LO SVILUPPO UMANO RAPPORTO 2007-2008hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2007-8-italian.pdf ·...

443
LO SVILUPPO UMANO RAPPORTO 2007-2008

Transcript of LO SVILUPPO UMANO RAPPORTO 2007-2008hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2007-8-italian.pdf ·...

  • LO SVILUPPO UMANO RAPPORTO 2007-2008

  • L’immagine della copertina esprime il concetto di un pianeta in pericolo. Inconfutabili dati scientifici confermano ora che i cambiamenti climatici indotti dall’uomo stanno spingendo

    il mondo verso la catastrofe ecologica, con impatti potenzialmente irreversibili sullo sviluppo umano. Per milioni di persone tra le più povere del mondo, i cambiamenti climatici non sono uno scenario futuro: stanno già minando alle basi i loro sforzi per uscire dalla povertà, e stanno acutizzando la loro vulnerabilità. Anche le generazioni future sono a rischio: dovranno convivere con conseguenze potenzialmente catastrofiche se si proseguirà nella direzione attuale. Gli argomenti a favore di una risposta seria e urgente si fondano su un impegno a sostenere la giustizia sociale, i diritti umani e la solidarietà umana in tutti i paesi e per tutte le generazioni. Il nostro futuro non è predeterminato. La lotta contro i cambiamenti climatici si può vincere, ma solo se le persone di tutto il mondo chiederanno di agire e se i governi elaboreranno soluzioni collettive a una minaccia comune.

  • LO SVILUPPO UMANO RAPPORTO 2007-200818. RESISTERE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

  • titolo originale: Human Development Report 2007/2008 Fighting climate change: Human solidarity in a divided world

    coordinamento della traduzione: Paola Marangonsupervisione della traduzione: Fabio Galimberti (insieme al coordinamento della supervisione) e Emilia Benghitraduzione dall’ inglese: Ilaria Correndo (nota tecnica 2 e tabelle degli indicatori), Paola Marangon (Introduzione, capitolo 1 [testo, riquadri e contributi speciali], nota tecnica 1, annessi statistici e quanto non attribuito ad altre traduttrici), Lucia Panzieri (Sintesi, riquadri e contributi speciali dei capitoli 2 e 4), Anna Sterpone (testo del capitolo 3), Beatrice Tallon (testo del capitolo 4), Daniela Venditti (testo del capitolo 2, riquadri e contributi speciali del capitolo 3)Il Rapporto sullo sviluppo umano è pubblicato originariamente in tutte le lingue ufficiali delle Nazioni Unite dallo United Nations Development Programme. Lo United Nations Development Programme non garantisce perciò l’accuratezza della traduzione.

    progetto di copertina di Tiziana di Molfetta con immagine di undp, realizzato da Eicon, Torinoimpaginazione: Lexis, Torinostampa interno e copertina: Legoprint, Lavis (Trento)L’ interno del volume è stampato su carta Cyclus offset riciclata al 100% e priva di cloro, prodotta dalla cartiera danese Dalum Papir, un produttore che ha ottenuto le certificazioni di qualità di im-patto ambientale dei processi produttivi Cigno Nordico, Angelo Blu e il Fiore europeo: http://www.dalumpapir.dkGli inchiostri usati sono quelli a base vegetale Novastar F908 BIO della Flint Group fabbricati in uno stabilimento dotato di un sistema di gestione che assicura il controllo di tutti gli impatti ambien-tali derivanti dai cicli produttivi: http://www.flintgrp.com

    La legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d’autore, modificata dalla legge 18 agosto 2000 n. 248, tutela la proprietà intellettuale e i diritti connessi al suo esercizio. Senza autorizzazione sono vietate la riproduzione e l’archiviazione, anche parziali e anche per uso didattico, con qualsiasi mezzo, sia del contenuto di quest’opera sia della forma editoriale con la quale essa è pubblicata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fa-scicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economi-co o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da aidro, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

    © 2007 by the United Nations Development Programme

    prima edizione italiana, novembre 2007

    per informazioni sui diritti o acquisti di copie rivolgersi a:Rosenberg & Sellier, via Andrea Doria 14, 10123 Torinowww.rosenbergesellier.itfax + 39 011 812 78 08tel + 39 011 812 78 20

    eventuali aggiornamenti ed errata corrige dopo la stampa del Rapporto sono visibili sul sito web http://hdr.undp.org

    isbn 978-88-7885-015-6

    Avvertenza dell’editoreQuesta edizione italiana include il testo e la documentazione completi del Rapporto pubblicato nella corrispondente edizione inglese. Per le tabelle degli «Indicatori di sviluppo umano» si legga con attenzione l’Avvertenza a p. 278.

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 �

    Introduzione

    I cambiamenti climatici sono ora un fatto scientificamente accertato. Non è facile pre-vedere con esattezza l’impatto delle emissioni di gas serra e vi è grande incertezza in ambito scientifico per quanto riguarda la capacità di previsione. Tuttavia, ora disponiamo di cono-scenze sufficienti per riconoscere che sussistono rischi enormi, potenzialmente catastrofici, tra cui lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Groenlandia e nell’Antartide occidentale (che sommergerebbe molti paesi) e variazioni nel flusso della corrente del Golfo tali da provo-care drastici mutamenti del clima.

    La prudenza e l’attenzione al futuro dei nostri figli e dei figli dei nostri figli ci impone di agire subito. Si tratta di una forma di assicu-razione contro perdite potenzialmente ingenti. Il fatto di non conoscere quante probabilità abbiamo di subire tali perdite o quale sarà la loro esatta distribuzione nel tempo non è un motivo per non stipulare un’assicurazione. Sappiamo che il pericolo esiste. Sappiamo che i danni causati dalle emissioni di gas serra sa-ranno irreversibili a lungo. Sappiamo che ogni giorno di inazione fa aumentare tali danni.

    Anche se vivessimo in un mondo in cui tutte le persone avessero lo stesso tenore di vita e fossero colpite allo stesso modo dai cambia-

    menti climatici, dovremmo comunque agire. Se il mondo fosse un solo paese e i suoi citta-dini avessero tutti livelli di reddito analoghi e fossero tutti più o meno esposti agli stessi effetti dei cambiamenti climatici, la minaccia del riscaldamento globale potrebbe comunque arrecare danni sostanziali al benessere umano e alla prosperità entro la fine di questo secolo.

    In realtà, il mondo è eterogeneo: le persone hanno redditi e ricchezze disuguali e i cambia-menti climatici colpiranno le regioni in modo molto diverso. Questo, a nostro parere, è il motivo più persuasivo per intervenire rapida-mente. I cambiamenti climatici cominciano già a colpire alcune tra le comunità più povere e vulnerabili del mondo. Un aumento globale della temperatura media di 3°C (rispetto alle temperature preindustriali) nei prossimi de-cenni produrrebbe un insieme di incrementi localizzati, che in alcuni luoghi potrebbero raggiungere il doppio di tale cifra. La maggiore frequenza di periodi di siccità, eventi meteo-rologici estremi e tempeste tropicali e l’in-nalzamento del livello dei mari eserciteranno effetti su vaste aree dell’Africa e su numerosi piccoli stati insulari e zone costiere nell’arco della nostra vita. In termini di prodotto in-terno lordo (pil) mondiale aggregato, questi

    Ciò che facciamo oggi riguardo ai cambiamenti climatici avrà conseguenze che si protrarranno per un secolo o più. La parte di tali cambiamenti dovuta alle emissio-ni di gas a effetto serra non sarà reversibile in un futuro prevedibile. I gas serra che libereremo nell’atmosfera nel 2008 vi rimarranno fino al 2108 e oltre. Le scelte di oggi, dunque, influiranno non solo sulla nostra vita, ma ancora di più sulla vita dei nostri figli e nipoti. È questo aspetto che rende i cambiamenti climatici diversi e più complicati di altre sfide politiche.

  • � rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    effetti a breve termine potrebbero non essere particolarmente incisivi, ma per alcune tra le persone più povere del mondo, le conseguenze potrebbero essere apocalittiche.

    I cambiamenti climatici rappresentano una gravissima minaccia per lo sviluppo umano a lungo termine e in alcune aree minano già alle basi gli sforzi della comunità internazionale volti a ridurre la povertà estrema.

    Conflitti violenti, risorse insufficienti, mancanza di coordinamento e politiche inade-guate continuano a rallentare i progressi nello sviluppo, soprattutto in Africa. Nondimeno, in molti paesi si sono registrati progressi reali. Per esempio, il Vietnam è riuscito a dimezzare la povertà e a raggiungere l’istruzione prima-ria universale molto prima della scadenza del 2015. Anche il Mozambico è riuscito a ridurre sensibilmente la povertà e ad aumentare la sco-larità, oltre a ridurre il tasso di mortalità in-fantile e materna.

    Questi progressi nel campo dello sviluppo saranno sempre più ostacolati dai cambia-menti climatici. Dobbiamo quindi considerare la lotta contro la povertà e la lotta contro gli effetti dei cambiamenti climatici come sforzi correlati, che devono rafforzarsi a vicenda e devono essere entrambi coronati da successo. Per ottenere questo risultato, saranno necessa-rie consistenti misure di adattamento, perché i cambiamenti climatici incideranno in modo significativo sui paesi più poveri, anche se si in-traprendono immediatamente seri sforzi volti a ridurre le emissioni. Ogni paese svilupperà il proprio piano di adattamento, ma sarà ne-cessaria l’assistenza della comunità internazio-nale.

    In risposta a tale sfida e alla richiesta ur-gente da parte dei leader dei paesi in via di svi-luppo, in particolare nell’Africa subsahariana, il Programma delle Nazioni Unite per lo svi-luppo (undp) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (unep) hanno lanciato una cooperazione in occasione dell’ultima convenzione sul clima a Nairobi, nel novem-bre 2006. Le due agenzie si sono impegnate a offrire assistenza per ridurre la vulnerabilità e rafforzare la capacità dei paesi in via di svi-luppo di trarre maggiori vantaggi dal mecca-

    nismo di sviluppo pulito (msp) in settori quali lo sviluppo di energie rinnovabili e più pulite, il climate proofing (immunizzazione dagli ef-fetti del clima) e i programmi di sostituzione dei combustibili.

    Questa cooperazione, che permetterà al sistema delle Nazioni Unite di intervenire con rapidità in risposta alle esigenze dei go-verni che tentano di incorporare gli impatti dei cambiamenti climatici nelle loro decisioni di investimento, costituisce una prova vivente della determinazione delle Nazioni Unite ad «agire insieme» in risposta alla sfida dei cam-biamenti climatici. Per esempio, possiamo aiu-tare i paesi a migliorare le infrastrutture esi-stenti, per permettere alle persone di far fronte all’intensificarsi delle inondazioni e a eventi meteorologici estremi più gravi e frequenti. Si potrebbero inoltre sviluppare colture più resi-stenti alle condizioni atmosferiche.

    Pur promuovendo l’adattamento, è neces-sario cominciare a ridurre le emissioni e adot-tare altre misure di mitigazione, in modo che i mutamenti irreversibili già in atto non si am-plifichino ancora di più nel corso dei prossimi decenni. Se la mitigazione non comincia seria-mente sin d’ora, tra 20 o 30 anni il costo del-l’adattamento diventerà proibitivo per i paesi più poveri.

    La stabilizzazione delle emissioni di gas serra al fine di contenere i cambiamenti cli-matici è un’utile polizza di assicurazione per il mondo nel suo insieme, compresi i paesi più ricchi, ed è un elemento essenziale della nostra lotta globale contro la povertà e a favore degli Obiettivi di sviluppo del millennio (osm). Questa duplice finalità delle politiche in ma-teria di clima dovrebbe renderle prioritarie per i leader di tutto il mondo.

    Tuttavia, dopo aver constatato la necessità di contenere i cambiamenti climatici futuri e di aiutare i più vulnerabili ad adattarsi all’ine-vitabile, si deve procedere all’individuazione del tipo di politiche che ci aiuteranno a otte-nere i risultati desiderati.

    Si possono fare diverse osservazioni preli-minari. In primo luogo, i cambiamenti neces-sari non sono marginali, considerato il percorso che il mondo sta seguendo. Abbiamo bisogno

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 7

    di grandi mutamenti e di politiche nuove e ambiziose. In secondo luogo, i costi a breve termine saranno considerevoli. Dobbiamo in-vestire nella mitigazione dei cambiamenti cli-matici. Si otterranno grandi benefici netti nel corso del tempo, ma all’inizio, come per ogni investimento, dovremo essere disposti a soste-nerne i costi. Sarà una sfida per la governance democratica: i sistemi politici dovranno accet-tare di farsi carico dei costi iniziali per racco-gliere frutti nel lungo periodo. La leadership dovrà guardare oltre le scadenze elettorali.

    Non siamo troppo pessimisti. Nella lotta contro i tassi di inflazione molto più elevati del lontano passato, le democrazie risposero con istituzioni, quali banche centrali più au-tonome, e impegni strategici preliminari che permisero di ottenere livelli di inflazione di gran lunga inferiori, nonostante le tentazioni a breve termine di fare ricorso al conio. La stessa cosa deve accadere per quanto riguarda il clima e l’ambiente: le società dovranno as-sumere impegni preliminari e rinunciare alla gratificazione a breve termine nell’interesse del benessere a lungo termine.

    Vorremmo aggiungere che, se la transi-zione verso sistemi energetici e stili di vita che proteggano il clima avrà un costo a breve ter-mine, i vantaggi economici potrebbero andare al di là dei risultati prodotti dalla stabilizza-zione della temperatura. Tali vantaggi potreb-bero realizzarsi attraverso meccanismi keyne-siani e schumpeteriani, con nuovi incentivi a favore di investimenti cospicui, che stimolino la domanda generale e la distruzione creativa e favoriscano l’innovazione e il miglioramento della produttività in un vasto insieme di set-tori. È impossibile prevedere l’entità di questi effetti in termini quantitativi, ma, tenendone conto, si potrebbero ottenere migliori rapporti costi-benefici per politiche climatiche valide.

    Nell’elaborare questo tipo di politiche si dovrà prestare attenzione ai pericoli insiti nel fare eccessivo assegnamento sui controlli burocratici. La leadership dei governi sarà es-senziale per correggere le enormi esternalità rappresentate dai cambiamenti climatici, ma si dovranno mettere in funzione anche i mer-cati e i prezzi, affinché le decisioni del settore

    privato possano evolversi in modo più natu-rale verso decisioni ottimali in materia di in-vestimenti e produzione. Si deve attribuire un prezzo all’anidride carbonica e ai gas equiva-lenti, in modo che il loro impiego rifletta il vero costo sociale che comporta. Questa do-vrebbe essere l’essenza della politica di mi-tigazione. Il mondo ha impiegato decenni a eliminare le restrizioni quantitative in molti settori, non ultimo il commercio estero. Non è il momento di tornare a un sistema di quote e controlli burocratici sproporzionati a causa dei cambiamenti climatici. Gli obiettivi in materia di emissioni e di efficienza energetica hanno un ruolo importante da svolgere, ma è il sistema dei prezzi che dovrà agevolare il con-seguimento dei nostri fini. Ciò richiederà un dialogo tra economisti, climatologi e ambien-talisti molto più profondo di quello condotto sinora. Ci auguriamo che il presente Rapporto sullo sviluppo umano possa contribuire a tale dialogo.

    Le sfide strategiche più difficili riguar-deranno la distribuzione. Esistono rischi ca-tastrofici potenziali per tutti, ma, a breve e medio termine, la distribuzione dei costi e dei benefici sarà tutt’altro che omogenea. La sfida distributiva è resa particolarmente complicata dal fatto che i maggiori responsabili del pro-blema – i paesi ricchi – non saranno i più col-piti nel breve termine. Sono i più poveri, che non hanno contribuito e continuano a non contribuire in misura significativa alle emis-sioni di gas serra, a essere i più vulnerabili. Nel contempo, molti paesi a reddito medio stanno raggiungendo livelli di emissioni significativi in termini complessivi, ma essi non hanno il debito di carbonio nei confronti del mondo ac-cumulato dai paesi ricchi e, in termini pro ca-pite, i livelli sono ancora modesti. Dobbiamo trovare un percorso accettabile dal punto di vista etico e politico, che ci permetta di co-minciare ad agire, anche se permane un note-vole disaccordo sulla ripartizione degli oneri e dei benefici a lungo termine. Non dobbiamo permettere che i disaccordi legati alla distri-buzione ostacolino i progressi, né possiamo permetterci di attendere di avere la piena cer-tezza dell’esatto percorso che i cambiamenti

  • 8 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    Kemal Derviş Achim SteinerAmministratore Direttore esecutivoProgramma delle Nazioni Unite Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo per l’ambiente

    climatici verosimilmente seguiranno prima di cominciare ad agire. Anche a questo riguardo ci auguriamo che il Rapporto sullo sviluppo

    umano possa favorire il dibattito e consentire di cominciare il viaggio.

    Le analisi e raccomandazioni politiche contenute nel Rapporto non riflettono necessariamente il parere del Programma

    delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, del suo Consiglio esecutivo o dei suoi stati membri. Il Rapporto è una pubblicazione

    indipendente commissionata dall’undp. È frutto degli sforzi di collaborazione di un gruppo di consulenti autorevoli e del

    team responsabile della preparazione del Rapporto sullo sviluppo umano. Il lavoro è stato svolto sotto la guida di Kevin

    Watkins, direttore dell’Ufficio per il Rapporto sullo sviluppo umano.

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 �

    Direttore e autore principale

    Kevin Watkins

    Ricerche e statistiche

    Cecilia Ugaz (vicedirettrice e caporedattrice), Liliana Carvajal, Daniel Coppard, Ricardo Fuentes Nieva, Amie Gaye, Wei Ha, Claes Johansson, Alison Kennedy (responsabile del reparto Statistica), Christopher Kuonqui, Isabel Medalho Pereira, Roshni Menon, Jonathan Morse e Papa Seck.

    Produzione e traduzione

    Carlotta Aiello e Marta Jaksona

    Divulgazione e comunicazione

    Maritza Ascencios, Jean-Yves Hamel, Pedro Manuel Moreno e Marisol Sanjines (responsabile del reparto Divulgazione)

    teamresponsabiledellapreparazionedelrapportosullosviluppoumano2007-2008

    L’Ufficio per il Rapporto sullo sviluppo umano (HDRO): Il Rapporto sullo sviluppo umano è frutto di uno sforzo collettivo. I membri dell’Unità per il Rapporto nazionale sullo sviluppo umano (nhdru) forniscono osservazioni dettagliate e consulenza durante tutta l’attività di ricerca, e mettono in collegamento il Rapporto con una rete di ricerca globale nei paesi in via di sviluppo. Il team del nhdru comprende Sharmila Kurukulasuriya, Mary Ann Mwangi e Timothy Scott. Il team amministrativo del hdro svolge le funzioni d’ufficio e comprende Oscar Bernal, Mamaye Gebretsadik, Melissa Hernandez e Fe Juarez-Shanahan. Le operazioni finanziarie sono gestite da Sarantuya Mend.

  • nuovimaterialiprovenientidall’ufficioperilrapportosullosviluppoumano

    Rapporti sullo Sviluppo Umano nazionali, subnazionali e regionali

    I Rapporti sullo sviluppo umano sono preparati anche a livello nazionale, subnazionale e regionale. Il primo Rapporto sullo sviluppo umano nazionale fu lanciato nel 1992.• Dal 1992, sono stati prodotti più di 580 Rapporti sullo sviluppo umano nazionali e subnazionali dai team interni di oltre

    130 paesi con il sostegno del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (undp), nonché 30 rapporti regionali.• Come documenti di supporto per l’adozione di politiche, i Rapporti sullo sviluppo umano

    introducono il concetto di sviluppo umano nel dibattito politico nazionale attraverso processi di consultazione, ricerca e compilazione gestiti e controllati a livello nazionale.

    • I dati dei Rapporti sullo sviluppo umano, spesso disaggregati per genere, gruppo etnico o residenza (aree rurali o urbane), contribuiscono a individuare le disuguaglianze, valutare i progressi e anticipare i segnali di allarme di possibili conflitti.

    • Poiché si basano sulle prospettive locali, i Rapporti possono influenzare le strategie nazionali, comprese le politiche volte a realizzare gli Obiettivi di sviluppo del millennio e altre priorità legate allo sviluppo umano.

    Journal of Human Development: Una pubblicazione multidisciplinare per uno sviluppo incentrato sulle persone

    Il Journal è un forum per il libero scambio di idee tra numerosi responsabili politici, economisti e ricercatori.Il Journal of Human Development è soggetto a valutazione inter pares ed è pubblicato tre volte all’anno (marzo, luglio e novembre) dalla Routledge Journals, una divisione del gruppo editoriale Taylor and Francis Group Ltd, 4 Park Square, Abingdon, Oxfordshire OX14 4RN, Regno Unito.http://www.tandf.co.uk/journals

    Temi trattati nei Rapporti sullo Sviluppo Umano

    2006 L’acqua tra potere e povertà2005 La cooperazione internazionale a un bivio2004 La libertà culturale in un mondo di diversità2003 Le azioni politiche contro la povertà2002 La qualità della democrazia2001 Come usare le nuove tecnologie2000 I diritti umani1999 La globalizzazione1998 I consumi ineguali1997 Sradicare la povertà1996 Il ruolo della crescita economica1995 La parte delle donne1994 Nuove sicurezze1993 Decentrare per partecipare1992 Come ridurre le disuguaglianze mondiali1991 Per una riforma della spesa sociale1990 Come si definisce, come si misura

    Per ulteriori informazioni si rimanda al sito:http://hdr.undp.org

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 11

    Ringraziamenti

    Contributi Sono stati preparati numerosi studi, docu-menti e note di riferimento su un vasto insie-me di tematiche relative al Rapporto. Hanno contribuito: Anu Adhikari, Mozaharul Alam, Sarder Shafiqul Alam, Juan Carlos Arredon-do Brun, Vicki Arroyo, Albertina Bambaige, Romina Bandura, Terry Barker, Philip Beau-vais, Suruchi Bhadwal, Preety Bhandari, Iso-bel Birch, Maxwell Boykoff, Karen O’Brien, Oli Brown, Odón de Buen, Peter Chaudhry, Pedro Conceição, Pilar Cornejo, Caridad Canales Dávila, Simon D. Donner, Lin Erda, Alejandro de la Fuente, Richard Grahn, Mi-chael Grimm, Kenneth Harttgen, Dieter Helm, Caspar Henderson, Mario Herrero, Saleemul Huq, Ninh Nguyen Huu, Joseph D.

    Intsiful, Katie Jenkins, Richard Jones, Ulka Kelkar, Stephan Klasen, Arnoldo Matus Kra-mer, Kishan Khoday, Roman Krznaric, Ro-bin Leichenko, Anthony Leiserowitz, Junfeng Li, Yan Li, Yue Li, Peter Linguiti, Gordon MacKerron, Andrew Marquard, Ritu Ma-thur, Malte Meinshausen, Mark Misselhorn, Sreeja Nair, Peter Newell, Anthony Nyong, David Ockwell, Marina Olshanskaya, Victor A. Orindi, James Painter, Peter D. Pederson, Serguey Pegov, Renat Perelet, Alberto Caril-lo Pineda, Vicky Pope, Golam Rabbani, Atiq Rahman, Mariam Rashid, Bimal R. Regmi, Hannah Reid, J. Timmons Roberts, Greet Ruysschaert, Boshra Salem, Jürgen Schmid, Dana Schüler, Rory Sullivan, Erika Trigo-so Rubio, Md. Rabi Uzzaman, Giulio Volpi,

    La preparazione del Rapporto non sarebbe stata possibile senza il generoso apporto di numerosi individui e organizzazioni. Un particolare ringraziamento è dovuto a Malte Meinshausen, del Potsdam Institute for Climate Impact Research, che ha pazientemente fornito consulenze continue su un vasto insieme di aspetti tecnici. Molte altre persone hanno contribuito al Rapporto, sia direttamente, con docu-menti di riferimento, osservazioni sul testo preliminare e varie analisi, sia indiret-tamente, attraverso le rispettive ricerche. Gli autori desiderano inoltre esprimere riconoscenza per la quarta valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, che costituisce una fonte impareggiabile di dati scientifici, e per il lavoro di Sir Nicholas Stern e dei suoi collaboratori, che hanno elaborato il rapporto The Economics of Climate Change. Numerosi colleghi nell’ambito del si-stema delle Nazioni Unite hanno generosamente messo a disposizione tempo, com-petenze e idee. Il team responsabile della preparazione del Rapporto sullo sviluppo umano ha beneficiato dei preziosi consigli offerti dall’amministratore dell’undp, Kemal Derviş. Ringraziamo tutte le persone che hanno contribuito, direttamente o indirettamente, a orientare i nostri sforzi, e ci assumiamo l’intera responsabilità di eventuali errori e omissioni.

  • 12 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    Tao Wang, James Watson, Harald Winkler, Mikhail Yulkin e Yanchun Zhang.

    Diverse organizzazioni hanno generosa-mente messo a disposizione i dati in loro posses-so e altro materiale di ricerca: Agence Française de Développement, Agenzia internazionale per l’energia, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Amnesty International, Banca mondiale, Caribbean Community Secre-tariat, Center for International Comparisons of Production, Income and Prices at the Universi-ty of Pennsylvania, Centro di analisi delle in-formazioni sull’anidride carbonica, Centro in-ternazionale di studi sul carcere, Commissione europea, Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, Department for Inter-national Development, Environmental Change Institute at Oxford University, Development Initiatives, Divisione statistica e Divisione per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, Fondo di svi-luppo delle Nazioni Unite per la donna, Fondo globale per l’ambiente, Fondo monetario inter-nazionale, Global idp Project, igad Climate Prediction and Applications Centre, Institute of Development Studies, Internally Displaced Monitoring Centre, International Institute for Environment and Development, International Institute for Strategic Studies, International Organization for Migration, International Research Institute for Climate and Society, Istituto di statistica dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, Luxembourg Income Study, Macro International, Met Office, Organizza-zione internazionale del lavoro, Organizzazione meteorologica mondiale, Organizzazione mon-diale del commercio, Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale e Organizzazio-ne mondiale della sanità, Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Overseas Development Institute, Oxfam, Pew Center for Climate Change, Practical Action Consulting, Programma congiunto delle Na-zioni Unite per l’hiv/aids, Stockholm Inter-national Water Institute, Tata Energy Research

    Institute, Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (sezione Trattato), Unione internazionale delle telecomunicazioni, Unio-ne interparlamentare, United Nations Office of Legal Affairs, University of East Anglia, Wate-rAid, World Wildlife Fund.

    Gruppo di consulentiConsigli e orientamenti estremamente utili per il Rapporto sono stati forniti da un grup-po consultivo di esperti esterni, comprendente Monique Barbut, Alicia Bárcena, Fatih Birol, Yvo de Boer, John R. Coomber, Mohammed T. El-Ashry, Paul Epstein, Peter T. Gilruth, José Goldemberg, HRH Crown Prince Haakon, Saleem Huq, Inge Kaul, Kivutha Kibwana, Akio Morishima, Rajendra Pachauri, Jiahua Pan, Achim Steiner, HRH Princess Basma Bint Talal, Colleen Vogel, Morris A. Ward, Ro-bert Watson, Ngaire Woods e Stephen E. Ze-biak. Un prezioso contributo è stato fornito da un gruppo di esperti di statistica, in particolare da Tom Griffin, alto consulente statistico per il Rapporto. I membri del gruppo sono: Carla Abou-Zahr, Tony Atkinson, Haishan Fu, Ga-reth Jones, Ian D. Macredie, Anna N. Maje-lantle, John Male-Mukasa, Marion McEwin, Francesca Perucci, Tim Smeeding, Eric Swan-son, Pervez Tahir e Michael Ward. Il team ringrazia Partha Deb, Shea Rutstein e Michael Ward, i revisori che hanno verificato l’analisi dei rischi e delle vulnerabilità condotta dallo hdro e messo a disposizione la loro competen-za in campo statistico.

    Consultazioni I membri del team responsabile della prepa-razione del Rapporto sullo sviluppo umano si sono potuti avvalere individualmente e collet-tivamente di un processo di consultazione di ampia portata. I partecipanti alla discussione della Rete sullo sviluppo umano hanno forni-to molteplici indicazioni e osservazioni sulle interazioni tra cambiamenti climatici e svilup-po umano. Il team responsabile del Rapporto desidera inoltre ringraziare Neil Adger, Keith Allott, Kristin Averyt, Armando Barrientos, Haresh Bhojwani, Paul Bledsoe, Thomas A. Boden, Keith Briffa, Nick Brooks, Katrina

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 13

    Brown, Miguel Ceara-Hatton, Fernando Cal-derón, Jacques Charmes, Lars Christiansen, Kirsty Clough, Stefan Dercon, Jaime de Melo, Stephen Devereux, Niky Fabiancic, Kimberley Fisher, Lawrence Flint, Claudio Forner, Jenni-fer Frankel-Reed, Ralph Friedlaender, Oscar Garcia, Stephen Gitonga, Heather Grady, Bar-bara Harris-White, Molly E. Hellmuth, John Hoddinott, Aminul Islam, Tarik-ul-Islam, Kareen Jabre, Fortunat Joos, Mamunul Khan, Karoly Kovacs, Diana Liverman, Lars Gun-nar Marklund, Charles McKenzie, Gerald A. Meehl, Pierre Montagnier, Jean-Robert Mo-ret, Koos Neefjes, Iiris Niemi, Miroslav On-dras, Jonathan T. Overpeck, Vicky Pope, Will Prince, Kate Raworth, Andrew Revkin, Mary Robinson, Sherman Robinson, Rachel Sla-ter, Leonardo Souza, Valentina Stoevska, Eric Swanson, Richard Tanner, Haiyan Teng, Jean Philippe Thomas, Steve Price Thomas, Sandy Tolan, Emma Tompkins, Emma Torres, Ke-vin E. Trenberth, Jessica Troni, Adriana Vela-sco, Marc Van Wynsberghe, Tessa Wardlaw e Richard Washington.

    Lettori dell’undp Un gruppo di lettori, costituito da colleghi del-l’undp, ha fornito osservazioni, suggerimen-ti e contributi estremamente utili durante la stesura del Rapporto. Meritano un particolare ringraziamento per il loro sostegno Pedro Con-ceição, Charles Ian McNeil e Andrew Maskrey. Hanno tutti messo a disposizione il loro tempo con generosità e fornito contributi sostanziali per il Rapporto. Altri apporti sono stati forniti da: Randa Aboul-Hosn, Amat Al-Alim Also-swa, Barbara Barungi, Winifred Byanyima, Suely Carvalho, Tim Clairs, Niamh Collier-Smith, Rosine Coulibaly, Maxx Dilley, Philip Dobie, Bjørn Førde, Tegegnework Gettu, Yan-nick Glemarec, Luis Gomez-Echeverri, Rebeca Grynspan, Raquel Herrera, Gilbert Fossoun Houngbo, Peter Hunnam, Ragnhild Imer-slund, Andrey Ivanov, Bruce Jenks, Michael Keating, Douglas Keh, Olav Kjorven, Pradeep Kurukulasuriya, Oksana Leshchenko, Bo Lim, Xianfu Lu, Nora Lustig, Metsi Makhetha, Cé-

    cile Molinier, David Morrison, Tanni Mukho-padhyay, B. Murali, Simon Nhongo, Macleod Nyirongo, Hafiz Pasha, Stefano Pettinato, Selva Ramachandran, Marta Ruedas, Mounir Tabet, Jennifer Topping, Kori Udovicki, Louisa Vin-ton, Cassandra Waldon e Agostinho Zacarias.

    Redazione, produzione e traduzione Il Rapporto si è servito dei consigli e della coo-perazione dello staff di redazione della Green Ink. Anne Moorhead ha offerto consigli sulla struttura e sulla presentazione dell’argomento. La redazione tecnica e di produzione è stata affidata a Sue Hainsworth e Rebecca Mitchell. La copertina e i separatori sono stati realizzati da Talking Box, con interventi concettuali di Martín Sánchez e Ruben Salinas, sulla base di un progetto realizzato da Grundy & Northedge nel 2005. La grafica è stata curata da Phoenix Design Aid e Zago; la cartina 1.1 è stata elabo-rata da Mapping Worlds. Phoenix Design Aid ha anche curato l’impaginazione del Rapporto, il cui coordinamento è stato affidato a Lars Jør-gensen.

    L’Office of Communications dell’undp, in particolare Maureen Lynch e Boaz Paldi, ha assistito e sostenuto le attività di produzio-ne, traduzione, distribuzione e promozione del Rapporto. La revisione delle traduzioni è stata affidata a Iyad Abumoghli, Bill Bikales, Jean Fabre, Albéric Kacou, Madi Musa, Uladzimir Shcherbau e Oscar Yujnovsky.

    Il Rapporto ha inoltre beneficiato del lavo-ro scrupoloso di Jong Hyun Jeon, Isabelle Kha-yat, Caitlin Lu, Emily Morse e Lucio Severo. Swetlana Goobenkova ed Emma Reed hanno offerto preziosi contributi al team statistico. Margaret Chi e Juan Arbelaez, dello UN Offi-ce of Project Services, hanno fornito servizi di gestione e sostegno in campo amministrativo.

    Kevin WatkinsDirettore

    Rapporto sullo sviluppo umano 2007-2008

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 1�

    Indice

    Introduzione 5

    Ringraziamenti 11

    Sintesi Lottaaicambiamenticlimatici:solidarietàumanainunmondodiviso 21

    Capitolo1 Lasfidadelclimanelxxisecolo 43

    1.1 Cambiamenti climatici e sviluppo umano 48

    Il contesto 48

    Mutamenti pericolosi del clima: cinque «punti di svolta» per lo sviluppo umano 51

    1.2 Scienze climatiche e bilancio globale del carbonio 56

    Cambiamenti climatici indotti dall’uomo 56

    Contabilità globale del carbonio: depositi, flussi e pozzi 57

    Scenari relativi ai cambiamenti climatici: fenomeni noti, incognite note e incertezze 58

    1.3 Dal globale al locale: misurazione delle impronte ecologiche in un mondo disuguale 65

    Impronte nazionali e regionali: i limiti della convergenza 66

    Disuguaglianze nell’impronta ecologica: non tutti hanno lo stesso peso 68

    1.4 Evitare i mutamenti pericolosi del clima: un percorso sostenibile per le emissioni 71

    Bilancio del carbonio per un pianeta fragile 71

    Scenari per la sicurezza climatica: il tempo stringe 73

    Il costo della transizione verso uno scenario a basse emissioni:

    la mitigazione è fianziariamente sostenibile? 78

    1.5 Status quo: percorsi verso un futuro climatico insostenibile 80

    Guardando al passato: il mondo dal 1990 80

    Guardando al futuro: in rotta verso l’aumento 80

    Fattori di incremento delle emissioni 84

    1.6 Perché è necessario agire per evitare mutamenti climatici del clima 86

    Gestione responsabile del clima in un mondo interdipendente 86

    Giustizia sociale e interdipendenza ecologica 87

    Gli argomenti economici a favore di un’azione urgente 89

    Mobilitare l’azione pubblica 94

    Conclusione 98

    Tabella di appendice 1.1: Misurazione dell’impronta ecologica globale: paesi e regioni selezionati 99

    Capitolo2 Crisiclimatiche:rischioevulnerabilitàinunmondodisuguale 101

    2.1 Crisi climatiche e trappole dal basso sviluppo umano 105

    Catastrofi climatiche: una tendenza in aumento 105

    Rischio e vulnerabilità 109

  • 1� rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    Le trappole del basso sviluppo umano 113

    Dalle crisi climatiche di oggi alle privazioni di domani: le trappole del basso sviluppo umano 120

    2.2 Guardare avanti: vecchi problemi e nuovi rischi associati ai cambiamenti climatici 122

    Produzione agricola e sicurezza alimentare: l’impatto dell’aumento delle temperature e della variazione

    dei regimi pluviometrici 122

    Sicurezza idrica e stress idrico in un mondo che si riscalda 127

    Innalzamento dei mari ed esposizione a rischi meteorologici estremi 133

    Ecosistemi e biodiversità 136

    Salute umana ed eventi meteorologici estremi 139

    Conclusione 141

    Capitolo3 Prevenzionedeimutamentipericolosidelclima:strategiedimitigazione 143

    3.1 Fissare gli obiettivi di mitigazione 147

    Il bilancio del carbonio: vivere entro i limiti dei nostri mezzi ecologici 147

    Gli obiettivi di riduzione delle emissioni si stanno diffondendo a macchia d’olio 148

    Quattro problemi relativi alla designazione degli obiettivi nel quadro dei bilanci del carbonio 153

    Gli obiettivi sono importanti, ma anche i risultati 154

    3.2 Definire il prezzo delle emissioni: il ruolo dei mercati e dei governi 161

    Tassazione o scambio delle emissioni? 162

    Scambio delle emissioni: l’esperienza del sistema per il contenimento o scambio di quote di emissioni dell’ue 166

    3.3 Il ruolo essenziale della regolamentazione e dell’azione dei governi 169

    Generazione di energia elettrica: modificare la traiettoria delle emissioni 170

    Il settore residenziale: mitigazione a basso costo 173

    Parametri sulle emissioni dei veicoli 176

    Il ruolo dei combustibili alternativi 179

    Ricerca e sviluppo e tecnologie a basse emissioni 183

    3.4 Il ruolo chiave della cooperazione internazionale 187

    Un ruolo accresciuto per il trasferimento di tecnologia e i finanziamenti 188

    Ridurre la deforestazione 199

    Conclusione 203

    Capitolo4 Adattarsiall’inevitabile:azionenazionaleecooperazioneinternazionale 205

    4.1 La sfida nazionale 210

    L’adattamento nei paesi sviluppati 210

    Convivere con i cambiamenti climatici: l’adattamento nei paesi in via di sviluppo 214

    Dar forma alle politiche di adattamento nazionali 215

    4.2 La cooperazione internazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici 230

    I perché dell’azione internazionale 231

    Gli attuali finanziamenti per l’adattamento: ridotti, tardivi, frammentari 232

    Raccogliere la sfida posta dall’adattamento: rafforzare la cooperazione internazionale 239

    Conclusione 246

    Note 247

    Bibliografia 252

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 17

    Riquadri

    1.1 Gli effetti di retroazione potrebbero accelerare i cambiamenti climatici 64 1.2 Milioni di persone non hanno accesso ai servizi energetici moderni 74 1.3 I paesi industrializzati hanno ottenuto risultati molto inferiori agli impegni del Protocollo di Kyoto 82

    1.4 Gestione responsabile, etica e religione: basi comuni sui cambiamenti climatici 90 1.� Analisi dei conti e dei benefici e cambiamenti climatici 94 2.1 Rilevazione per difetto delle catastrofi climatiche 107 2.2 Il settore assicurativo mondiale: la rivalutazione dei rischi climatici 109 2.3 L’uragano Katrina: demografia sociale di una catastrofe 112 2.4 Siccità e insicurezza alimentare in Niger 117 2.� Gli honduregni costretti a vendere i loro beni dopo l’uragano Mitch 118 2.� L ‘inondazione del secolo’ in Bangladesh 120 2.7 Cambiamenti climatici in Malawi: stessa musica se non peggio 125 2.8 I cambiamenti climatici e la crisi idrica in Cina 131 2.� Lo scioglimento dei ghiacciai e il peggioramento della prospettiva per lo sviluppo umano 132 2.10 Cambiamenti climatici e sviluppo umano nel delta el Mekong 134 3.1 La California: modello esemplare per l’elaborazione di un bilancio del carbonio 150 3.2 Divergenze fra traguardi e risultati in Canada 155 3.3 La legge sui cambiamenti climatici: elaborare un bilancio del carbonio 156 3.4 L’Unione Europea: i traguardi per il 2020 e le strategie nel campo dell’energia e dei cambiamenti climatici 158

    3.� Riduzione dell’intensità di emissione nelle economie in transizione 160 3.� Energia nucleare: alcune questioni spinose 172 3.7 Energie rinnovabili in Germania: il successo del «conto energia» 174 3.8 Le emissioni dei veicoli: i parametri in vigore negli Stati Uniti 177 3.� Olio di palma e biocombustibili: una storia che serve da ammonimento 183 3.10 Il carbone e la riforma della politica energetica in Cina 190 3.11 Decarbonizzazione della crescita in India 192 3.12 Collegare i mercati delle emissioni agli osm e allo sviluppo sostenibile 197 4.1 Strategie di adattamento nelle char del Bangladesh 221 4.2 Il programma Rete di sicurezza produttiva in Etiopia 224 4.3 Trasferimenti di fondi condizionati: il programma Bolsa Família in Brasile 226 4.4 Ridurre la vulnerabilità in Malawi attraverso l’agricoltura 227 4.� Assicurazione del rischio e adattamento 228 4.� Imparare dall’esperienza del Mozambico 229 4.7 I programmi d’azione per l’adattamento nazionale (paan): un approccio limitato 236

    Tabelle

    1.1 Le temperature aumentano assieme ai depositi di co2. Previsioni per il 2080 59 1.2 Per sostenere impronte ecologiche al livello dei paesi ocse, non basterebbe un solo pianeta 74

    2.1 Stretta relazione tra siccità e sviluppo umano in Kenya 110 2.2 Siccità in Malawi: come si difendono i poveri 116 2.3 Siccità e povertà in Etiopia 117 2.4 L’agricoltura svolge un ruolo chiave nelle regioni in via di sviluppo 123

  • 18 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    2.� L’innalzamento del livello dei mari avrà presumibilmente rilevanti impatti sociali ed economici 135

    3.1 Diversi livelli di ambizione negli obiettivi di riduzione delle emissioni 149 3.2 Proposte per il sistema europeo di scambio di quote di emissioni 168 3.3 Le emissioni di carbone sono legate alla tecnologia delle centrali a carbone 188 3.4 Notevoli variazioni nell’efficienza energetica dell’industria 190 4.1 Quadro contabile dei finanziamenti multilaterali per l’adattamento 235 4.2 Il costo delle iniziative di immunizzazione degli effetti del clima 240 4.3 Investire nell’adattamento fino al 2015 242

    Tabellediappendice

    1.1 Misurazione dell’impronta ecologica globale: paesi e regioni selezionati 99

    Figure

    1.1 Le crescenti emissioni di co2 fanno lievitare i depositi e aumentare le temperature 57 1.2 Previsioni della temperatura globale: tre scenari dell’ipcc 60 1.3 Le emissioni di gas serra sono dovute principalmente all’energia e ai cambiamenti di destinazione d’uso dei suoli 66

    1.4 Nel conto globale delle emissioni prevalgono i paesi ricchi 67 1.� Le emissioni globali di co2 sono strettamente concentrate 68 1.� Paesi ricchi, impronte ecologiche profonde 70 1.7 Vivere senza elettricità 70 1.8 Molti paesi dipendono ancora dalle biomasse 71 1.� Il rischio di mutamenti pericolosi del clima aumenta con la crescita dei depositi di gas serra 72

    1.10 Il bilancio del carbonio per il xxi secolo è destinato ad avere una breve durata 73 1.11 Dimezzando le emissioni entro il 2050 si potrebbero evitare mutamenti pericolosi del clima 76

    1.12 Contrazione e convergenza verso un futuro sostenibile 77 1.13 Una mitigazione rigorosa non produce risultati immediati 78 1.14 Alcuni paesi industrializzati sono in forte ritardo rispetto agli impegni di Kyoto 81 1.1� Nello scenario di status quo, le emissioni di co2 tendono ad aumentare 84 1.1� L’intensità di emissioni diminuisce troppo lentamente per ridurre le emissioni complessive 85

    2.1 Le catastrofi climatiche colpiscono un numero sempre maggiore di persone 106 2.2 Rischio di catastrofi sperequato nei paesi in via di sviluppo 106 2.3 Le catastrofi climatiche spingono in alto gli indennizzi 108 2.4 Nei paesi ricchi il finanziamento della previdenza sociale è assai più elevato 111 2.� In Etiopia la variabilità del reddito ricalca la variabilità delle precipitazioni 124 2.� L’agricoltura dei paesi in via di sviluppo sarà penalizzata dai cambiamenti climatici 124 2.7 Il ritiro dei ghiacci in America Latina 130 3.1 Ridurre l’intensità di emissioni non sempre equivale a ridurre le emissioni 154 3.2 Volatilità dei prezzi delle emissioni nell’ue 167 3.3 Il carbone è destinato ad aumentare le emissioni di co2 nel settore dell’energia elettrica 171 3.4 Energia solare negli Stati Uniti: capacità in aumento e costi in diminuzione 173 3.� I parametri sull’efficienza dei combustibili nei paesi ricchi variano notevolmente 176

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 1�

    3.� Una rapida transizione della flotta automobilistica è possibile: il Pakistan 179 3.7 Alcuni combustibili costano meno e riducono maggiormente le emissioni di co2 182 3.8 Un maggiore rendimento del carbone potrebbe ridurre le emissioni di co2 189 3.� Le foreste si stanno ritirando 199 4.1 L’adattamento è un buon investimento nell’Unione Europea 213 4.2 Il gap informativo dell’Africa 217 4.3 Accelerare i flussi di aiuti per rispettare gli impegni presi 234 4.4 Gli aiuti di base per l’Africa subsahariana sono scarsi 234 4.� Fonti internazionali per l’adattamento esigui rispetto agli investimenti dei paesi sviluppati 237 4.� Vulnerabilità degli aiuti ai cambiamenti climatici 238

    Cartine

    1.1 Mappatura della variazione globale delle emissioni di CO2 69 2.1 Inaridimento: in Africa si espande l’area soggetta a siccità 124

    Contributispeciali

    Cambiamenti climatici: insieme possiamo vincere la battaglia, Ban Ki-moon 47

    Politica climatica e sviluppo umano, Amartya Sen 52

    Il futuro di noi tutti e i cambiamenti climatici, Gro Harlem Brundtland 88

    I cambiamenti climatici nel quadro dei diritti umani, Sheila Watt-Cloutier 82

    La città di New York prende l’iniziativa sui cambiamenti climatici, Michael R. Bloomberg 151

    Un’azione razionale per affrontare una sfida globale, Luiz Inácio Lula da Silva 180

    No all’apartheid nell’adattamento ai cambiamenti climatici, Desmond Tutu 208

    Non abbiamo scelta, Sunita Narain 233

    indicatoridisviluppoumano

    Indicatoridisviluppoumano 267

    Indicazioniperlaletturaenotealletabelle 269

    Acronimieabbreviazioni 276

    Monitorarelosviluppoumano:accrescerelescelteindividuali...

    1. Indice di sviluppo umano 287

    1a. Indicatori essenziali per altri paesi membri dell’onu 291

    2. Progressione dell’indice di sviluppo umano 292

    3. Povertà umana e di reddito: paesi in via di sviluppo 296

    4. Povertà umana e di reddito: ocse, Europa centro-orientale e csi 299

    ...percondurreunavitalungaesana...

    5. Andamenti demografici 301

    6. Impegno nel campo della sanità: risorse, accesso e servizi 305

    7. Acqua, servizi igienico-sanitari e stato nutrizionale 309

    8. Disuguaglianze nel campo della salute materna e infantile 313

  • 20 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    9. Principali crisi e rischi sanitari globali 315

    10. Sopravvivenza: progressi e arretramenti 319

    ...peracquisireconoscenza...

    11. Impegno nel campo dell’istruzione: spesa pubblica 323

    12. Alfabetizzazione e scolarità 327

    13. Tecnologia: diffusione e creazione 331

    ...peravereaccessoallerisorsenecessarieperunostandarddivitadignitoso...

    14. Andamento dell’economia 335

    15. Disuguaglianza di reddito e di consumo 339

    16. Struttura del commercio 343

    17. Spese per aiuti dei paesi cas/ocse 347

    18. Flussi di aiuti, capitale privato e debito 348

    19. Priorità nella spesa pubblica 352

    20. Disoccupazione nei paesi ocse 356

    21. Disoccupazione e occupazione nel settore informale nei paesi non ocse 357

    ...preservandoleperlegenerazionifuture...

    22. Energia e ambiente 360

    23. Fonti energetiche 364

    24. Emissioni e depositi di anidride carbonica 368

    25. Stato dei principali trattati ambientali internazionali 372

    ...garantendolasicurezzapersonale...

    26. Rifugiati e armamenti 376

    27. Criminalità e giustizia 380

    ... eraggiungendol’uguaglianzatradonneeuomini

    28. Indice di sviluppo di genere 384

    29. Misura dell’empowerment di genere 388

    30. Disuguaglianza di genere nell’istruzione 392

    31. Disuguaglianza di genere nell’attività economica 396

    32. Genere, carico di lavoro e ripartizione del tempo 400

    33. Partecipazione politica delle donne 401

    Strumentiperidirittiumaniedeilavoratori

    34. Stato dei principali strumenti internazionali per la tutela dei diritti umani 405

    35. Stato delle convenzioni fondamentali sui diritti dei lavoratori 409

    Notatecnica1 413

    Notatecnica2 420

    Definizionedeiterministatistici 422

    Riferimentistatistici 430

    Classificazionedeipaesi 432

    Indiceperpaesi 436

    Indicedegliindicatori 437

    IndicedegliindicatoridegliObiettividisviluppodelmillennionelletabelle 442

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 21

    «Il progresso umano non è automatico, né inevitabile. Dobbiamo accettare il fatto che domani è oggi, confrontarci con la furiosa urgenza del presente. In questo groviglio di vita e di storia che si sta dipanando, potrebbe essere troppo tardi [...]. Potremmo implo-rare il tempo di interrompere per un attimo il suo viaggio, ma il tempo è sordo a ogni richiesta e corre via. Sulle ossa sbiancate e i resti abbandonati di numerose civiltà, vi è una triste scritta: troppo tardi».

    Martin Luther King Jr., Dove stiamo andando: verso il caos o la comunità?

    Le parole di Martin Luther King, pronunciate in un sermone sulla giustizia sociale quarant’anni fa, hanno tuttora grande autorevolezza. All’inizio del xxi secolo, anche noi dobbiamo affrontare «la furiosa urgenza» di una crisi che lega l’oggi al domani: la questione dei cambiamenti clima-tici. È ancora possibile prevenire questa crisi, ma ci resta solo poco tempo: il mondo ha meno di dieci anni a disposizione per poterne cambiare il corso. Nessun’altra questione merita un’atten-zione più urgente, o un’azione più immediata.

    I cambiamenti climatici sono l’elemento chiave dello sviluppo umano per la nostra gene-razione. Ogni genere di sviluppo, in ultima ana-lisi, consiste nell’espandere il potenziale umano, ampliare la libertà dell’uomo, dare alle persone la facoltà di poter compiere delle scelte e di ap-prezzare la vita che conducono. I cambiamenti climatici minacciano di erodere le libertà degli esseri umani, di limitare la possibilità di scelta. Mettono in dubbio il principio illuminista se-condo cui il progresso umano rende migliore il futuro rispetto al passato.

    I primi segnali di allerta sono già sotto i nostri occhi. Oggi viviamo in prima persona

    quello che potrebbe essere l’avvio di un’im-portante inversione di tendenza dello sviluppo umano nell’arco della nostra vita. Nei paesi in via di sviluppo, milioni di persone tra le più po-vere del mondo sono già costrette a convivere con gli effetti dei cambiamenti climatici, effetti che non finiscono al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo come eventi apocalit-tici. Passano inosservati sui mercati finanziari e nella misurazione del prodotto interno lordo (pil) mondiale. Eppure, la maggiore esposizione a siccità, tempeste più intense, inondazioni e altre pressioni di natura ambientale ostacola i tentativi dei poveri del mondo di costruire una vita migliore per sé e per i propri figli.

    I cambiamenti climatici mineranno gli sforzi internazionali per combattere la povertà. Sette anni fa, i leader politici del mondo si sono riuniti per stabilire dei traguardi per accelerare il progresso dello sviluppo umano. Gli obiettivi di sviluppo del millennio (osm) hanno defi-nito un nuovo livello di ambizione per il 2015. Molto è stato ottenuto, anche se numerosi paesi sono in ritardo. I cambiamenti climatici ostaco-lano la realizzazione delle promesse degli osm.

    Sintesi

    Lottaaicambiamenticlimatici:solidarietàumanainunmondodiviso

  • 22 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    Guardando al futuro, il rischio è che i progressi costruiti nel corso di generazioni, non solo per quel che riguarda la riduzione della povertà estrema, ma anche nel campo della salute, del-l’alimentazione, dell’istruzione e in altri settori, si fermino per poi cominciare a regredire.

    L’approccio di oggi ai cambiamenti clima-tici si rifletterà domani sulle prospettive dello sviluppo umano di una grossa fetta dell’uma-nità. Se fallisce, il 40 per cento più povero del pianeta, cioè circa 2,6 miliardi di persone, sarà destinato a un futuro con sempre meno oppor-tunità. Le profonde disuguaglianze interne ai paesi si aggraveranno e i tentativi di costruire un modello di globalizzazione più inclusivo sa-ranno resi vani, rafforzando le ampie disparità tra chi ha e chi non ha.

    Nel mondo odierno, i più colpiti dai cam-biamenti climatici sono i poveri. Domani, sarà l’intera umanità a dover affrontare i rischi che derivano dal riscaldamento del pianeta. Il ra-pido accumulo di gas a effetto serra nell’atmo-sfera terrestre sta profondamente modificando le previsioni climatiche per le future genera-zioni. Ci stiamo gradualmente avvicinando ai «punti di svolta», cioè eventi imprevedibili e non lineari che potrebbero aprire la porta a ca-tastrofi ecologiche – un esempio è il collasso accelerato delle grandi calotte di ghiaccio del pianeta – in grado di trasformare i modelli di insediamento umano e di compromettere l’au-tosufficienza delle economie nazionali. Forse la nostra generazione non vedrà le conseguenze di tali sconvolgimenti, ma i nostri figli e i loro ni-poti saranno costretti a conviverci. L’avversione alla povertà e alle disuguaglianze nel presente, e ai rischi catastrofici nel futuro, fornisce ragioni concrete per agire tempestivamente.

    Alcuni commentatori continuano a citare l’incertezza sugli esiti futuri per giustificare una risposta limitata ai cambiamenti clima-tici. È una premessa sbagliata. Certo ci sono molte incognite: la climatologia è una scienza che si occupa di probabilità e di rischi, non di certezze. Tuttavia, se abbiamo a cuore il benes-sere dei nostri figli e dei nostri nipoti, anche un rischio minimo di eventi catastrofici merita un approccio cautelativo basato sul principio assi-curativo. E comunque, l’incertezza non è solo

    in un senso: i rischi potrebbero essere anche più gravi di quanto previsto.

    I cambiamenti climatici ci impongono di intervenire ora e rapidamente per affrontare un problema che minaccia il destino di due gruppi con limitate opportunità di far sentire la propria voce: i poveri del pianeta e le future generazioni. I cambiamenti climatici sollevano questioni di enorme importanza sulla giustizia sociale, sul-l’uguaglianza e sui diritti umani per tutte le na-zioni e per tutte le generazioni. Di tutte queste questioni si occupa il Rapporto sullo sviluppo umano 2007-2008. Il nostro punto di partenza è che la lotta contro i cambiamenti climatici può – e deve – essere vinta. Non mancano le risorse finanziarie né le capacità tecnologiche per agire: se non riusciremo a prevenire i cam-biamenti climatici significherà che non saremo stati capaci di promuovere le volontà politiche di cooperazione.

    Un tale esito rappresenterebbe non solo un fallimento della capacità di immaginazione po-litica e della capacità di leadership, ma anche un fallimento morale senza precedenti. Nel xx se-colo, i fallimenti della leadership politica hanno causato due guerre mondiali. Milioni di persone hanno pagato il pesante prezzo di due catastrofi che potevano essere evitate. I mutamenti perico-losi del clima sono la catastrofe evitabile del xxi secolo e oltre. Le generazioni future avranno un giudizio molto severo nei confronti di una ge-nerazione che ha avuto prova dei cambiamenti climatici, ha compreso i loro effetti e poi ha con-tinuato su una strada che ha abbandonato alla povertà milioni di persone tra le più vulnerabili del mondo, ed esposto le generazioni future al rischio di una catastrofe ecologica.

    Interdipendenza ecologicaI cambiamenti climatici sono un problema di-verso dagli altri con cui l’umanità deve fare i conti, e ci costringe a modificare il nostro atteg-giamento mentale, su diversi livelli. Soprattutto, ci obbliga a pensare a cosa significhi vivere come membri di una comunità umana interdipen-dente dal punto di vista ecologico.

    L’interdipendenza ecologica non è un con-cetto astratto. Oggi viviamo in un mondo di-viso sotto molti aspetti. La gente è separata da

    Ci stiamo gradualmente

    avvicinando ai «punti

    di svolta», cioè eventi

    imprevedibili e non lineari

    che potrebbero aprire la

    porta a catastrofi ecologiche

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 23

    distanze incolmabili in termini di ricchezza e opportunità. In molte regioni, i nazionalismi rivali sono fonte di conflitto. Troppo spesso, l’identità religiosa, culturale ed etnica è trattata come fonte di divisioni e differenze dagli altri. Di fronte a tutte queste diversità, i cambiamenti climatici ci ricordano con forza la sola cosa che tutti condividiamo: il pianeta Terra. Tutte le nazioni e tutti i loro abitanti condividono la stessa atmosfera. E ne abbiamo soltanto una.

    Il riscaldamento globale è la prova che stiamo sovraccaricando l’atmosfera terrestre: i depositi di gas serra, che imprigionano il ca-lore nell’atmosfera, si accumulano a un ritmo senza precedenti. Le attuali concentrazioni hanno raggiunto la quota di 380 parti per mi-lione (ppm) di anidride carbonica equivalente (co2e), superando il livello naturale degli ultimi 650 000 anni. Nel corso del xxi secolo, o leg-germente più tardi, le temperature medie glo-bali potrebbero innalzarsi di oltre 5°C.

    Per contestualizzare questa cifra, si tratta della stessa variazione di temperatura che ci separa dall’ultima era glaciale, un’epoca in cui l’Europa e il Nordamerica erano coperti da oltre un chilometro di ghiaccio. Un aumento di circa 2°C è il valore sopra il quale i cambiamenti cli-matici sono da considerarsi pericolosi: questa soglia rappresenta indicativamente il punto in cui diventerà molto difficile evitare rapide in-versioni di tendenza dello sviluppo umano e una deriva verso danni di natura ecologica ir-reversibili.

    Al di là delle cifre e delle misurazioni, salta agli occhi un semplice dato di fatto: stiamo amministrando in modo sconsiderato l’inter-dipendenza ecologica del pianeta. La nostra ge-nerazione sta accumulando un debito ecologico insostenibile, che graverà sulle spalle delle ge-nerazioni future. Stiamo mettendo mano al pa-trimonio ecologico dei nostri figli. I mutamenti pericolosi del clima rappresenteranno l’adegua-mento a un livello insostenibile di emissioni di gas serra.

    Le generazioni future non sono l’unica ca-tegoria che dovrà affrontare un problema di cui non è responsabile. I poveri del mondo saranno quelli che subiranno per primi, e nella forma più virulenta, le conseguenze. Sono le nazioni

    ricche e i loro abitanti a essere responsabili della stragrande maggioranza dei gas serra intrap-polati nell’atmosfera terrestre, ma a pagare il prezzo più alto per i cambiamenti climatici sa-ranno i paesi poveri e i loro abitanti.

    Il rapporto inverso tra la responsabilità per i cambiamenti climatici e la vulnerabilità alle loro ripercussioni è spesso trascurato. Il dibattito nei paesi ricchi mette sempre più in evidenza la mi-naccia rappresentata dall’aumento delle emis-sioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo. La minaccia è reale, ma non deve dissimulare il problema di fondo. Il Mahatma Gandhi una volta si chiedeva quanti pianeti sarebbero ser-viti se l’India avesse intrapreso un modello di industrializzazione simile a quello inglese. Non possiamo rispondere a questa domanda ma, se-condo le stime del presente Rapporto, se tutti gli abitanti della Terra dovessero generare gas serra allo stesso ritmo di alcuni paesi sviluppati, sarebbero necessari nove pianeti.

    I poveri del mondo lasciano un’impronta ecologica molto leggera, ma sono loro a dover pagare le conseguenze più gravi di questa ge-stione insostenibile della nostra interdipen-denza ecologica. Per i paesi ricchi, adeguarsi ai cambiamenti climatici finora ha significato più che altro regolare i termostati, affrontare estati più calde e più lunghe e osservare lo slittamento delle stagioni. Città come Londra e Los Angeles potrebbero trovarsi a rischio di inondazioni per l’innalzamento del livello dei mari, ma i loro abitanti sono protetti da elaborati sistemi di difesa. Viceversa, se il riscaldamento globale modifica i modelli climatici nel Corno d’Africa, significa che i raccolti vanno perduti e la gente soffre la fame, che le donne e le ragazzine sono costrette a impiegare un maggior numero di ore per raccogliere l’acqua. Inoltre, a prescindere dai rischi futuri con cui dovranno fare i conti le città dei paesi ricchi, oggi le reali vulnerabilità legate a tempeste e inondazioni sono da ricer-carsi tra le comunità rurali dei delta di grandi fiumi come il Gange, il Mekong e il Nilo, e tra gli abitanti delle sterminate baraccopoli urbane nei paesi in via di sviluppo.

    I rischi e le vulnerabilità emergenti legati ai cambiamenti climatici sono il risultato di processi fisici, ma sono anche la conseguenza

    Al di là delle cifre e delle

    misurazioni, salta agli occhi

    un semplice dato di fatto:

    stiamo amministrando

    in modo sconsiderato

    l’interdipendenza

    ecologica del pianeta.

    La nostra generazione sta

    accumulando un debito

    ecologico insostenibile,

    che graverà sulle spalle

    delle generazioni future

  • 24 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    di azioni e scelte degli esseri umani. Questo è un altro aspetto dell’interdipendenza ecologica che viene spesso trascurato. Quando gli abitanti di una città americana accendono i condiziona-tori, o quando i cittadini europei viaggiano in automobile, le loro azioni hanno conseguenze planetarie, che li mettono in relazione con le comunità rurali del Bangladesh, i contadini etiopi e gli abitanti delle baraccopoli di Haiti. Queste relazioni umane comportano responsa-bilità morali, tra le quali il dovere di riflettere – e modificare – politiche energetiche che dan-neggiano altre persone e le generazioni future.

    Perché bisogna agireSe il mondo agirà subito, sarà possibile (solo pos-sibile) mantenere l’aumento delle temperature globali nel xxi secolo entro la soglia dei 2°C ri-spetto ai livelli preindustriali. Per ottenere que-sto obiettivo, serviranno una leadership politica di alto livello e una cooperazione internazionale senza precedenti. I cambiamenti climatici sono sì una minaccia, ma offrono anche un’oppor-tunità: quella di unire le forze del pianeta per elaborare una risposta collettiva a una crisi che minaccia di arrestare il progresso.

    I valori a cui si sono ispirati gli estensori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo offrono un valido riferimento. Il documento è nato in risposta al fallimento politico che aveva dato spazio all’ascesa del nazionalismo estremo, del fascismo e della guerra mondiale, e stabiliva una serie di diritti – civili, politici, culturali, so-ciali ed economici – per «tutti i membri della famiglia umana». I valori che ispirarono la Di-chiarazione erano considerati come un codice di condotta per la gestione degli affari degli esseri umani, capace di evitare «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo che hanno portato ad atti di barbarie che offendono la co-scienza dell’umanità».

    Gli estensori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo facevano riferimento a una tragedia dell’umanità, la Seconda guerra mon-diale, appena avvenuta. Per i cambiamenti cli-matici è diverso: sono una tragedia dell’umanità in corso di svolgimento. Consentire che questa tragedia possa svilupparsi sarebbe un fallimento politico che merita la descrizione di «offesa alla

    coscienza dell’umanità». Rappresenterebbe una violazione sistematica dei diritti umani dei po-veri del mondo e delle generazioni future, e un grave passo indietro rispetto ai valori universali. Al contrario, riuscire nell’intento di prevenire mutamenti pericolosi del clima manterrebbe viva la speranza nello sviluppo di soluzioni mul-tilaterali ai problemi più gravi per la comunità internazionale. I cambiamenti climatici ci met-tono di fronte a questioni enormemente com-plesse, che riguardano la scienza, l’economia e le relazioni internazionali. Queste questioni vanno affrontate con strategie di ordine pra-tico, senza tuttavia perdere di vista le più ampie tematiche in gioco. La scelta reale con cui oggi i leader politici e gli individui devono fare i conti è tra i valori umani universali da una parte, e la partecipazione alla diffusa e sistematica viola-zione dei diritti umani dall’altra.

    Il punto di partenza per prevenire muta-menti pericolosi del clima è riconoscere i tre ele-menti portanti del problema. Il primo elemento è la combinazione dell’aspetto inerziale e cumu-lativo dei cambiamenti climatici. Una volta im-messi nell’atmosfera, l’anidride carbonica (co2) e gli altri gas serra vi rimangono a lungo. Non esistono pulsanti di riavvolgimento rapido che consentano di ridurre le quantità già accumu-late. Le persone che vivranno all’inizio del xxii secolo dovranno convivere con gli effetti delle nostre emissioni, così come noi conviviamo con le conseguenze delle emissioni prodotte dai tempi della rivoluzione industriale a oggi. Lo sfasamento temporale è una conseguenza im-portante dell’inerzia dei cambiamenti climatici. Qualsiasi strategia di mitigazione, per quanto rigorosa, non potrà avere effetti concreti sulle variazioni medie delle temperature fino a metà degli anni Trenta di questo secolo, e le tempera-ture non raggiungeranno il loro picco massimo prima del 2050. In altri termini, per la prima metà del xxi secolo, il mondo in generale, e i poveri del mondo in particolare, dovranno con-vivere con cambiamenti climatici a cui siamo già destinati.

    La natura cumulativa dei cambiamenti cli-matici ha implicazioni di vasta portata. La più significativa, forse, è che i cicli del carbonio non seguono i cicli politici. L’attuale generazione

    La scelta reale con cui

    oggi i leader politici e gli

    individui devono fare i

    conti è tra i valori umani

    universali da una parte, e la

    partecipazione alla diffusa

    e sistematica violazione

    dei diritti umani dall’altra

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 2�

    di leader politici non può risolvere il problema dei cambiamenti climatici perché un percorso sostenibile per le emissioni dev’essere seguito nell’arco di decenni, non di anni. Tuttavia, l’at-tuale classe politica ha l’occasione di aprire una finestra di opportunità per le generazioni fu-ture, o di chiuderla per sempre.

    Il secondo elemento della sfida posta dai cambiamenti climatici, corollario dell’inerzia, è l’urgenza. In molti altri ambiti delle relazioni internazionali, non agire o rimandare accordi comporta costi relativamente limitati. Il com-mercio internazionale rappresenta uno di que-sti esempi: i negoziati possono interrompersi e riprendere senza provocare danni a lungo ter-mine sul sistema generale, come testimonia l’infelice caso del Doha Round. Nel caso dei cambiamenti climatici, ogni anno di ritardo nel raggiungimento di un accordo per ridurre le emissioni aumenta i depositi di gas serra, de-terminando temperature più elevate nel futuro. Nei sette anni trascorsi dall’inizio dei negoziati del Doha Round, per proseguire il paragone, i gas serra accumulati nell’atmosfera sono au-mentati di circa 12 ppm di co2e, e questi gas sa-ranno ancora là quando si apriranno i negoziati commerciali del xxii secolo.

    Non ci sono analogie storiche facilmente riconducibili all’urgenza del problema dei cam-biamenti climatici. Durante la Guerra Fredda, le grandi scorte di missili nucleari puntati sulle città costituivano una grave minaccia per la si-curezza dell’umanità. Tuttavia, l’immobilismo era una strategia per il contenimento dei rischi. La comune consapevolezza della distruzione reciproca assicurata offriva una forma, perver-samente prevedibile, di stabilità. Nel caso dei cambiamenti climatici, invece, l’immobilismo apre una strada certa a ulteriori accumuli di gas serra, e alla distruzione reciproca assicurata delle potenzialità di sviluppo umano.

    Il terzo aspetto importante dei cambiamenti climatici sono le proporzioni globali del pro-blema. L’atmosfera terrestre non fa differenze tra i gas serra in base al paese d’origine. Una tonnellata di gas serra cinesi pesa quanto una tonnellata di gas serra statunitensi, e le emis-sioni di un paese diventano un problema anche per gli altri, in termini di cambiamenti clima-

    tici. Ne deriva che nessuna nazione può vincere da sola la battaglia contro i cambiamenti clima-tici. L’azione collettiva, in questo caso, non è un’opzione, ma un imperativo. Quando Benja-min Franklin firmò la Dichiarazione di Indi-pendenza americana nel 1776, pronunciò, si dice, questo commento: «Uniamoci e combat-tiamo tutti insieme, o verremo schiacciati uno per uno». Nel nostro mondo disuguale, alcuni, soprattutto i più poveri, verrebbero schiacciati prima degli altri se fallisse il tentativo di elabo-rare soluzioni comuni. Ma in definitiva, questa crisi che minaccia tutte le persone e tutte le na-zioni può essere evitata. Anche noi possiamo scegliere di unire le forze e forgiare soluzioni collettive a un problema che è di tutti, oppure venire schiacciati uno per uno.

    Cogliere l’attimo: il 2012 e oltre Di fronte a un problema di così vaste propor-zioni come i cambiamenti climatici, un atteggia-mento di rassegnato pessimismo sembrerebbe giustificato. Una risposta del genere, tuttavia, è un lusso che i poveri e le future generazioni non possono permettersi, e un’alternativa esiste.

    Ci sono motivi di ottimismo. Cinque anni fa, il mondo era ancora impegnato a discutere se stessero avvenendo veramente dei cambiamenti climatici, e se la responsabilità fosse degli esseri umani. Lo scetticismo era un’industria fiorente. Oggi, il dibattito è concluso e gli scettici hanno un ruolo sempre più marginale. Il quarto rap-porto di valutazione del Gruppo intergoverna-tivo di esperti sui cambiamenti climatici (ipcc) ha stabilito un consenso scientifico unanime sul fatto che i cambiamenti climatici sono una realtà effettiva, indotta dall’uomo. Quasi tutti i governi condividono questa posizione. In se-guito alla pubblicazione del rapporto Stern, The Economics of Climate Change, la maggior parte dei governi ha anche accettato il fatto che le so-luzioni ai cambiamenti climatici sono economi-camente sostenibili, più economicamente soste-nibili rispetto ai costi dell’inazione.

    Anche dal punto di vista politico il mo-mento è favorevole. Molti governi stanno fis-sando obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra. La mitigazione dei cam-biamenti climatici è ormai saldamente all’or-

    Nessuna nazione può

    vincere da sola la battaglia

    contro i cambiamenti

    climatici. L’azione collettiva,

    in questo caso, non è

    un’opzione, ma un imperativo

  • 2� rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    dine del giorno nell’agenda dei paesi del G8, mentre si rafforza il dialogo tra paesi industria-lizzati e paesi in via di sviluppo.

    Fin qui, tutte buone notizie. I risultati tan-gibili, però, sono più modesti. Se infatti i go-verni riconoscono che il riscaldamento globale è una realtà, le misure politiche per farvi fronte continuano a rimanere ben al di sotto del livello minimo necessario per risolvere il problema dei cambiamenti climatici. Il divario tra l’evidenza scientifica e la risposta politica non accenna a diminuire. Tra i paesi industrializzati, alcuni devono ancora fissare obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra, mentre altri li hanno stabiliti senza tuttavia procedere alle riforme di politica energetica necessarie per conseguirli. Il problema sostanziale è che manca un quadro multilaterale chiaro, credi-bile e a lungo termine che stabilisca un percorso per prevenire mutamenti pericolosi del clima: un percorso che colmi la frattura tra cicli della politica e cicli del carbonio.

    Con la scadenza dell’attuale periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto, nel 2012, la comunità internazionale ha l’occasione di creare questo quadro. Per cogliere questa oppor-tunità, ci vuole una leadership sicura, altrimenti il mondo si spingerà sempre più sulla strada che porta a mutamenti pericolosi del clima.

    I paesi industrializzati devono assumere un ruolo guida; il peso della responsabilità storica del problema dei cambiamenti climatici grava sulle loro spalle, e hanno le risorse finanziarie e le capacità tecnologiche per avviare una decisa e tempestiva riduzione delle emissioni. Imporre un prezzo alle emissioni mediante sistemi di tas-sazione o di contenimento e scambio di quote è il punto di partenza, ma non basta. Prioritario è anche lo sviluppo di sistemi di regolamenta-zione e collaborazioni tra pubblico e privato per un futuro a basse emissioni.

    Il principio delle «responsabilità comuni ma differenziate», uno dei fondamenti del Protocollo di Kyoto, non significa che i paesi in via di sviluppo non debbano fare nulla. La credibilità di qualsiasi accordo multilaterale si fonda sull’adesione dei maggiori produttori di emissioni tra i paesi in via di sviluppo. Tuttavia, i principi basilari di equità e l’imperativo dello

    sviluppo umano di ampliare l’accesso all’energia impongono che i paesi in via di sviluppo dispon-gano della flessibilità sufficiente per effettuare la transizione verso una crescita a basse emissioni, a un ritmo coerente con le proprie capacità.

    Il ruolo della cooperazione internazionale è vitale per molti aspetti. Lo sforzo globale di mitigazione subirebbe una rapidissima accele-razione se il quadro di Kyoto post-2012 inclu-desse meccanismi per favorire i trasferimenti finanziari e tecnologici. Meccanismi di questo genere potrebbero contribuire a rimuovere gli ostacoli che impediscono una rapida erogazione delle tecnologie a basse emissioni, necessarie a evitare mutamenti pericolosi del clima. Anche la cooperazione a sostegno della conservazione e della gestione sostenibile delle foreste pluviali rafforzerebbe lo sforzo di mitigazione.

    Devono essere prese in considerazione anche le priorità di adattamento. Per troppo tempo l’adattamento ai cambiamenti climatici è stato considerato una questione periferica piuttosto che un elemento chiave dell’agenda internazionale per la riduzione della povertà. La mitigazione è un imperativo perché definirà le probabilità di prevenire in futuro i muta-menti pericolosi del clima. Ma nel frattempo, non si può abbandonare a loro stessi i poveri del mondo, mentre le nazioni ricche proteggono i propri cittadini con sistemi di difesa dagli eventi climatici. La giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani esigono un impegno interna-zionale più forte in materia di adattamento.

    Cosa lasciamo in ereditàIl quadro di Kyoto post-2012 avrà un ruolo di enorme rilievo nel definire le possibilità di pre-venire i cambiamenti climatici, e di adeguarsi a quelli ormai inevitabili. I negoziati a questo proposito saranno condotti da governi con li-velli di potere negoziale molto diversi. Anche potenti gruppi di interesse del settore privato faranno sentire la loro voce. All’avvio dei ne-goziati per un Protocollo di Kyoto post-2012, i governi dovranno tenere in considerazione due gruppi che hanno voce debole ma rivendica-zioni importanti in materia di equità sociale e rispetto dei diritti umani: i poveri del mondo e le generazioni future.

    Il divario tra l’evidenza

    scientifica e la risposta

    politica non accenna

    a diminuire

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 27

    Chi è impegnato in una battaglia quotidiana per migliorare la propria vita di fronte a una po-vertà opprimente e alla fame dovrebbe essere il primo a poter contare sulla solidarietà umana e merita certamente molto di più di leader poli-tici che si incontrano ai vertici internazionali, stabiliscono obiettivi di sviluppo altisonanti e poi compromettono l’attuazione di questi stessi obiettivi non agendo sul fronte dei cambiamenti climatici. E i nostri figli, e i nipoti dei loro figli, hanno il diritto di pretendere la nostra piena re-sponsabilità, considerato che il loro futuro – e forse la loro sopravvivenza – sono appesi a un filo. Anch’essi meritano qualcosa di più di una generazione di leader politici che guarda alla sfida più grande che il genere umano si sia mai trovato ad affrontare e se ne resta con le mani in mano. Per dirla in modo esplicito, i poveri del mondo e le generazioni future non possono permettersi di sostenere il compiacimento e la prevaricazione che continuano a caratterizzare i negoziati internazionali sui cambiamenti cli-matici. E neppure l’enorme divario tra quello che dicono i governanti dei paesi industrializ-zati riguardo alle minacce dei cambiamenti cli-matici e quello che fanno con le loro politiche energetiche.

    Vent’anni fa Chico Mendes, l’ambientalista brasiliano, moriva nel tentativo di difendere la foresta amazzonica dalla distruzione. Prima di morire, aveva sottolineato il legame tra la sua battaglia locale e un movimento globale per la giustizia sociale: «All’inizio credevo di com-battere per salvare gli alberi di caucciù, poi cre-devo di combattere per salvare la foresta amaz-zonica. Oggi, mi accorgo che sto combattendo per l’umanità».

    La battaglia contro i mutamenti pericolosi del clima è parte della battaglia per l’umanità. Per vincerla, sono necessari cambiamenti di vasta portata a molti livelli: nei consumi, nel modo di produrre e di assegnare un prezzo al-l’energia e nella cooperazione internazionale. Soprattutto, però, sono necessari cambiamenti di vasta portata nel modo in cui concepiamo la nostra interdipendenza ecologica, la giustizia sociale per i poveri del mondo e i diritti umani per le generazioni future.

    La sfida climatica del xxi secoloIl riscaldamento globale è già in corso. Le tem-perature mondiali sono aumentate di circa 0,7°C dall’avvento dell’era industriale, e il tasso di incremento sta accelerando. Esiste una schiacciante quantità di prove scientifiche che collegano l’aumento della temperatura all’in-cremento della concentrazione di gas serra nel-l’atmosfera.

    Non c’è una linea di demarcazione rigida tra cambiamenti climatici «pericolosi» e «si-curi». Gran parte degli abitanti più poveri e degli ecosistemi più fragili del pianeta sono già costretti ad adattarsi ai mutamenti pericolosi del clima. Oltre la soglia dei 2°C di aumento, però, crescerà enormemente il rischio di gravi inversioni di tendenza dello sviluppo umano e di catastrofi ecologiche irreversibili.

    Le traiettorie di status quo porteranno il mondo ben oltre quella soglia. Per avere un 50 per cento di probabilità di limitare l’aumento delle temperature a 2°C rispetto ai livelli prein-dustriali, bisognerebbe stabilizzare le concen-trazioni di gas serra a circa 450 ppm di co2e. Una stabilizzazione a 550 ppm farebbe crescere la probabilità di superare la soglia dei 2°C all’80 per cento. Nella propria vita, poche persone in-traprenderebbero deliberatamente attività che comportano un rischio simile. Eppure, come comunità globale, ci stiamo prendendo rischi di gran lunga maggiori con il nostro pianeta. Gli scenari per il xxi secolo indicano punti di sta-bilizzazione potenziali a oltre 750 ppm di co2e, con possibili cambiamenti delle temperature di oltre 5°C.

    Gli scenari relativi alle temperature non col-gono i potenziali impatti in termini di sviluppo umano. Cambiamenti medi della temperatura nella scala prevista dagli scenari di status quo innescheranno inversioni di tendenza dello svi-luppo umano su larga scala, mettendo a rischio i mezzi di sussistenza e causando migrazioni di massa. Entro la fine del xxi secolo, lo spettro di conseguenze ecologiche catastrofiche potrebbe trasferirsi dai confini del possibile a quelli del probabile. I recenti dati sull’accelerazione del collasso delle calotte di ghiaccio dell’Antar-tide e della Groenlandia, l’acidificazione degli oceani, l’arretramento delle foreste pluviali e lo

    Entro la fine del xxi secolo,

    lo spettro di conseguenze

    ecologiche catastrofiche

    potrebbe trasferirsi dai

    confini del possibile a

    quelli del probabile

  • 28 rapportosullosv iluppoumano2007-2008

    scioglimento del permafrost artico sono tutti fenomeni che possono portare, separatamente o in interazione tra loro, a «punti di svolta».

    Ogni nazione contribuisce in maniera molto diversa alle emissioni che incrementano i depo-siti di gas serra nell’atmosfera terrestre. Con il 15 per cento della popolazione mondiale, le nazioni ricche incidono per quasi la metà sulle emissioni di co2. La rapida crescita economica di Cina e India sta portando una graduale con-vergenza in termini di emissioni assolute, ma in termini di impronta ecologica pro capite, la con-vergenza è più limitata. Un abitante degli Stati Uniti ha un’impronta ecologica cinque volte superiore a quella di un cinese, e oltre quindici volte superiore a quella di un indiano. L’Etiopia ha un’impronta ecologica media pro capite di 0,1 tonnellate di co2 (tco2), contro le 20 tco2 del Canada.

    Che cosa deve fare il mondo per inserirsi su una traiettoria di emissioni che eviti mutamenti pericolosi del clima? Per dare una risposta, dob-biamo ricorrere a simulazioni di modellazione del clima. Queste simulazioni permettono di delineare un bilancio del carbonio per il xxi secolo.

    A parità di altre condizioni, il bilancio globale del carbonio per emissioni legate alla produzione energetica sarebbe di circa 14,5 gigatonnellate di co2e (gtco2e) all’anno. Le emissioni attuali hanno un ritmo già doppio ri-spetto a questo livello. La cattiva notizia è che la tendenza è al rialzo. Risultato: il bilancio del carbonio per tutto il xxi secolo potrebbe ar-rivare a scadenza già nel 2032. Infatti, stiamo accumulando debiti ecologici insostenibili, che condanneranno le future generazioni a subire gli effetti di mutamenti pericolosi del clima.

    L’analisi del bilancio del carbonio getta una luce nuova sui timori riguardanti il contributo dei paesi in via di sviluppo alle emissioni glo-bali. Pur essendo destinata a salire, questa quota non dovrebbe distogliere l’attenzione dalle re-sponsabilità di fondo dei paesi ricchi. Se ciascun abitante dei paesi in via di sviluppo avesse la stessa impronta ecologica di un abitante medio della Germania o del Regno Unito, le emissioni globali attuali sarebbero quattro volte superiori al limite consentito dal nostro percorso sosteni-

    bile per le emissioni, o addirittura nove volte su-periori se l’impronta pro capite dei paesi in via di sviluppo fosse innalzata ai livelli degli Stati Uniti o del Canada.

    Per cambiare questo panorama, saranno ne-cessari radicali aggiustamenti. Se il mondo fosse un unico paese, entro il 2050 dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra della metà rispetto ai livelli del 1990, e continuare con forti riduzioni fino alla fine del xxi secolo. Ma il mondo non è un unico paese. Partendo da presupposti plau-sibili, calcoliamo che per evitare mutamenti pe-ricolosi del clima le nazioni ricche dovrebbero ridurre le emissioni di almeno l’80 per cento, con tagli del 30 per cento entro il 2020, mentre le emissioni dei paesi in via di sviluppo dovreb-bero toccare l’apice intorno al 2020, con tagli del 20 per cento entro il 2050.

    Il nostro obiettivo di stabilizzazione è rigo-roso, ma sostenibile. Da oggi al 2030, il costo medio annuo ammonterebbe all’1,6 per cento del pil. L’investimento non è irrisorio, ma rap-presenta meno dei due terzi della spesa militare globale. I costi dell’inazione sarebbero molto più alti. Secondo il rapporto Stern, potrebbero raggiungere anche il 5-20 per cento del pil mondiale, a seconda di come vengono calcolati i costi.

    Le tendenze delle emissioni fino a questo momento danno la misura della sfida che ab-biamo di fronte. Le emissioni di co2 legate al-l’energia sono aumentate rapidamente dal 1990, il periodo di riferimento per le riduzioni concor-date nel Protocollo di Kyoto. Non tutti i paesi industrializzati hanno ratificato gli obiettivi del Protocollo, che stabilivano una riduzione delle emissioni medie di circa il 5 per cento. Gran parte dei paesi che hanno ratificato gli impegni di Kyoto sono in ritardo sulla tabella di marcia; e di quelli che sono in regola, pochi possono rivendicare di aver ridotto le emissioni grazie a un preciso impegno politico di mitigazione dei cambiamenti climatici. Quanto ai paesi in via di sviluppo, per loro non è stata sancita dal Protocollo di Kyoto alcuna restrizione quanti-tativa. Se nei prossimi 15 anni le emissioni se-guiranno la tendenza lineare dei 15 anni prece-denti, mutamenti pericolosi del clima saranno inevitabili.

    Non tutti i paesi

    industrializzati hanno

    ratificato gli obiettivi del

    Protocollo, che stabilivano

    una riduzione delle emissioni

    medie di circa il 5 per cento

  • rapportosullosv iluppoumano2007-2008 2�

    Le proiezioni per l’impiego energetico puntano proprio in questa direzione, o anche peggio. Gli attuali modelli di investimento mettono in campo infrastrutture energetiche ad alta intensità di emissioni, con un ruolo dominante del carbone. Sulla base delle ten-denze e delle politiche attuali, le emissioni di co2 legate all’energia potrebbero aumentare di oltre il 50 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2004. La spesa prevista di 20 000 miliardi di dollari tra il 2004 e il 2030 per far fronte alla domanda energetica potrebbe met-terci definitivamente su una traiettoria inso-stenibile. Investimenti nuovi, invece, potreb-bero contribuire a decarbonizzare la crescita economica.

    Le crisi climatiche: rischio e vulnerabilità in un mondo disugualeLe crisi climatiche hanno già un peso enorme nella vita dei poveri. Eventi come siccità, allu-vioni e tempeste sono esperienze spesso terribili per chi ne viene colpito: mettono a rischio la vita e lasciano le persone con un sentimento di insicurezza. Inoltre, le crisi climatiche limitano le opportunità di sviluppo umano sul lungo ter-mine, compromettono la produttività ed ero-dono le capacità umane. Nessuna singola crisi climatica può essere attribuita ai cambiamenti climatici: questi, tuttavia, fanno gradualmente aumentare i rischi e le vulnerabilità per i poveri e producono pressioni ulteriori su meccanismi di adeguamento già messi a dura prova, intrap-polando le persone in spirali di miseria sempre più gravi.

    La vulnerabilità alle crisi climatiche non è equamente ripartita. L’uragano Katrina ha messo a nudo tutta la fragilità umana di fronte ai cambiamenti climatici, anche dei paesi più ricchi, soprattutto quando le conseguenze di questi cambiamenti interagiscono con una di-suguaglianza istituzionalizzata. Nei paesi in-dustrializzati, infatti, sta crescendo la preoccu-pazione in merito ai rischi climatici di natura estrema: a ogni inondazione, tempesta o ondata di caldo, la preoccupazione cresce. Eppure le catastrofi climatiche sono concentrate in larga maggioranza nei paesi poveri. Tra il 2000 e il 2004, circa 262 milioni di persone all’anno

    sono state colpite da una catastrofe climatica, oltre il 98 per cento delle quali nei paesi in via di sviluppo. Nei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (ocse), le catastrofi climatiche hanno colpito un abitante su 1500, mentre per i paesi in via di sviluppo il dato è di uno su diciannove, con un differenziale di rischio pari a 79.

    Gli alti livelli di povertà e i bassi livelli di sviluppo umano riducono le capacità delle fa-miglie povere di gestire i rischi di natura cli-matica. Con un accesso limitato ai sistemi di assicurazione ufficiali, redditi bassi e un patri-monio modesto, le famiglie povere devono ge-stire le crisi climatiche in condizioni estrema-mente forzate.

    Le strategie di adeguamento ai rischi clima-tici possono aggravare le condizioni di povertà. I contadini che vivono in aree soggette a siccità spesso sacrificano la produzione di colture che potrebbero aumentare il reddito per ridurre al minimo i rischi, privilegiando raccolti con resa economica inferiore ma con maggiore resi-stenza alla siccità. Di fronte a una catastrofe cli-matica, le famiglie povere sono spesso costrette a vendere i propri beni produttivi per proteg-gere i consumi, con tutto ciò che ne consegue in termini di capacità di ripresa. E quando questo non basta, si avviano altri meccanismi di ade-guamento: per esempio,