e falsità che, essi anche incon-

sciamente prendono come idoli e imitano nella vita normale, credendo che un

linguaggio scurrile sia fico o che più si è ignoranti più si è delle persone migliori. Dopo la seconda guerra mondiale, la televisione aveva

uno scopo informativo e di alfabetizzazione tramite programmi istruttivi e intelligenti oggi quasi inesistenti , che erano accessibili a più

persone possibili; infatti molti sostengono che la televisione se usata correttamente sia utile alla progressione della società anche pas-

sando un messaggio di cultura e di alfabetizzazione che a quanto sembra non sia una cosa così scontata. Pertanto essendo la televisione

un grandissimo mezzo di diffusione dell’informazione, va usato con criterio e con cautela, anche se oramai l’unica cosa intelligente po-

trebbe essere non guardarla del tutto e piuttosto uscire con gli amici.

TV SPAZZATURA

Maria Calvano

ATTUALITÀ ANNO V — NUMERO IV PAGINA 6

Il nome Facebook deriva dai famosissimi annuari, nei quali sono presenti le “foto tessera” di ciascun alunno iscritto a scuole o college statunitensi, che si distribuisco-no all’inizio dell’anno ai nuovi iscritti, per conoscere le persone del campus. I così detti Social Networks possono avere influenze positive come negative. Solo dal 2008, Facebook è diventato il Social Network più cliccato nel mondo, ha rag-giunto, nel 2010, quota 500 milioni di iscritti, in particolar modo in Italia sono moltissimi, è il paese la cui percentuale di incremento di utenti è massima. È divenu-to il sito più cliccato, secondo solo a Goo-gle. Facebook, co-me tutti gli altri Social Networks, ha molti aspetti positi-vi: è un aggregato-re di persone che cercano di mante-nere contatti con vecchi e nuovi ami-ci, è un sito nel quale si possono condividere le pro-prie foto, i propri video, far conosce-re a tutti il proprio genere musicale preferito, l’orientamento politico e quello religioso. A questo sito sono iscritti anche molti personaggi illustri: personaggi politi-ci, artisti ed attori, i quali fanno accrescere il desiderio di iscriversi, così da poter “conoscere” i propri idoli. Sul proprio pro-filo si possono condividere link, frasi e quant’altro per far sapere a tutti cosa si pensa in quell’istante, la base dei Social Networks è proprio questa: tener infor-mati i propri amici sulla propria vita e in-formarsi, di conseguenza, su quella degli altri. Come si possono riconoscere diversi aspetti positivi se ne individuano molti negativi. I sintomi più frequenti sono: Tolleranza, cioè la necessità di stare colle-gati e/o aggiornare la propria pagina di continuo per raggiungere una sensazione di appagamento, sintomi di Astinenza, sperimentazione di intensi disagi psico-fisici nel caso non sia possibile collegarsi al sito per un certo periodo di tempo, e, infine, sintomi di Craving, ovvero la pre-senza sempre maggiore di pensieri fissi e forti impulsi su come e quando connetter-si. La dipendenza dai Social Networks sembra essere dovuta al forte senso di

sicurezza, personalità, autostima e socia-lità: molte volte si può arrivare anche ad aggiungere persone che non si sono mai viste, per far sapere a tutti di essere noti e di avere molti amici, questo provoca anche uno stravolgimento dei propri valori, il più distorto è, per l’appunto, quello dell’amicizia. Un sondaggio dimo-stra che si parla abitualmente solo con 7 persone su 150, malgrado la media tota-le di amici sia di 320. Le richieste di ami-cizia diventano anche un qualcosa di cui essere felici e fieri, per enfatizzare anco-ra di più il proprio ego. Ma, in realtà, tutte queste dinamiche sono qualcosa di

virtuale e fittizio. La dipendenza da que-sti siti può provocare non solo problemi sociali, in quanto ci si isola per un certo periodo di tempo, ma anche fisici: l’abbondante numero di ore passate al computer può provocare emicrania, dolori agli occhi, tachicardia, tensioni e insonnia. Questo problema è talmente serio ed esteso a moltissime persone, che, a Roma, presso il Policlinico Gemel-li, hanno aperto un intero reparto dedi-cato a pazienti dipendenti da Internet: questa mania di Internet è stata chiama-ta, dagli esperti, Internet Addiction Di-scorder e i sintomi, individuati già nel 1995, ma aumentati dall’avvento delle chat online, sono: tempo sprecato da-vanti al computer, perdita di qualunque altro interesse e incapacità di scollegarsi dal sito, anche quando si è consapevoli del fatto di essere sempre connessi. Molte volte, infatti, ci si connette al sito per vedere le proprie notifiche (lista di comunicazioni indicante cosa i propri amici hanno effettuato di recente sul profilo dell’interessato). In realtà, una volta guardate tutte non si sa più cosa

fare e allora si inizia a condividere link, scrivere frasi aspettando che qualcuno risponda, così da poter avere una notifi-ca in tempo reale, e, se quest’ultima non dovesse arrivare in tempo breve, non ci si disconnette, ma si perde tem-po guardando profili o foto di altri uten-ti, aspettando sempre la “tanto attesa” notifica. Questo indica anche una parti-colare noiosità dei Social Networks: non sempre sono fonti di stimoli, molte vol-te, al contrario, sono noiosi e non parti-colarmente interessanti. Ascoltando due pareri opposti sulla diffusione dei Social Networks si può capire che: chi è favorevole alla diffusio-ne delle chat online passa le ore davanti a queste ultime perché non ha niente da fare, se può scegliere tra leggere un libro e stare collegato sceglie la seconda opzione, perché può scoprire cosa i suoi amici fanno durante il giorno. Molte volte però ci si annoia e si lascia il sito, per guardare la televisione. Si può par-lare con gente nuova e con amici, so-prattutto per rimanere in contatto con amici che non si possono vedere tutti i giorni e per organizzare serate, feste e appuntamenti insieme. Si usa Facebbok per parlare con gente nuova, con cui altrimenti non si avrebbe il coraggio di parlare. Molte volte però non si hanno proprio motivazioni per stare collegati, a parte ricevere notifiche online, e ci si annoia davanti al computer. Chi è contrario, invece, lo è perché pen-sa che invece di stare su Facebook si potrebbe fare una passeggiata o leggere un libro. La maggior parte delle persone contra-rie, però, non ha mai avuto un profilo su uno di questi siti e, quindi, non può avere un’opinione adeguata, non aven-do mai provato a passare il proprio tem-po online. Per approfondire questo ar-gomento ho contattato alcune persone e, alla fine, prima di lasciarci, mi hanno salutato dicendo: “Ci sentiamo su Face-book!”: questo spiega che avere un profilo su uno di questi network aiuta anche a mantenere i contatti.

Claudia Chendi

FACEBOOK COME DROGA

ATTUALITÀ MARZO 2011 PAGINA 7

Io: Ciao, ti ringrazio molto per aver accettato di essere intervistata.

M.L.: Figurati, anche se mi sento un po’ un caso umano.

Io: Iniziamo. Raccontami un po’ come tutto è iniziato. Quando hai iniziato a perce-pire i primi disagi?

M.L.: Da bambino ero alto e magro, con i tratti sottili che si addicono a chi è di tenera età. Passavano gli anni e mentre ai miei amici cresceva la barba, io conti-nuavo a fissare quei tratti delicati allo specchio e più li studiavo più mi sembrava di essere lontana anni luce da quello specchio. Mia madre cercava di rassicurarmi, dicendo che l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico è un classico dell’età adolescenziale.

Io: Però già allora provavi attrazione per gli uomini?

M.L.: In realtà mi sono “svegliata” un po’ tardi. Non è che alle elementari volessi giocare con le barbie o alle medie provare a truccarmi/vestirmi come mia madre. Non mi ponevo proprio il problema di cosa mi attraesse, ero molto focalizzato sui miei studi. Durante gli anni del liceo ho compreso da quale sesso venivo attratto, ma ancora sentivo di essere incompleto.

Io: I tuoi genitori che reazione hanno avuto?

M.L: Mia madre è stata fantastica, ha detto che queste cose una mamma se le sente. In più lei insegna latino e greco, quindi quando qualcuno mi derideva lei mi raccontava dei gossip di quei due mondi, come Cesare e i pirati e diceva che l’omosessualità è sempre esistita, la chiusura mentale di adesso è mera ignoranza.

Io: E tuo padre?

M.L.: Con lui tutta un’altra storia, non ci siamo parlati per molto.

Io: Quando invece hai capito di essere nel “corpo sbagliato”?

M.L.: All’università, infatti i veri problemi li ho avuti da quel momento.

Io: Ovvero?

M.L.: Per i compagni, i più, vedermi passare da uomo a donna era un’offesa al senso pubblico.

Io: E sul posto di lavoro hai avuto problemi?

M.L.: Dopo l’università ho cambiato città, sono venuta qui a Milano, quindi nessuno mi conosceva. All’inizio non volevo parlare della mia vita privata proprio per evitare quello che avevo vissuto in università.

Io: Cosa ti ha fatto cambiare idea?

M.L.: L’ambiente in cui lavoro è davvero stimolante, dinamico, con i miei colleghi si è instaurato un meraviglioso rapporto, in particolare con le donne. Alcuni colleghi hanno pure iniziato a provarci. È anche vero che dopo aver capito che sono un trans hanno smesso.

Io: Ci sono più stati episodi di intolleranza, anche violenta?

M.L.: Purtroppo a causa di vari scandali politici (es. Marrazzo) c’è gente che crede che tutti i trans si prostituiscano. I miei vicini di casa appartengono a questa categoria. Hanno anche cercato di farmi trasferire altrove tentando di convincere il proprietario del mio appar-tamento a sfrattarmi.

Io: Cosa facevano?

M.L.: Spesso rompevano le finestre, lasciavano la spazzatura davanti alla mia parte per ostruire il passaggio, mi hanno rigato macchina e porta di casa e poi dedicato scritte varie.

Io: Come hai reagito?

M.L.: Per vie legali, e ho vinto. Ora l’appartamento l’ho pure comprato.

Io: Sei fidanzata?

M.L.: Sì con un uomo meraviglioso.

Io: Lui sa che tu sei stata un uomo?

M.L.: Certo, già dai primi incontri gli ho raccontato tutto. Non si è fatto sentire per giorni, pensavo fosse finita e invece mi ha comprato un anello! I suoi amici all’inizio faticavano a guardarmi negli occhi.

Io: E ora?

M.L.: Ora non vedo l’ora di sposarlo.

Tiresia era ritenuto l'indovino per ec-cellenza e si credeva che la sua sa-

pienza derivasse dal fatto che fosse sia uomo che donna.

Tiresia oggi : intervista a un trans

Laura Vitale Lollo

ANNO V — NUMERO IV PAGINA 8 CRONACHE CARDUCCIANE

Martedì 15 marzo 2011 durante l’iniziativa “L’ITALIA UNITA A SCUOLA”, che si è svolta nel nostro Liceo, tra i vari esperti in materia risorgimentale ha parlato Alberto Mario Banti, un professore ordinario di Storia con-temporanea all’Università di Pisa. Grazie alla chiarezza del suo discorso ci ha permesso di sapere che i patrioti per fare propaganda, si recavano presso taverne nelle città costiere, dove diffondevano l’idea che ci fosse una persona che voleva cambiare radicalmente le cose. Dopo il 1831 ci furono migliaia di persone che aderirono alla “Giovine Italia”; nelle taverne, però, vi era il rischio di trovare dei poliziotti in borghese ed ora è anche grazie ai loro verbali che possiamo avere numerose informazioni riguardo la “Giovine Italia”. Mazzini non accettava iscrizioni al movimento di persone che avessero più di quarant’anni, poiché c’era la necessità di

essere pronti a combattere. Alcuni credono che il Risorgi-mento venne fatto da pochi, ma in realtà è documentato che le persone furono vera-mente tante. Il discorso nazio-nal-patriotico riusciva a dare un senso al nascere, al morire, all’amore e all’odio. Nascere divenne l’elemento fonda-mentale di appartenenza poli-tica, infatti si apparteneva ad una nazione perché si nasceva dentro quella stessa nazione. Il morire per la patria divenne un dovere dei movimenti poli-tici. Il termine “patria” indica-

va il rapporto che il cittadino doveva avere con la sua terra, questo termine faceva parte del vocabolario del politico a diffe-renza del termine “nazione” che non vi entrò fino al XVIII secolo. Da allora i due termini si mescolarono divenendo inscindi-bili. Banti ha sottolineato anche il ruolo delle donne le quali facevano parte di que-sti movimenti, trovandosi a sostegno degli uomini in una posizione secondaria. Per i patrioti che combattevano, infatti, era fondamentale l’appoggio delle mogli e delle madri. Per concludere vorrei riporta-re un documento contenuto nel libro “Il Risorgimento italiano” a cura di Alberto Mario Banti, si tratta di una lettera di Cate-rina Franceschi Ferrucci inviata da Pisa il 14 giugno 1848 al marito Michele e al figlio Antonio, a Brescia con i volontari del Batta-glione toscano.

“Se voi tornate, ve ne prego, siate gli ultimi di tutti. Prendiamo con pazienza questa dura separazione: ma l’onore, e il dovere sono sempre da preferirsi a tutto. Ormai io non temo di vacillare nella ubbidienza, che ogni buono deve ad essi prestare. Poiché resisto virilmente a questa durissima prova: se non seguissi che l’affetto vi richiamerei subito a me vicini: ma non è indarno che sino dalla mia fanciullezza mi sono nudrita di altri sensi, e di generosi pensieri: non è indarno, che ho fatto professione da lungo tempo di amare l’Italia con fede, e di sacrifi-care tutto al dovere. Non crediate, che poco io vi ami perche ora non vi inviato al ritorno. Con questo so di esporre la mia propria vita, la quale non durerebbe più della vostra. Ma questo è tempo di sacrifizi, e ne’ sacrifizi trovo una mesta e santissima voluttà. Ma neppure con ciò vi dico di rimanere ad ogni patto: anzi non vorrei che vi esponeste, senza stretta necessità, ad altri pericoli: ma vi dico solo “tornate più tardi degli altri universitarii “, e se intanto potete trovare modo di giovare alla patria più col senno, che con la mano, rimanendo qui impiegati in qualche stato maggiore, fatelo e non guardate alle nostre angoscie, le quali certo non sono leggere *…+ Ma se tornate non vi chiuderemo certo le braccia. Che ne dite? Oh il ritorno sarà pur lieto! Temo solo, che le forze mi manchino per l’eccessiva alle-grezza.”

Alessandra Ceraudo

150 anni di Unità d’Italia @ Carducci, Alberto Mario Banti e il ruolo delle donne nel Risorgimento

@ Italia

Il 17 marzo del 2011 molti cittadini italiani si sono ritrovati muniti di bandiere tricolore nelle piazze delle più grandi città per cele-brare l'Unità d'Italia.

Tutti i monumenti più famosi d'Italia sono stati colorati con i colori della nostra ban-diera.

A Roma sono state organizzate molte inizia-tive a cui hanno partecipato anche le più importanti istituzioni dello Stato, come il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio.

Sempre a Roma è avvenuta la Notte Tricolo-re tra il 16 e il 17 di marzo, durante la quale sono stati tenuti concerti, spettacoli teatra-li, mostre, letture, illuminazioni, proiezioni e fuochi d'artificio. Tra i tanti altri avveni-menti a Roma nel Teatro dell'Opera il mae-

stro d'orchestra Riccardo Muti ha diretto il Nabucco, una delle più famose opere di Verdi.

Anche a Torino, antica capitale, come a Roma, si sono svolti concerti, spettacoli, dibattiti e mostre che proseguiranno fino a novembre.

A Firenze tra il 16 e il 17 marzo per festeg-giare la Notte Tricolore in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia sono stati illuminati i palazzi delle istituzioni, Ponte Vecchio, Duomo, Santa Croce e altri monumenti importanti.

A Milano fra le tante iniziative, l'ingresso per molti musei è stato gratuito e sono state allestite anche alcune mostre sul ri-sorgimento. Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha partecipato a un concerto della

Banda Civica con molti milanesi e poi ha lasciato le porte aperte a Palazzo Marino.

Anche il nostro Liceo si è organizzato per celebrare l'Unità d'Italia. La biblioteca ha organizzato una mostra di tutti i più impor-tanti libri sul risorgimento e sulla storia d'Italia.

La casa editrice Laterza per ricordare, ana-lizzare e discutere del nostro passato e di come si è arrivati all'unificazione d'Italia ha organizzato dibattiti e lezioni a cui molti ragazzi, sopratutto del Liceo, hanno parteci-pato.

Sicuramente questi festeggiamenti hanno dato la possibilità agli Italiani di riflettere sulla loro storia e di sentire un maggior senso di appartenenza alla nostra bellissima Italia.

Chiara Mazzola

Foto di Eleonora Sacco

MARZO 2011 PAGINA 9 CRONACHE CARDUCCIANE

4 Marzo. No, non è la data in cui a New York si è riunito il primo Congresso degli Stati Uniti, in cui ha dichiarato l'entrata in vigore della Costituzione, nel 1789, nè tanto meno quella in cui, nel lontano 1966 John Lennon ha pronunciato la celebre frase: "I Beatles sono più famosi di Gesù", bensì segna il giorno del fantastico Concerto di Carnevale organizzato dal vostro carissimo Oblò sul Cortile. Tra masche-re, cibo, schiamazzi, risate e tanta musica, la serata si è svolta nell'Aula Magna, con l'esibizione di due magnifiche band – gli Hangover e i The Problem – e a fine serata l'elezione delle tre maschere più belle, votate dai vostri amati redattori: al terzo posto una magnifica poli-ziotta, munita di manette, distintivo e manganello; al secondo posto il supermegafantastico Trio Lupin (Lorenzo Paolillo, 3F, nei panni del famigerato Arsène Lupin; Matteo Cairo, 3H, travestito dall'infallibile pistolero con la sua immancabile eterna sigaretta, Jigen Daisuke; Gian Marco Duina, [3F], vestito - o meglio svestito – dall'abile samurai Goemon Ishikawa XIII). Il primo posto è stato assegnato all'ex carducciano Andrea Tosini, che per quella sera si è calato nei panni del Poeta per antonomasia, del Sommo Poeta, del Poeta dei Poeti, calzini in testa a parte, Dante Alighieri.

La decisione è stata però talmente sofferta, che noi redattori abbiamo deciso all'unisono di dare un'altra chance di vittoria a tutte le altre eccezionali maschere presenti al concerto, attraverso la votazione online su Facebook. Alla base del podio, si sono guadagnati il terzo posto a pari merito Jesus e Berlusconi (sotto le maschere si trovavano rispettivamente Michele Spinicci, 2B, e Martina Brandi, 2E), con la bellezza di 23 'mi piace'; al secondo posto la coppia Alessandra Venezia-Alice Oriani [1B e 2F] con coda e baffi, nel ruolo de Il Gat-to e la Volpe, classificatasi con 40 'mi piace'. Sessanta persone hanno invece cliccato per votare Marica Loparco, [5I], il fenomenale con-trollore ATM. Qui potrete ammirare le maschere vincitrici, per vedere invece la creatività degli altri travestimenti potete benissimo trovarli sul profilo di Facebook dell'Oblò sul Cortile. Se avete partecipato, spero vi siate divertiti, se non lo avete fatto, spero ve ne siate pentiti ;D

Silena Bertoncelli

Super Carnival Party

3° CLASSIFICATO EX AEQUO:

JESUS

3° CLASSIFICATO EX AEQUO:

BERLUSCONI

2° CLASSIFICATO :

IL GATTO

E LA VOLPE

CLASSIFICATO :

CONTROLLORE

ATM

3° CLASSIFICATO: LA POLIZIOTTA

2° CLASSIFICATO: TRIO LUPIN

1° CLASSIFICATO: DANTE

BUONA GLORIA ETERNA A TUTTI!!!

ANNO V — NUMERO IV P AGINA 10 CULTURA

Il teatro: lavoro e gioco. Intervista all’attrice Linda Caridi.

Non capita spesso di rimanere colpiti da qualcuno e di affezionarvisi facilmente. Oggi il mondo del teatro ripone tutte le sue forze nella comunicazione di passioni che nell’odierna società sono state raffreddate da social network e media distaccati e distanti. Se-guendo la lezione aperta dei ragazzi del III anno del corso di Attori dell’Accademia d’arte drammatica Paolo Grassi, ho notato tra i giovani diplomandi una ragazza, Celestina nella commedia, che ha presto catturato la mia attenzione e risvegliato in me il vivo senti-mento del teatro, quello che lei ha poi definito l’“hic et nunc”, che trasmette la grandezza e la passionalità di un’arte così immediata e viva. Ho deciso perciò di intervistare Linda Caridi, energica ventiduenne, che anche nell’intervista esprime il suo singolare entusiasmo.

Da quanto tempo studi e come ti sei avvicinata al teatro?

Il primo contatto col teatro è avvenuto grazie a un laboratorio scolastico delle medie (“Laboratorio 90“); successivamente ho cono-sciuto la scuola di Quelli di Grock e lì ho frequentato il laboratorio adolescenti. Dopo il liceo mi sono iscritta all’Università di Scienze dei Beni Culturali, ma il percorso è rimasto incompiuto per il sopraggiungere di un nuovo e sempre più forte interesse per il teatro: quell’anno ho partecipato ad un bellissimo laboratorio di 14 ore settimanali presso la scuola di Emisfero Destro Teatro. 1

Quando e come sei entrata alla Paolo Grassi?

Ho partecipato alle selezioni delle scuole del Piccolo Teatro e della Paolo Grassi. Allora avrei voluto entrare al Piccolo, ma avendo superato solo alla Paolo Grassi tutte e due le fasi di selezione, è lì che ho iniziato l’avventura! Sono felice della Grassi, perché oltre alla formazione tecnica ed espressiva, ti prepara al mondo che troverai fuori, che contrappone capacità e opportunità, desiderio e possibi-lità, determinazione e sconfitte. La Grassi ti allena alla duttilità mentale, anche grazie al fatto che non è una «scuola di maestro»: nell’arco dei tre anni si susseguono gli insegnamenti più disparati e sta a te tracciare il tuo personale filo rosso. Avviene così una for-mazione critica.

Come ti sei preparata, cosa hai studiato per affrontare l’esame?

All’iscrizione ai provini viene consegnato ai candidati un elenco del materiale necessario: la preparazione di un monologo, un dialogo e una poesia di autori noti e lo studio di un manuale di storia del teatro.

Quali sono gli orari in accademia? Ci sono esami? Quanto tempo avete per prepararvi?

I corsi vanno dalle 9 alle 18,30, ma bisogna comunque garantire la massima disponibilità: certi giorni capita di fermarsi fino alle 22 e talvolta veniamo a scuola anche al sabato, che non è normalmente previsto. Le lezioni sono continuative. C’è un solo vero e proprio esame: storia del teatro al primo anno, per il quale però le lezioni non sono sospese. Diciamo che comunque gli esami sono continui nella fase di studio. Ci sono degli scrutini di metà e fine anno: gli insegnanti, tramite colloqui individuali, ti danno un riscontro sull’andamento del tuo percorso e ti mettono in guardia laddove dovesse servire più lavoro.

Come fai a conciliare lo studio in accademia con altri interessi?

Al mio ingresso alla Grassi ho affrontato un naturale riordino delle priorità: il tempo libero è molto poco e i 3 anni passano veloce-mente, bisogna viverli il più intensamente possibile e la scuola viene prima di tutto! Come accade ogni volta in cui qualcosa ti assorbe completamente, ne trascuri altre e i primi a risentirne, nel mio caso e in quello dei miei compagni, sono stati gli amici: sopravvivono solo i rapporti più forti.

Come sviluppate il progetto di uno spettacolo? Collaborate tra i corsi di Attori, Regia, Sceneggiatura?

Incontri tra registi, attori e drammaturghi nell’arco dei tre anni avvengono spesso: alcuni momenti del percorso sono svolti insieme. Lo spettacolo nell’ambito di studio è più spesso una «lezione aperta», che arriva solitamente a conclusione del seminario svolto. Ci sono stati esperimenti compiuti di messa in scena: al primo anno abbiamo presentato dei drammi didattici di Brecht, realizzati in col-laborazione con i compagni di Regia. A metà del secondo anno la sfida è stata con un’operetta di fine ‘800, con parti cantate. Al termi-ne del secondo anno, abbiamo messo in scena Piccoli Borghesi di Gorki, primo incontro con la drammaturgia russa. Quest’anno abbia-mo lavorato sull’improvvisazione nei codici della commedia dell’arte. Solitamente nel mondo professionale prevale il physique du role, ma la scuola ti dà la possibilità di giocare anche con ruoli per i quali non sei fisicamente tagliato, ti allena a trasformarti e a met-tere alla prova tutte le qualità del tuo strumento. La fase di lavoro, per quanto mi riguarda, è spesso piena di preoccupazione e insod-disfazione, mentre alla fine l’incontro col pubblico mi riporta al divertimento e al gioco che sono connaturati all’attività del «recitare».

Com’è il rapporto con i compagni? C’è competizione?

Il percorso inizia all’insegna della competizione: alle selezioni i candidati sono più di 300 e solo 16 verranno ammessi. Impari però subito che la competizione è utile se vissuta in maniera sana. La determinazione individuale è forte e la solidarietà sincera non è così scontata, ma proprio per questo più preziosa quando arriva. Con i compagni condividi un’esperienza molto intima per 3 anni, la coe-sione può essere più o meno forte, ma la scuola ti costringe comunque a testarti e metterti alla prova anche come singolo.

Potete lavorare o dedicarvi ad altre esperienze teatrali durante il periodo di studi alla Paolo Grassi?

Sì, la libertà è accordata, purché non porti a trascurare le lezioni. A volte è la scuola stessa a darci notizia di casting che hanno luogo proprio nelle aule della scuola. I contatti lavorativi esterni sono occasione di mettersi alla prova e talvolta una boccata d’aria rispetto ai meccanismi ripetitivi della scuola.

MARZO 2011 P AGINA 11 CULTURA

Quali sono le tue esperienze teatrali? Con chi hai lavorato?

Al di fuori della scuola le esperienze teatrali sono state poche, dettate nella maggior parte dei casi dal piacere di collaborare con amici. E’ stato così con la storia di «Lunanzio e Lusilla» testo scritto da Loris Fabiani, diplomato all’Accademia di Roma. Ora lo spet-tacolo è diventato una trilogia e io interpreto Iullio, allievo di retorica che fa da prologo e intermezzo attraverso gli episodi. Quest’esperienza è stata un’ottima palestra di divertimento e di gioco. Lo scorso anno ho avuto la fortuna di intravedere come funziona il mondo del cinema: ho avuto una piccola parte nel film La banda dei Babbi Natale, in cui sono la figlia di Giovanni. Quest’anno ho preso per la prima volta parte a una meravigliosa iniziativa (React!) presso l’Istituto dei Tumori di Milano: una gior-nata dedicata ai pazienti, a contatto con la pittura, la musica e il teatro. Un’altra importante esperienza è arrivata in occasione della trasmissione di Fazio e Saviano «Vieni via con me»: insieme ad altri compagni di corso ho partecipato ad una puntata leggen-do uno dei famosi elenchi. E’ stato l’incontro con una televisione coraggiosa e con un’Italia raccolta ad ascoltare.

Preferisci il teatro o il cinema? Quali sono le differenze? Per quel poco che ho potuto osservare e per quanto ho ascoltato da lavoratori professionisti, il cinema ha il potere di creare un’affabulazione totale e di ingigantire il dettaglio, ma costringe l’attore a frammentare l’arco del suo lavoro recitativo e a non sapere quale sarà la forma definitiva che prenderà il lavoro al quale ha partecipato. La «pericolosità» e il brivido del “qui e ora” sono invece, secondo me, la bellezza del teatro, insieme al trovarsi raccolti in uno stesso spazio con altre persone e concorrere con loro a creare qualcosa di unico e irripetibile. Il teatro, questo ho imparato grazie alla scuola, ti insegna a rispettare la sacralità dello spazio e di ciò che nasce al suo interno. In ogni caso, data la crisi in cui tutto il settore dello spettacolo (e della cultura) versa, credo che oggi più che mai l’attore debba essere versatile e competente sia nell’uno che nell’altro settore.

Qual è la diversità tra università e accademia d’arte drammatica?

Una questione in particolare ho vissuto transitando dall’università all’accademia: se in università mi concepivo e mi sentivo conce-pita come parte indistinta della massa studentesca, in accademia il fuoco è molto più ristretto, si è sì membri di un gruppo corale, ma anche individui con proprie particolarità, precise qualità e limiti ben identificati. In accademia avviene uno scambio diretto e talvolta personale tra docenti e allievi.

Quali sono le prospettive lavorative quando si esce dalla Grassi? La stessa scuola vi propone qualcosa?

La scuola cerca di accompagnare quanto più possibile noi allievi nel mondo del lavoro. Ad esempio alcuni insegnanti si stanno oc-cupando di trovare delle piazze per il canovaccio di Commedia dell’arte che noi ragazzi del III anno abbiamo realizzato per la lezio-ne aperta dello scorso gennaio. Inoltre, dopo il diploma, dovremmo portare a San Pietroburgo i lavori che realizzeremo con quat-tro registi che verranno da lì a giugno. L’importante è non perdere il ritmo e l’iperattività ai quali la scuola ti ha allenato!

Perché tu hai scelto il teatro? Cosa ti spinge a portare il teatro alla gente? E come si porta la gente a teatro?

Io credo nella potenza del teatro come luogo dell’incontro e della co-municazione immediata. Da sognatri-ce direi che col teatro si può parlare a un gruppo parlando ad ognuno e parlando ai singoli si può parlare al mondo. Il teatro arriva alla pancia. C’è uno scambio effettivo, diretto, tra attore e pubblico, un movimento di entusiasmi che si alimentano a vicen-da. Fare «teatro fuori dal tea-tro»(nelle piazze, in strada, nei par-chi) significa portare il teatro alla gente, laddove per varie ragioni non avviene il contrario: c’è chi non ha modo di andare a teatro o chi sempli-cemente non ne è attratto; ma quan-do la magia avviene il coinvolgimento è vitale per chi lo tenta e per chi ne è tentato. Credo che questa possa esse-re, specialmente in questa fase in cui molti teatri rischiano la chiusura, una missione per l’attore.

La tua definizione di teatro. Come insegnano i grandi maestri, il teatro è gioco: in inglese e francese “recitare” si dice infatti “to play” e “jouer”. Il teatro è vivo: il suo motore è quello del “qui e ora”.

Chiara Compagnoni

Linda Caridi. Attrice.

ANNO V — NUMERO IV PAGINA 12 CULTURA

Un cavaliere, una dama

un “ti amo” non pronunciato,

me negli occhi perpetuamente stampato.

E l’amore trionfa

Ulisse, Penelope

la lontananza per anni

che non ha creato danni

perché l’amore era vero e sincero

e non si è spento come un cero.

E l’amore trionfa

Paolo, Francesca

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer si forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Hanno varcato la porta dell’inferno,

tra le lacrime, prendendo l’amore come perno.

E l’amore trionfa

Renzo, Lucia

Il timor di Dio come strada maestra

Li ha guidati ad una vita onesta,

dopo lo scioglimento di un voto si sono sposati

lieti che il peccato non li avesse mai sfiora-ti.

E l’amore trionfa

Romeo, Giulietta

dopo la prima notte di nozze

al canto di un usignolo si sono svegliati

e per amore eterno

al sonno fatale si sono lasciati.

E l’amore trionfa

Il Principe Azzurro, Raperonzolo

I suoi lunghi capelli ha lasciato cadere

affinché il suo principe potesse vedere

purtroppo in segreto,

aspettando il giorno lieto.

E l’amore trionfa

Un ragazzo, una ragazza

Un “ti amo” sempre frettolosamente pronunciato,

un “ti amo” detto in una sera in cui ti sei ubriacato;

tante mezze verità guardandosi negli occhi

senza capire che nella vita non esistono solo i balocchi;

una soglia importante raggiunta troppo in fretta

e poi la scoperta che la vita non è perfet-ta.

Ma l’amore trionfa?

Alessandra Ceraudo

Qualche mese fa ho ricevuto un compito: “scrivi una poesia sull’amor cortese”. Come classe stiamo portando avanti un progetto che ha questo tema come noc-ciolo; stiamo imparando a cantare, suo-nare e scrivere poesie con l’obiettivo di realizzare una dolce e squisita polpa da metterci intorno, arrivando a farvi gusta-re questo delizioso frutto il giorno dello spettacolo; il frutto del nostro lavoro, della nostra fatica, ma anche il frutto che potremo essere orgogliosi di offrirvi. Dopo l’assegnazione di questo compito mi trovavo in difficoltà, pensavo di non esserne all’altezza, di non riuscire ad esprimere i miei sentimenti in merito, però era un compito e poiché le maestre alle elementari insegnano che vanno sempre fatti i compiti a casa ho impu-gnato una penna, trovato un foglio di carta e iniziato a riflettere. Penso che l’amore debba essere alle fondamenta della vita umana, che in mancanza di amore e di rapporti affettivi non si possa posizionare nessun mattone, perché il cemento si trasformerebbe in gelatina, non reggendo; questo ai tempi delle dame e dei valorosi cavalieri, come oggi. I miei occhiali sentimentali mi hanno

L’amore trionfa sempre?

sempre fatto vedere l’amore di quel tempo come un amore puro, sincero, che non ha bisogno di tante parole perché trova la sua forza nell’animo, nello splendore degli occhi e nella fiducia reciproca. L’amore di oggi tra i giovani, a confronto, lo trovo cambiato per l’evoluzione sociale, culturale e tecnologica, lo trovo in alcuni casi impoverito, biso-gnoso di parole e spiegazioni perché nello sguardo non si può cogliere la sincerità ne-cessaria a credere. La mia visione non vuole assolutamente essere negativa e distrutti-va, credo nell’amore, nell’amore vero come quello presente tra le dame e i cavalieri dell’epoca che si sposavano conoscendosi appena. Ritengo, però, che sia necessario, soprattutto nei più giovani, calibrare bene il peso delle parole, attribuendo ad ogni vocabolo il suo vero significato. Fatte queste considerazioni ho iniziato a scrivere e ad emozionarmi. Questa poesia è nata in breve tempo strofa dopo strofa, dettata dal cuo-re e non dalla mente. Nella letteratura, nel cinema, nelle favole abbiamo tante coppie famose, famose per l’importanza delle loro storie, per i problemi e le avversità che hanno dovuto affrontare, ma soprattutto per il modo in cui l’amore è sempre riuscito a trionfare. Ho deciso di tornare a parlare di queste “celebrità” per toglierle dal mito in senso positivo, per far capire che l’amore di Romeo e Giulietta può essere in noi, che l’amore vero come quello di Paolo e Francesca non finisce mai, che la distanza non è un ostacolo che solo Odisseo e Penelope sono riusciti a superare. L’ultima strofa mi ha coinvolta totalmente; è stata la più sofferta, la più negativa apparentemente, la strofa nella quale esprimo il dubbio che a volte l’amore sia sottovalutato, considerato un gio-co per divertirsi e passare un po’ di tempo; al tempo stesso, però, questa strofa vuole fare le veci di un congiuntivo esortativo, vuole essere un invito alla vera e leale passio-ne, al vero amore, non mieloso e sdolcinato, ma sincero. Vuole essere un invito a non dire più “Ti amo”, perché se ami veramente, l’altra persona lo capirà dal tuo sguardo e non dovrà più avere bisogno che tu glielo ripeta per convincersene. Volevo concludere facendovi una proposta, non capita tutti i giorni di confrontare l’amor cortese con quel-lo odierno, di parlare di amore vero e profondo,dunque, la mia richiesta consiste nel leggere la poesia e scrivermi, come collaboratori esterni alla redazione, il mese prossi-mo, o quando vi sentite, cosa pensate in merito a questo argomento e a queste consi-derazioni. Sarebbe bello confrontarsi e non pensare all’amore solamente quando siamo da soli sotto le coperte, prima di abbandonarci ai sogni.

P AGINA 13 MARZO 2011 CULTURA

Mina è una ragazza americana proveniente da Stockbridge, un paese di 8000 abitanti in Massachusetts e sta trascorrendo un anno a Milano. Studia in un liceo ed è stata ospitata per qualche mese dalla mia fami-glia.

1.Quali differenze hai riscontrato nell'am-bito dell'insegnamento tra Usa e Italia?

La differenza principale è che in America non esiste il concetto di classe com'è inte-so in Italia: lì gli studenti possono sceglie-re, in una lista variante di anno in anno, le lezioni che preferiscono frequentare, dun-que cambiano con frequenza sia gli inse-gnanti, specializzati in una sola materia, sia i compagni.

Ogni disciplina presenta tre differenti livel-li: base (standard) ,intermedio (CP: college preparation), alto(honours). Ovviamente alcune materie sono obbligatorie perché sono quelle che permettono di accumulare crediti che in tutto il corso di 4 anni sono 27, alcuni sono: 4 per Inglese, 1.50 di edu-cazione fisica, 3 di matematica, 2.50 di scienze, 2 di storia, 1 di arte. Solo dopo aver raggiunto questo numero di crediti è possibile partecipare ad altre lezioni.

I voti sono espressi in percentuali, come quelli della maturità in Italia, ma mi rendo conto che qui è molto più difficile raggiun-gere un punteggio elevato o un buon voto e l'eccellenza è rarissima, in America inve-ce è molto comune. Per questo in Italia si sospende e si boccia spesso, mentre negli Stati Uniti non accade quasi mai. Che uno studente sia insufficiente è considerato uno scandalo.

La struttura scolastica è organizzata in mo-do diverso: non c'è una divisione (scuola elementare, media e superiore), si calcola-no semplicemente gli anni dal primo al dodicesimo (un anno in meno rispetto all'Italia prima di finire le Superiori).

Ogni due anni circa ogni studente è sotto-posto a prove statali (molto semplici) fina-lizzate a capirne il livello. Si tende a pre-miare il buono studente: ad esempio of-frendo gratuitamente il corso dell'universi-tà pubblica ai ragazzi che superano gli esa-

mi di accesso. Ogni scuola permette di praticare attività sportive, per lo più di squadra, suddivise a seconda dei livelli: calcio, pallavolo, baseball, football ameri-cano, atletica.

Ogni mattina si recita The Pledge of Alle-giance, un giuramento di fedeltà alla ban-diera e alla Nazione(facoltativo), si canta l'inno nazionale e si osserva un minuto di silenzio; prima delle lezioni vengono tra-smessi in tutta la scuola annunci da parte di alunni o professori, quindi ci si reca nell'aula dedicata a registrare assenze e presenze. Qualunque mancanza o infra-zione del regolamento viene punita col rimanere più a lungo a scuola dopo la fine delle lezioni.

Nelle scuole americane i balli sono una tradizione radicata. Nel corso dell'anno se ne organizzano quattro o cinque: il primo è quello di benvenuto per gli studenti nuovi, un altro è quello di Halloween ,in inverno lo Snowball.

È vietato fumare, sia nelle aule, sia nei cortili.

I libri di testo non devono essere compe-rati dagli studenti perché sono forniti dall'istituto e, per evitare un sovraccarico di libri nei trasferimenti, ogni studente ha un armadietto a sua disposizione.

Da un lato il rapporto fra insegnati e stu-denti è molto più stretto e amichevole rispetto all'Italia, dall'altro è diffuso da parte dei ragazzi il pregiudizio che fra i professori sia frequente la pedofilia; mio padre, per esempio, insegnate di scienze, è stato accusato ingiustamente da alcune ragazze di averle guardate troppo, di aver-le molestate insomma, e ha dovuto svol-gere delle lezioni con la supervisione di un poliziotto.

Ogni scuola è rappresentata da un simbo-lo (il nostro è “ gli Spartani”) e da una bandiera ( rosso-bianco).

2.Quali differenze hai notato nel compor-tamento dei giovani?

Non ho trovato particolari differenze tra giovani Americani e Italiani: c'è sempre un

filone principale che i più seguono, un tipo di musica che ascoltano, un modo di vestire... così come ci sono ragazzi più origina-li.

Mi sembra che qui i ragazzi accolgano meglio uno studente straniero, come posso essere io quest'anno in Italia: appena sono arrivata mi sono sentita accettata nella classe che frequento. Mi ha sorpreso molto il fatto che gli alunni, e gli adolescenti in generale, pur essen-do così giovani, fumino tanto. In Ameri-ca invece è più diffuso l'alcol, nonostan-te sia vietato ai minori di ventuno anni.

3.Le differenze nel cibo?

L' Italia ha la reputazione di essere il Paese col cibo migliore e io sono com-pletamente d'accordo. In America i pa-sti sono strutturati in modo diverso: quelli principali sono più frugali ma più grassi, e si mangia spesso tra un pasto e l'altro.

Sono innamorata del cibo italiano e sarà una tragedia tornare in America!

4. Quel che dici vale per tutti gli stati degli U.S.A.?

Vi sono differenze sostanziali tra il Nord e il Sud. Il rapporto tra le due aree è molto simile a quello esistente tra il Nord e il Sud Italia: si considerano vi-cendevolmente differenti e in particola-re i nordici si reputano migliori e in tut-to più avanzati; parlano un dialetto e hanno una cultura e un modo di pensa-re diverso: al Sud sono spesso conserva-tori e repubblicani, al Nord “liberali” (di sinistra) e democratici.

Beatrice Servadio

AMERICA e ITALIA a confronto

ANNO V — NUMERO IV P AGINA 14

Senza alcun dubbio vi sarà capitato di osservare i cartel-loni pubblicitari alle fermate dei tram, agli incroci delle vie trafficate, arrampicati sopra alti grattacieli oppure stam-pati sopra alti muri di cemen-to. Probabilmente qualcuno di voi avrà notato qualche immagine singolare di noti edifici milanesi accompagnati da una scritta, volutamente provocatoria, che afferma la “bellezza” della nostra città, ed è accompagnata da sugge-stive fotografie di numerosi luoghi di Milano. L’iniziativa è promossa da Mix Milanoper, un’associazione che raccoglie progetti e proposte nati dall’ascolto delle esigenze della città. Secondo Andrea Lissoni, curatore dell’evento, “Il progetto allestito non ha le pretese di una mostra e non è neppure una campagna di informazione, ma vorrebbe chiamare al confronto pubbli-co senza aggressività o cla-more. MILANO è BELLISSIMA racconta anche la possibilità che hanno persone accomu-nate da un desiderio di ritro-varsi, di confrontarsi, di ascol-tarsi a vicenda per poi imma-ginare qualcosa che forse non si aspettavano. A noi è capi-tato così”. Parco Sempione è

illuminato da luci nostalgiche e tra le chiome degli alberi lascia intravedere il retro del Castello, la Scala rigetta bagliori notturni, Piazza Affari è straordinariamen-te gremita da malinconici balle-rini. Sono edifici, luoghi, spazi forse fin troppo noti e proprio per questo trascurati, che ora si affacciano su 100 angoli diversi della città e che la percorrono su ben 400 tram. “Esiste una bel-lezza che la fotografia sa scorge-re e rivelare nel caos della città. E’ una bellezza che se non è rintracciabile nei luoghi risiede invece nello sguardo, cioè nel modo di guardare. Una bellezza simbolica che cerca di ordinare, di capire, di ristabilire un rap-porto di appartenenza possibile, perché la città non colpevole ne

Milano è bellissima Fotografie che attraversano la città, le rendono omaggio e aprono un dialogo volto a far

emergere proposte positive e ad attuare progetti concreti

CULTURA

ha urgente necessità”: Gabrie-le Basilico, fotografo, introduce con questa affermazione un concetto di base che può di-ventare spunto per un vivace dibattito. Solo la fotografia è infatti in grado di riportare una visione anticonformista che si spinge oltre gli stereotipi dei cittadini e che invita ciascuno di noi a riflettere sul concetto di bellezza architettonica. At-traverso queste immagini lo spazio riacquista fascino e si trasforma, diventando entità dalla duplice valenza. E’ un paesaggio reale, perché ci ca-ratterizza, ci ospita e influisce sulla nostra routine, ma allo stesso tempo intellettuale, perché è l’espressione della nostra percezione individuale

della realtà. A questo progetto si aggiunge un ulteriore invito a guarda-re Milano con occhi di-versi, concretizzato da una proposta rivolta al singolo cittadino

dal titolo “I Progetti della Gente” e strettamente connessa alla volontà di promuovere interventi e azioni che rispondano alle esigenze di ciascuno di noi. Il progetto avviato da Mix e Fondazione Catella, comprende inol-tre una conversazione al teatro Franco Parenti proprio sul tema dello spazio urbano, che si terrà al termine della mostra fotografica, il 28 M a r z o 2 0 1 1 . Nonostante il logora-mento delle periferie, il degrado dell’hinterland o la tracotanza edilizia, la città conserva luoghi di autentico fascino: si trat-ta di scoprirli, o riscoprir-li, adottando uno sguar-do modulato che valoriz-za lo splendore al fine di cogliere anche la medio-crità.

Silvia Ainio

MARZO 2011 P AGINA 15

S iamo nella Sicilia del XIX secolo, all’epoca del tramonto borbonico e della vittoriosa campagna di

Garibaldi, che porterà in tutta Italia pro-fondi e radicali cambiamenti. Protagoni-sta di tali vicende storiche è una delle più antiche ed aristocratiche famiglie sicilia-ne, la famiglia Salina, colta nel momento di transizione tra una vecchia Italia, spez-zettata in numerosi regni di dominazione straniera,ed un nuovo paese unico ed unito. Nuove prospettive, nuovi ideali, nuove necessità accompagnano il con-cludersi di un’epoca, caratterizzata da determinati costumi, modalità di pensie-ro, cultura e persone, per avviarne una nuova, più moderna e stimolante, o al-meno questa è l’idea. La figura perno di tutto il romanzo è

appunto quella del principe Salina, em-

blema di quelle vecchie generazioni di

aristocratici siciliani. La figura di don

Fabrizio è molto complessa e interessan-

te; attraverso di lui l’autore affronta le

molte questioni dell’allora attualità, ma

che tutt’oggi non si possono definire

superate. L’altro personaggio emblema-

tico all’interno del romanzo è il nipote

del principe, Tancredi. Fra i due uomini

vige un affetto profondo, sancito in parte

dall’empatia e dalle affinità presenti tra i

due personaggi, somiglianze che don

Fabrizio coglie numerose nella figura del

nipote. Tancredi è un giovane sveglio e

affascinante, caratterizzato, in particola-

re, dalla voglia (o necessità) di rimanere

sempre al passo con i tempi e di rendersi

partecipe in prima persona degli avveni-

menti storici che proprio in questi anni

stanno avendo luogo in Sicilia. Tuttavia

ciò che rimane al giovane, figlio della

sorella del principe, delle sue nobili origi-

ni è solo il cognome di Falconieri e

l’affetto sconfinato dello zio. Il principe

Salina, al contrario, fa parte di un’antica

famiglia di nobili, dalle abitudini e dalle

tradizioni ancora immutate, abituata a

vivere nell’agiatezza, e per nulla al mon-

do cambierebbe quest’ordine di cose.

Anzi, proprio la staticità di esse, il rituale

ripetersi degli eventi, gli conferiscono un

senso di sicurezza e di stabilità. Don Fa-

brizio, tuttavia, non è un uomo bigotto:

ama l’ozio, certo, ma coltiva le

proprie passioni e non gli si addice la

trascuratezza. Trova conforto nell’astro-

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi nomia, nell’ordine perpetuo delle stelle

che si sottomettono docili ai suoi calcoli,

proprio il contrario degli uomini.

Una natura, quella dell’uomo, limitata dalla certezza della morte, che in un certo modo rende liberi di godere del presente. In un meraviglioso dialogo che don Fabrizio tiene con Padre Pirrone , emerge questo punto di vista del princi-pe, durante un confronto tra la natura dell’uomo e quella della Chiesa: la princi-pale differenza che emerge tra le due è che alla Chiesa fu promessa l’immortalità, e dunque essa dovrà pre-occuparsi in eterno di mantenersi viva e di prestare i suoi servigi ai bisognosi; tutto ciò implica delle eterne preoccupa-zioni, ma, vista la natura delle Sue opere, sostiene don Fabrizio, per la Chiesa “è implicato il conforto”. Per un uomo, invece, cento anni possono equivalere all’eternità: egli potrà preoccuparsi dei figli o dei nipoti, ma al di là di questo l’uomo non ha più obblighi ed è dunque,

liberato da ogni cura, in grado di godere al massimo dei piaceri terreni fini a sé stessi. E quali fra essi può risultare la maggiore espressione di realizzazione dell’uomo, se non la passione sensuale, della quale è pregno l’intero romanzo? Tale comprensione di Don Fabrizio ri-spetto alla vita e alla morte gli permette di porsi in una posizione quasi di supe-riorità: esse dipendono l’una dall’altra ed egli gode della prima e non teme la seconda; gli illusi sono tutti gli altri, tutti quegli uomini, che interpretano quisqui-lie come questioni di inestimabile impor-tanza. Solo ai giovani, per la loro intima ignoranza della morte, è concesso senti-re i dolori più acerbamente dei vecchi. Ma è tempo di cambiamento in Sicilia, e

come in tutto il resto d’Italia una nuova

classe sociale si sta affermando per

sostituire i “vecchi nobili”. Ne è l’emblema il

sindaco di Donnafugata, don Calogero Seda-

ra, un nuovo tipo di uomo che, pur non

avendo antiche ed illustri origini aristocrati-

che, compra un titolo, così da poter essere

all’altezza dei vecchi salotti aristocratici. Il

semplice motivo per cui egli, tuttavia, rimar-

rà sempre un passo indietro e che egli non

appartiene a quel livello della società. Ciò

che fa la differenza sono le origini, perché il

significato di un casato nobile è tutto nelle

tradizioni, nei ricordi vitali, quelle stesse

tradizioni e ricordi a cui il principe era devo-

tamente affezionato: egli era l’ultimo dei

Salina. Dopo di lui una nuova classe di pseu-

do-nobili si andava ad affermare, caratteriz-

zata da una intelligenza negli affari pratici

che restringeva ai suoi membri ogni visuale e

prospettiva per il futuro.

Salina, in cuor suo, non aveva mai appoggia-

to la rivoluzione che andava travolgendo

l’Italia di cambiamenti

da nord a sud, ma in

fondo Tancredi aveva

ragione nel dire “se

vogliamo che tutto

rimanga com’è, biso-

gna che tutto cam-

bi…”; se in prima linea

non fosse andato

anch’egli “quelli com-

binavano la repubbli-

ca”. L’Italia era nata a

Donnafugata

“nell’accigliata sera”

in cui era stato an-

nunciato il risultato del referendum: 512

“sì”, a favore dell’Italia unita, su 512 votanti.

Quella sera erano morto qualcuno lì in Sicilia

e in tutto il resto della Nazione, centomila

uomini come don Ciccio Tumeo che avevano

votato ‘no’, cento volte ‘no’, perché ancora

ricordavano i benefici ricevuti: avevano det-

to nero e gli avevano fatto dire bianco! Così

nasceva la nuova Italia e bisognava sperare

che avrebbe potuto vivere in questa forma.

Ma in fondo cosa avrebbe potuto risvegliare

la Sicilia, quella Sicilia arsa dal sole e dal

vento, dal suo eterno torpore, che avvolge i

suoi abitanti e ridesta in loro l’interesse per

le cose solo quando queste sono ormai pas-

sate, finite e incomprensibili?

(di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)

CULTURA

Martina Brandi

Don Fabrizio Salina, in una scena

del film “Il Gattopardo”

PAGINA 16 ANNO V — NUMERO IV CULTURA

Il secondo gruppo ad avere l’onore di essere intervistato per il nostro giornalino sono i The Problem. Si sono già esibiti nella nostra scuo-la, l’ultima volta sul palco dell’Aula Magna questo carnevale insieme agli Hangover. Sono un quartetto strumentale, dal repertorio e dalle influenze vaste. Risponderanno a nome del gruppo Alberto Gasperini (tastiere) e Emiliano Ambrosi (Chitarra), gli altri componenti sono Samuele Silveravalle (basso) e Fabio Moliterni (batteria).

Come è nato il gruppo?

Alberto: Essenzialmente dalle ceneri di un vecchio gruppo, i Pull In Middle, dove suona-vamo anche io, Emi e Samu

che si è poi scisso in più gruppi. Abbiamo pro-vato quindi una formazione chitarra, tastiera, batteria, basso e voce

e dopo un anno abbiamo abbandonato la voce per darci allo strumentale.

Cosa è successo con la cantante?

A: Aveva troppi impegni. Emiliano: Si è trovata un ragazzo.

Come è nato il nome “The Problem”? Cosa significa?

E: Non sapevamo che nome scegliere e que-sto era un grosso problema, da qui il nome. A: Aggiungerei il fatto che dato che non ci

basiamo molto sull'apparenza il nome non era così importante. E: E inoltre anche perché il nostro suonare insieme era un problema per la musica (un po’ di sana autoironia).

Quali sono le vostre maggiori influenze musicali (e non, se ci sono)?

A: Beh questo cambia da persona a persona. Ti possiamo rispondere noi due. E: Sicuramente i Calibro 35 (gruppo milanese che prende ispirazione dalle colonne sonore dei polizieschi italiani anni ’70 n.d.r.); poi o-gnuno di noi ha le sue molto diverse da quelle degli altri. A: sui Calibro 35 concordo.

Quindi capisco che nei The Problem ognuno mette del suo nel pezzo che viene suonato a seconda delle proprie influenze individuali. Si può dire che le vostre canzoni nascono e sono composte da un insieme di quattro diversi punti di vista?

A: Assolutamente. Nessuno scrive le parte per gli altri salvo rarissime eccezioni, tipo un paio di riff di basso, ma sono parti minime.

Siete al lavoro su delle registrazioni e un eventuale EP?

A: Qui il problema è molto pratico: registrare costa e per adesso non possiamo permettercelo. Appena avremo la possibilità direi di sì. Per l'EP ci penseremo

A cosa mirate quando suonate o scegliete i pezzi da provare?

A: Direi a tre cose. Primo: trovare (o creare) dei pezzi che siano anche divertenti da suonare. Secondo: cercare di suonare qualcosa che non sia trito e ritrito o, nel caso in cui lo sia, tentare di farlo in modo originale. Terzo: sce-gliere dei pezzi dove ci sia libertà di "movimento". Libertà di improvvisazione intendo.

E: A cercare di fare qualcosa che non sia stato già fatto. Con scarso successo, ma almeno ci proviamo. Penso che sia impossibile farlo, è già stato fatto praticamente tutto.

Se doveste avere un nuovo strumento nel gruppo quale sarebbe?

A: Ti posso rispondere anche per Emi: un fiato. Tenden-

zialmente un sassofono o una tromba.

Giuliano Pascoe

The problem

Intervista

MARZO 2011 PAGINA 17 CULTURA

Dal 21 al 27 marzo si è tenuto a Milano il Festival del Cinema africano, ormai giunto alla 21a edizione.

All'evento hanno partecipano film-makers di 50 nazioni per arrivare a un totale di 80 proiezioni, tra cortometrag-gi e lungometraggi, giostrate su diverse competizioni.

Gli spazi coinvolti sono stati cinque: Auditorium S. Fedele, Spazio Oberdan, Cinema Gnomo, Centre Culturale Franç-ais de Milan e Teatro Rosetum. Non sono mancati, poi, feste e aperitivi da dopo-festival, accompagnate da varie attività, tra cui cinque mostre: Mami Wata, sirena del Vodu, Africa Comics, Giovani talenti per ENI, Llama, il filo prezioso delle Ande, Luoghi comuni, pic-cole storie migranti.

Da anni il festival, che ha la grande capacità di proietta-re i cinefili lombardi in un orizzonte di prospettive inusuali, lontane dal punto di vista europeo, ha ampliato i propri orizzonti anche all'Asia e all'Ameri-ca Latina, così da abbattere le barrie-re razziali anche sul

fronte cinematografico. Lo scopo inizia-le di questa manifestazione artistica era quello di parlare della diaspora africa-na, ma si è ormai esteso all'approfondi-mento di temi e linguaggi cinematogra-fici, veicolare il punto di vista di registi emergenti locali su temi di attualità riguardanti l'Africa, l'Asia e l'America Latina, mettere in contatto esponenti del cinema europeo con quelli dell'am-biente extraeuropeo, promuovere la cinematografia africana (sfido chiunque a dire di aver visto un film di produzione/regia africana in un grande cinema milanese), creare nuove pro-spettive cinematografiche, offrire alle minoranze straniere in Italia un punto

di incontro con la propria cultura di origine e sollecitare le scuole a un mag-giore approccio interculturale.

Riguardo quest'ultimo proposito, gli organizzatori del festival hanno selezio-nato un'apposita raccolta di video, atti a sensibilizzare gli studenti su temi co-me razzismo, ecologia, guerra e risorse energetiche.

Sul sito ufficiale erano riportati i video degli scorsi festival. Oltre alle sette dif-ferenti sezioni per i concorsi, si sono tenuti due omaggi: uno a Omar Amira-lay e un altro a Mustapha Dao. Il primo è stato un regista siriano, osannato dai critici attuali come uno degli artisti più radicali del cinema contemporaneo; dopo aver esordito negli anni '70, Ami-ralay concepì diversi film a sfondo poli-tico, tanto da essere censurato in Siria e arrestato al confine tra Siria e Giorda-nia. Dao, invece, si è reso celebre per il suo modo di fare cinema, perlopiù in-centrato sui bambini, tanto da creare una sorta di favola cinematografica.

Se non siete riusciti a parteciparvi quest'anno, cercate di farlo l'anno pros-simo, perché niente è tanto gratificante quanto l'immergersi in un ambiente creativo e cosmopolita, come la nostra società dovrebbe essere.

Laura Vitale Lollo

Festival del Cinema Africano

ANNO V - NUMERO IV PAGINA 18 ANIMI RELAXATIO

Giochi

Inserisci in ogni riga, colonna e sezione quadrata i

numeri da 0 a 9 e le lettere dalla A alla F

MARZO 2011 PAGINA 19

REAL – BUT – STRANGE - NEWS

Rifica Stanescu ha avuto il suo primo figlio a 12 anni diventando la nonna piu' giovane del mondo all'età di 23 anni, dopo che la figlia ha partorito all'età di 11 anni. I parti precoci sono una tradizione di famiglia: la mamma di Rifica è diventata bisnonna a soli

40 anni. Il record precedente di baby-nonna era detenuto da una britannica, nonna a 29 anni. (ANSA, 8 Marzo)

Victoria Cowie, una bambina inglese di 11 anni, ha registrato un QI pari a 162. Un punteggio ben sopra la norma: il livello comune della popolazione è circa di 100, un certo Albert Einstein non aveva superò i 160 punti, come pure Bill Gates, l'inventore di

Microsoft, e Sigmund Freud, padre della psicanalisi, Sigmund Freud, è arrivato solo a 145. (IlSussidiario.net, 16 Marzo)

Gli ingredienti della Coca Cola, creata dal farmacista John Pemberton, sono dal 1886 gelosamente custoditi 24 ore al giorno in una cripta di Atlanta, in Georgia. Il sito Thisamericanlife.org rivendica di avere scoperto una lista in una fotografia a fianco di un

articolo di giornale (“Atlanta Journal-Constitution” del 8\2\’79) che fornisce gli esatti ingredienti per la preparazione della bevan-da. La ricetta conterrebbe le quantità esatte di tutti i differenti liquidi necessari per l'ingrediente segreto della Coca Cola, il Mer-chandise 7X. Pur costituendo solo l'1 per cento della formula totale della bevanda, il Merchandise 7X è considerato infatti la so-

stanza che fornisce alla Coca Cola il suo sapore unico. (Thisamericanlife.org)

Grazie ad eBay, un bambino di 7 anni da Londra è riuscito a comprare un caccia Harriet vero. E’ stato facile: tutto quello che ha dovuto fare è stato cliccare su un luccicante “compralo subito” nel sito di aste, e mandare un pagamento di circa 113mila dollari, e sarebbe stato pronto a vivere il sogno di ogni ragazzo. C’era solo un problema: non aveva soldi – come il padre ha dovuto capi-

re sul suo estratto conto. La Jet Art Aviation Limited, contattata dal padre, è stata molto comprensiva: ha annullato la vendita e rimesso il caccia su eBay. Peccato, il ragazzo era a tanto così. (Ebay.com)

Steve Owen, un 42enne di Derby, ha tentato di vendere la suocera di 50 anni su eBay, partendo dal prezzo base di 1 sterlina.

"Caroline viene a casa mia ogni giorno cercando di cambiarmi e pretendendo di farmi diventare ordinato" ha poi dichiarato Ste-ve, nella categoria “oggetti strani e da collezione”, descrivendola come "usata, buona con gli animali, brava a cucinare e non in

attività dal 1980". Ma la donna non si scompone: "Steve è un lazzarone e continuerò a tormentarlo fino a quando non cambierà. Questo è il mio lavoro!". Caroline ha solo un appunto da fare: "Avrebbe potuto far partire l'asta da 100 sterline. Non mi presento

così male..". (Ebay.com)

Avie Woodbury, conosciuta come "la venditrice di fantasmi", ha messo in vendita sul sito di aste Trademe due fantasmi intrappo-lati in ampolla. La donna ha spiegato che gli spiriti appartengono ad un anziano che viveva in quella casa negli anni ’20 e ad una

bambina "molto dispettosa". Dopo l’esorcismo e la cattura, ha assicurato che non vi sono state più attività sinistre nella casa. L’asta ha attratto più di 214 mila visite, e decine di domande di chiarimenti, prima dell’assegnazione al miglior offerente, che ha

chiesto di restare anonimo. Le due ampolle di vetro in cui sono contenuti gli spiriti sono costate allo sconosciuto appassionato circa 1450 euro. (Ebay.com)

Riccardo Toso

ANIMI RELAXATIO

ANNO V — NUMERO IV PAGINA 20

La Redazione dell’Oblò Redattori:

Silvia Ainio IIE (4E)

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Collaboratori esterni:

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Impaginatori:

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@ arte - Impressionisti a Palazzo Reale Dal 02 .03.11 al 19.06.11 -L’ultimo Michelangelo. Disegni e rime attorno alla pietà Rondanini Museo del Castello Sforzesco- piazza Castello Dal 18.03.11 al 19.06.11 -Fabrizio De Andrè - mostra Rotonda della Besana, Galleria d’arte Dal 11.03.11 al 15.05.11 @ musica - Giovanni Allevi Teatro Smeraldo Il 7 e l’8 aprile 2011

Eventi del mese di Aprile

@ Milano:

Correttrice di bozze:

Chiara Compagnoni IIG (4G)

@ teatro

-Spoonface Teatro Strehler – largo A. Geppi 1

Dal 31.03.11 al 03.04.11

- L’operazione Teatro Leonardo

Dal 29.03.11 al 10.04.11

- La bottega del caffè Teatro Carcano

Dal 30 .03.11 al 17.04.11

A cura di Alessandra Venezia

Responsabile amministrativo:

Chiara Compagnoni IIG (4G)

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assente e qualche imbucato!

ERRATA CORRIGE: si rende noto che, sul numero di febbraio 2011, l'articolo "povero cristo: sequel" riporta erroneamente che gli autori della risposta ad un altro scritto non si fossero firmati.

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