Lo sviluppo della città e la qualità dei servizi pubblici · Possiamo allora riconoscere un...
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Lo sviluppo della città e la qualità dei servizi pubblici
Nel dibattito sui temi dello sviluppo della città e sulla gestione dei processi di innovazione, un
ruolo significativo sia dal punto di vista dell’elaborazione di contenuti che della formazione della
classe dirigente venne sostenuto negli anni ’90 dal mondo cattolico.
Questo intervento venne proposto all’interno delle “Scuole di Formazione Socio – Politica”
gestite dalle Diocesi di Padova e di Venezia, e in occasione di numerosi eventi promossi dal
Centro Toniolo per la Pastorale Sociale e del Lavoro di Padova.
La città si presenta oggi non solo come il luogo fisico dell’innovazione e del mutamento sociale
ed economico, ma anche come la condizione indispensabile per l’evoluzione della Società
stessa, nella sua forma più articolata e completa [1].
Tuttavia, nonostante l’idea di città appartenga alla storia della civiltà moderna, quando ci
proponiamo di individuarne gli aspetti specifici ci troviamo di fronte ad una immagine
controversa e difficile definizione, in cui si sommano confusamente parametri di tipo
“qualitativo” e “quantitativo”.
La città oggi non appare più identificabile come un contenitore ad alta densità di persone, servizi
e produzione, ma piuttosto come modo di organizzazione degli eventi sociali ed economici. Ciò
che concorre a definire la città è dunque l’ “effetto urbano” generato dalla città stessa, che
non si rileva per conseguenza staticamente in misure quantitative (tante abitazioni, tanti telefoni,
tante auto, tanti abitanti ...), ma dinamicamente dalla capacità di generare per gli abitanti
condizioni di lavoro e di crescita culturale e sociale, attraverso la disponibilità e l’ interazione di
strutture specifiche (scuole, aziende, enti pubblici, luoghi di culto etc.).
La statica immagine tradizionale di città come agglomerato urbano (la metropoli), definita
prevalentemente dalla logica delle dimensioni, della concentrazione e dei numeri, è sostituita
così da un nuovo modello dinamico, caratterizzato dalla diffusione qualitativa dei “segni della
città” in un’area metropolitana estesa.
L’effetto urbano lega così, senza soluzione di continuità, territorio ed attività, innescando
attraverso il rapporto tra abitanti e strutture dinamiche di sviluppo proprie della città: si
moltiplicano le opportunità dei cittadini di esprimere adeguatamente le loro capacità
professionali e di realizzare un progetto di vita umanamente gratificante, soddisfacendo il loro
bisogno di appartenenza al corpo sociale ed esaltandone sia gli aspetti di solidarietà che di
espressione individuale.
La ricerca dell’ effetto urbano emerge oggi con sempre maggiore evidenza nei contesti di
sviluppo delle cosiddette “città medie”, che costituiscono per le aree urbane circostanti dei
modelli di riferimento caratterizzati da elevati contenuti urbani, in relazione ai servizi ed alle
opportunità fornite agli abitanti.
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Un attributo dell’effetto urbano: la qualità dei servizi pubblici
I servizi pubblici rivestono un ruolo di particolare importanza nella manifestazione dell’effetto
urbano perché rappresentano la struttura portante della città e ne condizionano i ritmi di
crescita e la qualità della vita.
La ricerca della qualità del servizio pubblico è quindi un obiettivo irrinunciabile in un progetto di
sviluppo della città: la definizione di questa qualità va tracciata attraverso parametri in grado di
rilevarne sia gli aspetti quantitativi ed economici, sia quelli si carattere sociale, strettamente
connessi alla natura del servizio pubblico.
Possiamo allora riconoscere un “albero della qualità” dei servizi (fig. 1 - [2]), che può essere
utile per definire con maggiore precisione in cosa consiste la qualità del servizio pubblico, quali
sono i sui attributi e le azioni necessarie per ottenerla.
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Le quattro attività di base per conferire qualità al servizio sono:
- facilitare l’accesso degli utenti al servizio in questione;
- migliorare le condizioni di fornitura del servizio;
- monitorare il servizio, per correggerne gli errori e controllarne lo sviluppo;
- prevedere innovazioni che consentano di potenziarlo e renderlo maggiormente efficiente.
La prima area di attività riguarda principalmente la comunicazione verso l’utente, e costituisce
quella funzione di “relazioni pubbliche” che è diventata sempre più importante anche ai fini della
trasparenza delle attività della pubblica amministrazione.
Il miglioramento della fornitura del servizio ha invece a che fare con prestazioni che potremmo
definire di carattere “logistico”: si tratta fondamentalmente di ridurre i “tempi morti”
dell’erogazione dei servizi e di rendere le procedure per la loro fruizione meno complesse
possibili.
Il controllo e la correzione del servizio hanno invece a che fare con le procedure di “metodo”,
attraverso le quali si esercita il “monitoraggio” delle prestazioni e, sulla base del “feed-back”
dell’utenza, si apportano le correzioni funzionali al miglioramento del servizio.
L’ultima area rappresenta invece la funzione “innovativa”, che impegna l’Amministrazione nello
studio e nella sperimentazione di forme diverse di servizio, oltre che nel potenziamento e
allargamento dei servizi esistenti.
Il “circolo virtuoso” del progetto di sviluppo della città
Le diverse fasi del percorso di attuazione delle iniziative volte al raggiungimento dell’ “effetto
urbano positivo”, attraverso il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, sono legate tra
loro da una sorta di “circolo virtuoso” nel progetto di sviluppo della città [3]. L’idea del
“circolo virtuoso” nasce dalla necessità di porre in rilievo la stretta concatenazione di causa -
effetto che lega i diversi momenti dello sviluppo del progetto, ed al tempo stesso la loro
“circolarità” temporale.
I passaggi fondamentali riassunti dal “circolo virtuoso”, illustrato in fig. 2 , sono quindi i seguenti:
- individuazione dei settori di intervento prioritari dell’Amministrazione o dell’Ente
interessato, assieme alle potenzialità ed ai punti di forza e debolezza;
- stimolo dell’interesse dell’opinione pubblica e ricerca del consenso sulle proposte
dell’Amministrazione;
- realizzazione di partnership tra gli “attori” istituzionali e privati interessati al progetto;
- elaborazione del piano progettuale;
- reperimento dei finanziamenti e delle altre risorse necessarie;
- assegnazione delle responsabilità e attuazione del progetto;
- valutazione dell’impatto;
- pubblicizzazione delle iniziative e valorizzazione dei risultati.
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Questa formulazione schematica non pretende di riassumere univocamente tutte le situazioni
reali, o di determinare rigidamente la successione delle fasi, ma rappresenta una utile traccia per
rappresentare efficacemente il “ciclo di lavorazione” di un progetto di sviluppo.
Nella pratica avviene di sovente che alcune fasi possono, in termini di investimento di risorse o
di efficacia, risultare secondo i casi più importanti di altre. Altrettanto soventemente alcune fasi
potranno addirittura risultare invertite nell’ordine di successione, come accade in particolare
per la imprescindibile fase di reperimento dei finanziamenti che, per cause spesso contingenti ed
ineludibili, si trova spesso anteposta ad altre “strategicamente” magari più importanti.
Un esempio di settore di intervento: il trasporto pubblico
L’individuazione dei settori di intervento rappresenta indubbiamente uno dei momenti più
delicati, perché è finalizzato a definire non solo i bisogni espliciti ed evidenti, quali possono
essere quelli legati ai servizi di trasporto pubblico, nettezza urbana o altri, ma anche i bisogni
latenti o inespressi, per mancanza culturale, di una “massa critica” o di “forza contrattuale” da
parte degli utenti che dovrebbero esplicitarli. Si tratta tipicamente in questo caso delle “fasce
deboli” della società, tra le quali oggi troviamo, ad esempio, i bambini, gli anziani (in rapido
aumento percentuale sulla popolazione globale), i disabili e gli extracomunitari.
Assieme all’individuazione dei bisogni espressi ed inespressi, compito di questa fase è anche la
previsione dei bisogni futuri, a medio e lungo termine, della comunità interessata: l’ “audit”
necessario deve quindi essere di tipo “dinamico”, e non si deve accontentare di effettuare una
“fotografia” della realtà ma deve essere finalizzato a fornire le indicazioni di previsione.
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L’ ”audit” della città è quindi orientato all’ “individuazione dei bisogni” in una accezione
decisamente innovativa, e deve prevedere grande attenzione per le “condizioni ambientali” della
struttura economica, sociale e culturale.
Le connessioni tra il rilievo dell’ambiente e le azioni successive è mostrata nel grafico di fig. 3, in
cui viene tracciato il percorso che lega l’ “audit” e la capacità e opportunità di innovare ([4]).
In fig. 4 è schematizzato l’effetto di un miglioramento del sistema di trasporti, coincidente
nell’esemplificazione con un generico aumento della quantità e della qualità dei servizi di
trasporto ([4]). Tale aumento causa in prima istanza due effetti speculari: l’allargamento della
gamma di mezzi e percorsi, e quindi un aumento delle opzioni per l’utenza, e una riduzione dei
tempi di spostamento dell’utenza stessa.
A valle del primo effetto, come prima conseguenza determinante, troviamo la nascita di nuove
opportunità di insediamento civile o industriale, con conseguenti ricadute positive
sull’occupazione e sulle attività di urbanizzazione ed edificazione.
La riduzione dei tempi di spostamento determina invece un risparmio di tempo dell’utenza, che
si ripercuote in una riduzione dei costi delle imprese, e in un miglioramento dell’impiego del
tempo “dedicato a sé” da parte delle persone.
Il risultato di questo miglioramento della qualità del servizio è quindi proprio l’ “effetto urbano”
auspicato, quella “moltiplicazione delle opportunità” per i residenti in cui consiste oggi il vero
valore aggiunto delle città.
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Fonti
[1] Roberto Guiducci, L’urbanistica dei cittadini, Laterza
[2] L’IMPRESA -Rivista Italiana di Management - n. 7/1995 - Per una Pubblica Amministrazione
che funzioni meglio e costi meno di Filippo Bucarelli e Luca Lo Schiavo
[3] XXI Secolo - Rivista di Studi e Ricerche della Fondazione Agnelli - numero 1, novembre
1989
[4] L’IMPRESA - Rivista Italiana di Management - Collezione 1995-1996
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PADOVA 21
Nel 1998 le aziende padovane dei servizi pubblici AMAG, AMNIUP e ACAP decidono di avviare
la pubblicazione di PADOVA 21, una rivista trimestrale sui servizi pubblici destinata ai cittadini.
Questa iniziativa si colloca nella prospettiva della fusione delle tre aziende nella Azienda Padova
Servizi spa, che avverrà nel 1999. L’unificazione dei servizi pubblici padovani rappresenta un
passaggio importante nel processo che porterà in seguito alla fusione di APS spa con la triestina
ACEGAS, e quindi alla nascita di ACEGAS APS spa, oggi tra le prime aziende multiservizi
italiane.
Padova 21 rappresenta un interessante e innovativo esperimento di dialogo e di
approfondimento sui temi di maggiore attualità che riguardano la città e lo sviluppo dei suoi
servizi. I testi riportati di seguito costituiscono alcuni degli editoriali di apertura dei singoli
numeri della rivista, usciti dal 1998 al 2000.
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Perché Padova 21
in una società già così affollata di messaggi ed informazioni, trasmessi oggi da mezzi di
comunicazione sempre più potenti ed “invadenti”, presentare una nuova pubblicazione rischia di
apparire un esercizio inutile
Padova 21, rivista trimestrale voluta dalle Aziende Speciali del Comune di Padova ACAP,
AMAG e AMNIUP, non intende però semplicemente aggiungersi al già nutrito panorama
editoriale della nostra città. L’obiettivo di Padova 21 è informare e aggiornare gli abitanti di
Padova e dei Comuni contermini alla città dello stato e dell’evoluzione dei servizi pubblici
primari che sono oggi alla base della nostra organizzazione urbana, nell’ambito della mobilità,
dell’igiene ambientale, della distribuzione dell’acqua e dell’energia.
Conoscere e comunicare le caratteristiche di questi servizi, e le loro prospettive future,
costituisce oggi un impegno irrinunciabile da parte di chi gestisce le risorse disponibili, ed un
diritto fondamentale dei cittadini, che devono oggi essere considerati non più semplici utenti ma
veri “clienti” dei servizi pubblici. (aprile 1998)
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Il ciclo delle attività urbane
Con l’arrivo della stagione autunnale, la città riprende il ritmo delle sue attività. Il rientro dalle
ferie, la riapertura delle scuole, dei negozi e delle attività produttive riavviano a pieno regime
tutte le “funzioni urbane”, supportate dal sistema dei servizi per la mobilità, l’ambiente e
l’energia.
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Questi servizi costruiscono, giorno dopo giorno, la continuità tra il sistema dei mezzi di
trasporto materiali (vetture private, autobus, ferrovia) e immateriali (reti di computer), tra gli
ambienti naturali (parchi e giardini) e quelli artificiali (abitazioni, uffici, fabbriche), tra le strutture
per il lavoro e quelle per il tempo libero.
Il sistema dei servizi pubblici costituisce il filo con cui è intessuta la trama di questa “città-rete”,
i cui confini vanno al di là di quelli puramente amministrativi, perché comprendono di fatto il
“mercato” cui i servizi pubblici stessi si rivolgono: un’ ”area urbana allargata” dinamica ed in
continuo mutamento, che esprime bisogni differenziati ed evoluti.
Il nuovo ciclo delle attività urbane che si inaugura con la stagione autunnale impegna il sistema
dei servizi pubblici nel potenziamento della propria organizzazione, nella ristrutturazione dei
propri orari, nell’erogazione di nuovi servizi. L’obiettivo cui tendere è sostenere e sviluppare
quella “città-rete” che esprime oggi la vera essenza della città moderna, operando in un
“ambiente urbano” che richiede una continua e delicata integrazione tra il patrimonio esistente,
in termini architettonici, urbanistici ed ambientali, e le nuove tecnologie. (settembre 1998)
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Nasce l’Azienda Padova Servizi
La disponibilità di un sistema efficiente ed organizzato di servizi pubblici è una condizione
indispensabile per garantire la qualità e la vivibilità dell'ambiente urbano, attraverso le funzioni
della mobilità, dell' igiene e della distribuzione dell'energia.
Queste funzioni prioritarie per lo sviluppo della città sono assicurate oggi a Padova dall'attività
delle tre Aziende Speciali del Comune, l'ACAP (Azienda Comunale Autofiloviaria di Padova),
l'AMNIUP (Azienda Speciale Ambiente) e AMAG (Azienda per l'Acqua ed il Gas).
Le tre Aziende operano oggi in regime di autonomia gestionale rispetto all'Ente Proprietario,
l'Amministrazione Comunale di Padova, e costituiscono un comparto in cui sono impiegati circa
1.300 lavoratori, per un fatturato che supera i 260 miliardi di lire.
Sull'esempio di quanto realizzato in altre città italiane, quali Brescia, Vicenza, Imola ecc.,
l'Amministrazione Comunale di Padova ha realizzato l’Azienda Padova Servizi, che riunisce in
una unica realtà aziendale le tre Aziende Speciali cui sono oggi affidati i servizi pubblici prioritari.
La fusione di ACAP, AMNIUP ed AMAG è in grado di condurre alla valorizzazione ed al
potenziamento dei servizi prioritari attraverso un duplice percorso virtuoso, legato alla nuova
possibilità di gestione delle risorse e alla integrazione delle attività aziendali derivanti dalla
realizzazione di una azienda unica.
La gestione di un unico bilancio consentirà un impiego delle risorse disponibili più aderente allo
sviluppo dell'intera rete dei servizi, ed una programmazione delle attività e degli investimenti
necessari più articolata e mirata alle necessità dei tre settori.
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La fusione delle aziende porterà inoltre ad una maggiore integrazione delle attività aziendali, con
l’ottenimento progressivo di economie di scala, derivanti dalle maggiori dimensioni, e di varietà,
generate dalla possibilità di svolgere attività e funzioni diverse con i medesimi beni.
Il risultato finale di questa iniziativa corrisponde quindi al miglioramento dei servizi ai cittadini, e
consente la possibilità di estensione degli stessi servizi ad un territorio allargato, grazie ad un
migliore e più efficiente utilizzo delle risorse.
La società per azioni rappresenta infatti la forma aziendale più agile e flessibile per affrontare il
mercato esteso dei servizi alla collettività, cui la Padova Servizi è candidata, sia dal punto di vista
amministrativo ed operativo che da quello della ricerca e ingresso di nuovi soci pubblici e
privati.
Oltre al Comune di Padova, potranno infatti entrare a far parte della Padova Servizi altre
Amministrazioni Pubbliche interessate allo sviluppo delle sue attività, quali i Comuni contermini
alla città, e soci privati.
Va detto al proposito che questi ultimi non sono da intendersi come puri investitori, ma
piuttosto come aziende interessate allo sviluppo della loro attività anche attraverso la Società
stessa. Si pensi in particolare al ruolo che potrebbero rivestire in questo caso gli Istituti di
Credito, i fornitori di tecnologie per le diverse attività della Padova Servizi, le aziende che
svolgono attività affini o comunque integrabili; una ulteriore quota di azionariato privato potrà
infine essere sostenuta dai privati cittadini, attraverso forme di risparmio o di investimento.
(Gennaio 1999)
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Città in competizione
È sempre più frequente, nella discussione attorno alle città, il ricorso al tema della
“competitività delle aree urbane”. Se pensiamo alla dimensione ‘europea”, è lecito porsi alcune
domande: esiste una gerarchia delle città europee? Queste città sono realmente “in
competizione” tra di loro?
Una ricerca della Fondazione Agnelli dei primi anni 90 divideva le città europee in quattro
diverse categorie. Nella prima fascia della gerarchia stanno le città globali, in tedesco
“weltstadt”, le “città mondo”, tra le quali Parigi, Londra, Milano. Si tratta di quelle città in cui il
complesso dei servizi e delle attività di produzione ha raggiunto una completezza ed una
integrazione che le pone ai massimi livelli di efficienza.
Nella seconda fascia si trovano le città cosiddette “in transizione positiva”, quali Monaco, Lione,
Stoccarda. Sono quelle medie e grandi città europee che stanno sviluppando vocazioni e
infrastrutture di servizio che consentono di soddisfare una utenza urbana sempre più evoluta e
differenziata.
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Nelle ultime due fasce si trovano città che stanno vivendo fasi di transizione negativa, dovute
all’invecchiamento delle loro infrastrutture urbane, o al condizionamento negativo esercitato da
alcune “vocazioni” industriali o di servizio che non sono state in grado di rinnovarsi o
specializzarsi.
Gli investimenti in infrastrutture e ristrutturazioni compiuti ad esempio da Barcellona, Genova
e Napoli, caratterizzate da una portualità tradizionale e da apparati industriali tecnologicamente
obsoleti, mirano a far rientrare queste città nella fascia di quelle “in transizione positiva”.
La ricerca di un nuovo “posizionamento” nella parte alta della gerarchia europea riassume il
significato della “competizione” in atto tra le città. Collocarsi in questa fascia, attraverso il
rinnovo e la creazione delle infrastrutture urbane (viabilità, centri direzionali, teatri, palazzi dello
sport, parchi scientifici ...) significa per le città aumentare la propria “capacità attrattiva” nei
confronti di investimenti, imprese commerciali e produttive, abitanti, professionisti.
Ai servizi pubblici è riservato, in questo quadro, il compito fondamentale di sostenere questa
nuova “capacità attrattiva” delle città, rendendola compatibile con la salvaguardia dell’ambiente
urbano. (aprile 1999)
* * *
La città sostenibile
All’avvicinarsi della fine del secolo, i fenomeni di crescente urbanizzazione a livello mondiale
impongono una riflessione sul futuro delle nostre città europee.
I fenomeni di cambiamento del clima, la riduzione delle risorse naturali, l’inquinamento
ambientale, i processi di ristrutturazione economica e sociale ci spingono oggi a ricondurre lo
sviluppo delle città alla dimensione della “sostenibilità”.
La “sostenibilità urbana” prevede, così come appare nel Rapporto Brundtland della World
Commission on Environment and Development del 1987, uno sviluppo che risponda alle
necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare
le proprie esigenze.
Attuare uno sviluppo sostenibile per la città significa quindi operare scelte che vanno ben al di là
della pure importante “protezione ambientale”: la nostra responsabilità nei confronti della
salute e dell’integrità dell’ambiente urbano è a lungo termine, e si proietta sulle generazioni
future.
La città è un ecosistema complesso, interconnesso e dinamico: rappresenta una minaccia per
l’ambiente naturale, ma al contempo una risorsa importante quando riesce a proteggere la
salute e lo sviluppo dei suoi abitanti, provvedendo al soddisfacimento delle loro necessità e
delle loro aspirazioni, e a salvaguardare le specie animali e vegetali che in essa risiedono.
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I servizi pubblici di base per la mobilità, l’energia e l’igiene sono il presupposto indispensabile
per l’attuazione dello sviluppo sostenibile, perché permettono alla città di crescere senza
comprometterne il sistema naturale, edificato e sociale.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio integrato, che consenta di
chiudere i cicli delle risorse naturali, dell’energia e dei rifiuti attraverso la riduzione del
consumo delle risorse naturali, il contenimento della produzione dei rifiuti, la riduzione
dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del terreno, l’aumento delle aree naturali.
Lo sviluppo della mobilità in città non è incompatibile con queste attenzioni, a patto che
trasporti, pianificazione ambientale e dello spazio urbano procedano di pari passo, e che il
sistema su cui si basa la mobilità in città sia realmente multimodale. Nella città sostenibile auto,
biciclette, motorini, pedoni e mezzi del servizio pubblico sono complementari, e non
concorrenti tra loro. (giugno 1999)
* * *
Una città nella città
La capacità di ospitare eventi di grande richiamo costituisce una prerogativa delle città evolute,
e testimonia di un “potere attrattivo” che, come gli altri aspetti che oggi contraddistinguono i
nuclei urbani moderni, è indipendente dalla loro “grandezza” in termini numerici e dimensionali.
Quando una città riesce ad ospitare il grande concerto di musica rock, la partita finale di una
competizione di livello internazionale o il grande raduno religioso o politico, non lo fa in forza
della sua “grandezza”, ma della sua capacità di mettere in gioco quei “valori urbani” che oggi
sono propri anche e soprattutto delle “città medie”, di cui Padova costituisce un esempio
particolarmente significativo.
Una città media come Padova riesce infatti a sostenere la propria capacità attrattiva attraverso
una forte integrazione delle sue funzioni urbane e dei servizi pubblici ad esse collegate, che le
consentono di rendersi accessibile ogni giorno a più di 150.000 persone non residenti, che si
recano a Padova per motivi legati allo studio, al lavoro, alla fruizione di servii e consulenze
specializzate di ogni tipo, al tempo libero.
Cosa accade quando una città media ospita manifestazioni o eventi eccezionali che richiamano
per un breve periodo un numero di persone pari o addirittura superiore ai suoi abitanti? Quali
condizioni devono verificarsi perché la città possa sostenere queste situazioni eccezionali,
garantendo i servizi necessari a rendere compatibili questi eventi con lo svolgimento delle
attività urbane ordinarie?
In queste occasioni si crea una vera e propria “città nella città”, che presenta gli stessi bisogni
fondamentali di mobilità, igiene, energia e sicurezza della città ospitante, con intensità e
concentrazioni però molto più elevate.
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La buona riuscita di questi eventi richiede quindi un intervento programmato e coordinato di
tutte le entità responsabili dello svolgimento delle funzioni urbane fondamentali.
Padova ha sperimentato in diverse occasioni, con risultati decisamente lusinghieri, la propria
capacità di sostenere il suo “potere attrattivo” attraverso il sistema dei servizi pubblici. Il
raduno nazionale degli Alpini dell’estate 1998, che ha portato nella città 300.000 persone per
tre giorni, o la serata inaugurale del Festivalbar 1999, che ne ha richiamate poco meno di
200.000 in una sola serata in Prato della Valle, hanno costituito prove significative, in totale
assenza di incidenti o disfunzioni, dell’attitudine della città ai grandi eventi, così come della sua
capacità di accoglienza.
Padova si è mostrata in queste occasioni come una città aperta e disponibile, molto lontana dai
modelli “funzionali” delle grandi città, nei quali ogni luogo è estremamente specializzato, ed in
cui sarebbe inconcepibile ad esempio il “concerto in piazza”. La possibilità di un uso flessibile e
non convenzionale degli spazi urbani è invece una caratteristica propria delle città medie, e
costituirà sempre più una importante risorsa per la loro crescita e valorizzazione. (settembre
1999)
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Il futuro della città
Una volta, il futuro era più complesso. I profeti dei primi del novecento avevano molte difficoltà
nell’immaginare come sarebbe stata la nostra vita alla fine del secolo. L’ottimismo positivista di
quegli anni spingeva a pensare, per il 2000, a “una settimana lavorativa di 13 ore”, a città libere
dal traffico e dalla criminalità, a “un aeromobile in ogni garage”.
Di quelle previsioni non si è avverato quasi nulla, ma le città hanno comunque vinto la “sfida del
futuro”. Sono sopravvissute ai disastri di due conflitti mondiali, ed hanno creato le condizioni
per lo sviluppo della nostra società, migliorando sensibilmente le condizioni di vita dei propri
abitanti.
Come sarà la nostra vita nella città del prossimo secolo? Le tecnologie di cui disponiamo ci
consentono oggi di “scoprire il futuro” molto più realisticamente di quanto tentassero di farlo i
nostri antenati. La nostra capacità di prevedere come ce la caveremo tra qualche anno, dal
punto di vista emotivo e materiale, è infatti sensibilmente aumentata, grazie alla grande
disponibilità di dati, informazioni, statistiche, e di sofisticate procedure di elaborazione e
simulazione.
La città di domani può essere progettata con l’aiuto di uno straordinario patrimonio di
conoscenze, che ci aiuteranno a renderla più aperta, più sana e più vivibile. Sarà ancora la nostra
storia a guidarci nel cambiamento: d’altronde, come dice la Regina di Cuori in “Alice nel Paese
delle Meraviglie”, “è una memoria di scarso valore quella che lavora solo per il passato”. (aprile
2000)
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Bene comune e “funzioni urbane”
In questo ultimo scorcio di secolo le problematiche di sviluppo e gestione delle aree urbane
sono vertiginosamente aumentate: il traffico, l’inquinamento, la micro-criminalità fanno pensare
alla città come ad una “patologia” sociale, piuttosto che ad una espressione della civiltà
moderna. Nonostante ciò, la “voglia di città” non accenna a diminuire: il potere di attrazione dei
nuclei urbani non appare oggi inferiore a quello che, nel medioevo, spingeva a recarsi nelle
prime città “alla ricerca della libertà”.
Nel confronto ormai globale tra i Paesi emerge in effetti con chiarezza il ruolo determinante
svolto dalle città. La competizione tra le aree urbane è divenuta il paradigma di confronto tra le
diverse economie, e la dimensione in cui più direttamente si esprimono le differenze tra sistemi
sociali, stili di vita e di consumo.
A questo proposito, dobbiamo riconoscere che l’aspettativa degli abitanti rispetto ad alcune
funzioni “storiche” della città si è decisamente spostata dal livello quantitativo a quello
qualitativo, privilegiandone le caratteristiche “evolute”. È il caso, ad esempio, della domanda di
formazione, non più soddisfatta dalla semplice disponibilità del sistema scolastico tradizionale,
ma ancor più orientata alla ricerca della formazione avanzata, così come nell’ambito del lavoro
è divenuta sempre più importante la presenza di risorse umane ad elevato livello di
specializzazione.
Ad un apparato normativo e fiscale di minimo impatto si è sostituito, nelle aspettative dei
cittadini, un insieme trasparente di regole che garantisca la qualità della vita, ed una tassazione
limitata cui corrispondano servizi efficienti. La valutazione ed il livello di fruizione dei servizi
pubblici infatti non sono più legati solo al loro costo, ma alla loro qualità intrinseca in termini di
affidabilità (basti pensare all'erogazione dell’energia, acqua e gas) e di innovazione tecnologica
(trasporti, telecomunicazioni).
A determinare la qualità della vita nella percezione dei cittadini non è quindi più sufficiente la
semplice presenza di “funzioni urbane” ritenute oggi ormai scontate. Il mutamento degli stili di
vita, il rapporto diverso con il lavoro, un nuovo assetto delle relazioni sociali generano nuove
opportunità di crescita e di affermazione individuale, di arricchimento culturale, di gestione
differenziata del tempo libero.
In questa evoluzione, della quale le nuove tecnologie sono un formidabile fattore di
accelerazione, le nostre città sono continuamente sottoposte al pericolo della disparità sociale
e dell'emarginazione. La città è il luogo in cui si misura realmente il livello di democrazia di una
comunità, nell’ equilibrio tra libertà individuali e doveri verso la collettività, tra desiderio di
affermazione e parità di diritti e di opportunità. La realtà di fronte alla quale ci troviamo oggi
mostra che il soddisfacimento delle aspirazioni individuali deve rendersi compatibile con i
bisogni della collettività. Solo a questa condizione la città riesce ad esprimere tutta la
complessità e la ricchezza dei suoi valori, fondamentali per il raggiungimento del "bene
comune". (maggio 2000)
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Trasporto Pubblico e Mobilità Urbana
Il tema della mobilità urbana si affaccia negli ultimi anni ’90 alla ribalta del dibattito pubblico con
grande rilevanza, coinvolgendo le Amministrazioni Pubbliche in scelte impegnative sia dal punto di vista
economico che dell’impatto sulla città.
Questo intervento, che venne pubblicato tra le altre sulla rivista “Galileo” dell’Ordine degli Ingegneri di
Padova e sull’organo ufficiale di Federtrasporti “Trasporto Pubblico”, mirava a porre in evidenza gli
aspetti critici e i punti di forza delle diverse scelte, alla luce dello stato dell’arte delle tecnologie
disponibili.
Il problema della mobilità urbana rappresenta oggi uno dei maggiori vincoli allo sviluppo delle
città medie del nostro Paese, ed una grave minaccia alle condizioni di vivibilità dei loro centri
abitati.
Per affrontare consapevolmente la crisi di mobilità che interessa le nostre città, e valutare
criticamente ed obiettivamente i limiti e le opportunità che ogni soluzione presenta, è
necessario conoscere con chiarezza le motivazioni storiche della nostra situazione attuale, dalla
quale difficilmente potremo evolvere se non riconoscendo la necessità di nuove scelte in
funzione di una nuova “cultura della mobilità”.
Un breve sguardo sintetico alla storia del trasporto urbano di questo secolo ci può aiutare nella
analisi della nostra situazione attuale (fig. 1). I primi cinquanta anni del ventesimo secolo hanno
rappresentato quella che potremo definire “l’era del trasporto pubblico”: per circa mezzo
secolo infatti il “trasporto di massa” è avvenuto nelle nostre città quasi esclusivamente
attraverso mezzi pubblici, ed in particolare “reti di tramvie”, azionate dapprima dal traino dei
cavalli, ed in seguito dall’energia elettrica.
Le prestazioni di questo sistema di trasporto, in termini di capacità e livello di efficienza del
servizio, sono praticamente rimaste costanti per molto tempo: il trasporto individuale era
limitato a pochi mezzi privati, che circolavano in sede separata da quella del trasporto pubblico,
e gli unici ritardi o disfunzioni del sistema erano dovuti a limiti legati alla tecnologia propria dei
mezzi.
Con l’avvento del trasporto su gomma diffuso, databile attorno ai primi anni cinquanta, le città
compiono alcune scelte che si riveleranno determinanti nella successiva evoluzione del
problema della mobilità. La funzione “trasporto collettivo” viene assegnata in molte città
d’Europa (Padova tra queste) ai mezzi su gomma (filovia e quindi autobus), in sostituzione delle
tramvie.
Questo “salto tecnologico” è dettato da motivazioni oggettive che riguardano, allo “stato
dell’arte” degli anni ‘50, migliori prestazioni del trasporto su gomma in termini di sicurezza,
comfort di viaggio, flessibilità, velocità.
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Il “salto tecnologico” da trasporto su ferro a trasporto su gomma si accompagna però ad una
scelta “di sistema” molto più influente e carica di effetti sulla cultura della mobilità degli anni a
venire. Con l’eliminazione delle tramvie scompare infatti anche la separazione tra la sede del
trasporto pubblico, cui la tramvia era vincolata, e quella del trasporto privato. Nella percezione
degli utenti, e nelle scelte viabilistiche, l’intera sede stradale diventa così fruibile per il mezzo
privato senza più alcuna priorità o salvaguardia per il trasporto pubblico, che si trova quindi ad
operare in piena “commistione” con lo svolgersi del traffico privato.
Questa scelta “di sistema”, anch’essa motivata dallo “stato dell’arte” della mobilità degli anni ‘50
in cui l’automobile non era ancora il principale mezzo di trasporto individuale, si è però rivelata
assai poco lungimirante. Dal 1950 ad oggi, nella sola provincia di Padova, le immatricolazioni di
veicoli privati sono passate da 22.000 circa ad oltre 441.000: per ogni auto circolante nel 1952,
anno in cui l’ACAP avviava la propria attività, oggi ne transitano 20!
La conseguente progressiva paralisi della mobilità ha quindi coinvolto fatalmente, data la
mancanza di separazione dei flussi di traffico, anche il trasporto pubblico su gomma: l’abitudine
all’uso dell’auto privata e le limitate prestazioni del trasporto pubblico, dovute principalmente a
dover competere col mezzo privato nella stessa sede di traffico, hanno determinato quel
“circolo vizioso” della mobilità che oggi risulta così difficile da interrompere.
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L’avvento e la larga diffusione dell’auto non solo hanno sottratto utenza al mezzo pubblico, ma
ne hanno anche fortemente condizionato e limitato nel tempo le prestazioni: dal 1950 ad oggi,
la quota di mobilità urbana assorbita dal mezzo pubblico è passata dal 58% al 18%. Qualsiasi
giudizio sull’affidabilità del trasporto pubblico di oggi non può ignorare che le premesse delle
inefficienze attuali sono state poste quando si è ritenuto che, stante il limitato numero delle
auto in circolazione, trasporto pubblico e trasporto privato potessero viaggiare assieme nella
stessa sede, senza alcuna separazione.
Il trasporto pubblico in conseguenza di tale impostazione si trova oggi ad essere “vittima” della
degenerazione del traffico, e non “causa”.
La scelta dell’auto privata rispetto al mezzo pubblico non ha quindi ragioni “snobistiche”, ma è
la logica conseguenza di un processo di “acquisizione culturale” nell’uso della sede stradale che
dura ormai da mezzo secolo, e che ha posto nei fatti il mezzo pubblico in condizioni di non
poter rappresentare un’alternativa appetibile all’uso dell’auto privata.
Esiste poi un ulteriore elemento che ha orientato in maniera decisa all’utilizzo del mezzo
privato rispetto a quello pubblico: la progressiva “de-massificazione” delle motivazioni alla
mobilità all’interno delle città. Negli ultimi 15 anni la domanda di trasporto pubblico è diminuita
del 20% circa, mentre è aumentata di oltre il 5% quella di mobilità generale. Si è infatti ridotta,
anche per questioni demografiche, la domanda di mobilità urbana legata alle motivazioni
“classiche” dello studio e del lavoro, basata su “orari” e quindi confacente alla tradizionale
organizzazione del trasporto pubblico, mentre cresce continuamente una necessità di mobilità
estremamente diversificata per destinazioni e motivazioni, che vanno dallo shopping e tempo
libero all’esercizio di attività professionali indipendenti.
A fronte di questi rapidi e profondi mutamenti, molte città hanno avviato negli anni ‘80 iniziative
di ristrutturazione del trasporto pubblico che riequilibrassero le scelte di mobilità individuali,
troppo orientate all’uso indiscriminato dell’auto. La decisione di dedicare l’intera sede stradale
senza distinzione ad entrambi i flussi di traffico pubblico e privato aveva costituito di fatto una
rinuncia a governare la mobilità: si rendevano quindi necessarie scelte che conferissero al
trasporto pubblico nuove prerogative, in grado di soddisfare meglio la nuova domanda di
mobilità cui si è accennato e che potessero costituire validi elementi per una scelta alternativa
all’automobile.
L’obiettivo di questi nuovi indirizzi è realizzare un sistema di mobilità urbana basato
sull’intermodalità: l’automobile non può più costituire l’unica o comunque la principale opzione
per il nostro spostamento, che deve invece avvenire attraverso una scelta basata sull’utilizzo di
mezzi diversi, individuali e collettivi, secondo le diverse occasioni e necessità. La riduzione
dell’uso dell’auto che l’intermodalità persegue non costituisce un impoverimento delle libertà
individuali, ma anzi arricchisce le possibilità di scelta, nel rispetto inoltre delle ormai ineludibili
necessità di protezione e salvaguardia dell’ambiente urbano.
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Le scelte di città che hanno privilegiato l’auto, quali Los Angeles, mostrano a distanza di pochi
anni che nemmeno l’aumento delle infrastrutture viarie può consentire il governo di una
mobilità basata sull’uso dei mezzi individuali. Il traffico automobilistico non si comporta come un
fluido, che prende la forma del recipiente in cui è contenuto, ma come un gas, che occupa tutto
lo spazio a sua disposizione: la mobilità basata sull’auto è così destinata a “sopprimere sé
stessa”.
Scelte più orientate al rispetto dell’ambiente e, in definitiva, degli abitanti delle città hanno
invece puntato a provvedimenti di carattere viabilistico che regolassero l’accesso dell’auto nei
centri urbani, e proteggessero il traffico dei mezzi pubblici su gomma da quello dei mezzi privati.
La grande difficoltà di questi provvedimenti consiste nel riuscire a renderli compatibili con modi
di vita, strutture urbane ed attività residenziali, commerciali e produttive modellati da tempo su
una concezione “automobilistica” della città.
Accanto alle scelte di politica viabilistica, tanto determinanti per la soluzione del problema della
mobilità urbana quanto di difficile e contrastata attuazione, si rivela oggi condizione
imprescindibile per il rilancio del trasporto pubblico l’adozione di innovazioni tecnologiche ed
organizzative che ne rivalutino gli elementi di “competitività” nei confronti del mezzo privato.
A questo proposito, il buon gradimento riscontrato dal servizio del "Donatello" ACAP sta a
testimoniare la possibilità di affermazione di un servizio che, per le sue caratteristiche, presenta
vantaggi che lo avvicinano al trasporto individuale, pur mantenendo tutti gli aspetti positivi del
trasporto pubblico collettivo.
Va comunque rilevato che, guardando allo “specifico” del mezzo di trasporto su gomma, ci
troviamo di fronte ad una tecnologia che in 50 anni non ha avuto sostanziali mutamenti: si
continua cioè a trasportare, attraverso un veicolo azionato da motore a scoppio, 100 persone
per volta con l’impiego di un conducente, ad una velocità “commerciale” oggi inferiore ai 15
km/h. Se guardiamo alle imprese operanti oggi nella provincia di Padova, non esiste una azienda
che sia rimasta sul mercato mantenendo, in termini di produttività, le stesse tecnologie di 50
anni fa, mentre il proprio principale concorrente (l’auto nel caso del trasporto pubblico)
conquistava “fette di mercato” sempre più grandi.
Proprio l’elevata “capacità” di trasporto, unitamente al progresso tecnologico nell’uso dei
materiali, nelle tecniche costruttive e nel materiale rotabile, hanno riportato negli anni 90 le
tramvie a rappresentare una soluzione interessante per le esigenze di mobilità di città di piccola
e media dimensione, che non possono permettersi di affrontare i grossi investimenti necessari
per le metropolitane tradizionali a percorso parzialmente o totalmente interrato. Il sistema di
trasporto pubblico basato sulla tramvia leggera garantisce un servizio comunque migliore
rispetto a quello offerto dagli autobus, attraverso passaggi ravvicinati ad alta frequenza e grande
capacità di trasporto dei mezzi.
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La tramvia leggera si colloca infatti, in un raffronto tra costi di investimento e livello del servizio
(fig. 2), in uno spazio intermedio tra i sistemi di trasporto pubblico basati sulla gomma,
caratterizzati da bassi costi di investimento e bassi livelli di servizio (data la commistione tra
flusso di trasporto pubblico e privato), e la metropolitana, che richiede invece alti costi di
investimento ma garantisce, data la sede completamente autonoma e separata, massima capacità
ed efficienza.
Le particolari caratteristiche di efficienza e sicurezza di questo sistema di trasporto sono oggi
enfatizzate dall’adozione di sofisticati sistemi di controllo, bigliettazione ed informazione
all’utenza, resi disponibili dalla recente e rapida evoluzione delle tecnologie informatiche e
telematiche, che trovano nei metrò leggeri ideali condizioni di applicazione.
La scelta del tracciato di una linea tranviaria costituisce indubbiamente uno degli elementi critici
della sua attuazione. Vanno infatti contemperati gli aspetti “invasivi” del cantiere dell’opera, il
rispetto delle peculiarità urbane ed ambientali attraverso una attenta valutazione di ogni
possibile intervento di “mitigazione” dell’impatto della linea, sia nella sua fase di realizzazione
che nella prospettiva dell’esercizio.
Allo stesso modo, data l’entità rilevante degli investimenti in gioco, va valutata con attenzione
la domanda di trasporto attuale e futura sul percorso prescelto, che deve giustificare sia la
realizzazione della linea che prefigurarne una gestione perlomeno in pareggio.
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La realizzazione di un sistema integrato tram + bus, attraverso l'adozione di una nuova rete e di
nuove tecnologie di monitoraggio, può potenziare le componenti di qualità dei due vettori ed è
in grado di risultare attrattivo ed accessibile per nuove tipologie di viaggio, legate non solo al
lavoro ed allo studio, ma anche allo svago, agli affari, allo shopping.
La continua innovazione tecnologica del settore ha recentemente portato ad emergere, accanto
alla tramvia, altri sistemi “intermedi”, dotati di capacità di trasporto comunque superiori agli
autobus, con minore impatto ambientale in fase di realizzazione del sistema e maggiore
“flessibilità di percorso” rispetto alla tramvia, vincolata alla rotaia.
Si tratta in particolare del sistema “Stream”, di progettazione Ansaldo, e del “Civis” del gruppo
Matra-Renault. Entrambi questi sistemi, ad oggi ancora in fase di sperimentazione, consentono
di gestire su strada veicoli più lunghi dei bus, attraverso la guida vincolata (ottica nel caso di
Civis, magnetica nel caso Stream), e possono essere alimentati senza ricorrere a linee aeree
(con motore ibrido diesel-elettrico o con alimentazione da terra, nel caso di Stream).
Va comunque sottolineato che anche questi sistemi, per poter raggiungere i migliori risultati in
termini di efficienza e capacità di carico, richiedono di poter transitare, al pari della tramvia, su
vie “riservate”, protette quindi dal traffico privato. Inoltre va osservato che, in termini di
ingombro, le corsie riservate da prevedere per tali mezzi intermedi sono di larghezza maggiore
di quelle della tramvia leggera, a causa della maggiore “labilità” del vincolo virtuale rispetto a
quello fisico della rotaia. A fronte della “flessibilità” di questi sistemi infine la “rigidità” della
tramvia può anche essere interpretata come un elemento di forza rispetto al governo della
mobilità e di “disegno” della città, per la sua azione “strutturante”.
Il quadro delle opportunità di scelta in questa fine secolo si presenta quindi particolarmente
variegato e suscettibile di ulteriori evoluzioni. Ogni città può trovare nel panorama delle diverse
tecnologie quella che meglio si adatta ai propri scopi ed alla propria struttura urbana: la scelta
assume in questo senso la valenza eminentemente “politica” di guida ed indirizzo dello sviluppo
della città
Un sistema integrato “tram + bus”, così come qualsiasi altra infrastrutturazione specifica
dedicata al trasporto pubblico (filovie, linee a guida vincolata, Stream) deve comunque costituire
l'aspetto centrale di una logica di progetto più generale che riguarda la gestione complessiva
della mobilità (fig. 3).
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“Gestione complessiva della mobilità” significa oggi non limitarsi al puro “trasporto delle
persone”, ma operare attraverso il governo della domanda pubblica e privata (controllo soste,
zone a traffico limitato) e la razionalizzazione dell'offerta di mobilità (piano di circolazione,
adeguamento rete viaria, parcheggi, potenziamento del sistema di trasporto pubblico urbano e
revisione della rete).
Gli effetti attesi di questo progetto di gestione della mobilità consistono nella riduzione
dell'inquinamento e nella diminuzione della congestione del traffico, che comporta una
diminuzione dei costi dei trasferimenti ed un aumento della loro sicurezza, e quindi il
miglioramento dei risultati economici complessivi del sistema di trasporto urbano.
Va infine posto rilievo alla necessità di prevedere sin d’ora gli effetti in termini urbanistici e di
“uso della città” generati dalla realizzazione di questi nuovi progetti di gestione della mobilità,
che produrrà effetti concatenati che indurranno nuovi cambiamenti nella città, o ne
accelereranno altri già in atto.
Una nuova mobilità richiede attenzione e capacità progettuale da dedicare allo studio di possibili
nuove collocazioni di servizi ed allo sviluppo di nuove o esistenti attività economiche o
insediative, con il coinvolgimento e la collaborazione di organizzazioni imprenditoriali, consigli di
quartiere, associazioni. (settembre 1999)