Lo Zen e l’arte di andare in motocicletta - siteb.it · LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN...

8
1. Perché Zen? Il titolo è sicuramente un po’ azzardato ma quando ho deciso di scrivere questo articolo sapevo solo che non volevo compilare una lista dei possibili rischi che si pos- sono correre viaggiando in moto; il mio obiettivo era altro. Parafrasando il noto romanzo di Robert M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motociclet- ta” mi premeva evidenziare come, attraverso la guida consapevole della motocicletta, sia possibile anche un viaggio della mente. Lo Zen sostanzialmente è una pra- tica di meditazione, ovvero “una delle sei perfezioni che rendono possibile il conseguimento dell’illuminazione(Budda). Il buddismo Zen non è un tipo di pensiero, è guardare con i propri occhi, ascoltare con le proprie orecchie e riflettere senza compromessi. Il viaggio in motocicletta è un po’ come la metafora del- la vita e richiede impegno per cercare il proprio ruolo. C’è inoltre differenza tra chi viaggia sapendo come fun- ziona e reagisce il proprio mezzo e chi invece no. Tecni- ca, razionalità, pazienza, si uniscono a sensazioni, emo- zioni, intuizioni offerte dal viaggio. Nella guida della motocicletta, come nella vita, si incontrano soggetti e si- RASSEGNA DEL BITUME 76/14 69 Riassunto L’articolo che segue, poco ha a che fare con la filosofia orientale che viene utilizzata come pretesto per alcune ri- flessioni che riguardano il comportamento del motociclista in marcia e i rischi che potenzialmente corre. Barriere, manti d’asfalto, gallerie e segnaletica vengono richiamati nel testo ma in realtà il vero soggetto è l’uomo, perenne- mente alla ricerca di se stesso anche attraverso un mezzo meccanico come la motocicletta, che simboleggia la voglia di evasione e il bisogno di libertà dagli schemi culturali della società in cui vive. Summary The following article has very little to do with Eastern philosophy which is used, instead, a pretext to conduct a deep- er investigation over the biker’s performance and behavior, together with all potential threats and risks affecting his riding on the street. Barriers, asphalt pavements, tunnels and road signs are surely mentioned in the text, but the main focus is the man, constantly in search of himself even through the use of a mechanical tool such as a motorcy- cle: the symbol of his need to escape from the cultural schemes characterizing the society where he is trapped in, and his consequent aspiration for freedom. Lo Zen e l’arte di andare in motocicletta Riflessioni sulle situazioni, sul comportamento e sui rischi del motociclista in marcia Zen and the Art of Motorcycle Riding Consideration over the situations, behavior and risks affecting a biker’s ride Stefano Ravaioli SITEB

Transcript of Lo Zen e l’arte di andare in motocicletta - siteb.it · LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN...

1. Perché Zen?

Il titolo è sicuramente un po’ azzardato ma quando hodeciso di scrivere questo articolo sapevo solo che nonvolevo compilare una lista dei possibili rischi che si pos-sono correre viaggiando in moto; il mio obiettivo eraaltro. Parafrasando il noto romanzo di Robert M. Pirsig,“Lo Zen e l’arte della manutenzione della motociclet-ta” mi premeva evidenziare come, attraverso la guidaconsapevole della motocicletta, sia possibile anche unviaggio della mente. Lo Zen sostanzialmente è una pra-tica di meditazione, ovvero “una delle sei perfezioni cherendono possibile il conseguimento dell’illuminazione”(Budda). Il buddismo Zen non è un tipo di pensiero, èguardare con i propri occhi, ascoltare con le proprieorecchie e riflettere senza compromessi. Il viaggio in motocicletta è un po’ come la metafora del-la vita e richiede impegno per cercare il proprio ruolo.

C’è inoltre differenza tra chi viaggia sapendo come fun-ziona e reagisce il proprio mezzo e chi invece no. Tecni-ca, razionalità, pazienza, si uniscono a sensazioni, emo-zioni, intuizioni offerte dal viaggio. Nella guida dellamotocicletta, come nella vita, si incontrano soggetti e si-

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 4 69

Riassunto

L’articolo che segue, poco ha a che fare con la filosofia orientale che viene utilizzata come pretesto per alcune ri-flessioni che riguardano il comportamento del motociclista in marcia e i rischi che potenzialmente corre. Barriere,manti d’asfalto, gallerie e segnaletica vengono richiamati nel testo ma in realtà il vero soggetto è l’uomo, perenne-mente alla ricerca di se stesso anche attraverso un mezzo meccanico come la motocicletta, che simboleggia la vogliadi evasione e il bisogno di libertà dagli schemi culturali della società in cui vive.

Summary

The following article has very little to do with Eastern philosophy which is used, instead, a pretext to conduct a deep-er investigation over the biker’s performance and behavior, together with all potential threats and risks affecting hisriding on the street. Barriers, asphalt pavements, tunnels and road signs are surely mentioned in the text, but themain focus is the man, constantly in search of himself even through the use of a mechanical tool such as a motorcy-cle: the symbol of his need to escape from the cultural schemes characterizing the society where he is trapped in, andhis consequent aspiration for freedom.

Lo Zen e l’arte di andare in motociclettaRiflessioni sulle situazioni, sul comportamentoe sui rischi del motociclista in marcia

Zen and the Art of Motorcycle RidingConsideration over the situations, behavior and risks affecting a biker’s ride

Stefano RavaioliSITEB

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 470

tuazioni particolari e servono perizia e competenze. Civuole, inoltre, coraggio e anche capacità di improvvisa-zione, perché non tutto è programmabile o va come noivorremmo. Concetti difficili, soprattutto se espressi at-traverso un articolo tecnico dedicato alla moto.

2. Categorie

Viaggiare è sempre qualcosa di esaltante, ma viaggiare inmoto è qualcosa di speciale e molto diverso dal viaggia-re in auto. In auto il mondo scorre all’esterno dell’abita-colo; in moto ci si immerge nel paesaggio e si diventa pro-tagonisti dell’avventura. Il viaggio in moto è difficile, fa-ticoso e anche rischioso, ma il piacere del vento in facciae il senso di libertà è unico, inebriante e non semplice daspiegare a chi non ha mai vissuto tale esperienza.Occorre fare subito una prima distinzione: c’è il “motoci-clista” e c’è “l’utilizzatore di un mezzo a due ruote”. Il pri-mo è colui che decide di viaggiare consapevolmente conquel mezzo e compie una scelta ben precisa; il secondoinvece è costretto, per necessità, a viaggiare su due ruo-te, ma se potesse utilizzare un mezzo diverso, non esite-rebbe a farlo. In questa seconda categoria si trovano mi-gliaia di persone fra cui molti giovanissimi che prendonoogni giorno il motorino per andare a scuola ma anche tan-ti “meno giovani” che, muovendosi nelle grandi città, ri-sparmiano tempo per recarsi al lavoro. La “grande città”

con il suo traffico caotico è certamente il luogo più peri-coloso per chi utilizza i mezzi a due ruote e non di radosi assiste ad incidenti o a numeri di “alta acrobazia” (pas-saggi sui marciapiedi, slalom fra le auto, attraversamenticon il semaforo rosso, ecc.). C’è anche una terza categoria, quella del “motociclistaper caso”, ovvero quella categoria in cui si ritrovano tut-ti coloro che possiedono una moto perché è di moda eperché ce l’hanno gli amici. Il “motociclista per caso”non ha una passione vera, non usa la moto per neces-sità, ma pur in possesso di una attrezzatura perfetta, co-stosa e all’avanguardia, utilizza il mezzo per andare albar o per fare percorsi molto brevi. Alla prima vera espe-rienza di viaggio, generalmente si stanca e subito do-po, la moto, con relativo corredo, è in vendita. Pazien-za se poi si smette di essere “cool”!Infine c’è il motociclista con la sindrome “Valentino Ros-si”. Costui scambia la strada per la pista e si esalta adogni curva e ad ogni sorpasso, mettendo a repentagliola vita propria e quella altrui. Meglio non incontrarlo enel caso, stargli alla larga. Valentino Rossi è un asso delmotomondiale, un fenomeno come pochi, gli altri no!

3. Il mito e la meta

Il soggetto di questo articolo è, invece, il motociclistaappassionato del proprio mezzo, che tratta con il mas-simo rispetto, consapevole dei suoi limiti ma anche del-le sue prestazioni. Non cambia la moto perché è passa-ta di moda o perché esiste un nuovo modello con ca-ratteristiche superiori; al contrario, giornalmente co-struisce col proprio mezzo un rapporto di “reciproca co-noscenza”, quasi umano. Il motociclista e la sua motosono un “tutt’uno”; un po’ come il cavaliere errante eil suo cavallo; un binomio perfetto che richiama impre-se epiche e sconfina nel mito. Non a caso, il motocicli-sta è chiamato anche “centauro” ovvero un “semidio”mezzo uomo e mezzo cavallo.Come il cavaliere errante affrontava la vita seguendoun codice d’onore, così si comporta anche il motocicli-sta appassionato. E ciò non significa solo seguire allalettera il codice della strada, ma qualcosa di più! Non èimportante la meta ma il viaggio e come lo si affronta.La meta è il punto di arrivo, la conclusione del viaggio.

LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN MOTOCICLETTA

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 4 71

sentano qualche problema dimanutenzione. Al di la di comesi imposta una curva o come siaffronta un tornate, i problemicollegati alla perfetta manuten-zione del manto stradale sonotanti, soprattutto in tempi diffi-cili come quelli che stiamo vi-vendo oggi.

5. Il manto d’asfalto

Situazioni di pericolo si verifica-no nei seguenti casi:

Presenza di brecciolino, sabbia e polvere sull’asfaltospecialmente in prossimità di una curva.

Asfalto troppo liscio e levigato. Sconnessione del manto con fessurazioni e buche più

o meno profonde. Asfalto bagnato causa pioggia che rende scivoloso e

viscido il manto stradale. Asfalto appena fresato o con solchi eccessivamente

profondi derivanti da trattamenti meccanici di irru-vidimento.

Cunette e dossi non segnalati. Tratti di strada con manto a caratteristiche alterna-

te; asfalto, sampietrini, strada bianca ecc. Presenza di ostacoli improvvisi sull’asfalto. Presenza di binari del tram longitudinali e trasversali.

Ognuna di queste situazioni, o anche una combinazio-ne di esse, costituisce un problema e genera un rischioche l’uomo su due ruote, corre in maniera assai più ac-centuata rispetto a quello che viaggia comodamente alriparo di una scocca d’acciaio e su quattro stabili ruote.

6. Codice 20 03 03

Tra le situazioni di pericolo sopra indicate, analizziamosolo la prima ma inquadriamola in un’ottica particola-re che chiamiamo Codice CER 20 03 03. Cos’è? E’ un co-dice europeo che identifica i rifiuti presenti sul pianostradale! Si tratta di rifiuti solidi urbani non pericolosi

Il viaggio in moto, invece, è tutto! Difficoltà, problemi,preoccupazioni, pensieri, calcoli e riflessioni, ma anchesoddisfazioni: per aver superato un passaggio critico,schivato un temporale improvviso, sopportato il fred-do, il caldo, la fatica e la solitudine. Ci sono i momentibelli, immersi nella natura, ma anche i momenti diffici-li che generano ansia: la strada pericolosa, la minacciadi pioggia, la consapevolezza di non avere abbastanzacarburante, il buio imminente o il pensiero di un proble-ma meccanico sempre possibile. Il motociclista è sempreall’erta! Occhi, orecchie, mani e piedi sono concentratisulla guida e sempre pronti ad intervenire. Ma quali so-no i pensieri ricorrenti di un motociclista in marcia e qua-li situazioni critiche si presentano lungo la strada?

4. Tipologia di strada

Il vero motociclista non ama l’autostrada; la usa solo perabbreviare il percorso o per sfogare, per qualche tem-po, i cavalli del suo motore. L’autostrada è rettilinea,piatta e monotona; il motociclista, se può, la evita. Ilpiacere di guidare una moto si esalta infatti su stradein curva, possibilmente di montagna, con tanti sali-scen-di e poco traffico. Quindi, le strade del mototurismo so-no le strade provinciali di montagna; i passi alpini, lestrade di mezzacosta che costeggiano un lago o il ma-re. Sono in genere le meno trafficate ma anche quellecon la carreggiata più stretta e spesso quelle che pre-

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 472

soggetti però ad una severa normativa. Tra questi rica-dono sia il sale antighiaccio che il pietrischetto utilizza-ti durante l’inverno per scongiurare il rischio neve. Nel-le zone di montagna in genere, ma in particolare nellazona alpina, la neve e il ghiaccio sono un problema con-creto per molti mesi dell’anno. La pratica più diffusa permantenere funzionale e fruibile una strada anche d’in-verno è quella di spargere il sale in caso di neve. Le Pro-vincie Autonome di Trento e Bolzano, per esempio, du-rante l’inverno distribuiscono, per ogni unità di km, dal-le 3 alle 4 tonnellate di prodotti antighiaccio. Non tut-to il materiale però si scioglie o si disperde. Ai lati della strada, si formano zone di accumulo di taliprodotti e fintanto che le macchine “spazzatrici” nonintervengono, questi possono sempre tornare ad inva-dere la carreggiata. A primavera, nelle prime domeniche di sole, le stradedi montagna non più gelate, sono un forte richiamo pergli appassionati della moto ma la presenza di pietri-schetto e di sali non disciolti costituisce un grave rischioper pilota e passeggero. Una traiettoria anche di pocoerrata può portare il mezzo sul ghiaietto e la caduta èinevitabile! Questo è il rischio CER 20 03 03; è molto ele-vato ma solo un motociclista esperto che conosce l’am-

biente e ha sperimentato il rischio sotto le sue ruote,può prevenire.

7. Le barriere

Le barriere longitudinali, tecnicamente definite “siste-mi di ritenuta”, furono introdotte in Italia circa trentaanni fa ed improvvisamente per il motociclista, anchele larghe carreggiate delle autostrade diventarono stret-ti e pericolosi corridoi. Non dimenticherò mai la sensazione che provai allor-quando mi trovai per la prima volta in corsia di sorpas-so con la barriera “new jersey” in calcestruzzo, che se-parava le carreggiate. Effetto corridoio! Mi sembravadi correre all’interno di un tunnel. Non vedevo l’ora diportare a termine il sorpasso. Il muro sulla sinistra, vici-nissimo, provocava sensazioni di pericolo e la carreg-giata ad alta velocità, sembrava strettissima. Non cam-bia la sensazione se le barriere sono in acciaio a doppiao a tripla onda!Anzi il pericolo è maggiore per via dei numerosi palet-ti che le sorreggono. Solo di recente, grazie al moto-mondiale, è stata lanciata una campagna di sensibiliz-

LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN MOTOCICLETTA

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 4 73

zazione su questo argomento! Per il motociclista, la stra-da deve essere larga e aperta ai lati per garantire ampispazi di fuga ma ciò non sempre è possibile!

8. Visibilità notturna e diurna

Se viaggiare di notte è sempre un problema, su due ruo-te lo è ancora di più! Le moto hanno un solo faro cheper quanto potente non riesce a concentrare sull’asfal-to il medesimo fascio di luce di un’auto che ne ha due!

Le strade di montagna con curve strette sono un gros-so problema di notte soprattutto per chi ci transita perla prima volta. La prudenza è d’obbligo e quindi alme-no la striscia bianca laterale e la presenza dei catari-frangenti sul bordo strada deve essere garantita. A vol-te i fari sono montati su un cupolino fisso rigido e soli-dale con la carenatura per cui il fascio di luce arriva unattimo dopo che si è impostata la curva. Problemi di visibilità si hanno anche di giorno quandosi entra in velocità all’interno di una galleria. Una mo-to in galleria, corre anche il rischio di non essere vistadagli altri utenti della strada, perché l’occhio impiegaun po’ di tempo per adattarsi al buio. A volte invece so-no le auto che arrivando da dietro all’improvviso, noncalcolano la diversa velocità di crociera di una moto efrenano al limite del tamponamento costringendo il mo-tociclista ad un guizzo laterale. A volte invece i proble-mi sono opposti ovvero causati dai veicoli che precedo-no che avanzando lentamente, non pensano di essere

superati da una moto che comunque non vedono.Di giorno e di notte, il faro sempre acceso rende più vi-sibile la moto ma non garantisce mai la piena sicurezza.Infine c’è il rischio dell’abbagliamento solare che colpi-sce il motociclista in situazioni improvvise e che non èaffatto facile eliminare nemmeno con la visierina para-sole sporgente sul casco.

9. Segnaletica orizzontale e verticale

Anche la segnaletica può costituire un problema; siaquella verticale che quella orizzontale. Il primo pro-blema della segnaletica orizzontale è che non devemancare. Se manca la linea di mezzeria, o quella late-rale di bordo strada, il motociclista ha difficoltà ad im-postare la sua traiettoria. Di notte poi, è un vero in-cubo specie se la strada è in curva. La segnaletica oriz-zontale aiuta molto.La segnaletica orizzontale però può costituire ancheun grosso problema! La vernice bianca, ricopre gli iner-ti riducendo le asperità tipiche del manto stradale, fun-zionali al contatto col pneumatico e quindi favoriscela perdita di aderenza. L’attrito pneumatico/strada in-fatti consente il controllo della traiettoria e della fre-nata. Quando piove, la superficie verniciata di bianco

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 474

o di giallo diventa liscia e scivolosa e una frenata bru-sca in quel punto innesca il blocco delle ruote e la sban-data è inevitabile. Esistono in verità vernici stradali ca-paci di contrastare il fenomeno ma nessun capitolatole prescrive.Riguardo la segnaletica orizzontale c’è da segnalareil curioso caso della “mancata rimozione” della stes-sa. Si verifica ogni volta che occorre modificarla o per-ché il cantiere è terminato (si passa dalla striscia gial-la a quella bianca) o perché l’ente proprietario dellastrada decide di cambiare le modalità di traffico e peresempio inverte il senso di marcia o altro ancora. Ognivolta che si effettua un cambiamento a livello di se-gnaletica orizzontale, quella precedente va rimossa.Rimuovere significa “asportare”. Molto spesso però siassiste ad una cancellazione fittizia della segnaleticapre-esistente mediante ricoprimento con altra verni-ce nera o peggio ancora con una mano di bitume.

Questo modo di operare è pericolosissimo ancorchénon conforme alle regole. La vernice nera tende in-fatti a consumarsi rapidamente lasciando riaffiorarequella bianca e sull’asfalto, specie di notte, si creanolinee e indicazioni incomprensibili. La soluzione ditrattamento con il bitume è ancora più rischiosa per-ché oltre a “non coprire”, funge da lubrificante sot-to le ruote.La segnaletica verticale invece diventa un problemasoprattutto quando ce n’è troppa. Un eccesso di car-telli e segnali stradali confonde chi guida. Il motoci-clista è costretto a volte a rallentare e a fermarsi perconsultare la mappa e riflettere. Questa operazione èpoco agevole e costituisce una fonte di pericolo per sée per gli altri. Un altro problema è la selva di pali peril sostegno dei cartelli. Sono ostacoli fissi che, come ipaletti di sostegno dei guard-rail, possono causarebrutte conseguenze in caso di impatto.

LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN MOTOCICLETTA

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 4 75

10. Il motoraduno

Condividere le cose con altri è più bello; per questo esi-stono i motoraduni. Sono momenti conviviali in cui uomini e donne animatidalle stesse passioni si ritrovano senza essersi mai cono-sciuti prima, in luoghi ben precisi scelti dal moto club. Su-bito si diventa grandi amici. L’amicizia si cementa a tavo-la, davanti ad un bicchiere di birra raccontandosi le reci-proche esperienze. Lo spirito del motoraduno si esalta eraggiunge il suo apice durante la “parata” ovvero la sfila-ta di tutte le moto che hanno aderito all’evento. La para-ta costituisce una delle situazioni più pericolose che ci sia-no. Viaggiare in gruppo, tutti insieme, è assai difficile ecomporta una grande abilità nel controllo del mezzo e nel-la valutazione deglispazi di manovra.Quaranta, cinquantamoto su una stradasono un problemaper tutti, anche perchi viaggia in direzio-ne opposta. Non tut-ti guidano allo stessomodo, anche a bassavelocità, la situazioneè pericolosa. Gli or-ganizzatori e coloroche guidano la para-ta, hanno una gran-de responsabilità inquel momento.

11. Il passeggero

Viaggiare in due comporta un modo diverso di condur-re la moto. Se a sedici anni sei felice perché senti lei ap-poggiata sulla schiena e non ti importa di niente altro,a cinquanta rifletti sulle difficoltà di sollevare la motodopo una piega sempre meno “al limite”. Il passegge-ro è un carico notevole che incide sull’assetto e sul com-portamento del mezzo. Inoltre il passeggero deve sa-persi muovere esattamente come il pilota, assecondan-dolo in tutti i movimenti. A parità di velocità, il peso tra-

sportato è maggiore e la diversa “quantità di moto” siavverte sui freni. Viaggiare in due è bellissimo ma oc-corre che il compagno di viaggio sia perfetto altrimen-ti può essere un problema! Meglio soli! Il motociclistavero, in fondo, è un tipo solitario che sa apprezzare an-che i momenti di solitudine! La vera sfida infatti è per-sonale, è una lotta contro se stessi.

12. Cadendo s’impara

Triste da ammettere ma purtroppo è così! Non si cono-sce il proprio mezzo finché non lo si spinge ai limiti estre-mi e ciò capita più frequentemente se si viaggia in com-pagnia di altre moto. La voglia di competizione tra ami-ci, porta spesso a correre rischi maggiori. Posso inoltreconfermare che cadere dalla moto a cinquanta anni famolto più male che a venti. Anche perché ormai si è con-vinti di sapere tutto e ci si sente eccessivamente sicuri disé. Fondamentale diventa quindi il casco e l’abbiglia-mento! Lo scudo in plastica dura che protegge la co-lonna vertebrale, dopo il casco, è certamente l’accesso-rio più importante. Guanti sulle mani e scarponcini rigi-di ai piedi sono indispensabili. I tessuti in “cordura” conle protezioni nei posti giusti, possono offrire grande con-tributo in caso di caduta sull’asfalto. Ma attenzione, l’at-trezzatura deve sempre fornire a chi la indossa, la mas-sima libertà di movimento. Se non riesci a girare la te-sta perché il giaccone strige troppo sul collo, non vedibene e corri un rischio.

13. Il comportamento altrui

L’ultima considerazione riguarda il comportamento deglialtri utenti della strada. Purtroppo non basta conoscerebene il proprio mezzo e guidarlo con la massima atten-zione! Sulla strada viaggiano in tanti e il mezzo a due ruo-te è in assoluto quello meno sicuro. Chi non ha mai gui-dato una moto, difficilmente può pensare che se da unacerta curva non può passare un auto, può però sbucareuna moto. Questo mancato pensiero può indurre il con-ducente di un qualsiasi mezzo che viaggia in direzione op-posta a prendere una decisione azzardata, magari ta-gliando la curva e a commettere un errore fatale.

R A S S E G N A D E L B I T U M E 7 6 / 1 476

E’ innegabile che i rischi per il motociclista collegati al com-portamento altrui sono tantissimi e impossibili da elen-care. Alcuni però sono frequenti e possono essere preve-nuti. Esempio, mai superare automobili o veicoli che pro-cedono lentamente in colonna se c’è la possibilità di unasvolta o di una inversione di marcia.Mai correre rasente ad una fila di auto parcheggiatelungo linea; capita sempre che qualcuno apra lo spor-tello senza guardare.Mantenere sempre la distanza di sicurezza dal veicoloche ci precede soprattutto se trasporta un qualsiasi ca-rico, perché può sempre cambiare traiettoria all’im-provviso e perdere il carico. Fatalità! Forse, che però il pensiero Zen non contempla.L’individuo pensante è il principale artefice del proprioKarma. In qualche modo deve immedesimarsi negli al-tri con cui condivide l’ambiente e prevederne anche ilpossibile comportamento azzardato. Nel pensiero bud-dista, la fatalità assume un altro significato e così comela conosciamo noi, non è ammessa!

Massima concentrazione e guida prudente sono pa-role chiave per viaggiare in moto, ma non sempre so-no sufficienti.

14. Note autobiografiche

Sono nato in Romagna, la terra dei “mutur”, verso la fi-ne degli anni ’50. Era una Italia diversa, dura, ma anco-ra piena di fiducia e i veicoli a due ruote costituivano lamaggioranza dei mezzi di trasporto. Da mio padre hoereditato la passione per le moto. Era un uomo sempli-ce, che trascorreva il suo tempo libero nel piccolo gara-ge di casa a riparare e restaurare biciclette, motorini emotociclette, raccattati chissà dove. Erano decine: Gile-ra, Moto Guzzi, Moto Morini, NSU ma anche Ducati, Mo-tom, Mosquito, Bianchi e Lambretta. Li ricordo perfet-tamente: quasi tutti di colore rosso (rosso fuoco, rossomattone, rosso bordeaux), con un grosso fanale ante-riore su cui si inseriva la chiave d’accensione, con para-fanghi in lamiera stampata molto avvolgenti che na-scondevano quasi del tutto le esili ruote a raggi. Piut-tosto “bassi”, rispetto agli standard odierni, stavano al-lineati lungo le pareti di quel garage in attesa di tor-nare a ruggire. Mi piaceva osservare mio padre intentoa maneggiare con destrezza chiavi inglesi e cacciaviti,stargli vicino e passargli gli attrezzi. Era per me unagrande gioia quando mi coinvolgeva per verificare l’ac-censione di una candela mentre lui abbassava la pedi-vella della messa in moto. Sera dopo sera, nel garage il-luminato da una lampadina che penzolava dal soffitto,i mille pezzi sparsi sul banco di lavoro o raccolti in sec-chi di latta, piano piano, si ricomponevano e il “mostro”riprendeva forma. Il rombo assordante del motore pri-vo di silenziatore, era il segnale più atteso! La macchi-na era “viva” e funzionava. La domenica mattina, d’estate o d’inverno, l’avremmoprovata insieme sulla strada, con il vento in faccia, il bri-vido della velocità e quella carica di adrenalina che è ilsale della vita. Poi un giorno se n’è andato, lasciandomi per sempre isuoi “trofei”, l’officina, gli attrezzi di lavoro e soprat-tutto le sue passioni per la meccanica, per i viaggi e lavelocità. Chissà se Budda dimora davvero negli ingra-naggi del motore! �

LO ZEN E L’ARTE DI ANDARE IN MOTOCICLETTA