L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

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NOME SOCIETÀ Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci A NNO VI N UMERO VI M AGGIO 2012

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Anno VI, Numero VI

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Magg io 2012

NOME SOCIETÀ

Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci

ANNO VI — NUMERO VI

M AGGIO 2012

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ANNO VI — NUMERO VI PAGINA 2

L’Editoriale

Redattori:

Martina Brandi 3E

Martina Calcaterra 1E

Maria Calvano 2B

Alessandra Ceraudo 3B

Chiara Checchetto 1D

Claudia Chendi 2B

Ines Chillemi 1E

Chiara Conselvan 3E

Elisabetta Festa 4F

Jacopo Malatesta 3C

Chiara Mazzola 2B

Alessandra Pozzi 1C

Anna Quattrocchi 4F

Federico Regonesi 4A

Beatrice Sacco 1D

Beatrice Servadio 3B

Carlo Simone 4D

Alessandra Venezia 2B

Dario Zaramella 4A

La Redazione dell’Oblò Collaboratori esterni:

Francesco Bonzanino 3E

Morgana Grancia 4E

Edo Mazzi 3E

Mariam Ndiaye 2B

Andrea Sarassi 3E

Vignettisti:

Silena Bertoncelli 3C

Federico Regonesi 4A

Impaginatrice:

Martina Brandi 3E

Correttrici di bozze:

Chiara Compagnoni 5G

Silena Bertoncelli 3C

Responsabile Internet:

Jacopo Malatesta 3C

Direttore:

Chiara Compagnoni 5G

Capo Redattore:

Eleonora Sacco 4F

Capo Vignettista:

Silena Bertoncelli 3C

Docente Referente:

Giorgio Giovannetti

fronti dei partiti tradizionali (con il nuovo calo di consensi per il Pd) e soprattutto nei confronti dello stesso governo Monti (che si aggira intorno al 48%). Numerosi sono stati in questo primo maggio le proteste e gli scontri, che aumentano rispetto agli scorsi anni, delineando un malcontento generale diffuso. Come afferma la Professoressa Fornero oggi “la precarietà viene sperimen-tata soprattutto dai giovani e dalle donne, il che è un disvalore”: pare che però gli unici che possano risolvere tale situazione di precarietà e disvalore siano gli stessi giova-ni: solo tramite le nostre forze e la nostra volontà, non sicuramente tramite misure per la facilitazione dei licenziamenti, sarà possibile rovesciare la situazione attuale e riacquisire l’antica “virtus”, di lavoratori e dunque di cittadini.

Buona lettura attiva

di Chiara Compagnoni

È da poco trascorso il primo maggio, giornata di festa internazionale del lavoro, e nonostante i commossi e sentiti discorsi di Presidenti e Ministri

la situazione lavorativa italiana non sembra cambiata. Il tasso di disoccupazione resta (anzi aumenta dell’1,7% rispetto allo scorso anno) pari al 9,8% della forza lavorativa totale, mentre quella giovanile raggiunge quasi il 36%. Mentre il Presidente della Re-pubblica sostiene la necessaria “crescita per i giovani” ammettendo di trovarci ora in un “momento brutto”, il Ministro del welfare Elsa Fornero propone di “riflettere sulle ragioni di questa crisi” ritenendo che adesso si debba “soprattutto agire”. Le ultime azio-ni del ministero del lavoro non sono però risultate essere favorevoli economicamente

e socialmente alle classi che hanno per la maggior parte occupato cortei e manife-stazioni del primo maggio, e come da sempre avviene non hanno ancora tocca-to i benefici e le agevolazioni alla classe dirigente. Il segretario generale di Cgil, Susanna Camusso, chiede al governo di intervenire “abbassando le tasse sul lavo-ro dipendente”, mentre Raffaele Bonanni, segretario Cisl, dichiara necessario “tagliare subito le tasse sui lavoratori e sui pensionati, sterilizzare le tasse sulla benzi-na, dare credito d'imposta per chi inve-ste”. Le voci provenienti dal governo sem-brano auspicare una prossima crescita, eppure le speranze dei cittadini calano (secondo i dati forniti dai settimanali son-daggi del TG La7), rispecchiandosi nella discendente fiducia dimostrata nei con-

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NO TAV: protesta civile o pretesto politico? di Andrea Sarassi

U ltimamente sta diventando sempre più rilevante e conside-rata la causa del movimento No TAV. Tutti i muri delle scuole e

delle principali vie di Milano sono stati tap-pezzati di manifesti a sostegno di tutti colo-ro che vi aderiscono attivamente in Val di Susa. Purtroppo, come spesso capita per le grandi proteste però, si è diffusa una com-ponente di disinformazione e anche fra i sostenitori del movimento vi sono dubbi , perplessità e confusione sui termini reali del problema di che cosa si stia effettiva-mente parlando. Alcune domande sorgono spontanee: “Che cos’è in realtà il movimen-to No TAV?”; “Per quale motivo e contro cosa protestano quelli che vi prendono par-te?”

No TAV è un movimento di opinione di pro-testa contro la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione che do-vrebbe collegare la Francia all’Italia. Il progetto risale all’inizio degli anni novanta e nel corso del tempo ha su-bito molte trasformazioni. Un punto fondamentale, rimasto invariato, è la creazione di una galleria, percorsa da due tunnel a binario semplice, lunga 57 chilometri (12 km sul territorio italiano e 45 km sul territorio france-se), che attraversando la Val di Susa e la val Moriana, arriverebbe fino in Francia. Questa linea, indicata come “corridoio n° 5”, rientra in un progetto più ampio della Commissione Europea che ha progettato di creare una Rete ferrovia-ria Trans-europea, le Reti di trasporto trans-europee(TEN-T). Il progetto originario era quello di creare una ferrovia Lisbona-Kiev, ma è stato sostituito nel 2004 dal nuovo progetto “prioritario n°6 Lione-Kiev”, che collegherebbe Francia, Italia, Slovenia e Ungheria. Per quanto riguarda la tratta della Torino-Lione, l’ipotesi di realizzazione di tale progetto ha favorito un dibattito di portata internazionale, al quale partecipa anche l’Italia. Infatti, il progetto ha sosteni-tori in larga parte nel mondo politico italia-no, e ha oppositori in primis in tutta la po-polazione della Val di Susa, e poi ha trovato largo appoggio anche in numerosi studenti e lavoratori che costituiscono il movimento di protesta No TAV.

I punti della protesta sono molteplici e han-no lo scopo di confutare le motivazioni che i Sì TAV portano a favore del progetto. Ana-lizziamo, dunque, entrambe le posizioni. Prima di tutto, la protesta evidenzia l’inutilità di una nuova ferrovia. E’ presente, infatti, dal 1871 un altro tunnel ferroviario,

creato sotto il monte del Frejus, che colle-ga storicamente la Francia con l’Italia. La ferrovia collega la val di Susa con la val Moriana snodandosi e inerpicandosi sulle montagne; raggiungendo di conseguenza un’elevata pendenza. La pendenza e la tortuosità del percorso ferroviario sono caratteristiche alle quali si appella il movi-mento “Sì TAV” per dimostrare la necessi-tà dell’alta velocità.

In effetti, un treno ad alta velocità, deve poter percorrere una pendenza notevol-mente inferiore, con riduzione dei tempi di percorrenza e un relativo minor consu-mo di energia elettrica. Tutto ciò, però, sarebbe solo un vantaggio: inevitabilmen-te, infatti, ci sarebbero dei consumi molto maggiori a causa dei treni, che avrebbero la necessità di raffreddare e ventilare una linea in gran parte in galleria, e dell’enorme quantitativo di roccia scavata

da portare in discarica durante e dopo la costruzione dell’opera. Inoltre, è da sotto-lineare che la pendenza e le caratteristi-che della linea già esistente sono analo-ghe ad altre linee ferroviarie, il cui traffico, è in graduale aumento; mentre il traffico di merci verso la Francia, secondo uno studio compiuto dalla stessa Rete Ferro-viaria Italiana(RFI), non solo, ma anche a causa di un incidente stradale avvenuto nel tunnel del Frejus nel 2005, è diminuito o, comunque, rimasto stabile. Ultima, ma non per importanza, c’è la motivazione economica. Nonostante stia avvenendo una scarsa informazione da parte dei prin-cipali mezzi d’informazione su tutto ciò che riguarda la TAV e la sua realizzazione, le stime dei prezzi per la realizzazione del progetto oscillano tra i 18 e i 20 miliardi di euro. Tale è la stima dei costi oggettivi.

Comprensibilmente, a seconda che si chie-da a una delle due parti contendenti, i costi aumentano o diminuiscono. I No TAV, e anche io stesso, ritengono, per le motivazioni appena citate, che una tale spesa di denaro, in un periodo di crisi co-

me questo, per la realizzazione di un pro-getto che potrebbe essere evitato, non sia politicamente ed economicamente saggio. Questi, anche se ce ne sarebbero molti altri, sono i principali punti della protesta.

Solamente a conoscenza di queste indi-spensabili premesse, è possibile dare un giudizio non superficiale sulla protesta del movimento No TAV. Premesso ciò, mi sento in dovere di esprimere la mia opinione su quello che adesso sta accadendo in Val di Susa. Al cittadino medio sono state date numerose chiavi di lettura della protesta dai media. Ai tg, sui giornali, nei dibattiti,… si è parlato e si parla della Val di Susa sola-mente quando ci sono degli scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti, i quali vengono descritti quasi sempre come vio-lenti attivisti, facinorosi e anarchici.

Dico quasi sempre perché, per fortuna, ogni tanto qualcuno si pone la domanda se

tutto ciò sia vero. Ho già detto che il No TAV è un movimento di opinione di larga portata, quindi chi potrebbe mai protestare? Lavoratori, studenti, pensionati, ma soprattutto cittadini! In Val di Susa tutta una popolazione si è mossa e, anche ammettendo che tra i manifestanti ci siano dei facino-rosi o degli anarchici, questi protesta-no insieme a estremisti di sinistra e di destra o, semplicemente, a qualsiasi uomo che si è sentito in dovere di opporsi all’esproprio non necessario della propria casa. In Valle non c’è

distinzione tra manifestanti e non, in valle tutti sono No TAV! Questo non capiscono o non vogliono evidenziare i media: lo spirito della protesta. Lo spirito che spinge tutti i cittadini di una valle, per quanto di idee e status sociale diversi, a opporsi a un’ impo-sizione per loro ingiusta dello Stato e a scontrarsi contro la polizia. Quanto agli scontri che ci sono stati, è innegabile che i No TAV abbiano usato violenza contro le forze dell’ordine. E’ innegabile. Bisogna, però, vedere come si è potuti arrivare da presupposti di protesta civili a lanci di lacri-mogeni ad altezza uomo e a retate contro la polizia. Infine, ci tengo a dire un’ultima cosa. Lasciando stare tutti i motivi più o meno contestabili della protesta, una do-manda credo sorga spontanea: come è possibile che, nel 2012, in uno Stato demo-cratico come l’Italia, col pretesto di giovare all’efficienza e allo sviluppo di un Paese, si ignorino totalmente i bisogni e si vada con-tro quegli stessi cittadini italiani che (almeno a livello teorico) dovrebbero non solo rappresentare lo Stato visibile, ma anche poterne influenzare il governo?

ATTUALITÀ

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PAGINA 4

Il tempo della nuova liberazione

ANNO VI — NUMERO VI ATTUALITÀ

commemorare uno dei momenti storici più importanti per il popolo italiano.

Quindi ricordate, non lasciate che la storia rimanga esclusivamente nel “loro” passato, ma riportatela in ogni gesto, in ogni pensie-ro del vostro presente.

“Facciamo Libera-zione quando inve-stiamo sulla cultu-ra libera e plurale. Facciamo Libera-zione quando ci battiamo per il diritto allo studio, quando difendia-mo l’ambiente e il diritto alla casa. Facciamo Libera-zione quando non

cediamo alla falsa retorica della paura del diverso e dello straniero. Facciamo Liberazione quando facciamo buo-na politica insieme alla gente. Facciamo Liberazione quando pratichiamo la parità di genere, dentro e fuori dalle istitu-zioni. Facciamo Liberazione quando ci impegnia-mo per il diritto al lavoro e all’eguaglianza. Facciamo Liberazione anche quando co-struiamo una memoria comune: una memo-ria che non dimentica chi stava dalla parte giusta”.

di Alessandra Venezia

“Vedete, io non credo che più il tempo passa, più si allontani la necessità di commemorare, di ricordare, di festeggiare. Credo invece che più il tempo passa, più noi abbiamo bisogno di ricordare”. Inizia così il discorso del sinda-co di Milano Giuliano Pisapia, pronunciato in piazza Duomo alla fine della manifestazione del 25 Aprile. Il sindaco parla ad una piazza piena di giovani che sembrano essere desi-derosi di cambiare, per migliorarla, la nostra Italia. Penso che per chi come me vi ha par-tecipato, la manifestazione sia stata un’esperienza travolgente ed emozionante. Eppure in quella piazza non erano presenti tutti i milanesi, tutti gli studenti, che pur non avevano scuola; e ciò non perché il 25 Aprile sia una data sconosciuta, dato che si legge in un qualsiasi libro di storia moderna. Proba-bilmente molti hanno preferito festeggiare da soli nelle proprie case; forse non hanno sentito il bisogno di condividere questa gior-nata di festa. Questa sarebbe l’ennesima conferma dell’ormai diffusa visione individu-alista del mondo, della vita, della democrazi-a, dello Stato, della storia, della politica, della scuola, che prevede una tale concen-trazione sul proprio Io da portare poi al com-pleto distacco dalla collettività e al totale disinteresse dal voler appartenere ad una comunità. Talvolta questa stessa forma indi-vidualista di cui ho parlato non è altro che

una scusa per celare una spietata indiffe-renza. Più spesso infatti sembra che il no-stro passato e la nostra storia non ci riguar-dino, dato che non ci coinvolgono perso-nalmente. Allora io mi chiedo come si pos-sa non essere minimamente toccati dalla storia degli uomini che sono morti per noi. Forse abbiamo d i m e n t i c a t o che diritti quali il pensare, il sognare, il cre-dere e l’amare da persone libere non sono da dare per scontati. Noi ora li abbiamo grazie alla lotta e al sacrificio di uomini e donne del passato. Bisogna stac-carsi dalla convinzione che tutto ci sia do-vuto, come se noi, figli del XXI secolo, pro-venissimo dal nulla, non avessimo delle origini, non dovessimo niente a nessuno. Persuadiamoci invece che dobbiamo ecco-me; dobbiamo il nostro presente a coloro che hanno lottato per noi nel passato, mentre a coloro che verranno dopo di noi nel futuro dobbiamo delle testimonianze, dei ricordi e la speranza di una vita miglio-re. Proprio ora infatti è nostro compito

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PAGINA 5 MAGGIO 2012

Inspire a generation

di Chiara Conselvan

A Londra quest’anno i consueti rinnovamenti di una città sempre in mostra progrediscono in modo più evidente rispetto al solito e

comincia a delinearsi un’atmosfera spumeg-giante. E’ infatti un anno notevole questo 2012 per la capitale europea, che farà di tutto per incrementare la sua fama di città all’altezza delle aspettative.

E’ l’anno in cui la regina di I n g h i l t e r r a festeggia i suoi sessant’anni di regno, un re-cord di presen-za sul trono che ha diffuso il simpatico motto: “keep calm and reign on”, che è allo stesso tempo un augurio e un tributo alla naturalezza responsabile con cui Elisabetta governa. Intanto a Londra già fervono i pre-parativi per le cerimonie di giugno per le quali si attendono, tra i tanti eventi, una regata storica di mille imbarcazioni sul Tami-gi e una mostra a Buckingham Palace che ripercorrerà le tappe del regno attraverso una sensazionale collezione di diamanti. Proprio nella stessa estate gli insaziabili lon-dinesi affrontano con entusiasmo l’enorme preparazione dei Giochi Olimpici che dal 27 luglio al 12 agosto ospiteranno 204 Paesi che, con i loro diecimila atleti, concorreran-no in 300 gare di 39 diverse discipline sporti-ve. A soli cento giorni dalle Olimpiadi è stato Cameron, il primo ministro britannico, a dire quanto sia importante per Londra sfruttare a pieno l’opportunità di ospitare i giochi per la terza volta, come nessun altro ha fatto nella storia. Come i Giochi precedentemente ac-colti nel 1908 e nel 1948 dopo la guerra mondiale, anche questi non avranno solo lo scopo di essere ricordati per la loro magnifi-cenza, ma soprattutto di migliorare la vita dei londinesi mantenendo vivo anche a po-steriori lo spirito delle Olimpiadi. La prima fra tutte le proposte che si stanno rapida-mente realizzando è quella di creare un nuo-vo quartiere di fronte al parco olimpico nell’est di Londra per costruire uffici e incre-mentare posti di lavoro. Per non limitare i benefici di tutto questo intenso lavorio all’area inglese è stato creato l’“International Inspiration Programme” al fine di promuovere lo sport per i giovani di 20 Paesi. Soprattutto queste sono state defi-

nite le Olimpiadi “sostenibili”, anche se non è tutto oro quello che luccica. Addio infatti al “lenzuolo” creato con materiale sostenibile dove avrebbero dovuto essere esposte le opere di giovani artisti: la coper-tura che circonderà lo stadio è diventata di plastica ed esporrà i loghi degli sponsor. E non solo, perché tra gli sponsor non emer-gono quelli che detengono la migliore fama di ecologisti, anzi sarà la Dow Chemicals a

esporre il suo logo. Nel 1984 la socie-tà, prima che fosse acqui-stata e cam-biasse nome, è stata la responsabile del disastro di Bophal, città indiana che a causa della fuoriuscita di

tonnellate di gas tossici degli impianti indu-striali di questa azienda ebbe venticinque-mila vittime e ancora oggi le conseguenze della disgrazia innalzano il tasso di mortali-tà del luogo. Ma non è stato l’unico spon-sor criticato: c’è anche Adidas, che di re-cente ha manifestato la sua indifferenza per i diritti dei lavoratori e, in minor misu-ra, Mc Donald’s e Coca Cola, il cui marke-ting va contro l’idea di vita sportiva e salu-tare. Questi e altri sono gli stessi sponsor che voglio-no la protezione del marchio da Internet e da even-tuali plagi; per questo è stata cre-ata una “polizia dei brand” che proteg-gerà i partner delle Olimpiadi.

Problemi sono stati presenti anche nell’organizzazione della mobilità, poi-ché gli ingorghi previsti saranno senza dubbio inestricabili e ingestibili e anche per questo Stratford, quartiere degradato sistemato e rinnovato per l’occasione, dovrebbe diventare un’area “no traffic” come tante altre nella città, ma gli imprenditori della zona hanno avuto di che contestare ritenendosi boicot-tati, per giunta in un periodo di crisi. Tra le problematiche emerge inoltre un parados-so non trascurabile: la grande banca

“Lloyds” sponsorizza i giochi, mentre la sua grande concorrente “Barclays” ha impresso il proprio marchio sulle biciclette che offro-no il servizio di bike sharing per la città. Non essendo “Barclays” uno degli sponsor è sta-to vietato l’accesso delle bici al parco olimpi-co. Pertanto alle Olimpiadi ecologiche per eccellenza le biciclette con un marchio diver-so da quello dello sponsor ufficiale sono state bandite. Le incertezze sussistono an-che in un campo di interesse maggiore: la sicurezza. La spesa statale in questo ambito è stata superiore al miliardo di sterline, cifra resa tale anche grazie all’intervento degli Stati Uniti che non consideravano sufficienti i piani precedentemente adottati da Londra e avevano intenzione di mandare aiuti. Ma un’azione dimostrativa di un attivista contro l’organizzazione delle Olimpiadi su come i controlli avrebbero potuto essere facilmente superati ha diffuso la paura di attentati. Per aumentare la protezione sono stati quindi posti dei missili sui tetti di alcune aree resi-denziali: nella capitale l’ultimo dispiegamen-to di forze che ricorreva ad armi di tal gene-re risaliva alla seconda guerra mondiale. E mentre l’orologio di Trafalgar Square scandi-sce il conto alla rovescia, Londra comincia “preventivamente” ad aumentare i costi degli alberghi, fino a raddoppiarli da giugno in poi e neppure i londinesi ne sembrano troppo entusiasti. Alcuni di loro sono pronti perfino ad abbandonare la città.

Nell’ambito sportivo il pugilato femminile rap-presenta la novità asso-l u t a i n t r o d o t t a quest’anno. Il pugilato, infatti, era rimasto l’unico sport solo ma-schile.

A evidenziare la magnifi-cenza dei Giochi lo sta-dio olimpico di Stra-tford, contenente ottan-tamila posti a sedere e circondato d’acqua co-me fosse un’isola, ospi-terà prove di atletica, cerimonie di apertura e di chiusura. E ora che è

stato rivelato lo slogan “Inspire a generation” proprio non manca nulla: non ci resta che aspettare e fare un grande in boc-ca al lupo alla città che tutti abbiamo nel cuore. E a chi decidesse di recarsi nella me-tropoli, attenzione a non perdersi: la famo-sissima mappa della Tube ha cambiato i nomi di tutte le sue fermate per rendere omaggio ai grandi atleti olimpici della storia,

ATTUALITÀ

Cronaca di una città in fermento

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La Redazione Bucolica

PAGINA 6 ANNO VI — NUMERO VI

CISS

2012 Perugia, 27-29 Aprile

da sx Doris, Chiara, Ele, Marti, Sile & Jacopo + Chiara in treno

Fate... CIIIIIISS! Convegno Italiano

di Stampa Studentesca Ogni anno, dopo cruente faide, solo cinque redattori (più qualche imbucato) per giornalino possono par-tecipare al Convegno, ospitato dall’Ijf e organizzato dal Liceo Parini di Milano. Tre intensi giorni di confe-renze, dibattiti, scambi ma anche divertimento uni-scono per sempre ragazzi di tutta Italia. Tanto che, all’ultima sera, c’è chi già parla di SummerCISS. Ecco qui foto e appunti concentratissimi di questa fantastica IV edizione.

Accenti diversi, stesse ambizioni Premesso che il CISS è un’esperienza meravigliosa-fantastica-geniale-sorprendente che gli altri partecipanti sapranno descrivere meglio di me, è fondamentale sottoline-are che è organizzata da soli studenti. Quelli che sono i rap-presentanti dei giornalini più attivi d’Italia hanno convissuto per tre giorni e dunque condiviso modi di fare, espressioni dialettali, abitudini culinarie (indirizzate sempre dal mitico Bondì del Giornalotto) e altro ancora. Per lo stupore di molti, le provenienze erano le più disparate; infatti le regioni che non hanno partecipato sono solo Valle d’Aosta, Piemonte, Trentino, Marche, Abruzzo, Calabria e Sicilia, ma per l’anno prossimo ci sono ambiziosi propositi. Tutti insieme abbiamo dato vita a un confronto costruttivo: ora sappiamo che quan-do ci troviamo in difficoltà nel portare a compimento la no-stra idea di giornalino non siamo soli, perché dall’altra parte dell’Italia c’è qualcuno proprio come noi. E non simile a noi perché si trova nella stessa situazione, ma uguale a noi per-ché realizzerebbe, anzi, sta realizzando, proprio quello che noi vogliamo concretizzare. — Chiara Cons

SPECIALE CISS

Il CISS nell’International Journalism Festival Il CISS è ospitato annualmente dall’International Journalism Festival di Perugia, ap-puntamento che vede la partecipazione di giornalisti delle più diverse nazionalità e di importanti esponenti della società culturale italiana e straniera (uno dei più celebrati fu il Premio Nobel Al Gore nel 2010). Quest’anno a calcare le scene del festival Beppe Severgnini, Caparezza, Marco Travaglio e in serata di chiusura il caso mediatico Mi-chele Santoro, conduttore del nuovo “Servizio Pubblico”. Purtroppo noi studenti abbiamo poco tempo da poter dedicare a tali incontri, perciò l’unica conferenza che ho potuto personalmente seguire è stata quella presentata da Travaglio, Peter Go-mez e Gianni Barbacetto (de “il Fatto Quotidiano), che hanno delineato la storia di Manipulite, condannando la corruzione della classe politica italiana (di Travaglio la frase “la corruzione dei soldi ha corrotto anche il linguaggio”, riferita tra gli altri ad alcuni giornali italiani). È stato piacevole e rincuorante l’incontro con il fondatore di un giornalino di Bari, ora ventottenne, che si aggirava al festival ormai in possesso del tesserino “press”, giornalista a tutti gli effetti, a suo parere anche grazie all’attività svolta al liceo. - Chiara Compa

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PAGINA 7 MAGGIO 2012

“Un treno, ma un treno è sempre così banale...”

Se non è un treno della prateria, cantava Guccini. Locomotiva e fantasia… e papa-veri rossi fra le traversine dei binari. Fi-nestrini rotti e graffiati dipingono d’acquerello opaco il paesaggio collinare di castelli e arbusti, borghi di pietra. Co-nosci due o tre visi, forse meno, ma chie-di chi sa suonare: rispolveri la discografia Beatles, poi De André, poi Guccini, poi le canzoni comunotte che ci fanno sembra-re seri davanti al capotreno, per poi chiu-dere con i tre accordi della Canzone del Sole. Canta ché ti passano il caldo, la sete, la fame, le sette ore di viaggio; canta ché al cambio ti perdi gli svizzeri, canta ché in un attimo sei nel cuore d’Italia. Canta, canta ancora, canta tutto quello che sai cantare, e alla fine quegli altri duecento visi li conosci come se foste amici da una vita. E canta fino a perdere la voce, a piangerla insieme alla pioggia di Reggio Emilia. Canta fino all’ultimo su quelle due pennate di chi-tarra, ché siamo quasi a Centrale. — Ele

Chiara, Silena e Doris

Carducci & Volta

È tradizione

Foto e pensieri

SPECIALE CISS

Santo CISS, se non ci fossi bisognerebbe inventarti!

Dire che sia stata una delle esperienze più belle che io abbia mai fatto non basta. Potrei raccontare molte cose, rievocare numerosi momenti eppure ciò su cui vorrei maggior-mente soffermarmi è il lato umano, le perso-ne, gli amici. Già, gli amici, tutti quei meravi-gliosi ragazzi che in tre giorni ho conosciuto e ai quali sono ormai indissolubilmente legata. Ciò che più mi ha sorpreso, e che, lo ammetto, non mi aspettavo, è stata la serietà, l’interesse e il rispetto reciproco con cui tutti abbiamo lavorato nella più completa autonomia, mossi soltanto dalla passione comune per un proget-to, com’è quello del giornalino scolastico, attraverso il quale possiamo dare libero sfogo ai nostri giovani pensieri. E forse è stata pro-prio la condivisione di questo interesse che ci ha resi un gruppo così unito e coeso: poco importa in che punto di Italia sia dislocato ciascuno. Già sono in programma diverse rimpatriate, ma intanto ci si tiene in contatto con ogni mezzo disponibile (piccione viaggia-tore incluso!) e si lavora in gemellaggio con redazioni di ogni parte d’Italia. E intanto, per non sentire la malinconia, cissini milanesi già si trovano ogni week-end, per commemorare le serate passate all’insegna dell’allegria (e della musica) in Piazza IV Novembre, nel cuore dell’arroccata Perugia. — Marti

Perugia È facile, per noi poveri e grigi milanesi, rimanere stupiti di fronte al sapore "medievaleggiante" di Perugia, di fronte ai suoi scorci suggestivi, ai suoi rozzi ma originali mezzi di trasporto — una "minimetro" sopraelevata che termina le corse poco dopo le nove di sera —, alle sue sfiancanti salite e all'impressionante concentrazione di pizzerie d'asporto; è forse ancora più facile fregarsene dei mezzi e affidarsi unicamente alle proprie gambe, e nel farlo scovare vicoli nasco-sti, scorciatoie miracolose e rovine sot-terranee, oppure passare un pomeriggio placidamente accampati in un parco soleggiato, prima che il dovere ci richia-masse all'acropoli. La fortuna di avere un auditorium in pieno centro, poi, ci ha permesso di gravitare, nel tempo libero, attorno agli splendidi edifici che si affac-ciano su Piazza IV Novembre, da Palazzo dei Priori alla Cattedrale di San Lorenzo, sulla cui gradinata non è raro trovare sciami di giovani esuberanti. E l'esube-ranza, a dirla tutta, era soprattutto no-stra, immersi com'eravamo in una Peru-gia più vitale che mai nel pieno del festi-val del giornalismo! - Doris

Chiara

L’auditorium di S. Cecilia

Lati positivi e negativi del CISS. Lati posi.. Oh, coraggio! Ci sarà pure qualche lato negativo, no? Su, oltre agli sviz-zeri e alla loro canzoncina ripetitiva (ma geniale) alle 4.30 di notte, i kilometri per raggiungere l'ostello (su, che sarà mai! Ci saremo persi.. un paio di volte al massi-mo.. e alla terza abbiamo incontrato un tizio di Dubaj che era appena stato rapi-nato, che parlava arabo alternando storpiature in inglese e italiano, ma questa è un'altra storia..), le quattro ore per notte di sonno, ma in sostanza quali davvero possono essere considerati lati negativi? Nessuno. Il clima che si era creato tra noi ragazzi era fantastico, everybody taken well, pimpanti, attenti, interessati, non riuscivi a non sentirti coinvolta. I pasti, come ogni altro momento della giornata - e della nottata - erano in compagnia e, oltre all'ottimo cibo (ecco, lato negativo: credo di aver messo su qualche chilo), la compagnia era fanta-stica: ho conosciuto gente in gamba, imparato a non valutare un cervello in base ad una faccia da pirla (si può dire?) e capito che esprimere le proprie opinioni e fare parte di un dibattito aiuta a crescere e maturare. Che dire? È stato bello sentirsi parte di qualcosa di grande. Di qualcosa di speciale. Di qualcosa che sento mio, perchè condiviso da persone come me. - Sile

Page 8: L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

trasformano l’aria in un gioco di suoni.

L’ultima fotografia prosegue la serie di lavo-ri, già in parte pubblicati nei precedenti numeri, sulla casa e sull’ambiente familiare. Tra gli attenti rocchetti di filo, nastri, forbici e puntaspilli si legge una bellezza semplice, materna, affettuosa. Dalla linea della tap-pezzeria scollatasi e dalla scritta a pastello di un bambino lì a fianco emerge quello che l’Anonimo avrebbe definito “l’eco di un alto sentire”: un semplice imperfetto accostato ai dettagli più lievi di chi si ama, il Sublime.

Alla maniera di Amélie Poulain, però.

PAGINA 8 ANNO VI — NUMERO VI

di Eleonora Sacco

La Foto del Mese | Aprile un po’ Maggio

In questi tempi duri ed insolitamente piovo-si le uscite dell’Oblò hanno perso l’equilibrio e la cadenza mensile — colpa del Monsone Mediterraneo —, così anche questa piccola rubrica si ritrova un bel po’ sfasata; colgo l’occasione per scusarmi an-che con chi si è lamentato della precedente FdM, a suo parere “troppo corta”. Questa volta — “mese” non c’entra più nulla — ho scovato, oltre all’affezionata e talentuosa Gaia De Luca di 5H, un interes-santissimo scatto di Luca Gironi di 4C.

Due sagome fiere, anonime ma che ci guar-dano negli occhi, si staccano con grinta — e forte contrasto — dallo sfondo, pur nella loro staticità: sono però irraggiungibili. Ci guardano andare via, lontano; a dividerci sono ostacoli impossibili: il fascio di luce diffusa e chiara, il fosso, la rete, le staccio-nate e il vetro della macchina (se guardate attentamente si vede il riflesso). Noi abbia-mo il sole in viso che ci abbaglia, loro sono solo un profilo scuro, il sogno di un’ombra dai bordi dorati; sono amici e alleati, ci inti-midiscono, ci squadrano dall’alto in basso con pose decise, sicure, orgogliose ma na-turali. Noi siamo in movimento, loro sono fermi. Noi di qui e loro di lì. Ma forse non ci sono ostili: il loro non è uno sguardo di discriminazione. Forse quello è solo un mo-do per dirci un triste e fiero “addio”.

I due scatti di Gaia sono più tenui. Il fuoco interamente concentrato sulla campana fa svanire e confondere i ricci di Josephine con gli alberi dello sfondo. Il forte contra-sto e la tromba richiamano un’opaca at-mosfera jazz da New Orleans. La pelle e la sigaretta — dettaglio davvero particolare e interessante — bianche riflettono i primi raggi di sole primaverile, ci illuminano, mentre ci perdiamo sulle note cantate dagli occhi chiusi e sognanti. Svaniscono le ombre, svaniscono i capelli, svaniscono le immagini e i pensieri della mente: restano a galla, in questa musica, solo le mani che

Gaia De Luca |→ “Eziologia familiare”. Nikon D80 + 50mm fisso. Manuale, 800 Iso 1/125 F2,2. Gaia De Luca |↓ Senza Titolo. Nikon D80 + 50mm fisso. Manuale, 200 Iso 1/1000 F1,8.

Luca Gironi | “South of San Francisco”. Nikon D60 + 55-200mm. Auto, 200 Iso 1/250 F7,1.

LA FOTO DEL MESE

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PAGINA 9 MAGGIO 2012

È un fantasy atipico, duro e travolgente. Un uomo e suo figlio, entrambi senza nome, s'aggrappano con tutte le loro forze a un'esistenza disperata, nel loro

viaggio epico verso sud in un’America post apocalittica. Il loro mondo pullula di orrori ancestrali e ogni giorno i due devono proteg-gersi da infiniti nemici e dal mostro tremendo della fame, ricercando costantemente una via di fuga, una forma di salvezza. Questo roman-zo è una statua dedicata all'amore, a quell'a-more strenuo e immortale del padre che si

sacrifica in ogni momento per il figlio, che dona tutto se stesso, per garantirgli, nono-stante la situazione tragica in cui versa il mondo, di poter continuare per la sua strada e di mantenere vivo il diritto a sperare. Per-ché l'amore è una realtà invincibile che con-tinua ad esserci: che viaggio incredibile, allora, partire per scoprire se là fuori nell'A-merica post catastrofe nucleare e qui fuori nell'Italia del 2012 c'è ancora qualcuno di-sposto a sacrificarsi per mezzo di questa forza invincibile che sta alle radici dell'essere

umano e che l'ha sempre spinto: l'amore, appunto. Nient'altro che un inno all'amore. Una storia dura ed efficace, ve lo assicuro. Violenta, vi avverto: non vi lascerà indifferen-ti, questo mai. Certi incendi non si spengono mai, nel fondo del nostro cuore; romanzi co-me questo possono concretamente risvegliar-li. Consigliato a chiunque desideri toccare con mano la grandezza dell'essere umano, dipinta con pennellate ferme e decise in un fantasy breve e moderno dalla potenza commovente.

di Carlo Simone

Buongiorno buonasera & buonanotte a tutti voi carissimi lettori della Bibliobussola! In questo numero della nostra rubrica fate i bagagli e pre-paratevi a partire: vi porterò conducendovi per mano in mondi oscuri e meravigliosi, e proverò a incuriosirvi riguardo a due fantasy molto diversi fra loro ed egualmente stupendi... Mettiamoci in marcia!

La storia infinita

La strada

LA BIBLIOBUSSOLA

M i è difficile raccontarvi di que-sto romanzo. E' come se ten-tassi di farvi balenare nella mente un colore che non ave-

te mai visto: com'è possibile soltanto immagi-narlo, se non lo si ha mai toccato con mano? La Storia Infinita è esattamente questo: un mondo in cui si deve per forza entrare per averne un'idea. L'autore Michael Ende, figlio d'arte, disertore dell'esercito nazista, attore fallito e genio inventivo indiscusso, è riuscito a mettere in piedi una sorta di Bibbia del fan-tasy che trascende l'ambito dell'immaginazio-ne e invade tutto il nostro mondo. Ci sono infinite chiavi di lettura per interpretare que-sto capolavoro, come infinite sono le storie che lo compongono: proverò a darvi un'idea seguendo il sentiero principale che serpeggia lungo tutta la trama. Il protagonista del romanzo è Bastiano, un ragazzino sfigato. Una mattina di pioggia ruba un libro -chiamato appunto La Storia Infinita-, si nasconde nella soffitta della sua scuola e inizia a leggerlo. La telecamera della narrazio-ne si sposta allora dal nostro mondo fino a dentro il mondo della Storia, dove Bastiano si appassiona sempre di più alle avventure moz-zafiato di Atreiu, un ragazzo eroico e valoroso, impegnato a trovare il modo di salvare il re-gno di Fantàsia dal terribile Nulla che tutto divora. Premesso che banalmente la storia di Atreiu basterebbe per dare vita ad un ottimo fantasy, il mistero per i personaggi e soprat-tutto per il lettore s'infittisce quando da una serie di dettagli emerge che i personaggi de La Storia hanno modo di vedere Bastiano, e per

qualche motivo sembra che soltanto lui pos-sa salvare Fantàsia dall'annientamento. Ba-stiano, superate le ovvie incertezze iniziali, capisce che è proprio di lui che si sta parlan-do nelle pagine del romanzo, e così scopre il modo di poter entrare nella Storia. Inizia allora la seconda parte della trama in cui Bastiano, divenuto personaggio e creatore del libro al tempo stesso, dovrebbe cercare un modo per tornare a casa, ma invece a poco a poco inizia a dimenticarsi da dove viene... Cos'è allora la fantasia? Speculazione inutile, valida per fuggire dalla monotonia del mon-do ma che non ha a che fare con me concre-tamente, o è invece una realtà che mi coin-volge, al punto tale da rapirmi? Quant'è im-portante per l'uomo inventare storie? Tutta La Storia Infinita si basa su questa idea fon-damentale: l'essere umano diventa schiavo delle idee degli altri e delle menzogne, del Nulla, appunto, se non si immerge nell'imma-ginazione, in quelle storie che aiutano a capi-re chi si è. La prima metà del romanzo è dedi-cata a comprendere il pericolo di una vita insulsa, succube, priva di colori, una vita che non è nient'altro che una morte che respira, mentre nella seconda l'impegno è quello di capire chi sono io lettore -io uomo- e che sono qui sulla Terra a fare, io con le mie pas-sioni, io con i miei desideri, anche io con i miei limiti e difetti. Il pericolo di perdere se stessi correndo dietro a voglie futili. Permet-tetemi il paragone azzardatissimo, ma quello raccontato in questo romanzo è il viaggio di un'anima, del tutto simile a quello di Dante

nella Divina Commedia, che alla fine della storia porterà il protagonista ad imparare ad amare gli altri, arrivando perfino al sacrificio di sé. Una salita vertiginosa dentro le profondità del proprio animo, in quell'angolo remoto del cuore che è la fantasia, che qui diventa una realtà parallela, ausiliaria, che ci aiuta a scava-re dentro di noi: perché ogni storia ci tira in ballo, ogni storia ci coinvolge, ci rende i prota-gonisti, gli eroi e le vittime, i vinti e i vincitori. Ogni vicenda umana ci riguarda tutti. Tutto questo viaggio alla ricerca del vero amore è incastrato in un mosaico di rara bellezza, una costellazione di mondi meravigliosi e stupendi, ricco di vicende umane, appassionanti, diver-tenti ma anche terrificanti, e soprattutto è raccontato con una semplicità disarmante: l'idea narrativa è quella di comporre un libro adatto perfino ai massimi intenditori di storie del mondo, cioè i bambini, e nella sua schiet-tezza e libertà vale il doppio: può essere tanto una splendida storia da leggere per impegnare il tempo, quanto un romanzo quasi iniziatico, dal sapore sacro, totalizzante. Un capolavoro a 360 gradi esplorabile da... infinite porte diver-se. Forse ciò che lo eleva tra i massimi romanzi del '900 è proprio la capacità che questo ro-manzo ha di parlare a ciascuno di noi, a ognu-no con un tono diverso, con una voce multi-forme, capace di penetrare nel cuore con la perfezione che soltanto la chiave giusta può avere. Perché proprio qui sta il meraviglioso mistero di questo libro: ha a che fare con noi perché i protagonisti de La Storia Infinita sia-mo noi. Come negarlo? Ogni uomo è qui per raccontare la sua storia infinita!

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PAGINA 10 ANNO VI — NUMERO VI

Peter Gabriel – So (Charisma Records, 1986)

P eter Gabriel, dopo aver ottenuto un notevole successo con i Genesis, di cui è

stato fondatore, raggiunge, con questo quinto album, l’apice della sua carriera da solista. “So” si può infatti defi-nire un vero capolavoro dell’artista, e forse uno dei suoi album più famosi e meglio

riusciti. In quest’album ricco dei temi più vari, Gabriel riesce con estrema capacità a passare in rassegna con ogni canzone generi diversi, che da sempre caratterizzano il suo inconfondibile stile, dal Rock Progressivo dei tempi dei Genesis, al Pop Rock, fino alla World Music, ricca di melodie etniche, unite ad elementi di musica Pop. L’album inizia con quella che è poi diventata una canzone simbolo dell’artista stesso, “Red Rain”, in cui è abil-mente ripreso in un ritmo Pop, attraverso le percussioni e il basso, il tema di un sogno ricorrente del cantante, nel quale immaginava di nuotare in un mare rosso. Segue la celeberrima “Sledgehammer”, canzone dal forte tema a sfondo sessuale, che è caratterizzata dal ritmo molto acceso del Pop Rock; di questa canzone vi segnaliamo anche il particolare video musica-le, che l’ha resa celebre nel mondo, realizzato in stop motion dalla Aardam Animation. La canzone successiva, uno dei singoli dell’album, “Don’t Give Up”, affronta i temi della disoccupazione e della povertà, se-guendo però un ritmo molto lento e dolce, in cui Peter Gabriel, in un sottofondo in cui riecheggia un magnifico basso, nel canto è accompagnato dalla splendida e soave voce di Kate Bush, sto-rica amica del cantante. Il lato A del disco, infine, si chiude con l’acceso ritmo di “That Voice Again”. Anche nel lato B ritroviamo lo stesso tipo di alternanza tra i ritmi delle diverse canzoni. Apre le danze la splendida “In Your Eyes”, seguita dal ritmo melodico, accompagnato da alcuni ele-menti di World Music, che richiamano all’udito alcuni motivi orientaleggianti, di “Mercy Street”, ispirata ad un’opera della poetessa Anne Sexton. Gabriel riprende in maniera molto simile il ritmo Pop Rock di “Sledgehammer” in “Big Time”, che ha però, come singolo, ri-scontrato meno successo dell’altro brano. L’album si chiude, almeno nell’edizione in LP, con la malinconica “We Do What We're Told (Milgram's 37)”, nella quale l’artista fa riferimento all’agghiacciante esperimento dello psicologo statunitense Stan-ley Milgram, attraverso il quale si è avuta conferma degli spa-ventosi comportamenti che un uomo potrebbe avere in circo-stanze particolari.

Audio-philes Una rubrica a cura di Francesco Bonzanino e Edo Mazzi

Rod Stewart-Every Picture Tells A Story (Mercury Records, 1971)

T anto per cominciare è un disco di musica rock di un artista inglese, del 1971, e già questo bastereb-be a renderlo un disco più che

rispettabile; se poi aggiungiamo che si tratta del terzo disco da solista del giova-ne Rod Stewart, probabilmente nel mo-mento migliore della sua carriera (o perlo-

meno quando ancora lavora come Dio comanda), allora sarebbe molto saggio da parte vostra tralasciare le inutili parole che state per leggere e correre ad ascoltare questi quarantuno minuti di grande musica: perciò fate finta di non aver mai letto questa breve prefazione. Il disco inizia in modo appassionato e libero con la title-track: si tratta di uno spontaneo e un po’ grezzo riff made in Ron Wood (sì, esatto, lo stesso arruolato qualche anno più tardi nelle “Pietre Rotolanti”), soste-nuto da un semplice ed elegante drumming in stile Keith Moon e sul quale si snoda il cantato ruvido ed emancipato da schemi – perché no?- anche musicali di Rod the Mod. La seconda traccia è “Seems Like a Long Time” ballata potente e fragile al contempo, ruota attorno ai cardini di un pianoforte il quale sostiene la roca voce di Rod che nel finale, quasi fosse stanca e addolorata, è aiutata da una seconda voce femminile; pezzo dalla musica e dal testo semplici, sinceri ed efficaci. Dopo la terza traccia “That’s Alright”, inte-ressante rivisitazione del classico Rock ‘n’ Roll di Cudrup,il disco prose-gue con un’altra cover stupenda : “Tomorrow Is a Long Time” di Bob Dylan. Saggia, dolce e triste, interpretata magnificamente da Stewart, a mio avviso, è la migliore versione di questa canzone, altro che Nick Drake, Joan Baez, o perfino il Re, che si cimentarono nell’emulazione di queste splendide note e di questi saggi versi. Questa versione mi piace a tal punto che se non temessi la blasfemia, la definirei anche migliore dell’originale scritta da Dylan attorno al ’63; è cantata con voce più dolce, più ferita, che non crede più nel futuro della sua persona e per-ciò risulta anche più vera. Il lato A è chiuso da un breve rifacimento di “Amazing Grace” in versione acustica: breve e sofferta, ma in modo pacato senza forse l’attitudine blues delle origini sebbene ciò che e-sprime la voce di Rod è più che compatibile con questo genere di musi-ca. Il lato B si apre con “Maggie May” canzone dal riff struggente e vissuto, adatto al testo che parla della perdita della verginità dell’autore con una donna più vecchia di lui; canzone interessante, con un testo a tratti ironico, a tratti disperato, ma con una sorta di ottimi-smo nascosto. La seconda traccia è “Mandolin Wind” e provate, ma non riuscirete a pensare per questa un titolo più azzeccato, più suo di questo, dal primo all’ennesimo ascoltato. La voce cartavetrata di Rod conferisce alla canzone un’atmosfera soffusa, incerta con crescendo e diminuendo di volume e tensione: tutto questo è quanto di più dolce, maturo, puro e profano le mie orecchie possano ascoltare. Da lasciarti tranquillo e scosso insieme. E’ il momento di “(I know) I’m Losing You”, divertente e sicura di sé, quasi sprezzante di un pericolo che già il titolo presagiva potesse accadere. Niente affatto! Orgoglio e quasi superbia in questa vivace canzone che diventa quasi un’ammissione di libertà di qualcuno che non ha paura, pur sapendolo, che sta per per-derti e che lo dice con un basso, un pianoforte, un testo beffardi. Chiude “Reason to Believe” di Tim Hardin, grandissimo compositore che non trovò mai la fama che meritava a causa della sua dipendenza da eroina. Il messaggio di questa canzone come di tutto l’album passa, passa eccome dall’interpretazione di Rod: quando si vive di musica, non c’e’ distinzione tra vita privata e carriera, ma la musica pervade la vita e la musica è pervasa da tutto ciò che è vita, gioia, dolore, sponta-neità, speranza, rassegnazione, orgoglio ferito, fiducia delusa e ricon-quistata.

"La pop music aveva una grande energia, che è stata dissipata. Al tempo dei Beatles c'era una sorta di mo-nocultura musicale, ma col tempo l'offerta si è centu-plicata. Dobbiamo solo metabolizzare la transizione dal disco all'iPod. Ma sono anche convinto che se un album ti piace come "Sgt Pepper's" vorrai averlo tra le mani, non ti basterà scaricarlo". [Peter Gabriel]

MUSICA

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qualcosa di nuovo, di nostro e di originale, cercando al contempo di usare un linguag-gio che possa emozionare e in questo modo comunicare, portare lontano, oltre le mura delle nostre stanze, oltre gli schermi che ci sembrano finestre su infiniti mondi. Per capire davvero di cosa stiamo parlando bisogna ascoltare la nostra musica: credia-mo che solo gli altri possano definirci".

Avete mai registrato un disco? Dove e quando?

Julienne: "Abbiamo registrato a febbraio il nostro primo EP "Magnetic Knife Strip", di cui potete/dovreste ascoltare le prime due tracce su Youtube "Africa" e "New York" (attenti a non incappare nel video di due iraniani pelosissimi che si fanno la doc-cia). L'EP uscirà nelle prossime settimane e sarà reso disponibile in free download; ogni canzone (l'EP ne contiene 6) sarà accompa-gnata da un'illustrazione di Simone Peracchi della collettiva Secondary Action. Abbiamo registrato al Blap Studio di Milano, sotto la professionale supervisione di Antonio Dal-molto-oro. Se volete andarci e un enorme

buttafuori non vi fa entrare dite che vi man-da Big D".

Progetti per il futuro?

Ciuli: "Vorremmo portare Damon a vedere un po' di civiltà, New York dovrebbe andare bene, cucinare e mangiare palle di cammel-lo in Marocco, svegliarci al suono di una campana tibetana sul freddo pavimento di un tempio, illuminato, attraverso le nebbie dell'Himalaya, dal sol levante, correre nel deserto inseguiti dai beduini, tuffarci nelle acque verdi come smeraldo dell'Oceano Indiano, arrampicarci su un baobab nella savana, bagnarci la faccia con la neve dell'Etna, diventare poligami per poi sce-gliere comunque una donna sola. E natural-mente fare sempre meglio ciò che già fac-ciamo".

L'intervista è stata scritta da Martin Nica-stro, con il consenso di Stefano Grasso, Damon Arabsolgar, Giuliano Pascoe e Stefa-no Fiori (si teme che date le tempistiche gli ultimi due non l'abbiano nemmeno letta). I Pashmak sono tutti carducciani, classe 91,

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Intervista ai Pashmak

MUSICA

A cura di Martina Calcaterra

Q uanti sono i componenti del grup-po e come si chiamano? Giuliano: "Allora la ricetta del Pa-shmak è molto semplice...( Martin

gli tira un coppino), eddai stavo scherzando! Dicevo, i Pashmak sono composti da un mi-stico vagante persiano fissato con l'empatia di nome Damon Arabsolqualcosa, leggenda-rio per la sua puzza, da Stefano il Grasso, un percussionista nero un po' sbiadito, nato a New Orleans da genitori brasiliani, da Giulia-no Pascoe (per gli amici "Giuli", talvolta solo "Ano") discendente da una famiglia di mina-tori del Michigan che tra le pause sfruttava-no i loro enormi calli neri per suonare e da Martin Castro, violinista argentino legato a Cuba da discutibili legami familiari. Ah di-menticavo Eso (per l'anagrafe Stefano Fiori), da dov'è che veniva?”

Il Grasso: "Da Cimiano" (Eso alza gli occhi dalla chitarra, si guarda attorno, torna a suonare)

Perchè avete deciso di chiamare il gruppo così? Di chi è stata l'idea?

Damon: "Beh visto che è stata una mia idea vorrei..." (Castro e il Grasso lo trattengono con la forza)

Giuli: "Taci tu! non sei nemmeno qui! Allora il Pashmak è dolce iraniano della consistenza della barba bianca di un vecchio, composto, a seconda delle diverse leggende, da lacrime di formica, pelo di pecora o baffi di vecchia. Credo che la descrizione stessa basti come motivazione. (Damon prova ad aggiungere

qualcosa, ma Castro tira fuori l'archetto e lo fa tacere con qualche vecchio trucco dei tempi della rivoluzione)”

Di cosa trattano i testi? Sono in italiano o in inglese? E a cosa vi siete ispirati per scri-verli? Damon: (incomincia a parlare in Farsi, sot-tolineando alcune parole con versi gutturali e gesti scimmieschi, credo stia cercando di vendermi un tappeto)

Ano: "I testi sono la narrazione in prima persona delle incredibili gesta del leggenda-rio camminatore persiano Arabsol, di come una volta nel deserto del Karakum abbia abbattuto un rinoceronte in carica con la sola puzza delle sue ascelle, oppure di come la sua lunga treccia ispida e la sua chitarra sdentata abbiano conquistato la regina del Bhutan. Abbiamo tradotto tutto dal Farsi in inglese, e in qualche caso sporadico e parti-colare in italiano. Purtroppo a volte siamo stati costretti per volontà dell'autore a la-sciare qualche parola in lingua originale".

Qual è la vostra canzone preferita del gruppo? Com'è nata?

Damon: (Continua a parlare in modo incomprensibile, agitandosi sempre di più, come una scimmia in calo-re)

Giuli e Ano: (Fanno il verso del cavallo che sbuffa)

Martin e Stefano: (Si guar-dano e fanno spallucce)

Eso: "E' pronto da mangia-re?" (Si guarda intorno, non ottenendo risposta, torna a suonare) Vi ispirate a qualche grup-po famoso?

Giul'ano: "Credo che uno dei nostri punti di forza sia la grandissima varietà delle nostre influen-ze: ognuno di noi viene da esperienze musi-cali molto diverse tra loro e porta un parti-colare contributo. Le influenze spaziano sia dal punto di vista del genere sia storicamen-te: dalla musica classica del '900 al Jazz, dal Blues all'elettronica dei nostri giorni, fino al Rock, con tutta l'approssimazione del termi-ne e gli sviluppi che ha conosciuto. Non

vogliamo lasciarci condi-zionare da un'unica dire-zione o da un genere troppo ben definito: fac-ciamo quello che ci sen-tiamo di fare".

Come definireste la vo-stra musica?

Giugliano: "Questa è una domanda difficile, perchè se c'è una cosa che abbia-mo capito è che non riu-sciamo a darci un'etichet-ta che ci definisca. La nostra speranza è di fare

Damon Arabsolgar. Foto di Giada Fanti

Martin Nicastro. Foto di

Eleonora Sacco

Page 12: L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

PAGINA 12 ANNO VI — NUMERO VI

B reve e misera introduzione, in

questo numero, ma il motivo

non è (solo) la pigrizia del sotto-

scritto: la rubrica abbandona

per questa volta la sua tipica struttura per

lasciare spazio a due articoli "corposi", sia

per contenuti che per lunghezza. Si parte

con una riflessione ad ampio respiro sul

recente "film denuncia" di Daniele Vicari,

Diaz, nelle sale dallo scorso 13 aprile. Il

secondo e ultimo articolo non è altro che

un ricco speciale sulla figura di Catwoman,

di come e da chi è stata via via interpretata

nel corso degli anni, in vista anche dell'or-

mai imminente interpretazione di Anne

Hathaway ne Il cavaliere oscuro — Il ritor-

no. Buona lettura, e au revoir!

Doris

di Martina Brandi

Q uesto non vuole essere un articolo informativo, né la recensione di un bel film. Questo è un articolo di denuncia, nonché l’invito a vedere

di persona il film di Daniele Vicari “DIAZ don’t clean up this blood”. Il lungometraggio, com’è intuibile dal titolo, ricostruisce, con estrema precisione e impressionante reali-smo, le dinamiche del massacro avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 Luglio 2001 a Ge-nova nella scuola media Diaz, che in quell’occasione fungeva da dormitorio per i manifestanti riuniti in occasione del G8, e del trattamento riservato in seguito ai detenuti nel carcere di Bolzaneto. Ogni scena si rifà alle numerose testimonianze delle vittime, e i fatti fanno riferimento agli atti processuali: tutto vero, dunque, terribile e crudo. La visio-ne del film è sconsigliata a chiunque intenda passare due orette piacevoli. Il film non cen-sura in alcun modo la violenza (fisica e psico-logica) subita dai manifestanti, anzi la proiet-tata sul grande schermo senza alcun tipo di filtro. Una lunga introduzione presenta allo spettatore i personaggi di cui il film seguirà le singole vicende, e attraverso l’intreccio delle varie storie viene poi a costruirsi l’intero film; in questo modo lo spettatore si “affeziona” ai singoli personaggi ed è così in grado di imme-desimarsi (e indignarsi) maggiormente in ciò che vede: in due ore vive un’esperienza drammatica ma protetta e questo produce un mutamento interiore. Strategica è anche la scelta cronologica con cui gli eventi vengo-no raccontati: molte volte, infatti, la narrazio-ne torna indietro per raccontare nuovamente un episodio da un diverso punto di vista (es. manifestanti/polizia/giornalisti) o evidenziare un particolare che diventerà importante in seguito. Delle scene agghiaccianti da macelle-ria messicana, o di vera e propria tortura

psicologica, lascio a voi la sorpresa, mettendo in chiaro solamente una cosa: quando dico agghiaccianti non lo dico per enfatizzare, lo dico perché io stessa sono uscita dalla sala con un profondo senso di nausea. Ecco dun-que che il film ha raggiunto il suo scopo: ren-dere noto al maggior numero possibile di persone ciò che realmente è accaduto quella notte, traumatizzarle per accendere in loro quell’indignazione che di fronte a un fatto di tale portata non deve mai affievolirsi. Le vittime di questo episodio sono rimaste tali anche parecchi anni dopo i fatti: molti, come minimo, non hanno più rimesso piede in Italia, altri hanno subito un trauma psicologi-co così profondo che oggi, undici anni dopo, non si sono ancora ripresi completamente. Come sorprendersi d’altra parte? Ma il trau-ma, nei mesi successivi, non fu vissuto solo dalle vittime: per alcuni mesi l’Italia intera rimase sotto shock per quanto era accaduto in un Paese che si definisce civile e democra-tico. La frase con cui il film è stato pubbliciz-zato “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dalla Seconda Guerra mondiale” in questo caso calza a pennello; com’è altrimenti definibile l’assalto ad una scuola-dormitorio di quattro-cento poliziotti, che irrompono nell’edificio con una violenza non razionale contro cui è vano ogni tentativo di salvezza? Probabil-mente molti erano stati drogati, a mente fredda un uomo non si accanirebbe mai con tanta crudeltà contro un suo simile, si spera… Dal film non emerge un (valido) motivo che sia uno, che potrebbe giustificare degli acca-dimenti simili. Ma d’altra parte esistono mo-tivi abbastanza validi? La domanda è retorica, perché la risposta è no, assolutamente, in ogni caso no! Anche se i manifestanti fossero stati Black Bloc, ma non lo erano, nonostante a lungo la polizia abbia sostenuto di crederlo, essa non aveva il diritto né tantomeno il do-

vere di picchiare e infierire, anche dopo l’arresto, su quei manifestanti, su quelle per-sone: stiamo parlando della polizia, quell’organo che DOVREBBE riportare ordine là dove è stato violato. E dunque dal film non emerge un tale motivo, una causa scatenante, semplicemente perché non c’è. Forse, lo spet-tatore che esce dalla sala dopo aver visto il film avrà in testa molti quesiti irrisolti a cui il film non dà risposta: oltre al perché di quanto è accaduto, si domanderà chi ha organizzato l’assalto, chi ha permesso che tutto ciò avve-nisse. E in effetti Vicari decontestualizza total-mente l’evento, con appena un accenno all’occasione per cui i manifestanti si trovava-no a Genova: il G8. Ma d’altra parte, come sostiene lo stesso regista, andrà a vedere il film chi già sa, chi già conosce il quadro gene-rale della situazione, oppure chi di quei fatti sa poco o niente e allora il film sarà lo spunto buono per informarsi sui fatti di Genova, tutti molto ben descritti negli atti processuali pub-blicamente consultabili (processig8.org). Ag-giungo infine, per cultura generale, un piccolo appunto, che compare sulla schermata nera prima dei titoli di coda: molti dei poliziotti che furono processati per le violenze e l’abuso di potere furono poi promossi a cariche superio-ri e nessuno fu condannato per il reato di tortura, non previsto dalla Costituzione italia-na. Eclatanti sono i casi di Michelangelo Four-nier, che dopo essere stato condannato a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga, e del cosiddetto “medico in mimetica”, Giacomo Toccafondi, tristemen-te noto per i fatti della caserma di Bolzaneto e impiegato oggi, dopo la prescrizione del pro-cesso, come dirigente medico nella Asl 3 Ge-novese. Il film si conclude con un flash tratto da un telegiornale, nel quale ha la parola Sil-vio Berlusconi, l’allora Presidente del Consi-glio.

C INEMA

Page 13: L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

PAGINA 13 MAGGIO 2012

di Morgana Grancia

O rmai il trailer de “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”, probabil-mente il film più atteso dell'an-no, è da qualche settimana

proiettato nelle sale cinematografiche ita-liane. La Warner Bros ne ha annunciato l'uscita per il 20 luglio negli Stati Uniti, e già, in alcuni cinema ame-ricani, sono aperte le prevendite ed è possi-bile quindi assicurarsi le file centrali della sala con mesi di antici-po. Sarà la conclusio-ne, “epica” secondo il regista Christopher Nolan, della nuova saga sull'eroe di Go-tham City, che vede come protagonista l'attore Christian Bale. Questa saga cinema-tografica fu anche tristemente nota per la partecipazione di Heath Ledger nel ruolo Joker, il quale morì poco dopo la fine delle riprese del secondo capitolo. Nel 2008, quando uscì “Il cavaliere oscuro”, furono immediati i paragoni tra Heath Ledger e Jack Nicholson, attore che ebbe lo stesso ruolo in “Batman” (film del 1989, diretto da Tim Burton). Lo stesso Nicholson volle in-tervenire riguardo il tema e criticò dura-mente la scelta del cast e il fatto che la sua opinione su l'attore che avrebbe dovuto sostenere il ruolo, che vent'anni prima gli fu tanto caro, non solo non fu considerata, ma neanche richiesta.

Quando invece fu annunciato che ne “Il cavaliere oscuro – Il ritorno” sarebbe stato introdotto il personaggio di Catwoman, subito i fan più accaniti hanno avanzato ipotesi, alcune molto fantasiose, su quale sarebbe stata l'attrice che avrebbe interpre-tato l'enigmatica donna gatto. Le voci più accreditate, seppur non ufficiali, sosteneva-no che Marion Cotillard (che già aveva reci-tato con la regia di Christopher Nolan in “Inception” nel 2010) sarebbe stata Catwo-man: perfetta, a mio parere, per il partico-lare colore degli occhi e uno sguardo, ap-punto, felino; e fui molto delusa quando la produzione annunciò che sì, Marion Cotil-lard avrebbe fatto parte del cast, ma non nel ruolo che molti speravano: il ruolo di Catwoman andò infatti alla bellissima, ma di una bellezza forse troppo comune, Anne Hathaway. Nonostante una buona dose di scetticismo, la mia fiducia nel genio di No-

lan è assoluta, e rimando ogni altra consi-derazione a fine agosto, a quando avrò visto il film.

Nel 1991, fu invece Tim Burton a dover scegliere l'attrice perfetta per interpretare il ruolo di Selina Kyle, la timida segretaria di Max Schreck, che poi si trasforma in Catwoman, per il suo “Batman - Il ritorno”.

La prima scelta cad-de su Annette Be-ning, che però do-vette rinunciare perchè incinta. Bur-ton chiamò allora Michelle Pfeiffer, a tal punto entusiasta che accetto la parte senza neanche fini-re di leggere la sce-neggiatura. Chi non era d'accordo era la capricciosa Sean Young (famosa per il ruolo di Rachael in “Blade Runner”)

che, per attirare l'attenzione e ottenere la parte al posto di Michelle Pfeiffer, si pre-sentò a sorpresa negli studi della Warner vestita da Catwoman, lamentandosi di una “Hollywood ingiusta” e indirizzando una folla di accaniti giornalisti contro un ragaz-zo, che lavorava alla promozione del film, scambiato per Tim Burton. Nonostante le proteste di Sean Young, la felina Michelle Pfeiffer dimostrò di ave-re le caratteristiche giu-ste per interpretare il personaggio e rimane memorabile nella splen-dida sequenza, tipica-mente burtoniana, della sua trasformazione nella celebre donna gatto. Dopo di lei fu però il turno di Halle Berry, che nel 2004 fu protagonista di “Catwoman” (diretto dal regista francese Pi-tof): un film che fu un fiasco, addirittura classi-ficato tra i peggiori film mai realizzati (secondo la classifica del sito “Rotten Tomatoes”). Di “Catwoman” in fondo si ricorda soltanto qualche scena in cui l'attrice, Halle Berry, è simile, più che ad una donna gatto, ad una lottatrice di wrestling.

Chi sarebbe allora la mia donna gatto idea-le? Sicuramente la affascinante Simone Simon, attrice francese che fu protagonista

del film “Cat People” (il titolo italiano è “Il bacio della pantera”), un Bmovie del 1942, ma ormai un cult imperdibile! Intrigante e misteriosa, Simone Simon riesce ad inquie-tare lo spettatore nella parte di una dise-gnatrice serba di nome Irena, colpita dalla maledizione del proprio villaggio natale. Nella prima scena del film, disegnando all'aperto, davanti alle gabbie degli animali esotici di un parco, Irena attira l'attenzione di Oliver Reed, che subito viene affascinato da quella misteriosa e carismatica donna. Tra i due nascerà una problematica storia d'amore, ostacolata dalla paura (reale?) di Irena che, una volta caduta nella trappola dell'amore, teme possa trasformarsi in una pantera, il più ammaliante e il più pericolo-so dei felini. Lontano dal cadere nel ridico-lo, il film è carico di suspance: alcune se-quenze del film sono così efficaci da aver influenzato autori di film horror contempo-ranei (la scena ambientata in piscina, e la scena dell'inseguimento notturno, per esempio, sono state riprese da Dario Ar-gento nel suo “Suspiria”). I costi non per-misero la realizzazione di effetti speciali e costumi particolari, pertanto il clima di terrore viene creato dal gioco di ombre che scatena l'immaginazione dello spetta-tore. Decisiva per la riuscita del film è ov-viamente l'interpretazione di Simone Si-mon, donna indifesa e contemporanea-mente enigmatica, molto simile, in fondo, al personaggio di Selina Kyle. Per il perso-naggio di Catwoman, quindi, penso occorra

ispirarsi alle misteriose attrici del passato: oggi più che mai c'è bisogno di un perso-naggio che non sia solo una donna sexy in un costume di pelle nera, ma una donna forte in tutti i sensi. Sarebbe possibile oggi, come fece Simone Simon nel 1942, trovare un'attrice in grado di sembrare un gatto selvatico con un solo sguardo? Aspetto con ansia quest'estate: come se la caverà Anne Hathaway?

Catwomen

C INEMA

Page 14: L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

ANNO VI — NUMERO VI PAGINA 14

di Anna Quattrocchi

Romano&Sapienza feat. Rodriguez — Tacatà

Aaah ahhh… O yeah, si.

De nuova… De Rrrrodriguez party.

Tacatà.

Tu sabe que es il Tacatà?

Te gusta il Tacatà?

A me me gusta cuando la mamita hasta il Tacatà

Atacatàbrò!

Taca mamasita Tacatà (x8)

Mira me lo disse mi Tacatà.

Que esta la fiesta Tacatà.

La gente bailando il Tacatà, tu mondo gridan-do Tacatà.

Suona il volume de Tacatà.

Muovi tuo culito Tacatà, tambien il bacito. Tacatà.

Romano & Sapienza Tacatà.

Oh yeah, para la gente que le gusta el Tacatà, ahora digo Atacabrò, ataca yo que no es mi tambien.

La gente bailando et tu bla bla bla.

Que es y ataca yo, que es battaglià. Le tette muchacho, yo vuelta Tacatà.

Que todos gusta ai mama.

Inventa una cosa nueva: la house.

Taca mamasita Tacatà (x8)

Mira mi lo disse mi Tacatà.

Que esta la fiesta Tacatà.

La gente bailando il Tacatà, tu mondo gridan-do Tacatà.

Suona il volume de Tacatà.

Muovi tuo culito Tacatà. Tambien il bacito. Tacatà.

Que esta la fiesta Tacatà.

Está criticando mi música buena.

Yo soy candela, tu sabe yo soy el rey de la mena.

Uela muchaco, Tu sabe yo soy candela, tu sabe yo soy el rey de la nena.

ANIMI RELAXATIO

Romanzi raccolti da Jacopo Malatesta

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MAGGIO 2012 PAGINA 15

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ORIZZONTALI: 1. Improvvisamente – 13. L’ultimo dei gioielli della Apple – 17. Insostituibili – 18. Sto arrivando … nei messaggi – 19. Organismi che vivono in assenza di ossigeno – 21. Mezzo di trasporto – 22. Si strappano quando si è innamorati – 24. Movimento islamico palestinese – 25. Suffisso medico per indicare l’apparato uditivo – 26. Terra di Ilio – 27. “Quando” si diceva così in Greco – 29. Sono pari in abate – 30. Nobile professore del nostro Liceo – 32. Fu guarito da Gesù – 35. Grande sacrificio propiziatorio – 39. Può esserlo un cittadino – 41. Lo è quella falciforme o mediterranea – 42. Quella gene-rale è causata da una bella battuta – 44. Verso di un cane – 46. Inghippo amoroso segreto – 47. Non forzuto – 48. A noi – 49. “Dove” latino – 51. Respon-sabilità Civile Auto – 52. Bagnasco ne è il presidente – 53. Gustoso succo di frutta – 55. Un ragazzo timido e silenzioso – 58. Air Force – 60. Due frequen-ze radio – 62. Di forma allungata – 63. Dio egizio – 64. A metà della cena – 65. Identità – 66. Negazione – 68. Sono doppie della cassa – 69. “Andato” in poesia – 70. Conferma ufficiale – 72. Imbarcazione allungata – 75. Uno dei sette colori dell’arcobaleno – 77. Fosse comuni tristemente rese note da Tito – 78. Esteso… nel senso – 79. Sanguinaria come una Maria di Inghilterra – 80. Tutto e… il contrario di tutto

VERTICALI: 1. Fa paura quello sospetto – 2. Locale per gli amanti del vino –3. Antico nome di Delfi – 4. Vuole avere sempre l’ultima parola – 5. Né sì né no – 6. Lago del Nord Italia – 7. La seconda festa cristiana per importanza – 8. Gironi dell’inferno dantesca – 9- Società leader nell’energia italiana – 10- Napoli – 11. Teoria geologica – 12. Un mito platonico – 13. Codice applicato sui libri di testo – 14. Fa coppia con Pam – 15. Slogan nemico delle forze pubbliche – 16. Terribile malattia degenerativa – 20. Holly calciatore (iniz.) – 22. Eterogenei – 23. Antica divinità greca – 27. Proprio adesso – 28. Non nostrani – 31. Quello burocratico in Italia è molto lungo – 28. L’ultima prova di maturità – 26. Giunone greca – 36. Il greco di Omero – 37. Avalla il potere delle mafie – 38. Alcolico leggero aromatizzato – 40- Religione a scuola – 43. Indispensabile per la produzione di energia da parte del nostro corpo – 45. Presidente russo appena rieletto – 50- Ben Affleck – 52. Schiavo della colonia – 54. Imola – 56. Nome maschile – 57. Paese d’origine – 59. Vestito elegan-te per uomini – 60. Anione inglese – 61. Si raccontano ai bambini – 64. Sesta lettera – 67. Uccello acquatico – 70. Famoso Charles cantante – 71. Citazio-ne (abbr.) – 73. Doppie in Mattia – 74. Gruppo sanguigno - 76. E’ in mezzo all’Adda

A cura di Mattia l’Enigmista Sanvito

Elisa dice: “E la miglior canzone ke ho senti-to dovrebbe esser il tormentone di tutta l'estate secondo me”

Secondo Giulio ADDIRITTURA: “bellisima meglio di ai se eu te pego di Michel Teló”

(si scatena una discus-sione feroce su chi sia più bravo a far ballare “laggente”)

Un anonimo puritano: “Questa canzone é bella ma da quel che vedo non é una canzo-ne decente. Gente che pensa che dovrebbe essere SUPER sta canzone, mah @-@ Per me é un pó troppo provocante… Poi boh ve la vedete voi è-é”

Sulla pagina del sito è abbastanza evidente che Ai Se Eu Te Pego Bla Bla Bla è stata am-

piamente superata da questo nuovo e meraviglioso successo che ascoltiamo già da un po’, nelle piazze, nei negozi, e solo nei migliori telegiornali-edizione del po-meriggio.

Ascoltate comun-que il trascinante ritmo latino del duo Roma-no&Sapienza fea-turing Rodriguez, lasciatevi incanta-re dal "Tacatà" e

rimuovete finalmente dai vostri cervelli (…il greco dovrebbe occuparli, altroché!) Ai Se Ei Fu Siccome Imm… Circa.

Anche se il singolo è uscito il 5 Gennaio mezza Italia si augura che il tormentone duri fino all’estate per poterlo ballare sulle migliori spiagge dell’Adriatico. L’altra

metà si riparerà sul Tirreno, clima soleggia-to e brezza tiepida, per seguire il meteo direttamente sui vostri cellulari e smar-tphone abbonatevi al servizio chiamando il 46%8w92:)

Se volete un’opinione diversa dalle entusia-stiche affermazioni dei blog rivolgetevi pure a me, oppure, ancora meglio, fate una cosa tipo nonciclopedia.wikia.com/wiki/Tacatà.

Ogni vostro dubbio verrà fugato, tranne uno il più terribile e enigmatico dei misteri: checcccosa significa Tacatà?

Adiòs Tacabrò, alla prossima! Tenetevi pronti a ballare sulle note del duo, ma con-servate nei recessi del vostro cuore il lonta-no ricordo di Ai Se Eu Te Prego Basta e dell’ancora più remota Danza Kuduro.

ANIMI RELAXATIO

Page 16: L'Oblò sul Cortile Maggio 2012

ANNO VI — NUMERO VI PAGINA 16 RETRO COPER TINA DI G IU LIA SCIGLIANO