Lo showroom visto come luogo per espor- - Interior Designer · 1 - Gabriella D’amato, Storia del...

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Lo showroom visto come luogo per espor-re dei prodotti in modo tale da poter inviare al consumatore un messaggio completo che racchiude la storia dell’azienda e del prodotto. Nel 2010 non basta tutto ciò, il messaggio che deve arrivare necessita di essere emozionale, deve trasportare il consumatore verso un’espe-rienza sensoriale trasformando il cliente in uno spettatore che, come durante una rappresen-tazione, segue con coinvolgimento ogni scena dello spettacolo. Ed è per questo che nasce l’i-dea di “Home studio”, un nuovo concept store, che si basa sull’innovazione di creare un bino-mio vincente tra il concetto retail e il concetto di abitare, capace di far sentire il cliente in una vera e propria casa dove può acquistare qual-siasi cosa per ricreare lo stesso ambiente nella propria abitazione: il percorso all’interno dello spazio espositivo diventa “esperienza” perso-nale in quella che potrebbe diventare una pri-vata abitazione.

Tutto, dagli spazi ai colori, dagli arredi ai profumi, ricorda l’ambiente familiare di una casa. Nessun esibizionismo museale dei pro-dotti, ma altresì una disposizione “casalinga”, familiare e accogliente. Non rigide divise da lavoro ma informali abiti di ogni giorno; in nes-sun posto, più che a casa propria, è importante sentirsi liberi. Lo scopo di questa tesi è quello dunque di progettare una nuova esperienza di shopping per i mercati italiani dell’arredamento, cercan-do di racchiudere tutte le esigenze del consu-matore: dall’analisi del processo d’acquisto al marketing strategico, dal marketing relazionale a quello sensoriale e olfattivo, e infine dai vari showroom tradizionali alla realizzazione di un nuovo retail attraverso un’atmosfera emozio-nale con richiami ai valori della casa e dell’ac-coglienza.

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IL MONDO DEL DESIGNIL DESIGN La parola design nasce in Inghilterra allo scade-re della metà del XIX secolo, in concomitanza con lo sviluppo della Rivoluzione Industriale. Quest’ultima, come è noto, è stata comunemente assunta come l’evento che determina l’inizio dell’era contemporanea: di conseguenza anche il design, tipica espressione del mondo dell’industria, ha finito con il liquidare rapida-mente ogni rapporto con il passato.

Sotto la spinta delle nuove tecnologie, la discipli-na in questione ha dovuto elaborare inediti metodi progettuali, soddisfare o indurre nuovi bisogni perché pressata dalle domande di consumi di una società sempre più allargata: così, rincorrendo il nuovo, per non confondersi con le ‘antiche’ arti applicate, si è data pure un altro nome. (1) E’ inoltre lecito domandarsi se sia proprio vero che la Rivoluzione Industriale abbia generato una nuova disciplina o se non abbia piuttosto dato l’avvio alla trasformazione delle vecchie arti applicate in quello che oggi chiamiamo ‘design’. Se così fos-se, in analogia con l’architettura, si potrebbe anche definire il design un’arte applicata soprattutto

perché a esso ‘si applicano’ nuove esperienze esteti-che, economiche e tecnologiche capaci di renderlo più significativo dal punto di vista culturale. Infine, un ul-teriore argomento per spiegare l’antistoricismo del de-sign va ricercato nel suo rapporto con le avanguardie figurative, dimostratesi capaci di suggerire non solo spunti per nuove espressioni formali, ma anche una profonda intolleranza verso la storia. Nondimeno, superati tali disquisizioni, si assume come ipotesi non la definizione, ma il manifestarsi del design come fenomeno formato da quattro momenti intera-genti: - progetto- produzione- vendita- consumo.

1 - Gabriella D’amato, Storia del design, bruno Mondadori 2005, p. IX.

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La relazione fra le fasi del progetto, della produzione, della vendita e del consumo è l’artificio sto-riografico adottato da Renato De Fusco nella sua Storia del design, artificio che l’autore definisce altresì “ teoria del quadrifoglio” (2) riconducendo il design a un fenomeno uno e quadruplo con-sente di analizzarlo secondo momenti separabili anche se strettamente interagenti. Il parametro delle quattro fasi, progetto , produzione, vendita e consumo, oltre ad ordinare la materia, serve anche ad indicare quei fenomeni che, rispondendo a tutti i requisiti dello schema, possono assumersi come veri e propri ‘eventi’ del design: l’artificio storiografico delinea altresì una discriminante linea critica fra ciò che rientra a pieno titolo nella vicenda del design e ciò che ne resta ai margini, sia pure apportando un significativo contributo.Si possono individuare, attenendosi a questi assunti, anche degli avvenimenti storico/ artistici precedenti alla nascita vera e propria dell’ industrial design: si tratta di eventi che hanno maggior-mente sancito il raggiunto equilibrio tra la sfera progettuale e produttiva da un lato, e quella della vendita e del consumo dall’altra. La settecentesca attività del ceramista Wedgwood, la produzione degli Shaker, l’ineguagliata attività di Thonet sono i più fondati esempi di coloro che hanno anticipato i presunti fondamentali del design, ovvero di una produzione destinata alla massa e basata sulla qualificazione formale, la quantificazione, il basso costo di produzione e il basso prezzo di vendita.

2 - Renato De fusco, Storia del design, Laterza, 1985

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IL mondo degli interni

Quasi contemporaneamente alla nascita dell’industrial design si assiste allo sviluppo di una progettazione che è in particolar modo indirizzata alla sfera dell’abitare, degli spazi pubblici e ricettivi o, comunque, di tutte quelle aree costruite che rappresentano un ‘luogo’ fruibile dall’essere umano: si tratta, appunto, del design di interni. I primi esempi rintracciabili di design degli interni furono senza dubbio indirizzati all’abitare privato e, soprattutto, strettamente collegati alla progettazione architettonica in questione: si tratta di case progettate in Inghilterra intorno alla metà del XIX secolo, all’interno di quell’atmosfera fortemente evolutiva dovuta alla di poco precedente Rivoluzione Industriale.La Casa Rossa, progettata e costruita da Philip Webb per William Morris nel 1859, acco-glie il primo lavoro dell’artista preraffaellita Morris che com-prende sia la progettazione che la realizzazione di interni. (3) Questa grande casa di cam-pagna nel Kent venne infatti concepita dal suo proprietario come opera d’arte totale, e fu seguita sia dall’architetto che dal committente ( il cui lavoro sarebbe di lì a poco diventato quello di un interior design ante litteram) nei minimi particolari. Oltre a curare la progettazione e la disposizione degli spazi interni dell’edificio, William Morris si occupò della creazione e realizzazione degli arredi stessi e perfino delle decorazioni pertinenti agli ambienti, dagli specchi alle carte da parati, dall’illuminazione ai tendaggi. Nei decenni successivi si trovano numerosi sviluppi in tutta Europa, e anche negli Stati Uniti d’America, di questo concetto di ‘progettazione totale’ degli spazi interni degli edifici: dal Deutsche Werkbund alla Scuola di Glasgow di Charles Rennie Mackintosh, dai lavori di Gaudì al Bahuas, fino ad arrivare ai primi lavori oltreoceano di Frank Lloyd Wright, i più importanti esempi di design di interni furono strettamente collegati agli esordi alle figure degli architetti, che , contemporaneamente alla progettazione esterna dell’edificio, curavano, talvolta in maniera persino maniacale, anche la progettazione degli spazi interni di essi. In seguito, andando avanti nei decenni, la figura dell’interior designer si è gradualmente distaccata da quella dell’architetto, fino ad assumere una propria definita identità e anche uno specifico campo di azione e intervento.Comunemente si associa all’interior designer una figura più simile ad uno stilista d’interni, ma in

realtà il designer presta particolare attenzio-ne, oltre che agli aspetti estetici e decorativi, anche a quelli pratici e funzionali del vivere la casa: ad esempio che i mobili abbiano il giusto dimensionamento, che siano rispettati gli spa-zi di passaggio, che gli arredi siano disposti in modo comodo e funzionale, che i materiali e le tecnologie utilizzati siano di buona qualità, che non ci siano potenziali pericoli per la salute di chi usufruirà di questi ambienti.

3 - Kennet Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, 1993 p.

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4 - Luca Guerrini (a cura di) Design degli interni, Contributi al progetto per l’abitare contemporaneo, Franco Angeli 2006 p. 95 - Luca Guerrini (a cura di) Design degli interni, Contributi al progetto per l’abitare contemporaneo , Franco Angeli 2006 p. 10

IL design degli interni ••• • • •• • • • •• • • • Il progetto di interni gioca oggi un ruolo centrale nei processi dirifunzionalizzazione della città. Infatti, attraverso la realizzazione capillare e minuta dei microambienti e sottosistemi architettonici produce una sorta di ‘ lubrificante’ che consente alla città di riadattarsi continuamente al nuovo. Si assiste quindi ad una sorta di paradosso: una pratica progettuale comunemente riferita alla piccola scala, alla dimensione domestica, all’intervento puntuale, che assume rilevanza urbana. (4) Da sempre, i meccanismi di manutenzione diffusa e di micro-trasformazione degli interni assi-curano l’aggiornamento del patrimonio edilizio urbano, tanto più quando, di fronte a repentine trasformazioni sociali, l’enfasi si sposta dalla costruzione del nuovo al riuso. Le politiche di rinnovo urbano promosse da numerosi paesi del mondo occidentale, a seguito dei processi di deindu-strializzazione, muovono in questa direzione. Il caso forse più indicativo è quello della inner city, conservata come valore condiviso, emblema identitario per l’intera compagine urbana e tuttavia sottoposta ad una incessante azione di ammodernamento.

Il fenomeno di cui il progetto di interni è oggi protagonista supera i li-miti del centro cittadino ed assume caratteri di un’ energia pulviscolare che pervade la totalità del costruito. Questa non è certo il risultato di un’a-zione pianificata, frutto di scelte politiche condivise, ma piuttosto si configu-ra come sommatoria di interventi individuali o di

gruppo, che agiscono nelle pieghe della norma urbanistica, e producono una continua evoluzione di co-dici funzionali: siamo all’interno di ciò che viene chiamata modernità debole, ovvero una modernità che produce trasformazioni diffuse, poco evidenti, reversibili, ma di grande rilevanza complessiva. (5) In questa città introflessa il progetto di interni ha acquisito livelli di complessità crescente alla ricerca di una qualità ambientale che non si limita al rigore geometrico - percettivo o alla precisio-ne del disegno degli spazi, ma corrisponde ad una pluralità di requisiti imposti dalla stessa com-plessità dell’abitare contemporaneo, requisiti che attengono alla natura evolutiva dei dispositivi di funzionamento degli interni, ovvero all’esigenza, pressoché continua, di aggiornamento degli spazi in termini di modalità d’uso e di svolgimento delle attività insediate, di upgrade tecnologico ed impiantistico, di adeguamento normativo e di sicurezza. In tale processo il progetto di interni ha messo a punto una serie di atteggiamenti, di pratiche e di soluzioni, che se non sono, a tutt’oggi, formalizzati in teorie, metodi e tecniche operative, tut-tavia segnano un distacco dalla tradizione unitaria della cultura del progetto, centrata sui saperi dell’Architettura. Esso guarda piuttosto alla cultura del design che a partire dai tardi anni ’60 apre nuove e più aggiornate prospettive: una concezione autonoma dello spazio interno, orientata alla flessibilità e alla trasformazione, prodotta da sottosistemi ambientali indipendenti, con tecnologie, layout funzionali e qualità proprie.

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L’idea di progetto – e di progettista - che ne emer-ge, privilegia il confronto con l’innovazione, la promuove a la arricchisce. Guarda all’uni-verso tecnologico come ambi-to prioritario di ricerca. Adotta tecniche e metodi della comu-nicazione grafica e multime-diale. Il design degli interni sceglie di operare in una di-mensione di mercato, accet-tandone regole e vincoli. Tale atteggiamento, in parte in-fluenzato dalla vicinanza cul-turale con il product design, deriva dalla consapevolezza che l’azione progettuale può rispondere, e per cio’ stesso influenzare/ condizionare, il proprio contesto economico di riferimento. Il design degli interni quindi si propone come parte attiva e trasformativa all’in-terno di quel processo, lavora sul mondo ‘com’è’, confron-tandosi con i meccanismi della produzione e con le ricadute di questi nella società e nella cul-tura. Per proporre risposte ope-rative efficaci esso si interessa, senza preclusioni ideologiche o visioni elitarie, alle condizioni effettive di produzione del pro-getto e alle tecniche operative messe a punto per soddisfare le esigenze della società, anche quando tali tecniche sono svi-luppate al di fuori della cultura del progetto. Le ricerche per un ambiente abitativo autentica-mente aperto alla trasforma-zione, il richiamo costante alla reversibilità delle soluzioni, riferiscono di una azione pro-gettuale che si dispiega in un orizzonte temporale breve. Il design degli interni abbando-

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na la durata come valore, adotta una logica di processo, evolutiva e flessibile, verso nuove soluzioni per l’abitare contemporaneo.Non si tratta di una remissione ai vincoli imposti da un’economia dei consumi, ma di una forma consapevole di risposta alla rapidità delle trasformazioni sociali, delle modalità produttive, delle dinamiche urbane, nell’epoca della ‘accumulazione flessibile’ e della ‘ compressione ‘spazio – tem-porale’, come pure di un atteggiamento mutuato dal design, disciplina relativamente nuova e libera da vincoli statutari, ma strutturalmente integrata ai modi della produzione: è l’accelerazione dei cicli industriali, l’elemento che ha realmente modificato la vita quotidiana. Si assiste quindi ad uno spostamento in termini di referenti e soluzioni. Se la società con-temporanea è nomade, transitoria, flessibile, allora gli spazi che per definizione accomunano queste caratteristiche (luoghi della domesticità contemporanea, spazi allestitivi, veicoli) possono leggersi come prototipi di soluzioni universali. La condizione eccezionale diventa referente dell’ordinario. Lo spazio costruito si connota di nuovi caratteri. Se è reversibile, privilegia la tecnologia del montaggio a quelle della costruzione: adotta materiali leggeri, riduce la massa, la quantità del materiale impiegato, quindi lo spreco; considera la riciclabilità, ovvero riflette sul progetto stesso all’intero ciclo di vita delle componenti in una logica di sostenibilità ambientale.Si intravedono tensioni culturali più profonde, oltre i limiti di questa premessa: la leggerezza come tendenza globale avviata dalla tecnologia dell’informazione, la ricerca di modalità più lievi ed evo-lutive di antropizzazione del territorio verso nuove forme di relazione artificio/natura.

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ANALISI SoCIETà A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha conosciuto profondi cambiamenti economici, che da Paese ancora per molti versi arretrato, con un reddito pro-capite pari solo al 36% di quello statunitense, l’hanno portata a diventare, nei decenni successivi, una delle maggiori potenze economiche mondiali, grazie ad un continuo processo di crescita economica, durato fino alla fine degli anni novanta del XX secolo.

Durante questa fase, il progressivo ridi-mensionamento del settore primario (agri-coltura, allevamento e pesca) a favore di quello industriale e terziario -in partico-lare nel periodo del boom economico de-gli anni ‘50/’70- si è accompagnato a pro-

fonde trasformazioni nel tessuto socio-produttivo: suddette trasformazioni avvenivano in seguito a massicce migrazioni del Meridione verso le aree industriali del Centro-Nord grazie anche ad una forte spinta all’urbanizzazione, legate a doppio filo alla parallela trasformazione del mercato del lavoro. La fase di industrializzazione di cui sopra è arrivata a compimento negli anni ‘80, quando è co-minciata la terziarizzazione dell’economia italiana, con lo sviluppo dei servizi bancari, assicurativi, commerciali, finanziari e della comunicazione. Negli anni 2000, invece, l’economia italiana entra in una fase di sostanziale stagnazione, carat-terizzata da una crescita estremamente bassa. Sul finire del primo decennio del nuovo millennio, come effetto della crisi economica globale, il Nostro Paese entra in un periodo di vera e propria recessione. L’Italia è, oggi, un paese in crisi, ed è proprio su questa consapevolezza che diventa necessario costruire nuove opportunità di crescita, in modo da riuscire a distinguersi all’interno di una realtà che si trova sicuramente in un momento di impasse. Passando ad analizzare il settore del design degli interni è fondamentale specificare in prima battuta come il Made in Italy rimanga comunque il ‘prodotto’ di riferimento per il mercato mon-diale all’avanguardia: d’altro canto però nel nostro paese questo settore sta avendo sempre meno riconoscimenti, nonostante i Designer e gli Architetti ideino, creino e realizzino sia importati pro-getti sia importanti spazi espositivi. Proprio per questo motivo bisogna identificare modi e formule organizzative che servano a superare i grandi cambiamenti della società e del mercato Italiano.

“ANCHE IN TEMPO DI CRISI C’E’ CHI PROSPERA E GUADAGNA”

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• • •• • ••• •• • • •• ••• • • ••• • •• •1. Ripensare al progetto degli spazi espositivi, in-dividuando e valorizzando i punti di forza dell’at-tività.2. Avere una discreta rendita di posizione sul terri-torio – localizzazione ( lontano dalla concorrenza )3. Essere esperti e preparati, conoscere cioè i mec-canismi che spingono il consumatore all’acquisto.4. Organizzare il punto vendita in modo da otte-nere un’attenzione particolare e prolungata da parte della clientela.

• • ••• •• •••• • ••• • •• • • • ••• •••• • • • • • •••• • •• •••• ••1. Attrarre il consumatore nel punto di vendita.2. Progettare, creare, vendere e realizzare l’idea.3. Far si che il consumatore sia soddisfatto e ritorni o che esprima un giudizio positivo nei confronti dell’ambiente “sposato”.Il biglietto da visita è sicuramente individuabile nell’ambiente, nello show-room, nell’atmosfera del luogo: la locazione deve essere quindi attra-ente, sorprendente e amichevole.Partendo inoltre dal presupposto che “tutti han-no tutto” occorre dare al cliente INFORMA-ZIONI, ESPERIENZE ed EMOZIONI NUOVE.Per progredire in questo senso è molto impor-tante, anche per gli addetti del settore, consul-tare la ‘webmobili’, da anni unico motore di ri-cerca e statistiche, che si è trasformato in tre siti specializzati:1. www.webmobili.it = una piattaforma dedicata esclusivamente alla ricerca di comple-menti d’arredo.2. www.internicasa.it = sito dedicato alla promozione nel settore idrotermosanitario e delle finiture degli interni.3. www.tavolaregalo.it = un sito del tutto autonomo che si concentra soprattutto su og-getti di design per la tavola e per il living in ge-nerale.Questi tre siti offrono una informazione com-pleta e mirata, con lo scopo di rispondere agli utenti per oltre 300 diverse tipologie di prodotti (650 le aziende, 2.000 i negozi aderenti, 35.000 le schede di prodotto); il settore attraverso la rete ha trovato in questo caso terreno fertile sul quale accrescere la propria visibilità nei con-fronti dei consumatori.

Un altro dato fondamentale in seno a una valu-tazione del mercato degli ‘interni’ offerto dalle statistiche è quello che, sul fronte della vendi-ta al dettaglio, negli ultimi anni le CHIUSURE DEI PUNTI VENDITA HANNO SUPERATO LE NUOVE APERTURE.

Il saldo negativo è il segnale che ci indica con forza la necessità di provare ad immaginare nuovi percorsi, e l’intervento sul punto vendita è il fronte reale sul quale si deve intervenire per combattere la crisi in modo diretto.Ma cosa può fare il singolo showroom per rivol-gersi con ottimismo ad un consumatore provato dalla crisi economica?

La FLESSIBILITA’ è senza dubbio la vera opportunità di superamento della crisi e l’uni-co modello di impresa vincente: il negozio del futuro sarà quindi un luogo dove le persone entreranno per acquistare un’idea, sotto forma di progetto, e si sentiranno come se fossero entrate in un ambiente a loro familiare. E’ solo così che il cliente, oltre ad essere emozionato e entusiasta per l’aver trovato un’atmosfera a lui congeniale, non cadrà nella ‘trappola’ della dissonanza cognitiva portando beneficio sia a se stesso che all’attività che gli ha proposto e venduto l’idea. L’Unione Europea ha chiesto a tutti i paesi suoi membri di stilare un Quadro Strategico Na-zionale, nel tentativo di rafforzare la logica stra-tegica della programmazione in seno allo svi-luppo e alla occupazione del paese in questione. Questo documento è fondamentale per rendere più efficaci gli eventuali interventi a sostegno di una futura crescita.I temi sono quindi CRESCITA e OCCUPAZIONE e le aree strategiche prioritarie possono essere suddivise in:• ricerca e sviluppo tecnologico.• Innovazione.• Imprenditorialità.• Informazione. • energia e fonti rinnovabili.• protezione ambientale.

Il Censis, che dal 1964 svolge un’attività di ri-cerca in campo economico e sociale, ha suddivi-so idealmente l’Italia in 5 categorie di province molto diverse tra loro:1. Province della DENSITA’ AFFLUENTE del centro-nord, di cui fanno parte le città di Firen-ze, Pisa, Livorno, Roma e Pescara. Queste realtà sono caratterizzate da densità abitativa, perso-ne maggiormente scolarizzate, maggior numero di laureati, popolazione ricca ma più anziana e con un alto tasso di criminalità.2. Province della SOLIDITA’ INDUSTRIALE: è il gruppo che rappresenta il cuore produtti-vo del paese, comprende le province Lombarde fino a quelle Venete con prolungamenti che ar-rivano all’Emilia Romagna: sono queste ultime province caratterizzate da una rilevante vivaci-tà socio-economica nel settore manifatturiero, hanno un’alta densità di popolazione, una forte presenza di stranieri, e infine bassi indici di vec-chiaia.3. Province dell’ITALIA MEDIANA.4. Province del MEZZOGIORNO.5. Province della RAREFAZIONE e della DI-PENDENZA SOCIALE. Le cinque aree individuate confermano una sostanziale differenza tra loro stesse, come se passassimo da un paese all’altro e non da una zona all’altra dello stesso paese.E’ importante specificare che questa situazione non proviene dalla crisi in atto ma da molto più lontano, e si configura in un bisogno decisa-

mente sottovalutato: il bisogno cioè dell’ade-guamento dei modelli operativi. Molte aziende manifatturiere italiane continuano infatti a pre-sidiare il territorio attraverso reti che fanno rife-rimento alle province, e a definire inoltre la loro attività di marketing facendo riferimento a dati tradizionali, non riuscendo invece a percepire i profondi cambiamenti che la nostra società ha subito negli ultimi decenni. L’Italia è inoltre priva di una rete in grado di sostenere la ricerca: tra le 500 imprese Europee che investono maggiormente nella ricerca, 149 sono ubicate nel Regno Unito, 100 in Germania, 66 in Francia, 44 in Svezia e solo 17 in Italia.

A questo punto la domanda sorge spon-tanea: se si individua nell’innovazione la colon-na portante dell’ uscita dalla crisi, come si può fare innovazione senza ricerca? Una delle cause di tale mancanza di coscienza da parte degli imprenditori italiani risiede nell’arretratezza del sistema industriale e nell’incapacità di creare politiche di sostegno adeguate; solo un terzo delle imprese del nostro paese infatti si sta in-novando in modo sostanziale e visibile. L’Italia è certamente pervasa da energie vitali molto valide, ma queste sono frequente-mente non sostenute e quindi costrette ad emi-grare in altri paesi.

Anche il SISTEMA SCOLASTICO E DI FOR-MAZIONE è in crisi, così come l’Università, so-prattutto se confrontato alle linee di educazione adottate in sede Europea, che pongono la co-noscenza e l’apprendimento per tutti i cittadini come base per trasformare l’economia europea in modo più competitivo e dinamico. Nel nostro paese si assiste ad una incredi-bile proliferazione di corsi assolutamente poco incisivi, manca un sistema di valutazione certo e valido per tutti, e mancano infine i cosiddetti poli di eccellenza. Le strutture che offrono servi-zi di orientamento sono 25.000, ma nonostante l’elevato numero non esiste una sufficiente in-formazione da parte del cittadino, e così come spesso accade, tutto rimane nel libro delle buo-ne intenzioni. Fatto interessante è notare quanto stia cambiando il concetto di PROFESSIONALITA’, concetto che si allinea sempre più verso a quello di competenza, e che viene inoltre vissuto come

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elemento appartenente alla sfera personale.Questo fatto crea dei cambiamenti tangibili all’interno della società:• Aumentano i laureati• Aumenta sia il numero dei corsi universitari che di quelli particolari (cucina, fotografia, de-sign ecc.)• Crescono le iscrizioni universitarie All’interno della questione studi e profes-sionalità si segnala un forte aumento di ciò che viene definito il “talento femminile”: le donne infatti studiano di più, con meno difficoltà e ri-sultati migliori rispetto ai loro coetanei maschi. Tutto ciò avviene nonostante queste si trovino alla fine più insoddisfatte a livello occupaziona-le, e abbiano una minore propensione al lavoro autonomo. Lo stato di precarietà lavorativa riguarda principalmente chi si è preparato per una situa-zione di vertice e di responsabilità, oppure per chi non si è preparato in maniera adeguata; co-loro invece che si collocano in mezzo, ai quali cioè non vengono richieste competenze parti-colari, sono i più tranquilli e mediamente i più soddisfatti. Un fenomeno degno di nota, che si è pre-sentato negli ultimi anni, è la comparsa di quel-li che spesso vengono definiti nuovi ricchi: ciò è testimoniato da acquisti di auto di lusso, da forti vendite nel settore della nautica di lusso, e dall’acquisto di immobili di grande valore. Il 4% delle famiglie italiane risiede infatti in case

di lusso ubicate in zone di prestigio, e il 2,6% è proprietaria di almeno tre abitazioni; è questa però una ricchezza molto fragile, forse proprio perché è espressione di un modello di debolezza del paese.I nuovi ricchi sono principalmente identificabili in persone che:•Sono lavoratori autonomi (professionisti e imprenditori)•Risiedono nel Nord del paese•Sono sposati Secondo la Banca d’Italia le famiglie più ricche possiedono quasi la metà della ricchez-za netta del paese, mentre dal lato opposto aumenta il numero dei nulla tenenti. Questa tendenza fa emergere una situazione generale rispetto alla quale i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Le categorie che risentono maggiormente di questa nuova situazione sociale sono senza dubbio gli anziani, gli immigrati, i giovani e le giovani coppie.In questo momento storico, solo il 14% degli italiani afferma di riuscire a fare ciò che proget-ta, il 51% dichiara che il rischio imprenditoriale è cresciuto vertiginosamente e il 35% negli ul-timi due anni ha visto fallire la propria azienda. La maggior parte delle famiglie vive in una situazione di minore stabilità reddituale ed è cre-sciuta la probabilità di subire cadute tali da non permettere più il ricollocamento, neppure nelle classi di basso reddito. Tra il 2000 e il 2012, circa

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240.000 famiglie fino allora identificate a reddito medio, sono scese tra le famiglie a reddito basso.Le paure di fronte a questa “feroce” crisi econo-mica, portano il cittadino italiano a mettere in atto i seguenti comportamenti:RisparmiareConsumare menoLavorare di più, trascurando se stessiPer PAURA di:Dover rinunciare al proprio tenore di vitaPerdere i propri risparmiNon riuscire a pagare il mutuo o affittoIndebitarsiPerdere il lavoroSiamo così in presenza di quella che viene chia-mata percezione psicologica dell’economia.Alcuni dati ci informano che stiamo andando verso una gerarchizzazione soggettiva dei bi-sogni costruita secondo un uso intelligente dei consumi e dei comportamenti economici per la sopravvivenza del proprio benessere (cellulare, moto, automobile, vacanza, dieta, sport, parruc-chiere, estetista, medici specialisti).Le paure percepite stanno inoltre generando azioni politiche e sociali restrittive, che vanno esattamente nella direzione opposta di integra-zione, evidenziando così una chiusura mentale su tutti i fronti, che certamente non porterà be-nefici, ma arretratezza e insoddisfazioni.

Dal punto di vista sociale, l’immigrazione è una delle dinamiche sociali più potenti in termine di cambiamento; oggi, in Italia, gli immigrati sono il 6% della popolazione residente. Gli immigrati sono comunque considerati soggetti attivi, do-tati di una forte propensione al rischio e con un’alta capacità di adattamento. Gli Italiani residenti sono 59 milioni, con un’alta percentuale di anziani e una marcata differenza tra nord e sud: al sud vivono più gio-vani e al centro-nord più vecchi.L’indice di invecchiamento Italiano rappresenta un primato rispetto all’Europa. Interessante è osservare la dinamica delle famiglie:aumentano le famiglie di una personaaumentano le famiglie di due personeaumentano lievemente le famiglie di tre personediminuiscono le famiglie di quattro o cinque componentisono ferme le famiglie di 6 o più componentiaumentano i matrimoni misti e aumentano i divorziIn Italia ogni singola categoria è in crisi, pen-sionati, studenti, lavoratori: ognuno ha la forte sensazione di essere trascurato, e ciò accade perché lo stato fa scarsa attenzione alla doman-da.Oggi si cambia solo di fronte all’emergenza, e a volte non è sufficiente.

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I TIPI DICOMPORTA-MENTOD’ACQUISTO

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Dopo aver effettuato un’analisi completa della struttura della società italiana è necessario approfondire l’individuo sotto veste di consumatore: questo “taglio” dell’analisi riguarda soprattutto il profi tto delle attività e quindi la permanenza sul

mercato di qualsiasi azienda.

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1. Bisogni primari: sono bisogni il cui soddisfacimento è necessario per poter vivere (come mangiare, bere e dormire)2. Bisogni secondari: sono bisogni il cui soddisfacimento non è stretta-mente legato alla vita dell’individuo, ma soltanto alla possibilità di condurre una vita qualitativamente migliore (come viaggiare, divertirsi, acquistare mobili, fare shopping, praticare sport ecc.). Hanno meno urgenza rispetto ai bisogni primari e di solito vengono soddisfatti in seguito ai bisogni pre-cedenti (per esempio: ora ho fi nito di mangiare e vado a vedere un negozio di arredamento).

Con riferimento alla causa che li determina si hanno invece due tipologie di bisogni:

1. Bisogni individuali: se avvertiti dal singolo nella propria sfera pri-vata (per esempio il bisogno di bere un succo al mattino)2. Bisogni collettivi: sono avvertiti da tutti gli individui in quanto membri dalla società. Generalmente questi bisogni sono soddisfatti dallo stato o da altri enti pubblici come Comuni, Province e Regioni (per esempio il bisogno di poter circolare liberamente sulle strade rispettando il codice).

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A seconda della possibilità o meno di rinunciare alla loro soddisfazione, i bisogni si classificano in:

1. Bisogni elastici: sono bisogni ai quali l’individuo è disposto a rinunciare se diminuiscono i mezzi a sua disposizione (ad esempio: se una persona ha già speso € 1.000,00 per il televisore, ha diminuito il denaro che aveva a disposizione e non può comprarsi la madia porta tv). Si tratta generalmente di bisogni secondari.2. Bisogni rigidi: sono bisogni la cui rinuncia comporta notevoli disagi e difficoltà (se un individuo non mangia a pranzo non può andare al corso di spinning in quanto non ha le energie necessarie per affrontare la lezione).

Secondo la loro proiezione temporale si distinguono i bisogni presenti da quelli futuri:1. Bisogni presenti: sono quelli sentiti in un preciso momento e che sono contemporaneamente soddisfatti (una persona ha bisogno di un progetto per gli interni della sua casa e va a prendere l’appuntamento per un incontro).2. Bisogni futuri: sono quelli che saranno soddisfatti in un momento successivo (l’individuo prevede un inverno molto freddo e quindi va ad acquistare una coperta di lana). Si tratta di un bisogno, quello di ripa-rarsi, che la persona sente però con meno intensità rispetto ai bisogni presenti. (6)

In conclusione:- dai bisogni dobbiamo distinguere i desiderio.- Il desiderio è una specifica modalità di soddisfare un determinato bisogno.- Il bisogno di vivere e abitare confortevolmente può far sorgere il desi-derio di avere una casa moderna e funzionale per un designer in carrie-ra, o una poltrona di pelle per una persona che ama rilassarsi leggendo un libro davanti al proprio camino.

6 - Gianluca Buganè, Ufficio marketing & comunicazione, HOEPLI 2006, pp.4-6

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• • • • •• ••• • • •• • • • • • • • • • • • • •• • • •• • • • • • • • • • ••

Ogni azienda ha come scopo la soddi-sfazione dei bisogni dei consumatori. A tal fi ne le aziende producono o vendono beni e servizi che i consumatori stessi acquistano tra una, più o meno, ampia varietà disponibile sul mercato. Defi niamo comportamento d’acquisto del consumatore l’insieme degli acquisti di beni e

servizi che i consumatori fi nali effettuano per proprio uso personale o per i loro familiari; l’insieme degli acquisti nella sua globalità costituisce il mercato di consumo. Attualmente, i beni e servizi prodotti o venduti dalle aziende sono innumerevoli, a differen-za degli acquisti da parte dei consumatori che sono sempre in diminuzione rispetto alla domanda di mercato. Purtroppo ben poco si conosce di ciò che avviene nella mente di questi ultimi prima, durante e dopo ogni acquisto, e questo riduce notevolmente la possibilità di prevedere le reazioni a una determinata azione di marketing. Un famoso psicologo statunitense, Abrahm H. Maslow tentò di dare un’ interpretazione razionale al comportamento del consumatore con la sua famosa “piramide dei sogni”.

Secondo la sua teoria, i bisogni degli individui, e quindi i consumi che ne derivano, vengono ordi-nati secondo una gerarchia che definisce anche il “ grado di urgenza” del loro soddisfacimento.Alla base della piramide troviamo i bisogni fisiologici (o primari), cioè quelli che sono sostanzial-mente legati alla sopravvivenza dell’individuo.• • • • •• •• • • • ••••• •• •• • •• •••• ••• • • •••• •• • •• •••••• • • • • •••••••• • •• •• • •••• • • •• • •• •• • •• •• • •• •• • ••• ••• •• ••• • ••• •• • • • ••• •••• •• • • •• ••• •• • • •• • •••• • •• ••••• (7)Una volta soddisfatti i bisogni fi siologici, l’individuo presterà attenzione ai bisogni di livello più alto, come:• BISOGNI DI SICUREZZA: protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione delle preoccu-pazioni e ansie, ecc. Devono garantire all’individuo protezione e tranquillità;• BISOGNI DI APPARTENENZA: essere amato e amare, far parte di un gruppo, cooperare, partecipare, ecc. Questa categoria rappresenta l’aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità;• BISOGNI DI STIMA: essere rispettato, approvato, riconosciuto, ecc. L’individuo vuole sentirsi competente e produttivo;• BISOGNI DI AUTOREALIZZAZIONE: realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità, occupare un ruolo sociale, ecc. Si tratta dell’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere sfruttando le proprie facoltà mentali e fi siche.7 - Gianluca Buganè, Uffi cio marketing & comunicazione, HOEPLI 2006, pp.4-6

IL COMPORTAMENTO D’ACQUISTO DEL CONSUMATORE

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Mentre i bisogni fondamentali, una volta sod-disfatti tendono a non ripre-sentarsi, i bisogni sociali e relazionali tendono a rina-scere con nuovi e ambiziosi obiettivi da raggiungere. Ne consegue che l’insoddisfazio-ne, sia sul lavoro, sia nella vita pubblica e privata, è un feno-meno molto diffuso che può trovare una sua causa nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità. Per Ma-slow, infatti, l’autorealizzazio-ne richiede una serie di caratteristiche di personalità, competenze sociali e capacità tecniche.

Molti addetti del settore si indirizzano in una strada a senso contrario rispetto a quella percorsa da Maslow, affermando che la decisione di acquistare un determinato bene o servizio sia dipendente da diversi fattori: sociali, culturali, personali e psicologici. Tra i più importanti FATTORI SOCIALI abbiamo i cosiddetti “gruppi di riferimento” . Per “gruppi di riferimento intendiamo coloro che in maniera diretta o indiretta influenzano gli atteggiamenti e i comportamenti degli individui”. Esempi di gruppi di riferimento sono la fami-glia , gli amici, i compagni di scuola ecc. (mamma e figlia entrano in un negozio per una cucina. La figlia la vorrebbe con la penisola, ma la mamma per funzionalità, estetica e semplicità la deside-rerebbe senza penisola. La figlia acquisterà la cucina come le aveva consigliato sua madre). Fanno parte dei fattori culturali la cultura in senso ampio e la classe sociale. Per cultura intendiamo l’insieme dei valori prodotti da una determinata società che vengo-no trasmessi di generazione in generazione. Da bambini abbiamo appreso il valore della famiglia, dell’amore, della sincerità, del rispetto per gli altri e dell’obbedienza. Una volta cresciuti sono di-ventati sempre più importanti altri valori legati alla realizzazione degli studi e nel mondo del lavoro, al benessere materiale, alla libertà, al benessere fisico e alla salute. Definiamo classe sociale “• • •• •• • • • •• • • • • • • • •• •••• • •• •• • ••• • • •• • • • •• •• • •• ••• • • •••• • • •••••• •• •• • • ••• •• • •• •••• Ai fini del marketing e delle strategie aziendali è importante studiare l’evoluzione nel tem-po delle classi sociali e in particolare il travaso di persone da una classe all’altra. Infatti, è normale che fattori come il reddito familiare, il grado di istruzione, la professione, la ricchezza influenzino i comportamenti d’acquisto del consumatore.

I FATTORI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO D’ACQUISTO

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Ad esempio, un notaio facente parte di una famiglia del ceto medio-alto, probabilmente sceglierà di acquistare un appartamento in pieno centro città, arredamento di alto design, abiti firmati per sé e per l’intera famiglia e magari un’auto di lusso. Un impiegato statale probabilmente avrà una casa più grande, ma non in una zona centrale, mobili e abiti non firmati e un auto utilitaria. I fattori personali ••• • • •• • • • •• ••• • •• • •• • • •• ••• •• • •• • • • •••••• • ••••• • •• •• • • •• • •• • •• • • •••• ••••••• • • • • • • •• • • •••• •• ••• • • •• • • •• • • • • • •• • •• ••• •• •••• •• ••• ••• • Per • • •• • • • •••• si intende l’insieme di caratteristiche psicologiche che distinguono un in-dividuo da un altro e che lo portano a rispondere in maniera coerente all’ambiente cui appartiene.Distinguendosi dagli altri, ogni individuo avrà una propria immagine di se stesso che lo porterà a effettuare determinati acquisti.

Prendendo in considerazione il Notaio dell’esempio precedente, si suppone che egli si con-sideri una persona seria, distinta, formale ed elegante; questo lo spinge ad acquistare un progetto di arredamento contenente determinate caratteristiche (forme lineari e semplici, colori neutri dal tortora al beije, dal bianco al grigio, massimo comfort, parquet come pavimento, televisore all’a-vanguardia ecc.).Per quanto riguarda ••• •• , è normale che con l’avanzare degli anni cambino i gusti dei consumatori mentre il tipo di occupazione porta a scelte di prodotti e servizi diversi. Ad esempio, una coppia sulla trentina durante gli anni 90 si indirizzava una cucina in mu-ratura, con l’apertura delle ante attraverso una maniglia di ferro invecchiato e il forno nella base del piano cottura. Nel 2010 la stessa coppia decide di ristrutturare il proprio ambiente domestico e successivamente a questo intervento acquista una cucina bianca lucida con l’apertura attraverso un listello orizzontale d’acciaio (la così detta “gola”) e con il forno combinato. Anche la • • • • •• •• • • • • • • • • •• • e lo • •••• •• ••• ••• influenzano la scelta dei prodotti da acquistare.Generalmente coloro che hanno redditi alti costituiscono un piccolo mercato di prodotti di lusso e sono portati ad acquistare in negozi di progettazione qualificati il proprio arredamento.Quelli invece con reddito medio spendono cifre considerevoli per l’arredamento e l’abbigliamento, danno molta importanza all’educazione dei figli (iscrivendoli a scuole private, per esempio) e sono molto influenzati da riviste specializzate. Infine, le persone con reddito basso hanno normalmente una modesta educazione scolasti-ca, acquistano l’arredamento per la loro casa nelle grandi catene nel paese in cui risiedono (come Mondo Convenienza o Ikea), e solo raramente acquistano beni di consumo durevoli.Tra i più importanti fattori psicologici si devono segnalare, invece, •••• • ••• • ••• ••• ••• • •• •• e ••• • • •• • • •• • • •• . Il “motivo” non è altro che un bisogno che ha raggiunto la sufficiente •• • •• ••••••• • ••• • •• ••• • • • •• •• • • • •• •• ••• • Esistono, infatti, diversi tipi di bisogni: alcuni sono di natura biologica come la fame, la sete o il sonno e altri di natura psicologica come il bisogno di essere stimato (dai genitori, dai professori, dai propri superiori) o di appartenere a un gruppo (di amici, di colleghi di lavoro, di compagni di scuola).Per •• • • •• • • •• • • •• ••• •••• •• • • • ••• • • • • •••• • • •• • •• • • •• • ••• • • • • ••• • • • •• •• • ••••• • •• •• • • •• •• • •• •• •••• • • • ••• • • • •• • •• • • • •• • •• •• •• • Un consumatore che acquista per la prima volta un forno si informerà sulle funzioni che esso possiede dal proprio negoziante e leggerà le istruzioni per imparare a utilizzarle tutte. Farà alcune prove per verificare il corretto apprendimento e imparerà a selezionare quelle che sono utili da quelle che invece risultano superflue. La volta successiva il consumatore effettuerà l’acquisto con maggior sicurezza e saprà selezionare meglio le varie offerte proposte dal mercato.

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I TIPI DI COMPORTAMENTO D’ACQUISTOA seconda del tipo di decisione d’acquisto che il consumatore si trova ad assumere abbiamo tre diversi comportamenti d’acquisto:• Acquisto d’impulso• Acquisto abituale• Acquisto come risoluzione di un problema

• •• • • • •• •• •• ••• • • •• • •• •••• •• • • •• •• • • •• • •• • • • •• •• •• • • •• •• • ••fi cato da parte del consumatore.Alla base di un acquisto d’impulso ci sono stimoli provenienti dall’ esterno (come un colore, un odore, una forma particolare) che attirano l’attenzione del consumatore e lo inducono a effettuare un acquisto che non aveva programmato.L’odore e il colore sono stimoli esterni che sollecitano il processo sensoriale olfattivo e visivo del consumatore e attivano reazione fi siologiche e reazioni di orientamento. Successivamente il consu-matore chiede informazioni e acquista.

•••• • • • • ••• • • • •• •• •• • • • •• •• •• • ••• • •• •• ••• • • • •• • •• ••• • •• •• • • • • • •• • • •• •• •• • • •• ••• ••• •• •• •• • • •• •••• • ••• •• •• ••• • • • •• •• • •• •• •• • • • • • •••• • • • ••• • • • •• •• • • • •• •• ••Si tratta generalmente di articoli a basso costo la cui marca non è una determinante fondamentale dell’acquisto. Per esempio, nel caso dell’acquisto di una confezione di sale il coinvolgimento da parte del consumatore è scarso, il prezzo è basso ed egli si limita a entrare nel supermercato e ad acquistare una marca qualsiasi.

• •• • • • •• •• •• • • • •••• • •• • •• • • •• ••• • •• •• • •• • • •• •• • •• •• •• • • • • ••• • • • • •• • • •• •• • • • • •••• • • • • • •• • • ••• • •• • ••• •• • ••• • • • • •• • •• •• ••• ••• • • •• • • •• •• • • •• • • • •••• • ••• •• •• ••• •• • •• ••• •• • •• • •• Si tratta generalmente di articoli costosi la cui marca è fondamentale nel processo di scelta. Per diminuire il rischio di un errato acquisto il consumatore effettua un’attenta ricerca delle informa-zioni sul prodotto, visita diversi negozi per confrontare prezzi e promozioni e solo successivamente, dopo aver elaborato tutte queste informazioni, effettua l’acquisto. Per esempio, un individuo deve acquistare un divano e non ha un’idea chiara né della marca né del modello. Prima di tutto cerca di ottenere il maggior numero di informazioni dai suoi familiari, dalle riviste specializzate o collegandosi ai siti internet delle aziende produttrici. Può inoltre visitare i negozi di tutta la sua regione per ottenere ulteriori informazioni sui vari modelli disponibili, sul loro comfort e sui tipi di tessuto che si possono applicare sull’eventuale modello e i relativi costi. Valuterà poi le varie promozioni, gli eventuali sconti praticati da ciascun negozio e i tempi di consegna. Solo dopo aver elaborato tutte queste informazioni potrà effettuare la sua scelta e procedere all’ac-quisto del suo divano. Il processo d’acquisto come risoluzione di un problema può durare da qualche giorno (come un lampadario di marca) a diversi mesi (come di un intero arredamento per una casa al mare) o anni (come l’acquisto di una casa con l’arredamento).

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LE FASI DEL PROCESSO D’ACQUISTO.

Il processo d’acquisto del consumatore si sviluppa in diversi stadi qui di seguito elencati:

1. Percezione del bisogno insoddisfatto2. Ricerca delle informazioni3. Valutazione delle alternative4. Decisione d’acquisto5. Comportamento del dopo-acquisto

Il punto di partenza del processo di acquisto è la percezione di un bisogno da soddisfare, che può essere attivato sia da stimoli interni (come la fame o la sete) oppure da stimoli esterni (l’odore invitante di una candela profumata appena entri in un negozio). L’acquisto della piantana di Achille Castiglioni, per esempio, soddisfa il bisogno primario di far luce, ma soddisfa anche il bisogno di prestigio, di potere dato dall’ acquisizione di un oggetto autentico e unico del mondo del Design.

Una volta percepita la necessità di soddisfare un bisogno, il consumatore cercherà maggiori infor-mazioni sulle modalità attraverso le quali è possibile soddisfarlo. Secondo Philip Kotler le fonti di informazioni rientrano in quattro categorie fondamentali:Fonti personali: sono rappresentate da familiari, amici o semplicemente conoscenti.Fonti commerciali: si tratta di spot pubblicitari, cataloghi e brochure, informazioni fornite da commessi di un punto di vendita o da rappresentanti del prodotto.Fonti pubbliche: sono rappresentate dai mass media (come la televisione, la radio o i quo-tidiani) o dalle associazioni di consumatori (come Feder Consumatori).

IL PROCESSOD’ACQUISTO

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Fonti sperimentali: derivano dall’esame o dalla prova del prodotto. (8)Grazie all’utilizzo delle fonti appena esposte il con-sumatore perviene a un insieme di alternative che soddisfano un medesimo bisogno.Si tratterà poi di selezionare l’alternativa che per qualità, disponibilità, prestazione, prezzo e marca risponde meglio alle esigenze del consumatore.A scelta effettuata, il consumatore formula l’inten-zione di acquistare il prodotto o il servizio. Bisogna però distinguere tra l’intenzione e la decisione di effettuare un acquisto. Tra questi due momenti po-trebbero, infatti, intervenire due fattori principali:1. Atteggiamento delle persone (per esem-pio familiari, compagni di scuola, colleghi di lavoro o vicini di casa). Di fronte a un atteggiamento negati-vo delle persone nei confronti della soluzione scelta, il consumatore sarà portato a riflettere sull’acquisto e a rinviare la decisione nel tempo.2. Situazioni impreviste (come la perdita del lavoro o il sostenimento di una spesa non pro-grammata)L’ultimo stadio è costituito dal comportamento post-acquisto del consumatore. In questo punto si realizza l’analisi della soddisfazione o insoddi-sfazione del consumatore stesso nei confronti del prodotto o servizio acquistato. Si definisce “grado di soddisfazione” la misura della rispondenza del prodotto o servizio alle aspettative del consumatore. Se il divario tra rispondenza del prodotto/servizio e le aspettative è contenuto, allora il consumatore si dichiara sod-disfatto dell’acquisto effettuato. Al contrario, se il divario è elevato il consumatore si dichiara insod-disfatto dell’acquisto. Questo stadio è particolarmente delica-to perché è dalla soddisfazione o insoddisfazione del consumatore che dipendono tutta una serie di comportamenti successivi. È normale che un consu-matore soddisfatto comunichi ad altri il suo positivo stato d’animo e gli elementi che hanno contribuito a generarlo, quali per esempio, l’ organizzazione del negozio e i prodotti offerti, la gentilezza dei proget-tisti o la qualità del prodotto acquistato. Le vendite

di un’azienda, infatti, dipen-dono sia dai nuovi clienti sia dal manteni-mento di quelli già acquisiti

che nel tempo ripe-tono l’acquisto del medesimo prodotto o di prodotti della stessa marca. Non sem-pre però il consu-matore è soddi-sfatto dell’acquisto effettuato; è infatti possibile che si ma-nifestino degli stati d’ansia o di disagio causati da una “disarmonia” tra le informazioni che egli ha a disposizione ri-guardo al prodotto acquistato e quelle riguardanti le alternative che invece ha lasciato in negozio. Questo stato d’ansia è stato analizzato da un pun-to di vista psicologico da Leon Festinger nel 1957( nota) e definito come “dissonanza cognitiva”. La dissonanza cognitiva ha origine nel momento in cui gli aspetti negativi del prodotto acquistato si scontrano con gli aspetti positivi dei prodotti scartati.Ad esempio, se una persona desidera acqui-stare un tavolo rettangolare da inserire nella zona pranzo può scegliere fra le diverse alter-native proposte da Calligaris, Modà, Gervasoni e ciascuna di esse possiede dei vantaggi e degli svantaggi capaci di soddisfare o non soddisfare in misura diversa il medesimo bisogno di man-giare o studiarci sopra. È proprio nel momen-to in cui l’individuo compie l’acquisto che gli aspetti negativi della marca prescelta (Calligaris per esempio) si scontrano con gli aspetti positivi di quelle scartate (Modà e Gervasoni), creando appunto la “dissonanza cognitiva”.Concludendo, in linea teorica la “dissonanza co-gnitiva” è tanto più intensa quanto più elevato è il valore monetario del bene acquistato o l’ impor-tanza relativa della decisione d’acquisto.L’acquisto di una cucina crea una dissonanza co-gnitiva maggiore rispetto all’acquisto di un vaso in quanto il suo valore monetario è superiore. Ma l’acquisto di un divano può avere una dissonanza cognitiva inferiore rispetto all’acquisto di un anello di fidanzamento nonostante questo abbia un va-lore monetario inferiore rispetto al primo. La scel-ta dell’anello di fidanzamento è condizionata da sentimenti affettivi a cui il consumatore attribuisce un’ importanza notevole che ne fanno aumentare il valore “simbolico”.

8 - Gianluca Buganè, Ufficio marketing & comunicazione, Hoepli, 2006, p. 60.

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• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •• • • • • • • • • • • • • • • •

IL CONCEPT STORE Il Concept Store è un punto vendita caratterizzato dalla sua completa eterogeneità rispetto all’esperienza tradizionale del negozio. Le sue qualità distintive sono infatti quelle della eteroge-neità di gestione, superficie e merceologia. L’obiettivo di un concept store è quello di allestire un’e-sperienza di esplorazione e di scoperta da parte del cliente attraverso una pluralità di suggestioni, provenienti sia dalla varietà di prodotti esposti, sia dall’architettura stessa dell’ambiente

LO SHOPPING CHE CREA ATMOSFERA Quali servizi offrire ai clienti che si affacciano alle vetrine del negozio? Quali strumenti attivare, quali le risorse cui attingere? Nato oltreoceano, è arrivato anche da noi lo “• • • • • •• • •• • • • •• • • •• •• •, ovvero l’esperienza dell’acquisto trasformata in un percorso percettivo e sensoriale attraente, seducente, tonificante. (9)Non esistono più le mezze stagioni e come se non bastasse i negozi di una volta non ci sono più. Ora vanno di moda i “concept store”, che magari sono adatti a chi è contemporaneo (tra i proprietari, ma anche tra i clienti), mentre intanto, tra circa 50.000 negozi multimarca indipendenti sparsi sul territorio italiano c’è pure qualche gestore-titolare che cerca di mettere in pratica le proprie idee per stare al passo con le nuove tendenze in fatto di marketing, approccio alla vendi-ta e conoscenze del consumatore? Nel negozio di Prada in Via Monte-napoleone a Milano ogni persona può essere avvolta da una seducente atmosfera multi-sensoriale, un’architettura di suoni, immagini, profumi, pensata da designers e comunicato-ri di esperienza che trasporta l’avventore, sia attraverso la mente che attraverso il corpo, in una galleria percettiva ed emozionale, coerente con il marketing aziendale e con la merceolo-gia esposta, e in grado perciò di trasformare, secondo una rigorosa logica di pianificazione,

9 - Franco Angeli, Mauri Ferraresi, Berndt Schmitt, Marketing esperenziale. Come sviluppare l’esperienza di consumo, Hoepli, 2007.

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“l’intenzione di acquisto in un atto di acquisto vero e proprio e, in un ultima analisi, l’intero processo d’acquisto in un’espe-rienza di consumo”. Aggiunge però ancora Karin Zaghi che “il contatto tra marketing e il multisensoriale si fa sempre più stretto, fino a giungere a una vera e propria compenetrazione nel punto vendita multisensoriale”; da questo concetto si ricava che il • • • • • • • • • • • •• • • • •• • • • • • ••• •• • •• • •• • • • • •• • • • • • • • • • ••••• • • • ••• • • • • • • •• ••• • •• •• •• • • •

• • • • ••• •• ••• ••• • • • •• • • •• ••• • •• • • • ••• •• •• ••• • •• • • • •• • • •• •••• • • •• • •••• • • • •”. Naturalmente il “concept store” deriva dalla patria delle strategie di consumo innovative, le quali con i nuovi consumi, i nuovi oggetti, i nuovi mestieri, i nuovi significati che vecchi oggetti ripensati assumono, portano con sé nuovi vocaboli e nuove semantiche. Oltre al concept store (termine inserito nel vocabolario di italiano scritto a partire dal 2002), dagli Stati Uniti sono state introdotte nel nostro paese altre parole che affiancano e ten-dono a sostituire, essendo talvolta dotate di effettive screziature semantiche nuove, i corrispettivi italiani.Ad esempio, •• •• •••sta per “vendita al dettaglio” (dal 1990 in italiano) e •• •• ••• ••sta per “negozio”( o, esercizio che vende al dettaglio), dal 2001 in italiano; • • • • • •• • •• • • • ••• • • •, che molti amano tenere così, nella forma non adattata, sentita più cool rispetto al mix semi-adattato anglo-italico • • • • • •• • •• • • • ••• • • •• ••. Dunque siamo di fronte alla nuova frontiera del consumo (frontiera, come tutte le frontiere, bi-fronte, che riguarda cioè le strategie espositive del venditore e insieme la disponibilità interiore dell’acquirente): nel punto vendita si integrano la funzione di vendita di mer-ci con quella di una teatralizzazione dell’offerta e della creazione di esperienze emozionali per il consumatore sollecitato e preformato come piccolo esteta neo-dannunziano.•• • • •• • ••••• •• •• • • • ••••• • •• ••• •• • •• •• ••• • •• • ••• • ••• • •• • • •• • • •• • • • •• •• •• • • •• •• •• •• • •• ••• •• •• • • • • •• • •• • ••• • •• • ••• • • • •• ••• • • • • •• •• •• •• • • ••• ••• •• • • • •• • ••• • • •• •• • • •• • ••• • • • • ••• •• •••• •• • •• • • •• • •• •• ••• ••• • • •• •• •• •• ••• • • •• • ••• • • •• • ••• • ••• ••••• • • •• • ••• •• •••• • •• • ••• • ••••• • • • • • • •• •••• • •• •• • •••• • • • ••• ••• • •• • •• • •••• •• • • • • ••• •• • • •• ••• •• • ••• •• • ••• • •• •• • • • •• • •• ••• •• •• • • • • • •• • •••• • • • •• •• •• ••• • •• •• •• • ••• ••• •• • • • ••• •••• • • • •• •• •• ••• • • •• •• •• ••• ••• •• • •• • • • • • ••• •• • • • •• • • • • •• • • •• • • •• • • • • ••• • • • • • • •• • • ••• •• • • •• • • • • •• •• •• ••• •• • ••• • ••• •• • • •• •• • • • •••••••• • • • • • •• • • • •• • •• • • • ••flusso ludico-ricreativo •• •• • •••••• • •• •• • • •• ••• • ••• • • • • •• •• • • • •• •• • • • • •• • •• • •• •• . (10)

10 - Franco Angeli, Mauri Ferraresi, Berndt Schmitt, Marketing esperenziale. Come sviluppare l’esperienza di consumo, Hoepli, 2007.

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IL PRIMO CONCEPT STORE Il primo concept store è stato aperto a New York nel 1986 da Ralph Lauren: l’idea che guidava la struttura ar-chitettonica dell’ambiente era quella del lusso patriottico, in cui l’America doveva essere vissuta come un fantasmago-rico set hollywoodiano. Con questo gesto si annunciavano i parametri es-senziali della formula: occorre

un’idea forte per progettare un ambiente capace di trasformarsi in un mondo compiuto, in un viaggio di esplorazione, in un’avventura di atmosfere affascinanti. Le proposte del concept store sono iper-specializzate: l’idea deve essere in grado di fondere prodotti e servizi di qualità nei diversi settori secondo un progetto di esperienza coerente e armoniosa. L’architettura dell’ambiente deve estremizzare la percezione dei prodotti: la scelta delle luci, delle musiche, degli aromi, degli ambienti, deve avvolgere tutti i sensi dei clienti come l’appro-do in una citta sconosciuta.

OBIETTIVI E MEZZI DEL CONCEPT STORE La capacità di accoglienza e il comfort stabiliscono i punti cardine della strategia del con-cept store: l’obiettivo è quello di incrementare il numero dei visitatori e aumentare la loro perma-nenza all’interno del negozio. Quanto più si prolunga la durata della visita, tanto maggiore appare la probabilità d’acquisto. Al contempo, la varietà dell’offerta permette anche di differenziare i target cui sono rivolte le proposte di esperienza. Lo stesso luogo che durante la giornata può proporre articoli di design per la casa, profumi, la sera può trasformarsi in un luogo di attrazione per l’aperitivo, o in una libreria con sala da tè o in una casa domestica dove i proprietari possono viverci oltra a lavorarci. Lo scopo è sempre quello di creare un universo completo di attese e di bisogni intorno ad un argomento, capace di connettere la molteplicità di oggetti e di servizi articolati nello spazio del concept store.

E IL CONCEPT STORE IL FUTURO DEL SISTEMA PRODUTTIVO Si definiscono Concept Store i punti di vendita eterogenei per gestione, superficie, mer-ceologia. L’offerta può raggruppare prodotti apparentemente incompatibili o rigorosamente mo-no-marca. La parola CONCEPT, oggi molto frequente nel campo della pubblicità, fa riferimento all’idea, al concetto, al tipo di emozione, che il punto vendita intende trasmettere. Ecco che allora, mai come oggi, il negozio si trasforma, da luogo tradizionale dove si vende e compra la merce, a luogo che comunica con il consumatore, attraverso ambienti capaci di emo-zionare.E cosa è più gradevole del piacere di emozionarsi? EMOZIONARE. Il concept store ha l’obiettivo di intrattenere a lungo il cliente all’interno del punto vendita perché considerando il poco tempo libero che le persone dispongono, nello shopping viene cercato il divertimento con l’intrattenimento, momenti di benessere, relazioni e informazioni.

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Per le piccole imprese non basta puntare sul prodotto, an-che se di qualità, per restare sul mercato ed essere competitivi. Nella situazione attuale la stra-tegia per rilanciare il sistema produttivo Italiano è concen-trarsi sul Concept Store, dove il cliente non acquista solo la merce, ma entra nel “mondo” proposto dall’azienda, si immer-ge nella filosofia del marchio. Oggi le piccole imprese hanno sempre meno spazio nel merca-to, “schiacciate” tra aziende di tutto il mondo che producono merci di bassa fascia e da gran-di brand. I negozi • • •••• •• • • , quelli dove si vendono i prodot-ti delle piccole aziende italiane, sono sempre di meno. Creare un importante marchio per queste realtà è senza dubbio troppo costoso, lavorare come terzisti

non è possibile visto che molti portano fuori il lavoro, quindi, l’unica strategia applicabile e con prospettive di buona riuscita è quella del Concept Store, realizzabile tra l’alto anche per le piccole imprese. •• •• La maggior parte delle realtà non sono più in grado di vendere esclusivamente il prodotto come avveniva 30 anni fa, ma neanche d’altro canto un marchio. La soluzione è vendere un pro-dotto di qualità, il marchio e, soprattutto, l’ambiente. È quindi definitivamente cambiato il modo di fare acquisti. Il Concept Store pro-pone un preciso stile di vita e invita il cliente ad immerger-cisi, cerca di emozionarlo con vari accorgimenti che posso-no andare dall’arredamento, alla musica, alle degustazioni “• • • • • • • • •• •• • • • ••• •• • •• •• •• ••• ••• •• • • • •• •• • • •• •••••• ••• • ••• • ••• •• ••• • ••• •• •• •• • • •• • •• ••• •• • •• • •• • •••••• • • ••

Il cliente quindi, sentendosi nel posto e nel momento giusto avrà quasi l’idea di trovarsi a casa, e una volta raggiunto il proprio desiderio tornerà volentieri in quell’azienda.La realizzazione del concept store rappresenta la giusta direzione da seguire per salvare le piccole aziende di retail italiane e addirittura aprire nuovi orizzonti di mercato.•

11 - Gian Andrea Abbate e Ugo Ferrero, Emotional Assets. L’innovazione neolinguistica e l’incremento dell’efficacia in pubblicità. Editrice Finedit, 2003.

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ALTRE TIPOLOGIE DI MERCATO• •••• •• ••• • • • • • ••• •• •• •• • •• •• • • ••• •• • • • • • ••••• •• • •• ••• • •• • •• •• CHANGE STOP, è un negozio trasformista che cambia faccia più volte al giorno (alimentari la mattina, abbigliamento al pomeriggio e wine bar alla sera). Il negozio è sempre lo stesso, ma cambiano prodotti, servizi, arredi e ambienta-zioni come fossero quinte teatrali.• FUSION SHOP, è un negozio “confuso” che unisce e disunisce l’insieme di stili, ambien-ti, prodotti e servizi, articoli di lusso e articoli a prezzi stracciati.• INSPERIENCE SHOP, è il negozio interio-re che esalta il soft individualismo del futuro. La definizione corretta è “life coaching”, un luogo dove ci siano gli strumenti per sviluppare il po-tenziale e le competenze del cliente.• CREDIT SHOP, negozio che vende esclusi-vamente a rate.• SECRET SHOP, negozio o ristorante diffi-cilmente localizzabile o raggiungibile. Sfrutta il fascino del segreto e dell’esclusività.• CONSUMER SHOP, il negozio consumista fatto dai consumatori per i consumatori. In Italia troviamo, identificabile con questa tipologia di retail Bern Vivir. NotaUn luogo per fare gli ac-quisti collettivi con la formula dell’abbonamen-to e ritiro spesa. È un’ attività autogestita e crea alleanza fra consumatori e piccoli produttori di alta qualità. Ogni prodotto è accompagnato dall’ etichetta del prezzo sorgente dov’è indica-to il prezzo di acquisto al produttore e quello di vendita al consumatore.• INTERNET SHOP, negozio virtuale in cui il cliente si aggiudica un prodotto dopo aver vinto un’asta. Il venditore inserisce in un sito auto-rizzato( tipo • • • • ) l’oggetto che vuole vendere, completo di prezzo e data che indica la sca-denza dell’offerta. Proprio da quel prezzo può iniziare l’asta per aggiudicarselo; una volta arri-vata la scadenza, chi ha offerto una cifra mag-giore si aggiudica l’oggetto. Numerose aziende usufruiscono di questo tipo di vendita per avere un campo di vendita mondiale. • LUXURY CENTER, in alcune località del mondo stanno aprendo questi luoghi dove po-ter acquistare articoli di moda di stilisti inter-nazionali: dall’abbigliamento ai gioielli, fino ai

complementi d’arredo. In questi centri del lusso i facoltosi clienti possono trovare il meglio della grande moda con tutta comodità. I primi esem-plari di questi supermercati del lusso stanno sorgendo nelle località emergenti, come la zona delle Tigri Asiatiche, la Cina, l’India e la Russia. A Mosca, per esempio, ha aperto i battenti nel 2007 il “Lotte Plaza”, di proprietà di una compagnai sudamericana che ha investito oltre 400 milioni di dollari in questo paradiso per i • • • • • • • ••• • (neologismo della lingua inglese, che indica le persone che hanno sintomi di acquisti compulsivi spinti da un istinto irrefrenabile. In Italia è definita “febbre da acquisto” e, nelle forme più gravi, è una malattia compulsiva) di otto piani dove sono presenti i punti vendita di stilisti come Pra-da, Gucci, Armani, D&G, Jimmy Choo e di Designer come Karim Rashid, Philippe Stark, Gio Ponti ecc.E’ necessario sottolineare come in questa epoca le po-litiche di marketing delle imprese siano sempre più raf-finate e per certi versi aggressive, vale a dire più astute nello sfruttare le situazioni, le ambientazioni e nel cre-are nuovi stimoli attraverso strumenti più sofisticati per suggestionare il cliente e indurlo all’acquisto. I nuovi conoscenti del marketing spingono la comunicazione attraverso canali sempre nuovi, sia che si tratti di inventare un nuovo format, sia di attualizzarne un già esistente, in modo da creare sempre nuovi trend. Ecco, quindi, la nascita di • • • •• • • ••• •• •• sempre nuovi, ognuno adatto a sod-disfare un’esigenza diversa: lavanderia a gettone con bar annesso per permettere ai clienti di poter scambiare quattro chiacchere nell’attesa; centri commerciali che contengono anche sale giochi e cinema, caffetterie dove poter sfogliare riviste e leggere libri, ecc. Ad esempio, negli Stati Uniti una banca, Umpqua Bank, ha trasformato le proprie fi-liali in aree simili a internet cafè, dove lì l’avventore ha la possibilità di navigare, ascoltare la musica, e addirittura acquistare tanti prodotti locali di cui viene rinnovato spesso l’assortimento. Il concept store può essere definito • • •• • ••• • • • ••• •• • • • •• •• • • • • •• •• •• ••• • • ••• ••• •intorno o dentro un tema specifico, in cui i • •• • • ••••• • • • •• • • • •••• •• • • • • ••• •• • •• • • •• • •• •• • • ••• • • •• •• •• • •• • • •• • • •• • ••• •• • • • •• ••• • •• • ••• •• • • ••••• •••• • • •• ••• • • •• •• •• • • ••• •• ••• •• •• •tificante esperienza che il consumatore può • •• • • •• •• • ••• • • • • •• •• •• • • • . Il punto vendita si trasforma da luogo di acquisto a luogo di perma-

nenza e di entertainment

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•• •• • • • • • •• •CHE COSA È IL MARKETING?

Da alcuni decenni il Marketing è diventato parte es-senziale del contesto in cui vivono le persone e ha acquisito un’importanza sempre maggiore in tutti i settori del sistema economico e sociale. Il marketing, infatti influenza ogni momento della vita quotidiana di tutti noi ed è diventato parte integrante dell’attivi-tà di imprese produttive, commerciali e di servizi.

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Si riporta di seguito un esempio: una coppia di per-sone si ritrovano in centro città per fare una passeggia-ta dopo una mattinata inten-sa di lavoro. Si fermano in un negozio d’arredamento per dare un’occhiata agli ultimi modelli di composizioni per tv e magari stanno pensan-do di cambiare soggiorno. Poi mentre aspettano l’auto-bus, sono colpiti dalla pub-blicità di un cartellone dal grande formato che ritrae una bella ragazza dall’aria serena che mostra il suo cor-po su un divano di tessuto. A cena, mentre guardano il telegiornale, continuamen-te interrotto da messaggi pubblicitari si soffermano con interesse alle offerte per televisioni LCD. Ogni singola azione descritta sopra è par-te integrante del concetto di marketing.

In un linguaggio tec-nico •••• • •• • ••• • •• ••••• •• •cesso di pianificazione ed • • • • • • •• • • • • • ••• • • •••• ••••• •••• • • • •• • • ••• ••••• • • •• • • •• ••• •• • • • ••• •• • • • •• • • •• •• •• •••• • • •• • • •• •••• • • ••• •• • • ••••• •• • •• •• ••allo scopo di generare scambi che soddisfino i bisogni di individui e organizzazioni (• •• Questa definizione, che è stata fornita nel 1985 dall’AMA (American Marketing Association, organizzazione internazionale composta dai più importanti studiosi e operatori di marketing), è completa per diverse ragioni.

In primo luogo, prende in considerazione tutti i soggetti che intervengono nel processo di mar-keting: le imprese che producono beni e servizi, coloro che rivendono il bene e servizio sul merca-to (grossisti e negozianti) e infine i consumatori finali; inoltre consente di poter allargare il cam-po di applicazione del marketing anche alle as-sociazioni che non hanno scopo di lucro (come le associazioni di volontariato) e quindi di rimanere al di fuori dalle semplici transazioni di carattere commerciale.

12 - Gianluca Buganè, Ufficio Marketing & comunicazione, Hoepli 2006, p.

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GLI OBIETTIVI DEL MARKETING

L’obiettivo del marketing non è altro che la crea-zione di scambi che soddisfino i bisogni dell’indi-viduo. La definizione di • • • • • •• •diviene quindi un elemento fondamentale del marketing.Lo scambio non è altro che il trasferimento di beni aventi valore tra due o più parti general-mente chiamati consumatore e venditore. Oggetto dello scambio sono generalmente beni fisici (come pane, latte, un abito da sera, un dvd, denaro ecc.), ma anche elementi di carattere stret-tamente psicologico come informazioni, valutazioni, emozioni. Da quest’ultimo punto è possibile com-prendere come le relazioni sociali di lungo periodo diventino fonda-mentali nella mo-derna concezione di marketing e come il semplice scambio sporadico assumerà sempre minore importanza per lasciar spazio alla fedeltà del con-sumatore che porta invece a scambi continuativi. Per esempio, se la Signora Ilaria entra in un nego-zio di progettazione di arredi per acquistare quat-tro comodini da inserire nelle due camere da letto della propria abitazione e i progettisti alla vendita sono simpatici e cordiali, l’ambiente è accoglien-te, i prezzi sono abbordabili e gli oggetti di suo gusto probabilmente ripeterà l’acquisto in futuro. Se al contrario i commessi sono sgarbati, l’am-biente poco accogliente e i prezzi decisamente alle stelle probabilmente effettuerà un acquista per necessità, ma non vi tornerà in seguito. Soltanto nel primo caso è possibile parlare di uno scambio di marketing di successo perché è stato instaurato un rapporto che non si limita a un contatto sporadico, ma ad un rapporto di lungo periodo basato sulla fedeltà del consu-matore finale

DAL CONCETTO DI SCAMBIO A QUELLO

DI MERCATO Il concetto di scambio conduce inevitabil-mente al concetto di mercato.• • •• • •• • •• •• • • • •• •• •• • ••••• • •• • • •• •••• ••••• •••• • • • ••• • •••• • •• • • •• •••• • • ••• • • • •• •• • • • • •• • •• • •••• • •• •• •• •• • • • • •• •• • • •• • ••• ••• • ••• • • • •• •• • • • •• ••• •• •• • • • •••• ••• •• •• • • •• •••• • • • • • •• ••in uno scambio, al fine di dare soddisfazione • ••• •• • • • • •• •• • • •• • ••• •• •• • • ••••••• •• Essendo numerosi i bisogni e i desideri dei

consumatori, al-trettanto numerosi sono i mercati. Per esempio, esiste il mercato dell’ arre-damento per sod-disfare il bisogno di comfort dome-stico e il desiderio di vivere bene, il mercato dei telefo-ni cellulari per sod-disfare il bisogno di comunicare a distanza, il merca-to dei giocatori del lotto per soddisfa-re il bisogno di vin-cita e il desiderio

di diventare ricchi, il mercato dei libri di testo per soddisfare il bisogno di avere un supporto durante la lezione in classe e per i compiti a casa, e quindi il desiderio di portare alla promozione lo studente. Il concetto di mercato viene spesso ricondotto a un luogo fisico nel quale avviene l’incontro tra coloro che offrono idee, prodotti e servizi (ven-ditori) e coloro che domandano idee, prodotti e servizi (consumatori). Ma il mercato non è neces-sariamente un luogo•fisico, ma può essere con-siderato anche come•settore (mercato mobiliare e immobiliare, mercato dell’abbigliamento), o come persone ( insieme dei consumatori ai quali l’azienda intende indirizzare i propri sforzi di mar-keting ovvero il cosiddetto “mercato obiettivo” dove verrà spiegato in seguito).

13 - Gianluca Buganè, Ufficio Marketing & comunicazione, Hoepli 2006, p. 7.

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I DUE PRINCIPI GUIDA DEL MARKETING

IL MARKETING SI FONDA SU DUE IMPORTANTI PRINCIPI:1. Il primo è quello di soddisfare i bisogni degli individui e viene denominato analisi dei con-sumatori;2. Il secondo è quello di fornire un’idea, un prodotto o un servizio migliori o superiori rispetto a quelli offerti dalla concorrenza; questo principio prende il nome di analisi della concorrenza. (14)

L’analisi dei consumatori si basa sull’identificazione delle caratteristiche di un prodotto o servizio considerati di primaria importanza per la soddisfazione dei suoi bisogni. L’acquisto di un prodotto o di un servizio non è soltanto influenzato dalle caratteristiche fisiche come il colore, il design, le funzioni o la comodità di trasporto, ma anche da altri pensieri ed emozioni che si svilup-pano in quanto membro di una determinata società. Per esempio, la Signora Ilaria deve acquistare una libreria: inizialmente prevede di investire un po’ del suo tempo visitando diversi negozi di arredamento per poter avere un’idea di prezzo, funzionalità e design del prodotto. Il suo processo d’acquisto però non sarà soltanto influenzato

14 - Gianluca Buganè, Ufficio Marketing & comunicazione, Hoepli 2006, p. 8.

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dagli attributi fisici dell’oggetto in questione, ma anche da tutta una serie di “preferenze” che sono legate alle sue relazioni familiari e sociali: le opinioni dei suoi amici, i suggerimenti dei suoi familiari relativamente a una determinata marca, la moda del momento. Soltanto alla fine di questo percorso formulerà un giudizio soggettivo relativo alla libreria che, se si rivelerà positivo, la porterà all’acquisto.L’analisi della concorrenza si basa invece su di un’attenta valutazione dei prodotti e dei servizi offerti dalle aziende concorrenti.

I vantaggi che derivano dall’applicazione dell’analisi della concorrenza sono:• Maggior qualità del prodotto;• Prezzi più convenienti;• Miglior servizio al cliente;• Immagine di una marca unica e differente ( che si contraddistingue, cioè, dalle altre aziende).

L’analisi della concorrenza si basa sul concetto che è sempre utile imparare qualcosa da quello che gli “altri” offrono sul mercato.Se da una ricerca di mercato un titolare di un’azienda si accorge che il suo concorrente offre un servizio di informazione più rapido ed efficace del suo (per esempio tramite l’utilizzo di call center attivi 24 ore su 24), e che questo servizio è apprezzato dal consumatore, può effettuare investi-menti per migliorare il proprio servizio (per esempio facilitando la comunicazione con l’operatore attraverso una voce automatica). E questo miglioramento è potuto avvenire solo grazie all’analisi della concorrenza.

Per poter affrontare le minacce provenienti da aziende concorrenti esistono tre di-verse strategie:• differenziazione del prodotto• leadership di costo• concentrazione su di un mercato.La differenziazione del prodotto consiste nel promuovere aspetti e caratteristiche del prodotto in maniera tale da renderlo unico o differente rispetto a quelli simili sul mercato. Attraverso la strategia di differenziazione l’azienda ha come obiettivo la creazione di un’immagine distintiva per la marca facendo in modo che il prodotto sia facilmente riconoscibile nei luoghi di vendita e costantemente presente nella mente del consumatore.•••••••••• • •• ••• •• • •• •• •••• • • • •• • •• •• ••• • • •• •• • •• • • • •• • •• •••• • •• • • ••• •• ••• • • •• • • •• •••• • • •••• ••• •• • • • •• • • •• ••••• • ••• •• •• •• • •• • • • •• ••• •Per esempio, in occasione del lancio di un nuovo prodotto sul mercato è possibile effettuare una ricerca tra i fornitori per vedere quello che riesce a fornire ciascun componente al prezzo più basso possibile mantenendo fermo un certo standard di qualità. In questo modo si ha la possibilità di mantenere i costi di produzione a un livello minimo e conseguentemente di stimolare la richiesta del prodotto grazie a un prezzo interessante.

I vantaggi di una strategia di leadership di costo sono i seguenti:• un aumento della quota di mercato dell’impresa• un costante e ininterrotto controllo dei costi aziendali• l’eliminazione di quei clienti considerati “marginali” e di tutte quelle varianti di prodotto che sono giudicate inutili e costose per l’azienda Con la strategia di concentrazione su di un mercato, le aziende ritengono essenziale competere attraverso la conquista di “nicchie di mercato”.Per “nicchia di mercato” è inteso una piccola parte del mercato formata da un gruppo di consuma-tori che presentano caratteristiche comuni.

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IL MARKETING OBIETTIVO, STRATEGICO E OPERATIVO

Per dare una spiegazione ai tre tipi di marketing che caratterizzano le scelte aziendali occorre ap-profondire ciò che è il marketing management. Per marketing management è intesa l’analisi, la pianificazione, la realizzazione e il con•••• ••• •• ••• •• • •• • • ••• • ••••• •••• ••• ••• • • •• • • •• ••• • • • • ••• • • •• • •• •• •• • •••• • •• • •••• • •• •••• ••• ••• •• • • • • •• •••• • ••• • • •• •• • •• •••• ••• • •• • • • ••••• (15)

Per mercato obiettivo è inteso un gruppo di consumatori ai quali l’azienda intende indirizzare i propri sforzi di marketing.Gli obiettivi del marketing management sono due:• adeguare l’offerta di idee, prodotti e servizi dell’impresa ai bisogni e ai desideri dei consumatori che fanno parte del suo mercato obiettivo;• portare l’azienda a un uso efficace dei metodi di determinazione del prezzo di vendita, degli strumenti promozionali e dei canali di distribuzione al fine di informare, motivare e servire il mer-cato.Il processo del marketing management si riconduce a due dimensioni fondamentali: marketing strategico marketing operativoIl marketing strategico è definibile come un • •• • • • • • ••• • • • • • •• • • • •• • • • •• •• •••• • •• •• ••• •••• •• • •• • ••••• • • •• •••• • •• • • • •• • •••• • • • •• •• ••• • • • • • ••••• •• ••• • • ••• ••• ••• • • • ••• •• • ••• • • • • •• ••• • • •• • • • •• • • • • •• ••• • • • •• • • • • •• •• • ••• • • • • •• •• •• • • •• • • •• • • • • •• • • •••• •• • •• • • • •• • • • • ••• • ••• (16)Ritornando a ciò che è stato scritto in precedenza, sono attività tipiche del marketing strategico l’ana-lisi del consumatore, l’analisi della concorrenza, la ricerca e la scelta delle opportunità di mercato e lo sviluppo di strategie di marketing.Il marketing operativo si occupa di attuare con-cretamente quanto stabilito in sede di marketing strategico. Quindi, il responsabile di marketing di un’azienda dovrà studiare come combinare, nel-la maniera più efficiente possibile, quattro “•• • •” operative conosciute come le “4P” del marketing mix. Queste sono le leve: il prodotto (product) il prezzo (price) la comunicazione commerciale (promotion) la distribuzione (place) Viene definito marketing mix la combinazione delle leve sopra indicate al fine di conseguire gli obiettivi predefiniti nel mercato obiettivo scelto dall’impresa.La scelta, la combinazione e l’utilizzo delle “4P” del marketing mix deve essere effettuata nel rispetto di due principi fondamentali: la • • • •• • • • e la flessibilità. Secondo il • ••• • •• •• •• • ••• •• • • •• • • • le leve del marketing mix devono essere combinate fra loro in maniera tale da attribuire all’impresa un’immagine unica e ben definita.

15 - Jim Blythe , Fondamenti di marketing , Hoepli, 200616 - Jim Blythe , Fondamenti di marketing , Hoepli, 2006

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Un oggetto di MEMPHIS si distingue per il suo design autentico e unico, per la popolarità della marca, per il prezzo elevato e i punti vendita selezionati. Tutti questi elementi, combinati agli investimenti pubblicitari legati a riviste (AD o INTERNI) fanno di Memphis un’azienda dall’immagi-ne unica e inconfondibile. In base al principio della flessibilità, invece, le leve del marketing mix devono necessa-riamente adattarsi ai cambiamenti ambientali e competitivi che avvengono nell’ambiente esterno; per esempio l’aumento della concorrenza sul mercato sta abbattendo fortemente i prezzi dei divani con il movimento dello schienale che, sino a qualche anno fa, venivano messi in vendita a prezzi molto elevati.

IL MARKETING “RELAZIONALE”

Il marketing relazionale può essere definito come la creazione, lo sviluppo, il mantenimento e l’ottimizzazione delle relazioni di lungo periodo reciprocamente più proficue tra cliente e azienda. Il marketing relazionale di successo si basa sulla comprensione dei bisogni e dei desideri dei clienti, e si realizza ponendo tali desideri al centro del business, integrandoli con la strategia societaria, le persone che fanno parte del processo, la tecnologia ed il processo di business stesso.L’obiettivo non è più solo conquistare nuovi clienti ma, soprattutto, trattenere e fidelizzare quelli più “redditizi”. Il marketing relazionale stabilisce un nuovo approccio al mercato, basato sulla centralità del cliente. Tale approccio è supportato ed implementato anche da una serie di tecnologie che contribuiscono alla realizzazione pratica dei principi di “personalizzazione” dell’azione di vendita percepibile soprattutto dal cliente. Per realizzare gli obiettivi del marketing relazionale è necessario impostare con la clientela una relazione di tipo personalizzato.

17 - Don Peppers, Marketing one to one, Il SoLE 24 Ore, 2006 p. 38.18 - Gianluca Buganè, Ufficio Marketing & comunicazione, Hoepli 2006, p. 72.

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“In futuro, non sarà importante cosa conosciamo dei nostri clienti, ma piut-tosto cosa sappiamo su ciascuno di essi”•• (17) Questa frase di Don Peppers, indica una delle più grandi innovazioni commerciali degli ultimi anni.

La personalizzazione del rapporto azien-da-cliente è un concetto che rivoluziona in modo significativo i concetti del “marketing classico”. Negli anni ’70 e 80’, infatti, il principio preva-lente che guidava la pianificazione e l’attuazio-ne delle politiche di marketing era quello della “• • • • • • •• • •• • • •• • ••• • •• • •• ••••• ••

•••••••••••Si trattava di un concetto intuitivo ma molto innovativo rispetto all’approccio al mercato adottato dalle imprese nell’immediato dopo guerra.Allora l’esigenza principale era produrre per soddisfare un mercato di massa e, pertanto, scarsa era l’attenzione rivolta a comprendere le differenze tra i diversi bisogni dei consumatori.Agli inizi degli anni ’70, gli esperti del marketing intravidero la possibilità di suddividere il merca-to in base a gruppi o SEGMENTI di acquirenti che presentassero delle esigenze diverse rispet-to alle prestazioni tecniche richieste ai prodotti, al design, al servizio, al prezzo, ecc.

Modificando il prodotto ed adattan-dolo alle caratteristiche richieste da ciascun seg-mento di mercato, come recita la teoria, sarebbe possibile avvicinarsi maggiormente ai desideri

dei clienti senza sacrificare le economie di scala della produzione industriale.

Inoltre, identificando i comportamenti dei vari segmenti rispetto a stili di vita, letture, livello culturale, cicli di vita, attraverso opportu-ne indagini di mercato è possibile individuare le loro abitudini in termini di letture ed ascolto.

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Il marketing degli anni 2000 non è più solamen-te un aspetto economico, quantitativo o stati-stico; non è fatto solo di termini come “quote di mercato”, “mercati di nicchia”, “ciclo di vita dei prodotti”. Già Kotler, quasi dieci anni fa, di-ceva che il cliente è una persona, e che quindi la qualità è qualcosa che va valutata dal cliente come persona che ha la facoltà di acquistare o meno; oggi il marketing deve puntare anche sul rapporto psicologico e personale tra progetti-sta/venditore e cliente. Quote e numeri passa-no sullo sfondo, di fronte vi è la psicologia del produttore, del venditore, del consumatore, del decisore aziendale. Ecco dunque che il marke-ting non è più solamente quella scienza arida e seriosa fatta di diagrammi a torta, di regressioni lineari, di preventivi e consuntivi, di politiche di prezzo e di strategie di distribuzione, ma diventa un’affascinante disciplina centrata sul legame più forte che esiste tra le persone, quello che le spinge a dare e prendere qualcosa l’una dell’al-tra, a cercare, a sognare, a immaginare, a volere, a cedere proprie risorse in cambio di oggetti di desiderio. L’acquisto non è soltanto un banale atto con cui si procura ciò di cui si ha bisogno, ma è un’azione simbolica con cui ci si costruisce la propria immagine sociale e la propria rela-zione con gli altri. Questa azione è solo l’atto emblematico e conclusivo di tutto un processo articolato e complesso come la natura umana vista nella sua interezza. Le decisioni di acquisto dei consumatori sono fortemente condizionate da questo insie-me di pulsioni, al cui interno le considerazioni razionali si mischiano con emozioni, timori e bi-sogni latenti. Il marketing apre nuove finestre sul pa-norama delle percezioni sensoriali, della teoria della Gestalt, secondo cui c’è la riorganizzazione delle proprie percezioni in base alle conoscenze

dell’individuo, del budget mentale che assegna diverse proprietà alle decisioni, dei bisogni di Maslow secondo il quale, come è stato spiegato nei precedenti capitoli, ai bisogni primari seguo-no bisogni sempre più sofisticati. Aver creato un buon prodotto, con un prezzo competitivo e con una rete di vendita ottima non basta più per avere successo in un mercato saturo. Al giorno d’oggi le persone non comprano solo qualcosa che gli serve, ma perché soddisfano una serie di bisogni e desideri psicologici. Basta pensare ad un giovane di città che acquista un costoso fuori strada solo come “status symbol” e non per andare a fare un “rahid sahariano”. O ai quei prodotti che fanno tendenza, che testimoniano dell’appartenenza ad un gruppo di “nicchia”. Anche la Customer Satisfaction è rivista alla luce della complessità psicologiche, in virtù delle quali non si tratta più solo di soddisfare le attese del cliente, ma di ridurre quel gap che fa-talmente esiste fra il prodotto reale e il prodotto ideale che il cliente sogna nella sua mente.

IL MARKETINGC O N T E M P O R A N E O

IL NUOVO MARKETING

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Viene da pensare che la vendita diventi cosi qual-cosa di troppo raffinato per lasciarla fare solo ai venditori, e che il marketing non possa essere solo un strumento da economisti. Infatti, non a caso, molti manager vengono da studi umanisti-ci-filosofici e dalla comunicazione. E anche i gran-di venditori sono buoni conoscitori della psicolo-gia delle persone, magari senza saperlo. Recentemente, tutto un filone del mar-keting si è occupato prevalentemente della scienza della relazione con il cliente (marketing relazionale).La ricerca tradizionale ha ignorato per molto tempo un aspetto molto importante dell’espe-rienza del consumatore: spiegare il suo com-portamento attraverso lo studio del ruolo che le emozioni, i sentimenti e le percezioni hanno sulle scelte individuali.La ricerca del comportamento d’acquisto do-vrebbe quindi essere orientata verso gli aspetti immaginativi, sensoriali ed emozionali dell’e-sperienza personale. Questo non significa cer-tamente che deve essere respinto l’approccio tradizionale al consumatore, ma piuttosto al-largare il campo di ricerca comprendendovi la dimensione sensoriale ed emozionale. Il comportamento del consumatore sembra essere il risultato di molteplici interazio-ni tra l’individuo e l’ambiente. In questo proces-so dinamico non vanno tralasciati né gli atteg-giamenti orientati al problem solving, né quelli relativi alla ricerca di esperienze.Il campo di studi dei venditori deve prendere in considerazione il piacere del consumatore e la sua ricerca di sensazioni. La ricerca tradizionale sull’elaborazione di informazioni da parte del consumatore si è limitata a quella di natura verbale. Invece, sa-rebbe giusto includere le creazioni simboliche in quelle verbali, originate dall’immaginazione men-tale; la risposta emozionale dell’individuo infatti si manifesta sotto forma di uno spettro di emo-zioni piuttosto che di una gerarchia di preferenze. Le componenti comportamentali presenti nell’at-to di acquisto si apprendono inoltre con l’analisi dell’esperienza personale e le conseguenze del consumo vanno ricercate nell’apparenza esteti-ca e nelle emozioni che essa provoca nell’acqui-rente. I modelli di ricerca sul comportamento del consumatore stanno oggigiorno attraversando una fase di rinnovamento.

IL MARKETING DEI SENSI

Il marketing sensoriale è un approccio sem-pre più diffuso nei diversi settori dell’economia, in cui immagini, odori, suoni, materiali, sapori sono studiati per raggiungere il pubblico obiettivo e per indurlo a determinate azioni. Le applicazioni sono visibili ovunque: in hotel le cui camere sono pervase da profumi particolari, punti vendita in cui si ascolta una radio a tema, espositori multisenso-riali, negozi allestiti come teatri, suoni caratteristici per identificare un prodotto, reparti commerciali dotati di diffusori di aromi.

Il marketing si vede.

Questo senso è in grado di impressionare mag-giormente rispetto agli altri il nostro cervello; la mente comprende meglio ciò che vede e lo ricorda di più. La vista è sicuramente il senso dominante per l’uomo, infatti la maggior parte delle persone hanno bisogno di vedere per sce-gliere, decidere, apprezzare e capire.

Il marketing si tocca.

Attraverso la sensibilità tattile si acquisisco-no dati importanti sulla realtà che ci circonda: i consumatori vogliono verificare direttamente ciò che stanno comprando, apprezzandone di-

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rettamente le caratteristiche prima di conclude-re i loro acquisti.

Il marketing si sente.

Questo senso sta diventando sempre più con-siderato nell’attività di marketing sensoriale. La musica infatti è una via di comunicazione uditiva ad alto contenuto emotivo, che viene utilizzata frequentemente dalle aziende in varie occasioni, dall’advertising all’attesa dei centralini telefonici. La musica accompagna da sempre la storia dell’uomo. Ogni persona istintivamente associa a una melodia i momenti belli o brutti della propria vita. In questo sen-so la musica è un potente stimolo emotivo e le emozioni sono la traccia che segna i ricordi.La domanda allora arriva in maniera conse-quenziale: è possibile caratterizzare il marchio di un’azienda attraverso l’uso dei suoni? Si, è

possibile fare branding con i suoni.L’acoustic branding è la ricerca dell’identità sonora di una marca, che si concretizza nella composizione di un suono o di una musica. Il suono determina un ancoraggio auditivo a ciò che l’azienda rappresenta e ogni volta che vie-ne riproposto, richiama con forza e velocità la brand image cui è associato.

Il marketing si gusta.Qui è presente l’analisi sensoriale, ossia lo strumen-to che ogni individuo utilizza in modo naturale, tutti i giorni per giudicare e scegliere cibi, bevande, indu-menti, persone, oggetti. In pratica l’analisi sensoriale è l’elaborazione da parte del proprio cervello degli stimoli che riceve. Oltre a compiersi in modo spon-taneo per le attività quotidiane, l’analisi può essere utilizzata professionalmente in moltissimi campi, in particolare nel settore alimentare.

Il marketing si respira.

Il marketing ha sottostimato l’olfatto rispetto agli altri sensi, probabilmente per le limitate co-noscenze e per l’assenza di adeguati supporti tecnologici. Solo le aziende produttrici di profu-mi, cosmetici e detersivi consideravano gli odori nelle loro strategie per influenzare i consuma-tori, in quanto gli stessi erano parte integrante della loro offerta. Le altre aziende, invece, erano indifferenti a questo aspetto, anzi, cercavano di neutralizzare qualsiasi odore, per il timore di non soddisfare i gusti della clientela. Oggi c’è un inversione di tendenza da parte degli ad-detti ai lavori. Il marketing olfattivo va sempre più diffondendo, dalla produzione ai servizi, dal settore distributivo a quello dell’entertainment.

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il marketing olfattivoL’OLFATTOTra tutti e cinque sensi, l’olfatto è uno tra i meno utilizzati nel marketing, nonostante leforti poten-zialità. Agisce in un modo che si può definire quasi magico, colpisce direttamente nell’animo, ha qualcosa di emozionale che la razionalità non può domare e rimanda in un istante a situazioni già vissute e a sensazioni già provate; è qualcosa di sottile che ci disgusta o ci fa innamorare, si insinua silenziosamente nelle preferenze dell’individuo e diventa la pedina essenziale nel giudizio su un ambiente, un indumento, un oggetto, una persona.

Un messaggio odoroso può causare una reazione istantanea di piacere, disgusto, eccita-zione, senza che il nostro cervello sia cosciente di ciò. È per questo motivo che un odore è sempre carico di emotività.

La forza dell’olfatto è la memoria olfattiva, capace di trasportare ogni persona in un passato a volte molto lontano, richiamando memorie caratterizzate da una forte connotazione emotiva. La memo-

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ria olfattiva, infatti, ha un potere tale che i primi ricordi olfattivi, che si rifanno all’infanzia, sono i più forti nella loro capacità di provocare emozioni piacevoli e anche facili da riattivare. Alla base della percezione degli odori vi è l’apprendimento associativo: gli odori diventano ricchi di significati per le persone, attraverso le esperienze e le associazioni con altri eventi, cose, persone; quindi, l’accettazione o l’avversione verso un odore è legata anche ad eventi specifici collegati ad esso. È questa la caratteristica che oggi molti esperti di marketing prendono in considerazione, consci del fatto che legare il prodotto o l’evento che si intende promuovere ad odori dal forte significato emotivo, può sicuramente risultare una proficua strategia.

La domanda è allora legittima: perché non impiegare gli odori nel marketing per convincere il cliente a comprare un prodotto facendone sentire la bontà attraverso il naso? È noto a tutti il potere delle immagini sui propri sensi, ma non tutti conoscono il potere persuasivo dell’odore. Eppure l’olfatto riveste sempre più importanza: la lenta e faticosa ascesa dell’odorato a livello degli altri sensi è testimoniata, oltre che dalla storia, anche dalla filosofia. Il Sensismo premia l’olfatto vedendolo come principale ingrediente della felicità poiché capace di provocare gioie e sentimenti.“Sell with smell” è la nuova filosofia nata negli USA che vede l’odorato il protagonista nel campo delle vendite; è l’ultima delle strategie sensoriali utilizzate dalle grande imprese commerciali al fine di attirare la clientela e, dopo un periodo di monopolio del senso della vista e dell’udito, oggi è il naso ad interessare gli studi degli ideatori del marketing. Una cosa è certa, l’olfatto lavora su un canale meno affollato, quindi più recettivo e maggiormente vicino all’istinto.

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LA POTENZA DELL’OLFATTO Gli odori sono dei potenti media grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria. La loro ela-borazione perviene alla parte emozionale del cervello, ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alle situazioni in cui sono percepiti per la prima volta.È noto che vista e udito producono effetti più limitati sulla motivazione e l’emozione rispetto all’olfatto e si basano su un diverso sistema di analisi di stimoli: le percezioni visive e uditive producono risposte allo centriche nota () cioè centrate sul oggetto, a differenza della percezione olfattiva caratterizzata da risposte autocentriche, cioè centrate sul soggetto.Nell’olfatto la percezione è formata dal modo in cui l’oggetto viene sentito da colui che lo percepi-sce. Confrontata alla memoria visiva, quella olfattiva interessa strutture cerebrali diverse e si pensa che le regioni del cervello legate al sistema olfattivo e alla memoria siano le stesse inglobate nei processi emozionali.L’informazione olfattiva può essere trattata più rapidamente e con minore elaborazione dell’infor-mazione visiva ed auditiva e la memora degli odori può durare più a lungo, grazie ad una maggiore quantità di connessioni a parti diverse del cervello, che rendono possibili più associazioni. Secondo gli studiosi la percezione olfattiva è basata su principi organizzativi differenti rispetto alla modalità visiva. È provato, infatti, che la percezione olfattiva sia legata all’emisfero destro, separato funzio-nalmente dalle aree del linguaggio dell’emisfero sinistro.Gli esperti di marketing sono convinti che da questa “unicità” scaturisca la vera forza della per-cezione olfattiva: se è vero che l’olfatto ha un legame oltremodo debole con le parole poiché legato all’emisfero destro del cervello, è anche vero che è proprio questa l’area più legata alle emozioni, una peculiarità da considerare e da sfruttare nella comunicazione. Buoni o cattivi che siano, gli odori rimandano a delle emozioni più che a delle conoscenze; Diane Ackerman (

) afferma che gli odori sono i nostri congiunti più cari, ma non possiamo ricordarne il nome. Spes-so i soggetti presentano una forte familiarità per gli odori, senza esserne capaci di richiamarne il nome; hanno difficoltà ad accedere agli aspetti strutturali del suo nome (numero di sillabe, lettere), ma sono capaci di fornire informazioni categoriche o immaginative: odori simili, categoria generale dell’odore, oggetto o luogo di origine.Da numerosi studi sull’olfatto emerge che la sensazione che induce al gusto o al disgusto non

è semplicemente meccanica o innata, ma dipende anche da altri fattori legati all’espe-rienza, alla familiarità, alla psicologia e alla cultura. Nel-la sensibilità agli odori sgra-devoli influisce moltissimo la componente sessuale (le don-ne sembrano essere più sensi-bili dell’uomo) e l’età ( i meno sensibili risultano essere i più giovani, quelli invece più pre-occupati degli odori ritenuti

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sgradevoli sono i soggetti fra i 25 ed i 35 anni).Le preferenze olfattive si acquistano in uno stadio relativamente tardivo allo sviluppo: nel corso di interessanti ricerche si è osservata nei bambini una sorprendente tolleranza agli odori che per gli adulti sono considerati molto sgradevoli.

Ad influire sul giudizio relativo ad un odore entrano in gioco i seguenti aspetti:• l’esperienza = un odore può assumere valenza positiva o negativa in seguito alla situazione in cui viene esperito. Basta pensare all’importanza assunta dal profumo indossato dal proprio part-ner soprattutto nel momento in cui inizia il rapporto. È dimostrato che ciò che per la maggior parte delle persone è un buon odore può diventare, a seguito di particolari esperienze e associazioni, facilmente spiacevole per un persona e viceversa. In realtà gli odori non contribuiscono a nessun

comportamento o prestazione specifici, ma danno inizio ad una risposta nel sistema olfat-tivo.Gli odori possono essere con-siderati non come componenti funzionali degli oggetti, ma piuttosto come elementi sca-tenanti che diventano stimoli influenti attraverso l’associa-zione con esperienze, ricordi e stimoli. Ciò che è innato è rappresentato sia dalla pro-pensione ad imparare a fare

tali associazioni, sia lo stretto legame tra il sistema olfattivo e le parti del cervello che mediano le risposte emotive. Gli odori che non sono associati ad eventi significativi possono essere ignorati tramite il meccanismo dell’abituazione.

• La familiarità = il grado di familiarità di un odore entra a far parte degli elementi che costi-tuiscono una preferenza. Pur essendoci alcune differenze individuali riguardo alle preferenze per specifici odori è evidente una forte tendenza a giudicare come sgradevoli odori non familiari. Il sospetto di ciò che non è familiare deriva dalla funzione dell’odorato di mettere in stato di allerta nei confronti di ciò che non è conosciuto.

• La psicologia = tra i fattori che influenzano le preferenze olfattive compaiono anche gli ele-menti psicologici e i pregiudizi collegati agli odori: un’inchiesta sull’opinione pubblica riguardo agli scarichi dei motori diesel rivela che si potrebbero giudicare tali odori più ripugnanti di quanto essi non sono realmente, a causa di pregiudizi che riguardano l’inquinamento in generale. Il colore del fumo, per esempio, può influenzare un osservato-re e spingerlo a riferire che dà cattivo odore.

• La cultura = per quanto concerne, invece, il condizio-namento culturale sulla for-mazione del gusto olfattivo, è importante valutare che ogni individuo è stato inconsa-

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pevolmente condizionato, già dall’infanzia, da determinati odori appartenenti alla nostra cultura olfattiva. È facile, per esempio, prevedere che gli aromi evocatori di vacanze avranno un effetto de-stressante, quelli che ricordano la casa e la famiglia saranno rassicuranti. In pratica è possibile prevedere l’effetto di un gran numero di odori che appartengono al comune bagaglio di cultura in un determinato popolo. Ogni popolo ha la sua personale idiosincrasia verso gli odori. È confermato che in occidente sono preferiti i profumi più freschi e floreali, invece in oriente i profumi sono pe-netranti, inebrianti e moderatamente tossici.

UNA VISIONE GENERALE DELL’EVOLUZIONE DEGLI ODORI Già i Cinesi dei tempi di Marco Polo erano soliti profumare con foglie di patcholuli e radici di vetiver le loro sete, al fine di attirare i propri clienti e rendere l’acquisto più gradevole. All’inizio del 900 fu addirittura costruito un organo odorifero che era suonato durante i reciatux organizzati alla Central Hall di Londra (nota), basandosi sulla convinzio-ne che gli odori avrebbero influenzato la risposta emotiva del pubblico.La scenografia olfattiva risale all’alba della civiltà ed era un elemento essenziale nei riti e in cerimonie religiose. In effet-ti, gli antichi non sottovalutavano la capacità degli aromi di suscitare delle emozioni profonde e di conseguenza pratica-vano la scenografia olfattiva all’interno dei templi utilizzan-do le resine, i legni, le erbe e le spezie aromatiche bruciate come incenso. Nei luoghi sacri del Medioriente e dell’Asia, ma anche in Italia e in Europa, in aggiunta agli incensi sono ancora oggi ampiamente utilizzati i tappeti di petali di rosa per promuovere l’apertura dei cuori in vista del rito. Oggi, i commercianti, sfruttando le conoscenze degli scienziati, dei tecnici e attrezzature tra le più sofisticate, pro-fumano piuttosto gli interni delle automobili usate affinché

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“profumino di nuovo”, traendo vantaggio dalla tendenza ad associare la vecchia auto con un odore desiderabile (metodo-logia utilizzata da famose agenzie pubblicitarie nella campagna stampa per la BMW).Le scarpe vengono deodorate con materiali sintetici affinché “sentano” di cuoio, gli appartamenti in vendita affinché “sen-tano” di fresco e non di muffa o di pittura.

In Giappone un’industria ha persino collaudato diffusori di aromi per uffici in modo da aumenta-re il rendimento di operai e impiegati di una fabbrica di computer: nelle prime ore della mattina viene diffuso il fresco odore di limone mentre nel pomeriggio essenze contro la depressione o la malinconia come il basilico, l’incenso, la lavanda o il sandalo, testando con piacere che in ambienti profumati rigorosamente gli operai producono di più. Le ricerche della più importante fabbrica giapponese di fragranze, Takasago (21) ha rilevato che le persone al lavoro sui computer fanno il 54 % in meno di errori di battitura quando l’ambiente è profumato di limone, il 33% in meno con il gelsomino e il 20% in meno con la lavanda.

GLI ODORI PER VENDERE Interessanti interventi di comu-nicazione olfattiva volti all’incre-mento delle vendite o comunque alla promozione di immagine, sono rintracciabili nell’attività di alcune aziende che, avvalen-dosi di studi scientifici sulla psi-cologia degli odori, strutturano eventi profumati specifici a se-conda degli obiettivi particolari del cliente.

Un esempio concreto è l’azienda “La Via Del Profumo” di Rimini che propone scenografie olfattive e interventi di profumazione urbani orchestrati al fine di pre-disporre il pubblico a degli studi emozionali collettivi e a delle risposte comportamentali positive. Interessanti sono alcuni esempi di studi psicologici compiuti dalla stessa in occasione di interventi di comunicazione diversi: in occasione della Pasqua 2000, ad esempio, l’azienda si è dedicata all’allestimento olfattivo della città di Riccione articolando l’intervento in un serie di manifestazioni impostate sul profumo. (22)In occasione della festività nelle strade della città viaggiavano trenini capaci di sprigionare al pas-saggio una scia gradevolmente profumata per le vie di Riccione. Lo scopo psicologico di tale intervento era quello, nell’ambito di una promozione di immagine della città, di dare il benvenuto ai visitatori facendoli sentire “come a casa propria”.

21 - Barbara Weisz, Aromaterapia, Il profumo del business in www. menageronline.com 22 - La città profumata, in www. profumo. it

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Degno di attenzione è anche lo studio effettuato dalla stessa azienda in risposta alla richiesta di pubblicità olfattiva per un ipermercato. La proposta dell’azienda consisteva nel diffondere, tramite aria condizionata, due tipologie di fragranze naturali, l’una appartenente al settore alimentare e l’altra legata a diverse tipologie di prodotti, e nel rafforzare il messaggio olfattivo con l’ausilio di cartelli pubblicizzanti l’iniziativa. Alla base della strategia specifica vi era la considerazione che gli aromi rassicuranti sono, nella maggior parte dei casi, più utili perché promuovono sia la fiducia, sia una situazione psicologica favorevole alla decisione d’acquisto.Un’ambientazione simile allo studio appena citato, è stata effettuata tramite l’esperimento condot-to qualche anno fa da un ben noto supermercato britannico: si diffondeva all’entrata del negozio l’aroma artificiale del pane appena sfornato per attrarre i clienti ad indurli all’acquisto; questo perché tale aroma costituiva uno stimolo positivo e di attrazione nei confronti degli individui, por-tandoli a dirigersi direttamente verso il reparto dei prodotti da forno, pur essendo disposti positi-vamente nei confronti dell’intero supermercato. Anche altre due conosciute compagnie americane hanno utilizzato l’olfatto per vendere. La Wollwhorthis ha introdotto, durante il periodo natalizio, l’aroma della cena di natale e del vino Mulied in 20 dei propri magazzini.Il giorno di San Valentino del 1997, la Superdrug, sulla base della ricerca dell’università del Mid-dlesex, introdusse l’aroma di cioccolata nel suo magazzino. Inoltre, in uno studio sperimentale, ugualmente ambientato in un supermercato, venne diffuso l’odore di lavanda, di zenzero, di menta e di arancia onde sondare la risposta di alcuni studenti nei confronti dell’ambiente circostante i prodotti. La valutazione del magazzino e dell’ambiente risultò migliore nelle condizioni di presenza di profumazioni: in tale occasione l’ambiente fu giudicato favorevole, positivo e moderno. Gli stu-denti, infatti, esprimevano una maggiore predisposizione nel visitare il magazzino nelle condizioni di profumazione e guardavano alla merce come più aggiornata, varia e di alta qualità. Secondo gli autori la presenza di odori inoffensivi in un magazzino è un modo poco costoso ed efficace per incanalare le reazioni del cliente verso il punto vendita e la merce esposta.Il profumo ha come effetto quello di rallentare l’andatura del consumatore e ed è calcolato, da uno studio specializzato, che gli individui trascorrano un quarto di tempo in più nei negozi che “sentono” buoni senza però rendersene conto. Un esperimento attuato in un centro commerciale, provvisto di due punti vendita di articoli sportivi, ha dimostrato che nel negozio in cui era stata spruzzata un’essenza quasi impercettibile, l’84% dei clienti ha espresso di sentirsi maggiormente spinto all’acquisto rispetto al punto vendita non profumato in cui i prodotti presentavano addirit-tura prezzi più bassi.

È stato inoltre quantificato che nei negozi di prèt-à-porter la diffusione di profumi determina una moltiplicazione per due o tre volte delle vendite dei prodotti.Già da un po’ di tempo, le industrie di detersivi valorizzano i loro prodotti utilizzando il profumo della freschezza primaverile o alpina.

Per concludere, una banca americana profumava i libretti degli assegni con olio di rose per aumentare la fidelizzazione.

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SCEGLIERE L’ESSENZA GIUSTA

Nell’utilizzo degli odori per il raggiungimento di risultati e riscontri positivi presso i clienti, non è sufficiente servirsi di un’essenza, ma è importante saper utilizzare l’essenza giusta.

È per questo che il commercio ultimamente investe molto tempo e risorse finanziare per scoprire e riprodurre l’odore giusto per i propri prodotti. Bone e Jantrania, nel 1992, hanno riscon-trato che un detergente all’essenza di limone era valutato dal consumatore in maniera più positiva rispetto ad un detergente al cocco. Viceversa una lozione di protezione ai raggi solari al cocco era apprezzata maggiormente rispetto una al limone. Entrambi gli odori erano comunque ritenuti pia-cevoli. Questa scoperta illustra che l’uso degli odori per vendere della merce deve assicurare che ogni odore sia compatibile con il prodotto, e odori specifici, accoppiati a prodotti specifici, indiriz-zano in modo positivo le decisioni del consumatore.

È stato dimostrato, per esempio, che aromi fioriti associati ai prodotti di calzaturificio ne incremen-tano la vendita; allo stesso modo un profumo raro di fiori nobili potrà essere molto convincente sulla qualità della merce in una boutique di lusso ma totalmente fuori luogo in una palestra -in cui funzionano maggiormente aromi balsamici- o in un ambulatorio -in cui si consiglia l’uso di aromi antisettici, familiari e rassicuranti-.

La golosità, fattore che attualmente seduce molti consumatori, è suscitata da fragranze frut-tate e caramellate ma anche di sodio e di sabbia, provocando il senso di evasione e di esotismo, e possono essere applicati con successo nella comunicazione di un’agenzia di viaggio. Un sentimento di benessere può essere legato ai profumi della foresta e ai profumi naturali, inoltre l’individuo si sente pienamente rassicurato in un ambiente deodorato con vaniglia, miele e latte: la vaniglia rievoca, per esempio, il seno materno.

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ODORI STRUMENTI DI MARKETING Nella comunicazione pubblicitaria tradizionale l’olfatto è stato sempre escluso per lasciare spazio a percezioni sensoriali che, come la vista e l’udito, sono prevalentemente legate alla parte intellettiva piuttosto che a quella emozionale. Che cosa cerco? Quale prodotto risponde meglio a questa mia esigenza? Come mi vedran-no gli altri? È ciò che si domanda l’emisfero razionale del nostro cervello. Chi acquista risponde così, più che ad un bisogno legato a credenze e a valori, alle sue istintive ed inconsce emozioni. L’olfatto invece agisce un po’ come una macchina della verità che può fare la differenza nel classico momento dell’impulso all’acquisto. Il messaggio olfattivo in questo caso è estremamente più potente perché lavora su un canale di comunicazione non saturato da messaggi ridondanti. Coinvolge emotivamente il consu-matore instaurandosi nelle zone ancestrali del cervello, motivando all’acquisto in modo molto più profondo e coinvolgente. È su questa base che le imprese si affidano alla nuova strategia sensoriale olfattiva utilizzandola come nuova leva del marketing capace di spingere l’individuo all’acquisto. Il concetto di marketing olfattivo sembra attribuibile allo psichiatra americano Alan R. Hirsch 23

egli, dopo aver constatato che i clienti di un grande casinò di Las Vegas spendevano molto di più quando sostavano in ambienti profumati con odori piacevoli sottilmente diffusi nei pressi delle slot-machine, ha offerto le proprie osservazioni alle imprese. Molte aziende oggi si mostrano sen-sibili nei confronti del nuovo strumento di comunicazione: commercianti alimentari, di cosmetici, agenzie di viaggi e perfino produttori di gioielli sono sempre più orientati verso la creazione di un’immagine associata ad una firma o ad un logo olfattivo.

STIMOLAZIONI SENSORIALILe stimolazioni sensoriali più concrete possono avvenire con i profumi, ma anche la musica ha un forte effetto sul consumatore. La loro elaborazione avviene nella parte emozionale del cervello, ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alle situazio-ni in cui sono stati percepiti per la prima volta. Per tale motivo, l’utilizzo degli odori a fini commerciali è un trend che si va sempre più affermando: dagli agenti immobiliari che profumano di caffè o di torta nel forno le case da mostrare a dei potenziali acquirenti (perché questi odori attivano emozioni positive, legate a concet-ti come “infanzia” e “mamma”), ai grandi magazzini che diffondono profumi di campo per indurre il rallentamento dell’andatura dei clienti (così possono dedicare più tempo agli acquisti), si tratta sempre di sfruttamento non ingenuo del potere evocativo degli odori.23 -Stanley G. Harris, Jan Fawcett, Alan Hirsch M. D. What flavour is your personality? 2001.

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Anche la musica è fortemente interrelata alle emozioni e la sua utilità a fini commerciali è ben nota da tempo. Un fenomeno a cui le persone assistono sempre più frequentemente è l’utilizzo in pubblicità di canzoni già famose: il passaggio dall’ambito culturale a quello promozionale comporta infatti due notevoli vantaggi, os-sia lo “sfruttamento” di emozioni, perlopiù positive, già esistenti (le-gate alle situazioni in cui la canzo-ne è stata udita precedentemen-te), e un surplus di popolarità per il prodotto pubblicizzato.

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L’AMBIENTE DI VENDITA

CARATTERISTICHE DEL PUNTO VENDITA Le caratteristiche del punto vendita assumono un ruolo tutt’altro che marginale: il pro-gettista/venditore, per sollecitare la dimensione sensoriale dell’utente, può utilizzare stimoli visivi, olfattivi, uditivi come fragranze, musiche o visioni spettacolari. Anche l’immagine del prodotto vie-ne usata per far riaffiorare esperienze: il design, la confezione, il modo di esporre, sono mezzi per stimolare il desiderio d’acquisto. Il personale che si occupa della vendita è un’altra fonte di stimoli fondamentale nel processo decisionale del cliente: è importante, quindi, che l’incontro non generi frustrazione, ma che sia fonte di soddisfazione e di gradimento.Kotler è uno tra i primi studiosi a considerare l’atmosfera del punto vendita come uno strumento di marketing capace di influenzare gli individui nelle decisioni di acquisto. Secondo l’autore l’atmo-sfera è il “frutto dello sforzo di progettare ambienti di acquisto tali da produrre effetti emozionali specifici nell’acquirente per accrescere le probabilità d’acquisto”.Eroglu e Machleit fanno riferimento a “tutti gli elementi fisici e non di un negozio gestiti dal retailer in grado di accrescere un comportamento d’acquisto vantaggioso per il retailer stesso ” Markin, Lillis e Narayana considerano “l’atmosfera costituita da stimoli e percepita in modo sog-gettivo dai singoli clienti tramite i sensi”. Le dimensioni che caratterizzano un ambiente e su cui il retailer può agire in fase di pro-gettazione di un punto vendita sono quindi di tipo visivo (il colore, la grandezza, la forma, la lumi-nosità), uditivo (rumori, sottofondi musicali), olfattivo (profumi), tattile e gustativo (alcuni elementi dell’atmosfera possono provocare ricordi di particolari sapori).Backer amplia la gamma di stimoli che contribuiscono a caratterizzare l’atmosfera includendo, oltre ai fattori ambientali e di design (responsabili della stimolazione multi-sensoriali) anche i fattori sociali.

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Secondo Thai e Fung, l’atmosfera del punto vendita di vendita è “la percezione, da parte del consumatore, della qualità dell’ambiente di vendita”.Grossbart, Hampton, Rammohan e Lapidus ritengono che “la teoria sostiene che il fattore ambien-tale condiziona gli atteggiamenti interiori che determinano il comportamento del consumatore”. Concludendo, l’atmosfera del negozio è definibile come un insieme di elementi fisici e non, che vengono percepiti soggettivamente dai visitatori, precipuamente attraverso i sensi, de-terminando reazioni cognitive e/o affettive in grado di tradursi in atteggiamenti e comportamenti favorevoli al retailer che può controllare e gestire, almeno parzialmente tali stimoli. L’idea di fondo, che giustifica l’interesse di studio accademico e manageriale , è che l’atmosfera costituisca uno strumento di in-store marketing a disposizione del retailer per cercare di condizionare i comporta-menti della clientela.

Gli input su cui i dettaglianti possono agire sono il contesto ambientale e relazionale; gli output de-siderabili sono la selezione del punto di vendita, una modalità attiva di visita, l’entità degli acquisti effettuati e la fedeltà nel tempo.

LO SHOWROOM E L’EXIBITION DESIGN Con il termine showroom, si intende uno spazio espositivo che un’azienda commerciale o industriale, specifica nel settore, allestisce allo scopo di presentare e vendere i propri prodotti. Questo vocabolo inglese, che letteralmente in italiano si traduce con “sala d’esposizione”, ormai ha acquisito un uso e un significato universale.

Lo showroom nasce con l’obbiettivo di cambiare e migliorare l’idea di “shopping experien-ce”. Il punto vendita non è più soltanto il luogo della semplice e statica esposizione, dove l’acqui-rente si limita a cercare il prodotto che gli interessa, ma diventa un luogo dinamico con il quale interagire e confrontarsi, un’ambiente nel quale anche le attività sociali dell’acquisto si rinnovano attraverso la contaminazione con attività fino a ieri escluse dal luogo di vendita; ed è grazie a queste contaminazioni che si possono ampliare le potenzialità del negozio, che diventa, in questo modo il palcoscenico sul quale le aziende possono raccontare le loro storie, le loro mission, le loro filosofie di vendita.24

24 -Trevisan Michele, Pegorore Massimo, “Retail Design: progettare lo shopping experience”, Milano, F. Angeli, 2007.)

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Diventa quindi fondamentale l’efficacia e il modo con il quale l’azienda decide di raccontarsi; una buona parte del successo di quest’ultima dipende infatti da come, e con quanta importanza, emo-zione e trasporto il cliente, lo spettatore in questo caso, recepisce il tutto, appassionandosi.

Questo processo sta diventando però sempre più difficile, perché oggi i consumatori sono più in-formati, molto influenzati dalle mode, ma soprattutto attenti alla coerenza dei messaggi legati ai prodotti e allo stile che questi rappresentano. La vendita attraverso lo showroom diventa quindi un atto di seduzione e di coinvolgimento che portano il consumatore a scegliere un determinato prodotto, attraverso un sistema di presentazione che riesce a esercitare su di esso un potere di convinzione.

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25 -(layout è l’organizzazione e la configurazione di un dato magazzino o impianto, atto a minimizzare i costi e i tempi di produzione per avere il prodotto finito nei massimi termini del concetto di efficacia ed efficienza.)

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diversificata gamma di prodotti, semplificano le modalità d’acquisto garantendo un unico interlo-cutore. Piacciono all’industria che li ha scelti come uno dei canali di vendita privilegiati, riconoscen-done l’efficienza e l’efficacia unica nell’esaltare l’impatto emozionale del prodotto.L’exhibition design quindi deve saper rispondere a dei bisogni, l’allestimento in quanto tale non è infatti il suo scopo bensì lo strumento per la realizzazione di spazi e architetture volte alla co-municazione e all’esposizione, l’arte del mostrare, del far vendere che coinvolge luoghi, oggetti e strutture in funzione di una comunicazione organizzata, la quale predispone un percorso ideale che guida il visitatore verso i punti strategici e di maggiore interesse.Il glossario illustrato di Design curato da Aldo Colonetti offre all’exibithion design la seguente pun-tuale descrizione: “ Progettazione dell’esposizione come forma di comunicazione coordinata, attra-verso la realizzazione di un allestimento, implica la progettazione della suddivisione dello spazio e dei percorsi dei visitatori, del contesto luminoso, sonoro e olfattivo, dei singoli apparati che servono a mostrare gli oggetti (espositori), nonché della grafica per la comunicazione della mostra”. Da questa definizione è possibile comprendere che in tale disciplina, costruitosi progressivamente proprio attraverso il “fare”, convergono conoscenze di architettura, sociologia, psicologia, comu-nicazione e marketing, tutti ambiti dotati di un corpus di saperi già strutturato. Infatti, sulla base di una conoscenza approfondita del linguaggio e del significato dei colori, delle forme, della luce, essa cerca di rendere leggibile nell’esperienza tridimensionale della visione i valori di fondo che l’organizzazione promotrice dell’evento espositivo intende veicolare. (26)

26 -Guido Muneratto, “L’exhibition Design nelle organizzazioni, Milano, F.Angeli, 2008.)

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LO SHOWROOM DEI COMPLEMENTI E DEI PRODOTTI D’ARREDO

Lo Showroom viene usato come vetrina da molte aziende per la vendita di prodotti, in molteplici settori che vanno dall’abbiglia-mento agli oggetti d’uso, dai motori fino all’arredamento. In quest’ ultimo settore, lo showroom ha la grande opportunità di po-ter ricreare tramite gli oggetti d’arredo e i complementi, dei veri e propri ambienti che riproducono stanze, angoli di case e spesso anche piccoli appartamenti dando quindi al cliente una sensazione di familiarità con l’ambiente creato, lontano dalla classica e

fredda esposizione seriale. In questo modo è infatti possibile unire tra loro i prodotti d’arredo, i complementi e gli oggetti d’uso, in modo da creare allestimenti che a seconda delle combinazioni scelte, del design, dei colori esprimono un proprio stile, una propria storia, una comunicabilità con il consumatore, nel quale quest’ultimo può riconoscersi, decidendo di portarsi un pezzo di quello stile o anche tutto nella propria casa, facendolo proprio.

Questi nuovi showroom, infatti, oltre a ricreare singoli ambienti completi e arredati nei minimi dettagli come came-re, cucine, salotti, oggi ricreano con molta attenzione e intelligenza anche dei veri e propri appartamenti, magari anche di po-chi metri quadrati per dare ancora più va-lore e potere ai prodotti, dimostrando che anche con poco spazio è possibile creare un ambiente con una sua esclusività e con un impatto emozionale molto forte, capace di invogliare chiunque a vivere in 50 metri quadrati.

Lo showroom non può essere vincente se non trasmette.

L’impatto con il consumatore, stimolare le sue emozioni, è il motore trainante di questo processo. Le grandi aziende di arredamento, specialmente quelle rivolte a una fascia me-dia, hanno il compito di dover far sognare il consumatore, attraverso esposizioni che rispecchiano i desideri delle persone, pro-ponendo diverse tipologie con un unico de-terminatore che sia nel rispetto dello stile e della mission dell’azienda.

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COME SONO CAMBIATE

LE ESPOSIZIONIPer la progettazione degli allestimenti, come disciplina a sé, con proprie regole e procedure operative, occorre risalire al passaggio tra Otto-cento e Novecento, ovvero al periodo delle gran-di esposizioni universali, nel corso delle quali

molti progetti pensati solo per l’occasione sono diventati permanenti o modelli di esposizioni fu-ture. È comunque difficile delineare un percorso storico unitario della disciplina, dato il carattere multidisciplinare del sapere in essa coinvolto. Se infatti all’inizio è stato preponderante l’apporto degli ingegneri, in conformità al generale entu-siasmo di fine Ottocento per i traguardi e per la cultura del positivismo, progressivamente si è fatta strada una diversa sensibilità per l’arredo e l’esposizione di oggetti di qualsiasi tipo. (27)Con il passar degli anni ha sempre più preso piede la convinzione che sfruttare gli spazi in modo consapevole e razionale permette di co-municare in maniera efficace e, quindi, di creare una relazione significativa fra gli oggetti ed il pubblico. Il settore che ha permesso all’allesti-mento di allargare e diffondere i propri orizzonti è senza dubbio quello fieristico. In Italia la vera richiesta inizia a partire dal 1925, grazie allo spostamento della fiera di Milano nel Quartie-re Fiera, stimolando le ditte a non limitarsi alla semplice esposizione di prodotti, ma a cercare

strumenti per comunicare i propri valori, per mi-surarsi con i concorrenti e catturare l’attenzione del pubblico.Il modello diffuso fino agli anni 80 era ancora quello delle grande fiere campionarie, generali-ste. Tale modello però evolve ben presto sia per l’apertura di nuovi mercati, sia per il moltipli-carsi delle stesse fiere, vissute dagli espositori come occasione e luogo incontro con clienti e partener. In questo scenario in fermento cambia la concezione dello stand e cambia l’approccio

e la mentalità dell’espo-sitore: •••• •• • • ••• ••• •• • ••• • • •• • • • • • •• • • • • • • •• •• •• • • •• • • •• •• •• • • •• •• • • ••• • • • ••• •• • ••• •• •• ••••• • • ••••• • • •••• • •• • •• • . In altre parole vera protagonista dell’espo-sizione diventa l’azienda attraverso il suo concept e la sua immagine.

Di conseguenza, un cambiamento così radi-

cale, seppur progressivo, ha condotto in poco tempo a un mutamento nell’approccio dell’al-lestimento. Gli espositori iniziano ad affidare a terzi la progettazione degli spazi e in poco tempo emergono nuove figure professionali, con competenze in architettura, design, co-municazione e grafica. Il risultato è che il più delle volte non è una sola figura professio-nale a promuovere il singolo evento ma un complesso lavoro di squadra.

27 - Guido Muneratto, “L’exhibition Design nelle organizzazioni, Milano, F. Angeli, 2008)

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CRITERI DI ESPOSIZIONE DEL PRODOTTO Il prodotto è il protagonista assoluto del contenitore che ci accingiamo a progettare, e parallelamente ad esso si devono definire i criteri di esposizione di quest’ultimo, che generalmente dipendono sia dalle caratteristiche intrinseche, proprie dell’oggetto da esporre, sia dall’immagine che si vuole far percepire al consumatore anche a seconda del target di riferimento.Nel caso dei department store si deve tenere in considerazione che il cliente può ( e in molti casi deve) sentirsi solo, e deve essere in grado di trovare quello che sta cercando senza alcuna assi-stenza, di conseguenza tutta l’offerta del brand deve essere disponibile e facilmente accessibile, ad esempio nei vari tipi di colore e taglia per ciascun articolo.Per quanto riguarda il prodotto invece i fattori qualitativi sono più sottili: questi si basano sulla struttura dell’offerta complessiva, sugli accostamenti e sulle possibili sinergie tra diverse categorie di prodotto all’interno della stessa offerta, oltre che sulla stagionalità dell’offerta e sulla possibilità che questa cambi nel tempo. Infatti è difficile che un’azienda concentri i suoi sforzi produttivi e di comunicazione su un’unica categoria di prodotto; è vero semmai il contrario, preferendo esse differenziare, per suddividere i rischi e ampliare le possibilità di business. Pur ipotizzando che le categorie proposte rimangono le stesse, è assolutamente verosimile che i colori, il packaging e gli accostamenti vengono modificati per adattarsi alle esigenze del mercato o semplicemente per una scelta aziendale. In questo caso, lo spazio commerciale deve essere in grado di assorbire questi cambiamenti senza penalizzare la presentazione, l’esposizione, ma valorizzando al massimo il pro-dotto in ciascuna situazione. (28)

ALLESTIMENTO TRA DESIGN E COMUNICAZIONEIl compito principale della struttura che si va ad allesti-re è quello di coinvolgere, di predisporre un percorso che il pubblico sia disposto a segui-re. Nel corso di questa espe-rienza, l’utente entra in diret-to contatto con il prodotto, con l’azienda e con la filosofia che la anima. Si è così giun-ti al momento vero e proprio della relazione.

L’impatto emotivo ha esaurito la sua fase e ora dobbiamo preoccuparci degli aspetti più propria-mente cognitivi.

Perché si stabilisca una relazione, occorre che da entrambe le parti vi sia la disposizione ad atti-varla. L’azienda naturalmente ha a riguardo un interesse diretto, mentre per l’utente le motivazioni vanno costruite.

Se il gruppo di ricerca-azione ha svolto un buon lavoro di analisi dei bisogni e di individua-zione del target il percorso predisposto metterà l’utente in condizione di capire il suo ruolo di inter-

28 - Trevisan Michele, Pegorore Massimo, “ Retail design: Progettare lo shopping experience”. Milano, F.Angeli, 2007.)

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locutore nei confronti dell’azienda, altrimenti l’incontro non produrrà nessun esito a medio-lungo termine. Perciò in questa fase è di cruciale importanza la presenza di personale qualificato, sia per il feedback di qualità della risposta che solo il personale presente sul posto è in grado di cogliere. Non è infatti importante solo comunicare qualcosa all’utente ma anche saperlo ascoltare e inter-pretare le sue reazioni. A questo proposito formare il personale in modo che sia capace di registrare gli aspetti qualitativi della relazione è di grande utilità per la successiva riflessione valutativa sul rapporto tra finalità aziendali e evento realizzato.

Lo schema sotto riportato mostra le fasi di questo lavoro di coinvolgimento che il progettista dell’allestimento deve essere in grado di convogliare verso l’obiettivo comunicativo che il gruppo di lavoro ha fissato.

In conclusione: l’importante è che l’organizzazione riesca a coinvolgere e a trasmettere il suo obiet-tivo comunicativo e che il visitatore abbia avuto modo di compiere un’esperienza coinvolgente, il cui ricordo possa essere la premessa di prosecuzione del suo rapporto con l’organizzazione

SCHEMA GRAFICO

Emotivo Cognitivo

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il RETAIL•• •• • • • • • • • •• • • • •• •L’immagine di una marca quindi non è più legata al singolo prodotto ma ad un concept, e diventa fondamentale che di essa venga data una giusta rappresentazione all’interno del punto vendita attraverso spazi, ambientazioni e strutture che l’assenza di una rete diretta difficilmente rendereb-be possibile.

Il successo dei nuovi format che segnano l’ingresso dei produttori nel mondo del retailing è dato proprio dall’attitudine che questi hanno di supportare la costruzione di tali concept e di favorirne la traduzione in termini estetici e visivi.

Il senso dell’evoluzione del ruolo del punto vendita è, quindi, insito proprio nella capacità di creare “••• • • •• • •• •• • •• •• •• • ai connotati della marca, un ambiente nel quale i

•• • • • • • • •• ••• • • • • • • • • •• • • •• • •• •• • • • • • •••• ••• • • • • •••• • •• • •• •••••• •• • ••• • • • •••• • • • • • •• •• ••• • • •• • • • • • •• • • ••• •• •• ••• • • ••• • • •• •• •• •••• • • ••• •• • •• • ••• • •• • • •• •• ••• L’atto d’acquisto del consumatore deriva dal desiderio di soddisfare un bisogno e ciò av-viene nei luoghi dove l’atmosfera ha incuriosito ed attratto lo stesso potenziale cliente. Lo spazio di vendita si deve arricchire di nuove leve di valore che possano consentire di dare rappresentazio-ne di marca; il ricorso all’intrattenimento, alla tematizzazione e alla spettacolarizzazione dell’atto d’acquisto permette al consumatore di sentirsi appagato anche di quei bisogni, legati all’auto-gratificazione, al desiderio di fuga dalla routine e alle emozioni, che in passato solo parzialmente trovavano realizzazione negli spazi di vendita.

Queste considerazioni, se incrementano la rilevanza strategica del punto vendita quale luogo privilegiato attraverso cui comunicare con la clientela, ribadiscono anche l’importanza per le imprese industriali di procedere all’identificazione e alla valorizzazione di tutti gli elementi che, seppur con intensità diversa, supportano all’interno della superficie di vendita la comunicazione delle valenze valoriali, simboliche e comportamentali della marca.Il retail partecipa alla costruzione della brand identity attraverso la combinazione di modalità “hard” che caratterizzano gli elementi della struttura fisica del punto vendita con la modalità “soft” che prevedono, invece, la realizzazione di attività di diversa natura.Nello schema grafico sottostante potrete notare gli elementi di comunicazione del punto vendita che supportano la diffusione della brand identity caratterizzando tutto ciò che identifica il retail.

SCHEMA GRAFICO

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• • • • •• • •• •• • • • • •• • • •• • • • •• •• • • •• • • • •

L’attività del retail designer nasce negli anni ’70 e da allora ha assunto un’importanza sempre maggiore al punto di diventare essenziale nello sviluppo delle strategie aziendali.La sua attività si è spostata e si è evoluta dalla semplice progettazione degli interni ad un ambito multidisciplinare nel quale molte attività si integrano, coordinate nel progetto. Quindi non è possi-bile parlare solo di semplice progettazione degli spazi atti alla vendita, ma anche dalla progetta-zione di vere e proprie strategie di comunicazione. Infatti è fondamentale il modo con il quale il designer interpreta lo spazio, il ruolo che riesce a dare alla luce, ai colori e ai materiali, la distribuzione del prodotto, la posizione che individua per gli elementi di supporto alla vendita all’interno del lay-out distributivo, la presenza dei luoghi interni ed esterni e le eventuali vetrine. Tutto questo per contribuire alla comunicazione di uno specifico messaggio. (29) L’abilità sta nel riuscire a coordinare coerentemente ogni elemento in modo che i prodotti diventino i veri protagonisti del progetto, valorizzando ogni dettaglio ed enfatizzando lo stile che l’azienda vuole trasmettere. Quindi, il progetto deve avere un approccio globale, che si svincoli

29 - Trevisan Michele, Pegorore Massimo, “ Retail design: Progettare lo shopping experience”. Milano, F.Angeli, 2007.)30 - Trevisan Michele, Pegorore Massimo, “ Retail design: Progettare lo shopping experience”. Milano, F.Angeli, 2007.)

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dalle teorie estetiche del progetto ma attraverso di essa riesca comunque a tradurre formalmente la strategia e le aspirazioni dell’azienda. (30) Un altro fattore molto importante all’interno dello show room è il “rispetto per il cliente”: nessuno può permettersi il lusso di considerare la fedeltà del cliente come un bene garantito; in-fatti, i retailer designer devono ascoltare i propri clienti, prima di tutto per creare prodotti sempre più adatti a soddisfare i bisogni, e in secondo luogo per attuare un servizio di vendita in linea con le loro aspettative. Dalla sua parte il designer ha il compito di progettare ambienti nei quali il potenziale consumatore possa sentirsi in qualche modo gratificato nella scelta di un determinato prodotto e di una determinata azienda.Le creazione degli spazi adeguati non soltanto all’acquisto, ma anche all’esposizione, all’attesa, la conversazione, nonché al ristoro, possono favorire una maggiore apertura e un maggior coinvol-gimento dei clienti, e una conseguente maggior disponibilità a considerare le proposte d’acquisto.In conclusione, il compito del retailer designer diventa quello di organizzare i progetti sapendo combinare elementi come la psicologia, la strategia di marketing, la tecnologia dei materiali e l’ergonomia.

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• • •• • • • •• • • • •• • • •• • • •• • ••• • • •• • • • • • • • • • • • I meccanismi che influenzano le motivazioni all’acquisto sono le leve su cui si concentrano tutte le filosofie di retail design. È possibile definire tre diverse intenzioni che il consumatore può avere quando entra in contatto con il negozio:• Acquisto specifico, in questo caso il consumatore sa già cosa vuole e dove trovarlo;• Incertezza di acquisto, qui il consumatore cerca ispirazione, vuole acquistare ma non sa bene cosa;• Qualcosa da fare, in questa ultima intenzione il potenziale cliente non ha come obiettivo l’ac-quisto immediato, ma vuole informarsi.Trasformare un potenziale consumatore in un consumatore effettivo è il primo obiettivo dello spazio retail.L’offerta di prodotto deve innanzitutto essere in grado di soddisfare la richiesta di acquisto specifico, in seguito l’immagine dello spazio deve allineare l’offerta ad un livello coerente con l’immagine del brand.Per quanto riguarda i consumatori incerti, questi sono un’occasione per il retailer. Per questa ca-tegoria il punto vendita non deve solo garantire la varietà di offerta, ma anche essere in grado di convincere e persuadere il potenziale consumatore, stimolando le sue motivazioni d’acquisto.

È possibile definire cinque motivazioni di base all’acquisto:1. Attrazione2. Chiarezza e facilità di funzione3. Freschezza e cambiamento4. Piacere 5. LifestyleL’attrazione dipende dai modi e dal tono con cui l’azienda sceglie di parlare al consumatore e comunicare i suoi valori e la sua offerta che può essere stimolata in due modi: attraverso i canali di comunicazione caratteristici del brand, e sul punto di vendita attraverso le vetrine e i focal point interni, veri e propri punti di attenzione che propongono, come icone semplici ma complete, una sezione significativa dell’offerta del brand.La chiarezza definisce invece la capacità di esprimere la varietà dell’offerta con semplicità e in modo chiaro.La freschezza e il cambiamento rappresentano un’altra motivazione all’acquisto, e sono ga-rantiti da un processo studiato di merchandising utile a rendere l’offerta nel negozio sempre nuova e in continua evoluzione.L’interior design del negozio può essere pensato con soluzioni flessibili per rendere l’ambiente facil-mente reinterpretabile, lo scopo rimane quello di mantenere viva l’immagine dello spazio e l’interesse del pubblico. Il piacere è uno degli elementi che costituiscono la base dello shopping: piace-re nel visitare uno spazio, nel vivere un’e-sperienza e nell’acquistare, per poi posse-dere un certo prodotto.La chiave per la stimolazione sta sicuramente nel creare ambienti innovativi piacevoli e sor-prendenti nei quali il cliente sia “catturato”.Il lifestyle, ossia la consapevolezza che il brand rappresenti uno stile di vita prima an-cora che un prodotto, è un’altra forte moti-vazione che spinge all’acquisto.

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DALLO STUDIO AL PROGETTO

• • • • •• ••• • • •• • • • • • • • Il retail designer ha il ruolo di dover raccogliere e sintetizzare informazioni e dati prove-nienti da fonti diverse, per realizzare uno spazio in cui i valori dell’azienda, i suoi obiettivi strategici e la presentazione del prodotto si fondano in sinergia.

Nella fase preliminare del nostro progetto, l’obiettivo sarà quello di identificare quali sono i fattori che influenzano e contribuiscono alla definizione dello spazio a nostra disposizione per far si che l’azienda sia vincente.

Questi fattori comprendono:

• la filosofia dello showroom

• tipologia e caratteristiche dei prodotti da esporre

• i criteri di esposizione del prodotto, visual merchandising

• il target di riferimento

• la location

• il concept

Nei capitoli precedenti sono stati argomentati gli aspetti attraverso i quali è nata l’idea di trasfor-mare e riprogettare un retail già esistente in un nuovo concept che è quello della casa studio.

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• • •• • • • • • • • •FIDIAGROSSETO, Via Aurelia Nord 217/A.

Nel 2005 nasce in questa zona maremmana il negozio FIDIA. Cosi come Fidia, famoso scultore e architetto dell’antica Grecia si distinse per la grande cura dei particolari in tutti i suoi lavori, anche Fidia s.r.l nasce per dare vita a interventi di alta qualità nel settore della progettazione, costruzione, e dell’arredamento. Nata dall’associazione di esperti nel settore, oggi rappresenta un unico studio di eccellenza e professionalità, in grado di rispondere a tutte le esigenze di realizzazione con un servizio “chiavi in mano” per guidare il cliente dallo studio di fattibilità, al progetto, alla realizzazione.

Fidia è un’unica struttura suddivisa in due parti: a piano terra è presente lo show room di arredamento e al primo piano gli studi tecnici che operano nel settore dell’edilizia. La parte interes-sata è lo showroom che caratterizza il concept store.Fantasia, coraggio, creatività, onestà e amore sono i valori che caratterizzano la strada vincente di un negozio che permette di far sognare le persone vivendo la propria casa quotidianamente.

Com’è già stato scritto nei capitoli precedenti, è possibile definire questo retail un negozio flessibile dove ogni anno l’esposizione viene modificata per valorizzare il prodotto con la tendenza del design contemporaneo. Questo fa si che Fidia sia sempre un luogo che esprime curiosità.

Le aziende scelte per qualsiasi tipo di progetto sono aziende italiane ed estere, tutte in possesso del certificato di qualità.

Per quanto riguarda il visual merchandisig Fidia ha la fortuna di inglobare i propri prodotti all’interno di una struttura perimetrale di vetrate, e questo permette al negozio di essere visibile 24 ore su 24 e di avere il tutto in vetrina. Lo spazio effettivo per l’esposizione è di 150 metri quadri circa oltre un bagno di servizio.

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Il dettaglio che fa la differenza in questo negozio è che il singolo prodotto di design è ambientato nella zona che più gli appartiene all’interno di un’abitazione. Questo permette al cliente medio-alto - questo è il target di riferimento a cui si rivolge Fidia- di ricevere una qualsiasi emozione nell’am-biente in cui si è calato provvisoriamente per cercare di soddisfare il suo desiderio o bisogno per poi acquistare il prodotto scelto. In conclusione Fidia è lo showroom per eccellenza in cui le persone che entrano all’interno dell’attivi-tà possono percepi-re serenità, comfort in un luogo dove le ambientazioni do-mestiche permettono al cliente di sentirsi amati e rassicurati dal progettista/ven-ditore di aver fatto la scelta giusta.

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LA CASA STUDIO, •• •• • • • • • • • •• • • • •• ••• • •• • • •• • •• • • • • • • • •• ••• • •• • • • • Dopo aver esplorato il mondo Fidia, è arrivato il momento di illustrare la nascita dell’idea della casa studio con il suo progetto esecutivo. Prima di partire con il progetto esecutivo della casa studio, con le planimetrie, è giusto spiegare cosa è una casa studio. La casa studio è un luogo che, oltre ad accogliere un’ attività lavorativa, ospita anche un’ abita-zione dove i progettisti/venditori hanno la possibilità di vivere quotidianamente. Tutto questo nasce per una precisa strategia aziendale che andrò ad illustrare dopo aver fatto la seguente domanda: avete mai visto un negozio di progettazione d’arredamento di 150 mq esposto come se fosse la vostra futura casa? Di sicuro raramente, se la risposta non fosse negativa. È da qui che nasce il desiderio di unire il concetto retail con il concetto dell’abitare. Ed è qui che il driver motivazionale sta nella famosa citazione di Walt Disney:

se lo sogni vuol dire che puoi farlo. La realtà di oggi deve ritrovare l’identità dei luoghi per far si che una strada sia vincente per un tempo a medio/ lungo termine.

L’idea della casa studio nasce per cercare di sfruttare al massimo la locazione di questo spazio luminoso cercando di non creare divisione negli am-bienti ma creare un continuo intrecciarsi con gli am-bienti reinterpretando lo spazio domestico all’interno di uno showroom in modo che il potenziale cliente si senta a casa in un posto fino a quel momento da lui sconosciuto. Ciò che oggi si impone al design è pertanto nuova-

mente la necessità di definire forme di concettualità e disciplinarietà adeguate alle trasformazioni in atto e capaci di coniugare le inedite potenzialità espressive, determinate dall’evoluzione tecnologica con le mutate esigenze di fruizione e di consumo che in relazione ad essa si determinano. La cultura e il modo specifico di operare del design primario si intuiscono in relazione a tale processo.Fattori come il colore, la luce, gli aspetti tattili e di finitura, le prestazioni acustiche, cioè in un termine tutte le strutture d’uso sensoriale hanno acquistato un’autonoma valenza espressiva e assunto un significato di soggettivazione dei prodotti e dell’ambiente. Abitare non significa semplicemente “stare in un luogo”, ma anche costruire delle reazioni significative, dei rapporti con persone ed oggetti.Abitare è anche stare in un’attività aziendale, ospitati in uno spazio che non ci ignora, tra le cose che dicono il nostro vissuto, tra volti che non c’è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo.Dopo aver spiegato il concetto di “abitare” in maniera senso-riale si sarà notato come il concetto di retail associato al con-cetto dell’abitare sia un potenziale binomio vincente; questo perchè costruire la propria attività professionale in un luogo adeguato che ingloba tutto ciò che riguarda una casa significa anche creare un luogo di pace e di calma e la sicurezza di potersi ritirare dal mondo e sentire battere il proprio cuore. Significa creare un luogo dove non si rischi l’aggressione, un luogo di cui ci sia l’anima.

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• • ••• • • •• • • ••• • • • • •• • • • •• • • • •• Gli ambienti della casa studio, come fa intendere lo stesso nome del progetto tesi, sono non altro che gli ambienti delle case riportati con le proprie misure nello showroom Fi-dia. I componenti che formano questi ambienti e si distinguo-no dagli stessi sono: la zona pranzo, la zona notte, il bagno e la zona giorno.

ZONA PRANZO Il luogo di preponderante importanza del-la zona pranzo è la cucina. Un tempo considerata locale secondario al servizio della sala da pranzo, la cucina ha progressivamente assunto un’importan-za sempre maggiore, di pari passo con il rarefarsi del personale domestico. Dal momento che deve occuparsi personalmente di cucinare e rigovernare, è logico che la padrona di casa desideri farlo in un ambiente confortevole, allegro, ben attrezzato e provvisto di ogni comodità.Questa nuova impostazione ha influenzato anche i criteri di organizzazione dello spazio. Fermo restando la necessità di una diretta comunicazione con l’ingresso, nella casa tradizionale si preferiva tenere la cucina (con i suoi odori e rumori a volte molesti) un po’ appartata, rispetto agli ambienti principali, mentre oggi è prassi comune pranzare in cucina o in un angolo del soggiorno su cui essa si affaccia. Tutto ciò con un duplice vantaggio: semplificare il servizio della tavola e le operazioni di riordino alla fine dei pasti; e non escludere dalla compagnia dei familiari chi sta lavorando in cucina.

Il mercato ha puntualmente risposto a queste esi-genze, proponendo per l’arredamento della cucina produzioni sempre più attentamente progettate, tanto dal punto di vista funzionale quanto da quel-lo estetico.Le aziende specializzate offrono in genere la più ampia consulenza , tuttavia il progetto-cucina deve tener conto anche di elementi che non fanno parte dell’arredamento, ma lo condizionano comunque: forma e dimensioni del vano, presenza di aperture, percorso delle tubazioni idriche, posizione della co-lonna di scarico e della canna di esalazione fumi, dislocazione dei punti luci o delle prese di corrente. Poiché, se tutto sarà convenientemente predispo-sto, riuscirà più facile ottenere un buon risultato, è

senz’altro utile farsi un’idea del problema nei suoi termini generali e delle possibilità che ogni singola soluzione offre.

La funzione crea il mobile.

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Come ambiente nel quale si deve svolgere un ben definito ciclo di lavoro, la cucina è stata oggetto di studi di ergonomia che hanno permesso di razionalizzare tipologia, dimensioni e dislo-cazione delle attrezzature occorrenti per le operazioni che invariabilmente si susseguono, e che si possono raggruppare come segue.Per la conservazione del cibo vanno previsti uno o più armadi, il frigorifero e il congela-tore. Molto utile potrebbe essere un vano-dispensa (anche un semplice armadio a muro) areato per mezzo di un’apertura verso l’esterno, con esposizione a nord o comunque al riparo dai raggi solari.Per la lavorazione degli alimenti bisogna avere a portata di mano: un piano di lavoro, il lavello, la pattumiera, gli utensili d’uso (compresi i piccoli elettrodomestici) sistemati in bell’ordine dentro un contenitore con ripiani e cassetti. Poiché il lavoro di preparazione è normalmente il più lungo, è bene prevedere la possibilità di eseguirlo stando seduti.Per la cottura dei cibi e la preparazione delle portate, oltre al piano di cottura e al forno ( prima era inserito spesso sotto, ora invece spesso viene inserito all’interno dalla colonna) occorro-no: un armadio destinato alla batteria da cucina; uno spazio attrezzato dove tenere i condimenti; un piano di lavoro che permetta di sistemare sui piatti di portata il contenuto delle pentole.Per le operazioni di rigoverno servono il lavello e l’eventuale lavastoviglie, un contenitore per i detersivi, un piano per accumulare le stoviglie sporche, lo scolatoio dove mettere ad asciugare quelle lavate, la pattumiera per i rifiuti provenienti dalla mensa, un armadio nel quale riporre il materiale da tavola.Una cucina può dirsi ben organizzata quando permette di svolgere queste attività con la massima econo-mia di movimenti ed evita che si creino interferenze tra due persone che lavorano contemporaneamente.

I mobili componibili che la produzione di serie mette a disposizione rappresentano la più avanzata risposta a questo problema ergono-mico. Prodotti in larghezze modulari multiple di 15 cm, essi consentono di realizzare lungo le pa-reti piani di lavoro profondi 60 cm, all’altezza più conveniente per lavorare stando in piedi (cm 85-92). Lo spazio sottostante resta disponibile per l’incasso del lavello, della cucina a gas e di qualunque elettrodomestico, nonché per i mobili base variamente attrezzati: con ripiani, cassetti, cesti, elementi estraibili, eccetera.

Sopra, i piani di lavoro, lasciando una misura che va dai 45 ai 60 cm di altezza, è previsto che vengano

installati mobili pensili profondi interno ai 35 cm, che possono essere chiusi con ante, vani a giorno, elementi attrezzati con scolapiatti e come vano per inserire la cappa filtrante o aspirante.Per i tratti di parete lungo i quali non sono richiesti piani di lavoro sono disponibili mobili a colonna (la cui altezza raggiunge la sommità dei pensili) che a loro volta ammettono l’eventuale incasso di elettro-domestici.Quando i componibili da cucina sono disposti ad angolo, la più razionale utilizzazione dello spazio poco fruibile che si viene a formare all’incrocio si ottiene con gli appositi mobili, dotati di contenitori estraibili su rotelle o piani d’appoggio girevoli, mediante i quali tutto il contenuto diventa facilmente accessibile. Per sistemazioni particolari, infine, si possono comporre blocchi utilizzabili da tre o quattro lati, in modo da formare “penisole” o “isole” variamente attrezzate all’interno dell’ambiente.

Quali attrezzature scegliere e in quale ordine assemblarle dipende essenzialmente dalle caratte-ristiche dello spazio a disposizione e principalmente dalla superficie, che può variare da qualche metro quadro alle dimensioni di un locale abitabile.

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Come disporre mobili e apparecchi. Per stabilire come assemblare i vari elementi che com-pongono l’arredamento della cucina bisogna prendere in considerazione la forma del locale, il pun-

to in cui si apre la porta, la posizione della finestra e dello scarico.Quest’ultimo elemento non costituisce un vincolo assoluto, in quanto è possi-bile allacciare allo scarico il lavello e la lavastoviglie anche se installati a una certa distanza. Con un avvertimento: finchè scarico e apparecchi si trovano sulla stessa parete (o a breve distanza su due pareti perpendicolari) senza in-terposizione di aperture, l’allacciamen-to risulta abbastanza semplice, perché il tubo di raccordo può essere incassato a muro; quando invece i punti da colle-gare sono su pareti opposte o separati

da una porta, il tubo deve esser fatto passare sotto il pavimento, ovviamente previa demolizione dello stesso.Per ottimizzare il lavoro ed evitare spostamenti inutili, è bene tener conto del ciclo stoccaggio-pre-parazione-cottura dei cibi, elaborazione delle portate, rigoverno delle stoviglie al quale corrisponde la seguente disposizione: armadio dispensa e frigorifero, piano di lavoro, base per piano cottura e base o colonna per forno.Infine, questa sequenza può variare a seconda di tante varianti, tra cui l’esigenza del cliente che varia continuamente. Deve essere bravo il progettista/ venditore ad ascoltare il committente e mettere in pratica le idee.Un altro elemento fondamentale, oltre alla cucina, della zona pranzo è il tavolo.L’ingombro del tavolo dipende princi-palmente dal numero dei commensali, in qualche misura e anche dalla for-ma. Poiché ciascun posto richiede una larghezza di 60 cm e una profondità di 45 cm, i tavoli piuttosto stretti risul-tano poco funzionali, in quanto mal si prestano a essere utilizzati da entrambi i lati. Tavoli di forma circolare oppure ovale ospitano, a parità di ingombro, un maggior numero di posti, ma per conto devono sempre essere collocati a una certa distanza dalle pareti, il che a volte pregiudica una buona ambientazione. Quelli rettangolari o quadrati possono essere più facilmente accostati ad altri elementi dell’arredamento, collocati in modo da sfruttare al meglio un certo angolo, o avvicinati al muro quando serve recuperare spazio. Oltre ai classici tavoli allungabili sono oggi reperibili modelli il cui piano, grazie a questa semplice manovra, può essere raddoppiato, addirittura triplicato. Tra questi il più significativo è il modello quadrato (sufficiente per una famiglia di quattro persone) trasformabile in tavolo rettan-golare per sei-otto commensali.Intorno al tavolo va lasciato lo spazio occorrente per le sedie e per gli spostamenti che esse subi-scono durante l’uso, nonché per le esigenze del servizio.

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ZONA NOTTE

L’ambiente della zona notte può comprendere la camera matrimoniale o la camera dei “ragazzi” o degli “ospiti”.Insieme ai servizi igienici con il rela-tivo disimpegno, le camere da letto costituiscono la parte più intima del-la casa, la cosiddetta “ zona notte” che, secondo le regole di una corret-ta distribuzione degli spazi dovrebbe essere posizionata in modo separato dall’ingresso, cioè dall’ambiente in cui vengono accolti gli ospiti.Per queste stanze destinate al sonno e al riposo è bene trovare una posi-zione tranquilla, per quanto possibi-le appartata da fonti di rumore quali possono essere una strada a traffico intenso, un ascensore, una scala o il soggiorno di vicini dal carattere esuberante. L’orientamento ottimale prevede finestre che si aprono verso Est, perché quando ci si sveglia al mattino vedere la camera illuminata dal sole comunica una sensazione di efficienza e di allegria. Il numero delle camere va stabilito in base alla composizione del nucleo familiare, tenendo presente che non è consigliabile sistemare in un unico ambiente più di due letti per adulti, eccezio-ne fatta per abitazioni a uso discontinuo; e che prevedere camere singole diventa molto opportuno tutte le volte che per qualche motivo esiste incompatibilità tra le esigenze di chi dovrebbe condivi-dere la stessa stanza. Quanto alla superficie necessaria per ogni camera, si tratta di stabilire se destinarla unicamen-te alle sue funzioni primarie (dormire, riposare, spogliarsi, e vestirsi) o prevedere spazio anche per funzioni accessorie (studiare, lavorare, ascoltare musica, giocare, fare ginnastica, ecc.). Nel primo caso la stanza sarà dimensionata prendendo in considerazione gli ingombri dei mobili fondamen-tali (letto, comodino, armadio, cassettone). La seconda ipotesi è da ritenersi preferibile per quelle abitazioni nelle quali, destinato il soggiorno alla vita di relazione, solo nella sua camera da letto ciascuno può trovare un minimo di spazio “privato” dove appartarsi di tanto in tanto. In questo caso sarà necessario considerare quel metro quadro in più dove poter progettare la possibile esecuzione dell’attività prevista. Ancor meglio sarebbe poter liberare la camera dall’armadio, che crea un notevole ingombro, sistemandolo nel disimpegno adiacente o in un picco-lo vano con funzioni di spogliatoio.Com’è è stato già scritto in prece-denza i mobili fondamentali della camera da letto sono il letto, l’armadio, i comodini e il comò.Nelle camere arredate secondo cri-teri tradizionali la posizione della porta e della finestra va progettata attentamente, perché può condizio-nare il buon utilizzo della superficie.Come regola generale, è preferibile che il •• ••• non sia sistemato sotto

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la finestra né con il lato anteriore rivolto verso la porta, e che abbia tutt’attorno abbastanza spazio da poter essere agevolmente riassettato; se viene disposto con un fianco contro la parete, è giusto prevedere lo spazio necessario per spostarlo durante le operazioni di pulizia.

L’• •• • • •• è bene che sia messo in modo da non risultare troppo incombente o in posizione incongrua rispetto al resto dell’arredamento. La soluzione “a tutta parete”, sia in larghezza sia in altezza e con cas-settiera incorporata, è molto utile perché è possibile non in-serire nessun’altro contenitore all’interno della stanza. Dove lo spazio lo consente l’arma-dio può essere utilizzato come elemento divisorio, per creare due zone destinate a diverse funzioni; zona letto e zona spogliatoio; oppure, nella ca-mera dei ragazzi, una zona ben definita per ciascuno. L’armadio può essere a battente o scorrevole e di qualsiasi misura in larghezza e in altezza. Quindi sono dei contenitori componibili e questo comporta il vantaggio che possono essere adattati per una diversa sistemazione. Poiché di solito gli abiti vengono appesi perpendicolarmente alle ante, la profondità standard è pari a 60 cm. Tuttavia si trovano in commercio anche armadi meno profondi (45-50) nei quali gli abiti sono appesi a barre estraibili che vanno dal fondo al frontale, e si presen-tano quindi paralleli alle ante a battente. Se poi la disposizione dei mobili crea qualche difficoltà per l’apertura delle ante, il problema potrà essere risolto dotando l’armadio di chiusure scorrevoli, che non danno luogo ad alcun ingombro.Infine, ci sono i•• • • • • •• ••che misurano in larghezza dai 40 ai 90 cm e l’ altezza va dai 40 ai 60 cm con una profondità di 45/50 cm.Lo stesso discorso vale per il comò con la differenza che la larghezza può arrivare anche ai 120 cm, l’altezza va dai 60 ai 90 cm e la profondità arriva fino a 60 cm.Se in casa ci sono più camere da letto, quella matrimoniale non sempre è la più ampia, ma di norma dovrebbe essere quella meglio collegata con il bagno o dotata di un bagno privato. Può contenere un letto doppio (cm 180 x 200) oppure due letti gemelli (cm 90 x 200 ciascuno) con i relativi comodini.Per il letti con “testata attrezzata”, che mettono a disposizione un pratico piano d’appoggio tra la testata e il muro, va prevista una lunghezza di 20-30 centimetri in più. In ambienti dimensionati al minimo la sistemazione di letti e armadi richiede che siano disponibili larghi tratti di parete non interrotti da aperture. Dato che, piaccia o no, la nostra è ormai da considerarsi una società di

videodipendenti più o meno incalliti, è bene prevedere la possibilità di installa-re un televisore davanti al letto: inserito in uno scomparto “a giorno” dell’arma-dio oppure appoggiato sul piano di un mobile, per esempio sopra una mensola o un carrello. Sempre utile, se lo spazio lo permette, è anche trovare il modo di sistemare accanto alla finestra, in posi-zione ottimamente illuminata, un mobi-letto con tutto l’occorrente per la toilet-te della signora oppure due poltroncine con una piantana per creare un angolo lettura.

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Infine, in una camera che abbia le dimensioni minime di metri 4,60 x 3, esiste la possibilità di uti-lizzare l’armadio come elemento divisorio per creare una zona spogliatoio separata da quella dove c’è il letto: a tutto vantaggio dell’ordine e della complessiva vivibilità dell’ambiente.

La camera dei ragazzi o degli ospi-ti è il locale che più di ogni altro va progettato “su misura”, tenendo conto di tutte le variabili in gioco: se è destinato a un solo ragazzo o a più di uno, di quale età e sesso, con quali prevalenti interessi e con quanto spazio a disposizione.Sottovalutarne l’importanza sarebbe un errore, perché nella loro stanza bambini e ragazzi trascorrono una gran quantità di tempo ed è ormai ben noto quanto, nell’età evolutiva, un ambiente piacevole e ben organizzato favorisca il sano svilup-po psicologico.La camera ideale è luminosa, ampia, ben attrezzata ma non sovraccarica di arredi, possibilmente comunicante con un terrazzino che durante la bella stagione consenta di stare all’a-perto. Quando di due camere da letto, una possiede tali requisiti, è più che logico destinarla ai figli che, più dei genitori, l’utilizzeranno durante il giorno.In quanto all’organizzazione dello spazio, per il bambino in età prescolare bastano poche e sem-plici attrezzature, che entro pochi anni andranno sostituite: il lettino, un mobiletto per gli affetti personali, qualche contenitore facile da raggiungere e manovrare (cesti, scatole) per i giocattoli. Assolutamente da evitare tutto ciò che può dar luogo a pericolo, come ripiani poco stabili, coperchi pesanti, spigoli taglienti. Un’ampia porzione di pavimento va lasciata libera per i giochi; su di essa i piccoli sapranno inventare spazi immaginari dove vivere meravigliose avventure.Quando inizia l’età della scuola, per il bambino si creano esigenze nuove. Bisogna organiz-zargli un angolo per lo studio, dotato di un comodo scrittoio (con illuminazione frontale) e di qualche ripiano per i libri. Per mantenere l’ordine occorre mettergli a disposizione un armadio per gli abiti, cassetti, ripiani, contenitori trasportabili, strutture alle quali appendere ciò che deve rimanere a portata di mano.In una camera di modeste dimensioni, anche se il letto da collocare è uno solo conviene siste-marlo con un fianco addossato a una parete, in modo che lo spazio non risulti eccessivamente frazionato. Se invece la camera è destinata a due ragazzi, col conseguente raddoppio di tutte le attrezzature, per guadagnare spazio è possibile prevedere letti sovrapposti (con il sistema “a castello”, non molto pratico per chi deve riassettare lenzuola e coperte) o solo parzialmen-te (con il sistema ad angolo).Oppure è possibile adottare letti ribaltabili che, una volta chiusi, restano contenuti all’interno della parete attrezzata; o anche letti “a scomparsa”, che dopo l’uso si inseriscono uno sotto l’altro o sotto una pedana appositamente costruita.Quale tipo di letto scegliere fa comunque parte di un progetto più generale, che deve tendere a suddividere il più equamente possibile l’ambiente in due zone, ognuna delle quali destinata a uso privato di uno dei ragazzini; specialmente se si stratta di fratello e sorella, o di ragazzi dello stesso sesso ma con forte differenza d’età, è opportuno che le esigenze dell’uno non entrino in conflitto con quelle assai diverse dall’altro. Un armadio usato come divisorio, uno scaffale passante, un paravento o una semplice tenda possono, caso per caso, servire allo scopo.

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IL BAGNO

Per quanto flessibili e pronti a trasformarsi col mutare delle esigenze siano gli altri ambienti della casa, la stanza da bagno è sempre un vano ben definito, nel quale sono installati appa-recchi che non possono cambiar posizione se non mediante inter-venti onerosi. Quando c’è l’op-portunità di far valere la propria opinione in fase di progetto o di ristrutturazione è bene quindi dedicarsi a risolvere nel miglio-re dei modi questo importante “nodo” dell’abitazione.

Se invece il locale e l’impianto che già esistono non sono soddisfacenti, non sempre sarà possibile apportare le modifiche desiderate e, quand’anche lo fosse, è doveroso ricorrere all’idraulico, al muratore, al piastrellista, con relative spese. La posizione del w.c., in particolare, non potrà discostarsi troppo da quella dello scarico, perché il tubo di raccordo deve avere una certa pendenza; solo in casi particolarmente favorevoli la disposi-zione degli apparecchi permetterà di sopraelevare una porzione di pavimento, in modo che il tubo resti contenuto nel sottofondo. La posizione del bagno rispetto agli altri ambienti dipende da svariati fattori, tra i quali non ultimo quello economico, che consiglia di dare il minor sviluppo possibile alle tubazioni degli impianti. Così di solito nei palazzi a più piani le stanze da bagno sono poste una sopra l’altra e spesso adiacenti alla cucina anche se, nel singolo appartamento, un’altra dislocazione sarebbe stata preferibile.Agli effetti della fun-zionalità, la porta di questo vano non do-vrebbe essere visibile né dall’ingresso né dal soggiorno per ov-vie ragioni di privacy. Dopo di che, la miglior posizione va stabilita in base al numero dei bagni di cui l’abitazio-ne è fornita.Quando esiste un solo bagno conviene aprire la porta nel disimpegno sul quale si affacciano le camere da letto; gli ospiti potranno raggiungerlo direttamente dall’ingresso o dal soggiorno se questo è “ passante”. Oltre alla normale dotazione di apparecchi igienici (vaso, lavabo, vasca da bagno e bidet) sarebbe bene che ci fosse posto anche per la lavatrice ed eventualmente per un secondo lavabo, utilissimo nelle “ore di punta”. Se i bagni sono due, come in pratica è indispensabile negli alloggi che si sviluppano su due piani, il secondo potrà essere contiguo alla cucina ed ospitare, oltre agli apparecchi igienici,

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l’occorrente per il bucato: lavatrice, stenditoio, armadietto, per i detersivi, contenitore per la bian-cheria da lavare. Il bidet potrà mancare; invece della vasca sarà preferibile installare una doccia, che occupando meno spazio renderà più facile trovar posto per un lavatoio, cioè una vaschetta installata a una certa altezza, comoda per un “piccolo bucato” da fare a mano. Un’altra comodità è la possibilità di accedere dal bagno o dal suo disimpegno ad un terrazzino dove stendere il bucato durante la buona stagione.

Il bagno “cieco” (ossia privo di finestre) secondo i regolamenti edilizi attualmente in vigore è consentito quando nell’abitazione già ne esiste un altro con regolare apertura verso l’esterno. Adottando gli opportuni accorgimenti tecnici è possibile recuperare per quest’uso porzioni di spa-

zio che un tempo sareb-bero state considerate inadatte, come un ripo-stiglio, un sottoscala, il fondo di un corridoio, un piccolo vano da ri-tagliare in un ambiente troppo vasto. Per l’indispensabile ri-cambio d’aria è dovero-so installare un efficace aspiratore, collegato con una canna di esa-lazione o direttamente con l’esterno; in quanto all’eliminazione delle acque, se la colonna di

scarico è troppo lontana è possibile ricorrere a un’apparecchiatura elettrica che realizza il collega-mento sotto pressione e quindi indipendentemente dalla distanza.Le dimensioni di una stanza da bagno vengono stabilite sulla base degli apparecchi che dovrà contenere e degli arredi supplementari che il cliente desidera avere. Gli apparecchi igienici sono ormai disponibili in una vastissima gamma di modelli, con ingombri anche notevolmente diversi, tra i quali è possibile scegliere quelli che meglio si adattano al caso specifico.In un bagno dalla superficie risicata saranno adottati dei modelli dalle dimensioni più contenute, anche se altri risulte-rebbero più comodi o più belli.L’uso di ogni apparec-chio richiede che di fronte e ai lati venga lasciato un certo spa-zio libero. In pratica ciò comporta che, se gli apparecchi sono allineati lungo una sola parete, la lar-ghezza del vano non può essere inferiore a cm 120-130; quan-do invece si tratta di installare due appa-

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recchi uno di fronte all’altro, occor-re una larghezza minima di cm 170 - 180. Questa seconda soluzione è senz’altro preferibile alla prima non solo perché, sovrapponendo gli spa-zi destinati all’uso degli apparecchi, procura un risparmio di superficie, ma anche perché ne risulta un vano di proporzioni decisamente gradevo-li. Purtroppo nell’edilizia corrente i locali da bagno lunghi e stretti sono molto comuni; ricoprire una buona parte di una delle pareti lunghe con uno specchio o sezionare lo spazio con un diaframma trasversale (un muretto, un pannello di vetro se-miopaco o uno scaffaletto passante) servirà a correggere visivamente le poco equilibrate dimensioni.In tutti i casi in cui esistono drastiche limitazioni è comunque bene concede-re alla stanza da bagno un’ampiezza largamente superiore al minimo, in

modo da poterla arredare con contenitori per gli oggetti da toilette, piani d’appoggio ben distribu-iti, sgabelli, attaccapanni ecc…

Col progressivo diffondersi del culto del fitness (la cura della persona), il bagno si è andato a tra-sformando via via da vano di servizio con funzioni puramente utilitaristiche in ambiente nel quale deve essere piacevole soffermarsi e che per questo deve avere una sua dignità anche estetica. Da qui la tendenza a confinare, quando possibile, vaso e bidet nell’angolo più defilato; mentre lavabo, vasca, doccia si prestano a essere valorizzati da tutto un insieme di elementi accessori, non escluso qualche attrezzo da ginnastica o da body-building.

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IL SOGGIORNO Il soggiorno va dunque considerato l’ambiente più signifi-cativo dell’intera casa, dove i componenti del-la famiglia si ritrovano per ricevere gli amici, per svolgere attività comuni o semplice-mente per godere della reciproca compagnia. Gli va riservato quanto più spazio possibile, il migliore orientamento (preferibilmente ver-so Sud, Sud-Ovest o Ovest), la massima at-tenzione nella scelta dei materiali e degli arredi. Tanto meglio se comunicante c’è un giardino o un terrazzo, che nella buona stagione forniranno uno spazio aperto come ideale prolungamento di quello interno.Dal punto di vista distributivo la soluzione di gran lunga migliore è quella di poter accedere al soggiorno direttamente dall’ingresso attraverso un’ampia apertura. Quando l’ambiente si sviluppa su una superficie di una certa ampiezza, è utile però prevedere altre aperture, che di volta in volta potranno dare accesso a un disimpegno di servizio o alla cucina, alla zona notte, all’eventuale studio. Il numero e la posizione di tali aperture condizionano notevolmente l’utilizzazione dello spazio, non solamente perché ogni porta seziona la parete in modo più o meno favorevole all’esi-genze dell’arredamento, ma anche perché ogni linea di collegamento tra due porte costituisce un percorso da mantenere sgombro. Per questo motivo le aperture mal distribuite producono l’effetto di ridurre la superficie realmente disponibile.Un caso particolare, oggi sempre più diffuso, è rappresentato dal soggiorno passante, cioè un ambiente destinato a soggiorno che è obbligatorio attraversare quando dall’ingresso si vuole raggiungere gli altri locali che compongono l’abitazione.Per decidere come arredare questa zona domestica è utile rispondere alla seguente domanda: a quali attività deve essere destinato il soggiorno?Senza dubbio il soggiorno è il punto d’incontro della vita domestica e senza dubbio in esso è pos-sibile ricevere e intrattenere gli ospiti. Quindi, riunire e ricevere sono le funzioni principali, alle quali se ne aggiungono altre, sia collettive sia individuali, da considerarsi secondarie: leggere, scrivere, giocare, studiare, lavorare, guardare la televisione, ascoltare la musica, suonare uno strumento. Quali funzioni secondarie ammettere e quali escludere, quale spazio concedere a ognuna dipende da una scelta davvero personalissima. C’è chi non può rinunciare all’angolo relax, dove leggere in tranquillità il giornale sorseggiando un drink; chi appena può rallegra se stesso e gli altri metten-dosi al pianoforte; e c’è il patito del bridge che necessita un tavolo da gioco per sfidare gli amici in epici tornei.•••• •• ••• ••• ••• • • • • • •• •è dunque•• • • ••• •• • • •• • • ••• •••• • • • •• •• • • • •• •• •• •• • • • • • ••••• •• • • •• • •••• ••• • • • • • ••• • • • • ••• ••• • • •• •• • • ••• •• •• • • • •• •• • • • In ogni caso è essenziale fare del soggiorno un luogo accogliente dove sia piacevole vivere tanto in compagnia quanto soli con se stessi, cer-cando di non fargli assumere un tono puramente di “rappresentanza”.

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Le misure da conoscere per organizzare la distribuzione delle varie zone sono quelle dei mo-bili prescelti , quelle degli spazi occorrenti per il loro uso e quelle degli spazi liberi da lasciare tra i diversi elementi per consentire un agevole passaggio

In questi disegni sono rappresentati schematicamente degli ingombri di alcuni arredi, riu-niti secondo rapporto di funzionalità in modo da formare dei “gruppi” adatti alle attività che più comunemente nel soggiorno trovano posto. In quanto ai passaggi (che non dovranno mai interferi-re con gli spazi riservati ai gruppi di mobili destinati alle varie zone), la superficie da lasciare libera deve essere tanto maggiore quanto più grande è il soggiorno e più numerose le persone che vi ri-uniscono. In ogni caso bisogna rispettare certe distanze minime, al di sotto delle quali la situazione diventa disagevole.

Per il passaggio individuale, tra mobili bassi quali divani, tavolini e simili, occorrono almeno 50 cm; tra mobili di altezza uguale o maggiore di quella dell’anca almeno 80 cm.Per il passaggio tra una parete e un tavolo vanno lasciati come minimo 90 cm; distanza che permette a una persona di passare dietro una sedia occupata, per servire i commensali o per raggiungere il proprio posto.Per i percorsi di collegamento tra diversi locali della casa che si svolgessero all’interno del soggiorno va prevista di norma una lunghezza non inferiore ai 100 cm che diventano 140 quando l’ambiente è più ampio.

I componenti che compongono la zona giorno sono i divani che di solito hanno una misura che va dai 150 cm ai 400 cm e sono generalmente componibili con una profondità minima di 80 cm e massi ma di 110/115 cm.

La poltrona larga dai 70 ai 125 cm e profonda da 60 ai 125 cm. Infine la composizione tv, la cosid-detta parete attrezzata che può essere grande quanto il cliente vuole, a seconda dello spazio che ha disposizione, e profonda generalmente dai 45 ai 60 cm.

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PROGETTO ESECUTIVO

PLANIMETRIE CON ARREDIA questo punto della tesi, dopo aver esaminato e studiato gli ambienti che compongono un’abi-tazione è costruttivo studiare attentamente la planimetria con gli arredi dello showroom Fidia per poter mutare l’attività aziendale in una casa studio, la cosiddetta “HOME STUDIO”, raggiungendo così lo scopo del progetto che è quello di creare un ambiente familiare in un retail.

Planimetria con arredi dello showroom FIDIA

Come potrete notare la planimetria con gli arredi dello showroom FIDIA è impostato come un negozio di “routine” per avere più complementi di arredo possibili per la vendita. Infatti in questo luogo sono presenti due cucine, quattro divani, due letti, tre tavoli tutti dislocati con adeguata ambientazione. E’ da questo indizio che nasce il desiderio di ideare e progettare un nuovo concept store che assomigli più possibile ad un’abitazione accogliente e funzionale per una famiglia.

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Planimetria con gli arredi della HOME STUDIO

Dalla planimetria della Home studio è possibile vedere come prende forma l’idea del progettista di realizzare un open space in cui gli ambienti “dialoghino tra loro”, per dare un’intera visione dell’ambiente al cliente.

Nella Home studio il perno progettuale è il cilindro posizionato nella parte centrale della locazione in cui il progettista ha previsto di realizzare il bagno principale. Questo cilindro nell’ idea del pro-gettista è come la macchina da presa per il “regista” in un set cinematografico che valorizza gli attori da lui scelti per creare un film di successo. Da questa metafora il progettista crea il suo “cilindro”, al centro della home studio, che diviene “proiettore” per le scene del suo spettacolo creando degli ambienti consoni al suo sogno.

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• • • • • •VISIONE DEGLI AMBIENTINella Home studio sono presenti tutti gli ambienti di una casa: 2 camere da letto, 2 bagni, la zona pranzo la zona soggiorno e l’ungresso. E’ possibile notare nei render del progetto esecutivo la scelta degli oggetti dei colori e dei dettagli dal progettista per creare un ambiente familiare e caldo per far ritornare alle persone la voglia di abitare in una vit piena di emozioni.

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LE AZIENDE SELEZIONATE PER IL PROGETTO

DESCRIZIONE DELLE AZIENDEPer realizzare questo progetto sono state utilizzate le aziende del negozio Fidia, le quali hanno la particolarità di essere delle leadership in ambito nazionale e internazionale. Quindi le aziende prese in considerazione sono le seguenti:

La HACKER è un’azienda tedesca che costruisce cucine componibili in grado di soddisfa-re i più elevati requisiti per quanto riguarda qualità, funzionalità, durata e design. Il marchio Hacker è famoso nel suo settore quale garanzia di solidità, affidabilità, impegno e successo.Hacker distribuisce in 51 paesi con 2.500 partner commerciali attivi nel commercio specializzato e qualificato di cucine. I dipendenti della Hacker sono sempre diretti verso il cliente con l’obiettivo di aiutare e suggerire la soluzione più adatta a ogni esigenza.

La BAXTER è l’azienda italiana numero uno al mondo per quanto riguarda la selezione di pelli per produrre sedute imbottite. La maggior parte dei suoi prodotti sono composti dalla pelle selezionata proprio per quel tipo di oggetto. Baxter certifica l’autenticità di ogni prodotto, integral-mente costruito a mano, per garantire il più elevato standard qualitativo. Ogni prodotto della colle-zione Baxter ha una sua propria autenticità, che ne fa un pezzo unico. Tutti i prodotti Baxter sono fabbricati con materie prime pregiate e di ottima qualità, che consentono di garantire il prodotto contro eventuali difetti di fabbricazione o di materiali.

La BUSNELLI produce imbottiti da mezzo secolo. Produzione che ben presto incontra la via del progetto, emancipandosi dalle forme tradizionali per appropriarsi di linee più moderne; Bu-snelli ha cosi contribuito alla nascita ed alla affermazione del design italiano. Si insedia a Misinto, in Brianza, nel 1972, realizzando, primo esempio del genere, una fabbrica che è tutt’ora un modello di riferimento per i sistemi produttivi adottati e la tecnologie applicate.Da sempre protagonista nel settore, Busnelli è costantemente impegnato nella produzione di im-bottiti di grande qualità e design, firmati con il marchio d’argento.

Azienda leder nel settore della produzione di tappeti. Il lavoro di I + I in questi anni è stato l’orgoglio di aver instaurato un rapporto di scambio con realtà lontanissime dall’Italia, come l’India e il Nepal, averle aiutate a crescere e aver imparato da loro a fare un prodotto “nuovo”. Non è il

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prodotto pensato in occidente e delocalizzato nella produzione in un paese del terzo mondo per costare di meno. È un prodotto che parte dalle capacità locali, da pregiate tecniche manifatturie-re tradizionali e che nell’incontro con una mentalità diversissima come la nostra genera risultati inaspettati e sorprendenti. L’azienda crede in un processo evolutivo della cultura del tappeto, e crede che rimanga importantissimo il rapporto con gli uomini che li fanno nei luoghi di produzione d’origine per una vera sostenibilità sociale ed ambientale. Infi ne, I+I crede che incrociare il design e culture etniche diverse possa favorire la riconoscibilità del proprio prodotto presso un pubblico molto ampio senza distinzione di cultura o razza da nord a sud da est a ovest.

Azienda Francese che progetta e produce i camini contemporanei senza rivali. Il design e funzionalità caratterizzano il marchio FOCUS dagli altri. I camini hanno la particolarità di rimanere sospesi all’interno di un ambiente in qualunque posizione della stanza.

WALL&DECO’ è un’ispirazione creativa che gravita in equilibrio costante tra progettazione e design, iperrealismo fotografi co e grafi ca, ricerca e immediatezza formale, una fresca rivoluzione che travolge e rinnova l’ormai superato concetto di carta da parati e arriva alla creazione di soluzioni per il rivestimento murale dallo stile unico e dal forte impatto visivo. Non più carte dai toni neutri, dai soggetti reiterati e monotematici o dal grafi smo esasperato, ma soluzioni che sono il risultato di un’approfondita ricerca dei materiali e del loro potenziale decorativo, dei soggetti e della loro futura collocazione. Vinilici, lavabili e di facile montaggio, i rivestimenti Wall&Decò sono dotati di certifi cazio-ne ignifuga e retro in TNT, elemento che garantisce massima stabilità e praticità.

DIALMA BROWN è l’azienda che offre una vasta scelta per quanto riguarda ogni comple-mento d’arredo, dall’oggettistica all’orologeria, dai letti ai divani, dalle consolle ai mobili per bagni ecc.. Lo stile Dialma Brown è un mix equilibrato ed eclettico di stili diversi tra loro ma armonioso nell’insieme. Lo shabby chic, il provenzale e il country sono i tre stili che caratterizzano Dialma Brown.

Dal binomio sapienza artigiana e precisione tecnologica nascono i programmi modulari di FOR-MER. Amore per il legno, standard qualitativo elevatissimo, design all’avanguardia, dono le più evidenti chiavi del successo di Former. Ultimo nato ed esempio lampante di questa fi losofi a è costituito dal pro-gramma “Set System” di Pinuccio Borgonovo che ha aperto una strada del tutto nuova nel concepire l’”abbigliamento” della casa. La sua estrema duttilità compositiva, infatti, gli permette di adattarsi ad ogni contesto architettonico senza subirne affatto i vincoli strutturali e conservando in qualsiasi ambiente la sua clamorosa purezza di linee ed il suo spirito innovativo. In generale, la produzione odierna Former consiste in programmi componibili per l’arredamento della zona giorno, completi di parete attrezzate e credenze così come della zona notte forniti di letti, giroletti, comò e comodini, passando dalle armadia-ture e dai complementi d’arredo fi no allo specchiere.

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La cura per il dettaglio, l’uso di materiali naturali lavorati con maestria, le suggestioni di luoghi vicini e lontani restano i segni distintivi dei prodotti GERVASONI. L’azienda proget-ta, sviluppa, realizza e commercializza soluzioni di arredo per la casa e per il settore contract. La collaborazione con designer tra i più qualificati come Paola Navone, Marco Piva, Michael Sodeau e Jasper Startup garantisce la qualità estetica dei prodotti e la continua sperimenta-zione di nuovi materiali.

La GIELLESSE è una società totalmente italiana, leader nella progettazione e produzione di arredamento contemporaneo per la decorazione d’interni. La società, attraverso i suoi prodotti e le sue competenze professionali, esprime una tradizione che dura da quasi 90 anni. Quest’azienda offre un ampia gamma di prodotti: librerie, sistemi a parete, madie, tavoli e sedie, letti, armadi, cabine armadio.

MODA’ già il nome evoca ambiente fashion, è un marchio che esprime un concetto ben preciso di lifestyle. La chiave di lettura della collezione Modà è quella di un lusso che è in realtà più astratto che materiale, è cultura dell’oggetto è ricerca di personalità. Oggetti di qualità di altri tempi, decori magici rubati alla natura, elementi dalle forme suggestive ispirati alla tradizione clas-sica e lavorati con fi niture in foglia oro e argento, sono stili diversi che fusi assieme permettono di scoprire un nuovo linguaggio estetico, inedito e personale, creando oggetti di forte immagine che sanno vivere da protagonisti assoluti in qualsiasi tipo di scena.

XAM, nuovo brand di una storica azienda del settore del mobile, nasce da un’ attenta ricerca di materiali legata al cambiamento dei gusti e alle nuove tendenze. Design e funzionalità sono le caratteristiche dell’intera collezione. Grandi idee e concretezza, ricerca e realismo: ogni elemento è creato per essere versatile e dinamico. Anche questa azienda produce qualsiasi com-plemento d’arredo.

EMECO è un’azienda americana produttrice di sedie in alluminio riciclato progettate per durare 150 anni. Il concetto più puro della sostenibilità è il valore fondamentale che caratterizza l’azienda Emeco, azienda da sempre pioniera nell�utilizzo di materiali rigenerati e riciclati, dove “less is more”. Rispetto per l�ambiente e progettualità avanzata si fondono in modo inscindibile dando vita a delle sedute già cult per contenuti e per valori. Emeco è una delle aziende che hanno iniziato la nuova era del design dove funzionalità, stile, forma ed estetica convergono tutti in un nuovo e visionario progetto, quello del …..riciclo al quadrato.

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BOFFI è sinonimo di innovazione e design applicati al bagno. Lo stile Boffi, riconoscibile per misura, pulizia, gusto e funzionalità, nasce da una profonda intesa fra l’anima manageriale dell’azienda, la creatività dei migliori designer e una struttura produttiva all’avanguardia per ef-ficienza e know how tecnologico. L’esperienza maturata nella progettazione e fabbricazione di sistemi modulari per il bagno permette oggi a Boffi di espandere la propria offerta in settori e comparti complementari, come armadi e partizioni. Boffi è presente in 60 paesi con una rete di 70 punti vendita monomarca e oltre 200 negozi plurimarca: una rete che garantisce una gestione del cliente locale compatibile con il livello qualitativo del prodotto e la rinomanza del marchio Boffi.

Impianti ad alta tecnologia, sistemi di gestione e controllo, servizio personalizzato al cliente, nuovi concetti distributivi e un innato istinto per l’innovazione sono le componenti che hanno determina-to la crescita esponenziale di DISEGNO CERAMICA. Infatti, sono molto famosi i suoi sanitari per il bagno che diventano oggetti di design e d’arredo oltre ad essere funzionali.

L’INVISIBILE nasce nel ‘94 dall’esperienza di Portarredo Srl, azienda italiana fondata agli inizi degli anni ‘80 e specializzata nella produzione di porte e sistemi di chiusura caratterizzati da esclusivi design e materiali. Portarredo ha saputo sviluppare prodotti che guardano al futuro dell’a-bitare, anticipando tendenze e bisogni. Nel progetto iniziale sono successivamente confluiti studi e ricerche allo scopo di proporre configurazioni progettuali personalizzate per soluzioni di architet-tura capaci di soddisfare funzioni specifiche, gusti differenti e stili di vita diversi. Dall’evoluzione di questo progetto nasce L’Invisibile, l’esclusivo sistema brevettato per porte e chiusure a totale filo muro che consente massima versatilità e personalizzazione, offrendo soluzioni eleganti e funzionali ad ogni idea di arredamento. Nel corso degli anni, l’evoluzione del gusto e delle esigenze d’arredo, hanno fatto sì che la porta acquisisse un ruolo da protagonista nell’interior design. L’obiettivo di nascondere e di “confondere” chiusure e passaggi di natura tecnica nella parete, è alla base della filosofia de L’Invisibile. Il sistema L’Invisibile, infatti, è l’evoluzione tecnologica di un concetto an-tico: le segrete. Porte perfettamente inserite nell’arredamento, utilizzate nel corso della storia, per nascondere allo sguardo passaggi di cui si doveva ignorare l’esistenza.

FABBIAN è l’azienda leader nel settore dell’illuminazione. Si costituisce nel 1961 quale azienda produttrice di lampade per l›habitat e il contract. Questa cultura unitamente alla tradizione e alla qualità si è sempre espressa nella valenza del prodotto, consentendo all›azienda di acquisire progressivamente riconoscimento e dimensione internazionali. I risultati scaturiscono dalle esperienze di continue ricerche, tese sempre ad interpretare al meglio le esigenze dei mercati, elaborando precise politiche e strategie di marketing. Fabbian che ha sede in Italia e qui produce tutte le sue collezioni, interpreta con personalità le nuove tendenze del moderno design attraverso una molteplicità di stili, utilizzando tecnologie produttive all’avanguardia ed avvalendosi di un folto gruppo di designers internazionali. Commercialmente l’azien-da ha sviluppato un’articolata rete di vendita, capillarmente diffusa in Italia, in Europa ed in Asia e con sedi di rappresentanza negli U.S.A. e in Brasile

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BIBLIOGRAFIA• Engen TRYGG La percezione degli odori Armando editore 1989• Maurizio VITTA Il progetto della bellezza. Il design tra arte e tecnica, 1851/2001 Einaudi 2001;• Riccardo RESCINITI Il Marketing orientato all’esperienza intrattenimento nella relazione con il consumatore Edizioni scientifiche italiane 2004;• Gabriella D’AMATO, Storia del Design Bruno Mondadori 2005;• Gummesson EVERT Marketing relazionale Hoepli 2005;• Gilberto CORRETTI, Lezioni di Design AA LINEA Edistrice 2006;• Gianluca BUGANE’ Ufficio e marketing Editrice Hoepli 2006;• Luca GUERRINI, Design degli interni, Editore Franco Angeli 2006;• Andrea BRANZI Capire il design, Editore Giunti 2007;• Francesco GALLUCCI Marketing emozionale Egea 2007.• Renato DE FUSCO Storia del Design Laterza 2009;• Fausto LUPETTI Marketing sensoriale. Cinque sensi per comunicare, vendere e comprare Fausto Lupetti editore 2009;• Ashby MIKE; Johnson KARA Materiale e design Editore Cea 2010;• Giacomo PINI Il nuovo marketing del prodotto turistico. Analisi, strategia ed emozioni Franco Angeli 2010;

SITOGRAFIA

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RINGRAZIAMENTIDedico questa tesi ai miei meravigliosi genitori, per avermi insegnato a comportarmi, relazionarmi e rispettare il prossimo in questo mondo e soprattutto per avermi indirizzato sempre nella strada giusta.A Cristiana che a sempre creduto in me donandomi la sua fiducia quo-tidianamente.A Leandro il mio secondo “Padre” che nonostante la lontananza sono convinto che è qui accanto a me per sostenermi e per incitarmi come ha sempre fatto da quando ho iniziato a muovere i primi passi.Ai miei amici, ai parenti, a tutte le persone che mi conoscono.A Nicoletta una carissima amica che mi ha aiutato a raggiungere que-sto traguardo.Una dedica ed un ringraziamento particolare è rivolto ad Ilaria la don-na che mi ha insegnato a sognare.

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