Lo sguardo straniero: rapporti tra culture e religioni in età moderna

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In questo articolo di storia si passano in rassegna l'azione dell'Inquisizione cattolica tra '500 e '600, lo Stato dei gesuiti nel Paraguay del '700, i "rinnegati" tra islam e cristianesimo, l' utopia di More ed infine le "utopie controrivoluzionarie". E' un articolo frutto di un convegno di storia organizzato nell' a. a. 2001/02 dal "Dipartimento di Storia moderna e contemporanea" dell'Università degli Studi di Pisa e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa.

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Anno Accademico 2001/02 - Atti del Convegno di Storia sul tema: “Lo sguardo straniero - rapporti tra culture e reli gioni in età moderna”. Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di “Storia moderna e contemporanea”.

Ven. 22, sab. 23 e dom. 24 febbraio 2002 - 20 h. di corso complessive. 1)Introduzione al corso del Prof. Adriano Prosperi (Ordinario di storia moderna all’Università di Pisa): L’inquisizione tra Cinque e Seicento. Nel 1524, in una bolla di Pio IV entra il termine “ghetto” nei confronti degli Ebrei, data la loro “sfrontatezza nei commerci”. Il ghetto è inizialmente considerato un “luogo di correzione” per gli Ebrei, che possono uscire solo per recarsi alle preghiere. L’Inquisizione italiana nacque proprio nei confronti degli Ebrei, mentre quella italiana nasce per combattere l’eresia. La tendenza papale oscilla tra l’intento di eliminare gli Ebrei e quella di chiuderli nel ghetto: quest’ultima è la posizione del papa Paolo IV, che chiuderà gli Ebrei nei ghetti. A Bologna, in questo periodo, una bolla di Paolo IV ingiunge ingenti multe di scudi in oro a coloro che non denunciano gli Ebrei. La gente che non va in Chiesa tema di essere considerata di religione ebraica: questo timore si trascina nel mondo cristiano fino al primo ‘900, passando per il periodo della Restaurazione. In conclusione, si può affermare che la politica papale, prima per paura della Riforma, in seguito per altri motivi, dal secondo ‘500 al primo ‘900 è tutta volta contro gli Ebrei. Intorno agli anni dell’unità d’Italia alcuni alti prelati affermano che non è lecito battezzare bambini ebrei in fin di vita, in quanti gli Ebrei, riconoscibili dalla circoncisione, sono esclusi dalla salvezza. 2)M. Lenci (Docente di storia orientale all’Università di Pisa): Rinnegati fra Cristianesimo e Islam. I cristiani prigionieri dei musulmani chiedevano di essere riscattati affermando, falsamente, che sarebbero stati costretti a convertirsi all’Islam, ma i musulmani non avevano alcuna intenzione di forzare la conversione dei cristiani, se non in rarissimi casi. I cristiani che si convertirono all’Islam diventarono spesso capi corsari, capi barbareschi in cerca di nuovi schiavi. Questo era ciò che poteva realizzare un cristiano che rinnegava il cristianesimo per abbracciare l’Islamismo. Uno schiavo musulmano, nel Medioevo, che rinnegasse l’Islam (contro i principi stessi della religione musulmana, per la quale è inconcepibile la possibilità di convertirsi ad un’altra religione) per abbracciare il cristianesimo non aveva invece niente da guadagnare: rimaneva schiavo o, al massimo, poteva diventare contadino, perché le alte cariche della società occidentale cristiana erano in mano alla nobiltà, e per ricoprire alti incarichi bisognava essere nobili o “protetti” dai nobili. Il cristiano può convertirsi più facilmente ad un’altra religione perché, nel mondo terreno, è più libero del musulmano: il cristiano, interpretando le Sacre Scritture, concepisce il mondo terreno come caduco, temporale e transitorio: la vera vita è nell’aldilà. Il musulmano, viceversa, nel mondo ha una testimonianza diretta, e non mediata, della volontà di Dio, che va eseguita senza interpretazioni. Allah è separato da un abisso incolmabile dalle sue creature, mentre il Dio cristiano si è fatto uomo in Cristo (Blaise Pascal, nei suoi Pensieri, affermerà, nel ‘600, che Dio, quando si è fatto uomo in Cristo, si è “mostrato” e “nascosto” al tempo stesso, “per grazia” si è “mostrato” ed a causa del peccato originale si è “nascosto”): la “preghiera”, per un musulmano, è un “atto di sottomissione ad Allah”, per un cristiano è una ”richiesta a Dio”, come sottolinea Bennassar in I cristiani di Allah. Il messaggio di Dio è un messaggio storico, secondo Lenci, che si realizza nelle varie età storiche, con progressive testimonianze: quella di Maometto è, per gli Arabi, l’ultima, la “più aggiornata”, dopo quella di Abramo e dei profeti. I musulmani che rinnegano Allah per farsi cristiani e per poi riconvertirsi nuovamente all’Islam sono condannati a morte, perché hanno tradito il messaggio di Allah.: infatti il peccato per i musulmani non è “rimediabile”, come per i cristiani, con il sacramento della confessione. Per Lenci, infine, cristianesimo ed islamismo sono accomunati da un elemento fondamentale: sono entrambe religioni, oltre che monoteiste, anche maschiliste: la donna è sempre in una posizione subordinata all’uomo.

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3)G. Imbruglia (Docente di filosofia della storia all’Università di Napoli): Lo Stato dei Gesuiti nel Paraguay. Lo Stato dei Gesuiti nel Paraguay nasce in un contesto illuministico: si richiama alla categoria di “civilisation”, usata da Rousseau nei primi anni del ‘700. Per pratica di “civilizzazione” si è sempre intesa l’opera di invasione culturale (cfr. Voltaire, Il secolo di Luigi XIV), che consente la violenta distruzione di precedenti tradizioni, anche se a scopo migliorativo. Gli Europei si autolegittimano nel processo di civilizzazione perché si considerano su un livello superiore ai popoli “civilizzati”. Inoltre è diffusa la credenza, in questo periodo, che i popoli “civilizzatori”, attraverso il confronto coloniale, possano gettare uno sguardo critico sul proprio passato e sulle proprie strutture. Montaigne e Rousseau, di tradizione laica, non cattolica quindi, considerano i selvaggi come “buoni” perché vicini alla natura. La strategia culturale spagnola condotta in Sud America nella prima età moderna, condannata da Bartolomeo de Las Casas e sulla quale lo stesso Carlo V s’interrogò circa la legittimità, non giovò, in realtà, né ai colonizzatori, né agli indios colonizzati, come afferma Todorov ne La scoperta dell’America. La scoperta dell’altro (Einaudi, Torino). Lo spazio in cui si muovevano erano zone di scarso interesse minerario, in cui si annidavano pericolosi indigeni, non facilmente riducibili all’impotenza. I Gesuiti, come afferma Ignazio di Loyola, erano animati da grande spirito di sacrificio, non inteso come ricerca del martirio, ma tenace volontà di lavorare: “La Chiesa non ha bisogno di martiri, ma di operai”, rispondevano le autorità gesuitiche ai preti che, dalle loro agiate sedi di Milano e di Parigi, chiedevano di essere inviati in queste zone pericolose. In questo senso l’opera dei Gesuiti si distacca da quella francescana precedente. I Gesuiti erano inoltre sicuramente più disposti ad integrasi nella società in cui erano calati: è grazie all’opera dei Gesuiti se oggi conosciamo alcune lingue locali (si stamparono alcuni catechismi in lingua guarany). I Gesuiti riuscirono a conciliare quest’attività con quella di propaganda della fede, alla quale non rinunciarono mai. In Paraguay, nel primo ‘700, i Gesuiti costruirono circa 40 missioni, tutte uguali nella loro struttura: nel Paraguay la Compagnia di Gesù costruì una vera e propria “Repubblica dei Gesuiti”. Ogni missione era organizzata come un’azienda agricola: il potere era fortemente centralizzato ed ogni missione, in determinati periodi, portava i frutti del raccolto all’azienda centrale. La vita lavorativa, culturale e sociale degli indios era scandita dagli orari delle preghiere: la vita religiosa era quindi il punto di riferimento per organizzare la vita civile, come è illustrato nel film di Robert De Niro “Mission”. Nel secondo ‘700 i Gesuiti, in clima illuministico, vengono espulsi prima dalla Spagna, poi da tutta l’Europa: saranno reintegrati solo con il Congresso di Vienna. Tuttavia i governanti europei e spagnoli in particolare continuarono a considerare come modello educativo quello gesuitico, che venne quindi copiato dallo Stato, come accadde nella Spagna del re Carlo III. Montesquieu, ne L’esprit des lois si pronuncia sulla Repubblica gesuitica del Paraguay e risponde in modo nettamente laico: il mondo europeo è superiore agli altri non per natura o etnia o per diritto divino, ma perché gli europei hanno perfettamente instaurato uno stretto rapporto tra politica e lavoro: nessun’altra società è riuscita, come quella europea, a stringere questo nesso, e la società europea c’è riuscita grazie all’opera dei Gesuiti. Tuttavia per Montesquieu è necessaria un’altra condizione per operare un processo di civilizzazione: la libertà. La libertà è assente nel dispotismo delle civiltà incaica ed azteca, mentre è presente nel mondo gesuitico, che è dispotico nella struttura interna, ma non nel rapporto con altre culture, come sottolinea anche Diderot. La “Repubblica dei Gesuiti” resta, nell’analisi di filosofia della storia condotta da Imbruglia, una grande opera utopistica, sulla linea di quelle di Platone, Campanella, Moro e, in un certo senso, Machiavelli. Diderot e D’Alembert nell’Enciclopedia non mancano tuttavia di evidenziare, in più luoghi, esempi di fanatismo gesuitico. Gli indios pregavano e lavoravano: forse erano liberi, ma non erano felici: felicità e libertà pertanto sono categorie, per Imbruglia, non sempre interdipendenti, in quanto è possibile essere felici, ma non essere liberi e viceversa.

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All’arrivo degli Spagnoli gli indios restavano sudditi e non si sono verificate particolari ribellioni. La fine della Compagnia di Gesù, paradossalmente, viene sancita alla fine del ‘700 dagli Stati, almeno inizialmente, meno illuministi, quali la “cattolicissima Spagna” ed il Portogallo, e questo perché lo “Stato dei Gesuiti” in Paraguay era una sorta di “isola religiosa” che fuggiva al controllo statale e che tendeva ad affermare la superiorità della Chiesa sullo Stato, o almeno il rifiuto di sottomettersi all’autorità statale. Ai parlamentari francesi in visita in Paraguay, ad esempio, i gesuiti si rifiutavano di far vedere le loro costituzioni: così facendo, i Gesuiti si ponevano fuori dalla legge, proprio nei confronti di uno Stato sensibile al diritto, quale la Francia. L’espulsione dei Gesuiti da Spagna e Portogallo è quindi la risposta che lo Stato dà ai Gesuiti: il problema s’inserisce quindi nella più ampia questione dei rapporti tra Chiesa e Stato. 4)M. Olivari (Docente di storia moderna all’Università di Pisa): L’isola di Utopia e l’immagine rovesciata della politica. Per “utopia” s’intende quel genere di scrittura in cui l’autore idealizza quel “buon governo” che a lui sembra assolutamente perfetto. L’ “utopia” non è quindi un programma politico. Sia Moro nell’Utopia che Campanella ne La Città del Sole ritengono necessario abolire la proprietà privata: oro e gioielli diventano strumenti di gioco nelle mani dei bambini. La proprietà produce infatti esiti distorti sull’etica collettiva: così pensano il Gran Sacerdote che presiede la Città del Sole ed i suoi collaboratori, la Potenza, la Sapienza e l’Amore. All’utopista non interessa la realtà, che è sempre egoista: attraverso però lo specchio della realtà si elaborano i modelli utopici: la società del ‘500 è un società egoista, come testimoniano le guerre. All’inizio dell’ Utopia Moro compie infatti un’analisi minuziosa della miseria inglese, particolarmente forte nelle campagne. Gli utopiani di Moro sono uomini, ma non uomini come noi: Moro spera che ci sia uno spazio, un luogo ideale in cui le sue idee pure possano realizzarsi: questo luogo è un’ “isola” proprio perché gli utopiani, grazie al mare, sono isolati dal male che li circonda. Moro ricerca un tempo “mitico” in cui il suo progetto potrebbe essere realizzato: questo tempo è antecedente al peccato originale, è l’Eden. La ricerca dell’Eden è anche al centro delle narrazioni e dei diari di viaggio di esploratori e navigatori: da alcuni le isole caraibiche furono identificate con l’Eden. John Mandeville, nel Medioevo, nel Viaggio, ovvero trattato delle cose più meravigliose e più notabili che si trovano al mondo (Il Saggiatore, 1982, a cura di E. Barisone) identificò l’Eden con le alte montagne, appunto isolate, del regno dei Tartari ed utilizzò, quale genere, nel suo scritto, l’esotico, come la presenza di vite miste di fauna e flora. Moro progetta la sua Utopia (1512) ad Anversa, grande porto dell’Europa del Nord verso il quale affluiscono navi e merci. Nell’incipit del libro, l’ “Epistola a Gil”, Moro fa espliciti riferimenti ai viaggiatori del suo tempo (si ricordino Colombo, Vasco de Gama, Amerigo Vespucci). I “solari” di Campanella sono dei saggi indiani che rifiutano il dispotismo del loro Paese e cercano rifugio nella Città del Sole. La Città del Sole ha un governo ieratico, fortemente sacerdotale, come ha notato lo storico G. Spini (Preludi di socialismo nel XVII secolo): questo governo serve per ricreare l’equilibrio tra uomo e natura, grazie al carattere ieratico, che si richiama alla sapienza orientale. I Gesuiti nel primo ‘700 descrivono come città ideali quelle di Pechino e Nagasaki: notiamo anche qui l’attenzione verso il mondo orientale, considerato come perfetto, idilliaco. Il paragone tra Oriente ed Occidente è quindi sicuramente a sfavore dell’Occidente. Il ‘600, in filosofia, si chiude con i Saggi di Montaigne, nei quali si parla di civiltà remote, ma ideali, che niente hanno a che fare con l’Oriente. Anche la società incaica, saggia ed in “buon ordine”, è da molti navigatori considerata come ideale: non esiste la carestia e la giustizia fiscale viene esercitata senza alcuna forma di vessazione, a differenza di quanto facevano gli Spagnoli. Il tempo dell’utopia è un tempo lontano, irrimediabilmente perduto: è appunto un “tempo mitico”. Gli Spagnoli hanno rovinato tutto, secondo Campanella, con la loro violenza e la loro arroganza: i cristiani hanno stuprato le vergini che assistevano i culti sacerdotali presso gli Incas. Per questo Campanella, attraverso la sapienza, uno dei Principi che assistono il Sole, chiamato anche “Metafisico”, auspica

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la vittoria della Sapienza sull’ignoranza, rappresentata dalla Chiesa dei suoi tempi, la Chiesa della Controriforma: per fuggire al rogo Campanella dovette infatti fingersi pazzo. La Città del Sole è proprio un elogio al Sole, che è la suprema divinità presso gli Incas: il Sole annuncia la verità, ma non la proclama con la spada. Ignazio di Loyola, in una lettera ad un gesuita tedesco che lo aveva interrogato sull’opportunità di un tribunale dell’Inquisizione per combattere l’eresia in modo immediato, risponde negativamente: ciò testimonia di come l’idea di rifiutare la violenza corra anche nel mondo cattolico. 5)Cristina Cassina (Ricercatrice di storia moderna all’Università di Pisa): Le utopie reazionarie. Il pensiero controrivoluzionario ha un fondo utopico, come sostengono T. Serra (L’utopia controrivoluzionaria. Aspetti del cattolicesimo antirivoluzionario in Francia. 1796-1830, Napoli, 1977) e Godechot, il grande storico della Rivoluzione francese. In Joseph De Maistre ed in Fenelon (Le avventure di Telemaco) troviamo i capisaldi del pensiero controrivoluzionario. In Francia un pensiero antirivoluzionario è già presente trent’anni prima del 1789. Il pensiero controrivoluzionario trova punti forti dopo la Rivoluzione francese in Edmund Burke (Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, Roma, 1998). Si distinguono 3 forme di utopia reazionaria, che prendono origine dalla critica a 3 utopie rivoluzionarie: a)La prima è quella che prende avvio dalla critica al volontarismo e che ha avuto larga fortuna tra la fine del ‘700 ed il primo ‘800: in base al volontarismo l’uomo sarebbe buono, in senso rousseauiano, e volontariamente si unisce ad altri uomini per costruire una società buona. Questa idea di volontarismo costituzionale ha dato origine alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Edmund Burke, nelle sue Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia critica il volontarismo: Burke è un sostenitore del partito Whigs in Gran Bretagna, è a favore dei ribelli durante la Rivoluzione americana, non è quindi un reazionario. Le riforme devono per Burke essere tuttavia considerate attraverso riferimenti alla ragione pratica, non speculativa: devono quindi essere effettuate con prudenza, perché l’uomo, nella sua realtà pratica non è sempre buono, come affermava Rousseau. Rousseau ha una concezione, per Burke, speculativa, teorica, astratta dell’uomo, poco pratica e pragmatica. Burke non esclude neanche l’origine divina del potere sovrano, di origine medievale e che ampio respiro ha avuto nell’età moderna, come nella Francia di Luigi XIV. Tocqueville, nell’opera Sulla democrazia in America si dimostra fortemente influenzato da Burke. b)La seconda utopia reazionaria critica l’egualitarismo: uno dei personaggi più noti tra gli antirivoluzionari su questo concetto fu Louis De Bonald (Ouvres Complétes). La rivoluzione è per De Bonald l’ultimo atto di un processo che ha visto l’uomo ribellarsi all’autorità divina, a partire dalla Riforma protestante. La Rivoluzione è l’apoteosi di questo processo: con la rivoluzione si vogliono abbattere sia l’ordine politico che religioso. Alla moderna teoria del potere De Bonald contrappone il concetto di autorità: la società teorizzata da De Bonald è un insieme di “microsocietà”, tra loro regolate da una ferrea gerarchia, inviolabile. La monarchia riconosce queste microsocietà (quali la famiglia) e le rispetta, mentre la democrazia, fondata sul concetto di volontà generale, tenta di sopprimerla. La forma migliore di governo è quindi la monarchia, per De Bonald. La monarchia non può entrare, ad esempio, nell’ambito della famiglia, mentre la democrazia rivoluzionaria invade qualsiasi sfera della società. La rivoluzione ha inventato inoltre l’industria, che ha distrutto il corporativismo medievale, difeso da De Bonald contro la rivoluzione industriale che ha prodotto, intorno agli anni ’20 dell’Ottocento, larghe fasce di pauperismo: De Bonald difende quindi l’attività agricola contro quella industriale. Molta importanza riveste, per De Bonald, la famiglia, e per questo propone l’abolizione del divorzio in Francia, che era stato introdotto dalla Rivoluzione. De Bonald propone dunque, utopisticamente, un ritorno alla società medievale contro quella moderna. Si consideri infine che il pensiero di De Bonald avrà influssi anche sulla sociologia di Auguste Comte.

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c)La terza forma di utopia reazionaria critica la ragione, con Joseph De Maistre, grande critico della Rivoluzione francese, definita come l’opera del demonio: “La rivoluzione è satanica” afferma infatti De Maistre. De Maistre ha contatti epistolari con De Bonald. Nel 1819 De Maistre pubblica Il papa e nel 1821 pubblica Le serate di san Pietroburgo. Isaia Berlin in De Maistre e le origini del fascismo illustra le tesi fortemente antirazionalistiche di De Maistre ed evidenzia gli influssi che il pensiero di De Maistre ha avuto sul nazionalsocialismo. I teorici del nazismo, come Smith, infatti, riconoscono grandi meriti a De Maistre. Il papa, per De Maistre, è colui che detiene la sovranità su tutte le altre sovranità: la sovranità papale discende direttamente da Dio. De Maistre scrive anche che “Di tutti i monarchi, il più dispotico è il popolo re”: si nota la grinta antidemocratica di De Maistre. In conclusione si può affermare che le critiche di Burke al volontarismo, di De Bonald all’egualitarismo e di De Maistre alla ragione hanno un fine utopico: la costruzione di uno “Stato ideale”, di una società migliore, edificabile rispettivamente sul ritorno al Medioevo ed all’origine divina del potere sovrano, sulla monarchia ed il rispetto della gerarchia sociale, e sulla religione.