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Lo spirito di donna Olimpia aleggia sul matrimonio della nipote Anna Pamphilj con il principe Giovanni Andrea III Doria, celebrato il 25 ottobre 1671, che in vita avrebbe benedetto per aver unito due potenti famiglie in un unico casato, Doria-Pamphilj.

Il Festival Barocco di quest’anno, che si svolge a Viterbo e in alcuni centri dei dintor-

ni dal 13 agosto al 15 ottobre, accoglie nel nutrito cartellone una Cantata a tre per

due soprani, basso e continuo, scritta da Alessandro Stradella (Nepi 1639-Genova

1682) per le nozze del principe Giovanni Andrea III Doria con la principessa Anna Pam-

philj celebrate per procura a Roma il 25 ottobre 1671 e festeggiate a Genova con un “fasto

eccezionale” pochi giorni dopo, tra il 7 e il 30 novembre. La Cantata, dal titolo “L’avviso al

Tebro giunto”(o “Lamento del Tebro a due ninfe”) venne commissionata al musicista di Ne-

pi (nella Tuscia Viterbese) dal marchese genovese Rodolfo Sale-Brignole, uomo di vasta cul-

tura, amante della poesia e della musica, mecenate del teatro Falcone, tanto che il suo pa-

lazzo di Genova era un cenacolo di raffinata eleganza. Giunto appositamente a Roma per

scortare la sposa nel suo lungo viaggio, il marchese sottopose a Stradella, conosciuto attra-

verso l’amico Monesio, la composizione da lui stesso scritta ottenendone un benevolo as-

senso. Per comodità di esecuzione gli chiese di limitare la strumentazione a tre personaggi,

il Tebro e due Ninfe. La partitura, seppur condizionata da un testo poetico circoscritto al-

l’evento nuziale, risultò di intensa musicalità e straordinaria vivacità. La Cantata è struttu-

rata in due arie e tre trii preceduti dai rispettivi recitativi; la parte del basso (Tebro) inizia

con un “Lamento” per la partenza della principessa e per la perdita che Roma ne subirà e

le due Ninfe accompagnano questa mestizia, sottolineandola con preziosismi vocali. Poi

esplodono il gaudio e la gioia per gli sposi cui vengono augurati felicità e ricchezza.

La Cantata che ebbe una fa-

vorevole accoglienza a pa-

lazzo, come confermato,

dopo le nozze, dall’amba-

sciatore genovese Luca Du-

razzo, viene ora ripresa dal

Festival Barocco di Viterbo

ed eseguita il 14 Agosto

2005 nella Sala Olimpia del

Palazzo Doria-Pamphilj di

San Martino al Cimino (a

cinque chilometri da Vi-

terbo), nell’ambito dei

“Concerti aperitivo”.

1671. Festeggiate a Genova le nozze Doria-Pamphiljdi Vincenzo CenitiGiornalista

San Martino al Cimino.Palazzo Doria Pamphilj.

A fronteGenova, Palazzo del Principe. DomenicoPiola, Allegoria per il matrimonio Doria-Pamphilj.

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San Martino al Cimino.Stemma araldico deiPamphilj-Maidalchini.

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I due giovani sposi (18 an-

ni Andrea e 19 anni Anna)

non avranno certo avuto

occasione di frequentarsi

molto prima delle nozze,

forse neanche di conoscer-

si essendo in quei tempi

abissale la distanza tra Ge-

nova e Roma. Il loro fu

dunque un matrimonio di

convenienza, organizzato

dalle due potenti famiglie

Doria e Pamphilj, come del

resto era solito accadere in

quei tempi, e favorito dal

principe di Gallicano gran-

de amico della famiglia Do-

ria. Su Anna incombeva

l’ombra protettrice della nonna paterna, Olimpia Maidalchini-Pamphilj, cognata del pon-

tefice Innocenzo X. Originaria di Viterbo dove nacque nel 1591, dopo una breve e falli-

mentare esperienza in un convento, a diciotto anni, nel 1608, venne data in sposa ad un ric-

co viterbese (Paolo Nini) che tre anni dopo la lasciò vedova con una ricca eredità. Ciò le

consentì di frequentare, grazie allo zio Paolo Gualtieri, una delle famiglie più in vista del-

la nobiltà romana di allora, i Pamphilj, rappresentati dai fratelli Panfilio e Giovan Battista.

Genova con i suoisuperbi palazzi“interpretata” da unanonimo pittore venetodella fine del XVIIsecolo.

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Una carrozzaprincipesca inun’incisione di Giuseppe Vasi.

A fiancoFilippo Parodi(attribuzione), progettoper l’esecuzione dellasplendida carrozzadorata costruita in occasione delle nozzeDoria-Pamphilj.(Genova. Disegno n. 3393 della CivicaRaccolta di PalazzoRosso).

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Per la verità, malgrado il titolo di rango che i più generosi fanno discendere da Carlo Ma-

gno, i due non se la passavano tanto bene, per cui furono provvidenziali le risorse di Olim-

pia che nel 1612 sposò Panfilio di trent’anni più grande di lei. Olimpia si stabilì nel pa-

lazzo atavico di piazza Navona a Roma (che poi farà restaurare ed ingrandire con l’in-

tervento di grandi artisti), avendo cura di tener d’occhio il giovane cognato prete Gio-

van Battista in odore di promettente carriera ecclesiastica. Quando nel 1621 il pontefice

Gregorio XV (Alessandro Ludovisi) lo nominò nunzio presso il vicereame di Napoli,

Olimpia si trasferì insieme al marito Panfilio nella città partenopea per un sostegno al

cognato, non solo economico. Fu qui a Napoli che nel 1622 nacque il secondogenito Ca-

millo (unico figlio maschio), padre della nostra principessa Anna. L’insinuazione che il

padre non fosse Panfilio, bensì il fratello Giovan Battista,

ebbe inizialmente alcuni maldicenti fautori, ma alla fine

pochi convinti assertori. Nel frattempo, nel 1623, salì al

soglio pontificio Urbano VIII (Maffeo Barberini). Dopo,

la successiva nunziatura in Spagna, la nomina a cardina-

le, nel 1630, ed altre circostanze favorevoli - sapientemente

combinate dall’intrigante cognata peraltro rimasta vedo-

va nel 1639 - Giovan Battista alla morte di Urbano VIII

riuscì ad ottenere il plenum dei voti dopo trentotto gior-

ni di conclave ed il 14 settembre 1644 ebbe il via libera per

la tiara pontificia. Il Pamphilj sarà Innocenzo X e donna

Olimpia diventerà la Papessa di Roma. Perché? Perché era

avida, astuta, dispotica, presuntuosa e senza scrupoli, aven-

do anzitempo capito che tutto si comprava con il denaro.

E così, complice anche la proverbiale ritrosia del pontefi-

ce alla gestione delle “cose terrene”, riuscì, come nessun

altro in precedenza, ad impinguare le casse vaticane usan-

do ogni mezzo lecito ed illecito possibile, primi fra tutti

il commercio delle indulgenze e i favori concessi per “in-

tercessione” del papa. Sono proverbiali le “pasquinate” di

allora, ovverosia le colorite e sarcastiche rime messe in

bocca all’anonimo popolino.

Sebastian Wranks,Piazza Banchi alla finedel XVII secolo.

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San Martino al Cimino, Museo dell’Abate.Scuola del Velázquez,Ritratto di Innocenzo X.

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Per chi vuol qualche grazia dal Sovrano

aspra e lunga è la via del Vaticano

ma la persona accorta

corre da donna Olimpia a mani piene

e quel che vuole ottiene.

L’Anno Santo del 1650, che la vide impegnata a coordinare l’accoglienza (e le spese) dei

pellegrini, fu forse il primo “giubileo-business” della storia con ben 700.000 arrivi. Prov-

vide anche a regolamentare l’attività delle prostitute costringendole al pagamento delle tas-

se per il loro lucroso “lavoro”. Non dobbiamo quindi meravigliarci se donna Olimpia orien-

tava anche i matrimoni di famiglia e le nomine cardinalizie. Il suo obiettivo, unico e assil-

lante, era quello di potenziare e perpetuare l’immagine dei Pamphilj. Non a caso la figlia

Maria andrà in sposa ad Andrea Giustiniani, genovese e nipote del più noto e facoltoso Vin-

cenzo principe di Bassano, da cui erediterà tutto il patrimonio. Per recuperare i rapporti

con i Barberini, incrinati dal mancato matrimonio di suo figlio Camillo con Lucrezia, co-

stringerà l’adolescente nipote Olimpiuccia (figlia di Maria, di appena dodici anni) a spo-

sare nel 1653, contro la sua volontà, il giovane Maffeo Barberini. Innocenzo X che era

contrario al matrimonio di Camillo con la Barberini, nominò il nepote cardinale, con-

travvenendo ad ogni regola di opportunità. Ma dovette retrocederlo allo stato laicale quan-

do Camillo s’invaghì della principessa di Rossano, Aldobrandini, anch’essa di nome Olim-

pia, che vorrà sposare ad ogni costo. Per la “Papessa” fu un colpo tremendo che segnò l’i-

nizio di una lunga rivalità con la nuora e il figlio Camillo.

Dunque Camillo e Olimpia Aldobrandini. Dalla loro unione nacquero quattro figli tra cui

Anna che vide la luce il 12 febbraio 1652, un anno prima dello storico viaggio di Innocen-

zo X a Viterbo accompagnato dalla stessa cognata che organizzò il “pellegrinaggio” in ogni

particolare. Olimpia morirà di peste nella sua amata San Martino al Cimino – dove fece

costruire un palazzo residenziale oggi sede dell’Apt di Viterbo - nel 1657, quattordici anni

prima del matrimonio di Anna con Giovanni Andrea Doria III, celebrato come detto nel

1671. Avrà avuto modo di prevederlo? Certamente no, ma la loro unione assecondava, co-

munque, il progetto di perpetuare la potenza di casa Pamphilj.

Genova, veduta del celeberrimo“Palazzo del Principe”in un’acquaforte di Giolfi-Guidotti dellafine del XVIII secolo.

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Ed eccoci di nuovo agli sposi Andrea ed Anna. Le cronache ci raccontano che Andrea ri-

masto orfano da bambino ebbe una madre (Violante Lomellina) forte e risoluta che cer-

cò in ogni modo di conservare al giovane figliolo le prerogative di cui aveva goduto il pa-

dre. Sappiamo che le nozze vennero celebrate a Roma per procura il 25 ottobre 1671, mol-

ti anni dopo la morte di Olimpia. Alla cerimonia nuziale nella cappella gentilizia di pa-

lazzo Pamphilj a piazza Navona, seguirono solenni festeggiamenti per la giovane Anna,

appena diciannovenne. La sposa, accompagnata dal fratello Benedetto e da altri dignita-

ri fra cui il genovese Rodolfo Sale-Brignole, partì poi alla volta di Livorno dove era ad at-

tenderla Andrea per condurla a Genova con una scorta di quattro galere. L’arrivo, il 7 no-

vembre, venne accolto da molta gente, presso il ponte Reale, con grande curiosità ed ova-

zioni di giubilo. Anna fu portata su una sedia lussuosa rivestita di velluto e di tela d’ar-

gento fino alla splendida carrozza dorata, costruita per l’occasione dall’artista Filippo Pa-

rodi. Il corteo formato da vari cocchi e lettighe, con il principe Andrea a cavallo, si dires-

se da piazza Banchi verso il palazzo Fassolo. Le cronache del tempo sono prodighe di par-

ticolari. Si sa come fosse vestita Anna in ogni dettaglio (“…il gipone di tela d’oro spoli-

nato di verde serrava la persona con alamari d’oro bellissimi”) e si conosce anche la sua

acconciatura “trattenuta da fili di perle a nodi”. I festeggiamenti, che si protrassero per tut-

to il mese di novembre, costarono 200.000 lire genovesi e non c’è da meravigliarsi consi-

derando gli intrattenimenti e le veglie con centinaia di invitati cui venivano preparate pie-

tanze ricercate e raffinate, servite su preziosi vasellami, tra scenografie bizzarre e stupefa-

centi, ricche di invenzioni ed emozioni. E questo per non essere da meno delle feste ro-

mane, altrettanto celebri per fasto e meraviglia, a cui era abituata la sposa. Per non parla-

re poi degli arredi e delle opere d’arte acquisiti appositamente dai Doria per la circostanza.

Pensiamo agli arazzi di Perin del Vaga o ai dipinti datati e firmati di Domenico Piola

(tuttora visibili nel palazzo di Fassolo) che svolgono il tema allegorico delle nozze. Pre-

ziosi e opulenti i bacili, le stagnare, le posate ed altre stoviglierie in argento massiccio, pe-

raltro foggiati in gran parte da “fraveghi” genovesi; deliziosa quella grande “bragiera” d’ar-

gento, rispolverata per l’occasione, con le imprese del grande Andrea I. Il gran ballo nu-

ziale del 24 novembre superò, poi, ogni immaginazione.

Per contenere le duecento dame e il folto stuolo di cavalieri, venne appositamente alle-

stito un “padiglione effimero”, come si farebbe oggi con una tensostruttura, progettato

dall’architetto e ingegnere militare Ansaldo De Mari. Per la sistemazione del pubblico,

Domenico Fiasella, Il banchetto di Assuero(Genova, Palazzo già Lomellini). Il fastoso banchetto perle nozze Doria-Pamphiljnon doveva discostarsidi molto da quantorappresentato in questoaffresco genovese.

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A chiamato a godere lo spettacolo, si costruì una grande “barraca”. Tappeti persiani sul pa-

vimento, finissimi arazzi fiamminghi alle pareti e nel soffitto i simboli araldici dei Do-

ria e dei Pamphilj con l’aquila e la colomba, dipinti dal maestro Antonio Ratto. All’illu-

minazione provvedevano cinquecento candele capaci di irradiare un “chiarore solare”. I

festeggiamenti si conclusero il 29 novembre, per la festa di Sant’Andrea, con un sontuo-

so banchetto nella Galleria Aurea. Di grande effetto le sculture in zucchero (“trionfi”)

come avveniva a Roma coi papi nelle ricorrenze più importanti. Qualcosa di simile l’or-

ganizzò nel 1667 la madre di Anna, Olimpia Aldobrandini, in una festa a palazzo. Il me-

nu, quantunque si fosse alla fine di novembre, proponeva verdure fuori stagione, come

carciofi, piselli e cavolfiori, di contorno ad abbondante cacciagione proveniente dai feu-

di di Torriglia e Gremiasco. Da ultimo, carrellate di canditi presentate in varie composi-

zioni. La festa si concluse alle sei di notte con una veglia allietata, tra l’altro, dalla voce di

un’amabile donzella.

Non ci è dato di conoscere le vicende della vita matrimoniale dei giovani sposi. Sappia-

mo che ebbero sei figli: Polissena, Andrea, Giovanna, Violante, Camillo e Olimpia (que-

sti ultimi due nel ricordo dei genitori).

Anna morì il 21 marzo del 1728, a 76 anni. Andrea otto anni dopo, il 17 dicembre del

1737. Leggiamo insieme il testo della Cantata che Alessandro Stradella musicò per le lo-

ro nozze fiabesche che consacrarono, come donna Olimpia avrebbe voluto, l’unione dei

Doria coi Pamphilj.

Giovan Battista Carlone, Scena di intrattenimentomusicale, come eracostume nella Genovadel Seicento.

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AD’Anna comporterà l’animo regio

Roma privar del più superbo fregio?

Seconda Ninfa

L’antica potenza

di Roma temuta

ravvisa abbattuta

tra’ le ruine sue la tua partenza.

D’Anna comporterà l’animo regio

Roma privar del più superbo pregio?

Tebro

Queste de Regi idolatrate sponde

che idolatre hor si fan di tua bellezza

come o crudel d’abbandonar presumi?

Dunque non si confonde

il fugace rigor di tua fierezza

mentre su gl’occhi miei miri due fiumi?

Permetterete o numi

voi ch’oltre l’acque sue distille amare

sen corra il Tebro a dar tributo al mare?

Il Vaticano soglio

non il Ligure suol la prole attende

che torni ad honorar scettri, e Camauri.

Presago il Campidoglio

già de la tua progenie al crine appende

e destina alle Destre, e palme, e lauri.

Altra Ninfa

Questa quivi restauri l’avìte glorie

ove con nuovi honori

gl’Innocenzii ei Clementi il mondo adori.

Tebro e Due Ninfe

Ma già sento ch’il Nume Imeneo

a te forma soavi catene,

e ch’il cor già ti manda in trofeo

chi ti sospira in su le patrie arene.

Vanne felice e i figli tuoi

la Liguria et il mondo empian d’eroi.

Una Ninfa

Si raconsoli pur del Tebro il duolo

che tu giungendo in quei reali alberghi

de lo sposo gentile

so che rimirerai con nuovo stile

serbati al capo de tuoi figli e al petto

l’ori che illustri e gloriosi usberghi

degl’avi che portò la fama a volo

e dirai visti del consorte i pregi

esser la sua magion tempio de Regi.

Altra Ninfa

E l’Aquila natia poscia vedrai

volta a tuoi vaghi rai

in vagheggiar gl’Aldobrandini rastri

sprezzare il sole ed affissarsi agl’Astri.

Tebro e due Ninfe

Hor che avverso il destino dispone

che tu lasci del Tebro le rive

ove già di Tiare e Corone

la gloria alla tua stirpe il Cielo ascrive.

Vanne felice e i figli tuoi,

la Liguria et il mondo empian d’eroi.

L’AVVISO AL TEBRO GIUNTO

Narratore

L’avviso al Tebro giunto

che fra i legami d’un pudico amore

Anna Diva Pamfilia il Ciel stringea,

che in brevi dì dovea

gire in Liguria a consolarne il core

del gran Doria, coll’alma a lei congiunto,

ei nell’istesso punto

fattosi con le Ninfe a Lei davanti

così spiegò nelle due voci i pianti.

Trio (Tebro e due Ninfe)

E perchè da noi lontano

o bel sole Aldobrandino?

vuoi partir dal ciel latino

vuoi lasciare il suol romano

Perchè togliere a me luci sì belle

se su le sponde mie regnan le stelle.

Frena il tuo rapido corso

ne voler più tormentarmi

quivi resti a consolarmi

de tuoi raggi il bel concorso.

Hor che i folgori altieri ardon benigni

lampeggeranno i tuoi, così maligni.

Tebro

O Prencipe degl’Astri,

che per l’eteree vie conduci il giorno,

Monarca splendidissimo del Cielo,

stimino lor disastri

quei che vicino al Polo hanno il soggiorno

fra’ l’ombre involti e sempre esposti al gelo.

Di te non mi querelo;

e chi nel mondo abbandonar non vuole

per queste due pupille i rai del sole.

Per gl’ecclittici sentieri

Febo guidi Efo e Piro,

corra pur su carro d’oro

a cercar nuovi emisferi

che a gl’occhi miei fan luminose mostre

più dei raggi del sol le stelle vostre.

Una Ninfa

Noi non siam due sirene allettatrici

che negl’accenti lor chiudean la morte,

dolci homicide, e furie armoniose.

Altra Ninfa

Ma due ninfe infelici

che palesiam d’una perversa sorte

le sventure per noi troppo penose.

Due Ninfe

Qui per te lagrimose

per te dolenti a piedi tuoi prostrate

chiediam giusta mercè giusta pietate.

Prima Ninfa

Tu scusa l’ardire

o bella Tiranna

chè troppo s’affanna

il nostro cor se tu vorrai partire.

Le fastose dimore

di Roma e Genova,

dove Anna Pamphilj

trascorse la sua vita,

sono aperte

al pubblico

con i seguenti orari:

Roma,

Galleria

Doria Pamphilj

(Piazza del Collegio

Romano 2,

tel. 06/6797323);

tutti i giorni, escluso

il giovedì, dalle ore

10,00 alle ore 17,00.

Genova,

Palazzo del Principe

(Piazza Principe 4,

tel. 010/255509);

tutti i giorni, escluso

il lunedì, dalle ore

10,00 alle ore 17,00.